Segreteria Scientifica

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INDICE
SUMMARY
Editoriale
Sistema cardiovascolare e disturbi
respiratori nel sonno
L. F. Nespoli, L. Nosetti, L. Nespoli
Obesità e sindrome delle apnee
ostruttive nel sonno (OSAS)
L. Brunetti, I. Colella, R. Tesse, G. Tedeschi, R. Micieli,
O. Amato, R. Procacci, V. Tranchino, L. Armenio
5
Volume 9, n. 34 - Giugno 2009
7
14
Disturbi comportamentali e neurocognitivi
nella sindrome delle apnee ostruttive
del bambino
S. Miano, R. Castaldo, M. Cecili, M. P. Villa
Sindromi infiammatorie da ipossia
intermittente nel sonno
M. P. Villa, M. Evangelisti, A. Urbano
in età pediatrica
J. Pagani, M.C. Paolino, A. Crescenzi, M. P. Villa
Terapia medica dei disturbi
respiratori nel sonno
L. Brunetti, G. Tedeschi, D. Rizzi, I. Colella, L. Antonazzo,
F. Fiore, V. Tranchino, C. Paglialunga, L. Calace, L. Armenio
Terapia integrata nel bambino con disturbi
respiratori notturni
M. P. Villa, F. Ianniello, A.C. Massolo
I disturbi parossistici del sonno in età evolutiva
E. Finotti, C. Boniver, O. Bruni
Polimorfismi genetici e fattori ambientali
modificabili per ridurre il rischio di SIDS
L. Nosetti, A. C. Niespolo, L. Nespoli
Corticosteroidi per la nebulizzazione:
non tutti nascono uguali
A. Kantar, L. Terracciano, A. Fiocchi, G. Rossi
Congressi
Articoli del prossimo numero
Spedizione in A.P. - 45%
art. 2 comma 20/b
legge 662/96 - N. 1047 del 12/07/2002 - Pisa
Reg.Trib. PI n. 12 del 3 giugno 2002
Direttore scientifico
Baraldi Eugenio (Padova)
Codirettori scientifici
Rusconi Franca (Firenze)
Santamaria Francesca (Napoli)
Segreteria scientifica
Carraro Silvia (Padova)
22
29
Linee Guida per la diagnosi della
sindrome delle apnee ostruttive nel sonno
Organo ufficiale della Società
Italiana per le Malattie Respiratorie
Infantili (SIMRI)
38
50
59
66
Comitato editoriale
Barbato Angelo (Padova)
Bernardi Filippo (Bologna)
Cutrera Renato (Roma)
de Benedictis Fernando Maria (Ancona)
Peroni Diego (Verona)
Rusconi Franca (Firenze)
Santamaria Francesca (Napoli)
Tripodi Salvatore (Roma)
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coord. Pajno Giovanni (Messina)
Gruppo Disturbi respiratori nel sonno
coord. Brunetti Luigia (Bari)
Gruppo Educazione
coord. Indinnimeo Luciana (Roma)
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delle Urgenze respiratorie
coord. Midulla Fabio (Roma)
Gruppo Fisiopatologia respiratoria
coord.Verini Marcello (Chieti)
Gruppo Riabilitazione respiratoria
coord.Tancredi Giancarlo (Roma)
Gruppo Il polmone suppurativo
coord. Canciani Mario (Udine)
Direttore responsabile
Baraldi Eugenio (Padova)
74
83
103
107
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XIII Convegno
della Società Italiana per
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SIMRI
15 - 17 Ottobre 2009
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l’attribuzione dei crediti di “Educazione Continua in Medicina” E.C.M.
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Editoriale
View point
Pneumologia Pediatrica 2009; 34: 5-6
Dormire o non dormire: questo è il problema!
Questo numero della rivista è dedicato ai disturbi del sonno, un
argomento non sempre ben noto, in rapida evoluzione, per il quale
è importante sensibilizzare e aggiornare le conoscenze di chi si prende cura dei bambini. Per far ciò abbiamo chiesto l’aiuto di noti esperti del settore che da anni si interessano di questa problematica.
I disturbi respiratori nel sonno sono uno spettro di alterazioni
che vanno dal russamento alla grave sindrome dell’apnea ostruttiva
(OSAS). Numerosi studi hanno dimostrato che il russamento abituale può interessare fino al 10%-25% dei bambini e il 10% di questi
può avere OSAS. I bambini obesi hanno un rischio elevato di presentare questa patologia. Numerosi dati della letteratura hanno
dimostrato che i disturbi respiratori nel sonno si possono associare
a complicanze cardiovascolari, problemi comportamentali e neurocognitivi e sono causa di un frequente ricorso alle cure del medico.
Una diagnosi precoce ed accurata è fondamentale per prevenire le
complicanze. La standardizzazione delle tecniche di monitoraggio e
l’applicazione di criteri validati per la diagnosi resta una priorità per
affrontare in maniera adeguata il trattamento che può essere farmacologico, chirurgico o di supporto ventilatorio con metodiche non
invasive nei casi più complessi.
In questo fascicolo, il gruppo dell’Università di Bari coordinato da
Luigia Brunetti ci presenta una completa revisione della sindrome
OSAS nel bambino, considerandone gli aspetti patogenetici, la relazione con l’obesità, e ci propone un aggiornato stato dell’arte sulle
terapia medica.
Il gruppo di Roma, coordinato da Maria Pia Villa ha affrontato l’aspetto della diagnosi, proponendo una revisione chiara e completa
degli esami strumentali che abbiamo a disposizione nell’iter diagnostico dei bambini con disturbi respiratori del sonno. Gli Autori propongono inoltre una interessante riflessione sulle conseguenze dell’ipossia dovuta alla sindrome OSAS sia in relazione all’insorgenza di un
quadro infiammatorio sistemico, sia per quanto riguarda le ripercussioni sugli aspetti cognitivi e comportamentali. Infine viene fatto il
punto sulle opzioni terapeutiche per la gestione integrata del bambino con OSAS.
Il gruppo di Varese ci porta un preciso aggiornamento sulle possibili complicanze cardiovascolari con possibile successiva insorgenza di
sindrome metabolica in età adulta. Luana Nosetti e colleghi propongono un interessante articolo sulla SIDS con particolare riferimento al
rapporto tra predisposizione genetica e influenza ambientale.
Elena Finotti e collaboratori discutono il problema dei disturbi
parossistici del sonno in età evolutiva, fornendo indicazioni su quali
siano i segnali che dovrebbero indurre ad un approfondimento
diagnostico.
5
Editoriale
View point
6
Infine, nella rubrica “special topics” un gruppo di ben noti esperti, coordinato da Amy Kantar, ci offre uno stato dell’arte sulle diverse modalità di erogazione dei farmaci per via inalatoria, con particolare riferimento alla terapia steroidea.
Ringrazio Luigia Brunetti per la preziosa collaborazione nel “tirar
le fila” di questo interessante fascicolo e auguro a tutti un buon
aggiornamento!
Eugenio Baraldi
e-mail: [email protected]
Pneumologia Pediatrica 2009; 34: 7-13
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Luisa Federica Nespoli1, Luana Nosetti2, Luigi Nespoli2
1U.O. Cardiologia Pediatrica e dell’età evolutiva, Policlinico “Sant’Orsola-Malpighi”, Bologna; 2Clinica
Pediatrica, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi dell’Insubria, Varese
Sistema cardiovascolare e disturbi
respiratori nel sonno
Cardiovascular system and sleep
disordered breathing
Parole chiave: disturbi respiratori nel sonno, sindrome delle apnee ostruttive nel sonno, cuore polmonare cronico, ipertensione polmonare, indice di performance miocardica
Keywords: sleep disordered breathing, obstructive sleep apnea syndrome, cor pulmonale, pulmonary hypertension, myocardial per-
formance index
Riassunto. La sindrome delle apnee ostruttive nel sonno (obstructive sleep apnea syndrome, OSAS) è caratterizzata dall’interruzione ripetitiva della ventilazione durante il sonno causata dall’ostruzione intermittente delle alte vie aeree, associata a disturbo del sonno e ad ipossia e, non costantemente, ipercapnia.
Queste ultime aumentano lo sforzo respiratorio con aumento della pressione negativa intratoracica e aumento della pressione transmurale ventricolare sinistra. Aumenta anche il ritorno venoso al ventricolo destro e la pressione arteriosa polmonare
con aumento del postcarico ventricolare destro. L’ipossia intermittente induce la produzione di radicali liberi, di molecole proinfiammatorie, e riduzione dell’ossido nitrico (NO) con predisposizione all’aterosclerosi e all’ipertensione arteriosa. Nei bambini con OSAS esiste una maggior predisposizione ad eventi cardiovascolari legati all’aumentato tono simpatico con ipertensione arteriosa e ridotta variabilità della frequenza cardiaca, disfunzione endoteliale, disfunzione sisto-diastolica ventricolare, destra
e sinistra, alterazioni proinfiammatorie e metaboliche. Il persistere dell’OSAS può portare non solo alla ipertensione polmonare e al cuore polmonare cronico, ma anche allo sviluppo di ipertensione arteriosa sistemica e alla sindrome metabolica. Se
l’OSAS viene riconosciuta per tempo e trattata tempestivamente con la adeno-tonsillectomia (risolutiva nei tre quarti dei casi),
le alterazioni a carico del cuore regrediscono nell’arco di alcuni mesi. È pertanto necessario aumentare la consapevolezza dei
pediatri riguardo a queste patologie, spesso misconosciute dai genitori stessi dei bambini.
Accettato per la pubblicazione il 13 maggio 2009.
Corrispondenza: Dott.ssa Luisa Federica Nespoli, U.O. Cardiologia pediatrica e dell’età evolutiva.
Policlinico “Sant’Orsola-Malpighi”, Bologna; e-mail: [email protected]
Introduzione
Russamento, sindrome delle aumentate resistenze
respiratorie (upper airway resistance syndrome,
UARS), e (la manifestazione più grave) sindrome
dell’apnea ostruttiva nel sonno (OSAS), costituiscono lo spettro dei disturbi respiratori nel sonno
(DRS) del bambino.
Il russamento primario o abituale, presente per la
maggior parte delle ore di sonno del bambino e per
3-5 giorni alla settimana, è un rumore a varie tonalità prodotto durante il sonno dalle vibrazioni dell’ugola e del palato molle, deriva da una ostruzione parziale delle alte vie aeree. La prevalenza è del 18%-
20% dei bambini fino ai 2 anni di età, del 7%-13%
dei bambini fra 2 e 8 anni e 3%-5% dei bambini più
grandi (1) (presente in circa il 12% in un gruppo di
604 bambini di età compresa fra 3 e 6 anni da noi
esaminati) (2). Non si associa a caduta di saturazione dell’ossigeno nel sangue (SpO2) o ipercapnia. Un
bambino con OSAS nella grande maggioranza dei
casi russa. Questo fenomeno può associarsi a sintomi diurni e a scarse prestazioni scolastiche (3).
L’American Thoracic Society definì nel 1996 l’OSAS
come “disturbo del respiro durante il sonno caratterizzato da prolungata parziale ostruzione delle
8
Nespoli, et al.
prime vie aeree e/o da una ostruzione completa
intermittente (apnea ostruttiva) che compromette
la normale ventilazione durante il sonno e i normali
ritmi del sonno” (4). Questi episodi di totale o parziale ostruzione al flusso aereo portano di regola a
caduta della SpO2 ed eventualmente ad ipercapnia
e possono causare risvegli parziali o microrisvegli
(microarousal). L’OSAS è egualmente rappresentata nei 2 sessi, ha una prevalenza 0,7%-10,3% nei
bambini senza altre patologie associate (5).
Presenta due picchi di incidenza il primo nell’età
del gioco e il secondo in quella adolescenziale.
Nel 1965 Menashe e collaboratori descrissero per
la prima volta due bambini con cuore polmonare e
ipoventilazione cronica dovuta a gravissima ostruzione delle vie aeree da ipertrofia adeno-tonsillare
(6). L’ipertensione polmonare e il cuore polmonare sono state riportate come le più gravi sequele
cardiologiche dell’OSAS (7). La genesi delle complicanze cardiache è multifattoriale (Figura 1).
L’ipossia ed ipercapnia associate all’apnea, causano
un aumento dello sforzo respiratorio inefficace a
glottide chiusa, con conseguente creazione di
aumentata pressione negativa intratoracica, ed
aumento della pressione transmurale ventricolare
sinistra (post-carico), potente stimolo allo sviluppo
di ipertrofia cardiaca.
La pressione intratoracica negativa aumenta il
ritorno venoso, incrementando il precarico ventricolare destro, mentre l’ipossia causa vasocostrizione delle arterie polmonari, aumentando il postcarico ventricolare destro; come conseguenza si ha
uno spostamento del setto interventricolare verso
sinistra, con compressione del ventricolo sinistro e
ridotta gittata sistolica.
La presenza di episodi di ipossia-ipercapnia
incrementa il tono simpatico, con vasocostrizione periferica, cui contribuisce inoltre l’aumento
del tono simpatico al risveglio al termine dell’apnea. Questi effetti acuti possono persistere
durante il giorno, determinando un aumento
della pressione arteriosa sistemica ed una ridotta variabilità della frequenza cardiaca vagomediata (Figura 1) (8-10).
L’ipossia intermittente può indurre produzione di
radicali liberi dell’ossigeno, incremento delle
molecole infiammatorie, riduzione della produzione di ossido nitrico con conseguente riduzione della vasodilatazione endotelio-mediata, con
predisposizione all’aterosclerosi ed all’ipertensione arteriosa.
È stata inoltre osservata una maggiore aggregabilità piastrinica con ridotta capacità fibrinolitica nei
pazienti con OSAS, con aumentata trombofilia.
Ipossemia
Riossigenazione
Pressione intratoracica
OSAS
Ipercapnia
Privazione del sonno
Attivazione simpatica
Alterata regolazione metabolica
Ingrossamento dell’arteria sinistra
Arousal
Disfunzione endoteliale
Meccanismi di
malattia
Infiammazione sistemica
Ipercoagulazione
Sistemica
Polmonare
Ipertensione
Scompenso cardiaco
Malattia renale
Malattie CV associate
Aritmia
Ictus
Infarto miocardico
Morte cardiaca improvvisa
Figura 1 Riassunto schematico delle componenti fisiopatologiche dell’OSAS, dei meccanismi di attivazione della
malattia cardiovascolare e del la successive evoluzione della malattia cardiovascolare ormai iniziata. Modificata da (10).
Sistema cardiovascolare e disturbi respiratori nel sonno
In bambini con OSAS, come negli adulti, è stata
dimostrata una maggiore predisposizione ad eventi cardiovascolari.
I principali effetti negativi (11, 12) delle apnee notturne in età pediatrica si possono riassumere in:
- aumentato tono simpatico con ipertensione arteriosa e ridotta variabilità della frequenza cardiaca
- disfunzione endoteliale
- disfunzione sisto-diastolica ventricolare destra e
sinistra
- alterazioni proinfiammatorie e metaboliche.
Disregolazione del sistema nervoso
autonomo
L’aumento dell’attività del sistema nervoso simpatico è stata studiata attraverso l’analisi della variabilità della frequenza cardiaca (HRV), costituita da
una componente ad elevata frequenza (HF), che
riflette l’attività nervosa vagale, ed una componente a bassa frequenza (LF), che riflette l’attività nervosa vagale e simpatica. Nei bambini con OSAS è
stata evidenziata un’aumentata componente a
bassa frequenza e del rapporto LF/HF sia durante
il sonno che durante veglia.
Una ridotta variabilità della frequenza cardiaca è
un fattore prognostico negativo per aritmie e
morte in pazienti adulti con cardiomiopatia dilatativa o infarto miocardico, mentre un’aumentata
variabilità della pressione arteriosa in pazienti ipertesi è correlata a comparsa di danno d’organo.
Uno studio in pazienti adulti con OSAS (13) ha
valutato il sistema nervoso autonomo mediante lo
studio della variabilità della frequenza cardiaca (LF,
HF, LF/HF), la misura dell’attività nervosa simpatica
a livello del nervo peroneale (MSNA), la valutazione della variabilità della pressione arteriosa
durante la veglia. È stata dimostrata una ridotta
variabilità della frequenza cardiaca, con aumento
della componente LF e del rapporto LF/HF,
aumentata attività nervosa simpatica, ridotta componente HF ed un’aumentata variabilità della pressione arteriosa sistemica.
L’aumento dell’attività simpatica legato agli episodi
di apnea può essere alla base dell’aumentata variabilità della pressione arteriosa, con alterazione
della sensibilità barocettiva e di altri riflessi cardiovascolari che persistono durante il giorno.
Anche i bambini con OSAS mostrano una frequenza cardiaca più elevata sia durante il sonno
che durante la veglia, in associazione ad elevati
valori di pressione arteriosa; questa associazione
indicherebbe una disfunzione della sensibilità barocettiva, verosimilmente secondaria all’aumentato
tono simpatico e/o all’aumentato volume plasmatico (14, 15).
La pressione arteriosa sistemica è stata valutata
nei pazienti con OSAS sia con misurazioni random
durante la giornata che con una misurazione
Holter nelle 24 ore, il migliore strumento per la
valutazione delle variazioni pressorie indotte dai
disturbi del sonno (15).
Sono stati valutati in particolare il picco mattutino,
la variabilità della pressione arteriosa diurna e notturna, il load pressorio, ossia la percentuale di valori superiori al 95° percentile sia per quanto riguarda la pressione arteriosa sistolica che diastolica, il
cui andamento notturno sembra essere maggiormente influenzato dalla presenza di OSAS. Tutti
questi parametri sono risultati significativamente
aumentati in pazienti con OSAS, con un cut-off di
significatività a partire da un indice di apnea-ipopnea (AHI) >5, indice di disturbo del sonno di
grado lieve. Ciò comporta un aumentato rischio
cardiovascolare già nella fase iniziale dei disturbi
del sonno, in quanto tutti i parametri indagati sono
stati dimostrati in pazienti adulti predittori dello
sviluppo di ipertrofia miocardica, infarto miocardico, eventi cardiovascolari, ictus, aterosclerosi.
Anche in età pediatrica è stata evidenziata un’associazione con la presenza di ipertrofia miocardica ed aumentata massa miocardica.
Sono stati tuttavia riportati casi di pazienti pediatrici con OSA con bassi valori di pressione arteriosa
sisto-diastolica; vi è comunque in tutti l’evidenza di
una disregolazione della pressione arteriosa sistemica, con alterata vaso motricità (16-19).
Disfunzione endoteliale
Nei pazienti adulti con OSAS è stato evidenziato,
quale meccanismo di morbidità cardiovascolare, la
ridotta disponibilità di ossido nitrico, con conseguente disfunzione endoteliale ed innalzamento
della pressione arteriosa. Inoltre sono stati evidenziati aumentati livelli plasmatici di nitrotirosina e/o
di inibitore endogeno della sintasi dell’ossido nitrico, la asymmetric dimethylarginine (ADMA).
Un altro marker della disfunzione endoteliale è il
ligando solubile per il CD40, che incrementa l’espressione di mediatori infiammatori e fattori procoagulanti. Un recente studio di Gozal indica la
presenza di aumentati livelli di sCD40 e di ADMA,
proteina C-reattiva ed interleuchina-6 in pazienti
9
10
Nespoli, et al.
con OSAS, che si riducono dopo l’intervento chirurgico di adenotonsillectomia, tranne nei pazienti
con forte familiarità per patologie cardiovascolari
(20, 21).
OSAS ed ecocardiogramma
L’associazione tra OSAS e cuore polmonare è
stata descritta già da numerosi anni, tuttavia, tale
evidenza è costituita da report di singoli casi e piccole serie (6, 7). La presenza di comorbidità e la
differente definizione di ipertensione polmonare
nei vari studi non permettono la stima della prevalenza di cuore polmonare in bambini con OSAS
non complicata. Non sono noti i valori di severità
e/o ipossia intermittente associati all’aumento di
rischio di cuore polmonare; resta inoltre da chiarire la fisiopatologia ed il contributo dell’ipertensione venosa polmonare in pazienti pediatrici con
OSAS (22, 23).
L’avvento di nuove tecniche ecocardiografiche,
ha permesso di evidenziare più precocemente
alterazioni della funzione sisto-diastolica ventricolare, la comparsa di ipertrofia e rimodellamento ventricolare.
Amin e collaboratori hanno dimostrato la presenza di ipertrofia ed aumento della massa ventricolare sinistra in pazienti con OSAS, con una correlazione tra severità del disturbo del sonno ed il
grado di rimodellamento ventricolare (19).
Lo stesso studio ha evidenziato un’associazione tra
il grado di desaturazione raggiunto durante gli episodi di apnea ed i parametri ecocardiografici, mentre non vi era differenza nei valori di pressione
arteriosa sistolica e diastolica tra i gruppi studiati.
Tali risultati indicano, almeno nelle fasi iniziali
dell’OSAS, un ruolo principale dell’ipossia e dell’incremento di mediatori infiammatori quali l’interleuchina-6 ed interleuchina-1β rispetto all’incremento della pressione arteriosa, nello sviluppo di
ipertrofia ventricolare sinistra.
Per quanto concerne il ventricolo destro, l’ipossia
e l’ipercapnia risultanti dagli episodi di apnea, con
acidosi respiratoria, causano vasocostrizione polmonare, sia in acuto, con effetti reversibili con la
rimozione dell’ostruzione respiratoria, che in cronico, inducendo un rimodellamento dei vasi polmonari con ipertrofia della tonaca muscolare delle
piccole e medie arterie, con aumento dello strain
ed ipertrofia ventricolare destra. L’incremento del
ritorno venoso sistemico causato dalla vasocostrizione e dall’aumento della pressione negativa
intracardiaca causa inoltre dilatazione delle sezioni
destre, con disfunzione ventricolare destra e sinistra, fino all’insufficienza cardiaca con edema polmonare (14, 19, 21).
Uno studio di Duman (25) ha analizzato l’andamento del myocardial performance index (MPI), un
indice della funzione globale ventricolare destra o
sinistra, indipendente da frequenza cardiaca e
pressione arteriosa, e della pressione arteriosa
polmonare media, in pazienti con ipertrofia adenotonsillare prima e dopo l’intervento di adenotonsillectomia (Figura 2). Il MPI ventricolare destro
è risultato più elevato nel preoperatorio nei
pazienti con OSAS rispetto ai controlli, indicando
la presenza di disfunzione ventricolare destra subclinica, mentre i valori di MPI ventricolare sinistro
nei pazienti con OSAS risultavano sovrapponibili
ai controlli. Il valore del MPI correlava con la severità dell’ostruzione respiratoria e con il valore della
pressione arteriosa polmonare media, entrambi
tali parametri mostravano una normalizzazione già
nei primi mesi postoperatori (Figura 3).
Con l’utilizzo del tissue Doppler imaging (TDI) è
possibile studiare le velocità di accorciamento
miocardico, con una valutazione più accurata della
funzione diastolica cardiaca, rispetto ad un classico
esame ecocardiografico.
Un recente studio di Ugur (26) utilizzando il TDI
ha evidenziato la presenza di disfunzione diastolica
ventricolare destra e sinistra, che migliorava ad una
rivalutazione dopo sei mesi dall’intervento di adenotonsillectomia.
Figura 2 Calcolo dell’indice di performance miocardica (MPI) del
ventricolo destro (RV). L’intervallo “a” (dall’inizio della contrazione isovolumetrica all’inizio del riempimento diastolico) è stato
misurato dalla traccia di afflusso tricuspidale (sinistra della figura).
L’intervallo “b” (tempo di eiezione sistolica) è stato misurato dalla
traccia di eiezione del ventricolo destro (RV) (destra della figura).
Modificata da (25).
Sistema cardiovascolare e disturbi respiratori nel sonno
0,60
p= 0,9
p <0,001
p <0,001
RV MPI
0,40
0,20
N= 21
N= 21
N= 21
Controlli
Preoperatorio
Postoperatorio
0,00
Bambini con ATH
Figura 3 Confronto degli indici di performance miocardica del ventricolo destro (RV MPI) in controlli, in bambini con
DRS prima e dopo adenotonsillectomia (ATH). Modificata da (25).
Un marker di disfunzione ventricolare sinistra
ampiamente utilizzato nello scompenso cardiaco
in pazienti adulti è il peptide natriuretrico atraile
(BNP), rilasciato dai miociti ventricolari in risposta
ad un sovraccarico pressorio e volumetrico (strain
ventricolare), con conseguente vasodilatazione e
natriuresi. L’incremento di pressione arteriosa al
termine di un episodio ostruttivo, associato alla
riduzione della gittata sistolica, determinata verosimilmente dall’aumento del postcarico ventricolare, e dall’aumento del precarico destro dovuto
all’aumento della pressione intratoracica negativa,
con conseguente spiazzamento verso sinistra del
setto interventricolare, può agire come stimoli
all’incremento del BNP, come già dimostrato in
pazienti adulti.
Kaditis e collaboratori (27) hanno misurato i
livelli di BNP mattutini e notturni in bambini con
e senza OSAS, dimostrando una correlazione tra
i livelli di BNP notturno e la severità del disturbo ostruttivo, indicativo di strain ventricolare;
resta da indagare la possibile associazione tra
incremento del BNP notturno e disfunzione e
rimodellamento ventricolare in bambini con
OSAS.
Conclusioni
I disturbi respiratori nel sonno, in particolare la sindrome delle apnee ostruttive nel sonno, erano nel
passato la prima causa di cuore polmonare cronico e i bambini che ne soffrivano giungevano in
ospedale per scompenso cardiaco acuto (6).
Fortunatamente, dopo la identificazione di questi disturbi anche nel bambino, questa evenienza è diventata del tutto eccezionale (28).Tuttavia le possibilità
diagnostiche attuali hanno permesso di identificare
segni di disfunzione cardiaca precoci che coinvolgono non solo il cuore destro, ma anche quello sinistro.
Inoltre queste condizioni se non riconosciute e trattate precocemente, si associano a una condizione di
infiammazione cronica che apre la strada a quella che
sarà la sindrome metabolica dell’adulto. Le alterazioni a carico del cuore nonché quelle metaboliche
vanno incontro a rapida regressione e normalizzazione se l’OSAS viene riconosciuta e trattata precocemente (25). L’intervento risolutivo che è rappresentato nella grande maggioranza dei casi dalla adenotonsillectomia deve essere programmato in modo
molto attento ricordandosi del fatto che questi bambini OSAS sono più soggetti a rischi perioperatori e
a complicanze di tipo anestesiologico.
11
Nespoli, et al.
Bibliografia
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JL, Donnelly DF, Loughlin GM (eds). Sleep and
Breathing in children. 2nd Edition. NY, Informa
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2. Castronovo V, Zucconi M, Nosetti L, et al.
Prevalence of habitual snoring and sleep-disordered
breathing in preschool-aged children in an Italian
community. J Pediatr 2003; 142: 377-382.
3. O’Brien LM, Mervis CB, Holbrook CR, et al.
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Obesità e sindrome delle apnee
ostruttive nel sonno (OSAS)
Obesity and obstructive sleep
apnea syndrome (OSAS)
Parole chiave: obesità, disturbi respiratori nel sonno, infiammazione, leptina
Keywords: obesity, sleep breathing disorders, inflammation, leptin
Riassunto. Il problema dell’obesità in età pediatrica è in drammatico aumento in tutto il mondo e rappresenta oggi un preoccupante fenomeno per la salute pubblica in relazione alle complicanze associate, tra cui soprattutto quelle cardiovascolari.
Attualmente si ritiene che molte condizioni morbose finora considerate pressoché esclusive dell’età adulta possano avere origine nell’infanzia. Tra queste si annoverano i disturbi respiratori nel sonno e in particolare la sindrome delle apnee ostruttive
nel sonno (OSAS). Considerando i dati epidemiologici disponibili è prevedibile che parallelamente all’aumento dell’obesità nei
bambini, si osservi un aumento dell’incidenza dell’OSAS. Pertanto la classica presentazione del bambino affetto da OSAS con
ipertrofia adenotonsillare e sottopeso, potrebbe gradualmente essere sostituita da quella di un paziente in sovrappeso. Inoltre,
recentemente è stato ipotizzato che la patogenesi della sindrome delle apnee ostruttive non sia su base esclusivamente meccanica, ma coinvolga anche fattori umorali, tra cui alcune adipochine.
Accettato per la pubblicazione il 13 maggio 2009.
Corrispondenza: Prof.ssa Luigia Brunetti, Clinica Pediatrica I “S. Maggiore”, Università di Bari, Bari;
e-mail: [email protected]
Introduzione
La prevalenza del sovrappeso nei bambini e negli
adolescenti è in drammatico aumento in tutto il
mondo (15%-17%) (1-3). Negli Stati Uniti, tra il
1980 e il 2000, essa è raddoppiata nei bambini fra i
6 e gli 11 anni ed è triplicata in quelli di età compresa tra i 12 e i 17 anni (4, 5). L’obesità, definita
come un eccesso di peso corporeo per accumulo
di tessuto adiposo tale da influire negativamente
sullo stato di salute, è stata considerata
dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)
come uno dei più rilevanti problemi di salute pubblica nell’infanzia. Questo soprattutto in relazione
all’impatto delle condizioni croniche ad essa associate, quali diabete mellito di tipo II, insulino resistenza, dislipidemie, ipertensione arteriosa, aterosclerosi, cardiopatia ischemica, steatosi epatica, disturbi respiratori, depressione e ridotta qualità di vita
(6-11). Attualmente si ritiene che molte delle suddette condizioni, finora considerate problematiche
pressoché esclusive dell’età adulta, possano avere
origine proprio nell’infanzia e nell’adolescenza (12).
Tra le numerose condizioni morbose associate
all’obesità vanno considerati anche i disturbi respiratori nel sonno e, in particolare, la sindrome delle
apnee ostruttive nel sonno (OSAS) (13) e la sindrome da obesità e ipoventilazione (14).
Sindrome delle apnee ostruttive nel
sonno
Nonostante l’OSAS sia stata descritta sin dall’antichità, solo in tempi recenti è stata riconosciuta
come un importante problema di salute pubblica in
età pediatrica. Secondo i dati presenti in letteratura,
Obesità e sindrome delle apnee ostruttive nel sonno (OSAS)
la prevalenza dei disturbi respiratori nel sonno in
età prescolare e scolare varia ampiamente dal 3,2%
al 12% per quanto concerne il russamento abituale
e dall’1,1% al 2,9% per quanto concerne l’OSAS
(15-19). Da una nostra recente esperienza condotta su circa un migliaio di bambini e adolescenti del
Sud Italia, è emerso che il 4,9% dei bambini soffriva
di russamento, mentre la prevalenza dell’OSAS era
pari a 1,8% (20).
Nei bambini lo spettro clinico dei disturbi respiratori ostruttivi nel sonno comprende l’OSAS, la
forma più grave, caratterizzata da episodi prolungati di parziale o completa ostruzione delle alte vie
aeree che disturbano la ventilazione notturna
(ipossia intermittente e ipercapnia) e la struttura
del sonno, solitamente associati a una riduzione
della saturazione ematica di ossigeno (21); la sindrome da aumentata resistenza delle vie aeree
superiori (UARS), una forma intermedia in termini di severità dei disturbi nel sonno, caratterizzata
da pattern respiratori nel complesso normali con
evidenza di microrisvegli e frammentazione del
sonno; il russamento abituale o primitivo, caratterizzato dall’assenza di apnee, alterazioni dello
scambio dei gas e/o alterazione dell’architettura
del sonno.
I sintomi notturni più comuni dell’OSAS nei bambini includono russamento, respirazione orale,
respiro rumoroso, movimenti paradossi toracoaddominali, pause respiratorie riferite dai genitori,
difficoltà respiratoria, sudorazione profusa, cianosi,
sonno agitato, enuresi. I sintomi diurni includono
respirazione orale, difficoltà di risveglio al mattino,
cefalea mattutina, congestione nasale, rinolalia, difficoltà di concentrazione, sonnolenza, iperattività e
aggressività. Nei casi più severi di OSAS si può
avere ipertensione polmonare e cuore polmonare, ipertensione arteriosa sistemica, ritardo di crescita e, in casi estremi, morte improvvisa.
In linea generale i meccanismi fisiopatologici alla
base delle apnee ostruttive nei bambini sono per
molti aspetti differenti da quelli che intervengono
negli adulti. In questi ultimi infatti l’OSAS è principalmente, anche se non esclusivamente, associata
all’obesità; nei bambini, invece, la causa più frequente è rappresentata dall’ipertrofia tonsillare e
adenoidea, seguita dalla rinite cronica, dall’obesità
e dalle malocclusioni (22).
Poiché il picco di incidenza dell’OSAS è compreso
tra i 2 e gli 8 anni di età, alcuni Autori hanno attribuito questo dato alla sproporzionata crescita del
tessuto linfoide delle alte vie aeree in questa fase
della vita (23); al contrario, Arens ha suggerito che
la crescita del tessuto linfoide sarebbe proporzionata allo sviluppo di altre strutture delle vie aeree
superiori (24-26). Secondo recenti dati della letteratura, l’ipotesi più probabile sull’eccessivo sviluppo di questi tessuti sarebbe l’intervento di numerosi fattori come infezioni da virus respiratori,
esposizione ad allergeni, fumo passivo e altri inquinanti atmosferici (12).
Tuttavia è stata documentata solo una debole correlazione tra la severità dell’OSAS e le dimensioni
di questi tessuti, quando valutati clinicamente o
mediante metodi radiografici; evidentemente il
ruolo dell’ipertrofia adenotonsillare nella patogenesi dell’OSAS è molto più complesso ed è possibile che l’orientamento tridimensionale di questi
tessuti ed il modo in cui essi si sovrappongono a
livello delle vie aeree sia un fattore più importante e possa significativamente influenzare la resistenza del flusso aereo durante il sonno (27). Gli
studi più attuali suggerirebbero l’ipotesi di uno
squilibrio dinamico nella funzione delle alte vie
aeree in cui coesisterebbero alterazioni strutturali
ed anatomiche con anomalie dei riflessi protettivi
e neuromotori delle alte vie aeree.
Obesità in età pediatrica: un fattore di
rischio per l’OSAS?
I bambini obesi presentano un rischio maggiore
di sviluppare disturbi respiratori nel sonno? Il
grado di severità dell’OSAS è proporzionale al
grado di obesità?
Numerose evidenze presenti in letteratura hanno
dimostrato una correlazione tra OSAS e obesità:
Guilleminault ha riportato che su 50 bambini con
OSAS, cinque (10%) erano obesi (28); Mallory ha
dimostrato la presenza di alterazioni polisonnografiche nel 24% dei soggetti di una popolazione di
bambini obesi (29); allo stesso modo, Marcus ha
evidenziato che il 46% di bambini e adolescenti
obesi presentava alterazioni polisonnografiche e il
27% disturbi del sonno di grado moderato e severo (30). Redline e collaboratori hanno esaminato i
fattori di rischio per disturbi respiratori nel sonno
in bambini tra 2 e 18 anni e hanno trovato che
negli obesi il rischio di sviluppare disturbi nel
sonno aumentava di 4-5 volte (31); in particolare,
per ogni incremento di 1 Kg/m² del body mass
index (BMI) rispetto al valore medio di BMI per età
15
16
Brunetti, et al.
e sesso, il rischio di OSAS aumentava del 12%.
Dati preliminari relativi a una nostra casistica di
bambini obesi hanno evidenziato una frequenza
significativamente più alta (12,5%) di russamento
abituale tra gli obesi rispetto ai bambini in sovrappeso (5,8%) e di peso normale (32).
Sulla base di questi dati che mostrano una significativa correlazione tra l’obesità e i disturbi nel
sonno e considerando che, secondo dati epidemiologici recenti, la prevalenza dell’obesità è in
progressivo aumento nel mondo, è prevedibile
che nei prossimi anni si osserverà anche un parallelo incremento dell’incidenza dell’OSAS.
E dunque, la classica presentazione del bambino
affetto da OSAS, sottopeso, con ipertrofia adenotonsillare, potrebbe gradualmente essere sostituita da quella di un paziente con analoghi disturbi
ma in sovrappeso (33).
Ma come influisce l’obesità sui disturbi respiratori
nel sonno e viceversa?
