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Estratto da
M.C. Beaton, Agatha Raisin e il mago di Evesham
Titolo originale dell’opera
Agatha Raisin and the Wizard of Evesham
Traduzione dall’inglese
di Marina Morpurgo
© 1999 by M.C. Beaton
© 2013 astoria srl, Milano
Prima edizione: novembre 2013
ISBN 978-88-96919-73-6
Progetto grafico: zevilhéritier
www.astoriaedizioni.it
Il clima era tropicale. E sì che eravamo in Inghilterra, e
quella era la cittadina di Evesham, nei Cotswolds. Agatha
Raisin entrò con l’auto nel parcheggio di Merstow Green,
chiuse l’aria condizionata, spense il motore e si preparò ad
affrontare la muraglia di caldo brodoso che l’avrebbe accolta, lo sapeva, all’uscita dall’abitacolo.
Come molti, aveva deciso che tutti gli allarmi a proposito dell’effetto serra erano mere bugie confezionate da ecoterroristi. Ma quell’agosto aveva visto un’infilata di giorni
appiccicosi e sudati, seguiti, la sera, da temporali monsonici. Davvero stranissimo.
Agatha gemette nello scendere dall’auto, e s’incamminò
verso la macchinetta distributrice di biglietti per il parcheggio. Che giornata infernale aveva scelto, per farsi fare la
tinta ai capelli.
Tornò all’auto e appiccicò il biglietto sul parabrezza e
poi si chinò per guardarsi nello specchietto laterale. I suoi
capelli erano ancora castano scuro, però adesso c’erano alcune ciocche violacee.
Dopo il suo ultimo caso era sprofondata in una leggera depressione. Ad Agatha Raisin piaceva vedersi come
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un’investigatrice, in grado di rivaleggiare con personaggi
letterari come Poirot o lord Peter Wimsey. Era una donna
di mezza età, tarchiata ma fornita di un bel paio di gambe,
con una faccia tonda e occhietti ursini che osservavano il
mondo con sospetto. I capelli erano sempre stati il suo vanto, folti, castani e lucidi.
Ma proprio quella settimana per la prima volta si era
scoperta dei capelli grigi, odiosi capelli grigi spuntati qua e
là. Aveva comprato una di quelle tinture a risciacquo, ma i
capelli da grigi erano diventati violetti. “Vai da Mr John,”
le aveva suggerito la signora Bloxby, la moglie del pastore.
“Sta in High Street a Evesham. Si dice che sia bravissimo.
Dicono che sia un mago nel tingere i capelli.”
Così Agatha aveva fissato un appuntamento, ed eccola
qui a Evesham, una cittadina a circa dieci miglia dalla sua
Carsely.
I cinici dicono che Evesham è famosa per il sussidio di
disoccupazione e per gli asparagi. Situata lungo le rive del
fiume Avon, nella valle di Evesham, il Giardino d’Inghilterra
rinomato per i suoi vivai, i frutteti e ovviamente gli asparagi, Evesham tuttavia può apparire, agli occhi del visitatore
venuto ad ammirare i suoi edifici storici, come una cittadina
male in arnese. Nonostante l’aumento della popolazione, i
negozi continuano a chiudere, e le assi poste a sbarrare le
vetrine vengono decorate dagli artisti locali con raffigurazioni della vecchia Evesham, così a volte la città sembra fatta
esclusivamente di bottegucce e dipinti. Donnone corpulente e prolifiche spingono passeggini pieni di figli. La moda
imperante è quella dei legging, abbinati a maglie informi.
Secondo l’editorialista e celebrità televisiva Ann Robinson,
i legging viaggiano in coppia con i passeggini e gli infanti.
A volte ad Agatha capitava di pensare che molti dei ne-
gozi di abbigliamento chiudessero perché gli addetti agli
acquisti non guardavano fuori dalla finestra e non si rendevano conto delle dimensioni corporee della popolazione
femminile e quindi si rifornivano solo fino alla taglia 46
invece di arrivare alla 52.
Agatha si incamminò in direzione di High Street senza neppure fermarsi a dare un’occhiata alle chiese antiche,
magnifiche e imponenti. Non era interessata alla storia
come lo era James Lacey, il vicino di casa, l’amore della
vita di Agatha, partito ancora una volta per uno dei suoi
viaggi, lasciando la casa vuota e Agatha depressa e ingrigita
nei capelli.
