La Formazione Esperienziale
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La Formazione Esperienziale
LA FORMAZIONE ESPERIENZIALE E LA METODOLOGIA OUTDOOR A cura di: dott. Flavio Chikhani dott. Giuseppe Rolli 1 INDICE 1‐ La Formazione Esperienziale 1.1 Metodologie di apprendimento dell’adulto 1.2 L’aspetto psicologico dell’apprendimento degli adulti 1.3 La responsabilizzazione individuale e la facilitazione nel processo di apprendimento 1.4 La motivazione ad apprendere 1.5 La valorizzazione delle esperienze personali e professionali 1.6 La trasferibilità della formazione alle prestazioni lavorative 1.7 Il modello andragogico e le metodologie esperienziali 2 Elementi Caratteristici di un Intervento Outdoor 2.1 Metaphoric Experiential Learning 2.2 Scelta e costruzione della metafora formativa 2.3 La scelta della location 2.4 Il grado di stress 2.5 La natura e la sequenza dei compiti 2.6 Briefing, Playing e processi di Debriefing 2.7 Metodologie e tecniche di debriefing 3 La metodologia Outdoor 3.1 Outdoor Small Techniques – OST 3.2 Campi Outdoor Preimpostati – COP 3.3 Outdoor Training – OT 3.4 Outdoor Management Training – OMT 2 1 La formazione esperienziale Nella formazione degli adulti, il detto che “s’impara a fare, facendo”, è alla base delle Experiential Learning. Gli interventi di formazione esperienziale, quindi di apprendimento tramite esperienza, consentono di osservare le attitudini, di sviluppare le capacità e di acquisire o modificare gli atteggiamenti individuali, presi sia singolarmente, sia in contesti di gruppo. Fare formazione esperienziale vuol dire, progettare e gestire un ambiente fisico ed uno spazio mentale in cui le persone possono interagire liberamente e condividere delle esperienze cognitive, emotive e fisiche, direttamente o analogicamente correlate all’apprendimento di conoscenze, capacità e atteggiamenti utili per il miglioramento delle prestazioni lavorative. La formazione esperienziale spinge il discente ad una riflessione critica sui propri assunti, sulle idee, sulle prospettive e sui valori culturali che tradizionalmente influenzano la sua visione del mondo, il suo atteggiamento e quindi, il suo comportamento, aiutandolo ad “apprendere ad apprendere”. Le persone sono stimolate a fronteggiare l’incertezza dell’ambiente esterno mediante la propria creatività, tenacia e perseveranza mantenendo sempre la concentrazione sugli obiettivi da perseguire. Il ruolo del formatore, in questo contesto, è quello del facilitatore di apprendimento; affiancare il discente nella ricostruzione delle esperienze vissute, condividere gli elementi postivi e negativi delle dinamiche del processo esperienziale, formalizzare, infine, i comportamenti vincenti e quelli da migliorare. La formazione esperienziale mette al centro del processo di apprendimento l’esperienza reale dell’individuo, stimolando la riflessione, la validazione e l’interiorizzazione dei modelli cognitivi e dei comportamenti efficaci. Nel realizzare attività didattiche rivolte agli adulti, lo strumento ed il modello esperienziale risulta essere particolarmente efficace in quanto in linea con quelle che sono le necessità e le peculiarità del soggetto adulto che apprende messe in luce dal modello andragogico. 1.1 Metodologia di apprendimento dell’adulto Le particolari esigenze dell’adulto che apprende, hanno portato allo sviluppo ed alla adozione di un modello definito andragogico, articolato su alcune variabili: • L’aspetto psicologico dell’apprendimento degli adulti; • La responsabilizzazione individuale e la facilitazione nel processo di apprendimento; • Le motivazioni ad apprendere; • La valorizzazione delle esperienze personali e professionali; • La trasferibilità della formazione alle prestazioni lavorative. 1.2 L’aspetto psicologico dell’apprendimento degli adulti L’adulto è una persona con una consolidata struttura dell’esperienza, della conoscenza e degli schemi mentali; ogni processo di apprendimento passa attraverso la condizione dell’errore, e gli adulti, caratterizzati da notevole orgoglio individuale, generalmente subiscono questa condizione in modo personale con ripercussioni negative sull’autostima e sulla fiducia nelle proprie possibilità. È compito del docente supportare la partecipazione degli adulti, sia mediante l’adozione di uno stile facilitativo e avalutativo, che attraverso la gestione delle relazioni interpersonali e del clima dell’aula. Ciò che emerge è che l’adulto deve sentirsi psicologicamente al sicuro e libero di pensare e di sbagliare senza il timore di essere ridicolizzato o valutato negativamente. 3 1.3 La responsabilizzazione individuale e la facilitazione nel processo di apprendimento Gli adulti sono essenzialmente persone autonome ed, in quanto tali, dovrebbero essere in grado di regolare, più o meno autonomamente, le modalità ed i tempi del loro apprendimento; questo perché, tendenzialmente, dotati di maggiore autodisciplina rispetto ai bambini. Per i motivi appena esposti, l’adulto dovrebbe essere lasciato libero di determinare autonomamente intensità e ritmo dell’apprendimento, ciò è possibile destrutturando l’articolazione dei contenuti formativi, favorendo, facilitando ed affiancando il discente adulto nell’orientamento verso il proprio percorso. Il coinvolgimento attivo del discente adulto si ottiene inizialmente con la presa di coscienza, da parte dello stesso, del proprio fabbisogno formativo; ciò che il soggetto deve razionalizzare è perché ha bisogno di sapere. Un primo passo che il formatore/facilitatore può compiere in questa direzione, è somministrare un test all’aula in cui sono raccolte le aspettative, le attese e gli obiettivi di apprendimento. Il massimo della partecipazione attiva dell’adulto avverrebbe se fosse messo in grado di partecipare alla progettazione ed alla pianificazione del proprio processo formativo; il coinvolgimento del discente potrebbe essere richiesto anche in merito alla scelta delle metodologie di erogazione e degli strumenti di valutazione della propria attività didattica. È evidente che le teorie dell’apprendimento degli adulti spostano il baricentro del processo di apprendimento dal docente al discente, trasformando il primo in un “facilitatore di processo” oltre che ovviamente, esperto nei contenuti formativi. 1.4 Le motivazioni ad apprendere L’apprendimento degli adulti si basa sulla motivazione dell’individuo nella partecipazione al processo formativo e risiede nell’interesse e nel beneficio individuale che la persona si aspetta di trarre dal corso. Fondamentale per il docente è individuare immediatamente, sia le attese che gli adulti manifestano nella partecipazione al corso, sia ciò che è rilevante e significativo rispetto a bisogni e desideri di apprendimento; così facendo riesce prontamente a ridefinire e riallineare le attese dei partecipanti con gli obiettivi della formazione. 1.5 La valorizzazione delle esperienze personali e professionali Gli adulti sono persone in possesso di un ricco bagaglio di esperienze e conoscenze, alimentato negli anni; il docente deve essere in grado di riconoscere un simile background e di saperlo valorizzare ed utilizzare ai fini dell’apprendimento. Essendo presente questo importante bagaglio di conoscenze ed esperienze pregresse, le nuove informazioni sono costantemente relazionate con le esperienze passate; il docente per facilitare l’apprendimento deve prestare attenzione a tempi e modalità di questo processo di affiancamento e integrazione delle conoscenze, aiutando il discente a focalizzare i punti di connessione, riepilogando costantemente i nuovi “passi conoscitivi”, valorizzando la valenza applicativa e risolutiva nei contesti di lavoro. 1.6 La trasferibilità della formazione alle prestazioni lavorative Gli adulti sono persone pragmatiche, per questo nella progettazione occorre progettare ed orientare l’attività didattica ad obiettivi di apprendimento strettamente correlati al miglioramento della prestazione lavorativa. 4 L’apprendimento degli adulti deve esaltare continuamente la valenza applicativa e la trasferibilità dei contenuti teorici alla pratica professionale. Per soddisfare il bisogno di immediata applicazione delle conoscenze alla prassi reale, il docente deve: • Valorizzare gli aspetti applicativi delle nuove conoscenze, mettendole in relazione alle esperienze dei discenti; • Affiancare il discente nella realizzazione di un piano di azione relativo all’applicazione in azienda delle conoscenze acquisite; • Condividere i progetti personali di sviluppo attraverso lavori di gruppo; Al termine del corso, supportare il discente nell’applicazione delle conoscenze acquisite attraverso programmi di tutorship, coaching, followup. Il trasferimento dell’apprendimento al contesto lavorativo e/o personale, è il primo successo dell’attività formativa. 1.7 Il modello andragogico e le metodologie esperienziali Il modello andragogico, dunque, pone al centro del processo di apprendimento dell’adulto l’esperienza, non solo il recupero di quella passata, ma anche la realizzazione di nuove. La prospettiva di M. Knowles evidenzia come l’apprendimento degli adulti richieda un approccio metodologico orientato a massimizzare il coinvolgimento dell’individuo nell’esperienza formativa. Il discente apprende meglio se stimolato in tutte le dimensioni in cui può esprimere la propria soggettività: intellettuale, emotiva e fisica. Apprendere “da” e “attraverso” l’esperienza vuol dire ancorare a vissuti psico/emotivi l’acquisizione di nuova conoscenza, mediante un’attività di riflessione critica. In termini metodologici, si pone grande enfasi sulle modalità attive, sul bilanciamento tra le logiche induttive e deduttive del processo di apprendimento. Lavora con le esperienze pertanto richiede di alternare: • Momenti “induttivi”, di riflessione e valutazione delle esperienze e delle realtà aziendali, alla ricerca di principi di elaborazione, d’ipotesi interpretative e di concettualizzazione dell’esperienza; • Momenti “deduttivi”, di utilizzo delle logiche e delle regole trovate, per interpretare le esperienze passate e per sperimentare e pianificare comportamenti futuri; innescando così il passaggio dalla teoria alla pratica. Il lavoro sulle esperienze aiuta a sviluppare alcune competenze trasversali di osservazione di ascolto, di analisi, di pensiero critico, di pianificazione ed implementazione dell’azione; tutte capacità diffusamente richieste nell’attuale contesto manageriale. In sostanza, nella formazione manageriale, non bisogna tanto lavorare sulla modellazione deduttiva del comportamento individuale, quanto sulla riproduzione analogica della complessità degli ambienti aziendali, con attività di formazione che rispecchino le caratteristiche del lavoro e le competenze ad esso associate; il tutto con approccio induttivo. 