Il mercato delle vergini

Transcript

Il mercato delle vergini
Cambogia
Dara Keo, 19 anni, nella baracca dove vive a Phnom Penh, agosto 2013
Il mercato
delle vergini
Abigail Haworth, The Observer Magazine, Regno Unito. Foto di Will Baxter
Ai margini dell’industria del sesso in Cambogia, dove le famiglie più povere
vendono la verginità delle iglie a uomini ricchi e potenti
annith Uy è la proprietaria
di quello che, traducendo
dalla lingua khmer, viene
definito un “salone per
manicure mobile”, anche
se la parola salone è piuttosto azzardata. Si tratta di una bicicletta
con una cassetta di plastica sulla parte anteriore piena di creme per le mani e smalti per
le unghie. Uy, 42 anni, pedala nel suo quartiere di Phnom Penh – un intrico di viuzze
vicino al iume dove le vite degli abitanti
V
62
Internazionale 1072 | 10 ottobre 2014
traboccano dalle porte delle case sempre
aperte – inché una cliente non le fa cenno
di fermarsi. E lei, seduta su uno sgabello di
plastica al lato della strada, fa una manicure
o una pedicure sul posto.
Tre anni fa, appena arrivata dalla campagna, Uy aveva altri progetti. Voleva aprire
un salone di bellezza con parrucchiere nella
capitale cambogiana. “Ma la mia famiglia
riusciva a trovare solo lavori disonesti”, racconta. “Volevo un posto dove io e mia iglia
potessimo lavorare insieme”. Perciò Uy ha
compiuto quella che lei definisce la sua
“unica scelta”: ha venduto la verginità della
iglia diciottenne Chamnan a un ricco uomo del posto per l’equivalente di poco più di
1.100 euro. L’uomo era un uiciale di polizia che frequentava la birreria in cui Uy lavorava come aiutante in cucina, racconta la
donna, e ha comprato Chamnan per sei
giorni e sei notti. L’ha messa in una stanza
d’albergo alla periferia di Phnom Penh ed è
andato da lei più volte per fare sesso. Lei
aveva il permesso di chiamare sua madre
una volta al giorno. Il terzo giorno, ricorda
Uy, Chamnan era così debole e sconvolta
che l’uomo ha chiamato un medico che lavorava per lui per farle prescrivere degli antidoloriici e un’iniezione di vitamine “di
modo che avesse la forza per continuare ino alla ine della settimana”.
Uy ha ricevuto il pagamento in contanti,
ma il salone che aveva progettato non si è
mai materializzato. I soldi che avrebbero
dovuto cambiarle la vita – una somma equivalente a cinque anni di stipendio nel suo
villaggio di origine nella provincia di Kandal – sono initi presto. Dopo aver pagato le
spese mediche del marito malato, aver dato
un po’ di contanti ai genitori anziani e aver
comprato a Chamnan una collana d’oro per
“tirarla su di morale”, non è rimasto molto.
Uy aveva sottovalutato le difficoltà che
avrebbe incontrato per tirarsi fuori dalla povertà; la sua espressione abbattuta mentre
parla suggerisce inoltre che aveva fatto male i conti riguardo al costo emotivo di vendere il corpo di sua iglia.
Da dove cominciare per dipanare gli
oscuri e dolorosi strati della storia di Uy e
Chamnan? Non è facile. Spesso messo in
ombra dai racconti più drammatici di schiavitù nei bordelli, il commercio delle vergini
è una delle forme di sfruttamento sessuale
più difuse in Cambogia. È un mercato alimentato da una drammatica povertà e da
una radicata disuguaglianza di genere. I
clienti sono ricchi cambogiani e altri esponenti dell’élite asiatica che godono di una
totale impunità grazie a un sistema giudiziario corrotto. E la cosa che più risulta incomprensibile è il fatto che molte delle persone coinvolte nelle transazioni non sono
criminali incalliti. Sono madri, padri, amici
e vicini.