Secondo studi recenti, nei bambini obesi con OSAS
la ristrettezza delle alte vie aeree è causata non solo
dall’iperplasia/ipertrofia adenotonsillare, ma anche
dall’infiltrazione di tessuto adiposo in queste strutture; inoltre i depositi di grasso nel sottocutaneo della
regione anteriore del collo e della regione sottomentoniera rendono le alte vie aeree più suscettibili al collasso quando il soggetto é in posizione supina (34-36). Secondo le suddette osservazioni, l’iperplasia/ipertrofia adenotonsillare non è da considerarsi sempre il principale fattore di rischio per lo sviluppo di OSAS nei bambini obesi (30, 37). Infatti, il
soggetto obeso è tipicamente affetto da un disturbo respiratorio di tipo restrittivo in cui il grasso
viscerale agisce meccanicamente riducendo i volumi
polmonari (38); inoltre l’aumento del tessuto adiposo a livello addominale, così come a livello del torace, aumenta il carico respiratorio globale e riduce
l’escursione diaframmatica e il volume intratoracico,
soprattutto in posizione supina (39). Queste modificazioni comportano una riduzione dei volumi polmonari e della riserva di ossigeno e un aumento del
lavoro respiratorio durante il sonno (40).Tuttavia, se
fino a poco tempo fa si riteneva che la patogenesi
delle apnee ostruttive nel sonno fosse su base esclusivamente meccanica, recentemente è stato ipotizzato che alcuni fattori umorali, tra cui le adipochine,
abbiano pure un ruolo rilevante. Il tessuto adiposo
dei pazienti obesi ha le caratteristiche di un tessuto
“infiammato” che presenta infiltrati di macrofagi e
produce molecole in grado di richiamare le cellule
della flogosi. L’infiammazione di tale tessuto, che oggi
viene considerato un organo metabolicamente attivo e non un inerte deposito di energia, si associa ad
una maggiore produzione di sostanze che inducono
insulino-resistenza e aumentano il rischio cardiovascolare, quali leptina,TNF-α, resistina, IL-6, l’inibitore
dell’attivatore del plasminogeno-1 (PAI-1), e a una
minore sintesi di adiponectina, che invece aumenta
la sensibilità all’insulina. In una serie di recenti ed eleganti studi condotti su pazienti adulti, è emerso il
ruolo potenziale della leptina come collegamento
endocrino-mediato tra obesità, sindrome metabolica e disturbi respiratori nel sonno; la condizione di
obesità è stata associata ad una resistenza centrale
e periferica alla leptina, che a sua volta comporta un
inefficace aumento dei livelli circolanti di questa
molecola (41-43). La ridotta biodisponibilità della
leptina è stata implicata in ridotte risposte all’ipercapnia (44) ed in meccanismi sottostanti l’ipoventilazione alveolare nell’obesità (45-48). Infatti la leptina, il cui ruolo principale è nel controllo dell’appetito, è un potente stimolatore della funzione respiratoria, che oltre alle sue proprietà modulatorie sui
chemorecettori centrali, sembra che agisca su tutta
la meccanica respiratoria (49-51), nello stesso
modo in cui influenza tutta l’attività chemorecettoriale periferica (52). Inoltre i ripetuti episodi di ipossia seguiti da riossigenazione, tipici dell’OSAS, determinano un aumentato rilascio di citochine proinfiammatorie e inducono uno stress ossidativo dell’endotelio vascolare aumentando il tono simpatico
(53). Queste alterazioni potrebbero contribuire allo
sviluppo dell’ipertensione, dell’insulino-resistenza e
della dislipidemia e spiegherebbero perché l’OSAS
rappresenterebbe un fattore di rischio indipendente per la comparsa delle complicanze cardiovascolari dell’obesità.Tuttavia, sono necessari ulteriori studi
sul contributo dell’obesità nello sviluppo dei disturbi nel sonno in età pediatrica. In particolare resta da
chiarire il ruolo delle adipochine in generale, e della
leptina in particolare, nella fisiopatologia della disfunzione delle alte vie aeree e delle alterate risposte
ventilatorie all’aumentata resistenza delle alte vie in
questa epoca di vita.
Trattamento
L’adenotonsillectomia è considerato il primo presidio terapeutico nelle forme severe di OSAS. La
maggior parte delle esperienze ha mostrato un
marcato miglioramento del disturbo respiratorio
Obesità e sindrome delle apnee ostruttive nel sonno (OSAS)
nel sonno dopo la rimozione chirurgica di tonsille
e adenoidi; tuttavia l’efficacia della terapia chirurgica in bambini obesi con OSAS è stata valutata solo
in pochi studi. Mitchell e collaboratori hanno registrato una completa risoluzione dell’OSAS nel
46% dei bambini obesi con disturbi del sonno sottoposti ad adenotonsillectomia (54). Gozal, più
recentemente, su 110 bambini trattati chirurgicamente (il 52% dei quali obesi), ha riportato una
frequenza di OSAS residua maggiore negli obesi
rispetto ai non obesi, con una incidenza di risoluzione completa molto più bassa nel gruppo degli
obesi (55). Questi dati indicano che nei bambini
obesi il trattamento chirurgico è meno efficace
rispetto ai non obesi, confermando il dato che l’obesità alla diagnosi di OSAS rappresenta il rischio
maggiore per la persistenza della malattia dopo il
trattamento (56).
È anche provato che l’obesità in generale determina un alto rischio post-operatorio e, in letteratura, esistono evidenze di un’incidenza di complicanze postoperatorie cardiache e respiratorie nel
23%-27% dei pazienti sottoposti ad adenotonsillectomia (57-59). A tale proposito, l’American
Academy of Pediatrics identifica l’obesità come un
fattore di rischio per complicanze postoperatorie
di tipo respiratorio dopo adenotonsillectomia e
raccomanda un’ospedalizzazione di 24 ore e uno
stretto monitoraggio post-operatorio (60).
Negli adulti affetti da OSAS, l’efficacia della riduzione del peso, che costituisce una delle principali
raccomandazioni per la gestione della malattia, è
ben riconosciuta.
Alcuni Autori hanno documentato una risoluzione
delle apnee nel sonno dopo riduzione di peso
anche nei bambini (61, 62), sostenendo così che in
particolari casi, in cui la chirurgia non è percorribile,
un intensivo programma di riduzione del peso può
essere di grande beneficio. La perdita di peso, se
da un lato riduce la gravità del disturbo respiratorio nel sonno, dall’altro riduce le complicanze legate all’associazione obesità-OSAS, in particolare le
alterazioni dell’endotelio delle arteriole e l’ispessimento della parete vascolare; tali eventi precoci
precedono la formazione delle placche nel processo di aterogenesi responsabile della cardiopatia
ischemica (63, 64) con elevato rischio di mortalità
(65, 66).
Un altro fondamentale ausilio terapeutico
nell’OSAS del bambino è rappresentato dalla ventilazione continua a pressione positiva (continuous
positive airway pressure, CPAP) che, oltre a ridurre
gli episodi di apnee notturne, con conseguente
riduzione dell’ipossiemia, è efficace nel ridurre la
quota di adiposità viscerale. Non vi è dubbio che
la terapia con CPAP attenua gli effetti cardiodepressivi dell’OSAS; a tale proposito è stato
dimostrato che migliora la funzione ventricolare
destra del cuore (67) e la funzione diastolica (68)
e sistolica sinistra del cuore (69). Inoltre è stato
dimostrato che il trattamento con CPAP di
pazienti obesi con OSAS determina una significativa riduzione del grasso intraddominale e delle
concentrazioni sieriche di leptina, anche in assenza
di significative variazioni del peso corporeo (70).
Conclusioni
La perdita di peso non solo migliora la gravità del
disturbo respiratorio nel sonno, ma riduce inoltre
le complicanze legate all’associazione obesitàOSAS, in particolare le complicanze cardiovascolari che costituiscono oggi la principale causa di
mortalità.
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Università “La Sapienza”, Roma
Disturbi comportamentali e
neurocognitivi nella sindrome
delle apnee ostruttive del bambino
Neurobehavioral consequences of obstructive
sleep apnea syndrome in children
Parole chiave: sindrome delle apnee ostruttive in sonno; bambini, iperattività e disattenzione
Keywords: obstructive sleep apnea syndrome, children, hyperactivity and attention deficit
Riassunto. I bambini con disturbi respiratori nel sonno presentano disturbi neurocomportamentali diurni, che comprendono
il deficit di attenzione ed iperattività, disturbi dell’apprendimento e del comportamento che suggeriscono la presenza di eccessiva sonnolenza diurna.Tali disturbi sono presenti in almeno il 30% dei bambini con sindrome delle apnee ostruttive nel sonno
(OSAS). Studi recenti hanno dimostrato una evidente relazione di causa-effetto tra l’ipossia notturna conseguente agli eventi
respiratori (apnee e ipopnee ostruttive, limitazione di flusso), l’alterazione della struttura del sonno e la comparsa di deficit neurocognitivi. Oltre al deficit di attenzione ed iperattività, i bambini con OSAS presentano disturbi dell’apprendimento scolastico,
deficit della memoria e delle funzioni esecutive. Molti studi hanno dimostrato una correlazione inversa tra i disturbi dell’apprendimento e della memoria e l’indice di apnea, e hanno anche dimostrato la presenza di deficit del quoziente intellettivo. La severità dell’OSAS nel bambino non è l’unico determinate per lo sviluppo dei deficit neurocognitivi, ma lo sviluppo di tali disturbi è
mediato anche dalla suscettibilità genetica e dalle condizioni ambientali e questo spiegherebbe l’eterogeneità del fenotipo neurocomportamentale, con bambini affetti da OSAS severo che sono relativamente asintomatici e, al contrario, russatori con evidenti disturbi cognitivi. I sintomi neurocomportamentali sono indicativi di un’alterazione delle funzioni esecutive (scarso controllo
degli impulsi, pensiero rigido, deficit della memoria di lavoro e della memoria contestuale, con difficoltà a prendere decisioni, e
scarsa regolazione degli affetti e emozioni). Per tale motivo si è ipotizzato un coinvolgimento della corteccia prefrontale (PFC),
che controlla le funzioni esecutive. I modelli animali hanno portato alla luce ulteriori chiarimenti sul ruolo dell’ipossia e gli effetti a livello cerebrale nell’OSAS pediatrica. Questi studi hanno dimostrato una relazione di causa-effetto tra ipossia e alterazioni
sia anatomiche che funzionali della corteccia prefrontale e dell’ippocampo, che possono persistere per tutta la vita.
Accettato per la pubblicazione il 13 maggio 2009.
Corrispondenza: Dott.ssa Silvia Miano, Centro di Medicina del sonno in età pediatrica, Ospedale “S. Andrea”, Roma;
e-mail: [email protected]
Introduzione
La prima descrizione della sindrome delle apnee
ostruttive nel sonno (OSAS) nel bambino risale
alla fine del XIX secolo, narrando delle conseguenze cognitive del disturbo notturno come: “il
bambino è di giorno pigro, svogliato e rallentato” (1). Da allora, tale sindrome e le sue conseguenze neurocomportamentali non sono state
più riportate fino a quasi il secolo successivo (2).
Le apnee ostruttive nel sonno interessano i
bambini di tutte le età, dal neonato all’adolescente, con una maggiore prevalenza in età prescolare (dai 2 ai 6 anni). La prevalenza dei disturbi respiratori nel sonno in età prescolare e
scolare varia ampiamente: dal 3,2% al 27% per il
russamento, dallo 0,5% al 3% per l’OSAS (3-4).
I disturbi neurocompor tamentali diurni, che
Disturbi comportamentali e neurocognitivi nella sindrome delle apnee ostruttive del bambino
comprendono il deficit di attenzione ed iperattività,
disturbi dell’apprendimento e comportamentali,
suggeriscono la presenza di eccessiva sonnolenza
diurna (5). Studi recenti hanno dimostrato una evidente relazione di causa-effetto tra l’ipossia notturna conseguente agli eventi respiratori (apnee e
ipopnee ostruttive, limitazione di flusso), l’alterazione della struttura del sonno e la comparsa di deficit neurocognitivi (6). L’alterazione delle funzioni
ristorative e delle funzioni omeostatiche del sonno
può avere ripercussioni sulle connessioni sinaptiche, con effetti a lungo termine a livello neuronale,
in particolare a livello della corteccia prefrontale,
incidendo sui disturbi cognitivi (7).
Nelle Linee Guida pediatriche italiane per la diagnosi dell’OSAS, tra i sintomi diurni sono presenti il deficit dell’attenzione ed iperattività diurna, lo scarso rendimento scolastico, e l’eccessiva
sonnolenza diurna (8). L’OSAS non rappresenta
soltanto un rischio per lo sviluppo neurocomportamentale nell’età evolutiva, ma molti bambini con disturbi neurologici sono più a rischio di
sviluppare una sindrome delle apnee ostruttive
nel sonno: sindromi ipotoniche (come nel bambino prematuro o nella sindrome di Down),
paralisi cerebrali infantili, patologie del troncoencefalo, come la sindrome di Arnold-Chiari, malattie neuromuscolari (9).
Per tutti questi motivi, l’OSAS pediatrica può
essere considerata una sindrome neurocomportamentale, la cui diagnosi e cura diventano determinanti non solo per ridurre il rischio di sequele
metaboliche e cardiovascolari, ma anche per la
riduzione del rischio cognitivo.
Gli studi sui disturbi neurocompor tamentali
nell’OSAS pediatrica si possono differenziare a
seconda della funzione neurocomportamentale
e cognitiva indagata: studi che hanno utilizzato
test neuropsicologici e/o questionari su bambini
con OSAS per dimostrare la presenza di disturbi comportamentali, psichiatrici e disturbi cognitivi (deficit di attenzione ed iperattività, disturbi
del comportamento e della condotta, ansia,
depressione, deficit delle funzioni esecutive, disturbi degli apprendimenti scolastici), o la presenza di eccessiva sonnolenza diurna (studi di neurofisiologia e/o con questionari) ed infine studi
neurofisiologici del sonno per dimostrare la presenza di caratteristiche alterazioni dell’attività
cerebrale in sonno (studi polisonnografici sulla
microstruttura del sonno).
OSAS e disturbi neurocomportamentali
Disturbi comportamentali
Durante il giorno, i sintomi più caratteristici dei
bambini che russano e che hanno apnee ostruttive durante il sonno sono rappresentati dall’iperattività ed il deficit attentivo, con conseguente scarso rendimento scolastico e irritabilità diurna. Tali
disturbi sono presenti in almeno il 30% dei bambini con OSAS ma il comportamento diurno
migliora nettamente dopo la terapia chirurgica di
adenotonsillectomia (10-12). I sintomi dei bambini
con OSAS non rientrano pienamente nei criteri di
diagnosi della sindrome da disattenzione ed iperattività (attention deficit hyperactivity disorder,
ADHD), ma possono essere più sfumati e meno
severi, anche se è stato dimostrato che nei bambini con ADHD la percentuale di OSAS è del 20%
(13). È stata inoltre osservata una correlazione tra
la severità del disturbo respiratorio e la severità
del deficit d’attenzione e dell’impulsività (14). I
bambini con OSAS presentano una riduzione
delle capacità riflessive, della capacità di attenzione
sostenuta e selettiva e una riduzione del quoziente intellettivo (15). Non bisogna dimenticare che i
disturbi comportamentali e le conseguenze cognitive del disturbo respiratorio nel sonno sono presenti anche nei bambini in cui viene riferito un russamento “benigno”, senza la presenza di apnee nel
sonno; per cui il russamento deve essere sempre
considerato seriamente dai pediatri e la cura precoce può evitare conseguenze a lungo termine sul
piano cognitivo (10).
Disturbi neuropsicologici
Oltre al deficit di attenzione ed iperattività, i bambini con OSAS presentano disturbi dell’apprendimento scolastico, deficit della memoria e delle funzioni esecutive. Molti studi hanno dimostrato una
correlazione inversa tra i disturbi dell’apprendimento e della memoria e l’indice di apnea e hanno
anche dimostrato la presenza di deficit del quoziente intellettivo. Tutti questi disturbi neurocognitivi
sono stati messi in relazione con gli episodi di ipossia notturna, secondari alle apnee nel sonno (1618). Esiste una relazione tra la comparsa di OSAS in
età prescolare e difficoltà di apprendimento in età
scolare, con reversibilità e risoluzione delle difficoltà
scolastiche dopo intervento chirurgico (13, 19-20).
Non è ancora chiaro se il disturbo respiratorio
induca effetti negativi sull’intelligenza globale o su
23
24
Miano, et al.
specifiche aree (intelligenza verbale, visuo-spaziale,
performance) e se tali deficit siano reversibili. Tale
reversibilità può essere anche parziale, perché
un’alterazione precoce in età prescolare può
determinare un debito cognitivo che non si riesce
a recuperare, o in alternativa il deficit neurocognitivo è espressione di un alterazione anche funzionale irreversibile o parzialmente reversibile del
sistema nervoso, in particolare della corteccia prefrontale (7, 20). Nell’ambito dei deficit neuropsicologici indagati recentemente è stato dimostrato
che questi bambini presentano un disturbo del linguaggio di tipo fonologico, e riguardante in particolare una ridotta capacità di discriminazione
fonologica (13).
Molti lavori hanno studiato le funzione esecutive in
questi bambini, in quanto il core dei sintomi neurocomportamentali indicano una alterazione proprio delle funzioni esecutive (scarso controllo
degli impulsi, pensiero rigido, deficit della memoria
di lavoro e della memoria contestuale, con difficoltà a prendere decisioni, e scarsa regolazione degli
affetti e emozioni).
Nel modello descritto da Beebe e Gozal (7) i disturbi comportamentali e cognitivi presenti nei
bambini con OSAS potrebbero essere legati ad
un’alterazione della corteccia prefrontale (PFC),
che rappresenta l’area cerebrale deputata al controllo delle funzioni esecutive. La corteccia prefrontale presenta una notevole riduzione dell’attività in tutti gli stadi del sonno ed è apparentemente disconnessa dalle altre regioni della corteccia, in quanto nel sonno avviene la ricalibrazione
delle informazioni della veglia durante il sonno. La
corteccia prefrontale è l’ultima area cerebrale che
matura, infatti i bambini acquisiscono la piena
maturità delle funzioni esecutive all’età di 10-12
anni: il picco d’incidenza dell’OSAS può costituire
un periodo di particolare vulnerabilità della maturazione della PFC che può essere solo parzialmente reversibile.
OSAS ed eccessiva sonnolenza diurna
La sonnolenza diurna rappresenta la conseguenza
diurna più importante dell’OSAS e questo sintomo
diurno è maggiormente evidente nell’adulto, mentre è di più difficile valutazione nel bambino. Esiste
un test per misurare oggettivamente la sonnolenza
diurna che si chiama test delle latenza multiple al
sonno (multiple sleep latency test, MSLT): si caratterizza per la ripetizione di 5 polisonnografie brevi
della durata di circa 20-30 minuti durante il giorno,
con inizio al mattino e ripetizione ad intervalli
regolari di circa 2 ore. Alla fine della prova viene
calcolato il tempo di latenza all’addormentamento
e minore è il valore, maggiore è la sonnolenza diurna. Studi con il MSLT riportano la presenza di sonnolenza diurna in una percentuale che varia dal
12% al 20% di bambini con OSAS, in particolare
nei soggetti obesi (21-22).
Esistono anche questionari che indagano la sonnolenza diurna come la scala di valutazione della
sonnolenza diurna pediatrica (pediatric daytime
sleepiness scale, PDSS) (23). I questionari vengono
utilizzati anche perché il punteggio al MSLT spesso
non corrisponde alla sonnolenza soggettiva, infatti
la percentuale di sonnolenza diurna nei bambini
che russano sale al 40% circa quando tale sintomo
viene indagato con il questionario (24). Un lavoro
recente ha dimostrato una relazione tra eccessiva
sonnolenza diurna, russamento e ridotte prestazioni scolastiche in un gruppo di adolescenti spagnoli intervistati con la PDSS (25).
OSAS e microstruttura del sonno
La correlazione tra disturbi neurocognitivi e frammentazione del sonno è stata indagata attraverso
l’analisi della struttura del sonno, in particolare l’analisi degli arousal, che sono degli eventi di breve
durata (pochi secondi) riconoscibili all’elettroencefalogramma (EEG), che testimoniano la fluttuazione dal sonno verso la veglia. Nonostante molti
studi abbiano dimostrato la presenza di un’alterazione della microstruttura del sonno (analisi degli
arousal e degli eventi brevi al di sotto del minuto),
caratterizzata da un aumento dei movimenti, degli
arousal e dei movimenti periodici in sonno (26-28),
nei bambini il riconoscimento degli arousal alla fine
di un evento respiratorio è più difficile rispetto a
quello degli adulti (29). La spiegazione potrebbe
essere che l’ipossia e l’ipercapnia notturne secondarie all’OSAS siano causa di un deficit di arousal,
ma è anche possibile che nei bambini vi siano presenti eventi non riconoscibili con la semplice analisi degli arousal (30). Per tutti questi motivi, recentemente il nostro gruppo e altri ricercatori hanno
effettuato lo studio della microstruttura del sonno
attraverso l’analisi del pattern alternate ciclico
(CAP), le cui oscillazioni lente all’EEG (sottotipi A1)
sono strettamente correlate all’attività della corteccia prefrontale (30-34). Il CAP è testimone di
un ritmo endogeno a genesi talamo-corticale che
Disturbi comportamentali e neurocognitivi nella sindrome delle apnee ostruttive del bambino
riflette la fatica del cervello nel preservare e regolare la microstruttura del sonno. Ogni ciclo CAP è
composto dall’alternanza di eventi attivatori (fase
A) e inibitori (fase B) che coinvolgono simultaneamente la profondità del sonno, il tono muscolare e
le attività neurovegetative. In base alle caratteristiche morfologiche e all’impatto sul tono muscolare
e sulle funzioni autonomiche, le fasi A si dividono in
potenze A1, A2 e A3, a seconda della predominanza di componenti lente ed in sincronizzazione (sottotipi A1) oppure di componenti rapide e di desincronizzazione, più simili all’arousal (sottotipi A2 e
A3) (31). Le figure 1 e 2 mostrano esempi dei sottotipi del CAP, durante una fase di sonno non-REM.
La necessità di un’analisi più raffinata del sonno nei
bambini con OSAS è dovuta anche al fatto che
non esiste una correlazione diretta tra la frammentazione del sonno (aumento degli arousal e alterazione macrostruttura del sonno), deficit neurocognitivi e sonnolenza diurna (30). L’analisi del CAP
ha rilevato la presenza di una riduzione del CAP
rate ed in particolare dei sottotipi A1 in un gruppo
di bambini con OSAS severa (30). In un altro lavoro in un gruppo di bambini con una forma più lieve
abbiamo dimostrato la presenza di un aumento del
CAP rate con persistenza di tale alterazione anche
dopo la correzione e risoluzione del problema
respiratorio, a conferma che le alterazioni EEG
possono essere la spia di un disturbo neuronale
persistente o di una parziale risposta al trattamento
LOC-A2
ROC-A1
A1
A1
Fp1-T3
Fp2-T4
C3-A2
C4-A1
Chin1-Chin2
Figura 1 Esempio di due sottotipi A1 del CAP, in un epoca di sonno 2NREM, epoca di 30 secondi, 300µv di ampiezza. ROC, occhio destro, LOC, occhio sinistro, chin-chin2, elettromiogramma sottomentoniero.
LOC
ROC
Fp1-C3
Fp2-C4
A2
A3
C3-A2
C4-A1
D1-A2
D2-A1
Chin-Chin2
Figura 2 Esempio di due sottotipi A2 e A3 del CAP, in un epoca di sonno 2NREM, epoca di 30 secondi, 300µv di
ampiezza. ROC, occhio destro, LOC, occhio sinistro, chin-chin2, elettromiogramma sottomentoniero.
25
26
Miano, et al.
(34). Recentemente abbiamo dimostrato che una
riduzione del CAP rate e dei sottotipi A1 del CAP
nei bambini con OSAS sembra essere correlata
alla presenza di anomalie parossistiche all’EEG, simili a quelle presenti nei bambini con epilessia rolandica, con autismo, ADHD, o con disturbi dell’apprendimento (Figura 3) (35). La presenza di anomalie EEG può inoltre essere un ulteriore segno di
disfunzione della corteccia prefrontale, con ipereccitabilità talamica. Tali anomalie EEG sono presenti
in circa il 14% dei bambini con OSAS, mentre sono
assenti nei bambini con solo russamento (35).
Discussione
I modelli animali hanno portato alla luce ulteriori
chiarimenti sul ruolo dell’ipossia e degli effetti a
livello cerebrale dell’OSAS pediatrica (10). Questi
studi hanno dimostrato una relazione di causaeffetto tra ipossia e alterazioni sia anatomiche che
funzionali della corteccia prefrontale e dell’ippocampo, che possono persistere per tutta la vita
(36-38). I ratti esposti all’ipossia intermittente presentano un aumento dell’attività motoria e una
riduzione della durata e del numero di interazioni
sociali, che possono essere considerate il corrispettivo dell’iperattività e della riduzione dell’attenzione sostenuta nei bambini con OSAS (38). È
stato recentemente dimostrato che l’ipossia intermittente durante il sonno causa perdita neuronale
(39), tale perdita neuronale sembrerebbe mediata
dall’attivazione dei mediatori dell’infiammazione
(fattore di attivazione piastrinico, ciclo-ossigenasi 2,
attivatore della sintesi dell’ossido nitrico, apolipoproteina E) (38, 40-43) e dalla ridotta capacità
delle cellule staminali di migrare e differenziarsi
nelle zone di necrosi neuronale (44). La severità
dell’OSAS nel bambino non è l’unico determinate
per lo sviluppo dei deficit neurocognitivi, ma lo sviluppo di tali disturbi è mediato anche dalla suscettibilità genetica e dalle condizioni ambientali e questo
spiegherebbe l’eterogeneità del fenotipo neurocomportamentale, con bambini affetti da OSAS
severo che sono relativamente asintomatici e al
contrario russatori con evidenti disturbi cognitivi
(10, 45). Un recente editoriale di Bruni e Ferri (45)
ha ipotizzato che il rischio di sviluppo dei deficit
cognitivi nei bambini con OSAS sia mediato dalla
riduzione del fattore di crescita dell’insulina (IGF-1)
e dalla suscettibilità genetica, in particolare a livello
del locus dell’apolipoproteina E, nel cromosoma 19.
Nell’OSAS pediatrica è stata recentemente dimostrata una riduzione dell’IGF-1 e una maggiore rappresentazione del locus E dell’apolipoproteina E
(apoE) nei bambini con deficit neurocognitivi. È
stato inoltre dimostrato che l’IGF-1 ha un ruolo
protettivo nella neurogenesi a livello dell’ippocampo e di resistenza all’ipossia (45). L’attività dell’IGF-1
è anche una misura indiretta di quella dell’ormone
della crescita, che viene secreto principalmente
nella prima parte della notte e durante il sonno ad
onde lente (nel sonno NREM) (45). Le oscillazioni
del sonno ad onde lente sono direttamente correlate con i processi di memorizzazione a lungo termine e sono principalmente rappresentate a livello
dello scalpo dai sottotipi A1 del CAP (45).
Per questo motivo gli studi della microstruttura
del sonno (in particolare nei bambini con OSAS e
anomalie EEG) insieme a studi sul metabolismo e
sul ruolo dei mediatori dell’infiammazione possono portare ulteriori conferme a questa ipotesi
patofisiologica.
Fp2-C4
C4-T4
T4-O2
Fp1-C3
C3-T3
T3-O1
C4-A1
C3-A2
O2-A1
O1-A2
LOC
ROC
Chin
Figura 3 Esempio di anomalie elettroencefalografiche in un bambino con OSAS (da onde aguzze sulle regioni centrali
di sinistra), epoca di 30 secondi, 300µv di ampiezza. ROC, occhio destro, LOC, occhio sinistro, chin, elettromiogramma sottomentoniero.
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29
Maria Pia Villa, Melania Evangelisti, Antonella Urbano
Dipartimento di Pediatria, Centro Regionale di Medicina del Sonno. A.O. “S. Andrea”, II Facoltà di
Medicina e Chirurgia, Università “La Sapienza”, Roma
Sindromi infiammatorie da ipossia
intermittente nel sonno
Inflammatory and intermittent
hypoxia syndrome
Parole chiave: OSAS, obesità, ipoventilazione, ipossia intermittente
Keywords: OSAS, obesity, hypoventilation, intermittent hypoxia
Riassunto. La sindrome delle apnee ostruttive notturne (OSAS) è una condizione clinica caratterizzata da ripetuti episodi di
parziale (ipopnea) o completa (apnea) ostruzione delle alte vie aeree che avvengono durante il riposo notturno, con conseguente disregolazione della normale ventilazione notturna, ipercapnia ed ipossiemia e frammentazione del sonno.
La fisiopatologia delle complicanze legate all’OSAS sono multifattoriali ma studi recenti hanno concentrato l’attenzione sulla
ipossia intermittente che si verifica durante la notte con cicli ripetuti di ipossia e riossigenazione e che sarebbe alla base della
morbidità dei DRS nonché della comorbidità con l’obesità.
L’OSAS e l’ipoventilazione sono responsabili di uno stato infiammatorio sistemico che se non rimosso determina danni a vari
organi ed apparati.
La comorbidità tra OSAS e obesità ha permesso di comprendere come il meccanismo patogenetico dell’infiammazione comune alle due sindromi, possa riconoscere il medesimo modello di ipossia intermittente e ipossia cronica.
Accettato per la pubblicazione il 13 maggio 2009.
Corrispondenza: Prof.ssa Maria Pia Villa, Dipartimento di Pediatria, A.O. “S. Andrea”, II Facoltà di Medicina e Chirurgia,
Università “La Sapienza”, Roma; e-mail: [email protected]
Introduzione
I disturbi respiratori nel sonno (DRS) sono un continuum di disordini respiratori (Figura 1) osservabili durante il riposo notturno che vanno dal russamento isolato alle ipopnee per giungere alle apnee
e che disturbano la ventilazione notturna e l’architettura del sonno (1).
Sono disturbi prevalentemente ostruttivi che riconoscono momenti patogenetici di varia natura.
L’ipopnea può essere ulteriormente caratterizzata
come ostruttiva quando è associata a movimenti
in opposizione di fase di torace o addome oppure è definita centrale in caso di riduzione in fase
degli stessi segnali (2-4).
In accordo con Gastaut e collaboratori, sia l’apnea
che l’ipopnea possono essere classificate in 3 tipi
differenti: centrale, ostruttiva e mista (5).
Il prototipo dell’ipoventilazione centrale è la sindrome di Ondine o ipoventilazione centrale congenita di cui non parleremo in questo articolo
mentre ci occuperemo delle apnee/ipopnee
ostruttive da limitazioni al flusso aereo come risultato della collassabilità e restringimento delle alte
vie aeree.
Epidemiologia
Sebbene l’incidenza del russamento primario e
della sindrome delle apnee/ipopnea ostruttive del
sonno (OSAS) non siano conosciute precisamente, stime recenti indicano che circa il 9% di bambini tra 1 e 10 anni e l’8,5% tra 6 e 13 anni hanno
un russamento abituale, senza differenza tra i due
30
Villa, et al.
Resistenze delle
vie aeree superiori
normali
(no russamento)
Aumento delle
resistenze delle alte
vie respiratorie che
causa solo rumore
respiratorio
(russamento)
Aumento delle
resistenze delle alte
vie aeree capace di
deteriorare la
qualità del sonno
Aumento delle
resistenze capace di
elevare la PaCO2
e di abbassare
la SaO2
Aumento delle
resistenze delle alte
vie aeree che
portano ad una
completa o
parziale chiusura
intermittente delle
alte vie aeree
Normale
Russamento
primario
UARS
Ipoventilazione
ostruttiva
o ipopnea
ostruttiva
Apnea
ostruttiva
(OSA)
Figura 1 Rappresentazione grafica della distribuzione dei disturbi respiratori nel sonno.
sessi e che circa l’1%-3%, con una prevalenza nei
bambini tra i 2 e i 5 anni, presenta apnee/ipopnee
ostruttive nel sonno (6-8). La ipoventilazione nel
sonno è di difficile definizione in età pediatrica ma
se ci distacchiamo dalla definizione strumentale di
ipopnea, possiamo indicare come ipoventilazione
ogni sindrome respiratoria ostruttiva che si verifichi durante il sonno.
Negli ultimi 2 decenni si è assistito all’incremento
dell’obesità/soprappeso nella popolazione pediatrica e, sebbene le stime non siano ancora ben
conosciute, è comunque aumentata la prevalenza
di bambini obesi che si recano presso centri di
medicina del sonno (9-11) per disturbi respiratori
nel sonno. Questo fenotipo di bambini presenta
delle caratteristiche della obesity hypoventilation
syndrome (OHS) con obesità marcata, sonnolenza
diurna, cianosi, policitemia, ipoventilazione alveolare, respiro periodico, ipossiemia intermittente ed
ipercapnia. L’eziopatogenesi di questa forma non è
completamente chiarita ma alcuni studi indicano
che il meccanismo alla base potrebbe essere
dovuto all’associazione di alterato controllo del
drive ventilatorio, congenito o acquisito, e anomalie respiratorie dovute all’alterata dinamica della
gabbia toracica per l’obesità.
Aspetti clinici
I sintomi predominanti sono rappresentati dal russamento, dagli sforzi respiratori nel sonno, dalla
presenza di apnee e da sintomi diurni quali disturbi neurocognitivi e comportamentali (iperattività,
sonnolenza diurna, deficit di attenzione) e respirazione orale (12-14).
Patogenesi
La presentazione fisiopatologica è correlata alla
collassabilità delle alte vie aeree e alla riduzione
del lume faringeo (15).
L’ostruzione completa è definita apnea, mentre il
collasso parziale delle alte vie aeree è definita
ipopnea.
Fattori anatomici, come l’ipertrofia adeno-tonsillare e le anomalie cranio-facciali, sono coinvolti nella
patogenesi dell’OSAS. I disturbi dell’arousal e l’alterato controllo neurovegetativo spesso accompagnano tale sindrome (16-17).
Naturalmente fattori genetici giocano un ruolo
addizionale, di difficile inquadramento.
Sebbene nel bambino la riduzione del flusso aereo è
per lo più dovuto all’ingombro creato dal tessuto
adenotonsillare ipertrofico, anche l’effetto meccanico
Sindromi infiammatorie da ipossia intermittente nel sonno
esercitato dal tessuto adiposo a livello del collo e
della parete addominale è ugualmente responsabile di eventi ostruttivi respiratori (16-21).
L’ipoventilazione che consegue a tali eventi respiratori induce ipossia notturna di severità pari al
grado di ostruzione (Figura 2).
Studi recenti suggeriscono che i cicli ripetuti di ipossia
e riossigenazione, propri degli eventi ostruttivi, inducono a livello mitocondriale la produzione di fattori
dell’infiammazione, come il fattore di necorsi tumorale alpha (tumor necrosis factor, TNF-α) e le interleuchine 6, 10 e 8 (IL-6, IL-10, IL-8), in grado di determinare uno stato infiammatorio sistemico.
Il danno che ne consegue sembrerebbe essere alla
base della morbidità cardiovascolare tipica delle sindromi respiratorie ostruttive durante il sonno (22-23).
In particolare, secondo il modello proposto da
Ryan (Figura 3), i ripetuti episodi di transitoria
ipossia determinano uno stress mitocondriale a
livello cellulare ed innescano la cascata citochinica
proinfiammatoria attraverso l’attivazione del fattore nucleare di trascrizione NF-κB. Gli effetti di tale
attivazione aumentano l’espressione di fattori
proaterogeni come il TNF-α che contribuiscono alla
disfunzione endoteliale e di conseguenza alle complicanze cardiocircolatorie (24-25).
Tempo (ore)
22:00
23:00
24:00
01:00
02:00
03:00
04:00
05:00
100
80
70
Tempo (min)
100
60
50
02:00
02:10
% di saturazione
dell’O2
% di saturazione
dell’O2
90
22:00
90
Figura 2 Cicli di ipossia e riossigenazione in corso di eventi desaturanti da ostruzione delle alte vie respiratorie durante il sonno.
Normossia sostenuta
Ipossia sostenuta
~90%
~100%
O2
~10%
Ipossia intermittente
HIF-1α
O2
HIF-1α
HIF-1α
VEGF
EPO
Adattata
Figura 3 Modello di Ryan.
NFκB
TNF-α
Infiammatoria
31
32
Villa, et al.
La base fisiopatologia di tale meccanismo di flogosi sta nel continuo alternarsi di episodi di ipossiariossigenazione caratteristici dell’OSAS (23).
Mentre una ipossia sostenuta attiva una risposta
adattativa attraverso l’aumentata espressione di
diversi geni che codificano per proteine quali la
eritropoietina (EPO) e il vascular endothelial growth
factor (VEGF) – mediata dall’attivazione del hypoxia inducible factor (HIF-1) in risposta alla riduzione dell’ossigeno disponibile, i ripetuti episodi di
ipossia transitoria determinano a livello cellulare
uno stress mitocondriale che innesca la cascata
citochinica proinfiammatoria attraverso l’attivazione del fattore nucleare di trascrizione NFκB. Gli
effetti di tale attivazione aumentano l’espressione
di fattori pro-aterogeni come il TNF-α che contribuiscono alla disfunzione endoteliale responsabile
delle complicanze cardiocircolatorie (Figura 3).
Il meccanismo ischemia-riperfusione, aumenta
inoltre la produzione di radicali liberi dell’ossigeno (ROS), altamente reattivi, capaci di interagire
con tutte le macromolecole biologiche, alterandone la struttura e la funzione in modo spesso
irreversibile. In particolare, sembra essere il
danno da riperfusione il principale responsabile
dell’attivazione di sistemi pro-infiammatori che
promuovono la formazione di un ambiente proaterogeno (26-27).
L’aumento della produzione e della liberazione di
ROS a livello endoteliale ha diverse conseguenze:
- la sintesi e l’espressione in membrana di molecole di adesione
- la riduzione dei livelli di NO di derivazione endoteliale, aumento di perossinitrito
- il rolling di linfociti Th ed attivazione della flogosi
parietale
- l’adesione ed attivazione piastrinica
- l’ossidazione delle LDL
- il danno endoteliale.
L’endotelio perde la sua funzione anti-infiammatoria e anti-aterogena ed inizia a produrre molecole
vasoattive, citochine e fattori di crescita (Figura 4).
Se la risposta infiammatoria non riesce a neutralizzare o a rimuovere l’agente offensivo, la flogosi si
automantiene (27-28).
Verrà quindi stimolata la migrazione e la proliferazione delle cellule muscolari lisce che perdono
il loro fenotipo contrattile e si spostano dalla
media all’intima, stimolando la sintesi di enzimi
come le metalloproteinasi e le elastasi, con deposizione di collagene, elastina e glicoproteine che
contribuiscono alla formazione di tessuto fibroso che
progressivamente riveste il core lipidico (25-26).
Si comprende come i fattori fisiopatologici alla
base del rischio di sviluppare malattie cardiovascolari in soggetti con OSAS siano molteplici e correlati. L’infiammazione, la disfunzione endoteliale, l’attivazione cronica del sistema nervoso simpatico e
la stimolazione del sistema renina-angiotensina
(25-26) sono tutti aspetti attivati dopo episodi di
ipossia intermittente.
La comorbidità tra obesità e OSAS è in forte
aumento a causa dell’aumento del numero di
bambini che presenta eccesso ponderale.
Entrambe rappresentano modelli di infiammazione e di danno endoteliale che hanno punti in
comune. Studi in vitro hanno dimostrato che la
sintesi di leptina (che è aumentata negli obesi),
dotata di proprietà pro-angiogeniche, incrementi i
suoi livelli in seguito ad un insulto ipossico con un
meccanismo di attivazione mediato dall’HIF-1.
