Storia sociale della pallavolo italiana La storia dello sport è, ancora

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Storia sociale della pallavolo italiana La storia dello sport è, ancora
Storia sociale della pallavolo italiana
La storia dello sport è, ancora oggi, una branca poco studiata della storiografia italiana.
Differentemente dalla Francia e dai paesi anglosassoni, infatti, nel nostro paese tale materia stenta a
essere accettata dalla comunità accademica, come dimostra la quasi totale assenza di cattedre
dedicate al tema nelle nostre università. Nella penisola esistono solo due corsi di Storia dello sport,
che si svolgono presso la facoltà di Scienze Motorie dell’Università di Urbino e presso quella della
II Università di Roma “Tor Vergata”, mentre nessun dipartimento di discipline storiche sembra mai
essersi appassionato a ciò. Tale mancanza d’attenzione ha, negli anni, delegato lo studio della
materia ai giornalisti, i quali hanno concepito opere di carattere altamente divulgativo, ma poco
legate alle regole della ricerca scientifica. Solo alcuni studiosi hanno deciso di dedicare
all’argomento il proprio tempo, rivolgendosi soprattutto a discipline quali: l’Atletica, la Boxe, il
Calcio, il Ciclismo, la Ginnastica, o più in generale al fenomeno olimpico. In questo senso, sono un
esempio i lavori di: Daniele Marchesini, Sergio Giuntini, Antonio Lombardo, Antonio Papa, Guido
Panico, Stefano Pivato e Lauro Rossi. Questi ultimi hanno rapportato il fenomeno sportivo a quello
sociale, sull’esempio di quanto fatto all’estero da storici del calibro di: Richard Mandell, Georges
Vigarello o John Hoberman, il quale si è occupato, soprattutto, del rapporto tra sport e politica. Nel
nostro paese, però, si avverte la mancanza di centri di ricerca dedicati alla materia, che diano
continuità all’attività scientifica, formando anche nuovi studiosi, sull’esempio dell’International
Centre for Sports History and Culture (ICSHC) di Leicester, forse l’ente più importante a livello
mondiale che si occupi di storia dello sport. Eppure, l’Italia è un paese che vive di sport, come
dimostra: l’alto numero di praticanti delle varie discipline, sia a livello agonistico che amatoriale, e
la continua attenzione mediatica al tema. Non è un caso che gli eventi sportivi siano tra i programmi
più seguiti a livello televisivo e radiofonico e che i giornali dedicati alla materia siano di gran lunga
più letti rispetto a quelli generalisti. Oltre a ciò, appare fondamentale sottolineare come lo sport sia
parte integrate della memoria collettiva del nostro paese. Anche i meno avvezzi a tale cultura
ricordano momenti della propria esistenza legandoli ad avvenimenti quali: un Mondiale, piuttosto
che un’Olimpiade o un Tour de France. Gli stessi eventi politici del ‘900, spesso, hanno incrociato
le vicende sportive, come nel 1936, quando per affermare il nazismo a livello planetario, il III Reich
scelse come palcoscenico quello olimpico; o come nel 1948, quando, dopo l’attentato a Togliatti, la
leggenda vuole che sia stata la vittoria del Tour da parte di Gino Bartali a evitare una possibile
guerra civile. In quest’ultimo caso, ovviamente, ben altri sono stati i motivi per i quali è stata evitata
una tale catastrofe, ma l’impresa sportiva è stata talmente ampia, che ancora oggi la memoria
collettiva ritiene quella la motivazione più valida, piuttosto che l’atteggiamento del gruppo dirigente
del Partito comunista italiano. Lo sport, inoltre, ha costituito un mezzo per unire il popolo. La
politica ha sempre guardato l’attività sportiva come possibile mezzo di propaganda e strumento per
entrare in relazione con le classi popolari. Per questo, i regimi autoritari e totalitari hanno tutti
approfittato di tale opportunità: abbiamo parlato già di Berlino 1936, ma come non pensare ai
Mondiali di calcio organizzati dall’Italia fascista nel 1934, a quelli organizzati in Argentina nel
1978, ma anche alle Olimpiadi di Messico 1968 o di Mosca del 1980. Anche le democrazie, però,
hanno scelto lo sport per mostrarsi al proprio popolo e oltre confine. Da anni, qualunque governo o
amministrazione locale punta all’organizzazione di eventi più o meno grandi per poi sfruttarli
elettoralmente a proprio vantaggio. Per quanto riguarda il nostro paese, poi, come sostiene Antonio
Lombardo: «Lo sport è uno degli angoli visuali da cui guardare la società italiana post unitaria per
poter seguire correttamente i processi riguardanti il tempo libero, la socialità, i comportamenti e le
passioni individuali e collettive». Per questi motivi in collaborazione con la Federazione italiana
pallavolo è stato deciso di proporre una ricerca interamente dedicata alla storia sociale di uno degli
sport più praticati nella penisola: la pallavolo. Il volley è stato scelto, poiché è l’unica delle
discipline maggiori su cui non sia stato pubblicato quasi nulla a livello scientifico, se non pochi
saggi, che risalgono a circa un decennio fa. È l’unico sport che, comunque, non ha potuto contare su
ricerche sistematiche, tanto che, a oggi, non esiste nessuna monografia dedicata alla sua storia. Tale
disciplina è stata, inoltre, troppo sottovalutata vista la sua portata sociale: è, per esempio, lo sport
più praticato dalle donne, ma anche il più giocato nelle scuole. Scrivere una storia sociale della
pallavolo italiana significa, inoltre, passare attraverso quasi tutto il novecento: dal 1917, quando la
disciplina venne importata in Europa dagli americani durante la Grande guerra, fino ad oggi. Partire
dal I conflitto mondiale vuole dire anche mettere simbolicamente in relazione l’evento che segnò
l’inizio del secolo breve e lo sport, uno degli elementi caratterizzanti del ‘900. Così come per il
football, che mitizzò l’immagine del capitano britannico W.P. Nevill, che in uno slancio spavaldo,
costatogli la vita, alle 7,30 del 1° luglio 1916, uscì dalla propria trincea sul fronte francese e calciò
un pallone verso le postazioni nemiche, anche per il volleyball si può parlare di mito delle origini.