2 Elementi Caratteristici di un Intervento Outdoor Prima di illustrare alcune delle tecniche con cui è possibile realizzare interventi di formazione esperienziale outdoor, è opportuno un chiarimento prettamente linguistico. Per attività outdoor s’intendono tutte quegli interventi di formazione che applicano modelli di apprendimento esperienziale e che sono realizzati fuori dall’aula, all’aria aperta. 5 Questo capitolo indaga quelli che possono essere definiti gli elementi imprescindibili di un efficace intervento di formazione esperienziale outdoor. L’elemento che coinvolge tutta la progettazione dell’esperienza è la metafora utilizzata. Da ciò deriva la scelta della location, del livello di stress da conferire alle singole attività e la natura e sequenza dei compiti. Successivamente potranno essere illustrate le metodologie relative al briefing, al playing ad al debriefing. 2.1 Metaphoric Experiential Learning La metafora è una figura linguistica retorica per la quale si attribuisce ad un vocabolo un significato diverso da quello per cui è convenzionalmente inteso, in base ad un rapporto di similitudine. La metafora lavora sulle analogie, sulla sovrapposizione tra la fonte di comparazione e l’oggetto analogo, tenendo presente però che un’attività immaginativa è efficace se i termini comparati non siano totalmente vicini o distanti nel significato figurato. L’utilizzo della metafora nei processi formativi è un potente strumento di strutturazione e potenziamento dell’apprendimento, in quanto, riconosce e valorizza il funzionamento del cervello che costruisce continuamente connessioni e associazioni, percependo e ricordando meglio eventi nuovi ed inusuali. L’apprendimento per metafora può realizzarsi, sia trovandone e sostenendone una in grado di contenere e veicolare al meglio i contenuti della formazione, sia facendo vivere un’esperienza reale in un contesto simbolico che riproduca le stesse dinamiche comportamentali dell’ambiente lavorativo. Nelle metafore esperienziali, il lavoro analogico si basa sul rapporto di somiglianza tra gli elementi costitutivi degli oggetti della comparazione e sulla capacità intuitiva ed immaginativa dei soggetti coinvolti, di interpretare il suddetto rapporto. La sovrapposizione parziale tra i due ambiti, quello metaforico e quello reale, organizzativo, è in grado di produrre e stimolare significati ed emozioni figurate fortemente impresse nella mente degli individui. Infatti, l’apprendimento veicolato dall’attività metaforica è in grado di: • Rinforzare il ragionamento analogico dei partecipanti, avvicinando contesti apparentemente distinti e stimolando nuovi modi di pensare; • Creare un significato contestuale e sociale dell’identità del gruppo; • Stimolare in termini cognitivi la creatività e l’immaginazione sociale; • Facilitare il cambiamento cognitivo, orientando e guidando il comportamento organizzativo nelle fasi di transizione e di sviluppo; • Raccogliere, elaborare, rinforzare, spiegare e diffondere la conoscenza esistente. Per quanto riguarda gli interventi di formazione esperienziale che utilizzano la metodologia dell’outdoor e che sono progettati, quindi, in termini metaforici, si individua come obiettivo di apprendimento, principalmente, lo sviluppo degli individui e dei gruppi. Le metafore esperienziali stimolano: • La socializzazione ed il miglioramento del clima aziendale; • Lo sviluppo della fiducia, sia al livello intrafunzionale, che interfunzionale; • La consapevolezza di sé ed il cambiamento comportamentale; • La collaborazione e le comunicazioni interpersonali; • Le capacità di action planning, goal setting, problem solving e decision making; • La creazione, la gestione e lo sviluppo dei gruppi di lavoro; • Gli stili di leadership nelle organizzazioni; • La gestione dell’incertezza e del cambiamento; • La gestione dello stress; • Lo sviluppo della creatività e dell’innovazione; 6 • La propensione la capacità di assunzione del rischio. Le potenzialità formative del sistema appena esposto sono un risultato comunemente raggiunto dalle attività incentrate sul metaphoric experiential learning in quanto le persone sono calate in un contesto nuovo, con compiti originali e competenze inusuali da mettere in campo. Essendo attività incentrate su diverse dimensioni (fisica, psicologica, intellettuale, sociale, ecc.), gli interventi esperienziali producono stimoli diversi e complementari sulle intelligenze multiple degli individui, creando le miglior condizioni per l’apprendimento individuale, ognuno in funzione del proprio stile. La formazione esperienziale metaforica supporta l’apprendimento in tutte e tre le dimensioni in cui è tradizionalmente disaggregato, ossia, cognitivo, affettivo e psicologico. Le attività consentono lo sviluppo delle capacità cognitive, in quanto, esercitano le operazioni di conoscenza e comprensione del compito da svolgere, facilitando le attività di analisi, sintesi, valutazione ed autovalutazione del lavoro svolto e del processo realizzato. In termini cognitivi, le attività esperienziali sviluppano prevalentemente la conoscenza procedurale e tacita sulle modalità, opportunità e circostanze di utilizzo delle capacità possedute. Dal punto di vista affettivo, l’apprendimento sollecitato riguarda la consapevolezza delle proprie emozioni e delle dinamiche psicologiche delle attività svolte; la capacità di discriminare le diverse possibili cause. Nelle esperienze metaforiche, viene evocata un’ampia serie di emozioni: paura o ansia di affrontare una sfida, un compito percepito come rischioso o pericoloso; frustrazione o rabbia di non essere ascoltati dal gruppo o di non poter chiedere autonomia decisionale; entusiasmo o soddisfazione per il raggiungimento degli obiettivi. Nella progettazione delle attività esperienziali occorre tener presente che la vulnerabilità e l’intensità emotiva, sono direttamente correlate al livello di stress, per cui è necessario contenerle per evitare demotivazione e non partecipazione alle attività. Da un altro punto di vista, non bisogno dimenticare che, la dimensione emotiva aiuta a mantenere alta l’attenzione ed a far permanere l’apprendimento nel lungo termine. Di seguito sono illustrati i momenti che caratterizzano la progettazione e la realizzazione di un intervento esperienziale metaforico: • La scelta e la costruzione della metafora; • La scelta della location; • Il grado di stress; • La natura e la sequenza dei compiti. 2.2 Scelta e costruzione della metafora formativa Nella scelta e nella costruzione della metafora esperienziale occorre progettare un’iniziativa in grado di riprodurre le necessarie analogie con l’ambiente lavorativo, con le regole, lo stile di leadership, l’atmosfera, il clima e la cultura aziendale. Per poter far ciò è necessario predisporre ed effettuare un’accurata analisi dei fabbisogni di apprendimento; la metafora ha, infatti, il compito di costruire connessioni e associazioni tra le attività esperenziali e gli obiettivi di apprendimento. Per creare una metafora formativa occorre focalizzarsi sui contenuti dell’iniziativa didattica. Il progettista può, inizialmente, individuare una serie di diverse metafore sulle quali sia possibile sviluppare il contenuto, globale o parziale, dell’intervento formativo. Successivamente deciderà quale metafora implementare e quale escludere. Sviluppata l’idea metaforica, occorre disaggregare anche questa nei suoi elementi costitutivi per confrontarli con quelli degli obiettivi formativi che si vogliono perseguire; questo 7 accostamento ha lo scopo di creare, individuare e rafforzare eventuali associazioni, similitudini connessioni da utilizzare in termini esperienziali. Per meglio intendere quali siano i passaggi concreti che il progettista di formazione deve percorrere al fine di creare la metafora adatta alla specifica problematica, è opportuno introdurre il caso di una ipotetica azienda Y. Ciò su cui l’azienda Y deve intervenire sono quattro elementi: il cambiamento, la diversità, l’antagonismo e la scarsa comunicazione interfunzionale. Sintetizzati questi parametri, si affronta un “brain storming metaforico” con il seguente risultato: 1. Cambiamento: passaggio, percorso, trasformazione, modificazione, sviluppo, elaborazione, mutazione, paura dell’ignoto,… 2. Diversità: sesso, sociale, aziendale, identità e storia aziendale, modi di dire, di lavorare, di comunicare gergo tecnico, diversità di potere, di reddito di status,… 3. Antagonismo: non collaborazione, competizione, avversità, inimicizia, non comunicazione, antipatia, critiche distruttive, lotte di potere… 4. Scarsa comunicazione: disinteresse, deresponsabilizzazione, ostruzionismo, opportunismo, diversità, adverse selection. Obiettivi ipotetici del processo di sviluppo: miglioramento del clima e della comunicazione. La metafora che deve essere creata ha lo scopo quindi di far apprendere e percepire il processo di cambiamento e integrazione senza far rinnegare il passato e le identità pregresse. Dal brain storming supponiamo derivi lo spunto per sintetizzare un insieme di parole e concetti rappresentativi della metafora che si deve creare: diversità, percorso, paura dell’ignoto, identità, storia, collaborazione. Con queste parole in mente si tenta di progettare un intervento che unisca metaforicamente la valorizzazione dell’identità e della diversità con la necessità della collaborazione. Inoltre, l’intervento, dovrebbe essere in grado di far vivere un percorso, che procedesse dalle storie, dalle esperienze aziendali, attraverso la paura dell’ignoto ed arrivasse ad un approdo sicuro. Formalizzato il contenuto metaforico del processo esperenziale, attraverso la tecnica delle associazioni libere, si procede per associare le parole chiave sopra individuate ad altrettante idee; il risultato potrebbe essere il seguente: DIVERSITA’: “… ogni azienda parte da una storia diversa per arrivare la gruppo aziendale; bagaglio culturale, identità storia; nella cultura fluiscono le storie; simboli, miti e valori producono cultura…”. PERCORSO “… è un cammino, fatto insieme, con qualcuno o da soli; un percorso conduce ad una meta; un percorso è la strada di un progetto; passo dopo passo; strada, sentiero…”. PAURA DELL’IGNOTO “… ignoto è ciò che non si conosce, che non si capisce, che sfugge dai nostri senti; qualcosa in cui i sensi sono limitati a percepire a comprendere; qualcosa che ti avvolge come il buio, l’oscurità…”. IDENTITA’, DIVERSITA’ E COLLABORAZIONE: “… sebbene diversi, si può collaborare, ma la diversità non aiuta la collaborazione. L’identità produce diversità; la collaborazione vuol dire lavorare con qualcuno, ma è possibile lavorare con qualcuno con cui non si ha quasi nulla in comune? Cosa può unire due diversità?” Le libere associazioni così create, costituiscono la base sulla quale iniziare a sviluppare una serie di metafore da porre a tema dell’intervento. Ovviamente tutte le proposte metaforiche dovevano risultare analoghe alle idee chiave ed alle disgregazioni proposte. 