Gozal ha inoltre mostrato in un recente studio che
i livelli di leptina circolante in soggetti con OSAS
sono correlati non solo all’indice di massa corporea ma anche all’indice di apnea-ipopnea (apneaipopnea index, AHI). La diminuzione dell’eNO circolante associato allo stress mitocondriale che si
verifica nell’OSAS potrebbe determinare una condizione di riassetto del metabolismo cellulare con
una diminuzione nel dispendio di energia ed accumulo di tessuto adiposo (27).
A parità di consumo di cibo, animali knockout per
il gene che codifica per l’ossido nitrico sintetasi
endoteliale hanno, infatti, una spesa energetica
inferiore ed un accumulo di peso aumentato
rispetto ai controlli. Inoltre, essi possiedono tutte
le stigmate dei soggetti affetti da sindrome metabolica essendo insulino-resistenti (diabetici), ipertesi e iperlipidemici.
Complicanze
Il quadro di infiammazione sistemica coinvolge vari
organi ed apparati.
Le complicanze cardiovascolari in età pediatrica
sono per lo più rappresentate da ipertensione
polmonare e sistemica e ipertrofia ventricolare
sinistra (29-30); l’ipertensione sistemica, tuttavia,
che è una complicanza frequente in età adulta, si
verifica meno spesso in età pediatrica.
Per quanto riguarda la pressione arteriosa, numerosi studi hanno dimostrato che i bambini con
Sindromi infiammatorie da ipossia intermittente nel sonno
Migrazione
delle cellule
muscolari lisce
Formazione
cellule
schiumose
Attivazione
delle cellule T
Aderenza e
aggregazione
di piastrine
Aderenza ed
entrata di
leucociti
Figura 4 Rappresentazione schematica del processo aterosclerotico.
OSAS presentano valori superiori quando confrontati con i bambini con russamento primario, in
assenza di differenze significative dell’indice di massa
corporea (29-33). In particolare, come è emerso
attraverso lo studio del monitoraggio pressorio
delle 24 ore, l’OSAS altera la normale regolazione
omeostatica della pressione arteriosa (29, 34).
In età adulta, l’ipertensione è il meccanismo che
sottende il rimodellamento miocardico e la comparsa di ipertrofia ventricolare sinistra, l’ispessimento del setto interventricolare e alterazioni del
diametro diastolico e telesistolico delle camere
atriali. In caso di OSAS, l’effetto dell’ipertensione è
amplificato e, addirittura, può da sola indurre rimodellamento cardiaco (35) in pazienti senza malattie cardiache concomitanti (36-37).
Amin e collaboratori (38) hanno dimostrato che
nei bambini con disturbi respiratori nel sonno è
presente una riduzione della funzione diastolica del
ventricolo sinistro e che questa alterazione migliora
dopo la risoluzione del disturbo respiratorio nel
sonno. È verosimile che alcune delle alterazioni del
ventricolo sinistro, in termini di contrattilità e geometria, possono riflettere l’interazione tra l’aumento della pressione arteriosa, cambiamenti nelle resistenze vascolari periferiche e l’OSAS (34, 39).
Gli episodi ricorrenti di ipossia e ipercapnia che si
verificano durante la notte aumentano le resistenze vascolari polmonari e sono responsabili di ipertensione polmonare (40-43) che, associata al
rimodellamento cardiaco del ventricolo destro ed
alla disfunzione diastolica e sistolica delle camere
cardiache di destra, può condurre (quando i sintomi non sono precocemente riconosciuti e trattati)
a core polmonare (44-45).
È ipotizzabile che gli episodi ricorrenti di ipossia
durante l’infanzia predispongano ad una risposta
anomala, a carico della circolazione polmonare, agli
stimoli vasocostrittivi in età adulta (46, 47), con
conseguente danno cardiorespiratorio cronico.
Negli ultimi anni la ricerca si è concentrata sui
danni neurocognitivi dell’OSAS pediatrica. Le
implicazioni neurocognitive della sindrome delle
apnee sono già note da oltre un secolo.
Già nel 1892 Sir William Osler descrisse, nel bambino, un’associazione fra il russamento notturno, l’ostruzione delle alte vie respiratorie e il ritardo intellettivo. Nel 1899 Hill confermò quanto precedentemente descritto da Osler e dimostrò che l’asportazione delle adenoidi e delle tonsille determinava la
scomparsa non solo dei sintomi respiratori notturni,
ma anche il recupero della funzione intellettiva. I
33
34
Villa, et al.
bambini con OSAS possono, infatti, mostrare
comportamenti diurni caratterizzati da aggressività, iperattività, sonnolenza diurna e scarso rendimento scolastico (48).
Non si conosce esattamente quale sia il legame
eziopatogenetico fra i disturbi respiratori notturni
ed i sintomi comportamentali diurni. Certamente
la frammentazione del sonno dovuta ai frequenti
microrisvegli (arousals), l’ipoventilazione e gli squilibri dei gas ematici che questi bambini sperimentano durante il sonno giocano un ruolo importante nella genesi di questi disturbi.
Il dato rilevante è che il 20%-30% dei bambini con
OSAS o con russamento notturno hanno problemi attentivi e di iperattività (49).
Gozal e collaboratori (50), in uno studio condotto
su una popolazione di 1.588 bambini scolarizzati, di
età compresa tra i 13 e i 14 anni, hanno dimostrato che i bambini con rendimento scolastico basso
riferivano all’anamnesi russamento ed intervento di
adenotonsillectomia durante i primi anni di vita, con
una frequenza significativamente maggiore rispetto
ai loro coetanei con rendimento scolastico alto.
Questi dati supportano l’ipotesi che i danni neurocognitivi conseguenti ai disturbi respiratori nel
sonno che si verificano nei primi anni di vita (epoca
del massimi sviluppo di tali funzioni) possano essere recuperabili solo in parte, creando una sorta di
“debito di apprendimento” che potrà compromettere il futuro del bambino (51, 52).
Quale sia la prognosi a lungo termine dei bambini
affetti da OSAS non è del tutto nota. Non è chiaro se l’OSAS del bambino sia precursore
dell’OSAS dell’adulto o se questa sia una malattia
diversa da quella dell’adulto.
In letteratura esiste un solo studio sul follow-up a
lungo termine. In tale studio è evidenziato come
pazienti trattati con adenotonsillectomia in età
pediatrica presentavano nel 13% dei casi una recidiva nelle fasi successive della vita (53).
OSAS e obesità
Lo stesso modello patogenetico, nonché le complicanze, sono condivise dall’obesità.
In particolare, dai dati presenti in letteratura è
emerso che il tessuto adiposo a livello addominale induce uno stato di infiammazione cronica, con
livelli aumentati sia di proteina C-reattiva (PCR)
(54) che di citochine (55-56) nei soggetti obesi.
Il tessuto adiposo è in grado di produrre e rilasciare diversi fattori proinfiammatori quali la leptina e la resistina (57-59), citochine (IL-1,TNF-α, IL6, IL-8, IL-10, VEGF, EGF, MCP-1) e chemochine
(adiponectina) (55-56) che partecipano attivamente allo sviluppo dell’insulino-resistenza e predispongono a danni cardiocircolatori (60).
Tali fattori sono prodotti direttamente dalle cellule adipose e hanno attività pro-infiammatoria.
La produzione di tali mediatori è tanto maggiore
quanto più il tessuto adiposo è ipovascolarizzato ed
in debito di ossigeno, quindi l’ipossia tissutale delle
cellule adipose sembra essere un fattore aggiuntivo.
Appare che l’elemento che potenzia l’infiammazione dei due modelli, OSAS e obesità, è l’ipossia intermittente e/o sostenuta, come ipotizzato da Ryan.
Conclusioni
L’OSAS e l’ipoventilazione sono responsabili di uno
stato infiammatorio sistemico che se non rimosso,
determina danni a vari organi ed apparati.
La comorbidità tra OSAS e obesità ha permesso
di comprendere come il meccanismo patogenetico dell’infiammazione comune alle due sindromi,
possa riconoscere il medesimo modello di ipossia
intermittente e di ipossia cronica.
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Dipartimento di Pediatria, Centro per lo Studio e la Cura dei Disturbi del Sonno, Ospedale “S. Andrea",
II Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Roma “La Sapienza”, Roma
Linee Guida per la diagnosi della
sindrome delle apnee ostruttive nel
sonno in età pediatrica
Diagnostic guidelines in paediatric
obstructive sleep apnea
Parole chiave: diagnosi, sindrome delle apnee ostruttive nel sonno, pediatria, polisonnografia, russamento
Keywords: diagnosis, obstructive sleep apnea syndrome, paediatrics, polysomnography, snoring
Riassunto. Con il termine di “disturbi respiratori nel sonno” (DRS) si intende una serie di disordini caratterizzati da eventi
respiratori che si verificano o sono evidenti durante il sonno. In particolare questo articolo sarà incentrato sulla diagnosi in
pediatria dei disordini respiratori ostruttivi nel sonno associati o meno ad ipoventilazione. Essi rappresentano un ampio capitolo della patologia respiratoria in età pediatrica e comprendono uno spettro di quadri clinici molto ampio che va da una condizione relativamente benigna conosciuta come russamento primario, alla sindrome da aumentate resistenze delle alte vie fino
alla sindrome delle apnee ostruttive in sonno.
Accettato per la pubblicazione il 13 maggio 2009.
Corrispondenza: Prof.ssa Maria Pia Villa, Dipartimento di Pediatria, Ospedale “S. Andrea”, II Facoltà di Medicina e Chirurgia,
Università di Roma “La Sapienza”, Roma; e-mail: [email protected]
Introduzione
La sindrome delle apnee ostruttive nel sonno, o
dall’acronimo inglese OSAS, è un disturbo respiratorio che si verifica nel sonno ed è caratterizzato
da episodi prolungati di ostruzione parziale o
completa intermittente (ipopnea o apnea ostruttiva) delle alte vie che disturbano la ventilazione
notturna (1). Le manifestazioni cliniche nel bambino sono principalmente caratterizzate, in accordo
con quanto definito dall’American Thoracic
Society e dall’American Academy of Pediatrics (2),
da russamento notturno abituale e/o riferite
apnee nel sonno, disturbi neurocognitivi e/o comportamentali. Le complicanze possono includere
ritardo della crescita, disturbi neurologici e, nei casi
più severi, ipertrofia ventricolare destra ed ipertensione polmonare, oggi meno frequenti grazie
ad una diagnosi precoce e ad un più efficace trattamento. La patologia, pur presentando alcune
analogie con quella dell’adulto, risulta molto differente tanto che le definizioni ed i criteri utilizzati
per fare diagnosi di OSAS nell’adulto non sono
applicabili in età pediatrica (3, 4).
In letteratura risultano disponibili pochi lavori epidemiologici nei quali la prevalenza dei disturbi
respiratori del sonno in età prescolare e scolare
varia ampiamente: dal 3.2% al 12.1% per il russamento abituale e dall’1,1% al 2,9% per l’OSAS (5,
6). In Italia Brunetti e collaboratori hanno evidenziato in uno studio condotto su 1.207 bambini una
prevalenza del 4,9% per il russamento abituale e
dell’1,8% per l’OSAS (7).
Nonostante l’OSAS possa colpire qualunque
fascia di età, è stato osservato che il picco di massima incidenza è generalmente compreso tra i 2
e i 5 anni, corrispondente al periodo di massima
iperplasia del tessuto linfatico. È in effetti l’età
Linee Guida per la diagnosi della Sindrome delle Apnee Ostruttive nel Sonno in età pediatrica
nella quale le vegetazioni adenoidee e le tonsille
presentano il massimo sviluppo in rapporto allo
spazio orofaringeo. Un secondo picco di frequenza è descritto nell’adolescenza età in cui l’OSAS si
manifesta con le caratteristiche dell’adulto (risvegli
notturni e sonnolenza diurna).
Occorre, peraltro, sottolineare, come l’eziologia, la
clinica, le caratteristiche polisonnografiche, le complicanze dell’OSAS in età pediatrica non siano le
stesse osservabili nell’adulto.
Il processo di diagnosi, nel bambino con OSAS, è in
continua evoluzione visto il progressivo riconoscimento di nuove espressioni cliniche della malattia e
la disponibilità di nuove metodologie diagnostiche.
Storia ed esame fisico
Una visita pediatrica di routine dovrebbe comprendere sempre una storia clinica riguardante il
sonno ed il russamento. Sebbene essa non sia sufficiente da sola a distinguere il russamento primario dall’OSAS, la storia clinica può essere utile a
selezionare i bambini che devono continuare il percorso diagnostico; infatti una revisione degli studi
della letteratura evidenzia come la valutazione clinica possieda un’elevata sensibilità ed una bassa
specificità per la diagnosi di OSAS. In caso, quindi,
l’anamnesi ponga il sospetto di disturbi respiratori
nel sonno (DRS), l’esame fisico dovrà prendere in
considerazione l’aspetto generale del bambino, il
suo pattern di crescita, la presenza di ostruzione
nasale, l’eventuale presenza ed il grado di ipertrofia adeno-tonsillare. È bene valutare attentamente
la presenza di dimorfismi craniofacciali o anomalie
a
b
dell’oro-rino-faringe, la relazione dentale occlusale,
la geometria del palato duro (palato ogivale) e
molle (palato allungato). Può essere utile a tal proposito al fine di standardizzare la valutazione, utilizzare classificazioni internazionalmente riconosciute come quelle di Friedman o di Mallampati
(Figura 1). L’esame fisico dovrà prendere in considerazione anche l’eventuale presenza di obesità.
Sintomi
Il paziente con DRS si presenta classicamente con
ostruzione nasale, respiro orale, riferito russamento e difficoltà respiratoria in sonno. Il russamento
è il sintomo più riferito dai genitori dei bambini
con OSAS, circa il 96% dei casi (8, 9); talvolta i
genitori riferiscono di aver osservato inoltre apnee
durante il sonno e/o in aggiunta otiti ricorrenti,
vomito, nausea e difficoltà nella deglutizione.
Spesso il sonno di questi bambini è agitato, con
assunzione di posizioni particolari nel sonno (iperestensione del capo, seduta in posizione antiversa)
(10) e sudorazione profusa. Nei casi più gravi i
genitori possono assistere, durante la notte ad una
respirazione forzata con alitamento delle pinne
nasali o rientramenti al giugulo ed intercostali.
Spesso ai DRS si associano parasonnie come il
pavor nocturnus, l’enuresi ed il sonniloquio. Al mattino spesso il bambino si alza con una sensazione
di secchezza della bocca e comunque chiede
acqua anche durante la notte a causa della respirazione orale. Talvolta presenterà cefalea mattutina. Durante il giorno i sintomi più caratteristici
sono caratterizzati da iperattività, dalla presenza di
c
d
a: (1+) Le tonsille occupano meno del 25% dello spazio trasversale dell’orofaringe misurato tra i pilastri
tonsillari anteriori;
b: (2+) Le tonsille occupano meno del 50% dello spazio trasversale dell’orofaringe;
c: (3+) Le tonsille occupano meno del 75% dello spazio trasversale dell’orofaringe;
d: (4+) Le tonsille occupano il 75% o più dello spazio trasversale dell’orofaringe.
Figura 1 Classificazione dell’ipertrofia tonsillare secondo Mallampati. Modificata da Mallampati SR, Can J Anaesth 1985.
39
40
Pagani, et al.
deficit attentivo (con conseguente scarso rendimento scolastico) ed irritabilità (11). Molti di questi sintomi, in particolar modo lo scarso rendimento scolastico, sono risultati essere reversibili
dopo trattamento dell’OSAS (12, 13).
Spesso la voce risulta cambiata, si ha rinolalia e difficoltà alla pronuncia delle consonanti nasali (n ed
m). La sonnolenza risulta un sintomo meno frequente nel bambino rispetto all’adulto, riferito dal
7%-10% dei pazienti con una prevalenza maggiore
nei bambini più grandi (14, 15). Tuttavia quando
presente nel bambino tale sintomo sembra essere
altamente predittivo di DRS e correlare significativamente con la severità dell’OSAS (14).
Benché il test di latenza multipla del sonno (multiple sleep latency test, MSLT) e la scala della sonnolenza di Epworth nei bambini con OSAS presentino valori significativamente differenti nei bambini
con OSAS rispetto ai bambini sani, i valori non
sono da considerarsi anomali secondo i criteri
applicati nell’adulto (12-16), suggerendo l’ipotesi
che i bambini con OSAS possono avere una soglia
della sonnolenza che differisce da quella dell’adulto.
Esame obiettivo
L’esame obiettivo dei bambini con OSAS è variabile. In molti casi il bambino sembra avere solo un
modesto incremento del tessuto linfatico (adenoidi-tonsille) e non mostra necessariamente difficoltà nella respirazione durante la visita. I bambini con
OSAS presenteranno sostanzialmente tre fenotipi:
classico, adulto e congenito.
Fenotipo “classico” (tipo I)
Corrisponde alla vecchia descrizione della facies
adenoidea è caratterizzato da volto allungato
(spesso asimmetrico), espressione apatica, sofferente, occhi clonati con respirazione prevalentemente orale. Le labbra sono spesso ipotoniche
con perdita della competenza labiale. Le cartilagini alari divengono ipotoniche con narici ridotte di
volume. Spesso sono presenti dimorfismi del
volto come naso insellato o deviazioni del setto
con presenza o assenza di ipertrofia dei turbinati. È caratteristica di questo fenotipo la malocclusione scheletrica (alterazione dei rapporti di
combaciamento dei denti determinata da difetti
di crescita del mascellare superiore e della posizione della mandibola), il palato risulta ogivale e
stretto con verticalizzazione della struttura stomatognatica, il palato molle può essere allungato
e le tonsille sono ipertrofiche e spesso occludenti. Non di rado il bambino ha un ritardo di accrescimento staturo ponderale e può presentare
pectus escavatum a causa del lavoro dei muscoli
respiratori.
Fenotipo “adulto” (tipo II)
È quello simile all’adulto caratterizzato dalla presenza di obesità più o meno importante, collo
corto e tozzo spesso associato a dimorfismi cranio-facciali caratterizzati da riduzione della dimensione verticale del volto in particolare con riduzione del terzo inferiore del volto.
Fenotipo “congenito”
È caratterizzato prevalentemente da micrognazia,
ipoplasia mandibolare, retrognazia, contrazione del
mascellare o anomalie cranio-facciali complesse.
Questo fenotipo ha come espressione completa,
per esempio, la sindrome di Pierre Robin ed è
caratteristico dei dimorfismi cranio-facciali presenti nelle sindromi congenite.
Metodi di screening per l’OSAS
Questionari
Sono stati studiati vari questionari per lo screening
dell’OSAS nei bambini, semplici e di facile esecuzione. Tuttavia non sono risultati essere in grado di
distinguere tra russamento primario e OSAS (9).
Recentemente sono stati proposti da Chervin
(17) e Montgomery-Downs (18) i questionari che
sembrano avere il valore predittivo più elevato per
la diagnosi dei diversi DRS.
Ad oggi, comunque, i questionari hanno unicamente un valore indicativo e servono ad indirizzare il
paziente verso gli eventuali esami strumentali.
Registrazione Audio
La registrazione audio può essere utilizzata nell’identificazione del russamento notturno ma non è
in grado di distinguere il russamento primario dal
russamento associato ad OSAS (19, 20). Potrebbe
essere utile nella selezione dei pazienti da indirizzare verso l’esame polisonnografico (20), attualmente non trova alcun utilizzo nella pratica clinica.
Registrazione video
È stato dimostrato da uno studio di comparazione tra una registrazione video domiciliare durante il sonno e la polisonnografia come tale tecnica
Linee Guida per la diagnosi della Sindrome delle Apnee Ostruttive nel Sonno in età pediatrica
Monitoraggio Domiciliare
Le tecniche di monitoraggio domiciliare notturno
nei bambini con OSAS sono migliorate notevolmente. Dati di letteratura evidenziano risultati
simili ottenuti dall’utilizzo di un monitoraggio cardiorespiratorio associato a registrazione video di 8
ore ed esame polisonnografico effettuato in laboratorio soprattutto nel paziente adulto (25, 26).
L’utilità di tale metodica fuori da un ambito scientifico non è stata tuttavia ancora stabilita
Pulsossimetria
Il riscontro di desaturazioni intermittenti durante il
sonno nei bambini è considerato altamente predittivo di OSAS (10, 22).Tuttavia tale tecnica risulta non idonea per la diagnosi dei disordini ostruttivi con ipoventilazione non associati ad ipossemia
(23) e spesso inficiata da artefatti tecnici, quindi
spesso non conclusiva per i diversi DRS. Tuttavia,
essa riveste un ruolo fondamentale nell’algoritmo
diagnostico dell’OSAS del bambino, evidenziato in
particolare dalle Linee Guida italiane. La pulsossimetria domiciliare notturna, può essere, infatti, un
valido strumento diagnostico per la semplicità di
esecuzione, l’economicità e per l’elevato valore
predittivo positivo (97%) nel caso in cui l’esame
mostri il classico pattern caratterizzato da cluster
di desaturazioni cicliche secondo la classificazione
Brouillette (22, 23).
In questa classificazione interpretativa le desaturazioni sono definite come caduta della SaO2 >4%
ed un cluster di desaturazioni è definito come la
presenza di 5 o più desaturazioni in un periodo tra
i 10 e i 30 minuti.
Un esame si definisce (a) negativo quando si verifica una assenza di cluster di desaturazione ed una
assenza di desaturazioni <90% (Figura 2), tracciato
Esami ematici
Dalla letteratura emerge come vi sia un’associazione tra OSAS e disfunzioni metaboliche (2730). Uno dei meccanismi chiave innescato dalla
OSAS nella genesi dello stato infiammatorio cronico è rappresentato dallo stress ossidativo esplicato a livello dei diversi tessuti. Secondo il modello proposto da Ryan e collaboratori (31) la base
fisipatologica di tale meccanismo di flogosi, si
a
SaO2 (%)
L’elettrocardiografia è stata utilizzata tra le tecniche di screening per OSAS sulla base della capacità di identificare la Variabilità della Frequenza
Cardiaca in relazione agli eventi respiratori (24).
Non esistono tuttavia studi che hanno validato
tale tecnica.
100
90
b
100
SaO2 (%)
Elettrocardiografia
superiore); (b) positivo quando sono presenti 3 o più
cluster di desaturazione e almeno 3 desaturazioni
<90% (Figura 2, tracciato intermedio); (c) non conclusivo in assenza di entrambi i criteri (Figura 2,
tracciato inferiore).
La pulsossimetria è in grado di distinguere unicamente il russamento primario dalla sindrome
ostruttiva solo quando l’esame risulta positivo.
Non può oggettivamente diagnosticare la severità
delle OSAS né valutare l’alterazione dell’architettura del sonno. Se la pulsossimetria è positiva
secondo i suddetti criteri si può porre la diagnosi
di OSAS e decidere il piano terapeutico senza
ricorrere alla polisonnografia, mentre in caso di
esame negativo o inconcludente e in caso di persistenza dei sintomi il paziente dovrà sottoporsi
comunque ad esame polisonnografico.
90
80
70
65
c
SaO2 (%)
di monitoraggio possa rapresentare un test di
screening valido per OSAS nei bambini, con una
specificità del 68% ed una sensibilità del 94% (21).
Tuttavia sono necessari ulteriori studi per valutare
l’utilità pratica di tale tecnica.
41
100
90
23:00
01:00
03:00
05:00
07:00
Figura 2 Classificazione delle pulsossimetrie. a, esempio di tracciato negativo; b, esempio di tracciato positivo per diagnosi di
OSAS; c, esempio di tracciato non conclusivo. Modificata da (22).
42
Pagani, et al.
ritrova nel continuo alternarsi di episodi di ipossiareossigenazione caratteristici dell’OSAS. Mentre
una ipossia sostenuta attiva, infatti, una risposta
adattativa attraverso l’aumentata espressione di
diversi geni che codificano per proteine quali
EPO e VEGF mediata dall’attivazione del hypoxia
inducible factor (HIF-1) in risposta alla riduzione
di ossigeno disponibile, i ripetuti episodi di transitoria desaturazione determinano a livello cellulare uno stress mitocondriale ed innescano la
cascata citochinica proinfiammatoria attraverso
l’attivazione del fattore nucleare di trascrizione
NFκB. Gli effetti di tale attivazione aumentano
l’espressione di fattori proaterogeni come il TNFα che contribuisce alla disfunzione endoteliale e
di conseguenza alle complicanze cardiocircolatorie. Come si verifica nel danno indotto dal meccanismo ischemia-riperfusione, aumenta inoltre
la produzione di radicali liberi dell’ossigeno ROS,
intermedi altamente reattivi, capaci di interagire
con tutte le macromolecole biologiche, alterandone la struttura e la funzione in modo spesso
irreversibile. In particolare l’aumento della produzione e della liberazione di ROS a livello delle
cellule endoteliali determina sintesi ed espressione in membrana di molecole di adesione, riduzione dei livelli di NO di derivazione endoteliale,
rolling di linfociti Th ed attivazione della flogosi
parietale, adesione ed attivazione piastrinica,
ossidazione delle LDL e, quindi, danno endoteliale (32-34). Studi in vitro hanno dimostrato come
la sintesi di leptina sia aumentata in seguito ad un
insulto ipossico con un meccanismo di attivazione mediato dall’HIF-1. Gozal ha inoltre mostrato
in un recente studio come i livelli di leptina circolante in soggetti con OSAS siano correlati non
solo al BMI ma anche all’indice di apnea-ipopnea
(AHI) (35). Inoltre la diminuzione dell’ossido
nitrico (NO) circolante associato allo stress
mitocondriale che si verifica nell’OSAS (36)
potrebbe determinare una condizione di riassetto del metabolismo cellulare con una diminuzione nel dispendio di energia ed accumulo di tessuto adiposo come dimostrato da studi sull’effetto di una carenza nella produzione di NO sui
meccanismi dell’omeostasi energetica negli animali di laboratorio (37).
Risulta quindi importante dosare citochine proinfiammatorie ed effettuare l’assetto lipidico nei
pazienti con OSAS per un completo inquadramento diagnostico.
Metodi di studio per il disturbo respiratorio nel sonno in età pediatrica
Polisonnografia standard notturna
L’esame gold standard, raccomandato dall’American
Academy of Pediatrics (AAP), per l’inquadramento
diagnostico e la definizione di severità dei DRS in
età pediatrica è la polisonnografia (2).
“Polisonnografia” è il termine comunemente usato
per indicare una registrazione simultanea di più
parametri fisiologici durante la notte. Le Linee
Guida per l’esecuzione di una polisonnografia
standard sono state pubblicate dall’American
Thoracic Society (ATS) (1) e recentemente
l’American Academy of Sleep Medicine (AASM)
ha revisionato le evidenze di letteratura sulle regole di stadiazione del sonno (38, 39, 40) e pubblicato le regole di scoring degli arousals e degli eventi
respiratori (41).
Normalmente nel corso del test vengono registrati più canali EEG, vari canali elettromiografici, i
movimenti di torace e addome, il flusso oro-nasale, e la saturazione di ossigeno nel sangue.
Le informazioni provenienti dall’elettroencefalogramma (EEG) vengono utilizzate, in questo tipo di
registrazione, prevalentemente nella differenziazione dei vari stadi del sonno. L’elettrooculogramma
(EOG) viene registrato per individuare i movimenti degli occhi utili nella stadiazione del sonno.
Benché l’attività elettromiografica (EMG) durante il
sonno possa essere registrata da qualsiasi gruppo di
muscoli scheletrici, è ormai prassi consolidata utilizzare i muscoli submentonieri per valutare il tono
muscolare. L’EMG, oltre ad essere utile per la stadiazione del sonno, fornisce importanti informazioni per la valutazione delle risposte arousal e sui
movimenti. Durante una polisonnografia standard
inoltre sono abitualmente registrati tre parametri
respiratori: il flusso oro-nasale, i movimenti toracoaddominali, la saturazione di ossigeno. Il flusso aereo
al naso e alla bocca viene comunemente registrato
mediante termocoppia o termistore posto in prossimità di ciascuna narice e della bocca. Viene effettuata inoltre la registrazione del suono che permette di avere informazioni aggiuntive sul grado e sul
tipo di russamento anche se in letteratura non è
riportata una correlazione tra indici rilevati dal
microfono e gravità del disturbo respiratorio
I movimenti di torace e addome possono essere
registrati mediante pletismografia ad impedenza o
ad induttanza, trasduttori pneumatici, strain gauges,
Linee Guida per la diagnosi della Sindrome delle Apnee Ostruttive nel Sonno in età pediatrica
EMG intercostale. La saturazione d’ossigeno
(SaO2) è misurata mediante pulseossimetro; tale
metodica rappresenta lo standard per la valutazione non invasiva continua della saturazione arteriosa di ossigeno. Nella registrazione polisonnografica
è compreso il monitoraggio della CO2; in pazienti
senza patologie polmonari la CO2 può essere
valutata al naso e alla bocca mediante capnografo.
Sebbene la CO2 misurata con questa metodiche
non sia l’esatto specchio di ciò che avviene a livello polmonare tuttavia considerando il valore
medio di plateau di CO2 a fine espirazione (end
tidal CO2) si ha una buona misura della CO2
alveolare e di conseguenza arteriosa.
Una sottostima della reale CO2 alveolare si può
avere nei pazienti con malattie polmonari ostruttive o con aumento della frequenza respiratoria.
L’end tidal CO2 è efficace nello studio dei disturbi
respiratori del sonno ed in particolare nella valutazione delle apnee e nelle ipoventilazioni, tuttavia
è necessaria la continua vigilanza da parte di un
tecnico al fine di mantenere il corretto posizionamento della sonda del capnografo indispensabile
per una corretta stima della CO2.
Nei bambini più piccoli può essere difficile fissare
un catetere nasale per questi casi può essere utilizzato un sistema di monitoraggio transcutaneo
della CO2 (PtcCO2). La PtcCO2 può essere sottostimata in pazienti più grandi o obesi, tuttavia la
differenza in questi casi con la CO2 arteriosa è
minima. Come per la rilevazione della PtcCO2, la
temperatura della sonda richiede continui spostamenti della stessa, almeno ogni 4 ore nel bambino
più grande ed almeno ogni 2 in quello più piccolo,
per evitare lesioni cutanee. L’utilizzo del monitoraggio della CO2 può essere molto utile nella valutazione delle ipoventilazioni e per la valutazioni
delle ostruzioni parziali delle vie aeree.
La frequenza cardiaca è misurata con una singola
derivazione registrata mediante elettrodi posti in
sede precordiale. Di conseguenza la derivazione
ECG della polisonnografia ci fornisce unicamente
informazioni di massima sull’attività cardiaca e non
è sufficiente per trarre conclusioni cliniche su
eventuali cardiopatie. Negli ultimi anni tuttavia si
sono sviluppate nuove metodiche (analisi di spettro della variabilità cardiaca, pulse transit time) che
partendo dal segnale ECG sono in grado di fornire informazioni sul bilanciamento simpato-vagale,
sullo sforzo respiratorio e sulla “quantità dei
microrisvegli” di un sonno.
Altri parametri monitorati sono i movimenti degli
arti inferiori valutati con elettromiografia, la posizione corporea attraverso sensori di posizione o il
monitoraggio video.
I disturbi respiratori nel sonno interessano bambini dai primi mesi di vita fino all’adolescenza. Di
conseguenza il laboratorio del sonno e le attrezzature (sonde, elettrodi, fasce) devono essere
adatte o adattabili alle varie età dei pazienti e al
loro grado di sviluppo fisico e comportamentale.
Il bambino potrebbe, infatti, essere facilmente
spaventato dal dormire in un ambiente estraneo
con molti elettrodi attaccati sul corpo, specie
qualora questo ambiente risulti freddo e poco
ospitale.
Per questi motivi normalmente le stanze di registrazione sono opportunamente arredate per
soddisfare le esigenze del bambino e di un genitore il quale potrà assistere. Sebbene ci siano pochi
dati relativi all’utilizzo dei sonnellini pomeridiani (in
inglese nap) nella diagnosi dei disturbi respiratori
nel sonno negli adulti, in età pediatrica vi sono evidenze che dimostrano che la valutazione di un
sonnellino pomeridiano di un bambino con
sospetta OSAS sia ben correlato con l’esame di
un’intera notte. Tuttavia il valore di tale esame è
puramente indicativo e di primo screening e la
negatività di tale esame non esclude la presenza di
apnee ostruttive invece dimostrabili con un sonno
notturno.
Refertazione degli esami polisonnografici
Analisi del tracciato
I tracciati devono essere valutati secondo i criteri
internazionali e nazionali di scoring del sonno e
degli eventi associati. L’interpretazione dei dati
polisonnografici e la conseguente refertazione,
deve essere eseguita mediante stadiazione manuale da parte del medico esperto in medicina del
sonno; non sono ritenute sufficienti ed attendibili
diagnosi basate sullo score automatico degli eventi
effettuato dal poligrafo.
Definizione degli eventi respiratori durante il sonno
La definizione degli eventi respiratori nel sonno in
età pediatrica si basa principalmente sulle Linee
Guida pubblicate nel 1996 dall’American Thoracic
Respiratory Society e dalle più recenti raccomandazioni (2007) dell’American Academy of Sleep
Medicine.
43
44
Pagani, et al.
Apnee ostruttiva
Nel bambino, una apnea ostruttiva (AO) è definita
come la presenza di movimenti toraco-addominali
associati ad una assenza di flusso oro-nasale della
durata di almeno 2 cicli respiratori. Una apnea
ostruttiva deve essere segnalata polisonnograficamente quando il segnale di flusso subisce un calo
nell’ampiezza della durata di almeno due cicli respiratori (o una durata paragonabile a due cicli respiratori registrati durante il respiro basale di sonno del
soggetto) ≥90% rispetto al flusso basale precedente all’apnea per un tempo ≥90% dell’intero evento
associati a sforzo inspiratorio continuo durante tutta
la durata di cessazione del flusso oro-nasale. Un
evento per essere segnalato deve avere la durata di
almeno due cicli respiratori (o una durata paragonabile a due cicli respiratori registrati durante il
respiro basale di sonno del soggetto).
La durata dell’evento deve essere misurata dalla
fine dell’ultimo respiro normale all’inizio del primo
respiro che raggiunge l’escursione inspiratoria
registrata prima dell’evento stesso.
Le apnee ostruttive sono infrequenti nel bambino
e nell’adolescente ed hanno una durata media di
circa 6 secondi per questi motivi la presenza di
almeno 1 apnea ostruttiva (indipendentemente
dalla durata) per ora di registrazione è da considerarsi non fisiologica in età pediatrica.
Attualmente, non vi sono dati sul significato clinico
delle apnee ostruttive non desaturanti.
L’osservazione di quadri particolari caratterizzati da
ostruzione parziale delle vie aeree (evidenziato da
una riduzione del flusso oronasale rilevato però
dalla cannula nasale) e/o da respiro paradosso associati o non a desaturazione con una evidenza clinica
di disturbi comportamentali e dell’apprendimento,
sonnolenza e sonno frammentato possono suggerire la presenza di una sindrome da aumentate resistenze delle alte vie aeree superiori (upper airway
resistance syndrome, UARS). Sebbene non vi sia un
generale consenso sulla esatta definizione clinica e
diagnostica delle UARS, la valutazione delle variazioni della pressione endoesofagea durante la polisonnografia rimane l’unico gold standard diagnostico di
questa forma di disturbo respiratorio nel sonno.
Apnea centrale
Una apnea centrale (AC) è definita come una
assenza di flusso oro-nasale in corrispondenza di
una assenza di sforzo respiratorio (movimenti
toraco-addominali) per l’intera durata dell’evento.
Una apnea centrale deve essere segnalata polisonnograficamente quando è associata ad una
delle seguenti caratteristiche: l’evento dura più di
venti secondi oppure l’evento dura almeno due
cicli respiratori (o una durata paragonabile a due
cicli respiratori registrati durante il respiro basale
di sonno del soggetto) ma è associato ad un arousal, ad un risveglio o ad una desaturazione ≥ 3%.
Le apnee centrali possono essere osservate come
reperto occasionale, soprattutto durante la fase
REM, in bambini di tutte le età e possono non
avere alcun significato patologico.
Il significato clinico di questi episodi, e soprattutto
degli episodi >di 20 secondi o denaturanti, va
interpretato in base al quesito diagnostico. I valori
di normalità sono pochi in letteratura, tuttavia un
numero di eventi così individuati >3 per ora di
sonno dovrà essere considerato patologico.
Apnea mista
Una apnea mista è caratterizzata da una componente centrale che termina con un quadro ostruttivo. Spesso un sospiro nel sonno incontra un
ostruzione delle alte vie che risulta in una apnea
ostruttiva con aumento dello sforzo inspiratorio
nel tentativo di sbloccare l’ostruzione.
Una apnea mista (AM) deve essere segnalata polisonnograficamente quando i segnali di flusso oronasale incontrano i criteri di durata ed ampiezza
per descrivere una apnea ostruttiva ma l’evento è
associato ad una assenza di sforzo inspiratorio
nella porzione iniziale dell’evento.
Ipopnea
L’ipopnea è definita come la riduzione di almeno il
50% dell’ampiezza del segnale del
flusso oronasale rispetto al flusso basale precedente per un tempo ≥90% dell’intero evento della
durata di almeno 2 cicli respiratori. L’ipopnea è
spesso associata ad arousal, risveglio o ipossiemia
(desaturazioni >3%).
L’ipopnea può essere ulteriormente caratterizzata
come ostruttiva quando è associata a movimenti
in opposizione di fase di torace o addome oppure è definita centrale in caso di riduzione in fase
degli stessi segnali.
Arousal correlati a sforzo respiratorio respiratory
effort-related arousal (RERA)
Uno RERA è definito come un arousal accompagnato da russamento, respirazione rumorosa,
aumento della PETCO2/PtcCO2o ed elementi di
Linee Guida per la diagnosi della Sindrome delle Apnee Ostruttive nel Sonno in età pediatrica
prova visiva di un maggior lavoro respiratorio.
L’evento deve durare almeno due cicli respiratori.