La Cambogia non è certo l’unico posto
dove le donne e le ragazze sono trattate come merce. In questo paese di 15 milioni di
abitanti, però, la richiesta di vergini è un
grande afare che prospera grazie a credenze e ad altri fattori locali. “Molti uomini
asiatici, soprattutto quelli sopra i cinquant'anni, credono che avere rapporti
sessuali con delle donne vergini li faccia
restare giovani e tenga lontane le malattie”, aferma Chhiv Kek Pung, presidente
della principale organizzazione cambogiana per i diritti umani, la Licadho. “Qui è
pieno di famiglie povere da depredare, e la
legge non è suiciente a proteggerle”. “A
diferenza dei turisti pedoili che cercano
bambini sotto i dieci anni, i cambogiani
non fanno caso all’età di una vergine, ma
solo alla sua bellezza”, spiega Pung. I genitori che vendono la verginità delle iglie
considerano le ragazze di loro proprietà e
non si preoccupano dei diritti dell’infanzia
e dei diritti umani. Basandosi sul lavoro di
Licadho, Pung calcola che ogni anno si
vendano migliaia di ragazze vergini fra i 13
e i 18 anni.
Oltre ai ricchi cambogiani, tra i clienti
abituali ci sono cinesi, singaporiani e tailandesi . “Vengono qui per afari e gli intermediari gli organizzano tutto: albergo a cinque
stelle, qualche partita a golf e una notte o
due con una vergine”, racconta Eric Meldrum, un ex investigatore della polizia britannica che oggi lavora come consulente
contro lo sfruttamento a Phnom
Penh. La mancanza di cifre precise è dovuta alla segretezza che
circonda questo traico. Gli intermediari agiscono con discrezione, e cambiano spesso metodi
e luoghi. A questo va aggiunto il fatto che il
coinvolgimento dei familiari implica che
queste vicende raramente ricadano sotto la
deinizione di sfruttamento della prostituzione in senso stretto e quindi non emergono nelle statistiche.
Traico invisibile
C’è tuttavia un altro motivo se questo traico è pressoché invisibile. Come dichiara
Pung, “dal punto di vista umanitario, sono
poche le organizzazioni che si occupano
della compravendita delle vergini, nonostante si tratti di un abuso devastante commesso ai danni delle ragazze”. È diicile,
continua, sensibilizzare i donatori stranieri
su questo argomento, perciò molte ong tralasciano la questione. “Temono che, nonostante il dispiacere per le ragazze, il disprezzo verso i genitori che hanno venduto le iglie sia talmente forte da far tenere chiusi i
portafogli”.
Il fatto che chi pretende di dare un aiuto
a volte ignori la complessità del problema è
emerso in maniera drammatica alla ine di
maggio. Somaly Mam, che afermava di essere un’ex schiava del sesso cambogiana ed
era tra le più note attiviste contro questi
traici, è stata costretta a dimettersi dalla
fondazione che porta il suo nome e che ha
sede negli Stati Uniti. Tra le sostenitrici di
Mam, osannata dai mezzi d’informazione,
c’erano l’attrice Susan Sarandon e la direttrice operativa di Facebook Sheryl Sandberg. Grazie ai racconti strazianti sul suo
passato e su quello delle donne cambogiane
da lei protette, ha raccolto milioni di dollari
durante lussuosi gala newyorchesi. È caduta in disgrazia dopo che un'inchiesta del
quotidiano Cambodia Daily ha svelato che
gran parte delle sue storie erano false. Si è
saputo che una ragazza che Mam
sosteneva di aver salvato da un
bordello dopo che un magnaccia
le aveva cavato un occhio, aveva
perso quell’occhio a causa di un
tumore. Perino la storia drammatica della stessa Mam – che raccontava
di essere rimasta orfana e di essere stata
venduta a un bordello all’età di 12 anni – è
stata smentita.
La tragica ironia della rapida caduta di
Mam è che lei non avrebbe avuto alcun bisogno di mentire. Il traico e lo sfruttamento sessuale sono una realtà in Cambogia,
solo che spesso si tratta di storie meno adatte alla tv rispetto ai racconti tragici di Mam.
A parte la disonestà, l’insidia più grande
della sua frode non sta nell’aver presentato
in modo scorretto le dimensioni del problema, quanto nell’aver rappresentato in modo
scorretto le soluzioni. Promuovendo se
stessa come una sopravvissuta che da sola
salvava le ragazze dai predatori malvagi, ha
dato l’impressione che fosse molto semplice trovare delle risposte.