Il parrucchiere lo chiamavano tutti “Mr John”. La signora Bloxby si era tanto raccomandata di prendere appuntamento con lui in persona.
Ed ecco lì, scintillante nella calura di High Street, un’insegna discreta, con la scritta mr john sopra l’ingresso, in
lettere d’ottone graziate.
Agatha spinse la porta ed entrò. Niente aria condizionata, era ovvio. Si era in Inghilterra e si avevano troppi ricordi recenti di estati fredde perché i commercianti potessero
risolversi a far mettere un impianto di condizionamento.
Un’impiegata annotò il nome di Agatha sul registro e
chiamò una ragazza magra e brufolosa che scortò Agatha
nel salone. Lei cominciò a pentirsi della scelta. Si trascinò
di malavoglia fino a una stanza sul retro, e lì la ragazza le
annunciò che sarebbe andata ad avvertire Mr John.
Agatha fissò immusonita la propria immagine riflessa
nello specchio. Si sentiva vecchia e sciatta.
Poi all’improvviso nello specchio vide alle sue spalle
un’apparizione, e una voce gradevole disse: “Buongiorno,
signora Raisin, io sono Mr John”.
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Agatha sbatté le palpebre. Mr John era alto, e molto,
molto attraente. Aveva i capelli biondi e folti e occhi azzurrissimi, di un azzurro sorprendente, come un’ala di martin
pescatore. La faccia era lievemente abbronzata.
“E allora, vediamo un po’ cosa abbiamo qui,” disse.
“Abbiamo dei capelli violacei,” rispose Agatha, secchissima, sentendosi sminuita di fronte a quella apparizione di
grande bellezza.
“Si rimedia facilmente. Vuole anche un taglio con piega?”
Agatha, che di solito teneva i capelli corti, li aveva fatti
crescere parecchio. Scrollò le spalle. Abbiamo fatto trenta,
facciamo trentuno. “Perché no?”
“Lei non è del posto, vero?” John mescolò la tinta con le
sue mani forti e ben curate.
“No, sono di Londra.” Agatha non aveva intenzione di
raccontare a Mr John, né a chiunque altro, della sua infanzia nei bassifondi di Birmingham. “Avevo una mia società
di pubbliche relazioni, l’ho venduta e mi sono trasferita a
Carsely, in pensionamento anticipato.”
“Un villaggio grazioso.”
“Sì, molto piacevole.”
“A suo marito piace?”
“Mio marito è morto.”
Le mani di John indugiarono al di sopra della testa di
Agatha. “Raisin. Raisin? Questo nome mi dice qualcosa.”
“Dovrebbe. È stato assassinato.”
“Oh, sì, ricordo. Immagino sia stato terribile, per lei.”
“Ho superato la cosa. In ogni caso non vedevo mio marito da parecchi anni.”
“Ma una donna attraente come lei non resterà sola a
lungo.”
“Sono certa che lei lo dica con le migliori intenzioni, e che
lo dica a tutte le sue clienti più squallide,” disse Agatha, irritata, “ma io sono perfettamente consapevole del mio aspetto.”
“Oh, ma io non mi sono mai occupato dei suoi capelli.
Quando avrò finito, lei dovrà tenere lontani gli uomini a
mazzate.”
Agatha scoppiò a ridere. “Lei è molto sicuro delle sue
capacità.”
“Ho tutti i motivi per esserlo.”
“Ma se è tanto bravo, perché sta qui a Evesham?”
“E perché no? A me Evesham piace. La gente è cordiale. E qui sono un re. A Londra c’è molta competizione,
rischierei di perdermi. Ecco, siamo a posto. Adesso faccio
partire il timer. Sharon, porta un caffè e qualche rivista alla
signora Raisin.”
Nel frattempo era entrata una donna, che ora sedeva
nella poltroncina accanto a quella di Agatha. “Pronta a rifare la tinta, Maggie?” la salutò Mr John.
“Se lo ritieni opportuno,” disse Maggie, guardandolo
con occhi adoranti.
“Tuo marito ha apprezzato il nuovo stile?”
“Non apprezza niente, in me.” La voce di Maggie si fece
querula e lamentosa. “Insulti dal mattino fino a sera. Te lo
dico io, John, se non ci fossi tu a tenermi su di morale, mi
ucciderei.”
“Oh, avanti. Quando avrò finito ti sentirai meglio.”
Mentre Agatha aspettava che la tinta facesse effetto, vennero servite altre clienti, alcune con l’aiuto di un paio di assistenti, e lei rimase sbalordita nel sentire quante confessioni
personali fossero affidate alle orecchie dei parrucchieri.