L’evento deve essere considerato polisonnograficamente se uno dei seguenti criteri è presente:
una consistente riduzione di ampiezza del segnale
di flusso nasale di un sensore trasduttore di pressione (<50% rispetto al livello basale) con un
appiattimento della forma d’onda o vi è un progressivo aumento dello sforzo inspiratorio durante l’evento su un sensore di pressione esofagea.
- qualsiasi desaturazione con ipercapnia, soprattutto se associate a un età inferiore ai 3 anni, retroo micro-gnazia, disturbi neuromuscolari, anomalie
craniofacciali.
La gestione del bambino ad alto rischio include
un attento monitoraggio cardiorespiratorio
perioperatorio.
Ipoventilazione
La classificazione di gravità polisonnografica delle
OSAS è riportata nella Tabella 1.
Una ipoventilazione può essere segnata quando
>25% del tempo totale di sonno è trascorso con
una CO2 inferiori a 50 mmHg, misurata con sensori di PtcCO2 e /o PETCO2 sensori.
Calcolo e definizione degli indici polisonnografici
Si definisce indice di apnea il numero di eventi
ostruttivi per ora di sonno. Si definisce indice di
apnea + ipopnea o indice di disturbo respiratorio
(IDR) il numero di eventi apnoici di qualsiasi natura + ipopnee per ora di sonno. Un indice IDR
>1,3 eventi/ora è da considerarsi non fisiologico in
età pediatrica, tuttavia si può considerare francamente patologico un IDR >di 5 eventi/ora.
Indice di apnea (Acronimi: IA-AI)
Si definisce indice di apnea il numero di eventi
ostruttivi e/o centrali per ora di sonno;
Indice di Apnea Ostruttiva (Acronimi: IAO-OAI)
Si definisce indice di apnea ostruttiva il numero di
eventi ostruttivi per ora di sonno;
Indice di Ipopnea (Acronimi: IH-HI)
Si definisce indice di ipopnea il numero di eventi
ipopnoici (ostruttivi e/o centrali) per ora di sonno;
Indice di Apnea-Ipopnea (Acronimi: IAH-AHI-IDR)
Si definisce indice di apnea-ipopnea la somma dell’indice di apnea con l’indice di ipopnea;
Indice di Apnea-Ipopnea Ostruttivo (Acronimi: IAHOOAHI)
Si definisce indice di apnea-ipopnea ostruttivo la
somma dell’indice di Apnea ostruttiva con l’indice
di ipopnea;
45
Classificazione di gravità polisonnografica dell’osas
Percorso diagnostico strumentale
Come suggerito dall’American Academy of
Pediatrics (AAP) (42) dovrebbe essere effettuata
una anamnesi specifica per russamento e DRS a
tutti i bambini in corso dei periodici controlli
pediatrici.
Lo screening per DRS dovrebbe includere
domande sulla eventuale presenza di russamento, respiro forzato, apnee, disturbi neurocognitivi
e/o comportamentali, sonnolenza diurna, deficit
di crescita staturo-ponderale che supporterebbero il sospetto di DRS. In caso di positività nel
riscontro di tali sintomi, vanno ricercati all’esame-obiettivo eventuali fattori di rischio per DRS
quali la presenza di ipertrofia tonsillare, dimorfismi craniofacciali, condizioni neurologiche o sindromiche che determinano disfunzioni nel controllo della pervietà delle vie aeree superiori, ed
obesità.
Tabella 1 Gravità polisonnografica delle OSAS. Modificata
da: Italian Guidelines for the diagnosis of childhood
obstructive sleep apnea syndrome. Minerva Pediatr 2004;
56:239-253.
OSAS - MINIMA
IDR tra 1 e 3 e/o la presenza di russamento continuo per
almeno il 50% del sonno associata a desaturazioni di O2 superiori al 4% (ipoventilazione ostruttiva), e SaO2 media >97%
Predittori di morbilità post-operatoria
OSAS - LIEVE
Il bambino richiede un intensivo monitoraggio
postoperatorio dopo adenotonsillectomia se:
- l’indice di apnea >10 eventi/ora
- l’IDR >40 eventi/ora
- la SaO2 Nadir <70%
OSAS - MODERATA
IDR tra 3 e 5 e SaO2 media >97%
IDR tra 5-10 e SaO2 media >95%
OSAS - SEVERA
IDR >10 o con SaO2 media <95%
46
Pagani, et al.
Tabella 2 Criteri clinici per una corretta scelta degli esami strumentali. Modificata da: Italian Guidelines
for the diagnosis of childhood obstructive sleep apnea syndrome. Minerva Pediatr 2004; 56: 239-253.
Sintomi maggiori
a) Russamento abituale (la maggior parte delle notti) e persistente (da almeno 2 mesi).
b) Pause respiratorie riferite dai genitori abituali e persistenti
c) Difficoltà nel respiro (respiro rumoroso,eccessivo sforzo respiratorio) notturno abituale e persistente
Sintomi minori
a) Russamento occasionale (alcune notti a settimana) ed intermittente (Es. alcuni mesi dell’anno, in occasioni
di episodi influenzali)
b) Pause respiratorie riferite dai genitori occasionali ed intermittenti
c) Difficoltà nel respiro (respiro rumoroso,eccessivo sforzo respiratorio) notturno occasionale ed intermittente
d) Deficit dell’attenzione, scarso rendimento scolastico,
e) Iperattività diurna
f) Eccessiva sonnolenza diurna
Segni maggiori
a) Ipertrofia adeno-tonsillare di grado III e I; e/o Friedman score di grado III e IV
b) Dismorfismi craniofacciali ed anomalie dell’oro-rino-faringe , maleocclusione.
Segni minori
a) Obesità
b) Scarso accrescimento staturo ponderale
c) Ugula allungata e palato molle che toccano la lingua, lingua larga che copre l’arcata dentaria
d) Ipertrofia adeno-tonsillare di grado II e/o Friedman score di grado II
>2
sintomi
maggiori
1 sintomo
maggiore
+ 1 segno
maggiore
Screening
Pulsossimmetria
notturna
Esami
negativi
1 segno
maggiore
+ 1 sintomo
resp. minore
>2
sintomi
maggiori
+ ipertrofia
adenotonsillare
(++; +++)
Esami non
conclusivi
Oppure: patologia
neuromuscolare e
comunque in tutte
le altre condizioni
Polisonnografia
standard notturna
Esami
positivi
Esame
positivo
Esame
negativo
Piano terapeutico
Follow-up
Follow-up
Persistenza dei sintomi
Figura 3 Percorso diagnostico clinico e strumentale. Modificata da Italian Guidelines for the diagnosis of childhood
obstructive sleep apnea syndrome. Minerva Pediatr 2004; 56: 239-253.
Linee Guida per la diagnosi della Sindrome delle Apnee Ostruttive nel Sonno in età pediatrica
sintomo maggiore; due sintomi minori di cui uno o
più di tipo respiratorio in assenza di segni; un sintomo respiratorio minore + un segno minore; un
segno maggiore ed un sintomo minore respiratorio; nel caso in cui sia presente un solo sintomo
minore il paziente dovrà essere seguito clinicamente nel tempo.
Nella Figura 3 è riportato il percorso diagnostico
clinico e strumentale secondo quanto indicato
dalle Linee Guida Italiane.
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Una volta identificati tali fattori di rischio i bambini vanno indirizzati ad uno specialista e quindi ad
eseguire l’esame polisonnografico.
Le attuali Linee Guida italiane (20) suggeriscono di
avviare un paziente con sospetto di OSAS al percorso diagnostico strumentale se sono presenti
più sintomi e segni di DRS come riportato nella
Tabella 2.
In particolare il percorso diagnostico strumentale è indicato per i pazienti che presentano: un
47
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Luigia Brunetti, Giuseppe Tedeschi, Domenica Rizzi, Isabella Colella, Livio Antonazzo, Francesca
Fiore, Valentina Tranchino, Claudia Paglialunga, Laura Calace, Lucio Armenio
Centro di Riferimento Interregionale per le Apnee Infantili; Clinica Pediatrica I “S. Maggiore”,
Università degli Studi di Bari
Terapia medica dei disturbi
respiratori nel sonno
Medical therapy of sleep-disordered
breathing
Parole chiave: disturbi respiratori nel sonno, sindrome delle apnee ostruttive nel sonno, bambini, terapia medica
Keywords: sleep-disordered breathing, obstructive sleep apnea syndrome, children, medical therapy
Riassunto. I disturbi respiratori nel sonno comprendono, in ordine crescente di gravità: il russamento, la sindrome delle
aumentate resistenze delle alte vie, la sindrome delle apnee ostruttive nel sonno.
La causa di gran lunga più frequente di ostruzione naso-faringea nel bambino è l’ipertrofia adenotonsillare.
I disturbi respiratori nel sonno se non diagnosticati in tempo e, soprattutto, se non trattati opportunamente e precocemente,
possono portare ad una serie di complicanze quali disfunzioni cardiache, ipertensione polmonare, ritardi di crescita, danni neurocognitivi.
I cardini della terapia dell’OSAS sono la terapia medica, l’adeno-tonsillectomia, la terapia ortodontica e la ventilazione meccanica non invasiva.
Accettato per la pubblicazione il 13 maggio 2009.
Corrispondenza: Prof.ssa Luigia Brunetti, Clinica Pediatrica I “S. Maggiore”, Università di Bari, Bari;
e-mail: [email protected]
Introduzione
L’aria che raggiunge le vie aeree inferiori presenta delle caratteristiche fisico-chimiche assolutamente differenti da quella che impatta nelle
prime vie respiratorie. Le fosse nasali partecipano a produrre tali modificazioni attraverso meccanismi di umidificazione e riscaldamento da un
lato e di purificazione dall’altro. Questa peculiarità fisiologica si realizza grazie all’esistenza di strutture anatomo-funzionali all’uopo preposte (turbinati, shunt artero-venosi, etc.). Qualsiasi alterazione dell’integrità morfo-funzionale di tali strutture
compromette il passaggio di aria nelle vie aeree
superiori e può condurre ai disturbi respiratori
nel sonno (DRS).
Essi comprendono, in ordine crescente di gravità, il
russamento, la sindrome delle aumentate resistenze delle alte vie aeree (upper airway resistance
syndrome, UARS), la sindrome delle apnee ostruttive
nel sonno (obstructive sleep apnea syndrome, OSAS).
La causa di gran lunga più frequente di ostruzione
naso-faringea nel bambino è l’ipertrofia adenotonsillare che gioca il suo ruolo più importante nella
fascia di età compresa tra i 3 e i 6 anni. Altre cause
frequenti sono quelle che comportano il realizzarsi di una rinite cronica come la rinosinusite e la flogosi allergica.
L’incidenza dei disturbi respiratori nel sonno oscilla in età prescolare e scolare e varia ampiamente
dal 3,2% al 12,1% per il russamento abituale e
dall’1,1% al 4,3% per quanto concerne l’OSAS. In
linea con tali stime uno studio effettuato in Italia su
una larga coorte di bambini (1.207 totale) ha
mostrato una prevalenza del 4,9% del russamento
abituale e dell’1,8% dell’OSAS (1).
Terapia medica dei disturbi respiratori nel sonno
I DRS, se non diagnosticati in tempo e soprattutto
se non trattati opportunamente e precocemente,
possono portare ad una serie di complicanze quali
disfunzioni cardiache, ipertensione polmonare,
ritardo di crescita, danni neurocognitivi (2-4).
I cardini della terapia dell’OSAS sono la terapia
medica, l’adeno-tonsillectomia, la terapia ortodontica e la ventilazione meccanica non invasiva.
Spesso il trattamento d’elezione è chirurgico
anche se esiste, a nostro parere, uno spazio per un
approccio basato su una terapia medica ragionata,
che sebbene non perfettamente standardizzata
nelle sue indicazioni, offre tuttavia la possibilità di
attenuare o risolvere in maniera definitiva il problema. Infatti l’ipertrofia dei tessuti linfoidi delle
alte vie respiratorie presenta caratteristiche di
reversibilità e di dinamicità tali da giustificare, in
ogni caso, un trattamento medico, almeno in
prima battuta.
Il primo approccio alla gestione del bambino con
disturbi respiratori nel sonno è rappresentato,
inizialmente, dalla gestione della eventuale malattia di base, costituita principalmente dall’obesità e
dall’atopia (5).
Gestione della malattia di base
Obesità
L’obesità è certamente uno dei più importanti fattori di rischio per lo sviluppo di OSAS sia nell’adulto che bambino, tuttavia i meccanismi alla base
di ciò non sono ancora completamente chiariti.
Un incrementato accumulo di tessuto adiposo a
livello dei muscoli faringei, una riduzione nella compliance della parete toracica, uno spostamento in
alto del diaframma ed una ridotta sensibilità del
drive respiratorio a livello centrale potrebbero
essere responsabili di un aumento della collassabilità del tratto respiratorio e così dello sviluppo di
OSAS (6).
In età pediatrica, il calo ponderale ha un’efficacia
minore rispetto all’adulto nella terapia dei disturbi respiratori nel sonno, tuttavia l’American
Academy of Pediatrics consiglia (benché non lo
consideri uno specifico trattamento) di adottare
strategie per la perdita del peso in bambini
OSAS obesi, ed in questi soggetti spesso la perdita di peso ha maggiore successo dopo la disostruzione delle alte vie aeree (7).
Smith e collaboratori in uno studio randomizzato
in pazienti con OSAS hanno dimostrato che una
dieta ipocalorica della durata di 5 mesi determina
un netto miglioramento dell’indice di apnea-ipopnea sia durante il sonno non-REM che durante
quello REM (8).
Successivamente Kansanene e collaboratori hanno
valutato l’efficacia di una dieta ipocalorica in
pazienti obesi con OSAS, dimostrando come la
perdita di peso correllasse effettivamente con una
riduzione nel numero degli episodi di apnea ed
ipopnea e soprattutto con l’indice di desaturazione dell’emoglobina, definito come il numero di
episodi di desaturazione dell’ossigeno >4% per
ora di sonno (9).
Tutti questi dati, pertanto, suggeriscono che il calo
del peso in eccesso concorre ad un miglioramento significativo dell’OSAS (10).
Atopia
Negli ultimi anni è stato sottolineato come la flogosi immunoallergica rivesta una grande importanza nel bambino con disturbi respiratori nel
sonno; oggi la rinite allergica è presente in circa il
40% dei bambini con OSAS e ne costituisce un
importante fattore di rischio (11).
Da un punto di vista fisiopatologico la rinite determina edema generalizzato della mucosa nasale,
ipertrofia dei turbinati, congestione nasale ed in
ultima analisi ostruzione nasale. Queste condizioni,
attraverso un aumento delle resistenze delle alte
vie aeree, sono corresponsabili dell’insorgenza dei
DRS.
L’elevata prevalenza di atopia nei soggetti affetti da
russamento primitivo ed OSAS viene confermata
dai dati epidemiologici attualmente disponibili in
letteratura.
McColley e collaboratori hanno sottoposto 39
bambini, russatori abituali, a polisonnografia notturna. Il 36% dei soggetti esaminati aveva un test
di radio-allergo-assorbimento (radio-allergo-sorbent
test, RAST) positivo per uno o più allergeni alimentari o inalanti, dato significativamente superiore
rispetto all’incidenza riportata nella popolazione
pediatrica generale. Gli stessi Autori hanno poi
messo in evidenza come la prevalenza di OSAS
fosse del 57% tra gli atopici e del 40% fra i non
allergici. La gravità delle OSAS, al contrario, non
presentava variazioni statisticamente significative
fra atopici e non (12).
Inoltre esistono sufficienti prove sperimentali che
supportano l’ipotesi che le adenoidi siano coinvolte nel processo di sensibilizzazione allergica. Infatti,
51
52
Brunetti, et al.
in un recente studio, condotto su 32 bambini, di
cui la metà allergici, sottoposti ad adenoidectomia,
è stato dimostrato un incremento, nel gruppo dei
soggetti allergici, delle cellule CD1a+, cellule presentanti l’antigene, e degli eosinofili. Questi dati
sembrano dimostrare che nelle adenoidi degli atopici si realizza la presentazione degli antigeni, che è
alla base del processo della flogosi allergica, nonché il reclutamento di cellule che sono profondamente coinvolte nello stesso processo infiammatorio, come gli eosinofili (13).
Pertanto diventa, inoltre, indispensabile mettere in
atto una serie di interventi di supporto, quali la
prevenzione ambientale per acari e l’eliminazione
degli inquinanti ambientali, tutti potenziali fattori
aggravanti dell’OSAS (10).
Terapia medica
Di recente la comunità scientifica ha posto maggiormente l’attenzione sul ruolo dell’infiammazione nella genesi e nel mantenimento dei disturbi
respiratori nel sonno sia negli adulti che nei bambini (14). Uno dei meccanismi chiave innescato
dall’OSAS nella genesi dello stato infiammatorio
cronico è rappresentato dallo stress ossidativo
esplicato a livello dei tessuti. Secondo il modello
proposto da Ryan (15) la base fisiopatologica di
tale meccanismo di flogosi si ritrova nel continuo
alternarsi di episodi di ipossia-riossigenazione
caratteristici dell’OSAS.
Questa ipossia intermittente alternata a riossigenazione, associata allo stress ossidativo ed al processo infiammatorio sistemico, caratterizzato da
elevati livelli di diversi mediatori pro-infiammatori,
potrebbe predisporre allo sviluppo successivo di
complicanze cardiovascolari (16, 17).
Un ruolo fondamentale viene svolto dai neutrofili,
i quali sono in grado di liberare una grande quantità di radicali liberi, leucotrieni ed enzimi proteolitici responsabili del danno vascolare (18, 19).
Lo studio di Dyugovskaya e collaboratori ha dimostrato per la prima volta come in pazienti con
OSAS modereta o severa si assiste ad una ritardata apoptosi dei neutrofili e ad un incrementato
numero di molecole di adesione sulla loro superficie cellulare; gli stessi Autori, inoltre, hanno evidenziato come la percentuale di neutrofili che
andava incontro ad apoptosi era inversamente
proporzionale al grado di severità dell’OSAS (20).
Anche la proteina C-reattiva (PCR), sebbene
costituisca un marcatore aspecifico di flogosi,
potrebbe facilitare direttamente la costituzione
delle placche ateromatose, attraverso una riduzione nella sintesi di ossido nitrico e attraverso l’induzione, a livello delle cellule endoteliali, di particolari molecole di adesione (21-23).
Nell’ultimo decennio, inoltre, diversi studi hanno
focalizzato l’attenzione sulla correlazione tra i livelli plasmatici di PCR ed i disturbi respiratori nel
sonno (24-26). In particolare Tauman e collaboratori hanno evidenziato, in 81 bambini con OSAS,
una significativa correlazione tra i livelli plasmatici
di PCR e l’indice di apnea-ipopnea e come tale
correlazione fosse maggiore nei pazienti che presentavano danni neurocognitivi (27).
Tali osservazioni hanno rafforzato l’indicazione ad
un approccio non chirurgico basato sull’utilizzo di
farmaci antiinfiammatori per uso sistemico o topico nel trattamento dei disturbi respiratori nel
sonno.
Disostruzione nasale: corticosteroidi
topici
Nell’ultimo decennio diversi Autori hanno proposto l’uso di corticosteroidi topici intranasali nel
tentativo di ridurre la flogosi persistente della
mucosa nasale e la massa adenoidea evitando, in
tal modo, l’ablazione di un tessuto immunologicamente funzionante ed evitando al bambino i rischi
connessi all’intervento chirurgico (28-33).
Nel 1995 Demain e collaboratori in uno studio in
doppio cieco contro placebo con crossover, hanno
dimostrato che i pazienti sottoposti a terapia topica con beclometasone in soluzione acquosa (336
µg/die), dopo 4 settimane presentavano una riduzione del grado di ostruzione nasale significativamente maggiore rispetto al gruppo trattato con
placebo e, dopo il crossover, si assisteva ad una
ulteriore riduzione delle dimensioni delle adenoidi
in entrambi i gruppi per una sorta di “effetto di
trascinamento” dovuto al beclometasone nel
gruppo trattato con il farmaco. Anche la sintomatologia clinica durante le 8 settimane mostrava un
significativo miglioramento se paragonata allo
score clinico iniziale o a quello del gruppo placebo.
La riduzione delle dimensioni delle adenoidi sarebbe riconducibile ad una azione linfocitolitica diretta dello steroide e secondariamente ad una generale inibizione della risposta infiammatoria operata
dai cortisonici (28).
Terapia medica dei disturbi respiratori nel sonno
Ad analoghi risultati giunsero Berlucchi e collaboratori, i quali, nel 2007, in un trail randomizzato
contro placebo, hanno dimostrato l’efficacia del
momestasone furoato nel determinare un riduzione delle dimensioni delle adenoidi e della sintomatologia clinica ad esse associata, giungendo alla
conclusione che nei pazienti con ipertrofia adenoidea, non associata ad ipertrofia tonsillare,
sarebbe auspicabile far precedere il trattamento
con mometasone furoato (50 µg/die) prima di
programmare l’intervento chirurgico (34).
I cortisonici topici nasali si sono dimostrati utili nel
migliorare la severità delle apnee notturne in bambini con ipertrofia adeno-tonsillare. Infatti, nel
2001 Brouillette et collaboratori in uno studio
randomizzato, controllato con placebo, su bambini
affetti da apnea ostruttiva nel sonno diagnosticata
con esame polisonnografico hanno dimostrato,
dopo un periodo di trattamento di 6 settimane
con fluticasone nasale (200 µg/die nella prima settimana e di 100 µg/die nelle successive 5 settimane) un netto miglioramento del quadro clinico
ostruttivo nel 92,3% dei pazienti trattati con fluticasone documentato dalla riduzione dell’indice
apnea/ipopnea mista/ostruttiva nel gruppo fluticasone e della frequenza di desaturazioni (29).
Ad analoghi risultati è giunto Gozal, il quale ha
dimostrato come l’utilizzo quotidiano di budesonide intranasale (32 µg/die), per 6 settimane seguito
da altre 6 settimane in maniera alternata, dopo un
periodo di wash out di 2 settimane, riduce la severità della sintomatologia clinica in pazienti con
OSAS lieve e come questo miglioramento perdura per almeno 8 settimane dopo la sospensione
della terapia intranasale (35).
Ci sono pochi studi che valutano la durata dell’effetto terapeutico del corticosteroide, sebbene
Criscuoli e collaboratori abbiano dimostrato
come bambini sottoposti a trattamento topico
con beclometasone presentavano una significativa
riduzione della severità dell’ostruzione nasale a 24,
52 e 100 settimane dopo la sospensione della
terapia medica (36).
Ad analoghi risultati è giunto Alexopoulos e collaboratori, i quali hanno studiato l’efficacia della
budesonide intranasale (somministrata per 4 settimane) sull’indice di apnea-ipopnea e sulla sintomatologia diurna in bambini affetti da russamento
e OSAS da lieve a moderata dimostrando, dopo 2
settimane di trattamento, una riduzione di tale
indice ed un miglioramento della sintomatologia
clinica che si protraeva per circa 12 mesi dopo la
fine del trattamento (37).
Sembra opportuno sottolineare che la complessiva risposta favorevole agli steroidi topici può essere spiegata dall’alta espressione dei livelli dei recettori dei glicocorticoidi nei tessuti linfatici dei bambini con OSAS come evidenziato dallo studio di
Goldbart e collaboratori (38).
L’impiego dei cortisonici topici troverebbe un’ulteriore giustificazione nella possibilità di modificare
patogeneticamente il processo di sensibilizzazione
allergica che pare realizzarsi nelle adenoidi. Infatti i
cortisonici topici riducono la congestione mucosale, attraverso una serie di attività definite genericamente antinfiammatorie (tra cui la riduzione del
numero delle mastocellule, linfociti Th2, eosinofili)
e, soprattutto, attraverso un blocco dell’inibizione
dell’apoptosi indotta dalla IL-4 (39, 40).
L’utilizzo prolungato di corticosteroidi sistemici,
invece, genera elevate concentrazioni plasmatiche
che correlano con una riduzione del sistema ipotalamico-ipofisario. Le variazioni indotte sui livelli
circadiani del cortisolo interferiscono con molteplici meccanismi biologici, tra cui la crescita, specie
nei bambini e negli adolescenti (40). La somministrazione per via topica, però, riduce drasticamente questi effetti indesiderati (41-43).
Gli eventuali effetti sulla crescita degli steroidi topici usati a lungo termine nei bambini (dai 3 ai 9
anni) sono stati valutati nello studio di Schenkel e
collaboratori, in cui è emerso come le altezze
medie e la velocità di crescita siano risultate simili
nei due gruppi di confronto dopo un anno di trattamento con mometasone furoato (44).
Ad analoghi risultati è giunto Ratner, il quale ha
sottoposto a trattamento intranasale con mometasone furoato (100 µg/die) per 12 mesi, dimostrando nessuna soppressione dell’asse ipotalamico-ipofisario (45).
È stato dimostrato, inoltre, come il mometasone
furoato (100-200 µg/die) non sia praticamente
rintracciabile nel plasma di bambini e di adulti e
risulti sotto la soglia di rilevamento perfino in
pazienti trattati con dosaggi 12 volte maggiori
rispetto a quelli raccomandati (46).
Rosenblut e collaboratori hanno dimostrato
come la somministrazione intranasale di fluticasone furoato (110 µg/die) per 12 mesi, rispetto
ad un gruppo controllo, non determinava effetti
avversi, fatta eccezione per l’epistassi, e che non
emergeva nessuna differenza significativa nella
53
54
Brunetti, et al.
quantità di cortisolo urinario escreto nelle 24 ore
nel gruppo dei pazienti trattati rispetto al gruppo
controllo (47).
I corticosteroidi intranasali, pertanto, si propongono come terapia di prima scelta nei pazienti con
OSAS lieve-moderata, nei russatori abituali ed in
bambini con OSAS “residua”, ossia coloro che
presentano sintomi dopo qualsiasi altro tipo di
intervento terapeutico.
Disostruzione nasale: corticosteroidi sistemici
Dai dati presenti in letteratura emerge un solo
studio che esamina il ruolo degli steroidi sistemici
nell’OSAS. Nel 1997 Al-Ghamdi e collaboratori
hanno sottoposto 10 bambini con OSAS, documentata polisonnograficamente, ed ipertrofia adenotonsillare ad un ciclo di 5 giorni con prednisone
per os (1,1+/-0,1 mg/kg/die) dimostrando una
riduzione non significativa della sintomatologia clinica e degli indici polisonnografici e concludendo
così che un breve ciclo di prednisone per os è inefficace nel trattamento delle OSAS in pazienti
pediatrici con ipertrofia adenotonsillare (48).
Antileucotrieni
Il recente riscontro, in bambini affetti da sleep
apnea, di una sovraespressione dei recettori dei
cisteinil-leucotrieni (LTR1 e LTR2) nel tessuto
tonsillare (49) e la preliminare evidenza che i leucotrieni rivestono un importante ruolo come
mediatori della flogosi nelle vie aeree superiori e
come responsabili della proliferazione del tessuto linfoadenoideo (50, 51) ha indotto la comunità scientifica ad avanzare l’ipotesi secondo la
quale la somministrazione sistemica di antileucotrieni potrebbe migliorare l’OSAS di grado lievemoderato. Goldbart e collaboratori hanno valutato 24 bambini con OSAS di grado moderato
ed ipertrofia adenoidea, i quali furono sottoposti
a monoterapia con montelukast per 16 settimane; al termine del trattamento i pazienti presentarono una significativa riduzione nelle dimensioni delle adenoidi ed un significativo miglioramento dei disturbi respiratori nel sonno (52). Gli
stessi Autori hanno dimostrato, inoltre, che la
terapia antinfiammatoria combinata con budesonide intranasale e montelukast per via orale per
12 settimane migliora drasticamente e/o normalizza i disturbi respiratori nel sonno in 22 bambini con OSAS lieve residua dopo interevento di
adenotonsillectomia (53).
Decongestionanti orali e nasali
I decongestionanti nasali sono rappresentati da
una vasta gamma di principi attivi disponibili singolarmente o in associazione, sia sotto forma di preparazioni per uso topico sia sistemico. Essi possono effettivamente ridurre la congestione e l’ostruzione nasale migliorando di conseguenza la qualità
del sonno; tuttavia, possono indurre, se usati per
periodi superiori a 5 giorni, reazioni avverse a livello sia locale che sistemiche (54). In particolare si
può manifestare irritazione locale transitoria; inoltre la vasocostrizione indotta dai decongestionanti topici può essere seguita da vasodilatazione o
congestione rebound (55) che sembra essere
meno marcata per i derivati imidazolinici e per
l’ossifenil-propilamina iodio idrato. Nel tempo la
ridotta sensibilità dei recettori alfa adrenergici può
causare tachifilassi. L’abuso dei vasocostrittori,
indotto dal fenomeno della congestione rebound e
della tachifilassi, e lo scorretto uso del farmaco
possono determinare alterazioni prolungate della
mucosa che risultano in rinite atrofica medicamentosa che è particolarmente pericolosa in
bambini al di sotto dei 6 mesi di età in cui la respirazione è soprattutto nasale. Poiché la mucosa
nasale è una buona superficie di assorbimento
(56), in circostanze rare, quantità significative di
questi farmaci possono essere assorbite e causare
a livello sistemico effetti simpaticomimetici. Le reazioni avverse più significative sono a carico dell’apparato cardiovascolare (ipertensione arteriosa,
tachicardia, pallore, sudorazione, bradicardia, ipotensione arteriosa) e del sistema nervoso centrale (cefalea, depressione neurologica con sintomi
che vanno dalla sonnolenza fino al coma e depressione respiratoria). I bambini e i lattanti sono più
sensibili agli effetti sistemici rispetto agli adulti.
Uno studio retrospettivo brasiliano condotto su
72 bambini di età compresa tra due mesi e 13
anni esposti a derivati imidazolinici, sia per via
orale che per via nasale, ha evidenziato un’alta incidenza di reazioni avverse (57 su 72 bambini esposti). Le reazioni non risultavano essere gravi; erano
prevalentemente a carico del sistema nervoso
centrale, cardiovascolare e respiratorio; interessavano bambini al di sotto di 3 anni ed erano più frequenti negli esposti a nafazolina rispetto a quelli
esposti a ossimetazolina (57).
Una revisione sistematica dal Cochrane Database,
aggiornata al 2007, effettuata con lo scopo di
valutare negli adulti e nei bambini l’efficacia e la
Terapia medica dei disturbi respiratori nel sonno
sicurezza dei decongestionanti nasali, ha evidenziato la mancanza di validi studi di efficacia nella
popolazione pediatrica (58). Le differenze esistenti tra la popolazione adulta e quella pediatrica, sia
nell’anatomia nasale sia nella tolleranza ai farmaci,
non permettono, secondo gli Autori, un’estrapolazione dell’efficacia e della sicurezza dei decongestionanti nei bambini. Gli Autori concludono che
fino a quando non saranno pubblicati lavori che
dimostrino l’efficacia dei decongestionanti nasali in
bambini, l’uso di questi farmaci non è raccomandato nei bambini al di sotto di 12 anni.
Antibiotici
Il ruolo degli antibiotici nel management dell’ipertrofia adenotonsillare e dell’OSAS è ancora discusso. È stata avanzata l’ipotesi che gli antibiotici
possano ridurre le dimensioni delle adenoidi,
migliorare i sintomi ostruttivi ed in tal modo evitare l’intervento chirurgico.
Scalfani e collaboratori nel 1998, in uno studio contro placebo, hanno sottoposto bambini (dai 2 ai 16
anni) con sintomatologia ostruttiva da ipertrofia
adenotonsillare cronica a terapia antibiotica con
amoxicillina/clavulanata (40 mg/Kg in 3 dosi giornaliere) per un periodo di 30 giorni evidenziando
come, al follow-up di 1 mese, tale ciclo riduceva
significativamente la necessità dell’intervento chirurgico rispetto al gruppo controllo (37,5% vs 62,7%).
Questa riduzione relativa persisteva ai successivi follow-up a 3 mesi (AMOX/CLAV 54,5% vs placebo
85,7%) e 24 mesi (AMOX/CLAV 83,3% vs placebo
98,0%) sebbene, durante questi follow-up, la percentuale assoluta di pazienti che richiedevano l’intervento chirurgico aumentava in entrambi i gruppi.
Gli Autori, pertanto, concludevano che la terapia
antibiotica poteva essere intrapresa quando era
necessario un miglioramento a breve, sia pur temporaneo, della sintomatologia o quando l’intervento chirurgico era gravato da elevati rischi (59).
Successivamente Debra e collaboratori hanno
valutato, in uno studio in doppio cieco contro
placebo, l’efficacia della terapia antibiotica con
azitromicina (12 mg/kg/die) per 5 giorni, ripetuta
ad intervalli di 6 giorni per un totale di 3 cicli, in
bambini con ipertrofia adenotonsillare e sintomi
suggestivi di OSAS, andando a valutare i parametri polisonnografici prima e dopo tale il trattamento e concludendo che la terapia antibiotica poteva determinare solo un miglioramento temporaneo nell’OSAS dovuta ad ipertrofia adeno-tonsillare, ma non costituiva una terapia sostitutiva all’intervento chirurgico (60).
Lavaggi nasali
I lavaggi delle fosse nasali rappresentano sicuramente un intervento medico utile per ridurre i sintomi dovuti all’ostruzione nasale. L’impiego sempre più capillare delle cosiddette docce nasali
micronizzate ha molto migliorato la possibilità di
eseguire una buona toilette nasale (diluizione del
muco, rimozione di secrezioni, croste, microparticelle estranee, allergeni, batteri, idratazione delle
mucose) (61). L’impiego, inoltre, relativamente
recente, di soluzioni ipertoniche al posto delle tradizionali soluzioni iso- o ipo-toniche sembra
migliorare la clearance mucociliare, almeno in individui sani (62).
Ossigenoterapia
L’ossigenoterapia può essere prescritta per migliorare l’ipossia notturna per brevi periodi in casi speciali, quali neonati con anomalie craniofaciali, o in
pazienti con OSAS grave che non hanno beneficiato dell’intervento di adenotonsillectomia o che non
tollerano la terapia tramite continuous positive airway
pressure (CPAP). È importante monitorare la CO2
affinché la normalizzazione della ossiemia non
mascheri un’ipercapnia pericolosa. L’ossigenoterapia
comunque non previene l’ostruzione e le complicanze delle alte vie aeree quali la frammentazione
del sonno e l’aumentato lavoro respiratorio; inoltre
potrebbe peggiorare l’ipoventilazione (10, 63).
Conclusioni
In conclusione, la diagnosi ed il trattamento precoce dei disturbi respiratori nel sonno (capitolo
importante della salute del bambino) evitano,
riducendo la durata della sintomatologia clinica, le
complicanze dei disturbi respiratori nel sonno così,
probabilmente, da modificarne la storia naturale.
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Maria Pia Villa, Filomena Ianniello, Anna Claudia Massolo
Dipartimento di Pediatria, A.O. “S. Andrea”, II Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università “La
Sapienzà” Roma
Terapia integrata nel bambino con
disturbi respiratori notturni
Management of paediatric obstructive
sleep apnea syndrome
Parole chiave: terapia, apnee ostruttive nel sonno, ipertrofia adenotonsillare, infiammazione, russamento
Keywords: treatment, obstructive sleep apnea, adeno-tonsillar hypertrophy, inflammation, snoring
Riassunto. L’apnea ostruttiva nel sonno nel bambino si presenta non solo come un disturbo ad elevata prevalenza ma anche
come una sindrome caratterizzata dall’associazione di numerosi quadri morbosi. Le maggiori conseguenze riguardano l’apparato cardiovascolare, il sistema nervoso, con alterazioni neuro-comportamentali ed il metabolismo. Il trattamento dell’OSAS è
rappresentato dalla terapia chirurgica, meccanica o medica. Il trattamento chirurgico ha il fine di aumentare lo spazio a disposizione nell’ambito delle vie aeree superiori. Sebbene l’adenotonsillectomia sia la tecnica più largamente utilizzata nei bambini
con OSAS, una valida alternativa è rappresentata dal trattamento ortopedico ortodontico (placca di riposizionamento mandibolare ed espansore rapido del palato) ed il trattamento medico che include la perdita di peso nei bambini obesi, gli steroidi nasali e la somministrazione di antinfiammatori sistemici per via orale o topici. La ventilazione meccanica non invasiva a pressioni positive continue si avvale di maschere nasali e determina una risoluzione dell’OSAS attraverso l’apertura delle vie aeree.
Questo articolo si focalizza sulle diverse opzioni terapeutiche e sulla valutazione della loro efficacia nel trattamento delle apnee
ostruttive nel sonno nel bambino.
Accettato per la pubblicazione il 13 maggio 2009.
Corrispondenza: Prof.ssa Maria Pia Villa, Dipartimento di Pediatria, A.O. “S. Andrea”, II Facoltà di Medicina e Chirurgia,
Università di Roma “La Sapienza”, Roma; e-mail: [email protected]
Introduzione
Negli ultimi anni molti studi hanno cambiato il
nostro modo di guardare ai disturbi respiratori nel
sonno (DRS) in età pediatrica ed in particolare le
novità sulla eziopatogenesi di questo spettro di
quadri clinici hanno indotto la comunità scientifica
a rivederne l’approccio terapeutico (1-3). Essendo
infatti l’eziopatogenesi multifattoriale, anche l’approccio terapeutico deve spesso essere multifattoriale ed interdisciplinare.
I cardini della terapia dell’OSAS ad oggi sono rappresentati da terapia medica, asportazione delle
adenoidi e delle tonsille, terapia ortodontica e
ventilazione meccanica non invasiva.
La terapia chirurgica con intervento di adenotonsillectomia rappresenta la prima scelta nei bambini con OSAS severo ed ipertrofia adenotonsillare.
Una metanalisi dei dati pubblicati in letteratura ha
messo in evidenza infatti un tasso di successo dell’intervento di adeno-tonsillectomia pari circa all’85%
(4) con valori inferiori nei bambini obesi o nei bambini con OSAS molto severo (5-9).Tali dati supportano l’importanza di effettuare un follow-up polisonnografico nei bambini sottoposti ad intervento chirurgico (9) e suggeriscono inoltre che la ricorrenza
del disturbo respiratorio nel sonno presenta un’incidenza maggiore nei bambini in cui concorrono altri
fattori di rischio nella eziologia del DRS, quali l’obesità e le alterazioni scheletriche morfo-strutturali
(palato ogivale, microretrognazia, etc.) (10).