8 La prima metafora proposta è quella del “fiume”. Il concetto del fiume richiama qualcosa che proviene da lontano, che trova arricchimento dal suo percorso, nutrendosi di notevoli affluenti, di tante acque provenienti da posti diversi, da terre diverse, mantiene una sua identità e si trasforma in mare. Un seconda proposta è il “puzzle”. Il puzzle è composto da tanti pezzi, ognuno diverso per forma e colore, ma ognuno necessario per completare il tutto. Il tutto non è niente anche senza solo uno degli elementi; ogni pezzo ha un posto giusto dove essere collocato”. Il “patchwork”, un composto di tanti pezzi, diversi e ben distinguibili, di natura colore e forma diversa. A seconda del gusto di chi lo compone, diventa un’unica opera. Un’altra metafora è la “casa”, questo perché per costruirla è necessario un progetto, delle fondamenta, del lavoro, dei collaudi. L’integrazione pianificata di tutti i contributi serve ad erigere la costruzione. L’ultima proposta metaforica è “l’arcobaleno”, in quanto, composto da tante strisce colorate, diverse, ma che camminano nella stessa direzione, con un inizio ed una fine. Indica un punto di arrivo. Dal punto di vista formativo, strutturare un’unica attività che comprende tutte le metafore proposte, renderebbe molto complesse le fasi di debriefing. Per questo motivo si preferisce costituire un progetto formato da tante piccole attività, integrando più metafore, ognuna delle quali potrebbe intervenire su di uno specifico aspetto relativo agli obiettivi. Ed è in base alle motivazioni metodologiche appena esposte che, in relazione al caso dell’ipotetica azienda Y, si potrebbe decidere di utilizzare la metafora dell’orienteering in campagna per poter lavorare sul concetto di strada, di percorso di orientamento, di nuovo sentiero da trovare all’interno del contesto che cambia. Proprio perché il concetto di cambiamento è fondamentale in questo caso reale, potrebbe essere efficace, far intraprendere il percorso di notte, in quanto, il buio simboleggia la paura dell’ignoto. I gruppi partecipanti all’orienteering avrebbero tutti punti di partenza diversi, questo serve a valorizzare la storia di ogni azienda prima della partenza. Si potrebbe inoltre proporre di far portare nello zaino, degli oggetti rappresentanti la propria identità organizzativa. Quest’ultimo punto ha sia lo scopo di far vivere il peso della storia passata nel processo di cambiamento, processo che nell’outdoor è rappresentato dalla camminata notturna, sia l’intento di far rielaborare al termine dell’intervento, una analisi dei valori delle persone mediante una rappresentazione, una composizione, nello specifico il patchwork, che unisce le diversità (i.e. gli oggetti portati nello zaino), in un’opera comune. Per rinforzare e richiamare continuamente le ideologie alla base dell’intervento, si potrebbero far intersecare più volte compiti e gruppi, allo scopo di mettere in atto un rimescolamento dei gruppi nelle diverse attività rendendo così necessaria, ai fini dei giochi, l’aggregazione e l’integrazione delle diverse prospettive. Al termine dell’intervento si potrebbe far scrivere e mettere in scena, con l’ausilio di attori professionisti, la storia dell’azienda, dell’avventura formativa, e degli avvenimenti goliardici avvenuti durante i tre giorni di formazione. L’attività è volta al rafforzamento ed al consolidamento delle esperienze effettuate e della loro valenza trasformativa. Il progetto non si conclude con il rientro in sede dei partecipanti, ma un mese dopo l’outdoor si prevede una sessione di follow up arricchita oltre che dalla raccolta dei feedback, da una lezione frontale sulla comunicazione interpersonali e sulle relazioni interfunzionali; la sessione prevede ovviamente le restituzione dei feedback alla committenza. 2.3 La scelta della location Nella scelta della location occorre distinguere quelle metafore che richiedono necessariamente un’ambientazione outdoor perché basate su attività sportive (rafting, 9 canoing, orienteering, ecc.), o su giochi all’aperto (caccia al tesoro o soft air), da quelle che possono essere svolte anche in un ambiente interno sufficientemente spazioso. Appare evidente che la scelta di una specifica metafora vincola la scelta della location; è una perdita di tempo progettare un’attività centrata su una metafora che necessariamente richiede una location esterna quando si è consapevoli di non poterla individuare in breve tempo o quando la distanza, ad esempio, la rende non idonea ai vincoli di budget disponibili. Allo scopo di orientare la decisione sulla tipologia di intervento e di location, si prendono in considerazione vantaggi e svantaggi dell’outdoor experiential training e dell’indoor adventure training. La scelta di un sito esterno, fuori dalle mura dell’aula, presenta alcuni svantaggi: • L’incontrollabilità del clima; • La possibile discriminazione nell’attività a maggior richiesta fisica, delle persone meno allenate; • Il maggior rischio di danno fisico; • Il rischio di spiazzamento delle finalità formative, dovuto al prevaricare della dimensione di avventura. Per contro, le suddette attività esterne: • Promuovono la creazione di memorie permanenti, promuovendo l’apprendimento ed il richiamo successivo delle esperienze. • Valorizzano la dimensione reale dell’apprendimento, attribuendo un sostanziale elemento di novità all’attività formativa. • Se l’ambientazione avviene in mezzo alla natura, producono benefici psicologici e spirituali contribuendo al raggiungimento degli obiettivi formativi. Gli studi di Thomashow sottolineano che, confrontarsi con l’ambiente naturale aiuta ad avere dei punti fermi in un mondo in continuo cambiamento, calmando così molte ansie e meccanismi di difesa. Un’esperienza a contatto stretto con la natura è in grado di indurre un forte senso di spiritualità che, sostituendo il contatto con la divinità, calma le paure dell’impermanenza del genere umano. La maestosità, l’immensità di uno spettacolo naturale, ricorda all’uomo la sua intrinseca debolezza e vulnerabilità, risveglia un senso di umiltà, ridimensionando manie, ambizioni, sete di fama e fortuna. Le frustrazioni ed i fallimenti della vita quotidiana sembrano in questo modo, meno importanti; tutto ciò predispone meglio le persone alle attività esperienziali permettendogli di aprirsi alla socializzazione ed alla’apprendimento. In questi termini sembra che la metodologia outdoor sia l’unica soluzione accettabile per un determinato tipo di contenuti formativi anche se la configurazione indoor, non comporta necessariamente la perdita della componente “avventura”, elemento privilegiato dell’outdoor experiential learning. Gli interventi di indoor adventure training consentono una progettazione ed uno stretto controllo dei livelli di stress e della percezione del rischio psicologico; inoltre vi è un abbattimento del rischio derivante dalle condizioni climatiche e dalle possibili discriminazioni fisiche dei singoli partecipanti. Ciò che l’indoor mantiene in comune con la tipologia outdoor è la novità del contesto in cui avviene la formazione, le sfide individuali e di gruppo a cui si è sottoposti, la partecipazione attiva all’attività di sviluppo ed alla risoluzione dei problemi. 2.4 Il grado di stress Nella progettazione delle attività esperenziali occorre valutare il grado di stress che i diversi interventi potrebbero arrecare ai partecipanti. Un giusto livello di stress produce stimoli 10 appropriati, fattori che facilitano l’apprendimento ed un adeguato reclutamento nella partecipazione delle persone; si tratta in quest’accezione positiva di eustress. Le metafore esperienziali devono aiutare ad uscire dalla routine, dalla monotonia formativa senza suscitare paura o livelli elevati di ansia. Le paure più frequenti durante un evento di formazione, sono relative alla perdita di immagine di fronte al gruppo a causa di eventuali fallimenti nello svolgimento del compito; contestualmente potrebbe insorgere la paura di perdere il controllo davanti ai propri colleghi e rivelare troppe cose di sé. In questo caso si verificherebbe un distress, ossia uno stress negativo che andrebbe a destabilizzare il processo di apprendimento. Le metafore devono servire per creare un’esperienza piacevole ed accattivante, non minacciosa o imposta. L’adulto apprende veramente solo quando le cose che percepisce sono viste come un miglioramento o un rafforzamento della struttura di sé. Qualora subentrasse il rischio di una minaccia, la struttura psicologica si irrigidirebbe, attivando dei meccanismi di difesa che minerebbero l’apprendimento. Nonostante il rischio di creare attività eccessivamente stressanti, un minimo livello di ansia è necessario per animare, risvegliare il senso di sfida e di superamento dell’ostacolo, un evento problematico, ma non insormontabile. Quando si progetta un intervento esperienziale, che sia indoor o outdoor, non bisogna esporre i partecipanti a rischi reali, ne fisici, ne tantomeno psicologici. Questo perché non è assolutamente ammissibile in un contesto formativo, per dei progettisti, prendersi la libertà di esporre le persone a rischi, inoltre, non tutte e persone hanno le conoscenze e le capacità per affrontare determinate attività fisiche che richiederebbero un periodo di pre training. Ciò che rende la gestione del rischio un elemento particolarmente critico in fase progettuale, è decidere se sia funzionale, o meno, all’apprendimento indurre la percezione di un rischio reale o comunicarne onestamente l’assenza. Generalmente, la prassi che si assume in fase di progettazione della metafora è quella di generare un rischio immaginario, percepito, che riesca a sfidare le paure e le ansie, senza invade e suscitare resistenze. Ciò che la metafore deve fare, è emozionare, senza stravolgere e destabilizzare le persone, deve catturare l’attenzione e a concentrazione durante l’esercizio fisico senza far temére lesioni o danni alla propria persona. Per minimizzare e presidiare meglio i rischi formativi è necessario prestare attenzione ad alcune linee guida di progettazione degli interventi esperienziali: • Definire un livello di esperienza minima o qualifica tecnica richiesta ai trainer od ai facilitatori; • Stabilire la dimensione, minima e massima, dei sottogruppi di partecipanti, per non trovarsi nella situazione di dover gestire un numero elevato di persone; • Stabilire se è richiesta un’esperienza pregressa specifica ai partecipanti, altrimenti formarli con un pre training; • Definire gli standard di sicurezza delle attrezzature; • Ottenere l’approvazione specifica, da parte della committenza, per eventuali attività con rischio percepito. 