Agatha osservava di nascosto Mr John mentre lui si dava
da fare, ammirando il suo corpo atletico, i capelli biondi e
quegli occhi, oh sì, quegli occhi così azzurri.
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Agatha ricominciò a sentirsi viva, per la prima volta da
settimane.
Il timer suonò e lei venne scortata fino a un lavatesta, e
la tinta fu sciacquata via. Poi Agatha fu ricondotta da Mr
John, che cominciò a metterle i bigodini.
“Pensavo che fosse una piega a phon.”
“Intendo tirarli su, questi capelli… Agatha. Il nome è
Agatha, vero?”
Un parrucchiere meno attraente si sarebbe sentito rispondere seccamente che il nome era signora Raisin. Agatha annuì.
“Ti piacerà.”
“Non li ho mai raccolti, i capelli. Li ho sempre avuti
corti.”
Mr John schioccò la lingua. “Le signore che non nutrono
una sufficiente considerazione di sé hanno sempre i capelli
corti. Mostrami una donna con la testa a spazzola, e io ti
mostrerò un esempio di autostima davvero scarsa. Ma sai
che ti dico, che se il nuovo stile non ti piace, è un attimo
togliere i bigodini e procedere al taglio.”
Agatha concedette con riluttanza la sua approvazione,
pur sentendo il sudore gocciolare lungo il corpo. Come faceva Mr John a mantenere un aspetto così fresco?
Quando ormai stava cominciando a pensare di essere
sotto il casco da ore, Agatha venne tratta in salvo e riportata
da Mr John.
Mentre lui si dava da fare, Agatha rimase estasiata nel
vedere emergere il risultato. I capelli erano tornati a essere
castani e lucidi, ma raccolti sulla nuca alla francese, e poi
pettinati in modo da incorniciare il viso e farlo sembrare
più magro. Agatha dimenticò il gran caldo. Sorrise a Mr
John, piena di gratitudine.
Stava tornando alla macchina, strizzando gli occhi per
ammirarsi riflessa nelle vetrine di High Street, quando si
rese conto di non aver fissato l’appuntamento successivo.
Ma Agatha la piega se l’era quasi sempre fatta da sola, e i
capelli li tagliava a Londra, quando le capitava di andarci.
Una volta a casa spalancò le porte e le finestre nel tentativo di rinfrescare un po’ l’aria. I due gatti si precipitarono in
giardino ma poi si accasciarono sull’erba, letargici nel sole.
Agatha fissò il telefono, silenzioso nel suo angolo. Sembrava non suonare mai, cosa che contribuiva alla depressione. Il suo amico Bill, il sergente Wong, era in vacanza;
sir Charles Fraith, che era rimasto coinvolto insieme a lei in
un paio di casi di omicidio, era all’estero; James Lacey era
andato chissà dove; e neppure Roy Silver, il suo ex dipendente, si era preso la briga di chiamarla.
Poi Agatha si ricordò che quella sera era in programma
una riunione della Società delle Dame di Carsely. Una buona occasione per sfoggiare la nuova acconciatura.
La signora Bloxby avrebbe ospitato le socie in canonica,
e per via della calura aveva disposto le sedie e i tavoli in
giardino.
La pettinatura di Agatha ebbe un gran successo. “Da chi
sei andata?” s’informò la signora Friendly, una donna – nomen omen – paffuta e gioviale. Si era trasferita relativamente
da poco nel villaggio, e l’avevano accolta come un antidoto
alla presenza dell’altra nuova venuta, la signora Darry, che
stava mangiucchiando un pezzetto di dolce con concentrazione degna di un coniglio.
“Da Mr John a Evesham,” disse Agatha.
Con sorpresa di Agatha, la faccia della signora Friendly
si contorse come quella di un neonato sofferente. “Io non ci
andrei,” disse, con la voce ridotta a un sussurro.
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“Perché?” Agatha fissò maleducatamente i capelli della
signora Friendly, che erano di un color castano smorto, da
topo, e pendevano in ciocche sudaticce ai lati della faccia
accaldata.
“Oh, niente,” borbottò la signora Friendly. “È che si sentono raccontare certe storie.”
“Sul conto di Mr John?”
“Sì.”
“Che genere di storie?”
“Devo parlare con la signora Bloxby.” La signora Friendly si allontanò.