Un intervento aggiuntivo per i bambini in cui l’adenotonsillectomia non porta a risoluzione dell’OSAS
o in cui residua un OSAS moderato-severo è
60
Villa, et al.
rappresentato dalla ventilazione meccanica non
invasiva con pressioni positive continue per via
nasale (nasal continuous positive airway pressure, NCPAP) (11-16). Nonostante la scarsa disponibilità
di maschere pediatriche adatte alle dimensioni del
volto, il tasso di aderenza sembra essere soddisfacente (17) e può essere incrementato attraverso
supporto alle famiglie ed accorgimenti comportamentali. (18).
La maggiore difficoltà dal punto di vista terapeutico si incontra nella gestione di quei bambini
appartenenti alla così detta “zona grigia”, con
valori del apnea-ipopnea index (AHI) compresi
tra 1 e 5 eventi/ora, che configurano una OSAS
lieve. In questi pazienti è infatti necessario effettuare una attenta analisi del rapporto rischiobeneficio di fronte alle diverse opzioni terapeutiche. Ecco perché sono stati studiati approcci
terapeutici alternativi rispetto a quello chirurgico
o ventilatorio. Uno di questi è rappresentato
dalla terapia cortisonica nasale che, da diversi
studi (19-23) è risultato essere in grado di determinare una significativa riduzione dell’AHI soprattutto nei bambini con ipertrofia adenoidea, associato ad un miglioramento del quadro clinico. In
aggiunta, dati di letteratura evidenziano come
elevate concentrazioni di leucotrieni e dei loro
recettori siano presenti a livello delle vie aeree
nei bambini con OSAS (24-25). Questo darebbe
conto della buona risposta alla terapia con antagonisti specifici del recettore per leucotrieni (24).
Tale approccio è risultato soddisfacente anche
dopo intervento di adeno-tonsillectomia per
l’OSAS residua (26).
L’approccio ortodontico infine sembrerebbe rappresentare una valida alternativa alla adenotonsillectomia o come terapia coadiuvante o come
primo intervento in assenza di ipertrofia adenotonsillare; la modificazione della struttura stomatognatica potrebbe inoltre prevenire le recidive
come mostrato dai dati di letteratura ad oggi disponibili (27-29).
Terapia medica
Di recente la letteratura ha posto l’attenzione sul
ruolo della infiammazione nella genesi dei disturbi respiratori nel sonno (30). Uno dei meccanismi chiave innescato dalla OSAS nella genesi
dello stato infiammatorio cronico è rappresentato dallo stress ossidativo esplicato a livello dei
diversi tessuti. Secondo il modello proposto da
Ryan, la base fisipatologica di tale meccanismo di
flogosi, si ritrova nel continuo alternarsi di episodi di ipossia-riossigenazione caratteristici
dell’OSAS (31).
Tali osservazioni hanno rafforzato l’indicazione ad
un approccio basato sull’utilizzo di farmaci antinfiammatori per uso sistemico o topico (19-26) nel
trattamento dei disturbi respiratori nel sonno, di
cui ampliamente discusso precedentemente.
Trattamento e prevenzione dell’obesità
La riduzione di peso nei bambini obesi con
OSAS è un obiettivo prioritario (32). L’American
Academy of Pediatrics benché non consideri la
perdita di peso un trattamento specifico consiglia
di adottare strategie di dimagramento nei bambini obesi con OSAS (33, 34). Diversi studi hanno
dimostrato l’associazione tra OSAS e disfunzioni
metaboliche (35-39). Studi in vitro ed in vivo
hanno dimostrato come la sintesi di leptina sia
aumentata in seguito ad un insulto ipossico con
un meccanismo di attivazione mediato dall’HIF-1.
Gozal ha inoltre mostrato come i livelli di leptina
circolante in soggetti con OSAS siano correlati
non solo al BMI ma anche all’indice di apneaipopnea (AHI) (36). Inoltre la diminuzione dell’ossido nitrico (NO) circolante associato allo
stress mitocondriale che si verifica nell’OSAS
potrebbe determinare una condizione di riassetto del metabolismo cellulare con una diminuzione nel dispendio di energia ed accumulo di tessuto adiposo come dimostrato da studi sull’effetto di una carenza nella produzione di NO sui
meccanismi dell’omeostasi energetica negli animali di laboratorio (37-40). In questi soggetti
spesso la perdita di peso ha maggiore successo
se contemporanea al ripristino della pervietà
delle alte vie respiratorie, in modo da assicurare
una migliore ossigenazione ed interrompere il
meccanismo dell’ipossia intermittente.
Terapia chirurgica
I dati della letteratura riportano un tasso di risoluzione dei sintomi clinici e normalizzazione del quadro polisonnografico dopo adenotonsillectomia
mediamente nel 75%-80% dei casi, con complicanze respiratorie postoperatorie nel 16%-27%
dei casi (4-10). Allo stesso tempo, il 15%-20% di
bambini trattati chirurgicamente non ha una risoluzione della sintomatologia ostruttiva, inoltre un
Terapia Integrata nel bambino con disturbi respiratori notturni
ulteriore 15 % presenta OSAS residuo, mentre il
2%, sebbene abbia una polisonnografia negativa,
continua a russare (11). Questo dato risulta ancora più significativo nei bambini sotto i tre anni dove
il 65% dei bambini sembrerebbe mantenere una
polisonnografia patologica dopo l’intervento di
adenotonsillectomia (12).
Anche bambini con sindromi associate, come la
sindrome di Down, la sindrome di Apert, ed altre
trovano giovamento dalla terapia chirurgica.
Tuttavia in questi pazienti spesso è necessario un
trattamento addizionale (10). La terapia chirurgica
in bambini al di sotto dei 3 anni dovrebbe essere
accompagnata da un inquadramento diagnostico
completo mediante polisonnografia al fine di ridurre i rischi post-operatori (34).
Il distress respiratorio post-operatorio è più frequente nei pazienti con OSAS severa e nei bambini con età inferiore ai 3 anni nei quali si raccomanda un attento monitoraggio nel periodo
postoperatorio anche se non ci sono dati che
dimostrino la necessità che bambini al di sotto di
2 anni con OSAS severa debbano essere operati
in strutture con monitoraggio post operatorio
intensivo. I casi più gravi, identificati sulla base clinica e/o strumentale devono essere sottoposti all’intervento nel più breve tempo possibile.
Dopo l’intervento di adeno-tonsillectomia è consigliabile una terapia miofunzionale volta alla rieducazione della respirazione nasale e alla riconquista
del sigillo labiale (41) per ridurre le recidive. Altri
interventi chirurgici sui tessuti molli non sono consigliati nei bambini.
Figura 2 Esempio di espansore rapido del palato.
61
Terapia ortodontica
Una opzione terapeutica alternativa alla adeno-tonsillectomia, come evidenziato da uno studio del
nostro gruppo (27) è rappresentato, in soggetti con
alterato sviluppo mandibolare e malocclusione, dalla
placca di riposizionamento mandibolare (Figura 1) o
dall’espansore rapido del palato (Figura 2) (27-29). I
bambini OSAS presentano delle caratteristiche
dento-scheletriche peculiari, quali retrusione mandibolare associata o meno a morso profondo, palato ogivale associato o meno a morso crociato
mono o bilaterale, che potrebbero influire sui disturbi respiratori. La terapia ortodontica mira al
ripristino di un rapporto armonico mascellaremandibolare e di conseguenza tra le arcate dentarie e ci consente, attraverso l’applicazione di determinate procedure terapeutiche di ottenere dei
benefici respiratori non indifferenti.
Figura 1 Esempio di placca di riposizionamento mandibolare.
Modificata da (27).
62
Villa, et al.
Dai dati in letteratura emerge come il trattamento ortodontico sia tanto più efficace tanto più precocemente sia instaurato, in modo da poter correggere ed orientare la crescita del massiccio
maxillo-mandibolare e spostare in avanti la lingua.
La terapia ortopedica della bocca e cioè il riposizionamento della mandibola e l’ampliamento del
mascellare devono essere considerati momenti
terapeutici importanti, poiché potrebbero essere
in grado di modificare la storia naturale dell’OSAS.
Tuttavia mancano dati di follow-up sulla efficacia a
lungo termine: attualmente gli studi hanno valutato gli effetti terapeutici fino a 12 mesi dall’intervento ortodontico. Studi sull’efficacia della terapia
con espansore rapido del palato hanno dimostrato come tale trattamento sia in grado di modificare la storia dell’OSAS anche in pazienti con ipertrofia tonsillare, dopo 12 mesi di trattamento si
osserva un marcata riduzione dei disturbi respiratori nel sonno ed un miglioramento di quelle che
sono le sequele diurne dell’OSAS (27-29).
Dati preliminari concernenti il follow-up a 24 mesi
dei soggetti che hanno effettuato la terapia ortopedica indicano che l’AHI, nonché lo score clinico
ottenuto mediante questionari standardizzati, non
cambia nel tempo (29).
Questo tipo di intervento naturalmente può essere integrato sia con la terapia medica sia con la
terapia chirurgica. Gli interventi ricostruttivi e le
distrazioni ossee sono la terapia d’elezione nelle
alterazioni morfostrutturali nelle sindromi di
Apert, di Crouzon e di Pierre Robin ed altre sindromi congenite.
Ventilazione meccanica non invasiva
Nei pazienti gravi, nei quali la terapia medica o chirurgica non è realizzabile (obesità marcata, disturbi neurologici, sindromi malformative, etc.) o ha
dato risultati insoddisfacenti la scelta terapeutica
giusta è la terapia ventilatoria non invasiva con
pressioni positive continue per via nasale (nCPAP) o
con pressioni ventilatorie alternanti (bi-level positive
airway pressure, BiPAP). La CPAP è efficace e ben
tollerata in più dell’80% dei pazienti con OSAS
grave (1-16) soprattutto in bambini con anomalie
craniofacciali e disordini neurologici. La compliance
terapeutica è direttamente correlata alla severità
dell’OSAS e al convincimento della famiglia che la
ventilazione non invasiva è la migliore soluzione
terapeutica in quel momento. Una volta prescritta
e tarata con pressioni appropriate mediante polisonnografia, la ventilazione meccanica non invasiva
è gestita agevolmente a domicilio e controllata
periodicamente nei centri specialistici.
Gestione del paziente con DRS
Attualmente non esistono Linee Guida o
Consensus Paper sul corretto iter terapeutico multidisciplinare nel bambino con OSAS; in particolare non esistono dati sul timing della terapia. Il
nostro gruppo ha di recente individuato un timing
selettivo per le varie terapie basato sulla gravità
polisonnografica dell’OSAS, sul fenotipo, sull’età e
sulla presenza o meno di difetto ortodontico
(Tabelle 1 e 2).
La flow chart prende in considerazione da una
parte la severità dell’OSAS secondo i criteri polisonnografici dall’altra l’età del paziente. Inoltre si fa
distinzione nell’approccio terapeutico tra i vari
fenotipi, in particolare il Fenotipo I, “classico” con
ipertrofia adenotonsillare ed il tipo II, il bambino
obeso.
Non viene menzionato nella flow chart il fenotipo
“congenito” per la complessità della sindrome di
base e per il diverso approccio terapeutico.
Conclusioni
L’OSAS e i Disturbi Respiratori nel Sonno sono un
capitolo importante nella salute del bambino. Il
pediatra può, riconoscendo precocemente la sindrome, intervenire e ridurre la durata dei sintomi
evitando le conseguenze dell’OSAS, così da modificare la storia naturale di questa malattia.
Terapia Integrata nel bambino con disturbi respiratori notturni
Tabella 1 Schema per la gestione ed il “Timing” terapeutico nel bambino >3 anni con disturbo respiratorio nel sonno.
AHI, apnea-ipopnea index; ev/h, eventi/ora; nCPAP, pressioni positive per via nasale.
Gravità polisonografica del DRS
Fenotipo
Russamento primario
AHI <1 ev/h
OSAS lieve-minima
AHI >1 <5 ev/h
OSAS moderata-severa
AHI >5 ev/h
Classico “Tipo 1”
senza difetto ortodontico
Terapia medica
Terapia
Miofunzionale
Terapia medica
Terapia
Miofunzionale
Adenotonsillectomia
(con carattere di Urgenza
se OSAS severa)
- Nell’OSAS residua
- nCPAP (AHI >5)
- terapia medica
- terpia miofunzionale
Classico “Tipo 1”
senza difetto ortodontico
Terapia ortodontica
Terapia medica
Terapia
Miofunzionale
Terapia medica
Terapia medica
Terapia
Miofunzionale
Adenotonsillectomia
(con carattere di Urgenza
se OSAS severa)
Terapia ortodontica
- Nell’OSAS residua
- nCPAP (AHI >5)
- terapia medica
- terpia miofunzionale
Adulto “Tipo 2”
Dieta ipocalorica
Terapia medica
Terapia ortodontica
(se difetto ortodontico)
Dieta ipocalorica
Terapia medica
nCPAP
Terapia ortodontica
(se difetto ortodontico)
nCPAP
Dieta ipocalorica
Terapia medica
Terapia ortodontica
(se difetto ortodontico)
Tabella 2 Schema per la gestione ed il “Timing” terapeutico nel bambino <3 anni con disturbo respiratorio nel sonno.
AHI, apnea-ipopnea index; ev/h, eventi/ora; nCPAP, pressioni positive per via nasale.
Gravità polisonografica del DRS
Fenotipo
Russamento primario
AHI <1 ev/h
OSAS lieve-moderato
AHI >1 <10 ev/h
OSAS severa
AHI >5 ev/h
Classico “Tipo 1”
senza difetto ortodontico
con difetto ortodontico
Terapia medica
Terapia medica
nCPAP
(quando applicabile)
Adenotonsillectomia
nCPAP
(quando applicabile)
63
Villa, et al.
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Elena Finotti1, Clementina Boniver1, Oliviero Bruni2
1Dipartimento
di Pediatria “Salus Pueri”, Università degli Studi di Padova, Padova; 2Centro per i disturbi del sonno, Dipartimento di Scienze Neurologiche, Psichiatriche e Riabilitative dell’Età Evolutiva,
Università “La Sapienza”, Roma
I disturbi parossistici del sonno
in età evolutiva
Paroxysmal sleep disorder of childhood
Parole chiave: disturbi del sonno, parasonnie
Keywords: sleep disorders, parasomnias
Riassunto. I disturbi del sonno in età evolutiva possono essere molteplici, verificarsi all’inizio del sonno, durante il sonno, o al
risveglio. Possono determinare non solo un disagio ai famigliari ma anche conseguenze per il bambino. È importante pertanto
effettuare un corretto inquadramento diagnostico, terapeutico, e conoscere quali casi inviare ad uno specialista del sonno per
eventuali approfondimenti ed esami strumentali.
La maggior parte delle volte si tratta di disturbi benigni e a risoluzione spontanea, generalmente durante l’adolescenza.
Un’anamnesi accurata è in genere sufficiente per formulare una diagnosi, tuttavia in alcuni casi può essere indicato uno studio
polisonnografico. In questa review verranno analizzati i disturbi parossistici del sonno più comuni in età evolutiva.
Accettato per la pubblicazione il 13 maggio 2009.
Corrispondenza: Dott.ssa Elena Finotti, Dipartimento di Pediatria “Salus Pueri” Università degli Studi di Padova;
e-mail: [email protected]
Introduzione
La classificazione internazionale dei disturbi del
sonno (ICSD-2) (1) suddivide i disturbi del sonno
in varie categorie: 1. insonnia; 2. disturbi respiratori del sonno; 3. ipersonnie di origine centrale; 4.
disturbi del ritmo circadiano; 5. parasonnie; 6. disturbi del movimento in sonno; 7. varianti fisiologiche, sintomi isolati e problemi irrisolti.
È fondamentale pertanto un corretto approccio
anamnestico che permetta al clinico di orientasi
all’interno di questa ampia categoria di disturbi.
La valutazione del bambino con disturbo del sonno
deve comprendere un esame obiettivo, un esame
dello sviluppo neuropsichico e delle modalità di
interazione genitore/bambino, con particolare riferimento alla percezione genitoriale del disturbo, e
all’interferenza di questo con la vita familiare e di
coppia. La raccolta delle informazioni sul disturbo è
estremamente importante perché può già permettere di orientarci verso la diagnosi e la terapia più
appropriata. Se è in grado di descrivere il problema,
bisogna ascoltare per primo il bambino (2). In caso
di disturbi parossistici nel sonno si deve valutare: il
momento di insorgenza (prima o ultima parte
della notte); la costanza di presentazione temporale dell’evento; lo stato di coscienza durante l’evento; il ricordo dell’evento la mattina successiva.
Andrebbe comunque richiesta l’eventuale registrazione video del disturbo da parte dei genitori.
Le parasonnie
Le parasonnie comprendono un’ampia varietà di
comportamenti inusuali durante il sonno.
L’American Academy of Sleep Medicine le definisce come eventi fisici o esperienze indesiderabili
che si verificano all’inizio del sonno, durante il
sonno, o al risveglio (1). Queste manifestazioni
sono accompagnate da movimenti, comportamenti, emozioni, percezioni anomali correlati al
sonno e all’attivazione del sistema nervoso autonomo. La classificazione internazionale dei disturbi
I disturbi parossistici del sonno in età evolutiva
del sonno (ICSD-2) le suddivide in 3 gruppi: 1. i
disturbi dell’arousal (parasonnie del sonno nonREM), 2. le parasonnie associate al sonno REM, 3.
altre parasonnie (1).
I disturbi dell’arousal
I disturbi dell’arousal (DOA) si manifestano tipicamente durante il sonno ad onde lente (stadio 3-4),
ma possono occorrere anche durante il sonno più
leggero (3). Tali parasonnie insorgono nel primo
terzo della notte, quando il sonno ad onde lente è
predominante. Sono così definiti perché si ritiene
siano causati da alterati meccanismi dell’arousal e
sono caratterizzati da una percezione dell’ambiente
circostante falsata, risveglio difficoltoso durante l’evento, segni d’attivazione autonomica, comportamenti afinalistici, disorientamento e amnesia retrograda. I disturbi dell’arousal sono frequenti durante
l’infanzia, manifestandosi nel 15%-20% dei bambini
preadolescenti (4). Un recente studio condotto in
età pediatrica ha dimostrato che l’alta prevalenza si
riscontra nei bambini in età prescolare (14,5% per
il sonnambulismo, 39,8% per il pavor nocturnus) e
può essere correlata con un disturbo d’ansia da
separazione (5). Raramente tali disturbi persistono
in età adulta; la prevalenza in questa fascia d’età è
stimata intorno al 1%-4% per il sonnambulismo e
meno dell’1% nel pavor nocturnus (1).
L’elevata incidenza dei disturbi dell’arousal in età
evolutiva sembra essere dovuta ad un’incompleta
maturazione delle strutture del sistema nervoso
centrale (SNC) implicate nella regolazione del
sonno ad onde lente e dei meccanismi dell’arousal.
Con il processo di maturazione tali meccanismi
completano il loro sviluppo, avviene la sincronizzazione, e i sintomi si risolvono spontaneamente a
meno che non sussista una patologia sottostante
(6). L’attivazione del sistema serotoninergico è
parzialmente responsabile dei risvegli ed è implicata nello scatenamento dei fenomeni motori (7).
Questa alterazione neuro-trasmettitoriale può
essere presa in considerazione per il trattamento
di tali disturbi utilizzando farmaci contenenti precursori della serotonina (8). Alcuni fattori possono
influenzare lo scatenamento di episodi parasonnici e le loro manifestazioni cliniche. La predisposizione genetica gioca un ruolo importante. La prevalenza del sonnambulismo e del pavor nocturnus
nei parenti di primo grado dei soggetti affetti da
pavor era di 10 volte superiore rispetto alla popolazione generale; se entrambi i genitori sono affetti da
DOA c’è il 60% di possibilità che questo si manifesti nel bambino (9). Studi di popolazione su
gemelli monozigoti e dizigoti suggeriscono che i
fattori genetici sono implicati nel 65% dei casi di
sonnambulismo (10).
Inoltre alcuni studi neurofisiologici dimostrano una
predisposizione ad ereditare un’instabilità del
sonno NREM caratterizzata da alti livelli di oscillazione nei meccanismi dell’arousal, che sarebbero
legati all’instabilità dei livelli di serotonina (11).
Oltre all’influenza genetica, devono essere presi in
considerazione diversi fattori contribuenti o scatenanti gli episodi come l’età, la deprivazione di
sonno, un’inadeguata igiene del sonno, lo stress
emotivo, l’eccessiva quantità di sonno o la deprivazione di sonno, i disturbi del ritmo circadiano e
disturbi intrinseci del sonno (apnea ostruttiva, e i
movimenti periodici degli arti) (12, 13). Sono stati
riportati anche casi di disturbi dell’arousal correlati allo stato febbrile (14).
I disturbi respiratori in sonno e i movimenti periodici degli arti inferiori (PLMs) sono entrambi
responsabili nello scatenamento degli episodi di
sonnambulismo o di terrore notturno sia perché
determinano una frammentazione del sonno, sia
perché inducono un rebound di sonno ad onde
lente (15). Il trattamento del disturbo primario
(apnee o PLM) determinava una scomparsa delle
parasonnie (12). Dall’altro lato il trattamento dell’apnea ostruttiva può causare un aumento del
sonno ad onde lente per effetto rebound predisponendo così agli eventi parasonnici (16). Altri
fattori di rischio sono rappresentati dall’uso di
alcuni farmaci (ad es. neurolettici, sedativi ipnotici,
stimolanti, antistaminici) (17) e l’uso ed abuso di
alcool. Inoltre anche fattori come la sovradistensione della vescica, i rumori, la luce o i risvegli forzati possono precipitare le parasonnie (3).
I DOA vengono clinicamente suddivisi in: risvegli
confusionali, sonnambulismo, terrore notturno
(pavor nocturnus).
I risvegli confusionali sono caratterizzati da un
improvviso risveglio che si associa a confusione,
disorientamento, movimenti e lamenti, talvolta
accompagnati da comportamenti semi-intenzionali come il gridare, piangere o compiere atti aggressivi (1). Tipicamente si presentano nella prima
parte della notte, ma possono anche insorgere più
tardi, al momento del risveglio forzato al mattino
o nei sonnellini diurni. Il tentativo di consolare o
svegliare il bambino durante l’episodio può non
67
68
Finotti, et al.
essere d’aiuto ed anzi può peggiorare o prolungare l’evento. Il paziente appare spesso confuso ed
alcune volte può divenire aggressivo o agitato, particolarmente se viene obbligato a svegliarsi. Gli
eventi possono essere brevi, della durata di 1 o 2
minuti, ma possono prolungarsi anche fino 30- 40
minuti prima che il bambino si calmi e torni a dormire. Alcune forme di risvegli confusionali possono evolvere in sonnambulismo in adolescenza, o
esprimersi come eccessiva inerzia mattutina al
risveglio (18). La diagnosi differenziale deve prendere in considerazione le crisi parziali in sonno,
che possono mimare i risvegli confusionali, il sonnambulismo, il terrore notturno e anche i disturbi
comportamentali in sonno REM (REM behavior
disorders).
Il sonnambulismo viene definito come “una serie
di comportamenti complessi che usualmente iniziano durante un arousal dal sonno ad onde
lente e culminano con l’alzarsi e camminare in
uno stato di coscienza parziale”. Si manifesta
spesso nel primo terzo della notte o a metà del
sonno, durante il sonno ad onde lente, comunemente verso la fine del primo o secondo ciclo di
sonno; raramente durante i sonnellini diurni. Il
sonnambulismo può iniziare da quando il bambino è in grado di camminare a qualsiasi altro
momento della vita. Generalmente tale disturbo
si risolve spontaneamente intorno alla pubertà
ma può continuare a persistere anche in adolescenza. Gli episodi possono verificarsi con
cadenza di uno per notte e in alcuni casi anche
più frequentemente.
Esistono due forme di sonnambulismo: calmo e
agitato, con diversi gradi di complessità e durata
(3). Spesso i pazienti si siedono sul letto e in uno
stato confuso si guardano attorno prima di iniziare a camminare, altre volte possono uscire subito
dalla camera, correre nella stanza o fuori casa e
parlare in un linguaggio incomprensibile, vestirsi,
mangiare e bere. La forma di sonnambulismo agitato si manifesta più spesso nel bambino più grande. Gli episodi possono durare da pochi minuti
fino anche a mezz’ora e si esauriscono usualmente con il ritorno del paziente a letto e con la ripresa del sonno. È presente amnesia dell’evento.
Risulta difficile svegliare il paziente durante l’episodio, e se ci si riesce egli appare confuso.
La diagnosi differenziale tra sonnambulismo e
pavor può non essere di facile risoluzione, in quanto entrambi i casi possono manifestarsi con urli,
scatti fuori del letto, corse e atti violenti sebbene
nel paziente sonnambulo manchi l’attivazione
autonomica e l’espressione tipica di terrore del
pavor. Gli occhi sono spesso aperti e lo sguardo è
vitreo e confuso; tale caratteristica può essere
d’ausilio nella diagnosi differenziale con i disturbi
comportamentali in sonno REM in cui gli occhi
sono in genere chiusi.
I pavor nocturnus sono i più drammatici tra i disturbi dell’arousal, caratterizzati da risvegli improvvisi dal sonno ad onde lente e da terrore o paura
intensa, urla, sudorazione, confusione mentale,
attivazione autonomica (midriasi, diaforesi, tachicardia, tachipnea, flushing e aumento del tono
muscolare) (3). Gli episodi si presentano nel
primo terzo della notte. I pazienti sembrano agitati, si siedono sul letto, sono irresponsivi agli stimoli esterni, e inconsolabili. Se vengono svegliati
appaiono confusi e disorientati. Durante gli eventi i bambini possono riportare ricordi di immagini minacciose (mostri, ragni, serpenti) dai quali si
devono difendere (12). L’episodio può durare 5
minuti o più. Generalmente non hanno memoria
di ciò che è accaduto e non riferiscono né sogni
né incubi, ma possono ricordare vagamente
immagini spaventose.
Generalmente le parasonnie sono eventi benigni e
autolimitantesi ma in alcuni casi è necessaria una
diagnosi precoce e quindi un intervento.
Il primo approccio nei disturbi dell’arousal è
quello di rassicurare i genitori sulla benignità del
disturbo e di dare consigli su come organizzare
la casa in maniera sicura. È importante informare
i genitori di non cercare di fermare il bambino o
di svegliarlo perché questo potrebbe prolungare
o addirittura peggiorare l’episodio.
In secondo luogo è importante adottare principi
di igiene del sonno, mantenere una regolarità del
ritmo sonno-veglia ed evitare la deprivazione di
sonno. Le bevande che contendo caffeina dovrebbero essere evitate perché possono contribuire a
diminuire l’efficienza di sonno e predisporre così
agli episodi.
Vanno, inoltre, identificati e trattati ulteriori disturbi del sonno sottostanti: l’apnea notturna e i
movimenti periodici degli arti inferiori, se presenti, possono essere fattori precipitanti gli eventi
parasonnici (12).
Ci si può avvalere anche di altri approcci terapeutici quali: i risvegli programmati (svegliare il
bambino alcuni minuti prima dell’orario previsto
I disturbi parossistici del sonno in età evolutiva
dell’evento) (19); la psicoterapia o l’ipnosi; la
terapia farmacologica con benzodiazepine e/o
antidepressivi triciclici (3); la terapia con L-5 idrossitriptofano (L-5HTP) (8).
Le parasonnie associate al sonno REM
I disturbi comportamentali durante il sonno
REM (RBD) sono caratterizzati dalla mancanza
fisiologica dell’atonia muscolare durante il sonno
REM, con aumento dell’attività muscolare durante la fase REM che porta quindi all’agire il sogno.
Nei bambini l’RBD è molto raro e si presenta
come sintomo della narcolessia o associato a sindrome di Giles de la Tourette, di Moebius, degenerazione olivopontocerebellare, malattia di
Parkinson ad esordio giovanile, tumori cerebrali,
sclerosi multipla, autismo, e vari altri disturbi psichiatrici (3, 20). Le paralisi del sonno e le allucinazioni ipnagogiche se manifeste in età evolutiva
sono normalmente associate a narcolessia ma
possono essere presenti anche nelle paralisi del
sonno familiari o sporadicamente come effetto
rebound del sonno REM (21).
Più comune nel bambino è, invece, il disturbo da
incubi.
Gli incubi sono sogni dai contenuti terrifici e
accompagnati dal vivido ricordo e da sensazioni
di intenso terrore che determinano il risveglio
del paziente (23). Tipicamente tale disturbo
insorge tra i 3 e i 6 anni, con un picco di incidenza tra i 6 e i 10 anni e tende a diminuire con
la crescita. Gli incubi comportano nel bambino
emozioni negative come ad esempio ansia,
paura, terrore, collera, rabbia e disagio. Sebbene
i bambini possano apparire agitati quando si
risvegliano, riescono a fornire informazioni dettagliate a riguardo del sogno (18). Nei bambini dai
3 ai 5 anni viene riscontrato che il 10%-15% ha
incubi tali da disturbare il sonno dei genitori. Le
adolescenti riportano questi episodi con maggiore frequenza (24).
È stata riscontrata una comorbidità con patologie
psichiatriche negli adulti e negli adolescenti e i disturbi psichiatrici prevalgono 3 volte di più nei bambini affetti da incubi (22). Gli incubi possono essere uno dei sintomi specifici di disturbo post traumatico da stress (PTSD) o di abuso sessuale in
infanzia ed adolescenza (3, 24).
Nei casi di sogni terrifici ricorrenti e in cui si
sospetti una causa psicologica sottostante, può
essere utile un trattamento psicoterapeutico,
raramente (e solo nei casi più severi) viene
impiegato l’approccio farmacologico che comprende l’utilizzo di soppressori del sonno REM
(ad es. antidepressivi triciclici) (25).
Altre parasonnie
L’enuresi notturna è caratterizzata da episodi
ricorrenti di perdita involontaria di urina nel sonno
(1). Tende a manifestarsi con maggiore frequenza
nei ragazzi rispetto alle ragazze prima degli 11
anni, ma dopo tale età non sussistono differenze
tra i sessi (26).
Nei bambini al di sotto dei 5 anni, l’enuresi notturna è considerata fisiologica ed è presente in
circa il 30% dei bambini di 4 anni. La prevalenza
a 6 anni è di circa il 10% con remissione spontanea del 15% dei casi per anno. In adolescenza e
in giovane età ne è colpito solo l’1-3% dei
pazienti (1). L’enuresi può essere di tipo primario
o secondario. È primaria quando la perdita di
urine durante il sonno è presente dalla nascita e
il bambino non ha mai presentato lunghi periodi
di continenza urinaria. La forma secondaria è
presente nei bambini che sono stati continenti
per lunghi periodi (3). Gli episodi di enuresi possono presentarsi durante qualsiasi stadio di
sonno, durante i risvegli notturni, e durante gli
arousal transitori. La polisonnografia mostra una
struttura del sonno non significativamente differente da quella dei bambini normali (27).
Si pensa che la causa di enuresi notturna sia collegata ad un ritardato sviluppo dei meccanismi di
continenza vescicale, che coinvolge l’interazione
di fattori quali lo sviluppo del tratto urinario, il
sistema endocrino, il sistema nervoso autonomo
e aree del sistema nervoso centrale responsabili
dei meccanismi di arousal e di risveglio. Alcuni
bambini con enuresi primaria hanno una capacità vescicale diminuita ed una minor secrezione
notturna di ormone antidiuretico (28). Fattori
psicologici sembrerebbero essere presenti in
meno dell’1% dei bambini prepuberi affetti da
enuresi primaria. Gli stressor psicosociali come il
divorzio, l’abbandono, gli abusi sessuali e l’istituzionalizzazione sono stati riscontrati in bambini
affetti da enuresi secondaria.
L’influenza genetica è molto importante nell’enuresi: se entrambi i genitori erano affetti il 75% dei
figli ha il rischio di presentare enuresi, contro il
15% della popolazione generale (29).
69
70
Finotti, et al.
L’enuresi secondaria è più comunemente associata a fattori organici. Cause di enuresi persistente includono: 1. infezioni del tratto urinario; 2.
malformazioni del tratto urogenitale; 3. pressione
estrinseca sulla vescica, come costipazione cronica
o encopresi; 4. poliuria, da diabete mellito o insipido; 5. aumento di urina in seguito ad elevata ingestione di liquidi serali, di caffeina, diuretici o altro; 6.
patologie neurologiche, come anormalità del
midollo spinale con vescica neurogena; 7. disturbi
respiratori durante il sonno; 8. epilessia.
Il procedimento diagnostico inizia con la raccolta
dell’anamnesi e l’esame obiettivo. L ‘esame delle
urine con urinocultura dovrebbe essere effettuate
in prima istanza. Esami strumentali come l’ecografia,
l’urodinamica e la cistoscopia possono essere eseguite nei bambini che continuano ad avere enuresi
dopo 3 mesi di trattamento. L’indagine polisonnografica viene riservata a quelle situazioni in cui si
sospetta un sottostante disturbo correlato al sonno
come le apnee notturne o l’epilessia. Il trattamento
del disturbo respiratorio in sonno, qualora presente, porta ad una remissione dell’enuresi (30).
A livello terapeutico è importante tranquillizzare
i genitori circa la benignità e remissione spontanea del disturbo e scoraggiarli dal mettere in atto
punizioni o rimproveri che hanno l’effetto di
aumentare l’ansia e la scarsa autostima nel bambino e quindi incrementare il problema. Non è
necessario attuare alcun trattamento prima dei
5-6 anni, dopo tale età la decisione verso il trattamento dipende dalla frequenza e gravità del
disturbo. I migliori risultati si ottengono con combinazioni di più interventi terapeutici, ma il primo
approccio è determinare se si tratta di una enuresi primaria o secondaria, nel qual caso è imperativo trattare le eventuali cause sottostanti.
Molto utile si rivela una corretta igiene del sonno
e l’approccio comportamentale: restrizione delle
bevande serali, esercizi di condizionamento sfinterico, rinforzo positivo, ed eventualmente allarme per enuresi. È stato dimostrato da una review
della Cochrane Database (31) che la terapia con
allarme porta alla risoluzione del problema in
circa i due terzi dei bambini, dimostrando che
questo è il trattamento più efficace e l’unico che
permette di risolvere l’enuresi.
Il trattamento farmacologico è consigliato se l’enuresi si prolunga oltre i 7-8 anni e principalmente si prevede l’utilizzo della desmopressina e
dell’imipramina (2, 32).
I disturbi del movimento in sonno
La sindrome delle gambe senza riposo (restless
legs syndrome, RLS) è un disturbo senso-motorio
caratterizzato dal bisogno irresistibile di muovere
le gambe. Tale disordine colpisce generalmente la
popolazione adulta, ma è stato descritto anche in
età evolutiva, con una prevalenza del 1,9% in bambini di età scolare e del 2% negli adolescenti (33).
L’eziologia è tuttora ignota, anche se fattori genetici, disfunzioni dopaminergiche e basse riserve di
ferro nell’organismo sono stati imputati/chiamati in
causa nella patogenesi. Inoltre, è stata descritta una
comorbidità con il deficit di attenzione e iperattività (ADHD), indicando una possibile genesi
comune dei due disturbi.
La diagnosi nel bambino è spesso difficile, il piccolo paziente può non essere in grado di riconoscere e descrivere i sintomi, e per tale motivo il disturbo è spesso sottodiagnosticato. Sono riportati
importanti ritardi di diagnosi fra l’esordio del disturbo del sonno e la diagnosi di RLS, ma anche fra
la consultazione clinica e la diagnosi (34).
Un altro disturbo spesso associato alla RLS è il
mioclono periodico notturno degli arti (periodic
leg movements, PLM), caratterizzato da ripetitivi e
stereotipati movimenti degli arti nel sonno
(PLMs), associati spesso a sintomi quali insonnia ed
eccessiva sonnolenza diurna. Generalmente il
63%-74% dei pazienti pediatrici con RLS presenta
PLMs (35), anche se molti pazienti con PLM non
presentano sintomi di RLS.
Recentemente sono stati stabiliti dal Gruppo di
Studio Internazionale sulla RLS, i criteri diagnostici
nel bambino e nell’adolescente (36), che definiscono la diagnosi come certa, probabile o possibile. I criteri di diagnosi certa, a scopo clinico, sono
applicabili solo ai bambini di età compresa fra i 2
e i 12 anni, mentre per gli adolescenti vengono utilizzati gi stessi criteri degli adulti.
Nel bambino, quindi, sono validi i criteri utilizzati
per l’adulto: l’impellenza di muovere le gambe, la
quale è peggiorata da condizioni di riposo e
sedentarietà, tale sensazione peggiora la sera o
durante la notte, ed è alleviata dal movimento
degli arti. È molto importante lasciare che il bambino descriva il disturbo con parole proprie.
Altri criteri utilizzabili in età evolutiva sono la presenza, oltre dei 4 criteri validi per l’adulto, anche di
almeno 2 dei seguenti aspetti: un disturbo del
sonno, familiarità per RLS, reperto polisonnografico di PLMs (indice di PLM >5 per ora di sonno).
I disturbi parossistici del sonno in età evolutiva
La diagnosi differenziale nel bambino prevede altre
condizioni che inducono sensazione sgradevole
alle gambe quali i crampi notturni, l’artrite, la dermatite, le neuropatie in particolare quella di
Osgood-Schlatter (34, 36).
La RLS può riguardare quasi qualsiasi parte del
corpo, con una tipica distribuzione a livello delle
cosce e dei polpacci. È sempre necessario effettuare un esame obiettivo e la valutazione neurologica per escludere cause secondarie. La diagnosi
è essenzialmente clinica ma quando non sono presenti i classici sintomi di RLS può essere necessario eseguire uno studio polisonnografico allo
scopo di identificare la presenza di PLMs.