2.5 La natura e la sequenza dei compiti In molti casi, è importante per il raggiungimento degli obiettivi formativi che ci sia un elemento di novità relativo ai compiti ed al contesto ambientale. La novità attrae la percezione, l’attenzione e la concentrazione individuale, sconvolgendo la ripetitività della struttura mentale delle persone indicendole al pensiero laterale. Analizzare le attività ed i processi aziendali, quando si affronta progettualmente questo tema, è fondamentale per trarre importanti spunti di riflessione per meglio definire la proposta formativa. 11 Per quanto riguarda la natura delle attività, ad esempio, proporre in forma metaforica un’attività familiare in un ambiente noto, può comportare il rischio di riprodurre le dinamiche e gli atteggiamenti esistenti, contribuendo al loro consolidamento. Diversamente, invece, proponendo una situazione nuova, con attività apparentemente dissimili e metaforicamente allineate alla cultura ed ai processi aziendali, consente una sfida più efficace alla mentalità esistente. L’elemento di novità deve avere anche altre caratteristiche per essere efficace; la dimensione dell’avventura, ad esempio, esprime un ulteriore criterio di progettazione. Questo elemento porta con se il giusto grado di stress, di ingaggio emotivo e di ansia da prestazione che facilita e rinforza il processo di apprendimento. Un altro elemento di progettazione delle attività riguarda il loro grado di complessità, la difficoltà di svolgimento. Richiamando il concetto dell’isomorfismo delle attività formative ai contesti aziendali, la complessità del compito deve essere progettata per riflettere le strutture manageriali e le modalità di comunicazione che contraddistinguono l’organizzazione. Fondamentale è creare un bilanciamento tra le capacità possedute dai discenti e la difficoltà delle task presentate dalla metafora esperienziale. Questo è un bilanciamento che deve essere trovato necessariamente dal progettista di formazione, in quanto, le attività troppo complesse o per le quali non si posseggono le competenze necessarie, risultano essere solo demotivanti e non promuovono lo sviluppo personale. Ai gradi di complessità delle attività si vincola anche la sequenza delle stesso; all’inizio dell’esperienza saranno, infatti, proposti compiti più semplici per poi arrivare a problemi di maggior complessità con il progredire dell’intervento formativo. Poiché l’apprendimento avviene con la pratica, rivedendo gli errori commessi, è importante che la sequenza delle attività progettate, oltre ad avere complessità crescente, lavori a rinforzo delle capacità che si vogliono stimolare ed allenare. A questo punto dell’analisi e dello studio delle attività metaforiche, è possibile introdurre ulteriori dimensioni classificatorie. È possibile, infatti, distinguere i compiti in virtù del grado di “strutturazione” con cui vengono presentati. La formazione esperienziale è particolarmente efficace per problemi poco strutturati, aperti a molteplici soluzioni e metodi risolutivi, con restituzione di un feedback approfondito. La destrutturazione di un problema riproduce metaforicamente la non familiarità del compito, una situazione di incertezza ambientale e la necessità di una efficace comunicazione di gruppo per poterlo risolvere. La progettazione di interventi aperti, consente di osservare e raggiungere una molteplicità di obiettivi di apprendimento. Nel momento in cui i formatori e di trainer cogliessero, nell’evolversi dell’esperienza outdoor, uno o più spunti per rilanciare un dibattito volto ad indagare aspetti comportamentali non previsti in fase progettuale, hanno la possibilità di indirizzare, durante i briefing intermedi e nel debriefing finale, la rielaborazione verso ciò che la platea dei discenti sente come un argomento rilevante. Un maggior approfondimento all’argomento è offerto dall’accostamento del grado di destrutturazione del compito con il grado di intensità del feedback; questo sistema offre un importante spunto di riflessione sulle potenzialità degli interventi esperienziali. Un intervento esperienziale con compiti destrutturati e feedback a bassa intensità rischia di non avere nessuna valenza formativa, un intervento di questo tipo ha un approccio principalmente ludico e resta solo un contesto per socializzare. La progettazione di attività con compiti strutturati, con un numero di soluzioni limitato, focalizzati su alcune competenze specifiche, ha risvolti differenti in funzione dell’intensità del feedback. 12 2.6 Briefing, Playing e Processi di Debriefing Ogni intervento esperienziale che utilizza la metodologia metaforica richiede una attenta progettazione delle fasi di briefing, il momento che precede l’intervento, il playing, ossia lo svolgimento dei compiti ed infine il debriefing, ossia la rielaborazione finale. Briefing: è il momento in cui le persone sono istruite e preparate allo svolgimento dell’attività. Coerentemente con quanto teorizzato dal modello andragogico, il briefing serve ad inquadrare ed a spiegare il senso delle attività rispetto agli obiettivi di apprendimento. Durante questo incontro sono comunicati gli obiettivi delle attività, le regole del gioco e della sicurezza e le eventuali informazioni da conoscere prima di intraprendere gli esercizi. Il ruolo del formatore, in questo momento, è quello di fornire le istruzioni dell’attività, renderla chiara e fruibile da tutti i partecipanti. Durante il briefing possono essere anche attivati dei piccoli esercizi (small techniques), per facilitare la socializzazione ed iniziare a preparare i discenti a quello che sarà il tipo di “linguaggio” utilizzato dalla formazione esperienziale metaforica. Playing: immersi nell’ambiente che è stato creato e preparato per la formazione, i discenti partecipano, realizzano e vivono l’esperienza. In questa fase il ruolo del trainer o del formatore è quello del facilitatore che, supportato eventualmente da uno psicologo, assiste allo svolgimento dell’intervento. Il trainer deve raccogliere osservazioni dirette sulle dinamiche interpersonali, sugli atteggiamenti e sui ruoli emergenti nel gruppo. La raccolta delle osservazioni può avvenire tramite apposite griglie di analisi sviluppate dai formatori o tramite videoriprese o fotografie. La corretta rilevazione delle osservazioni costituirà la base sulla quale incentrare il debriefing finale. Il ruolo del trainer in questa fase è anche quello di supervisore delle sicurezza durante le attività; ha ovviamente anche il potere e la responsabilità di intervenire di persona ed interrompere l’esercitazione in caso di rischi gravi o pericoli per i partecipanti. Debriefing: è il momento in cui si ripercorre il processo per evidenziare le dinamiche interpersonali, i momenti critici, gli errori e le inefficienze nel coordinamento dei diversi operatori; tutto per rielaborare le azioni in punti di apprendimento, opportunità di sviluppo personale e di gruppo. Il questa fase il ruolo del trainer è quello del facilitatore che supporta i discenti al fine di permettergli di riflettere sull’esperienza, sollecitare il confronto delle sensazioni e delle opinioni, dirigere e condurre alla conclusione gli eventuali conflitti. Il trainer deve condurre la discussione in modo da far emergere ai discenti ciò che è stato osservato durante le esercitazioni. Facendo riferimento alle osservazioni dirette raccolte durante il playing, il trainer deve restituire il feedback sulle osservazioni, facendolo emergere in modo maieutico; sono i discenti che esprimono un feedback su loro stessi, il trainer li accompagna in questo processo di estrazione. Lo stile dell’osservazione e del debriefing dovrebbe essere neutro, avalutativo, orientato all’ascolto ed al rispecchiamento delle dinamiche osservate. È opportuno dedicare un approfondimento a quelle che sono le tecniche e le dinamiche che subentrano durante una sessione di debriefing al termine di un intervento esperienziale. 2.7 Metodologie e tecniche di debriefing Il debriefing è il momento qualificante e sostanziale di ogni intervento esperienziale metaforico; come le altre fasi, dovrebbe essere ben progettato e gestito. È in questo momento che il messaggio, la parabola metaforica, trova riscontro esplicito con la realtà professionale e personale dei discenti che hanno preso parte all’intervento. 