“La gente reagisce alle storie commoventi e dona i suoi soldi senza comprenderne le cause o le soluzioni a lungo termine”,
afferma Sébastien Marot, direttore di
Friends international, una ong con sede a
Phnom Penh che lavora con bambini più
esposti al rischio di sfruttamento. Nel caso
del traico delle vergini, tuttavia, fare progressi, a suo avviso, è molto diicile. Pung è
d’accordo. “Quando ne parli con qualcuno,
ti dicono che il mondo è pieno di gente povera che non vende le iglie, quindi la colpa
non può essere della povertà o della disperazione. Ma ci sono molti fattori sociali correlati. È necessario considerare il quadro
nel suo insieme”.
A casa sua, una stanza ampia e buia che
costa l'equivalente di 12 euro a settimana,
Uy mi racconta di quanto abbia lottato per
trovare lavoro al suo arrivo a Phnom Penh.
Suo marito aveva una ferita alla schiena e
lei doveva mantenere due igli, Chamnan e
Internazionale 1072 | 10 ottobre 2014
63
Cambogia
un iglio più piccolo. La capitale era invasa
da immigrati dalle zone rurali, che si contendevano gli stessi lavori umili. “Mi hanno
assunto nella cucina di una birreria. Per
Chamnan ho trovato un lavoro come gelataia nello stesso posto”.
Le birrerie sono bar all’aperto dove gli
uomini vanno a rilassarsi dopo il lavoro. Di
sera difondono per tutta Phnom Penh il
suono delle canzoni d’amore khmer, che
penetra nell’oscurità rimbombando dagli
altoparlanti enormi. In questi posti a servire
birra o cantare al karaoke sono ragazze in
minigonna. Uno dei locali più famosi è decorato con uno sconcertante miscuglio di
manifesti di marche di birra e dipinti di
Winnie the Pooh. Uy detestava quell’atmosfera, che nei suoi racconti diventava più
alcolica e aggressiva con l’avanzare della
notte. “Chamnan è carina e tutti gli uomini
la adoravano. Facevano dei commenti sul
suo corpo”. Anche se la prostituzione non è
pubblicizzata, molte delle cameriere e delle
ragazze delle birrerie integrano lo stipendio
vendendo sesso ai clienti dopo l’orario di
chiusura. Tra i frequentatori delle birrerie ci
sono anche intermediari a caccia di uomini
che vogliono comprare una vergine o che
hanno altre “richieste speciali”, da soddisfare in luoghi appartati.
Uy racconta che non le era mai venuto in
mente di vendere la verginità di Chamnan
finché non si era presentata l’occasione.
“Un cliente alto e sulla cinquantina ha notato Chamnan. Una sera mi ha chiesto se fosse ancora vergine, e mi ha detto che la voleva comprare”. Uy aveva scoperto che era un
generale della polizia fuori servizio e alla
ine aveva accettato l’afare perché, dal suo
punto di vista, così avrebbe allontanato il
rischio che Chamnan diventasse una prostituta a tempo pieno. “Se restavamo in
quella birreria, sarebbe stata solo una questione di tempo”.
Le opportunità di lavoro mancano per
tutti in Cambogia, un paese in cui tre quarti
della popolazione vivono sotto o poco sopra
il livello di povertà. La situazione però è
particolarmente diicile per le donne, che
guadagnano in media 27 centesimi per ogni
dollaro guadagnato da un uomo, secondo le
stime della Banca asiatica di sviluppo. La
principale fonte d’impiego per loro, oltre al
lavoro nei campi, è l’industria tessile. Le paghe però sono misere – l’equivalente di circa
75 euro al mese – anche se le lavoratrici, protestando, hanno ottenuto degli aumenti.
Lavorare in una birreria o in un karaoke e
prostituirsi come lavoro extra può far guadagnare il doppio, e alcune donne la considerano la loro migliore opportunità. La
64
Internazionale 1072 | 10 ottobre 2014
prostituzione, tuttavia, non solo è un’attività illegale che espone agli abusi della polizia
chi la pratica per scelta (o mancanza di scelta), ma è anche profondamente disprezzata
dal punto di vista sociale. Le aspettative sociali sulla castità femminile in Cambogia
sono custodite da un codice di doveri e obbedienza noto come chbab srey, o “legge
delle donne”. “C’è un proverbio nazionale
che dice che gli uomini sono come l’oro e le
donne come un pezzo di stoffa”, spiega
Tong Soprach, un ricercatore specializzato
nei costumi sessuali dei giovani cambogiani. “Se fai cadere l’oro nel fango, si può lavare e continuerà a splendere. Se cade un pezzo di stofa, la macchia non verrà più via”.