Agatha la fissò un attimo e poi scrollò le spalle. Fu raggiunta dalla signorina Simms, ragazza madre di Carsely
e segretaria della società. “Pettinata così è uno schianto,
signora Raisin.” Agatha aveva da tempo rinunciato a chiedere alle altre socie di chiamarla per nome. Sembravano
tutte quante affezionate all’uso antiquato e formale dei cognomi. La signorina Simms indossava un paio di calzoncini
succinti e un top, oltre alle solite calzature con tacco a spillo.
“Da chi è andata?”
“Da Mr John, a Evesham.”
“Oh, ci sono stata una volta a farmi fare i capelli. Ero
damigella d’onore alle nozze di mia sorella Glad. Me li ha
sistemati benissimo, ma lui non mi è piaciuto per niente.”
“Perché?”
“Se la tirava in una maniera spaventosa. Smaniava per
le clienti più ricche.”
Agatha scrollò le spalle. “Non è poi così importante la
personalità del parrucchiere, no?”
“Per me sì. Insomma, non mi piace essere toccata da
uno che non mi piace.”
La riunione passò ad affrontare l’ordine del giorno. Le
socie avrebbero organizzato un concerto ad Ancombe.
Agatha fu presa dallo sconforto. I concerti della Società
delle Dame erano davvero spaventosi, lunghe serate piene
di gorgheggi stridenti e scenette penose.
La signora Darry intervenne con gli occhi scintillanti
nella faccia da furetto. Indossava una gonna di tweed, una
camicetta e una giacca di tweed e non sembrava soffrire il
caldo. “Come mai la signora Raisin non si offre mai di fare
nulla?”
“E perché non si offre lei?” la rimbeccò Agatha.
“Perché io mi occupo del tè.”
“Non ho alcun talento,” disse Agatha.
La signora Darry fece una risatina stridula. “Nemmeno
le altre ce l’hanno, ma questo non le ferma.”
“Questa,” protestò la signora Bloxby, “è un’osservazione
davvero poco gentile.”
La signorina Simms, che si era offerta di fare la sua imitazione di Cher, guardò malissimo la signora Darry. “Brutta
strega invidiosa,” disse.
“Quasi quasi mi vien voglia di dirvi che al tè stavolta
dovrete pensarci voi,” disse la signora Darry.
Ci fu un attimo di silenzio. Poi Agatha disse: “Lo farò io”.
“Buona idea,” disse la signorina Simms.
La Darry si alzò dalla sedia. “Allora se non avete bisogno
di me, io me ne vado a casa.”
La signora Darry uscì rabbiosamente dal giardino.
Agatha si morse il labbro. Non aveva una gran voglia
di preparare i rinfreschi per un gruppo di donne, con quel
caldo.
La depressione che si era alleviata grazie alla seduta dal
parrucchiere tornò a gravarle addosso come una nube nera.
Questa è la tua vita, Agatha Raisin. Intrappolata in un vil-
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laggio dei Cotswolds, tagliata fuori da qualsiasi attività entusiasmante, tagliata fuori da qualsiasi avventura, ridotta a
preparare il tè per un branco di donnette noiose.
Dopo la riunione si trascinò a casa. Non c’era un filo
d’aria.
Aprì tutte le finestre. Guardò il telefono muto. Magari
qualcuno aveva chiamato, mentre Agatha era fuori? Compose il numero 1571, quello del servizio di segreteria. “Lei
ha un messaggio,” annunciò la voce impostata del computer. “Lo vuole ascoltare?”
“Certo che voglio, deficiente di una deficiente,” ruggì
Agatha.
Un momento di silenzio e poi la voce disse con sussiego:
“Scusi, ma non ho capito. Vuole ascoltare il suo messaggio?”.
“sì.”
Ci fu un click e poi all’orecchio di Agatha giunsero i
toni ben modulati di sir Charles Fraith: “Ciao, Aggie. Ti
andrebbe di cenare insieme domani sera?”.
L’umore di Agatha si rischiarò. Anche se in passato si
era mostrata diffidente nei confronti di Charles per via di
una notte di sesso vissuta con lui a Cipro, una notte che a
quanto pareva per lui aveva avuto poco significato, l’idea di
uscire a cena e di sfoggiare la nuova acconciatura l’allettava
parecchio.
Fece il numero di Charles, e sulla segreteria telefonica
del baronetto gli lasciò detto che la passasse a prendere alle
otto della sera successiva.