13 Non esiste una letteratura consolidata sulle metodologie da applicare od alle quali ispirarsi per progettare e condurre un incontro di debriefing. Si impara a condurli osservando e collaborando al fianco di formatori esperiti. Tuttavia l’improvvisazione, anche in questo contesto, non è sempre una soluzione da poter vagliare troppo alla leggera, in quanto, un approccio troppo empirico lascia spazio ad improvvisazioni di ruolo non funzionali all’apprendimento. Per i motivi appena esposti, bisogna far riferimento ad alcuni criteri di buon senso che partono dalle finalità per cui sono comparsi gli incontri di debriefing. Le prime esperienze si fanno risalire a quei momenti, al termine delle campagne militari, in cui i partecipanti erano convocati in una riunione al termine della missione per descrivere e dar conto delle attività, con lo scopo di valutare le responsabilità di ognuno e di stabilire nuove strategie per il futuro. Le finalità del debriefing si possono così riassumere: • Raccogliere e trasmettere informazioni; • Verificare le metodologie usate durante le attività; • Processare ed eliminare le conseguenze negative delle dinamiche interpersonali; • Restituire il feedback ai partecipanti; • Indurre i partecipanti a sperimentare le metodologie apprese. Il debriefing deve essere progettato tenendo presente il format, le formulazione delle domande ed allocando il giusto tempo alle interazioni con i partecipanti. Relativamente al format del debriefing si può decidere di: • Discutere le situazioni lavorative in cui è possibile applicare ciò che si è appreso. Durante la rielaborazione dovranno emergere limiti e agevolazioni che si prevede saranno incontrati nell’ambiente reale organizzativo; • Discutere in modo collaborativo, neutrale ed avalutativo sulla base delle domande poste dal facilitatore; • Elaborare e discutere gli approcci alternativi allo svolgimento delle attività, valutandone vantaggi e svantaggi; • Scrivere in un giornale o in un diario collettivo le esperienze vissute, le teorie di riferimento e le applicazioni aziendali; Per quanto riguarda la giusta formulazione e successione delle domande, occorre innanzitutto conoscere le caratteristiche delle attività; la sequenza delle domande dipende molto dalla tipologia di metafora utilizzata. In secondo luogo, le domande possono essere orientate e collegate ai quattro stadi dell’apprendimento teorizzati e sintetizzati da Kolb; ad ogni stadio sarà possibile associare diverse tipologie di domande. Nella fase dell’esperienza concreta, le domande saranno volte ad indagare ed a far descrivere l’esperienza vissuta, nella fase dell’osservazione riflessiva, le domande, invece, indagheranno l’osservazione dei comportamenti altrui da parte dei singoli discenti, l’osservazione delle dinamiche di azione/reazione ed il confronto avalutativo delle riflessione. Nella terza fase del modello di Kolb, la concettualizzazione astratta, il formatore/facilitatore orienterà la discussione al fine di permettere ai discenti di sviluppare ed astrarre dall’esperienza, un sistema di regole generalizzabili ed applicabili alle situazioni lavorative. Nell’ultima fase, la sperimentazione attiva, il facilitatore segue i discenti nel mettere in pratica i contenuti dell’apprendimento nelle esercitazioni successive. La variabile tempo, per quanto riguarda i debriefing, non può essere prevista e gestita con eccessiva rigidità da parte dei progettisti. La pratica e l’esperienza dei formatori aiuta a prevedere un tempo adeguato alle necessità delle singole esperienze; ciò che deve essere 14 tenuto da conto quando si definisce il tempo da destinare alla rielaborazione è sicuramente la complessità dell’esercizio, l’intensità dell’attività, la risposta ed il coinvolgimento dei partecipanti ed infine il tipo ed il format di debriefing scelto. Illustrati gli elementi che caratterizzano il debriefing, è opportuno individuare quei criteri di facilitazione che rendono efficace e valido il processo di rielaborazione. In primo luogo, dovrebbero emergere dalla discussione, le analogie e le similitudini poste alla base della costruzione metaforica. È a partire da ciò, che subentra l’abilità del facilitatore nell’avviare il processo di trasferimento delle esperienze formative alle applicazioni lavorative. Come anticipato in apertura di paragrafo, non esiste una letteratura di riferimento che possa supportare il formatore in questa attività maieutica. La forza degli interventi formativi esperienziali, quindi anche quelli realizzati con metodologie outdoor, è che il discente, a seguito dell’esperienza, coglie autonomamente quello che è il messaggio formativo alla base dell’attività. La funzione del formatore è quella del facilitatore, colui che, con domande mirate, guida il discente fino a far emergere dal profondo del vissuto personale i contenuti dell’apprendimento che in fase progettuale sono stati posti alla base della metafora utilizzata. È nella fase di debriefing che si nota come la metodologia esperienziale metaforica sembra essere costruita intorno a quelli che sono i dettami del modello andragogico. In secondo luogo, il debriefing dovrebbe avviare il processo di restituzione del feedback sulle dinamiche osservate. Supportato da sistemi di raccolta ed analisi dei dati, il feedback indica al gruppo le aree di sviluppo sui principali processi di decisione, comunicazione, collaborazione, pianificazione delle attività e brain storming. Esiste una serie di indicazioni progettuali e gestionali che potenzia l’uso del debriefing nelle attività esperienziali: • Ogni attività proposta dovrebbe essere conclusa con una sessione di debriefing; • Il progredire della complessità delle attività dovrebbe essere seguito da debriefing sempre più approfonditi, puntuali e personalizzati; • Al termine di ogni attività dovrebbe emergere dalla rielaborazione il modello teorico cognitivo sottostante alla progettazione dell’intervento; • Al procedere delle attività e dei debriefing, il facilitatore dovrebbe stimolare una capacità di auto riflessione ed autoapprendimento nel gruppo, limitando il suo intervento alle sessioni collettive; • La rielaborazione è opportuno che sia svolta in momenti della giornata in cui i discenti non siano stanchi o demotivati; • La riflessione e la revisione dell’esperienza è maggiormente efficace se si focalizza sul processo di gruppo, sui comportamenti funzionali alla risoluzione dei problemi e non direttamente sul miglioramento delle prestazioni. Riassumendo, nella gestione del debriefing, lo stile anagogico è preferibile a quello pedagogico. La riflessione sull’esperienza è maggiormente efficace se supportata da metodi strutturati di raccolta delle riflessioni individuali e di gruppo. Tra i diversi metodi possibili ci sono i questionari, le griglie di osservazione ed i diari di bordo. La difficoltà che spesso si riscontra quando si realizzano interventi formativi esperienziali, è che, ciò che viene appreso, non trova applicazione nel contesto aziendale; questo perché la committenza o comunque la dirigenza, non credendo al valore reale degli interventi svolti con questa metodologia, non prende parte alla progettazione del piano di sviluppo del personale del quel l’intervento esperienziale dovrebbe far parte. L’atmosfera avalutativa e neutrale in cui si dovrebbe svolgere il debriefing è il momento ideale in cui tentare di superare quegli ostacoli che per cultura aziendale e nazionale, o per 15 attitudine, limitano, ad esempio, la condivisione delle informazioni, la collaborazione tra colleghi, la condivisione delle risorse e degli obiettivi. 3 La metodologia Outdoor Seguono alcune fra le diverse modalità con cui può essere progettata ed erogata la formazione esperienziale outdoor. 3.1 Outdoor Small Techniques – OST Con questa dicitura si intendono tutte quelle esercitazioni brevi, di 15‐30 minuti circa, condotte all’aperto, con l’obiettivo di favorire la consapevolezza e lo sviluppo di determinati comportamenti organizzativi. I principali vantaggi dell’OST sono: • l’assenza di attrezzature complesse per l’erogazione; • il basso livello di organizzazione e preparazione; • l’alta flessibilità. L’assenza di attrezzature complesse da gestire fa si che queste attività possano essere erogate dai trainer senza la supervisione di tecnici. Lo svolgimento dell’esercizio è seguito dalla rielaborazione di quanto accaduto, questi momenti sono seguiti e gestiti dai formatori che hanno assistito all’esercitazione; può capitare di dover “congelare” momentaneamente l’esercizio in corso per svolgere un breve momento di riflessione al fine di cogliere a pieno il potenziale formativo presente nell’attività. Data la semplicità dello strumento OST, la struttura semplice e le regole precise che le caratterizzano, i comportamenti che i partecipanti metto in atto spesso sono facilmente prevedibili entro un limite di possibilità; questo, facilità sicuramente l’osservazione, ma allo stesso tempo limita gli apprendimenti possibili. Sono talvolta ricompresi nelle OST anche quegli esercizi definiti energizers, possono essere usati dai trainer in contesti di outdoor, anche se non hanno obiettivi didattici specifici. Queste attività hanno lo scopo di creare l’atmosfera giusta tra i presenti e farli socializzare. Innegabile è la loro applicazione efficace in ambienti di apprendimento a patto però che non diventino l’elemento caratteristico della formazione. Le OST rappresentano il tipo di formazione outdoor più diffuso, questo è dovuto: • al basso impatto organizzativo ed economico; • alla facilità di preparazione e conduzione; • alla flessibilità organizzativa ed alla possibilità in caso di mal tempo di traslare le attività in indoor; • la facilità di osservazione (i trainer sanno cosa e dove guardare durante l’esercitazione); • la possibilità di inserire attività di OST all’interno di fiere, congressi o momenti formativi tradizionali. Gli obiettivi didattici che possono essere perseguiti attraverso questa semplice tecnica sono: • Lavoro di gruppo; • Processi comunicativi; • Relazioni interpersonali; • Problem solving; • Sviluppo dell’attenzione verso l’altro. 