Molti pazienti con RLS e PLM possono avere un
basso livello di riserve di ferro, per cui risulta
importante un esame completo che comprenda
emocromo, ferritinemia e sideremia.
Come per i disturbi respiratori del sonno, anche i
disturbi del movimento in sonno possono determinare conseguenze cardiovascolari e cognitive in
relazione alla frammentazione del sonno che determinano. In pazienti predisposti vi può essere poi un
aumento della frequenza di episodi parasonnici, che
si risolvono trattando il disturbo del movimento.
Una buona igiene del sonno e ritmi sonno-veglia
regolari sono i primi interventi da attuare.
I pazienti con basse riserve di ferro possono
beneficiare di una supplementazione marziale.
Sono state utilizzate anche le benzodiazepine
quali il clonazepam ma questo può determinare
un peggioramento dell’iperattività nei pazienti con
da deficit d’attenzione ed iperattività (attentiondeficit/hyperactivity disorder, ADHD). Possono
essere utilizzati nel bambino anche i farmaci
dopaminergici comunemente usati nell’adulto.
Alternative terapeutiche in età evolutiva sono rappresentate da gabapentin e clonidina (37).
I disturbi ritmici del movimento in sonno sono
caratterizzati da movimenti ripetitivi, stereotipati,
ritmici che si presentano soprattutto durante la
sonnolenza o il sonno e coinvolgono ampi distretti muscolari (25).
In genere riguardano la fase di transizione tra la
veglia ed il sonno, ma possono manifestarsi anche
nelle altre fasi, si risolvono spontaneamente verso i
3-4 anni. Possono essere suddivisi in tre sottotipi:
head rolling, head banging e body rocking. Non vi è
alcuna terapia di elezione, è consigliabile creare un
ambiente sicuro nel lettino del bambino per evitare
possibili traumi fisici ed aiutarlo a rilassarsi in altro
modo (musica, rituale dell’addormentamento…).
Nel caso in cui il disturbo sia importante sono state
utilizzate terapie come antistaminici, carbamazepina
e benzodiazepine a breve emivita (25).
Conclusioni
Per il medico è generalmente possibile, sulla base
della sola storia clinica, diagnosticare la maggior
parte dei disturbi parossistici in sonno. A volte può
essere necessario però, ricorrere a tecniche neurofisiologiche, come la registrazione video EEG o la
polisonnografia, soprattutto per escludere la presenza di fenomeni di tipo epilettico, o quando non è
possibile avere una descrizione dettagliata del fenomeno. In età evolutiva questi disturbi sono abbastanza frequenti, possono in alcun casi non incidere
significativamente sulla qualità o quantità del sonno
e generalmente si risolvono spontaneamente.
Tuttavia in alcuni casi gli eventi parossistici possono
essere causa di incidenti, frammentazione del sonno,
o disturbi psico-fisici per il bambino e la sua famiglia.
71
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Clinica Pediatrica, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi dell’Insubria, Varese
Polimorfismi genetici e fattori
ambientali modificabili per
ridurre il rischio di SIDS
Genetic polymorphisms and environmental
factors to reduce SIDS risk
Parole chiave: SIDS, morte improvvisa del lattante, polimorfismi genetici, fattori di rischio ambientali
Keywords: SIDS, sudden infant death syndrome, genetic polymorphisms, environmental factors
Riassunto. La sindrome della morte improvvisa del lattante (sudden infant death syndrome, SIDS) consiste nella morte
improvvisa di un bambino al di sotto dell’anno di vita, non prevenibile in base all’anamnesi e inspiegabile anche dopo accurato esame comprendente un’autopsia completa, l’analisi della scena del decesso e la revisione della storia clinica del caso.
La SIDS è da considerarsi una conseguenza estrema dell’interazione tra genetica ed ambiente. Non a caso l’introduzione di
norme comportamentali ne ha ridotto notevolmente l’incidenza, che statisticamente è massima nel weekend. La storia della
SIDS è molto antica ed è in continua evoluzione ed è passata dalla descrizione del fenomeno alla sua interpretazione grazie
al contributo dell’epidemiologia, dell’anatomia patologica e della genetica molecolare. Purtroppo esistono ancora molti punti
da chiarire. Al momento attuale le norme comportamentali per ridurre i fattori di rischio ambientali e l’identificazione precoce di lattanti a rischio sono ancora le uniche possibilità disponibili per cercare di cambiarne la storia clinica. Anche se la genetica apre nuove prospettive ezio-patogenetiche.
Accettato per la pubblicazione il 13 maggio 2009.
Corrispondenza: Dott.ssa Luana Nosetti, Clinica Pediatrica, Facoltà di Medicina e Chirurgia,
Università degli Studi dell’Insubria,Varese; e-mail: [email protected]
Introduzione
La sindrome della morte improvvisa del lattante
(sudden infant death syndrome, SIDS) consiste nella
morte improvvisa di un bambino al di sotto dell’anno di vita, non prevenibile in base all’anamnesi, e
inspiegabile anche dopo accurato esame comprendente un’autopsia completa, l’analisi della scena del
decesso e la revisione della storia clinica (1).
La SIDS era già conosciuta nell’antichità, nel I Libro
dei Re 3, 19 si dice: “il suo bambino morì schiacciato dal suo corpo”, ma solo nel 1969 venne per
la prima volta definita come la morte di un bambino inaspettata ed inspiegata. Questa definizione
è stata completata negli anni successivi fino ad
arrivare a quella attualmente in uso. La diagnosi
di SIDS è singolare in quanto non identifica una
precisa causa di morte ma in verità è una diagnosi
di esclusione, a cui si arriva solo dopo un’attenta
analisi del caso. Solo quando si escludono tutte le
possibili cause note si può usare questo termine.
Epidemiologia
La SIDS, è la causa più comune di mortalità infantile postneonatale, responsabile del 40%-50% di tutti
i decessi dei lattanti di età compresa tra un mese ed
un anno. L’incidenza annuale di SIDS varia molto
nelle diverse nazioni. Negli Stati Uniti era di circa
1,3-1,4/1000 nati vivi (circa 7.000 neonati/anno)
prima del 1992, anno in cui l’American Academy of
Pediatrics (AAP) ha raccomandato che i neonati
Polimorfismi genetici e fattori ambientali modificabili per ridurre il rischio di SIDS
identificati. Al momento attuale sono state identificate cinque categorie di geni candidati:
1. geni per proteine dei canali ionici (long-QT);
2. geni per trasportatori della serotonina;
3. geni pertinenti lo sviluppo embrionario del
Sistema Nervoso Autonomo (SNA);
4. geni per metabolismo della nicotina;
5. geni regolatori di infiammazione, produzione
energia, ipoglicemia, termoregolazione.
dormissero in posizione prona per ridurre il
rischio di SIDS. Da allora, in particolare dopo l’inizio della campagna “Back to sleep” nel 1994, la frequenza della SIDS si è progressivamente ridotta
per stabilizzarsi nel 2002 a 0,47/1000 nati vivi
(2.295 neonati/anno) (2). In Italia, in uno studio
effettuato nell’Italia del nord, l’incidenza è stata stimata intorno allo 0,54/1000 nati vivi nel periodo
1990-2000 (3). Giappone ed Olanda hanno la più
bassa incidenza di SIDS pari a 0,09-0,1/1000 nati
vivi e la Nuova Zelanda ha la più alta incidenza di
SIDS pari a 0,8/1000 nati vivi.
Geni per proteine dei canali ionici (long-QT)
Schwartz e collaboratori ipotizzano una anomala
ripolarizzazione cardiaca con allungamento del
QT come possibile causa di SIDS; questo dato è
supportato dal rilievo elettrocardiografico di un
intervallo QT superiore a 440 millisecondi nel
50% dei casi di SIDS contro il 2,5% rilevato in una
intera coorte di 34.000 neonati. La sindrome del
QT lungo (long QT syndrome, LQTS) è caratterizzata da un prolungamento patologico del QT che
può provocare una torsione di punta (4). L’LQTS
potrebbe essere associata ad una modificazione
dei canali cardiaci del sodio e del potassio.
Mutazioni nei canali ionici cardiaci costituiscano un
substrato aritmogeno potenzialmente letale in
alcuni neonati a rischio di SIDS. In una popolazione di 201 casi di SIDS, circa il 9,5% dei casi è risultato portatore di una variante dei geni LQTS con
significato funzionale (5).Al momento attuale sono
state scoperti 10 geni ritenuti responsabili di una
Contributo della genetica molecolare
Le importanti disparità nell’incidenza di SIDS nelle
diverse popolazioni, nonostante l’introduzione
delle norme comportamentali atte a modificare i
fattori di rischio ambientali sembra legata ad una
predisposizione genetica. Studiando la storia clinica, la neuropatologia e l’epidemiologia dei casi di
SIDS si è riusciti ad identificare alcuni dei possibili
geni che potrebbero predisporre alla SIDS. Non
esiste un singolo gene della SIDS (Figura 1) ma una
serie di geni associati ad alterazioni del sistema
nervoso autonomo, del metabolismo e dei sistemi
di conduzione cardiaca. La possibile evoluzione
potrà essere legata alla disponibilità di ampi campioni su cui effettuare studi genetici, identificare
caratteristiche fenotipiche tipiche e fornire informazioni sul valore predittivo dei fattori genetici
~3% FAO?
~1% MCAD?
~3% LQTS?
mtDNA?
?
Disordine neuromuscolare
stadio di
sviluppo
vulnerabile
>50% SIDS genuina
~30% altri disturbi sconosciuti
fattori
Attivazione
predisponenti degli eventi
Figura 1 Non esiste un unico gene della SIDS.
75
76
Nosetti, et al.
suscettibilità alla LQTS (Figura 2).Tra i geni identificati particolarmente interessanti sono l’LQT1 in
cui stimoli scatenanti sono nuoto e esercizio fisico,
l’LQT2 con stimolo scatenante uditivo e l’LQT3 in
cui lo stimolo scatenante è il sonno (mutazione
gain-of-function, si associa a accentuazione e persistenza della corrente Na tardiva, pro-aritmogena).
In questi casi il 10%-15% delle mutazioni sono ex
novo.
Geni per trasportatori della serotonina (5-HT)
La serotonina interviene nella regolazione della
respirazione, del sistema cardiovascolare, della
temperatura corporea e del ritmo sonno-veglia.
Oltre a modulare l’attività dell’orologio circadiano,
è il principale neurotrasmettitore del sonno non
REM (non rapid eye movement). I nuclei troncoencefalici sono ampiamente interconnessi con altri
nuclei del tronco e del midollo spinale e controllano: drive respiratorio, pressione sanguigna, arousal, termoregolazione. Agiscono anche come chemosensori respiratori centrali, regolano la risposta
respiratoria alla ipossia episodica e, in vivo, generano il ritmo respiratorio. Numerosi casi di SIDS
presentano alterazioni dei neuroni serotoninergici
nel midollo allungato, sia a livello di sintesi, accumulo, captazione di membrana e metabolismo
della serotonina, suggerendo una possibile correlazione tra 5-HT e SIDS. Il gene 5-HTT codifica per
il trasporto della serotonina e controlla la durata
e la forza delle interazioni fra 5-HT e i suoi recettori regolando il re-uptake della 5-HT(6). Sono
stati identificati numerosi polimorfismi nella regione promoter del gene 5-HTT, localizzato sul cromosoma 17. In particolare i polimorfismi: S (short
allele) e L (long allele). Questi polimorfismi del trasportatore porterebbero a ridotte concentrazioni
di serotonina a livello delle terminazioni nervose
con l’allele “L”, rispetto all’allele “S”. Il genotipo L/L
si associa ad un aumento dei trasportatori della
serotonina negli studi di neuroimaging e negli studi
di legame postmortem. Si è rilevata una associazione fra S e disturbi psichiatrici di ansietà, mentre
il genotipo L/L e l’allele L sono molto più frequenti nelle vittime SIDS versus controlli. Mentre il
VNTR (variable number tandem repeat) è un polimorfismo della regione 5’ regolatrice di 5-HTT che
modula l’espressione del gene. Si è rilevata una
associazione significativa tra SIDS e il genotipo L/L
o L/S e genotipo 12/12 del VNTR negli afroamericani, non nei caucasici, ed una associazione significativa tra SIDS e il genotipo “L/12” del VNTR (7).
Geni pertinenti lo sviluppo embrionario del SNA
In molti casi di SIDS sono state segnalate precedenti alterazioni del SNA quali: sudorazioni profuse, temperatura corporea elevata,tachicardia
seguita da bradicardia prima dell’evento, ridotta
Variazioni comuni del
repeat poliadenina in
CCHS
PHOX2B
5’
Esone 1
Variazione nucleotidica:
Alterazione della proteina:
Esone 2
A1364G
Esone 3
T459G
T526A
F153I
S176T
3’
C552T C642T A726G G750A A762C C890A
Regione di codifica
Dominio Homeobox
Segmento polialanina
Regione dell’introne
Regione non tradotta
Figura 2 Rappresentazione schematica di polimorfismi identificati in 91 SIDS vs 91 controlli. CCHS, congenital central hypoventilation syndrome.
Polimorfismi genetici e fattori ambientali modificabili per ridurre il rischio di SIDS
variabilità della frequenza cardiaca, sudorazione
fredda e pallore al viso, ridotta risposta a episodi
ostruttivi.Tutto questo ha indotto Weese-Mayer e
collaboratori (8) a studiare i geni coinvolti nello
sviluppo embrionario del SNA. Il gene PHOX2B
(Figura 3) ha un ruolo chiave nello sviluppo del
SNA soprattutto nelle prime fasi della vita
embrionale. Esso, agendo sui geni RET e MASH1,
regola la differenziazione del sistema noradrenergico. Regola anche la differenziazione in neuroni
motori o colinergici nel SNC (Sistema nervoso
centrale). Si è pertanto cercata una eventuale
espansione della polialanina, che però è risultata
normale nei casi di SIDS, mentre per i geni
PHOX2B, RET, ECE1, TLX3, EN1 si sono riscontrati 11 rari polimorfismi con alterazioni proteine
nel 15,2% dei casi di SIDS verso il 2,2% dei controlli. Per l’esone 3 di PHOX2B si sono evidenziati 8 polimorfismi nel 22% di casi di SIDS verso il
12% controlli. Per l’introne 2 di PHOX2B il polimorfismo GG, GA è risultato più comune nei casi
di SIDS. Nessun caso SIDS mostra espansione
polialanina, pertanto CCHS e SIDS hanno meno
sovrapposizioni rispetto a quanto ipotizzato in
passato (8). Tuttavia poiché taluni polimorfismi
sono più comuni nei casi di SIDS, potrebbe essere
verosimile che questi da soli o in associazione con
altri polimorfismi soprattutto di RET, possano rappresentare un rischio aumentato di SIDS.
Poiché il rischio SIDS è aumentato di 2-4 volte
nei figli di madre che avevano fumato in gravidanza e la nicotina è teratogena per il SNC del
feto, si è pensato che alterazioni dei geni che
controllano il suo metabolismo potessero essere
presenti in casi di SIDS. Si è ipotizzato che potessero esistere alterazioni nei geni che presiedono
alla detossificazione degli idrocarburi aromatici
policiclici (PAH) contenuti nel fumo di tabacco al
punto di renderli più vulnerabili alla SIDS. Il citocromo P-450 entra nel primo passaggio di detossificazione che trasforma i composti da idrofabici a idrosolubili.
Fattori di rischio ambientali
Fattori di rischio genetico
Dormire con faccia
verso il basso
o di lato
5-HTT
polimorfismo
Fumo
ANS
polimorfismo
Geni per metabolismo della nicotina
Diminuita
regolazione
autonomica
Stress termico
Patologia cardiaca
del canale ionico
Letto soffice
Complemento
o polimorfismo
dell’interleuchina
SIDS
Figura 3 Patogenesi della SIDS.
77
78
Nosetti, et al.
La glutatione S-transferasi o la uridin-difosfo-glucoronosiltransferasi intervengono nella fase
seconda di escrezione dei composti detossificati.
Ma non si sono riscontrate associazioni fra SIDS e
polimorfismi dei geni di questi enzimi (9). Sono
necessarie pertanto ulteriori indagini.
Geni regolatori di: infiammazione, produzione
energia, ipoglicemia, termoregolazione
Nei lattanti colpiti da SIDS, inoltre, sono state
riportate alterazioni del gene della frazione C4
del complemento, in quanto quelli che prima
della morte soffrivano di infezioni lievi delle vie
respiratorie superiori avevano maggiori probabilità di presentare una delezione sia del gene
C4A, sia del C4B, rispetto alle vittime della SIDS
senza infezioni o rispetto ai controlli viventi.
Questi dati suggeriscono che delezioni parziali
del gene C4, se associate a una infezione lieve
delle vie respiratorie superiori aumentino il
rischio di SIDS.
Nelle vittime di SIDS è stato inoltre segnalato un
polimorfismo nella regione promoter del gene
dell’IL-10, una citochina antinfiammatoria. La
morte improvvisa del lattante era fortemente
associata al genotipo dell’IL-10, sia con l’aplotipo
ATA, sia con la presenza degli alleli-592*A e 592*C. Questi polimorfismi dell’IL-10 si associano a ridotti livelli di IL-10 e possono quindi contribuire alla SIDS, ritardando l’inizio della produzione di anticorpi protettivi o per una ridotta
capacità di inibire la produzione di citochine
infiammatorie (10).
Una causa non comune di SIDS è legata a mutazioni del gene TSPYL (Testis-Specific Y- Like), che
causano anche disgenesia testicolare (11). Per
quanto riguarda la presenza di alterazioni dei geni
che regolano metabolismo e termoregolazione si
sono studiati i polimorfismi della glucochinasi e
della glucoso-6-fosfatasi, ma non si è potuto dimostrare un rapporto con la SIDS, nonostante statisticamente sia dimostrato un maggior rischio in
lattanti prematuri e con basso peso alla nascita
maggiormente soggetti a ipoglicemie.
Interazioni tra geni ed ambiente
Il rischio reale di SIDS, nei singoli lattanti, è determinato da complesse interazioni tra fattori di
rischio genetici e ambientali. Potrebbe inoltre
esservi un legame tra fattori di rischio modificabili,
come l’uso di coperte soffici, la posizione prona
nel sonno e lo stress termico, e i fattori di rischio
genetici come le anomalie ventilatorie o del risveglio e i difetti di regolazione della temperatura o
del metabolismo.
La SIDS è da considerarsi una conseguenza estrema dell’interazione tra genetica ed ambiente. Non
a caso l’introduzione di norme comportamentali
ne ha ridotto notevolmente l’incidenza. Al
momento attuale le norme comportamentali per
ridurre i fattori di rischio ambientali e l’identificazione precoce di lattanti a rischio sono ancora le
uniche possibilità disponibili per cercare di cambiarne la storia clinica.
Fattori di rischio ambientali
In Europa è stato effettuato lo studio European
Concerted Action on SIDS (ECAS) in cui sono
stati valutati 745 casi clinici di SIDS e 2.411 controlli nel periodo compreso tra settembre 1992 e
aprile 1996 in 20 centri europei (12). Questo studio ha consentito di identificare i fattori di rischio
più comunemente associati alla SIDS quali posizione prona nel sonno, madre fumatrice, eccessiva
copertura del bambino, basso peso alla nascita,
gravidanze multiple, madre di età inferiore ai 18
anni. Sono stati anche identificati dei possibili fattori protettivi quali la condivisione della camera
con i genitori ma non del letto e l’utilizzo del succhiotto. Nell’ultimo decennio si è registrata una
diminuzione di oltre il 50% dell’incidenza di SIDS
negli Stati Uniti e nel mondo, che può essere almeno in parte attribuita alle campagne informative
volte a ridurre i principali fattori di rischio associati con questa sindrome come appunto la posizione prona nel sonno, l’eccessiva copertura e l’esposizione a fumo passivo.
Fattori di rischio non modificabili
I soggetti più a rischio di andare incontro a SIDS
sono quelli di circa 2-4 mesi e la maggior parte dei
decessi si è verificata entro i 6 mesi di vita.
La predominanza stagionale invernale, di comune
osservazione nella SIDS, si è ridotta insieme alla
riduzione della posizione prona in alcune nazioni
come la Gran Bretagna. I neonati maschi hanno il
30%-50% di probabilità in più di SIDS, rispetto alle
femmine. Vi è una massima incidenza dei casi di
SIDS nel fine settimana (13).
Polimorfismi genetici e fattori ambientali modificabili per ridurre il rischio di SIDS
Fattori di rischio modificabili
Posizione nel sonno
Le raccomandazioni attuali consigliano la posizione supina nel sonno per tutti neonati.
È stato dimostrato che il sonno in posizione
prona aumenta il rischio di SIDS. Il rischio di SIDS
potrebbe essere più elevato nei neonati che abitualmente non dormono proni, ma che vengono
messi in questa posizione nell’ultimo sonno
(“proni non abituati”) o che vengono trovati
proni (“proni secondari”). La posizione dei “proni
non abituati” si verifica con maggiore probabilità
durante l’assistenza diurna o in altri momenti di
assistenza fuori casa; si sottolinea quindi la necessità di istruire tutti coloro che si prendono cura
del lattante sulle posture appropriate durante il
sonno.
I neonati che dormono distesi sul fianco hanno
una probabilità doppia di morire di SIDS, rispetto a quelli che dormono supini. Questo aumento
del rischio può essere correlato con la relativa
instabilità della posizione, che porta alcuni neonati distesi su un fianco a rotolare in posizione
prona.
L’eccessiva copertura del bambino
In passato era frequente ritrovare casi di SIDS con
indumenti che coprivano loro il volto, tanto che si
pensava che fossero morti soffocati nel sonno.
Circa il 20% delle vittime di SIDS sono state trovate con una coperta sopra la testa, con una frequenza dieci volte maggiore dei controlli di età
corrispondente e significativamente più alta anche
considerando la presenza contemporanea di altri
fattori di rischio.
L’esposizione a fumo di sigaretta
Il fumo materno è attualmente il più importante
fattore di rischio per la SIDS dopo le campagne
informative che hanno spinto a modificare la posizione nel sonno del bambino e l’eccessiva copertura. Il consiglio sulla riduzione dell’esposizione al
fumo passivo è quello che ha avuto una minor
presa sulla famiglia (14). Esiste una forte associazione tra esposizione al fumo di sigaretta sia
intrauterina che dopo la nascita (15, 16) e il rischio
di SIDS. L’incidenza di SIDS risulta circa 3 volte
maggiore nei figli delle fumatrici, negli studi condotti prima della campagna per la riduzione della
SIDS negli Stati Uniti e 5 volte maggiore in quelli successivi. Il rischio di morte aumenta progressivamente con l’aumento del consumo quotidiano di sigarette. Esiste una risposta dose-dipendente per il numero di familiari che fumano, per
il numero di persone che fumano nella stessa
stanza in cui si trova il lattante e per il numero di
sigarette fumate.
Un aumento del rischio di SIDS si osserva anche
nei lattanti la cui madre ha cominciato a fumare
solo dopo il parto.
Consumo di droga e alcool
La maggior parte degli studi ha stabilito una correlazione tra l’abitudine della madre di consumare
sostanze stupefacenti durante la gravidanza e un
aumentato rischio di SIDS. Non è stata trovata
alcuna associazione tra il consumo materno di
alcool (in epoca prenatale o postnatale) e la SIDS.
I fratelli dei lattanti con la sindrome alcolica fetale
hanno, però, un rischio dieci volte maggiore di
andare incontro a SIDS, rispetto ai controlli.
Fattori correlati alla gestazione
Numerosi fattori ostetrici si associano a un
aumento del rischio di SIDS. I lattanti colpiti da
SIDS hanno spesso un ordine di nascita più alto, a
prescindere dall’età materna e sono nati da gestazioni dopo brevi periodi intergestazionali. Le madri
di neonati colpiti da SIDS ricevono generalmente
meno cure prenatali e in una fase più avanzata
della gravidanza. Sono inoltre fattori di rischio il
basso peso alla nascita, la nascita pretermine e una
crescita intrauterina e postnatale più lenta.
Ambiente del sonno del neonato
I materassi vecchi e troppo soffici, i cuscini imbottiti o la biancheria da letto più morbida si associano a un più alto rischio di SIDS, come pure le trapunte pesanti che possono finire per coprire la
testa e il viso del lattante. Anche il surriscaldamento rappresenta un fattore di rischio, in base a indicatori come temperatura ambiente più alta, elevata temperatura corporea, sudorazione ed eccesso
di vestiti o coperte.
Diversi studi hanno indicato la condivisione del
letto come un fattore di rischio per la SIDS, in particolare nei lattanti fino a 3 mesi di età. Questa abitudine è particolarmente rischiosa quando altri
bambini dormono nello stesso letto, quando il
genitore dorme con un neonato su un divano o su
79
80
Nosetti, et al.
un’altra superficie di appoggio morbida o ristretta,
e per i neonati di età inferiore ai 4 mesi. Il rischio
risulta aumentato anche in caso di condivisione del
letto di durata prolungata o per tutta la notte.
Vi sono sempre più evidenze, invece, che la condivisione della stanza, ma non del letto, si associ a
una minor frequenza di SIDS; sembra che per i lattanti il posto più sicuro in cui dormire sia il loro
lettino, soprattutto se collocato nella stanza dei
genitori (17).
Modalità di alimentazione dei lattanti
Numerosi studi hanno dimostrato un effetto protettivo dell’allattamento al seno che però non è
presente dopo aggiustamento per fattori potenzialmente confondenti. Se ne deduce che l’allattamento al seno sia un marcatore di uno stile di vita
o di uno stato socioeconomico, più che rappresentare un fattore indipendente. Sebbene i benefici di questa pratica siano molteplici, non si dispone di dati sufficienti per raccomandarla come strategia atta a ridurre il rischio di SIDS.
Uso del succhiotto
L’uso del succhiotto riduce il rischio di SIDS nella
maggior parte degli studi.
Sebbene non sia noto se questo sia un effetto
diretto del succhiotto stesso o di comportamenti
associati dal lattante o dei genitori, vi sono sempre
più prove che l’uso del succhiotto possa far sì che
il lattante si risvegli più facilmente durante il sonno
e anteriorizzi la posizione della lingua nel sonno
(18). Le Linee Guida più recenti dell’American
Academy of Pediatrics raccomandano l’uso del
succhiotto dopo l’inizio dell’allattamento al seno.
Non è emersa alcuna associazione tra le vaccinazioni e la SIDS. I neonati colpiti da SIDS hanno
minori probabilità di essere stati vaccinati, rispetto
ai controlli, e in quelli vaccinati, non è stata identificata alcuna correlazione temporale tra la somministrazione dei vaccini e la morte. Occorre quindi
rassicurare i genitori che le vaccinazioni non comportano alcun rischio di SIDS.
Gruppi di lattanti ad aumentato rischio
di SIDS
Eventi ad alto rischio per la vita
I neonati con un evento apparentemente a rischio
per la vita (apparent life-threatening event, ALTE)
sono a maggior rischio di SIDS. Un’anamnesi di
ALTE idiopatica è stata riportata nel 5%-9% delle
vittime di SIDS, e il rischio sembra maggiore se gli
eventi inspiegati sono due o più; tuttavia, non sono
disponibili dati definitivi sull’incidenza. Rispetto ai
soggetti sani di controllo, il rischio di SIDS può
essere da 3 a 5 volte maggiore nei lattanti che
hanno una storia di ALTE (19).
Fratelli di una vittima della SIDS,
nati successivamente
I fratelli di un lattante deceduto per qualsiasi causa
naturale non infettiva sono a rischio significativamente maggiore di morte neonatale dovuta alla
stessa causa, compresa la SIDS. Il rischio relativo è
di 9,1 per la recidiva di SIDS, rispetto all’1,6 per
una causa di morte diversa.
L’aumentato rischio, nelle famiglie con casi di SIDS,
è compatibile con l’interazione di fattori di rischio
genetici ed ambientali.
In passato alcuni operatori sanitari hanno affermato che solo l’omicidio tende a ricorrere nelle famiglie e che tutti i casi successivi di morte infantile
inaspettata devono essere indagati come possibili
omicidi. Esistono dati sostanziali a riprova che fattori genetici ed ambientali concorrono ad aumentare il rischio di SIDS ricorrente in alcune famiglie.
La percentuale dei casi di morte infantile ricorrente da SIDS, nei fratelli, è 5-9 volte maggiore rispetto alla percentuale dei probabili omicidi.
Prematurità
Molti studi hanno identificato una correlazione
inversa tra il rischio di SIDS da una parte, e l’età
gestazionale e il peso alla nascita dall’altra. I fattori
di rischio ambientali, nei neonati pretermine, non
sono sostanzialmente diversi da quelli osservati
nei neonati a termine. Rispetto ai neonati con
peso alla nascita superiore a 2.500 g, i neonati con
peso alla nascita di 1.000-1.499 g e 1.500-2.499 g
hanno rispettivamente 4 e 3 volte più probabilità
di morire per SIDS.
Conclusioni
La SIDS è la conseguenza dell’interazione tra
genetica ed ambiente. L’ipotesi del “triplice rischio”
ritiene infatti la SIDS il risultato di un insulto finale
o meglio fatale che va ad agire su un bambino, in
una fase critica di sviluppo, intrinsecamente vulnerabile sia su base genetica che per fattori esterni
Polimorfismi genetici e fattori ambientali modificabili per ridurre il rischio di SIDS
ambientali. Questa ipotesi è stata proposta in varie
forme da numerosi Autori negli ultimi 15 anni
(20). I recenti sviluppi dettati dalle conoscenze di
fattori ambientali, immunologici, genetici e fisiologici del bambino e riconoscimento delle modificazioni di tutti questi sistemi nei primi mesi di vita
supportano il modello del triplice rischio come
causa della morte inaspettata ed inattesa di un lattante apparentemente sano. Si auspica che la comprensione della sua patogenesi consenta una riduzione del numero di casi SIDS.
81
Nosetti, et al.
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83
Ahmad Kantar1, Luigi Terracciano2, Alessandro Fiocchi2, Giovanni Rossi3
1Centro
di Diagnosi, Cura e Riabilitazione dell’Asma Infantile, Istituto Pio XII, Misurina (BL);
Pediatra, Ospedale “Fatebenefratelli - Melloni”, Milano; 3U.O.C. di Pneumologia,
IRCCS “Giannina Gaslini”, Genova
2Melloni
Corticosteroidi per la nebulizzazione:
non tutti nascono uguali
Inhaled corticostroids:
not all are born the same way
Parole chiave: corticosteroidi per inalazione, aerosol, nebulizzazione
Keywords: inhaled corticosteroids, aerosol, nebulisation
Riassunto. Il razionale della terapia inalatoria si basa sulla possibilità di portare un’appropriata quantità di farmaco in corrispondenza del suo sito d’azione (recettori) nelle vie respiratorie senza esporre al farmaco zone non interessate dal processo
patologico; ciò consente elevata efficacia terapeutica con dosi sostanzialmente ridotte di farmaco e minima possibilità di effetti collaterali. La realizzazione dei risultati attesi dalla terapia è condizionata da tre fattori principali: il device, il paziente e il farmaco. Questi tre fattori devono essere alla base di ogni scelta della terapia inalatoria.
La nebulizzazione è uno tra i modi più antichi per la somministrazione dei farmaci. Sebbene i nebulizzatori attualmente impiegati non abbiano subito, nell’ultimo secolo, radicali trasformazioni, le innovazioni tecniche ne hanno migliorato le prestazioni. Oggi
sono a nostra disposizione un gran numero di farmaci e apparecchi tecnologicamente avanzati per la nebulizzazione. Nonostante
questo, la terapia inalatoria per nebulizzazione è ancora oggi di fatto un trattamento empirico e, pur in presenza di evidenza di
efficacia clinica, molti fattori risultano poco studiati. Ad esempio, la compatibilità tra farmaco e nebulizzatore, il comportamento
del farmaco nel nebulizzatore e l’effetto della modalità di inalazione e il pattern respiratorio del paziente. La scelta di una formulazione di steroidi inalatori per la nebulizzazione dovrebbe indagare principalmente l'idrosolubilità come fattore determinante dell’output del farmaco. Senza informazioni sul diametro aerodinamico di massa mediano e sulla percentuale di particelle
respirabili erogate, la dose inalata rimane ignota e il risultato degli studi clinici può essere interpretato impropriamente.
Accettato per la pubblicazione il 13 maggio 2009.
Corrispondenza: Dott. Ahmad Kantar, Centro di Diagnosi, Cura e Riabilitazione dell’Asma Infantile, Istituto Pio XII,
Misurina (BL); e-mail [email protected]
Raggiungere i polmoni con un aerosol
terapeutico
Un aerosol è costituito da particelle liquide o solide sospese in un gas che funge da agente veicolante. La somministrazione di farmaci per via inalatoria costituisce uno strumento importante nel
repertorio terapeutico dei pediatri che si occupano della cura e della gestione dei bambini asmatici. La somministrazione dei farmaci nebulizzati
direttamente ai polmoni offre vantaggi innegabili:
una maggior concentrazione del farmaco, una
deposizione mirata nelle vie aeree con conseguente aumento dell’efficacia e riduzione degli
effetti avversi sistemici. Alcuni farmaci inoltre sono
terapeuticamente efficaci solo se inalati (per
esempio la maggior parte degli steroidi inalatori) e
la somministrazione di farmaci mediante aerosol è
conveniente e indolore.
Per contro, uno degli svantaggi più importanti della
terapia aerosolica consiste nella necessità di tecniche inalatorie specifiche per l’utilizzo corretto dei
dispositivi attualmente disponibili: una tecnica inalatoria non ottimale determina una diminuita
deposizione di farmaco nelle vie aeree e una
potenziale riduzione di efficacia del trattamento.
La proliferazione di questi dispositivi ha moltiplicato
84
Kantar, et al.
e confuso le possibili scelte da parte del medico:
ciò, oltre ad essere fuorviante, può indurre in confusione sia il medico che il paziente relativamente
al loro corretto utilizzo.
È di fondamentale rilevanza saper identificare le
dosi effettive di farmaco che raggiungono i polmoni, la distribuzione regionale, e le modalità con
le quali queste variabili possono essere influenzate
dall’ostruzione delle grandi e piccole vie aeree. Il
successo della terapia aerosolica dipende principalmente dalla possibilità che una dose adeguata
di farmaco raggiunga i recettori specifici del tratto
respiratorio (1).
Se a livello polmonare giunge una dose di farmaco sufficiente a ottenere una risposta clinica adeguata, questi dispositivi possono essere considerati soddisfacenti. Tuttavia rimane una significativa
quantità di farmaco inutilizzata che non riveste
alcun ruolo nel miglioramento clinico e che, anzi,
può essere causa di effetti avversi. La sfida è quella di far giungere il farmaco inalato esclusivamente
ai recettori polmonari specifici, in modo da ottimizzare la risposta terapeutica e minimizzare i
potenziali effetti avversi.
Le caratteristiche fisiche ottimali dell’aerosol e i
profili di somministrazione al paziente necessitano
di essere definitivamente stabiliti per ciascuna
classe di farmaci inalatori; la terapia aerosolica
deve inoltre essere adattata alla malattia respiratoria e al suo grado di severità, alla sede predominante del processo patologico nelle vie aeree e
all’età del paziente.
Per esempio, gli steroidi inalatori agiscono sui recettori per i glicocorticoidi localizzati in tutto l’albero
bronchiale: una maggiore deposizione polmonare, se
appropriatamente indirizzata alle vie aeree, dovrebbe portare ad un maggior beneficio clinico (2).
Per massimizzare la risposta terapeutica è fondamentale indirizzare il farmaco a specifiche regioni
delle vie aeree: per esempio utilizzando i β2-agonisti è fondamentale che la deposizione avvenga
nelle vie aeree, anziché a livello alveolare. Usmani,
et al. hanno recentemente dimostrato che particelle di salbutamolo di diametro maggiore, se correttamente somministrate, inducono una maggior
broncodilatazione rispetto alle particelle più piccole, in quanto si verifica una migliore corrispondenza tra la distribuzione intrapolmonare e la
muscolatura liscia delle vie aeree (3).
Gli Autori hanno inoltre dimostrato che la distribuzione regionale nelle vie aeree dei β2-agonisti è
importante nel modulare la risposta broncodilatatrice e che, modificando la deposizione intrapolmonare mediante la variazione di diametro delle
particelle, è possibile ottimizzare la deposizione
del farmaco inalato.
Nella valutazione della dinamica d’inalazione di un
aerosol, i parametri in vivo importanti da considerare sono la dose totale che viene erogata al
paziente (una misura dell’esposizione globale del
corpo al farmaco e quindi della sicurezza) e il pattern di deposizione della dose inalata nelle vie
aeree (una misura della quantità di farmaco distribuita sia ai siti farmacologicamente attivi che a
quelli non attivi e quindi una misura di sicurezza ed
efficacia). Il primo di questi parametri può essere
misurato in vitro con delle semplici tecniche di filtraggio: queste misurazioni però non sempre sono
validamente predittive in vivo poiché il pattern
respiratorio e i picchi di flusso possono influenzare significativamente l’inalazione dell’aerosol.
Ottenere delle stime più realistiche della dose
erogata può essere molto più complesso di quanto si possa prevedere.
Il secondo parametro, la deposizione e la distribuzione nelle vie aeree dell’aerosol inalato può, per
definizione, essere determinato solo in vivo: i test
di laboratorio in vitro devono quindi utilizzare una
misurazione sostitutiva.
I pattern di deposizione nelle vie aeree umane
sono regolati da tre fattori principali: la geometria
delle vie aeree, la distribuzione dimensionale aerodinamica delle particelle e il flusso inspiratorio del
paziente. La prima variabile è una caratteristica
strettamente intrinseca del paziente e, sebbene
importante, non è correlata al sistema di generazione dell’aerosol. Le altre due variabili, invece,
possono essere caratteristiche legate sia alla formulazione sia al dispositivo di erogazione: il diametro delle particelle -perché l’aerosol che viene
inalato è generato dal dispositivo, e il profilo inspiratorio - perché può essere influenzato dalle
caratteristiche di resistenza di un dispositivo. Tra
questi due fattori, il diametro aerodinamico delle
particelle è rappresentativo per la deposizione, ma
devono sempre essere presi in considerazione l’effetto del dispositivo sulle modalità d’inalazione e
l’aerodinamica dell’aerosol nelle vie aeree.