Il senso di depressione tornò ad attenuarsi, ancora una
volta, e Agatha salì al piano di sopra, si fece un bagno e
andò a letto. Aveva tenuto i capelli raccolti, ma posando
la nuca sul cuscino caldo le forcine le si conficcarono nel
cranio. Alla fine si alzò, levò tutte le forcine e tornò a letto,
rigirandosi tutta la notte nell’afa soffocante. Si udirono dei
tuoni e verso le due di notte piovve ma senza rinfrescare
affatto l’aria.
Nell’alzarsi, al mattino, Agatha scoprì che i suoi capelli
erano un disastro, inumiditi dal sudore e scompigliati per
tutto quel rigirarsi nel letto.
Non appena giunse l’ora in cui sapeva che il salone
avrebbe aperto, Agatha telefonò alla segretaria di Mr John
per vedere se non fosse possibile fissare un appuntamento
per il giorno stesso. “Sono molto spiacente, signora Raisin,”
disse quella, con una nota un po’ boriosetta. “L’agenda di
Mr John purtroppo è al completo.”
“Me lo passi.”
“Prego?”
“Ho detto di farmici parlare… e subito!”
“Oh, d’accordo.”
“Agatha!” Mr John l’accolse come una vecchia amica.
“Devo uscire a cena e la mia testa è un disastro. Non
riesci a trovare un attimo per me?”
“Mi piacerebbe poterti aiutare. Vediamo. Josie, passami
l’agenda.”
Si sentì un frusciare di pagine e poi John tornò al telefono. “I capelli li hai lavati ieri, quindi io potrei metterti
i bigodini e rifarti la piega, ma devi per forza venire alle
cinque.”
Agatha rifletté rapidamente. Avrebbe avuto tempo in abbondanza per farsi i capelli, tornare a casa, lavarsi e cambiarsi d’abito prima dell’arrivo di Charles. “Perfetto,” disse.
“Ci sarò.”
Salì in camera e spalancò le ante del guardaroba. Come
vestirsi? C’era quel tubino nero che non aveva più indossato
dopo il viaggio a Cipro. A Charles era piaciuto. Agatha se
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lo provò. Le stava largo. Che strano, pensò Agatha, la depressione si era rivelata molto più efficace delle diete e della
ginnastica. Era dimagrita.
Decise di prendere la macchina e andare a Mircester a
cercare un vestito nuovo.
Il volante le scottava tra le mani e Agatha era ormai
lontana da Carsely e stava correndo lungo la Fosse quando
l’effetto dell’aria condizionata cominciò a farsi sentire.
Mircester luccicava nella calura implacabile. Agatha
riuscì a trovare parcheggio senza difficoltà. A quanto pareva un sacco di gente aveva deciso di rimanere a casa. Agatha si mise gli occhiali da sole e scrutò il cielo. Neanche uno
straccio di nuvola in vista. Puntò su Harris Street, dietro la
piazza principale, una via piena di boutique di lusso.
Entrò e uscì da un negozio dopo l’altro, finché non si
rese conto di non farcela più a provare vestiti. Forse sarebbe stato meglio ripiegare su uno dei capi che aveva già in
casa. Magari le sarebbe stato un po’ largo, ma tanto di guadagnato, visto che avrebbero cenato in qualche ristorante
certamente privo di aria condizionata.
Agatha aveva appena deciso di lasciar perdere, quando affacciandosi su un vicolo laterale di Harris Street che
dava sull’abbazia, notò che il mercato settimanale era in
pieno svolgimento. Agatha pensò di comprare un po’ di
verdura per un’insalata. Una volta entrata nel mercato alla
ricerca degli ortolani notò parecchie bancarelle piene di
abiti dai colori vivaci. E un vestito in particolare catturò
la sua attenzione. Era di un bel cotone scarlatto, con un
motivo di fiori di loto bianchi. Aveva una linea morbida,
e l’aria di essere fresco. Agatha lo tastò. Al suo fianco si
materializzò un venditore indiano. “Vestito carino,” disse
l’uomo.
Agatha esitò. “Quanto viene?”
“Quattordici sterline.”
Agatha ci pensò su. Era molto a buon mercato. Magari
si sarebbe tutto raggrinzito, o addirittura si sarebbe disfatto.
Lei si era preparata spiritualmente a spendere più o meno
duecento sterline. “Sa che le dico,” disse stancamente il
commerciante, “glielo lascio a dodici.”
“D’accordo, lo prendo.”