16 • Leadership; • Dare/ricevere fiducia; • Membership. Ciò che rende possibile ed efficace l’utilizzo di questa metodologia in un contesto finalizzato all’apprendimento è il debriefing. In questa fase si gioca un momento cruciale per l’apprendimento, in quanto, è qui che avviene “la ristrutturazione cognitiva dell’agire ludico”. Alcuni esempi di OST Il tuffo negli altri: a turno i partecipanti sono invitati a salire su un tavolo o una pedana a uno o due metri d’altezza e dando le spalle al gruppo si lasciano cadere nelle braccia dei compagni disposti a formare un tappeto di mani per accoglierlo. Prima di questo momento il gruppo viene preparato a disporsi in modo tale da garantire accoglienza e sicurezza. Il tuffatore può essere libero o bendato. Le implicazioni più evidenti di questo esercizio sono il dare ed il ricevere fiducia, il tuffatore si lascia cadere di spalle tra le braccia di persone con cui ha probabilmente solo rapporti professionali; c’è un affidamento totale del tuffatore alle persone che lo accolgono. Di converso il gruppo inizia a costituirsi in quanto sente di ricevere fiducia dal parte di chi si lancia. Oltre a questa prima implicazione s’inizia a creare attenzione verso l’atro e si abbattono le barriere che bloccano le relazioni interpersonali, in quanto, il contatto fisico tra le persone è forte e d’impatto; probabilmente i partecipanti all’attività non si erano scambiati più di una stretta di mano. La ragnatela: con delle corde si forma una ragnatela verticale tra due alberi o due pali ben piantati nel terreno. Il gruppo è disposto tutto sullo stesso lato del reticolo, ha l’obiettivo di passare dall’altro lato. Si dice al gruppo che le corde della ragnatela sono percorse dall’elettricità per cui è impossibile toccarle; qualora ciò accadesse, il gruppo riceverebbe una penalità. Ogni volta che una persona passa per un passaggio della ragnatela, questo diventa interdetto, ossia non può più essere usato per l’attraversamento. La squadra dovrà quindi decidere e gestire come, e in che sequenza, far attraversare la rete ai diversi membri del team. Ad esempio, dato che le persone più pesanti saranno difficili da sorreggere durante l’attraversamento, il team dovrà riservare loro i passaggi più in basso; lo stesso, dovranno prevedere di lasciare un passaggio semplice per l’ultimo che passerà la rete. Inoltre, durante l’attraversata dovranno bilanciare la squadra in modo da avere una parte del gruppo da entrambi i lati del muro di corde in modo, ad esempio da poter far passare i più leggeri per i passaggi più alti. Questa semplice attività insinua immediatamente il bisogno del lavoro in gruppo, la risoluzione dei problemi, evidenzia l’importanza di una comunicazione efficace (proprio perché il team deve trovare una strategia condivisa per attraversare la ragnatela), e promuove il superamento delle barriere interpersonali grazie alla forte interazione fisica, di contatto, tra i partecipanti. La figura cieca: si fanno disporre i partecipanti in cerchio e vi si mette nel mezzo una corda; il gruppo ha il compito di organizzarsi in modo da disporsi lungo la corda secondo una qualsiasi forma geometrica. I partecipanti devono inizialmente decidere la figura che vogliono rappresentare, poi prima di iniziare, vengono tutti bendati. Quando pensano di aver completato la figura possono posare la corda per terra, si tolgono le bende e guardano il risultato del loro lavoro. L’attività pone l’accento sull’importanza del lavoro di team, sulla comunicazione efficace e sulla capacità di organizzare e gestire le operazioni; si sviluppa inoltre un forte senso di membership. 17 3.2 Campi Outdoor Preimpostati COP I Capi Preimpostati possono raggruppare alcuni diversi tipi di esercitazioni e, come le OST, hanno l’obiettivo di stimolare e sviluppare determinati comportamenti organizzativi. Le differenze che sussistono tra i Campi e le Small Techniques sono che, le attività svolte nei primi hanno una durata ben superiore ai secondi, in genere 30‐60 minuti, inoltre i campi hanno bisogno di attrezzature complesse e strumentazioni di supporto che devono essere necessariamente predisposte in anticipo. Per questo motivo spesso sono svolti in campi attrezzati, dove le strumentazioni e le attrezzature sono già disponibili. Sono attività in genere più sfidanti rispetto alle OST: introducono o rafforzano, rispetto a queste ultime, il concetto che per apprendere occorre uscire dalla sicurezza delle proprie abitudini consolidate, la “zona di confort” ed entrare in un terreno nuovo o “challenge zone”. Il limite più evidente di questa metodologia specifica di outdoor, è la forte standardizzazione, la quale, se da un lato riduce la personalizzazione limitando la gamma degli obiettivi didattici perseguibili, di converso permette un’elevata replicabilità. Lo svolgimento di ogni esercizio è seguito da uno spazio dedicato alla riflessione su quanto accaduto ed alla rielaborazione delle emozioni che, dato il tipo di esercitazioni, spesso possono anche essere forti; le riflessioni sono seguite dai formatori che hanno assistito all’esercizio. Gli obiettivi didattici che possono essere perseguiti utilizzando le esercitazioni in COP sono riconducibili ai temi di: • Lavoro di gruppo; • Processi comunicativi; • Relazioni interpersonali; • Problem solving; • Sviluppo dell’attenzione verso l’altro. • Leadership; • Dare/ricevere fiducia; • Membership; • Incoraggiare e sostenere l’altro; • Fiducia in se stessi, • Andare oltre i limiti apparenti; • Raccogliere/gestire le sfide; • Consapevolezza di poter fare di più del previsto. Alcuni esempi di COP Convergenti basse: i partecipanti sono divisi in coppie, ogni coppia si arrampica su due pali e parte camminando in equilibrio su una corda tesa. Per aiutarsi a rimanere in equilibrio possono ancorarsi ad un’altra corda tesa come corrimano. Le funi legate ai due pali dai quali partono i due partecipanti, sono posizionate a circa due metri d’altezza e costituiscono le due braccia di una grande “Y”. Dopo aver percorso in equilibrio un tratto della fune da soli, si incontrano al centro della “Y”. Qui devono decidere come organizzarsi per percorrere il tratto di strada che manca, rimanendo tutti e due in equilibrio fino alla piattaforma di arrivo. Scoprono così come riusciranno a muoversi in equilibrio reciproco. La sicurezza è garantita da una corda sospesa alla quale sono ancorate le imbragature. Convergenti alte: l’esercizio è lo stesso delle convergenti basse, soltanto che in questa modalità le corde sono fissate ad un’altezza di circa sette metri facendo apparire tutto più complesso. 18 Muro: i partecipanti sono divisi in piccoli gruppi da tre o quattro persone, ogni gruppo, a turno, deve superare un muro di legno appositamente costruito. L’ostacolo può essere alto dai due, a dieci metri ed essere ad inclinazione regolabile così da rendere più o meno difficile la scalata. Il muro è sufficientemente largo da permettere una scalata in parallelo di due persone. Se il muro è troppo alto rispetto alla statura dei partecipanti, questi possono aiutarsi con degli appositi appigli presenti sulla parete. Una variante alla scalate prevede che la coppia che approccia all’ostacolo sia legata così da doversi coordinare continuamente per ottimizzare la scelta degli appigli presenti sulla parete. Durante l’esercizio sarà evidente ai partecipanti che nelle loro mani ci sono gli strumenti per aiutarsi o ostacolarsi. Spetta a loro decidere come comportarsi. Il palo: è un’esercitazione utile per far fare l’esperienza di come un gruppo può favorire l’espansione delle proprie capacità individuali ed il superamento dei propri limiti. L’esercizio consiste nell’arrampicarsi a turno su di un palo alto circa dieci metri, giunti sulla cima, salgono su una piccola piattaforma presente sulla sommità del palo. A questo punto devono lanciarsi giù, attaccati a delle corde che sono rette dei trainer e dagli altri partecipanti. La sicurezza è garantita dall’imbrago e dal casco. 3.3 Outdoor Training OT Per Outdoor Training si intendono quei programmi di formazione, professionale o personale, che si articolano in percorsi strutturati di esperienze coinvolgenti, nelle quali le persone sono completamente immerse. Queste esperienze utilizzano il supporto di situazioni reali, concrete ed emotivamente dense, in sessioni prolungate nella natura e mettono i partecipanti di fronte a problemi nuovi e complessi per sviluppare determinate competenze attraverso la capacità di apprendere dall’esperienza. Le esperienze di OT sono più lunghe e coinvolgenti rispetto alle attività di small techniques o di campi preimpostati. Dopo lo svolgimento di ogni attività i partecipanti confrontano i propri vissuti fra loro e con i feedback forniti dai trainer, che ha vissuto e osservato l’esperienza. Le rielaborazioni sono più lunghe e complesse di quelle presentate nelle pagine precedenti, durano mediamene anche due ore; sono dei veri e propri debriefing piuttosto che delle rielaborazioni. I conduttori di questi programmi sono dei formatori esperti in comportamento organizzativo che generalmente provengono dalla formazione tradizionale in aula ed hanno cercato strumenti innovativi per poter incidere meglio sul comportamento dei discenti; per questi motivi hanno creato ed attivato una rete di relazioni con tecnici di altri settori, tradizionalmente molto lontani dalla formazione. Gli obiettivi didattici che possono essere perseguiti con attività ed esperienze di OT sono principalmente: • Attivazione di nuove energie individuali e di gruppo; • Sviluppo dell’iniziativa, dell’autonomia e della fiducia in se stessi; • Aumento della fiducia nel gruppo, della solidarietà e della collaborazione; • Sviluppo delle competenze di leadership e del senso di responsabilità; • Scoperta o rafforzo dell’importanza dell’apporto degli altri, del loro feedback, della loro cooperazione, della coesione di gruppo; • Sviluppo del coraggio di affrontare cambiamenti, situazioni nuove e poco conosciute; • Attivazione di un processo di riflessione e vaglio delle proprie esperienze e dei risultati raggiunti; • Accrescimento dell’autoconsapevolezza e delle capacità di leggere il proprio comportamento; 19 • Sviluppo delle capacità di ascolto, del senso di osservazione e della curiosità; • Miglioramento delle competenza di comunicazione e relazionali; • Aumento della tolleranza, della comprensione e della capacità di gestione della diversità; • Sviluppo dell’intelligenza emotiva. Programma di un percorso di OT Un programma do outdoor training dura, in genere, dai due a cinque giorni, la partecipazione è full time e spesso sono usate anche le ore serali per continuare a lavorare al fine di mantenere la sensazione di essere immersi un contesto totalizzante e non in un’esperienza caratterizzata da eventi spot, saltuari. Un programma minimo, tipico, di un percorso di OT dura tre giorni, per un totale di circa 24 ore di lavoro ed è composto da: • Una sessione d’apertura; • Tre o quattro esperienze di outdoor, ognuna composta dalle sessioni di azione rielaborazione e modelli mentali; • Una sessione di chiusura. Il programma inizia generalmente la sera del primo giorno dopo la cena d’accoglienza con una sessione plenaria d‘apertura in cui in genere sono illustrate e condivise le finalità del programma con i relativi obiettivi didattici; è inoltre esposta ed illustrata la metodologia di OT al fine che i discenti ne comprendano l’utilità. Si presentano lo staff di conduzione e gli aspetti logistici; a questo punto è possibile richiedere le aspettative dei partecipanti, non sono cosa si aspettano dall’esperienza, ma anche sensazioni, pensieri e perplessità. Nella sessione d’apertura si formano i gruppi e si condivide la modalità di partecipazione alle esperienze outdoor, le