Solitamente la terapia aerosolica si avvale di aerosol polidispersi, mentre gli aerosol monodispersi
non sono comunemente disponibili. Per questi ultimi la deposizione è identica in relazione sia alla
Corticosteroidi per la nebulizzazione: non tutti nascono uguali
massa che al numero di particelle inspirate, ma la
questione è differente per gli aerosol polidispersi.
La deposizione regionale delle particelle polidisperse può essere ottenuta dividendo la distribuzione di massa polidispersa in frazioni monodisperse, calcolando la distribuzione regionale di ciascuna
frazione e sommando i valori per ciascuna regione.
Il diametro aerodinamico di massa mediano (mass
median aerodynamic diameter, MMAD) viene utilizzato per descrivere un aerosol polidisperso come
quello prodotto dalla maggior parte dei dispositivi
per la generazione di aerosol utilizzati nella pratica
clinica. Il diametro aerodinamico di massa mediano è
la dimensione delle particelle al di sopra e al di sotto
della quale si distribuisce il 50% della massa delle
particelle: più è alto questo parametro e maggiore è
il numero di particelle con diametro superiore.
Le particelle di aerosol con diametro tra 1 e 5 µm
raggiungono le vie aeree più periferiche del polmone. Con un diametro maggiore di 3 µm si verifica il viraggio della deposizione polmonare dalla
periferia alle vie aeree centrali. La deposizione orofaringea aumenta quando si supera una dimensione delle particelle di 6 µm, mentre la perdita espiratoria è elevata per le particelle di diametro inferiore a 1 µm. Questi dati sono strettamente riferiti alle particelle trasportate dal flusso d’aria inspirata a volume corrente, mentre, quando le particelle
sono erogate da un dispositivo di inalazione pressurizzato (pMDI) o da dispositivi a polvere secca
(DPI), la loro velocità è decisamente superiore
rispetto alla velocità dell’aria inspirata, pertanto
solo una piccola frazione della massa (frazione non
balistica) sfugge alla deposizione inerziale nell’orofaringe e penetra nella trachea. La frazione della
massa di particelle depositate in orofaringe (frazione balistica) può essere determinata sperimentalmente: essa comprende oltre il 50% della massa
rilasciata dai dispositivi d’inalazione.
Un aerosol terapeutico può ottenersi mediante
atomizzazione pneumatica, ultrasonica, idraulica o
elettrostatica, mediante dispersione di polvere
secca o dispersione in un propellente a vaporizzazione istantanea. Ciascuno di questi processi ha
aspetti peculiari che devono essere considerati
quando si tenta di prevedere la deposizione polmonare degli aerosol generati dai dispositivi che
impiegano queste tecniche. Lo stato fisico delle
particelle può essere liquido, solido, in soluzione o
in sospensione. Molti aerosol sono intrinsecamente instabili dal punto di vista fisico poiché soggetti
ad evaporazione, espansione, attrazione o repulsione reciproca, specialmente a causa del passaggio dalle condizioni ambientali del dispositivo di
generazione a quelle del tratto respiratorio, con
conseguenti gradienti di temperatura e umidità.
Il pattern di deposizione delle particelle inalate
può essere espresso come funzione di tre classi di
variabili: le caratteristiche dell’aerosol, i parametri
ventilatori e la morfologia del tratto respiratorio.
L’efficienza dei differenti meccanismi di deposizione (impatto inerziale, sedimentazione e diffusione)
possono essere, di volta in volta, formulati nei termini di queste variabili.
Conseguentemente, attraverso la comprensione
dei ruoli legati ai rispettivi fattori di deposizione, il
personale medico può prevedere la deposizione
del farmaco nei polmoni: ad esempio, nelle regioni
superiori dell’albero tracheobronchiale la deposizione delle particelle di grosse dimensioni è principalmente attribuita all’impatto inerziale, mentre
nelle vie aeree più periferiche può essere ascritta
principalmente alla sedimentazione e alla diffusione.
La deposizione dovuta all’impatto inerziale può
essere aumentata nelle vie aeree superiori aumentando la velocità del flusso inspiratorio o, al contrario, si può promuovere la deposizione nelle vie
aeree periferiche mediante la sedimentazione,
aumentando la durata della pausa post-inspiratoria (il tempo in cui viene trattenuto il respiro alla
fine dell’inspirazione). Si potrebbero ottenere
benefici distinti se i farmaci inalati potessero essere depositati selettivamente.
Nella pratica clinica è spesso necessario somministrare dosi massicce all’intero polmone per indurre una risposta terapeutica adeguata; se, invece,
potessimo indirizzare i farmaci a siti specifici
potremmo eliminare gli effetti avversi secondari
alla quantità di farmaco che si deposita al di fuori
della sede desiderata. Se i farmaci fossero mirati, lo
spreco (sovradosaggio polmonare per portare
una quantità utile alla sede desiderata) potrebbe
essere minimizzato, se non del tutto eliminato,
migliorando così il rapporto costo-beneficio del
trattamento.
Linee Guida per la scelta dei
dispositivi
I dispositivi per inalazione utilizzati nella gestione
dell’asma possono essere classificati in: nebulizzatori, inalatori predosati pressurizzati (pMDI), pMDI
85
86
Kantar, et al.
con distanziatori o camere d’inalazione munite di
valvole (valve holding chamber, VHC) e inalatori a
polvere secca (DPI).
Un problema clinico comune è: quale dispositivo
occorre utilizzare con un determinato farmaco
per uno specifico paziente?
Ci sono vantaggi e svantaggi per ciascun tipo di
dispositivo. Le metanalisi recenti sulla selezione dei
sistemi di erogazione di aerosol per l’asma acuto
hanno concluso che il dosaggio inalato di β2-agonisti short acting erogati da un nebulizzatore o da
un pMDI con VHC, è sostanzialmente equivalente
(4-6). La più esauriente revisione sistematica basata sull’evidenza è stata pubblicata da Dolovich e
collaboratori (4). Questi Autori hanno revisionato
gli studi sui pMDI (con e senza VHC) e i DPI per
la somministrazione di β2-agonisti, anticolinergici e
steroidi inalatori in diverse situazioni cliniche
(dipartimenti di emergenza, terapie intensive,
pazienti ricoverati e pazienti ambulatoriali) e in differenti categorie di pazienti (BPCO, asmatici adulti e bambini).
Nella review sono stati inclusi solo studi randomizzati controllati nei quali lo stesso farmaco era stato
somministrato con dispositivi differenti. Il risultato
della revisione è che ciascun dispositivo può funzionare ugualmente bene in diverse situazioni cliniche, ammesso che i pazienti siano in grado di utilizzare i dispositivi in maniera appropriata. Queste
conclusioni non devono però essere fraintese: la
scelta del dispositivo non è irrilevante, al contrario,
lo studio sottolinea quanto sia fondamentale il
corretto utilizzo dei diversi dispositivi. Si tratta di
una affermazione importante perché, nella maggior parte degli studi, specialmente se condotti su
pazienti ambulatoriali, si selezionano pazienti capaci di utilizzare ciascun dispositivo con la tecnica
appropriata o comunque i pazienti vengono addestrati e istruiti sull’uso dei dispositivi.
Gli studi randomizzati valutati nella review di
Dolovich e collaboratori non forniscono molte
indicazioni per prevedere pazienti abbiano buone
probabilità di utilizzare correttamente un dispositivo piuttosto che un altro, e non prendono in
considerazione molti altri aspetti che sono importanti nella scelta del dispositivo di erogazione per
uno specifico paziente, in una specifica situazione
clinica (capacità del paziente di utilizzare il device,
preferenze del paziente, disponibilità e costo del
dispositivo). Ci sono situazioni cliniche in cui la
selezione è determinata principalmente dalle
caratteristiche del paziente; per esempio i lattanti
ed i bambini più piccoli molto probabilmente non
sono in grado di utilizzare un pMDI (senza VHC)
o un DPI. Ci sono, inoltre, pochi studi randomizzati controllati sull’uso di pMDI senza VHC nei dipartimenti di emergenza, poiché molti medici credono che la dispnea grave vissuta dai pazienti asmatici in questa situazione clinica, possa impedire loro
un corretto utilizzo del dispositivo. La review non
comprende studi che abbiano confrontato dispositivi dello stesso tipo (ad esempio nebulizzatori o
VHC di diversi produttori). I nebulizzatori e le
VHC hanno diversi tassi di erogazione dei farmaci
in relazione sia al tipo di device che al farmaco. La
review posiziona tutti i dispositivi sullo stesso livello di efficacia sebbene diversi studi abbiano dimostrato significative differenze tra dispositivi della
stessa categoria.
Barry e O’Callaghan hanno messo in evidenza differenze significative nell’erogazione di salbutamolo
con diverse categorie di nebulizzatori e anche tra
nebulizzatori apparentemente della stessa categoria (7). Dati analoghi sono stati riportati anche da
Rau e collaboratori (8). Un andamento parallelo è
stato descritto recentemente riguardo le differenze nell’erogazione di salbutamolo con differenti
combinazioni di pMDI-VHC (9). Questi dati focalizzano l’attenzione sull’assioma che afferma la diseguaglianza dei dispositivi appartenenti alla stessa
categoria per la quale ciò che è valido per un dispositivo non è necessariamente valido per gli altri.
La revisione di Dolovich e collaboratori non ha
preso in considerazione gli studi con bassi livelli di
evidenza, quali, ad esempio, gli innumerevoli lavori
che hanno valutato in vitro gli apparecchi per
aerosol.
L’efficacia dei broncodilatatori inalati è legata da
una caratteristica curva dose-risposta alla quantità
di farmaco depositata nei polmoni (10, 11). La
maggior parte degli studi ha un valore limitato poiché utilizza β2-agonisti a dosi che sono generalmente superiori, o comunque molto vicine, alla
curva dose-risposta.
Uno degli errori più comuni nella comparazione
dell’efficacia di diversi dispositivi è l’utilizzo, come
outcome, dell’incremento del FEV1 in risposta ai
β2-agonisti short-acting. Numerosi studi hanno
dimostrato che si può ottenere un’analoga broncodilatazione pur utilizzando dosi di β2-agonisti
inferiori a quelle comunemente utilizzate (12, 3).
Fishwick e collaboratori hanno dimostrato che
Corticosteroidi per la nebulizzazione: non tutti nascono uguali
quando il salbutamolo viene inalato da pazienti
asmatici adulti si ottengono incrementi di FEV1 quasi
identici somministrando una dose cumulativa di 400
µg in 90 minuti o di 800 µg seguendo lo stesso regime e gli stessi intervalli di somministrazione (12).
Il problema della dose di broncodilatatore somministrato nella fase di plateau massimo della curva
dose-risposta è evidenziato da uno studio pediatrico che ha mostrato come, sebbene la deposizione polmonare utilizzando un pMDI con o senza
distanziatore fosse rispettivamente del 23,5% contro il 12,3%, non vi erano differenze nelle variazioni di FEV1 (13).
Alla luce dei dati attuali è evidente che una correlazione dose-risposta significativa per un inalatore
non basta per concludere che uno studio sia in
grado di distinguere tra diversi dispositivi esaminati. Si possono trarre conclusioni riguardo al rapporto relativo dose-potenza dei farmaci e/o dei
dispositivi esaminati solo se, in aggiunta, si osservano significative modificazioni delle curve cumulative dose-risposta.
Dentro il nebulizzatore
Viene definita atomizzazione la conversione di
liquido in piccole goccioline. Questa dispersione di
fase richiede energia per produrre sia area di
superficie che trasporto del fluido atomizzato. La
base dell’atomizzazione a getto d’aria è l’interazione di una corrente d’aria ad alta velocità con un
flusso di liquido che si muove a bassa velocità. La
fase liquida viene dispersa nella fase gassosa e,
quindi, convertita in piccole goccioline. Le forze
fisiche che governano il processo sono la tensione
superficiale e la viscosità opposte alle forze aerodinamiche. Queste ultime agiscono sulla superficie
del liquido determinandola rottura dei legami ed
esercitando una forza esterna sulla massa del liquido: la quantità di energia necessaria e la modalità
con la quale essa agisce sul liquido, possono
influenzare la dimensione delle particelle.
Gli apparecchi per aerosol tradizionali sono rappresentati dai nebulizzatori a flusso continuo. I
nebulizzatori pneumatici differiscono dagli atomizzatori per la loro capacità di riutilizzare il fluido e
per la presenza di uno o più deflettori o siti di
impatto che bloccano il primo l’aerosol erogato
dall’atomizzatore (Figura 1).
Il ricircolo del fluido e l’azione dei deflettori favoriscono il controllo delle dimensioni delle particelle,
della velocità e del volume del flusso di aerosol: se
non fosse presente il deflettore, l’aerosol verrebbe erogato ad alta velocità (>100 m/sec) e in
volume eccessivo (1-2 mL/secondo). In questo
modo le particelle emesse dal nebulizzatore
hanno un range dimensionale che permette loro
di immettersi e penetrare facilmente nell’albero
bronchiale (14).
Nei nebulizzatori pneumatici il gas passa da un
sistema ad alta pressione attraverso un ugello di
calibro molto ridotto, noto come Venturi. In corrispondenza del Venturi la pressione crolla, la velocità del gas aumenta enormemente, producendo un
fronte coniforme che passa ad alta velocità sull’estremità del tubo di alimentazione del liquido o di
un sistema di alimentazione concentrico. In quel
punto viene a crearsi così una pressione negativa
grazie alla quale il liquido viene risucchiato ed
estratto in sottili filamenti che successivamente,
sotto l’influenza della tensione superficiale, collassano in goccioline (15). Solo lo 0,5% della massa di
particelle primarie (quindi le particelle più piccole)
lascia il nebulizzatore direttamente, mentre il
restante 99,5% impatta sui deflettori o sulle pareti interne: il liquido ritorna quindi all’ampolla e
viene nebulizzato nuovamente.Vi sono diversi tipi
di ugelli utilizzati nei nebulizzatori, ma sono scarsi i
dati forniti dalle aziende produttrici riguardo la
Figura 1 Il deflettore. Solo lo 0,5% delle goccioline esce
direttamente dal nebulizzatore. Il rimanente 99,5%
impatta sul deflettore, sulle pareti della ampolla e successivamente viene riciclato.
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88
Kantar, et al.
loro struttura e le loro performance. Le dimensioni degli ugelli possono differire significativamente e
le imperfezioni di questi prodotti sono all’origine
della inter- ed intra-variabilità dei nebulizzatori.
La dimensione, la forma e il posizionamento del
deflettore giocano un ruolo importante nel controllo dell’erogazione: i diaframmi interni vengono utilizzati per ridurre le dimensioni delle particelle, ma essi incrementano l’area delle superfici
del nebulizzatore e conseguentemente il volume
residuo e lo spreco di farmaco. I nebulizzatori a
emissione continua producono in modo continuo un aerosol che viene diluito durante l’inspirazione dall’aria inalata attraverso un raccordo a
T. Questi nebulizzatori richiedono alti flussi d’aria
compressa (> 6ml/min) allo scopo di ottenere
un tempo di trattamento accettabile e delle
caratteristiche di emissione adeguate. Durante
l’utilizzo di nebulizzatori a flusso continuo almeno
il 50% dell’aerosol viene disperso nell’ambiente
durante l’espirazione.
Il nebulizzatore open vent (Figura 2, in alto) è un
modello dotato di un’apertura accessoria attraverso la quale è possibile un ulteriore ingresso d’aria nella camera grazie alla pressione negativa
generata dall’espansione dell’aria compressa in
prossimità del Venturi, allo stesso modo in cui
viene risucchiato il liquido dal tubo di alimentazione. Ciò produce un flusso d’aria maggiore e continuo attraverso la camera di nebulizzazione il
quale favorisce l’emissione di particelle più piccole, nell’unità di tempo, e determina tempi di nebulizzazione più brevi (16).
La caratteristica più importante per valutare la performance di un nebulizzatore è la frazione respirabile, cioè la quota di particelle erogate con diametro compreso tra 1 e 5µm. Altre caratteristiche
da valutare sono il minimo spreco di farmaco, il
tempo ridotto di nebulizzazione, la facilità di utilizzo, pulizia e sterilizzazione.
In genere viene raccomandato un volume di
riempimento di 4-5 ml, a meno che il nebulizzatore sia specificamente progettato per volumi
maggiori o minori (17). Per portare il volume di
riempimento a 4-5 ml, si deve aggiungere soluzione fisiologica nel nebulizzatore; l’aumento del
tempo di nebulizzazione dovuto al maggior volume di riempimento può essere contenuto
aumentando il flusso utilizzato per alimentare il
nebulizzatore: in questo modo si ottiene anche
una diminuzione delle dimensioni delle particelle.
Il flusso raccomandato è di 6-8 L/min, a meno
che il nebulizzatore sia specificamente progettato
per un flusso diverso.
Diversi studi hanno riportato differenze di performance tra nebulizzatori di diversi costruttori e tra
nebulizzatori dello stesso produttore (18, 19).
Nebulizzatori che riducono lo
spreco di aerosol
Il nebulizzatore tradizionale è concepito per fondere due flussi: il flusso del nebulizzatore e il flusso
aereo del paziente. I nebulizzatori breath enhanced
(Figura 2, al centro) utilizzano un sistema open-vent
dotato di valvole: il paziente respira attraverso il
nebulizzatore aumentando l’erogazione dell’aerosol durante la fase inspiratoria. Durante la fase
espiratoria, invece, una valvola monodirezionale
devia il flusso del paziente all’esterno. Molti studi
riportano una maggiore deposizione polmonare
con l’impiego di questi modelli rispetto ai nebulizzatori tradizionali (20-22).
La perdita di aerosol durante la fase espiratoria
può essere eliminata se il nebulizzatore è attivato
solo durante la fase inspiratoria; questo è il principio d’azione dei nebulizzatori breath-activated
(Figura 2, in basso) i quali sono attivati dagli atti
respiratori (sincronizzati al respiro). Molti studi
hanno riportato un ridotto spreco di farmaco con
questo tipo di nebulizzatori (23-25).
Una variante di questo metodo è utilizzata dall’adaptive aerosol (26-28) che si avvale di una
modalità di erogazione sviluppata per ridurre la
variabilità della dose rilasciata, per ridurre la dispersione dell’aerosol nell’ambiente durante l’espirazione e per migliorare l’adesione del paziente al trattamento e all’utilizzo dell’apparecchio. Il
dispositivo analizza il pattern respiratorio del
paziente e, quindi, determina i tempi d’erogazione pulsata: le variazioni di pressione del flusso
aereo nei primi 3 atti respiratori vengono utilizzate per determinare il momento preciso in cui
attivare l’erogazione dell’aerosol durante l’inalazione. Il monitoraggio dei 3 atti respiratori continua per tutto il trattamento cosicché il dispositivo si adatti continuamente al pattern respiratorio del paziente.
Leung e collaboratori hanno rilevato che, rispetto
ai nebulizzatori breath-activated, i modelli breathenhanced hanno tempi di inalazione inferiori (29)
(Figura 3).
Corticosteroidi per la nebulizzazione: non tutti nascono uguali
Nebulizzatore convenzionale open-vent
Nebulizzatore open-vent breath-enhanced
Nebulizzatore open-vent breath activated
Figura 2 Nebulizzatore convenzionale open-vent (in alto). Nebulizzatore open-vent breath-enhanced (al centro).
Nebulizzatore open-vent breath activated (in basso).
Nebulizzatori a membrana vibrante
microforata (mesh)
Molti produttori hanno realizzato apparecchi per
aerosol che utilizzano una maglia o una piastra con
diversi fori (30-32). Questi apparecchi utilizzano una
membrana vibrante o un corno oscillante. Nel
primo caso (ad esempio, Aerogen Aeroneb, Nektar,
San Carlos, California; eFlow, Pari, Richmond,Virginia)
la contrazione e l’espansione di un elemento vibrante producono il movimento alternato verso l’alto e
verso il basso di una piastra cupoliforme che presenta circa 1.000 fori conici. Questi forellini presentano la sezione più grande verso il lato in cui è contenuto il liquido e la sezione più stretta sul lato da
cui fuoriescono le goccioline. Il farmaco è posizionato in un serbatoio al di sotto della piastra. In
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Kantar, et al.
Inspirazione
Espirazione
Nebulizzatore
convenzionale e open vent
40:60
Breath-enhanced
open vent
65:30
Breath-activated
open vent
100:0
Figura 3 Rappresentazione schematica del pattern respiratorio e dei rapporti inspirazione/espirazione con tre tipi di
getti da diversi nebulizzatori. Il farmaco disponibile per l’inalazione è indicato dalle aree grigio scuro. Le aree grigio
chiaro indicano l’aerosol che viene disperso nell’aria ambiente. Queste due aree sono utilizzate per calcolare il rapporto medio inspirazione/espirazione relative all’emissione di aerosol da diversi tipi di nebulizzatore.
prossimità della membrana viene generata una
pressione che crea un’azione di pompa ed espelle la
soluzione attraverso i fori, producendo così un aerosol. Le dimensioni delle particelle ed il flusso sono
determinati dal diametro di uscita dei fori: esso può
essere modificato per applicazioni cliniche specifiche.
Nel sistema con corno oscillante (ad esempio,
Omron, Omron Healthcare, Bannockburn, Illinois)
un cristallo piezoelettrico, stimolato da una corrente
elettrica, vibra ad alta frequenza. La vibrazione viene
trasmessa ad un trasduttore, producendo così un
movimento alternato verso l’alto ed il basso della
membrana microforata che è a contatto con la soluzione: il liquido passa attraverso le aperture e forma
l’aerosol. La nebulizzazione con un dispositivo a
membrana dipende dalle caratteristiche del fluido;
questi modelli possono infatti non essere adatti ai
fluidi viscosi, pertanto è fondamentale che la formulazione dei farmaci venga valutata a seconda del dispositivo utilizzato (33, 34). Il meccanismo a membrana vibrante può essere associato all’erogazione
adattiva dell’aerosol, come nell’apparecchio I-neb
(Respironics, Murrysville, Pennsylvania) (35).
Respimat soft mist inhaler
L’apparecchio Respimat Soft Mist Inhaler
(Boehringer Ingelheim, Germany) eroga una dose
misurata di farmaco in forma di nebbia fine (36-38).
Il farmaco erogato dal Respimat è conservato allo
stato liquido all’interno della cartuccia in un sacchetto pieghevole. Con ciascuna attivazione, il
dosaggio corretto viene estratto dal serbatoio
interno e il sacchetto flessibile, di conseguenza, si
contrae. Un giro della base dell’inalatore comprime una molla, un tubo scivola attraverso un canale nella cartuccia e ne estrae la dose in una micropompa. Quando il pulsante di rilascio della dose
viene premuto, l’energia rilasciata dalla molla, forza
il liquido attraverso un sistema di canali, ne determina il rallentamento rilasciando così un aerosol a
velocità contenuta. L’ugello estremamente sottile
di questo sistema è l’elemento centrale del
Respimat. Quando la soluzione di farmaco viene
forzata attraverso l’ugello, due getti escono e convergono con un angolo ottimizzato affinché il loro
impatto generi un aerosol che si muove lentamente e ha una durata maggiore rispetto a quello
prodotto da un pMDI. Il Respimat, confrontato
con un pMDI di fenoterolo e ipratropio bromuro,
nei pazienti asmatici garantisce una broncodilatazione equivalente utilizzando metà della dose (39).
Studi scintigrafici hanno dimostrato inoltre che,
rispetto alla somministrazione con pMDI, la deposizione polmonare è raddoppiata e quella orofaringea ridotta (40-42).
Un ulteriore studio ha rilevato che la maggioranza
dei pazienti preferisce il Respimat al pMDI (43).
Corticosteroidi per la nebulizzazione: non tutti nascono uguali
Nebulizzatori ad ultrasuoni
Un nebulizzatore ultrasonico converte l’energia
elettrica in onde ultrasoniche ad alta frequenza. In
commercio sono disponibili nebulizzatori ad ultrasuoni di piccole dimensioni realizzati per la somministrazione per via inalatoria di farmaci broncodilatatori, ma l’utilizzo di questi apparecchi è inibito dai loro frequenti malfunzionamenti meccanici.
Un problema potenziale di questo tipo di nebulizzatori consiste nella possibilità che le onde ultrasoniche causino l’inattivazione del farmaco, sebbene questo fenomeno non sia stato dimostrato con
i farmaci comunemente utilizzati.
I nebulizzatori ultrasonici mostrano un’inefficiente nebulizzazione delle formulazioni in sospensione (44).
Binomio farmaco-dispositivo
Nonostante l’ampia disponibilità di dispositivi pressurizzati (pMDI) e a polvere secca (DPI), i nebulizzatori continuano ad essere ampiamente utilizzati
per la terapia inalatoria, con la realizzazione di
nuovi apparecchi, come quelli a membrana vibrante. Ciò è principalmente dovuto al fatto che essi
possono essere utilizzati per somministrare quasi
tutte le classi terapeutiche di farmaci per il tratto
respiratorio, sia nei pazienti sottoposti a ventilazione meccanica che in quelli ambulatoriali (45). I
nebulizzatori generalmente sono fabbricati per
l’impiego di diversi prodotti, sovente realizzati da
differenti case farmaceutiche, in base al giudizio e
alle prescrizioni dei medici. Nel caso dei pMDI e
dei DPI la situazione è radicalmente diversa poiché il farmaco e il dispositivo che lo eroga sono
direttamente legati e sono quasi sempre sotto la
responsabilità della compagnia farmaceutica che
produce entrambi. La regolamentazione dei nebulizzatori ha tradizionalmente avuto luogo mediante la sezione dispositivi delle varie agenzie, seguendo procedure separate da quelle usate per regolamentare i farmaci con i quali essi vengono utilizzati. In difformità da questa consuetudine, attualmente i nebulizzatori, in una guida regolatoria unificata Health Canada-EMEA sulla Pharmaceutical
Quality of Inhalation and Nasal Products, vengono
inclusi in altre classi di inalatori portatili (46, 47). Le
Linee Guida paneuropee sui nebulizzatori come
dispositivi per la somministrazione di farmaci, sviluppate circa 7 anni fa, stabilivano di definire standard uniformi per il loro utilizzo (48), mediante
test di performance intrapresi in accordo con il
European Committee for standardization (CEN)
(49). È in fase di revisione, per la possibile inclusione nella farmacopea dell’Europa (50) e degli Stati
Uniti (51), una monografia sulla caratterizzazione
delle formulazioni per la nebulizzazione.
Riconoscendo il bisogno di armonizzare gli standard focalizzati sui dispositivi e gli standard relativi
al farmaco, la maggior parte delle metodologie
proposte nella bozza della monografia è basata,
ove possibile, sulle procedure descritte nello standard CEN 2001 (49). Più recentemente l’avvento
della Next Generation Pharmaceutical Impactor
(NGI) ha preso posto dopo che questo standard
era stato emanato: NGI offre importanti informazioni aggiuntive (52).
Il nebulizer Sub-Team dell’European Pharmaceutical
Aerosol Group fu istituito nel 2005 per rivalutare i
metodi usati per la caratterizzazione in vitro dei
nebulizzatori, alla luce degli sviluppi precedentemente esposti. Questa decisione è stata tempestiva
e necessaria in considerazione della nuova attenzione prestata a questi dispositivi sia dai compendi che
dalle agenzie regolatorie per lo sviluppo di nuovi tipi
di dispositivi, compresi i nebulizzatori breath-activated e breath-adaptive. Questi ultimi, ad esempio, non
possono avvalersi dei metodi di campionamento
utilizzati per i nebulizzatori a flusso continuo. Come
ulteriore esempio, i metodi ottici per la caratterizzazione delle dimensioni delle particelle, in particolare la diffrattometria laser, pur essendo rapidi e
pertanto potenzialmente utili come strumenti per
eseguire il controllo di qualità dei farmaci utilizzati
con un nebulizzatore, si rivelano inappropriati, senza
le dovute precauzioni, per i nebulizzatori che consentono l’evaporazione interna dell’aerosol (tutti i
nebulizzatori ad emissione continua). Essi sono inadatti anche per le formulazioni in sospensione nelle
quali le particelle di aerosol possono non contenere il farmaco o possono contenere più molecole di
farmaco per ogni particella erogata. Queste limitazioni non sono sempre annoverate ed evidenti nelle
guide informative industriali e nella documentazione standard.
Formulazioni farmaceutiche per la
nebulizzazione
Il farmaco è un fattore di primaria importanza poiché è in grado di influenzare significativamente la
deposizione a livello polmonare. Le caratteristiche
91
92
Kantar, et al.
fisiche e chimiche della preparazione farmaceutica
ed il comportamento del farmaco durante la
nebulizzazione sono fattori da prendere in considerazione nel momento in cui si prescrive una
terapia inalatoria. Quando si nebulizza una soluzione, ammesso che la soluzione contenuta nel
nebulizzatore sia uniformemente miscelata, ciascuna gocciolina di aerosol ha un’elevata probabilità di
avere una concentrazione del farmaco relativamente uniforme in qualsiasi momento della nebulizzazione. Peraltro, siccome i diluenti del farmaco
(come la soluzione isotonica) tendono ad evaporare durante la nebulizzazione, la concentrazione
del farmaco nell’aerosol aumenta via che procede
il processo (53, 54).
In una sospensione di farmaco relativamente insolubile, ciascuna gocciolina nebulizzata di diluente è
un potenziale veicolo di molecole di farmaco in
fase solida, a condizione che le goccioline di
diluente siano di dimensioni maggiori delle particelle solide di farmaco. Occorre dedicare particolare attenzione agli steroidi per nebulizzazione in
sospensione: le singole particelle micronizzate di
steroide di 2 µm di diametro, acquisendo un rivestimento di soluzione veicolante durante la nebulizzazione, aumentano di volume, pertanto un
nebulizzatore con deflettori che consentono il rilascio solo delle particelle di diametro inferiore o
uguale a 2 µm, teoricamente, non rilascerà particelle di steroide per l’inalazione.
Il binomio farmaco-nebulizzatore è un fattore cruciale per ottenere la deposizione ottimale del farmaco in un sito specifico. Non tutti i farmaci sono
idonei alla nebulizzazione: le caratteristiche fisicochimiche del fluido influenzano l’erogazione del
farmaco dai nebulizzatori (55). Una scarsa idrosolubilità e un’alta viscosità, causano la nebulizzazione di particelle particolarmente grandi, che non
sono in grado di raggiungere le piccole vie aeree.
Alcune case farmaceutiche utilizzano additivi
come il glicole propilenico per aumentare la solubilità del farmaco nel diluente (56).
I farmaci solitamente vengono nebulizzati come
soluzioni in cui il principio attivo è disciolto in una
soluzione, in genere acquosa, formando una fase
continua. Le sospensioni possono essere adeguatamente nebulizzate: il fatto che ci siano due fasi nel
volume di riempimento del nebulizzatore non
impedisce il trasporto delle particelle sospese nella
fase gassosa, ammesso che il nebulizzatore abbia
uno spazio sufficiente per la loro distribuzione
fisica. L’influenza dello stato fisico del liquido sul
funzionamento del nebulizzatore è evidente.
La relativa alta efficienza del nebulizzatore, associata alla distribuzione delle particelle piccole, riflette
il suo sistema di deflettori interno, idoneo per
soluzioni acquose. Nel caso, ad esempio, della
sospensione di budesonide, i deflettori interni catturano molte delle particelle di farmaco di diametro maggiore.
Non sempre si tiene conto del fatto che la formulazione del farmaco può inficiare la prestazione
del nebulizzatore. MacNeish e collaboratori, con
uno studio, hanno rilevato che l’emissione di un
nebulizzatore era significativamente maggiore con
una formulazione che conteneva un particolare
conservante, probabilmente grazie alla sua specifica attività di superficie (57). Quando veniva utilizzata la soluzione senza conservante le particelle
più grandi aderivano alle pareti del nebulizzatore,
mentre ciò non avveniva con la formulazione contenente il conservante. Berlinski e Waldrep hanno
riportato che la nebulizzazione contemporanea di
salbutamolo e altri farmaci, può modificare l’output
dell’aerosol e le caratteristiche dello stesso (58).
Anche altri Autori hanno riportato gli effetti che le
diverse formulazioni del farmaco hanno sull’output
da parte del nebulizzatore (59, 60).
I medici ed i pazienti preferiscono miscelare le formulazioni per diminuire il tempo richiesto per il
trattamento, ma prima di consentire la miscela di
più farmaci nell’ampolla di nebulizzazione il medico dovrebbe essere certo che tale combinazione
risponda a criteri di compatibilità (61-64).
L’importanza dell’abbinamento appropriato del
farmaco con un nebulizzatore è spesso ignorata.
Le più recenti soluzioni di farmaci (pentamidina,
ribavirina, deossiribonucleasi ricombinante umana,
tobramicina) sono state approvate per la loro
somministrazione con specifici nebulizzatori.
C’è una considerevole variazione nella performance tra diversi modelli di nebulizzatore e non tutte
le marche sono ideali per ogni terapia farmacologica (65, 66). L’output del farmaco e la dimensione
delle particelle variano a seconda del modello, del
marchio del nebulizzatore nonché delle proprietà
fisico-chimiche del farmaco (67, 68).
I produttori di formulazioni farmacologiche per la
nebulizzazione generalmente non raccomandano,
per l’utilizzo di ciascun farmaco, uno specifico nebulizzatore o una combinazione ideale nebulizzatore/compressore: ne consegue che ogni farmaco
Corticosteroidi per la nebulizzazione: non tutti nascono uguali
può venire somministrato con un’ampia varietà di
nebulizzatori e ciò conduce ad una variabilità della
dose inalata e dell’efficacia della terapia. Newman
e collaboratori, comparando 4 modelli di nebulizzatori con 4 diversi flussi d’aria compressa per l’erogazione della gentamicina (69), hanno rilevato
una differenza consistente (di 10 volte) tra l’apparecchio più efficiente e quello meno efficiente,
giungendo così alla conclusione che i pazienti
potrebbero andare incontro ad un sottodosaggio
qualora vengano impiegati sistemi di nebulizzazione inefficienti. In un altro studio, che ha valutato le
performance di 12 nebulizzatori per il trattamento
della fibrosi cistica (CF), i ricercatori hanno riportato un’ampia variazione nell’efficienza dei diversi
nebulizzatori, con una percentuale di farmaco efficacemente aerosolizzato variabile dal 30% a meno
del 5% della dose iniziale (70).
I medici dovrebbero poter adattare la prescrizione alla performance del nebulizzatore disponibile
per il loro paziente e identificare la combinazione
nebulizzatore/compressore più efficiente nel
garantire un’efficacia terapeutica ottimale.
Valutazione delle performance farmaconebulizzatore
Nell’industria farmaceutica la determinazione della
distribuzione dimensionale delle particelle (particle
size distribution, PSD) è indispensabile per valutare
le caratteristiche di deposizione delle particelle nei
polmoni. Nella pratica il metodo dell’impatto è
quello più comunemente utilizzato: i cascade
impactor (CI), incluso il modello Multistage Liquid
Impinger (MSLI) è utilizzato per l’analisi in vitro
delle dimensioni delle particelle aerosolizzate dagli
inalatori. Essi sono gli equipaggiamenti di scelta
nella Farmacopea sia dell’Europa che degli Stati
Uniti (71, 72) e sono raccomandati negli attuali
documenti normativi per l’industria pubblicati dalle
corrispondenti autorità regolatorie.
I CI si avvalgono di un modello semplificato dell’apparato respiratorio umano: l’aerosol viene guidato, mediante una corrente d’aria a flusso definito, attraverso una curva rettangolare analoga al
faringe umano fino ai successivi stadi di impatto,
mostrando che le dimensioni delle particelle
determinano la deposizione nelle differenti aree
polmonari. Ulteriori informazioni sui CI e sul principio di misurazione possono essere approfondite
in una serie di monografie di Lodge e Chan (73).
I diffrattometri laser (LD), definiti anche e più correttamente strumenti low angle laser light scattering
(LALLS), costituiscono una classe di analizzatori
del diametro delle particelle. Il principio di analisi
agisce in funzione dell’interpretazione del pattern
di rifrazione della luce su un insieme di particelle
solide e liquide, in un raggio collimato di luce
costante (74). Il pattern di rifrazione della luce è
convertito in una distribuzione volume-massa
delle dimensioni delle particelle: questa conversione avviene mediante l’applicazione di un modello
che descrive la relazione tra l’energia luminosa dispersa e l’angolo di rifrazione, in relazione all’asse
definito dalla sorgente luminosa, dall’aerosol e
dalle ottiche di rilevamento. Questa tecnica è
molto rapida perché vengono eseguite diverse
centinaia di scansioni del raggio nell’intervallo di 1
sec, e con i moderni strumenti si raggiungono le
2.500 scansioni al secondo.
A differenza dei CI, nei quali la distribuzione
dimensionale è solitamente derivata direttamente
da analisi chimiche della massa di principi farmacologici attivi (API) raccolti nei diversi stadi, la diffrattometria laser determina le dimensioni delle
particelle indirettamente dal pattern di rifrazione
dell’intensità luminosa rilevata dallo strumento. É
quindi essenziale utilizzare un modello ottico
appropriato in grado di tradurre accuratamente
questa informazione nella distribuzione dimensionale delle particelle.
I diffrattometri laser devono essere utilizzati con
cautela poiché questa metodica non tiene conto
degli effetti della concentrazione del soluto che
possono risultare importanti quando si verifica
una rapida evaporazione delle goccioline. Clark e
Borgström hanno evidenziato, inoltre, che questa
tecnica non è applicabile all’analisi dell’aerosol
ottenuto dalle sospensioni senza una validazione
mediante un metodo indipendente di misurazione
delle particelle, in quanto essa discrimina in base
alle dimensioni delle particelle anziché delle singole particelle di API (75). Nelle formulazioni in
sospensione è possibile trovare più particelle di
API in una gocciolina o, parimenti, goccioline che
non contengono API, contrariamente alle formulazioni in soluzione nelle quali le API sono distribuite omogeneamente in tutte le goccioline indipendentemente dalle dimensioni. Questo fenomeno è
stato illustrato da Hickey e Evans in riferimento a
un tipo di formulazione in sospensione, erogata da
un inalatore pressurizzato predosato (pMDI) (76).