Questa assurda convinzione è naturalmente un’altra delle ragioni per cui la verginità è così preziosa. Di solito gli uomini pagano tra i 750 e i 3.800 euro per comprare
una vergine per un periodo che può arrivare
ino a una settimana, a seconda del budget
750 euro
è la somma minima che gli uomini in
Cambogia pagano per assicurarsi una
ragazza vergine
e della bellezza della ragazza. Uy non conosceva le tarife, ma era convinta che i 1.100
euro oferti per Chamnan avrebbero cambiato il loro destino. “Ho spiegato come stavano le cose a Chamnan. Lei non era felice,
ma mi ha detto che capiva”. A dire il vero, il
chbab srey impone alle donne anche di obbedire e aiutare i loro genitori, una regola
seguita quasi universalmente. Per Chamnan sarebbe stato diicile riiutare. “Dopo, quando è tornata a
casa, sapevo che era triste ma non
ne abbiamo parlato. Sentivamo
entrambe che era meglio dimenticare”. Uy ha scelto di non dire
niente al marito. Per preservare l’onore di
Chamnan ai suoi occhi, gli ha fatto credere
che aveva risparmiato quei soldi mettendo
da parte le mance alla birreria. Ho chiesto a
Uy se potevo incontrare Chamnan, che oggi
ha 22 anni, ma non è stato possibile: con i
pochi soldi rimasti dopo la sua prova, è tornata nella provincia di Kandal e ha trovato
lavoro in una fabbrica di tessuti statale che
produce biancheria intima. Non le pesa il
fatto che i progetti di Uy non si siano realizzati? “Non penso. Oggi ha un idanzato che
spera di sposare. Ha una vita migliore”.
“Qualsiasi sventura, dalla morte di un
parente a una perdita a carte, può spingere
un genitore che non ha di che sfamarsi a
vendere i igli”, dice Nget Thy, direttore del
Centro cambogiano per la protezione dei
diritti dei bambini. “La convinzione che i
igli esistono per giovare ai genitori e che le
donne esistono per giovare agli uomini è un
problema da afrontare con urgenza. Ma i
veri criminali sono gli uomini che comprano le vergini”.
Tutti sanno, nessuno parla
A Phnom Penh, in una baraccopoli lungo il
iume, incontro Dara Keo. La sua verginità
è stata venduta dalla madre quando lei aveva solo 12 anni e dopo che suo padre era
morto lasciando dei debiti di gioco. Le capanne su palaitte di questa zona ospitano
circa mille persone, e per molte di loro il riciclo dei riiuti è l’unica fonte di reddito. La
dipendenza da droghe, alcol e gioco d’azzardo fa parte della vita quotidiana. Dara,
che ora ha 19 anni, racconta che quasi tutte
le adolescenti che vivono lì vengono vendute dai genitori, di solito in seguito ad accordi
organizzati da vicine che lavorano come intermediarie. “Tutti sanno che succede, ma
nessuno ne parla”.
Il racconto di Dara, come quello delle
altre ragazze con cui ho parlato, svela l’eicienza spietata di queste transazioni. “Dopo che mia madre mi ha venduta per 400
euro, l’intermediaria mi ha portata da un
dottore che ha controllato che fossi ancora
vergine e mi ha fatto il test dell’hiv”, racconta Dara. “Lì c’erano altre ragazze. Ci
hanno fatto togliere i vestiti e ci hanno messe in ila per esaminarci a una a una (i compratori insistono per avere una prova della
verginità)”. Poi Dara è stata portata dal suo
compratore, nella stanza di un albergo
esclusivo. L’uomo, che indossava
“un abito scuro e un orologio
d’oro”, non ha parlato con lei né
l’ha guardata, racconta la ragazza. “Mi ha spinta sul letto, si è tirato giù la lampo dei pantaloni e
mi ha violentato. Il dolore è stato fortissimo”. Nei sette giorni successivi l’uomo è
tornato in quella stanza due o tre volte al
giorno. Non ha mai usato il preservativo.