regole, su cosa le esperienze andranno a lavorare e su cosa invece no; si illustra lo strumento del debriefing in termini di valore, modalità ed uso. La sessione si conclude con le domande dei partecipanti. Se c’è tempo e si ritiene utile, è possibile eseguire una o più small techniques per permettere la conoscenza fra i membri, attivare la reciproca fiducia ed avviare processi di autovalutazione. Il secondo giorno si svolgono le esperienze di OT secondo la modalità programmata, generalmente si prevede un compito fisico che prevede il superamento di qualche ostacolo o di qualche difficoltà in un ambiente naturale sufficientemente isolato. Ogni esperienza prevede una parte di rielaborazione ed una parte di estrazione dei modelli mentali. La sequenza delle esperienze viene scelta seguendo una progressione di difficoltà fisico/emotivo/cognitivo e secondo gli obiettivi didattici da raggiungere. Le esperienze sono svolte in gruppi da 6‐10 persone condotta da un trainer che vive con loro l’esperienza e ne conduce la rielaborazione. L’esperienza si chiude con una plenaria di chiusura nella quale si procede con una rielaborazione globale del percorso effettuato. In questa fase avviene l’incrocio tra gli obiettivi e le aspettative espresse nella plenaria d’apertura e quanto si è verificati durante i diversi momenti dell’esperienza di OT. Compito dei trainer è anche quello di concludere il lavoro facendo emergere dai partecipanti, punti di forza ed aree di miglioramento, sia per ciò che riguarda l’esperienza formativa, sia l’organizzazione, la logistica, e le soluzioni adottate dalla committenza in accordo con trainer e formatori. Alla chiusura dei lavori sono comunicati gli altri incontri eventualmente previsti per continuare a sviluppare l’attività formativa. Le esperienze di OT 20 Il punto centrale di ogni percorso di OT sono le esperienze svolte, si parla infatti di esperienze e non di esercitazioni o esercizi come nelle OST o nei COP; questo per sottolineare il fatto che le attività non sono giochi, ma esperienze di vita “normale”. Quello che le esperienze di OT sono in grado di fare, è abbattere “l’effetto bordo”. Con questo termine si intende il distacco consapevole tra il soggetto osservatore e, ad esempio, la realtà vista attraverso lo schermo di un televisore; lo spettatore sa, più o meno consciamente, che ciò che sta vedendo è lontano, è finzione. Nelle esperienze OT, i partecipanti non incontrano nessun confine tra ciò che è la vita reale e un’attività, una prova, appositamente costruita per fini didattici. La dimensione dell’aula scompare insieme con lo spazio fuori dall’aula, quei momenti di vita reale che permettono al discente di tornare alla normalità. Perde di rilevanza il limite temporale scandito ad esempio dai coffee break, dove questo si pone come una cesura temporanea tra la formazione e la non formazione. Oltre ad un adeguato ambiente fisico, è importante, promuovere un favorevole ambiente psicologico costruendo un clima di coinvolgimento, di apertura e di fiducia tale da consentire una buona sintonia e un’efficiente comunicazione fra tutti i partecipanti. Una variabile da gestire delicatamente è il ritmo, questo deve essere intenso e ricco di stimoli, una serie continua, ma non stressante, di proposte che coinvolgano i partecipanti nell’esperienza di OT a tutti i livelli: fisico, emotivo ed intellettuale. I ruoli in gioco La realizzazione di un programma OT prevede la mobilitazione di personale spesso numeroso e fortemente eterogeneo, il quale, richiede una preparazione ed una formazione specifica adeguatamente programmata. La complessità cresce all’aumentare del numero dei partecipanti all’esperienza. Ipotizzando un progetto di OT per 150 partecipanti è possibili immaginare lo staff che sarà necessario mettere in campo per garantire la buona riuscita del servizio ed un’elevata qualità. OT Project Manager: ha la responsabilità complessiva della riuscita del programma di OT. Più è grande il progetto, maggiore sarà la dimensione dello staff necessario a gestirlo, maggiori saranno le responsabilità, quindi il potere, di questa figura. Il Project Manager gestisce i rapporti con la committenza, con lo staff di tecnici e con l’OT Operation Manager; segue globalmente lo svolgimento del programma, dedicando attenzione a tutti gli aspetti del progetto, didattica, logistica, organizzazione e percorso dei partecipanti. Outdoor Trainer: è il responsabile della conduzione delle esperienze di OT e costituisce il punto di riferimento per il gruppo che gli è stato affidato; si trova ad operare a contatto ed in collaborazione con i tecnici per garantire la sicurezza nelle esperienze che richiedono maggio presidio; riceve dal Project Manager le indicazioni e le attrezzature necessarie allo svolgimento delle attività; è il responsabile del materiale a lui consegnato. Tra gli aspetti critici relativi a questa figura professionale c’è la gestione delle relazioni con i tecnici di OT. Compito del Trainer è gestire e dividere il lavoro con i tecnici evitando il conflitto. Relativamente alla logistica dell’esperienza OT, il Trainer ha il compito di seguire la temporizzazione prevista per l’esperienza a lui affidata in modo da raccordarsi senza ritardi con i lavori degli altri gruppi. Il Trainer ha inoltre il compito di prestare la massima attenzione alle esigenze personali dei singoli partecipanti senza perdere però la prospettiva del gruppo, gestire gli imprevisti dei gruppi, ed evitare di essere distratti dalla committenza che cerca di carpire informazioni prima del termine delle attività. OT Operation Manager: ha la responsabilità di tutti gli aspetti organizzativi del programma, ha un rapporto privilegiato e continuo con il Project Manager e supporta il lavoro di tutti i trainer e del tecnici. 21 Tecnico di OT: qualora il trainer non abbia le capacità fisiche, le conoscenze, specifiche o le abilità applicative per supportare anche tecnicamente lo svolgimento delle esperienze di outdoor, diventa indispensabile la presenza di uno o più tecnici. Il tecnico è quindi responsabile della sicurezza e della progettazione dell’esperienza di cui è il gestore tecnico. Partecipanti all’OT: hanno la responsabilità della propria sicurezza e del proprio apprendimento. Operano all’interno di gruppi di 5‐10 persone con le quali interagiscono profondamente, sono chiamati a svolgere un ruolo di attori principali nell’esperienza e nelle successive rielaborazioni. Committenza. Ha la responsabilità della definizione delle finalità dell’intervento di OT e del corretto posizionamento degli obiettivi formativi da raggiungere. Stabilisce con il Project Manager il proprio livello di coinvolgimento e dei sistemi di feedback sui risultati attesi. Essendo il committente promotore delle attività formative, sarà innanzitutto sua la responsabilità in merito alla qualità del servizio reperito. 3.4 Outdoor Management Training OMT L’Outdoor Management Training rappresenta l’evoluzione naturale dell’OT, in cui si è cercato di sfruttare al massimo il potenziale di apprendimento che questa metodologia consente, innestandogli una strumentazione sofisticata delle più recenti tecniche della formazione manageriale mirata allo sviluppo delle competenze e dei comportamenti organizzativi. Questa metodologia è stata usata la prima volta nel 1996 per definire un processo formativo molto ambizioso e complesso realizzato da una multinazionale. Il progetto ebbe molto successo e da allora è stato usato per descrivere ed indicare le applicazioni evolute dell’OT. Quanto esposto sul paragrafo relativo all’OT resta perfettamente valido in merito all’OMT, soltanto che in questo caso deve essere aggiunta la complessità organizzativa ed un elevato livello di personalizzazione. Questo fa si che l’OMT diventi un vero e proprio modello per processi formativi con possibili elementi di originalità rispetto al ciclo classico di formazione tradizionale. Le fasi del processo di OMT • Preanalisi; • Progettazione; • Outdoor; • Elaborazione dei risultati; • Workshop di follow up; • Piani individuali di sviluppo. Preanalisi: la fase di preanalisi inizia con la costituzione di un Comitato di Progetto che riunisce la committenza e la consulenza. Questo team avrà il compito innanzitutto di mettere a fuoco le competenze (comportamenti target) che si vogliono sviluppare con l’intervento formativo e poi di definirle meglio attraverso l’identificazione dei relativi comportamenti sentinella. Dopo aver fissato e condiviso con l’azienda gli obiettivi precisi di apprendimento su cui si vuole lavorare, si definisce il volume della popolazione che prenderà parte all’iniziativa, e si individuano le possibili location. Progettazione: sono recepiti gli input dalla fase precedente, cioè: • I risultati dei lavori del Comitato di Progetto; • La lista delle competenze e dei comportamenti target; • Le possibili location identificate. 