93
94
Kantar, et al.
Considerazioni analoghe sono applicabili anche
alle formulazioni in sospensione destinate alla
nebulizzazione.
Concludendo, vi è accordo sul fatto che il processo di misurazione con CI è complesso e molto
impegnativo, ma al momento esso costituisce l’unico sistema per determinare la distribuzione
dimensionale delle particelle inalate quantificando
la massa delle API separatamente dalle altre componenti della formulazione.
Nebulizzazione di corticosteroidi
inalatori
L’uso di nebulizzatori per somministrare steroidi
inalatori (ICS) ha diverse e significative limitazioni. Le
caratteristiche igroscopiche del farmaco sono
importanti fattori che determinano la solubilità nel
diluente utilizzato (di solito soluzione fisiologica). Gli
ICS relativamente insolubili in acqua, come il beclometasone diproprionato (BDP) e il fluticasone propionato (FP) vengono nebulizzati in modo sostanzialmente differente rispetto agli ICS più solubili in
acqua come il flunisolide (FLU) o il budesonide
(BUD) (Tabella 1). La diminuzione della solubilità in
acqua e l’incremento della viscosità producono
principalmente particelle più grandi: ciò costituisce
un problema perché in questo modo il 99,5% delle
particelle ritorna nel serbatoio per essere nebulizzato nuovamente: le particelle di diametro maggiore vengono riciclate e solo quelle fini sfuggono all’effetto del deflettore. Questo limita l’erogazione del
farmaco: esso rimane infatti nel dispositivo mentre
viene erogato solamente il diluente sottoforma di
particelle respirabili. Le particelle del farmaco in
sospensione, inoltre, sono largamente eterodisperse determinando così una deposizione nelle basse
vie aeree estremamente modesta.
Tabella 1 Solubilità di alcuni steroidi inalatori. Modificata da
(93).
Solubilità
in acqua
(µg/ml)
Tempo di
solubilizzazione
(fluido bronchiale
umano in vitro)
0,13/15,5
>5 h/-
Budesonide
16
6 min
Flunisolide
140
<2 min
Fluticasone
0,14
>8 h
BPD/BMP
La nebulizzazione offre importanti vantaggi rispetto agli altri metodi d’inalazione. Nei DPI gli ICS
sono di solito inalati come microcristalli che devono dissolversi nei fluidi epiteliali: la lipofilia può
ritardare la loro dissoluzione, il che, in una certa
misura, può risultare vantaggioso (tempo di permanenza polmonare prolungato), ma può nel frattempo determinare la loro rimozione dalle vie
aeree periferiche da parte del sistema di trasporto mucociliare. Le goccioline di aerosol prodotte
dai nebulizzatori, poiché sono disciolte nel diluente, hanno minori probabilità di aggregarsi rispetto
alle particelle erogate da un DPI, inoltre sono in
grado di trattare superfici polmonari più estese
per la tendenza del liquido ad espandersi sotto
l’effetto delle forze di dispersione superficiale.
Prima dell’assorbimento attraverso la membrana
alveolare, la soluzione di farmaco può diffondere
su un’area relativamente grande degli alveoli sotto
l’azione delle forze di dispersione generate dalla
differenza tra la tensione superficiale del liquido
d’aerosol e del surfactante che ricopre gli alveoli e
le vie aeree (77). Il contributo di questo meccanismo alla farmacocinetica globale degli ICS rimane
ancora da approfondire e determinare (78).
La scelta di una formulazione di ICS per la nebulizzazione dovrebbe indagare principalmente l’idrosolubilità come fattore determinante l’output
del farmaco. Senza informazioni sul diametro aerodinamico di massa mediano e sulla percentuale di
particelle respirabili erogate, la dose inalata rimane
ignota e il risultato degli studi clinici può essere
interpretato scorrettamente (79).
Comportamento degli ICS durante la
nebulizzazione
Molti farmaci possono essere formulati per la
nebulizzazione in dosi sia molto alte che molto
basse (0,01 mg-1 g), sia in sospensione che in soluzione: la scelta del tipo di formulazione è in funzione delle proprietà fisico-chimiche del farmaco.
Se si utilizza una sospensione, per ottenere una
nebulizzazione analoga a quella prodotta utilizzando una soluzione, occorre disporre di un farmaco
formulato in particelle piccole, disperse e distribuite omogeneamente.
I farmaci scarsamente idrosolubili, come gli ICS,
rappresentano una sfida e uno stimolo per lo sviluppo di formulazioni adatte alla nebulizzazione. Un
farmaco che presenta un’idrosolubilità moderata o
Corticosteroidi per la nebulizzazione: non tutti nascono uguali
pH-dipendente, come si osserva con gli elettroliti deboli, può essere formulato come una soluzione: tuttavia questo approccio può richiedere
volumi maggiori rispetto a quelli utilizzati usualmente e, di conseguenza, tempi di inalazione più
lunghi, compromettendo l’aderenza terapeutica
del paziente. I farmaci con idrosolubilità molto
bassa o virtualmente nulla per poter essere
nebulizzati devono essere formulati come microo nano-sospensioni (80, 81).
Sebbene in commercio ci siano molti prodotti in
sospensione, essi sono destinati principalmente
alla somministrazione per via orale poiché questa
non richiede particolare attenzione alla distribuzione dimensionale delle particelle di farmaco. Nei
prodotti per la nebulizzazione, invece, questo
parametro diventa critico in quanto le goccioline
piccole di aerosol non possono veicolare particelle di farmaco di dimensioni maggiori: il diametro e
la forma delle particelle di farmaco in sospensione
per l’inalazione dovrebbero essere significativamente minori di 3-5 µm allo scopo di consentire
una buona nebulizzazione e alti dosaggi di frazione
respirabile senza il rischio di intasare gli ugelli del
nebulizzatore. Le nanosospensioni sono difficili da
formulare in quanto sono necessarie speciali tecniche di dispersione e di riduzione delle dimensioni ed è inoltre arduo ottenere una loro stabilizzazione. La tecnica delle nanosospensioni è stata
recentemente sperimentata per migliorare le
caratteristiche del budesonide nebulizzato (82).
Un altro modo per migliorare la deposizione
polmonare dei corticosteroidi nebulizzati è di
migliorare la solubilità di un farmaco aggiungendo additivi co-solventi come ad esempio tamponi o surfactanti (83). L’output del farmaco e la
percentuale di farmaco contenuta in particelle
piccole sono normalmente maggiori con una
soluzione rispetto a una sospensione. La formulazione di flunisolide (disponibile in Italia) contiene glicole propilenico, che agisce come cosolvente per favorire la dissoluzione del flunisolide (56).
Generalmente le preparazioni di corticosteroidi
per la nebulizzazione sono formulate come
sospensioni: il flunisolide, essendo disponibile
come soluzione, costituisce un’eccezione. La
nebulizzazione delle sospensioni è significativamente diversa da quella delle soluzioni perché
quando una particella di steroide viene nebulizzata, si trova circondata da un involucro di fluido
veicolante. Il conseguente aumento di volume
provoca una minore erogazione di particelle di
corticosteroide per l’azione dei deflettori del
nebulizzatore. I primi tentativi di nebulizzare una
sospensione di 50 µg/ml di BDP, infatti, presentarono il rilascio di una modesta quantità di farmaco nebulizzato in particelle abbastanza piccole da
penetrare nel polmone (84) ed una scarsa risposta clinica (85, 86). Un’alternativa possibile per
incrementare la quota di BDP erogata potrebbe
essere quella di aumentare la concentrazione del
farmaco, ma la sospensione di BDP alla concentrazione più elevata commercialmente disponibile
in Italia ha mostrato risultati sovrapponibili alla
preparazione con minore concentrazione.
Incrementare la concentrazione, inoltre, può
influenzare le dimensioni delle particelle: la nebulizzazione di 2 ml di una formulazione contenente 400 µg/ml di BDP ha prodotto un aerosol con
un MMAD di 6,4 µm con il Bimboneb (nebulizzatore open-vent) e di 5,4 µm con il nebulizzatore
convenzionale Nebula Plus (87).
Quando il BDP viene nebulizzato sono poche le
particelle di aerosol che contengono il farmaco: le
particelle di BDP sono circondate da un involucro
fluido che aumenta ulteriormente il diametro delle
particelle. Le goccioline che non contengono la
BDP sono probabilmente più numerose, piccole e
sono costituite solamente da soluzione veicolante
(diluente).
Recenti studi in vitro di O’Callaghan et al. hanno
valutato l’erogazione di farmaco per il BDP, il FLU
e il BUD con diversi nebulizzatori (Tabelle 2 e 3)
(87-89). Gli Autori hanno utilizzato la MSLI e tecniche di simulazione del respiro pediatrico. I risultati di questi studi mettono in evidenza l’interazione tra nebulizzatori di diversa generazione con le
molecole di ICS utilizzate: entrambi influenzano la
qualità, la quantità della nebulizzazione e la distribuzione dimensionale delle particelle, provocando
in questo modo una variabilità della dose respirabile per i bambini.
I nuovi nebulizzatori, diversi da quelli convenzionali, sono stati progettati per aumentare l’erogazione
della frazione respirabile, ma si sono rivelati quasi
del tutto inefficienti per l’erogazione dei farmaci in
sospensione: è infatti molto complesso il meccanismo d’interazione tra il principio di generazione
dell’aerosol e la formulazione delle sospensioni.
Questi dati indubbiamente indicano che la solubilità di un farmaco è un fattore chiave nella nebulizzazione degli ICS.
95
96
Kantar, et al.
Tabella 2 Il rilascio dei farmaci è stato misurato utilizzando la metodologia MSLI. L’emissione totale del farmaco
è stata rilevata mediante l’utilizzo di un simulatore del pattern respiratorio dei bambini (87, 88, 89). MMAD, diametro aerodinamico di massa mediano; GSD, deviazione standard geometrica. Per ogni parametro vengono
indicate media (n= 4) e deviazione standard tra parentesi.
BUD
Dose Nominale 500µg
Nebulizzatore
FLU
Dose Nominale 600µg
BDP
Dose Nominale 800µg
Nebula Plus
BimboNeb
Nebula Plus
BimboNeb
Nebula Plus
BimboNeb
Peso del farmaco (µg)
113,4
119,9
257,7
246,9
236,0
206,1
nebulizzato
(9,5)
(9,6)
(16,3)
(12,4)
(33,6)
(27,4)
% di farmaco nebulizzato
22,68
23,98
41,18
39,01
29,5
25,75
(1,9)
(1,9)
(2,28)
(2,39)
(4,2)
(3,42)
MMAD µm
3,38
4,48
3,86
3,87
5,36
6,37
(0,38)
(0,44)
(0,21)
(0,14)
(0,16)
(0,36)
GSD
1,9
1,8
1,88
1,8
(0,04)
(0,01)
(0,07)
(0,06)
Massa erogata (µg)
86,8
76,7
208,7
201
149,6
105,2
in particelle <6,8 µm
(4,0)
(3,5)
(14,4)
(10,4)
(21,4)
(6,3)
% di dose nominale
17,4%
15,3%
34,6%
33,5%
18,6%
13,1%
in particelle <6,8 µm
Massa erogata (µg)
67,0
53,5
154,18
148,53
91,53
57,26
in particelle <4,3 µm
(5,4)
(5,4)
(10,85)
(7,44)
(15,9)
(1,7)
% di dose nominale
13,4%
10,7%
25,7%
24,7%
11,5%
7,2%
Quantità totale di farmaco
33,7
34,0
56,1
56,4
59,8
59
rilevata nel filtro utilizzando
(4,8)
(14)
(5)
(1,4)
(7)
(5)
in particelle <4,3 µm
un simulatore di pattern
respiratorio pediatrico
(5 min di nebulizzazione)
Quantità di farmaco
27,7
22,5
45,4
45,9
37,9
30,1
contenuto in particelle
(3,9)
(9,2)
(4)
(1,1)
(4)
(3,8)
<6,8 µm rilasciata
utilizzando un simulatore
di pattern respiratorio
pediatrico
(5 min di nebulizzazione)
Quantità di farmaco
21,9
16,6
33,5
34
23,2
16,4
contenuto in particelle
(3,1)
(6,8)
(3)
(0,8)
(3,7)
(3,2)
<4,3 µm rilasciata
utilizzando un simulatore
di pattern respiratorio
pediatrico
(5 min di nebulizzazione)
Corticosteroidi per la nebulizzazione: non tutti nascono uguali
Tabella 2 Il rilascio dei farmaci è stato misurato utilizzando il Next Generation Pharmaceutical Impactor (NGI).
L’emissione totale del farmaco è stata rilevata mediante l’utilizzo del simulatore del pattern respiratorio dei bambini Pari COMPAS Breathing Simulator (controllo computerizzato) per ogni farmaco (dati forniti da Valeas S.p.A).
MMAD, diametro aerodinamico di massa mediano; GSD, deviazione standard geometrica. Per ogni parametro
vengono indicate media (n= 4) e deviazione standard tra parentesi.
FLU
Dose Nominale 600µg
BDP
Dose Nominale 800µg
Pari Turbo Boy N compressor
Pari Turbo Boy N compressor
MMAD µm
3,36 (0,35)
5,48 (0,32)
Massa nebulizzata (µg) in particelle <5 µm
147,9 (12,4)
88,8 (2,4)
67,8 (5)
36,5 (3,9)
93,36 (7,98)
26,65 (2,4)
% nebulizzata in particelle <3 µm
42,9 (5,1)
11,0 (2,1)
Quantità totale di farmaco rilevata nel filtro
utilizzando un simulatore di pattern respiratorio
pediatrico (5 min di nebulizzazione)
67,8 (10)
59,8 (11,7)
% di dose nominale rilevata nel filtro utilizzando
un simulatore di pattern respiratorio pediatrico
(5 min di nebulizzazione)
11,3%
7,5%
% di dose nominale rilevata nel filtro utilizzando
un simulatore di pattern respiratorio pediatrico
(10 min di nebulizzazione)
21,3%
14,3%
Quantità di farmaco contenuta in particelle
<3 µm rilasciata utilizzando un simulatore di
pattern respiratorio pediatrico
(5 min di nebulizzazione)
29,1
6,61
Quantità di farmaco contenuta in particelle
<3 µm rilasciata utilizzando un simulatore di
pattern respiratorio pediatrico
(10 min di nebulizzazione)
52,36
17,3
Nebulizzatore
% nebulizzata in particelle <5 µm
Massa nebulizzata (µg) in particelle <3 µm
Conclusioni
Qualsiasi dispositivo per l’inalazione (nebulizzatore, DPI o pMDI) genera un aerosol di farmaco in
maniera differente, quindi risulteranno diverse
anche le dimensioni delle particelle, la frazione
respirabile, la deposizione e la distribuzione nel
polmone. Conseguentemente, se lo stesso farmaco, alla stessa dose nominale, viene erogato con
dispositivi differenti o in diverse formulazioni, può
risultare non bioequivalente (90, 91).
Poiché i farmaci e i dispositivi non sono interscambiabili, gli studi clinici basati sulle comparazioni dei dispositivi risultano ingannevoli e non riproducibili a causa dalle differenze nella farmacologia
e farmacocinetica dei farmaci. Un altro aspetto da
considerare nella progettazione di diversi sistemi
di erogazione, oltre all’interazione tra farmaco e
dispositivo, è il target dei pazienti ossia la variabilità di bisogni tra differenti categorie cliniche. Ad
esempio, pazienti senza ostruzione dei flussi aerei
possono avere una maggiore esposizione sistemica rispetto a quelli con ostruzione, e i bambini più
piccoli necessitano di sistemi di erogazione diversi
da quelli utilizzati per gli adulti (92).
La scienza che si occupa dello studio della terapia
inalatoria per molti aspetti è ancora agli albori. Per
troppo tempo sono stati accettati empiricamente,
per la terapia inalatoria dell’asma, anche dispositivi
con performance inefficienti.Attualmente esiste una
gamma sempre più variegata di dispositivi disponibili, ma l’immissione sul mercato non è regolamentata e giustificata da dati esaustivi basati sulle evidenze; i pediatri possono fruire di scarse informazioni capaci di orientare una scelta consapevole e
97
98
Kantar, et al.
sono spesso influenzati dalle consuetudini e da
considerazioni di carattere economico.
I farmaci nebulizzati sono utilizzati per la somministrazione sia locale che sistemica di farmaci per via
polmonare: questo, però, è un processo complesso che dipende da numerosi parametri quali il
meccanismo di generazione dell’aerosol, il dispositivo, la formulazione farmaceutica, il pattern respiratorio del paziente ed altri fattori.
Nell’ultimo decennio i sistemi di erogazione sono
diventati sempre più efficienti: è fondamentale,
però, che i medici educhino ed informino adeguatamente i pazienti affinché essi utilizzino i dispositivi che si avvalgono delle più moderne tecnologie.
Non vi è alcuna ragione tecnologica perché una
terapia aerosolica tramite nebulizzazione non
debba essere usata per un’erogazione più efficace
del farmaco al polmone. Ci sono, ovviamente,
ragioni economiche che dettano le scelte, per cui
alcuni dispositivi possono sembrare non ideali perché poco accessibili; i pazienti sono sovente obbligati ad utilizzare nebulizzatori di progettazione e
fabbricazione scadenti, così come accade in molti
centri medici. I nebulizzatori pneumatici sono dispositivi popolari utilizzati per somministrare farmaci nel tratto respiratorio: ve ne sono disponibili molti differenti modelli, ma le linee guida per la
loro valutazione non tengono conto dei diversi tipi
di farmaci da nebulizzare. Alcune formulazioni di
steroidi sono presenti sul mercato come sospensioni e i dati sperimentali a disposizione si riferiscono spesso alle formulazioni in soluzione pertanto essi non possono essere applicabili alle
sospensioni. Il farmaco è un fattore molto importante nell’influenzare la deposizione nei polmoni e,
quando si prescrive una terapia aerosolica, occorre tenere in considerazione le caratteristiche fisiche e chimiche della formulazione e il comportamento del farmaco durante la nebulizzazione.
È degno di nota, tra i farmaci emessi più di recente, il Pulmozyme, emesso dalla Genentech
(http://www.pulmozyme.com), nella cui confezione è allegato un foglietto illustrativo che raccomanda l’uso di un ristretto numero di nebulizzatori specifici, cioè solo quelli che, in fase di sviluppo
del farmaco, sono stati trovati equivalenti nell’erogazione in vitro della rhDNase. Questo approccio
di co-marketing sarà sempre più probabile per i
nuovi farmaci destinati alla nebulizzazione.
Qual è la distribuzione dimensionale ideale per un
corticosteroide nebulizzato? La distribuzione delle
dimensioni delle particelle aerosolizzate deve
essere tale che le dosi erogate forniscano la massima efficacia con il minimo spreco di farmaco
(idealmente nullo). L’aerosol deve essere abbastanza fine da raggiungere il bersaglio e quindi
garantire la deposizione di una sufficiente quantità
di farmaco nei siti di flogosi, ma non deve nemmeno essere troppo fine, altrimenti si corre il
rischio che le particelle non vengano trattenute
nel polmone. Occorre, in sintesi, un bilanciamento
tra fisica, fisiologia e formulazione.
Ogni farmaco può presentarsi in diverse formulazioni ed essere contenuto in dispositivi con diversi sistemi di erogazione: la combinazione nebulizzatore-ICS determina l’effetto terapeutico e l’utilità del trattamento, a seconda del coinvolgimento
e dell’interazione dei diversi fattori implicati nel
processo.
Il sito, l’estensione e la distribuzione della dose
depositata sono fattori determinati principalmente
dalla performance del dispositivo di erogazione.
La dissoluzione, la clearance e l’uptake nelle vie
aeree, l’affinità recettoriale, il tempo di permanenza nei recettori, il metabolismo locale e l’assorbimento sistemico sono fattori governati dalle caratteristiche fisico-chimiche e farmacologiche intrinseche dell’ICS.
Gli attuali sistemi sanitari basati sul principio di
gestione dei costi e contenimento della spesa, incoraggiano i medici a selezionare le formulazioni di
minore costo: questo approccio, purtroppo, impedisce di scegliere la migliore preparazione in funzione del beneficio per il paziente e di considerare i
progressi nello sviluppo dei farmaci e dei dispositivi.
L’enfasi nella gestione della salute si sta orientando
verso il controllo della qualità; è auspicabile, pertanto, che questa nuova tendenza stimoli la ricerca clinica alla definizione, anche in merito alla terapia inalatoria, di indicatori di qualità attendibili.
Ringraziamenti
Si ringrazia la Sig.ra Manfredi Federica per il suo contributo nella preparazione e traduzione
di questo manoscritto.
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Congressi
Congresses
103
Congressi
Congresses
GIUGNO 2009
SETTEMBRE 2009
Corso di aggiornamento residenziale interattivo in pneumo-allergologia pediatrica
Simeri (CZ) 18 - 20 giugno 2009
Organizzato da:
Dipartimento di Pediatria "F. Fede" II Università di
Napoli
Segreteria organizzativa:
iDea congress SrL
Tel. 06. 36381573
E-mail: [email protected]
Il test da sforzo cardio-polmonare
(CPET): basi e applicazioni
Parma 24 - 25 settembre 2009
Organizzato da:
Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma
Segreteria organizzativa:
Planning congressi Srl
Tel. 051. 300100
E-mail: [email protected]
Info: www.planning.it
L’ostruzione bronchiale. Viaggio nella
gestione delle patologie respiratorie
ostruttive tra ospedale e territorio
San Giovanni Gemini (AG) 19 - 20 giugno 2009
Segreteria organizzativa:
Omnia congress
Tel. 0922. 602911
E-mail: [email protected]
Info: http://www.omniacongress.com/
XI International course on pediatric
pneumology
Atene (Grecia) 28 - 30 giugno 2009
Organizzato da:
International Course on Pediatric Pneumology, CIPP
Tel. +33. 497. 038 597
E-mail: [email protected]
Info: http://www.cipp-meeting.com/
AGOSTO 2009
IX corso di approfondimento professionale
per il pediatra - impariamo insieme
sapere, saper fare e sapersi relazionare
Golfo Aranci (OT) 25 - 30 agosto 2009
Organizzato da:
Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale
Segreteria organizzativa:
iDea congress SrL
Tel. 06. 36381573
E-mail: [email protected]
OTTOBRE 2009
XIII Convegno della Società Italiana per le
Malattie Respiratorie Infantili
Napoli 15 - 17 ottobre 2009
Organizzato da:
Società Italiana per le Malattie Respiratorie Infantili
Segreteria organizzativa:
iDea congress SrL
Tel. 06. 36381573
E-mail: [email protected]
CHEST 2009
San Diego (Stati Uniti) 31 ottobre - 5 novembre
2009
Organizzato da:
American College of Chest Physicians
Tel. +39. 847. 498. 1400
Info: http://www.chestnet.org/
Congressi
Congresses
104
NOVEMBRE 2009
DICEMBRE 2009
Bambino e attività sportiva. Stili di vita,
prevenzione e terapia.
Corso teorico pratico sul test da sforzo
cardiopolmonare e corso PBLS-D
(Pediatric Basic Life Support and early
Defibrillation)
Roma 20 - 21 novembre 2009
Segreteria organizzativa:
Center Comunicazione e Congressi
Tel. 081 19578490
Fax 081 19578071
Info: www.centercongressi.com/basp
II° corso residenziale.
Il pediatra ospedaliero e il bambino con
patologia grave: l’insufficienza respiratoria
in età pediatrica
Roma 3 - 4 dicembre 2009
Segreteria organizzativa:
Center Comunicazione e Congressi
Tel. 081 19578490
Fax 081 19578071
Info: www.centercongressi.com/irb2009
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articoli e riviste:
Zonana J, Sarfarazi M, Thomas NST, et al. Improved definition
of carrier status in X-linked hypohydrotic ectodermal dysplasia
by use of restriction fragment lenght polymorphism-based linkage analysis. J Pediatr 1989; 114: 392-395.
libri:
Smith DW. Recognizable patterns of human malformation.
Third Edition. Philadelphia: WB Saunders Co. 1982.
capitoli di libri o atti di Congressi:
Krmpotic-Nemanic J, Kostovis I, Rudan P. Aging changes of the
form and infrastructure of the external nose and its importance
in rhinoplasty. In: Conly J, Dickinson JT, (eds). “Plastic and reconstructive surgery of the face and neck”. New York, NY:
Grune and Stratton 1972: 84-95.
Ringraziamenti, indicazioni di grants o borse di studio, vanno
citati al termine della bibliografia.
Le note, contraddistinte da asterischi o simboli equivalenti,
compariranno nel testo a piè di pagina.
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devono conformarsi agli standard riportati in Scienze 1954;
120: 1078.
I farmaci vanno indicati col nome chimico.
Per la corrispondenza scientifica:
Prof. Eugenio Baraldi
Dipartimento di Pediatria
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Note
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Articoli del prossimo numero
Articoli del prossimo numero
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Paediatric HERMES:
European Syllabus in Paediatric Respiratory Medicine
Paediatric HERMES:
al confine fra Pneumologia e Immuno-allergologia pediatrica
1
La suscettibilità genetica alle infezioni respiratorie
Genetic susceptibility to airway infections
2
Allergia alimentare e asma
Food allergy and asthma
3
Rinite allergica ed asma in età pediatrica
Allergic rhinitis and asthma in childhood
4
Aspergillosi broncopolmonare
Bronchopulmonary aspergillosis
5
Asma e apoptosi
Asthma and apoptosis
6
Le malattie respiratorie ad eosinofili nel bambino
Eosinophil-associated respiratory disease in children
7
F. Cardinale, et al.
A. Martelli, et al.
M.A.Tosca, et al.
V. Raia, et al.
F.M. de Benedictis, et al.
N. Fuiano
Journal club - Corticosteroidi per via orale in bambini
di età prescolare con wheezing episodico virale:
cosa resta di questa terapia?
Oral corticosteroids in preschool children
with episodic viral wheezing:
what’s left of this therapy?
E. Opocher, et al.
107
Riassunto delle caratteristiche del prodotto
1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE
NASONEX 50 microgrammi/erogazione spray nasale, sospensione
2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA
Mometasone furoato (come monoidrato) 50 microgrammi/erogazione. Questo prodotto medicinale contiene 0,2 mg di benzalconio cloruro per grammo.
Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1.
3. FORMA FARMACEUTICA
Spray nasale, sospensione. Sospensione di colore bianco - bianco sporco
opaco.
4. INFORMAZIONI CLINICHE
4.1 Indicazioni terapeutiche. NASONEX spray nasale è indicato nel trattamento dei sintomi della rinite allergica stagionale o perenne negli adulti e nei
bambini dai 12 anni di età. NASONEX spray nasale è indicato anche nel trattamento dei sintomi della rinite allergica stagionale o perenne nei bambini di
età compresa tra 6 e 11 anni. In pazienti con anamnesi positiva per sintomi di
rinite allergica stagionale di entità da moderata a grave, il trattamento profilattico con NASONEX spray nasale può essere iniziato fino a quattro settimane
prima dell’inizio previsto della stagione dei pollini. NASONEX spray nasale è
indicato per il trattamento dei polipi nasali in pazienti adulti a partire dai 18
anni di età. 4.2 Posologia e modo di somministrazione. Dopo un iniziale
caricamento della pompa di NASONEX spray nasale (azionare 10 volte, finchè
non si osserva un getto uniforme), ogni erogazione libera circa 100 mg di sospensione contenente mometasone furoato monoidrato equivalente a 50 microgrammi di mometasone furoato. Se la pompa spray non viene utilizzata
per 14 o più giorni, deve essere nuovamente caricata con 2 spruzzi finché non
si osserva un getto uniforme prima dell’uso successivo. Rinite allergica stagionale o perenne. Adulti (compresi i pazienti geriatrici) e bambini dai 12
anni di età: la dose solitamente raccomandata è di due erogazioni (50 microgrammi/erogazione) in ogni narice una volta al giorno (dose totale 200 microgrammi). Una volta che i sintomi siano controllati, la riduzione della dose ad
una erogazione in ogni narice (dose totale 100 microgrammi) può essere efficace per il mantenimento. Se i sintomi sono controllati in modo inadeguato, la
dose può essere incrementata fino ad una dose massima giornaliera di quattro erogazioni per ogni narice una volta al giorno (dose totale 400 microgrammi). Si raccomanda la riduzione della dose una volta ottenuto il controllo dei
sintomi. Bambini di età compresa tra i 6 e gli 11 anni: la dose solitamente
raccomandata è di una erogazione (50 microgrammi/erogazione) in ogni narice una volta al giorno (dose totale 100 microgrammi). NASONEX spray nasale in alcuni pazienti con rinite allergica stagionale ha dimostrato l’insorgenza
di attività clinicamente significativa entro 12 ore dalla prima dose; tuttavia, un
completo beneficio legato al trattamento può non essere raggiunto nelle prime 48 ore. Pertanto il paziente deve continuare l’uso regolare per ottenere un
completo beneficio terapeutico. Poliposi nasale. Il dosaggio iniziale comunemente raccomandato per la poliposi è di due erogazioni (50 microgrammi/
erogazione) in ciascuna narice una volta al giorno (per una dose totale di 200
microgrammi). Se dopo 5 o 6 settimane i sintomi non sono sotto adeguato
controllo, il dosaggio può essere aumentato fino ad una dose giornaliera di
due erogazioni in ciascuna narice due volte al giorno (per una dose totale di
400 microgrammi). Il dosaggio deve essere ridotto alla dose minima alla quale si mantiene un controllo efficace dei sintomi. Si devono prendere in considerazione terapie alternative se non si verifica un miglioramento dei sintomi
dopo 5 o 6 settimane di trattamento due volte al giorno. Gli studi di efficacia
e sicurezza di NASONEX spray nasale nel trattamento della poliposi nasale
sono durati quattro mesi. Prima di somministrare la prima dose, agitare bene
il contenitore ed azionare la pompa 10 volte (finchè non si ottiene uno spruzzo
uniforme). Se il vaporizzatore non si usa per 14 o più giorni, caricare la pompa
con 2 spruzzi finchè non si osserva un getto uniforme. Agitare bene il contenitore prima di ogni uso. Il flacone deve essere gettato dopo aver effettuato il
numero di erogazioni indicate in etichetta o entro 2 mesi dopo il primo utilizzo.
4.3 Controindicazioni. Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi
degli eccipienti di NASONEX spray nasale. NASONEX spray nasale non deve
essere utilizzato nel caso di infezioni localizzate non trattate che coinvolgono
la mucosa nasale. A causa dell’effetto inibitore esercitato dai corticosteroidi
sulla cicatrizzazione delle ferite, i pazienti recentemente sottoposti ad un intervento di chirurgia nasale o che abbiano subito un trauma non devono utilizzare un corticosteroide nasale fino a che non sia avvenuta la cicatrizzazione. 4.4 Avvertenze speciali e precauzioni d’impiego. NASONEX spray
nasale deve essere utilizzato con cautela, o addirittura non usato, nei pazienti con infezioni tubercolari attive o quiescenti del tratto respiratorio o nel caso
di infezioni non trattate fungine, batteriche, sistemiche virali o nel caso di
Herpes simplex oculare. Dopo 12 mesi di trattamento con NASONEX spray
nasale non c’è evidenza di atrofia della mucosa nasale; inoltre il mometasone
furoato tende a ripristinare il normale fenotipo istologico della mucosa nasale.
Come per ogni trattamento a lungo termine, i pazienti che usano NASONEX
spray nasale per diversi mesi o più devono essere esaminati periodicamente
per verificare possibili modifiche della mucosa nasale. Se si sviluppa un’infezione fungina localizzata nel naso o nella faringe, può essere richiesta la sospensione della terapia con NASONEX spray nasale o un trattamento appropriato. La persistenza di un’irritazione nasofaringea può essere un’indicazione
alla sospensione di NASONEX spray nasale. Sebbene NASONEX controlli i
sintomi nasali nella maggior parte dei pazienti, l’uso concomitante di un’appropriata terapia supplementare può alleviare anche altri sintomi, in particola-
re quelli a livello oculare. Non c’è evidenza di soppressione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA) in seguito a trattamento prolungato con NASONEX
spray nasale. Tuttavia, richiedono particolare attenzione quei pazienti che
passano dalla somministrazione a lungo termine di corticosteroidi sistemicamente attivi a NASONEX spray nasale. La sospensione dei corticosteroidi sistemici in questi pazienti può determinare un’insufficienza delle ghiandole
surrenaliche per alcuni mesi, fino al recupero della funzionalità dell’asse HPA.
Se questi pazienti mostrano segni e sintomi di insufficienza surrenalica, la
somministrazione di corticosteroidi sistemici deve riprendere e devono essere
istituite altre terapie e appropriate misure. Durante il passaggio da corticosteroidi sistemici a NASONEX spray nasale, in alcuni pazienti possono verificarsi
sintomi da sospensione di corticosteroidi sistemicamente attivi (es. inizialmente dolore articolare e/o muscolare, stanchezza e depressione) malgrado
la remissione dai sintomi nasali, e questi pazienti andranno incoraggiati a continuare la terapia con NASONEX spray nasale. Tale passaggio può anche portare alla luce condizioni allergiche pre-esistenti, quali congiuntivite allergica
ed eczema, precedentemente soppresse dalla terapia corticosteroidea sistemica. La sicurezza ed efficacia di NASONEX non sono state studiate per il
trattamento di polipi unilaterali, polipi associati alla fibrosi cistica o polipi che
ostruiscono completamente le cavità nasali. I polipi unilaterali che appaiono
inusuali o irregolari, specialmente se ulcerativi o sanguinanti, devono essere
valutati più approfonditamente. I pazienti trattati con corticosteroidi che sono
potenzialmente immunosoppressi devono essere avvertiti del rischio derivante dalla esposizione a certe infezioni (es. varicella, morbillo) e dell’importanza
di ricorrere al medico se si verifica tale esposizione. In seguito all’uso di corticosteroidi per via intranasali, molto raramente sono stati riscontrati casi di
perforazione del setto nasale o incremento della pressione intraoculare. La
sicurezza ed efficacia di NASONEX spray nasale per il trattamento della poliposi nasale non sono state studiate nei bambini e negli adolescenti di età inferiore a 18 anni. Gli effetti sistemici dovuti all’uso di corticosteroidi per via
nasale possono verificarsi in particolare a seguito di dosi elevate somministrate per periodi prolungati. Ritardo di crescita è stato riportato in bambini
trattati con corticosteroidi nasali alle dosi autorizzate. Si raccomanda di controllare regolarmente l’altezza dei bambini in trattamento prolungato con corticosteroidi nasali. Se la crescita fosse rallentata, la terapia deve essere rivista
allo scopo di ridurre, se possibile, la dose del corticosteroide nasale alla minima che consenta un efficace controllo dei sintomi. Inoltre, si deve consigliare
il paziente di rivolgersi ad un pediatra. Il trattamento con dosaggi superiori a
quelli raccomandati può determinare una soppressione clinicamente significativa a livello del surrene. Se c’è evidenza che debbano essere usati dosaggi superiori a quelli raccomandati, deve essere presa in considerazione una
copertura supplementare con corticosteroidi per via sistemica durante i periodi di stress o in caso di intervento chirurgico di elezione. 4.5 Interazioni con
altri medicinali ed altre forme d’interazione. (Per l’uso con corticosteroidi
sistemici, vedere il paragrafo 4.4. Avvertenze speciali e precauzioni d’impiego). È stato condotto uno studio clinico di interazione con loratadina. Non
sono state osservate interazioni. 4.6 Gravidanza ed allattamento. Non sono
disponibili studi adeguati o ben controllati in donne in gravidanza. In seguito
a somministrazione intranasale della massima dose clinica raccomandata, le
concentrazioni plasmatiche di mometasone non sono misurabili; pertanto è
prevedibile che l’esposizione fetale sia trascurabile ed il potenziale di tossicità
riproduttiva sia molto basso. Come per le altre preparazioni nasali contenenti
corticosteroidi, NASONEX spray nasale non deve essere utilizzato durante la
gravidanza o l’allattamento, a meno che il potenziale beneficio per la madre
giustifichi ogni potenziale rischio per la madre, il feto o il neonato. Bambini
nati da madri trattate con corticosteroidi durante la gravidanza devono essere
osservati attentamente per eventuale ipoadrenalismo. 4.7 Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari. Non noti. 4.8 Effetti indesiderati. Gli eventi avversi correlati al trattamento riportati negli studi clinici per
la rinite allergica condotti in pazienti adulti e adolescenti sono di seguito elencati (Tabella 1).
Tabella 1: Rinite allergica
Effetti indesiderati correlati al trattamento per NASONEX spray nasale
molto comune (≥ 1/10); comune (≥ 1/100, < 1/10); non comune (≥ 1/1.000, < 1/100);
raro (≥ 1/10.000, < 1/1.000); molto raro (< 1/10.000)
Patologie respiratorie, toraciche e mediastiniche
Comune: Epistassi, faringite, bruciore nasale, irritazione nasale, ulcerazione nasale
Patologie sistemiche e condizioni relative alla sede di somministrazione
Comune: Cefalea
L’epistassi era generalmente autolimitante e di lieve gravità e compariva con
maggior incidenza rispetto al placebo (5%), ma con un’incidenza più bassa o comparabile rispetto ai corticosteroidi nasali di controllo studiati (fino
al 15%). L’incidenza di tutti gli altri effetti era confrontabile con quella del
placebo. Nella popolazione pediatrica, l’incidenza di eventi avversi, come epistassi (6%), cefalea (3%), irritazione nasale (2%) e starnutazione (2%), è stata
paragonabile a quella con placebo. In pazienti trattati per poliposi nasale,
l’incidenza globale degli eventi avversi era paragonabile al placebo e simile a
quella osservata in pazienti con rinite allergica. Gli eventi avversi correlati al