Tale disciplina era, infatti, praticata a ridosso delle trincee, per far passare il tempo ai militari stelle
e strisce prima delle battaglie. Attraverso questa ricerca si dovrebbe chiarire: come il gioco
inventato da William G. Morgan sia arrivato in Italia con i primi regolamenti editi dalla Young
Men’s Christian (Ymca); come si sia sviluppato e quale uso ne fece l’Opera nazionale dopolavoro,
per l’attività dei propri iscritti. Si vuole poi studiare il processo di costituzione della Federazione
italiana palla al volo (Fipv) e, successivamente, della Federazione italiana pallavolo (Fipav). Per
fare ciò si dovranno prendere in esame tutte le documentazioni concernenti l’attività della
federazione, cercando di delinearne il percorso storico; tracciando il profilo dei vari dirigenti che ne
segnarono le vicende, analizzando i processi economici e quelli organizzativi che portarono in Italia
diversi tornei internazionali in Italia: dal pionieristico europeo del 1948, fino al mondiale del 2010.
Durante questo percorso si dovrà, ovviamente, parlare della nazionale italiana: dei risultati, dei
tecnici e degli atleti che ne segnarono le vicende sportive. Si dovranno, poi, studiare le origini delle
diverse società pallavolistiche che hanno segnato la storia dei campionati italiani, con un occhio
rivolto all’esperienza toscana e quella emiliano-romagnola. In questo senso, ci si dovrà anche
interrogare sul rapporto tra la diffusione dello sport di squadra, per antonomasia patrimonio dei
paesi del Patto di Varsavia, e la politica delle regioni rosse, ma anche come questo venne sfruttato
dalla chiesa nei propri oratori. Fondamentali saranno, inoltre, dovrebbero essere le ricerche condotte
sul legame tra pallavolo e pratica scolastica dell’educazione fisica. Per fare ciò, dovranno essere
presi in esame i programmi ministeriali e quelli dei provveditorati, attraverso i quali venne proposta
la pratica del volley come disciplina da insegnare agli alunni. Un capitolo a parte dovrebbe poi
essere dedicato all’attività di questo sport a livello femminile. Ancora, oggi, la pallavolo, a livello
mondiale, è di gran lunga lo sport più praticato dalle donne. In Italia, nel 2009, su un totale di
327.031 atleti tesserati dalla Fipav, ben 243.073 erano proprio donne. Dovranno, perciò, essere
sviscerate le motivazioni di questa circostanza. Un’approfondita riflessione dovrà essere dedicata al
legame della pallavolo con le classi sociali. Infatti, benché praticato nelle scuole e quindi divulgato
a livello di massa, questo sport ha potuto contare, almeno fino agli anni novanta, su un numero
considerevole di atleti diplomati e perfino laureati, differentemente da altre discipline quali: boxe,
calcio e ciclismo. Infine, dovrà essere studiata la relazione tra volley e media, volley e industria,
volley e sponsor. Nel primo caso, si cercherà di capire come si sia evoluto il rapporto tra la
pallavolo e l’informazione giornalistica. Nel secondo si affronterà il tema della creazione di
un’industria apposita per la produzione di strumenti utili alla pratica di questo sport: campi di gioco,
reti, palloni, indumenti, scarpe. Nell’ultimo, si parlerà dell’ingresso degli sponsor nella pallavolo,
che ha segnato il destino delle squadre di club e della stessa nazionale. Tutti questi argomenti
dovranno essere sviscerati, legandoli alle vicende che hanno segnato la storia della penisola,
cercando di comprendere come: avvenimenti politici e sociali abbiano influito sulle sorti del
movimento pallavolistico. Per quanto riguarda le fonti, dovrà essere passato al vaglio l’archivio del
Centro studi della Fipav, per cercare quei documenti federali e quelle pubblicazioni che ci aiutino a
capire le dinamiche sopraesposte. Fondamentale dovrà essere il lavoro presso la biblioteca dello
sport del Coni, nella quale sono presenti diversi regolamenti, che ci aiuteranno a capire l’evoluzione
del gioco, ma anche tutti quei giornali e quelle riviste che si sono occupati della pallavolo dai primi
del Novecento. Dovranno, poi, essere cercate altre fonti nei vari archivi delle società toscane ed
emiliano-romagnole. Dovranno essere analizzati gli studi di quelle industrie che hanno inventato
prodotti per il volley, come degli sponsor che lo hanno sostenuto. Fondamentali saranno, infine, una
serie di interviste svolte con dirigenti, allenatori e atleti, ma anche giornalisti, che hanno fatto la
storia della pallavolo italiana. Durante questi studi, saranno, inoltre, dovranno essere raccolte tutte
le immagini disponibili, per la realizzazione di un archivio fotografico digitale.
La durata presumibile della ricerca dovrebbe riguardare un arco temporale di 12 mesi.