22 In base a questi elementi e tenendo conto del portfolio di esperienze accumulate dal formatore si sviluppa il processo di progettazione. Si tratta effettivamente di un processo, in quanto, la progettazione si costituisce di una serie di attività sequenziali che si susseguono concatenandosi. Il primo livello di progettazione riguarda l’identificazione delle possibili tecniche grezze che potrebbero permettere lo sviluppo delle competenze target e si inizia a scegliere quelle che meglio si prestano allo scopo; inevitabilmente questa valutazione si fonda sull’esperienza dei formatori progettisti. A questo punto può iniziare la progettazione specifica di ogni esperienza, mirata e centrata sugli obiettivi didattici specifici che per ogni esperienza sono stati identificati attraverso la matrice di correlazione. La progettazione delle attività segue un processo specifico e dettagliato; si comincia considerando da un lato gli obiettivi didattici da raggiungere e dall’altro la tecnica grezza individuata dai formatori come base di partenza. Questo processo è definito “vestizione” dell’esperienza e permette di calibrare il percorso formativo ad hoc per ogni cliente, realizzando un adeguato livello di personalizzazione degli obiettivi didattici raggiungibili. Durante il processo di vestizione dell’esperienza si cerca di arricchire la tecnica grezza scelta facendola diventare un’esperienza completa al fine di rendere massima la possibilità di far emergere, agire e sviluppare i comportamenti target così come concordati con il committente. La progettazione di dettaglio prosegue con la stesura della struttura completa del programma di outdoor. Qui dovranno essere definite le metafore che saranno utilizzate, la scaletta della sessione di apertura e di chiusura del programma, le modalità di selezione dei trainer in funzione delle attività da realizzare, le istruzioni da fornirgli, la temporizzazione complessiva del percorso e la scelta della location adatta. Una volta pianificato sulla carta tutto il necessario per realizzare l’attività, subentra la fase della preparazione, l’OT Operation Manager è il responsabile di questo delicato passaggio della progettazione. Dovranno essere reperiti ed stoccati tutti materiali occorrenti, tenendo conto delle specifiche tecniche e di sicurezza richieste dall’esperienza. Acquistare il materiale che non si possiede e verificare lo stato di ciò che fa parte del bagaglio di strumentazioni a disposizione; verificarne la funzionalità e la qualità. Dovrà essere svolto un sopralluogo della location prescelta per verificare che sia effettivamente compatibile con le esperienze progettate in modo da poterle adattarle anticipatamente e non trovarsi di fronte ad un imprevisto. A questo punto è possibile contattare trainer e tecnici e realizzare con loro una riunione generale, durante quest’incontro sarà effettuata una prova generale delle attività dove i trainer assumono il ruolo dei partecipanti ed i tecnici svolgono la loro funzione. Facendo esperienza diretta dell’esercizio, il trainer è in grado, di individuare eventuali situazioni di pericolo che potrebbero insorgere, di testare le capacità dei tecnici di gestire eventuali situazione complesse, di prevedere quali saranno i momenti dell’esperienza che dovranno essere osservati con maggior attenzione in previsione della rielaborazione. Prima di poter passare alla fase successiva è necessario preparare il materiale didattico che fornirà supporto ai formatori ed ai trainer durante l’outdoor. Ad esempio dovranno essere preparate le schede di valutazione, i questionari e tutto il materiale per recepire le informazioni dai partecipanti al fine di poterle poi lavorare al termine dell’esperienza. Se necessario, si calibra il programma ed il materiale sulle eventuali nuove necessità o sopravvenuti vincoli. Outdoor: la fase della realizzazione dell’esperienza corrisponde a quanto già detto relativamente all’Outdoor Training: ciò che deve essere invece approfondita, è la gestione di tutte le attività di tipo logistico, organizzativo e di animazione e conduzione dello staff. 23 Le giornate di outdoor sono caratterizzate da pochi e brevi momenti di pausa, dove non si svolge alcuna attività con i partecipanti, momenti che di riposo che però non riguardano i trainer e lo staff di supporto all’outdoor. I momenti in cui i partecipanti usufruiscono delle pause, le serate o la mattina prima dell’apertura, sono dedicati alle riunioni dello staff di conduzione. Gli incontri sono fondamentali per gestire le dinamiche complessive di tutto il gruppo, per discutere e prevedere eventuali imprevisti, per migliorare gli aspetti organizzativi e la sicurezza; iniziare a focalizzare e personalizzare le osservazioni e gli input da fornire ai singoli partecipanti. Da questa breve descrizione emerge come, caratteristica del trainer è proprio l’elevata resistenza allo stress ed una buona resistenza fisica. È necessario sottolineare che la buona riuscita di un’esperienza di OMT è fortemente influenzata, oltre che dalle dinamiche interne dei gruppi e dalle caratteristiche individuali, dalla metafora scelta per la specifica esperienza e da come questa è presentata. Caratteristica fondamentale della metafora è che per essere efficace deve essere isomorfa per i partecipanti, deve essere cioè di struttura simile alle situazioni della vita lavorativa reale, ma applicata ad un oggetto diverso. Ad esempio, un’attività di outdoor potrebbe essere richiesto ai partecipanti di decidere l’organizzazione dei ruoli dei membri dei singoli gruppi. Questa situazione è isomorfa a quella della prima riunione di un team interfunzionale che deve iniziare una nuova commessa. Elaborazione dei risultati: tutto il materiale raccolto durante lo svolgimento dell’outdoor è rielaborato e utilizzato per preparare il workshop di approfondimento e sintesi del percorso, sessione che avverrà a 1‐3 mesi di distanza. Durante la rielaborazione dei risultati, i partecipanti prendono visione del materiale video ed audio registrato durante l’esperienza al fine di ripercorrere tutte le tappe, sia logiche che emotive, della vita del gruppo per di poter estrarre una selezione di frammenti da analizzare con maggior attenzione. Questa astrazione e riduzione del materiale è necessaria per poter sottolineare le evoluzioni già raggiunte e le questioni ancora aperte. Spetta ai formatori elaborare tutti i moduli di raccolta dei feedback compilati dai trainer e dai partecipanti dopo ogni esperienza. Le informazioni dedotte dai formatori in base al materiale raccolto sono sistematizzate ed inviate ai singoli partecipanti con una lettera, riservata e personale, al fine di indurre un ulteriore spunto di riflessione sulle esperienze vissute in preparazione del workshop di follow up. Analogamente al lavoro di raccolta ed analisi dei feedback messo in atto per ogni singolo partecipante, è possibile improntare un sistema simile per quanto riguarda i gruppi ed i sottogruppi formatisi durante l’esperienza. I dati così raccolti permettono di definire un profilo caratteristico del gruppo arricchendo anche le informazioni sui singoli membri. Risulta possibile, a questo punto, conoscere quali siano stati i comportamenti più agiti, sopra la media, e quelli meno agiti, sotto la media. Sulla base di ciò, individuare le competenze più sostenute dai comportamenti, ossia i punti di forza, e quelle meno segnalate, i punti deboli, o aree di miglioramento. Saranno visibili in questo modo i comportamenti ritenuti critici. Workshop di follow up: il percorso di OMT termina con una riunione d’aula che si tiene a distanza di 1‐3 mesi dall’esperienza. Durante le sessioni di workshop viene riesaminato il materiale prodotto durante l’esperienza di outdoor, si procede con dibattiti di confronto tra i partecipanti supportando la discussione con la rivisitazione del materiale audio/video registrato durante le esercitazioni; tutto ciò ha il fine di consolidare e capitalizzare, si auspica definitivamente, gli apprendimenti ottenuti sul campo. I formatori, se lo ritengono utile, possono stimolare ulteriormente i presenti somministrando ad esempio questionari o test per indurre ulteriori riflessioni in modo da completare la riflessione sull’efficacia dei propri stili e modalità di apprendimento. 24 La rivisitazione dei filmati, la discussione a mente fredda sugli apprendimenti acquisiti, l’analisi dell’esperienza e dei feedback sui comportamenti target agiti permette di poter avviare una rielaborazione profonda su quanto verificatosi durante l’OMT. Tornare a rielaborare l’esperienza passata permette ai formatori di condurre la discussione in modo da presentare più approfonditamente le competenze ed i comportamenti target con il riflesso che questi hanno sulla vita professionale e quindi personale dei gruppi coinvolti. Il workshop serve inoltre per far emergere le difficoltà esistenti in merito all’applicazione reale dell’apprendimento e le possibilità di superamento di queste difficoltà. L’apertura del workshop avviene chiedendo ai partecipanti di far riemergere ricordi, sensazioni, emozioni, osservazioni e riflessioni sul percorso fatto nell’OMT e sul successivo ritorno in azienda. Dopo aver riattivato la memoria e le sensazioni avvertite durante l’esperienza, sono presentati e discussi approfonditamente i risultati delle rielaborazioni dei feedback, da ciò si elabora ed estrapola il profilo caratteristico del gruppo che ha preso parte all’outdoor. Partendo dai comportamenti messi in luce dal profilo, si cercano di individuare le situazioni affini alla realtà aziendale, mettendone in luce i punti di maggiore criticità. In questo modo si delinea una lista dei principali nodi su cui lavorare e delle attività necessarie per superarli. A questo punto, dopo aver lavorato sulle dinamiche emerse a livello di gruppo, ci si concentra sui singoli partecipanti; possono essere forniti, a volte, strumenti di auto posizionamento in modo da poter guidare ogni partecipante in una riflessione personale sui propri stili di apprendimento al fine di connettere i comportamenti di gruppo con quelli individuali. Da questo lavoro preliminare emerge una sintesi che può evolversi in un Piano Individuale di Sviluppo di una Competenza, con il quale il soggetto progetta un suo personale percorso di ancoraggio degli apprendimenti avvenuti e di miglioramento di alcuni propri comportamenti. Piani Individuali di Sviluppo di una Competenza: i partecipanti all’outdoor recepiscono i feedback, le osservazioni dei colleghi e dei formatori, gli input e gli strumenti aggiuntivi presentati durante le sessioni di follow up e ne traggono le basi per costituire un personale piano di sviluppo delle competenze. Per poter progettare un proprio piano di sviluppo, è necessaria una fase di diagnosi del proprio profilo al fine di individuare i propri punti di forza e le aree di miglioramento che si relazionano che le competenze target individuate dal Comitato di Progetto. Ciascun soggetto deve individuare i comportamenti target sui quali intende lavorare e definire un corrispondente piano d’azione stabilendo 1‐3 obiettivi di miglioramento, le relative azioni concrete necessarie per raggiungerli e la tempistica con la quale prevede di procedere. L’output così realizzato deve essere condiviso ed analizzato con i propri colleghi i quali assumono quasi i ruoli di consulenti, committenti, giudici e facilitatori di quest’opera di accrescimento personale. La collaborazione delle persone con le quali si condivide l’attività professionale è fondamentale perché il soggetto che intraprende un Piano di Sviluppo Individuale delle Competenze deve poter trovare nel proprio ambiente e nei propri colleghi le condizioni in cui l’apprendimento è possibile. Il contesto organizzativo sarà l’ambiente dove il discente riporterà la propria esperienza, se questo non si ritiene l’operato del soggetto utile per la persona e per l’azienda, non sarà possibile applicarlo e la formazione risulterà fallimentare. 25