“Qualche volta mi ha chiesto se mi faceva
male. Se gli dicevo di sì, spingeva ancora più
forte”. Quando è tornata a casa, Dara aveva
la vagina squarciata. Sua madre l’ha portata
da un medico che le ha prescritto degli antidoloriici e le ha detto che le ferite sarebbero “guarite da sole”. Ho chiesto chi fosse
l’uomo. Dara mi ha fatto il nome di un politico cambogiano
Un uiciale della polizia che ha accettato di parlare a patto di restare anonimo rac-
Aspettando i clienti in una birreria di Phnom Penh, 2013
conta che gli uomini di potere, come i politici, non temono conseguenze perché sanno che la polizia non farà niente. “Se provi a
far valere la legge con loro avrai grossi problemi”, racconta in un bar di Phnom Penh.
L’uiciale dice di essere stato avvisato da
“gente in alto” a non occuparsi della compravendita di vergini e degli stupri perché
“fare sesso è nella natura umana” e quelle
questioni non sono “cose serie”. Ricorda un
caso del 2013. Un alto uiciale dell’esercito
a cui era stato diagnosticato un cancro che
gli lasciava un anno di vita aveva ottenuto
dalla moglie il permesso di usare più di un
milione di euro del patrimonio di famiglia
per “divertirsi” prima di morire. “Sapevamo che comprava una vergine ogni settimana, ma non potevamo farci niente”, racconta il poliziotto. Gli uomini di potere o del
mondo degli afari “che hanno buoni rapporti tra loro” sono gli unici a potersi permettere afari simili, aggiunge, perciò l’arresto dei colpevoli è ostacolato dalla corruzione ai livelli più alti.
Anche se in Cambogia la compravendita del sesso è illegale, nessuno khmer è stato mai messo in carcere per aver comprato
una vergine. Nell’anno in cui ha lavorato
alla birreria, Uy ha visto più di 50 ragazze
vendute “come se fossero cibo prelibato”.
Uno degli acquirenti era un anziano politico
del Partito del popolo cambogiano, attualmente al potere. “Tutti lo adoravano perché
lasciava mance generose”. Uy mi dice chi è:
viene citato regolarmente da giornalisti e
attivisti in Cambogia in relazione al traico
di vergini (ma non è lo stesso che ha comprato Dara). Uy dice che l’uomo “prenotava” anche le bambine per il futuro. “Chiedeva alle madri di portare le loro iglie minorenni alla birreria dopo l’orario di chiusura”, spiega. “Poi sceglieva quelle che gli
piacevano e ogni settimana dava alle loro
madri un po’ di soldi per comprare del riso”.
L’accordo era che lui avrebbe comprato la
verginità delle ragazze non appena avessero raggiunto l’adolescenza.
Ho parlato con Mu Sochua, ex ministra
per le questioni femminili e punto di riferimento del principale partito d’opposizione,
il Partito cambogiano di soccorso nazionale. Per anni ha portato avanti una campagna
per la lotta alla corruzione e alla povertà e
per migliorare le condizioni di vita delle
donne. Negli ultimi mesi ha appoggiato le
proteste delle operaie dell’industria tessile
che chiedono un salario decente. Anche se
“l’applicazione della legge non è tra le priorità del governo attuale”, dichiara senza giri
di parole, “la lotta allo sfruttamento sessua-
le, incluso il traico delle vergini, deve essere parte integrante degli sforzi per contrastare la disuguaglianza di genere su tutti i
fronti. Dobbiamo ottenere il sostegno
dell’opinione pubblica per un’efettiva applicazione della legge che punisca chi compra sesso, non chi lo vende”.
Totale impunità
Gli uomini del Partito popolare cambogiano sono al potere ininterrottamente da
trent’anni. Sochua, insieme a molti altri, è
convinta che le elezioni generali del 2013
siano state truccate. “Il popolo cambogiano
ha già votato per il cambiamento, e questo
lascia qualche speranza”, dice. Quando il
regime inirà, lei spera che ingiustizie come
il traico di ragazze vergini faranno la stessa ine. Succederà? Prendiamo il politico
delle laute mance di cui parla Uy: a Phnom
Penh tutti sanno che è un proliico compratore di vergini, tanto che un giornalista che
lo conosce mi ha proposto di presentarmelo. Era sicuro che il politico avrebbe parlato
se io avessi accettato di non fare il suo nome. Anche se poi il giornalista ci ha ripensato, l’episodio suggerisce la spudoratezza di
chi compie questo crimine, oltre alla totale
impunità su cui uomini come questo politico sanno di poter contare. u ma
Internazionale 1072 | 10 ottobre 2014
65