Lui ficcò l’abito in un sacchetto di plastica riciclato.
“Che caldo.” Agatha gli porse i soldi.
“E non mi dica che dovrei esserci abituato,” disse lui,
mestamente. “Sono nato a Birmingham.”
Agatha stava per dire “Anch’io”, ma poi non lo fece. Si
vergognava di quel suo passato.
Non appena arrivata a casa provò il vestito. Era molto
grazioso, e una volta abbinato a una collana d’oro massiccio sembrava perfino un capo costoso.
E adesso, Mr John.
Evesham pareva perfino più afosa di Mircester. Agatha
all’improvviso rimpianse la sua vecchia, semplice acconciatura, che le consentiva di farsi da sé il lavaggio e la piega.
Ma ecco lì Mr John, rilassato e bello come al solito. “Abbiamo un appuntamento?” chiese.
“Sì.”
“Una persona speciale?”
Agatha non resisté alla tentazione di pavoneggiarsi.
“In effetti è un baronetto.”
“Oh, magnifico. Quale baronetto?”
“Sir Charles Fraith.”
“E come lo hai conosciuto?”
Agatha stava per dire “Mentre indagavo su un caso”, ma
non le piaceva l’implicazione che una come Agatha Rai-
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sin non potesse conoscere gente titolata, quindi rispose con
tono disinvolto: “È nel mio giro”.
E speriamo che questo ti chiuda il becco, pensò.
“Peccato,” disse lui.
“Peccato cosa?”
“Penserai che sia una sfacciataggine da parte mia, ma
stavo pensando io di invitarti a uscire.”
“Perché?” chiese Agatha, colta di sorpresa.
“Sei una donna molto attraente.”
E ricca, pensò cinicamente Agatha. Però Mr John era
così bello con i suoi occhi azzurrissimi e intensi, e i capelli
biondi. Se James fosse tornato e li avesse visti uscire insieme,
magari si sarebbe ingelosito; magari sarebbe stato spinto a
dire con voce roca: “Ti ho sempre amata, Agatha”.
“Scusa.” Mr John ficcò una forcina nei capelli di Agatha,
e il suo sogno roseo scoppiò come una bolla di sapone dai
colori brillanti.
“Magari una delle prossime sere,” disse cautamente
Agatha. “Fammici pensare.”
Ma l’invito di John la fece arrossire piacevolmente e poi
lui era un mago nel sistemarle i capelli in maniera così elegante.
Agatha tornò alla macchina che aveva parcheggiato su
una doppia linea gialla. “Ma tu guarda se è il modo di mettere la macchina!” le sibilò una donna nell’orecchio. Agatha
scrollò le spalle, si avvicinò alla portiera e l’aprì.
“Ma è la sua!” trasalì la donna. “Non lo sa che è vietato
parcheggiare lì?”
Agatha si girò per affrontarla. “Non sto bloccando il traffico e non sto intralciando nessuno,” disse con calma. “Né
sono responsabile della folle distribuzione dei parcheggi a
Evesham e neppure di quello stupido sistema di sensi unici.
Ma io mi chiedo quale godimento ci tragga, una come lei,
ad andare in giro con ’sto caldo a insultare gli automobilisti.
Ma vada a casa, si beva un tè, si prenda una pausa. Si faccia
una vita sua!”
E sorda alle insolenze che avevano cominciato a riversarsi nelle sue orecchie, Agatha salì in macchina e se ne andò.
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Charles arrivò puntuale alle otto. Diede ad Agatha un
casto bacetto su una guancia. “Mi piacciono i tuoi capelli,
Aggie. E il vestito. In effetti oggi pomeriggio ne ho comprato uno simile al mercato di Mircester, per mia zia. Brontolava perché non aveva niente di fresco da mettersi addosso.”
“Questo l’ho preso da Harrods,” mentì Agatha. “Quella
che hai trovato al mercato sarà stata un’imitazione da due
soldi.” Ma il piacere di poter sfoggiare un bel vestito e una
bella testolina era già rovinato. “Dove ceniamo?”
“Pensavo di andare da Little Chef.” Little Chef è una
catena di ristoranti economici, un posto sul modello di Howard Johnson negli Stati Uniti, decente ma non certo entusiasmante.
“Non mi faccio portare da Little Chef. Sei proprio taccagno, Charles.”
“A me mangiare lì piace,” disse lui, sulla difensiva. “Immagino che tu invece abbia voglia di qualche schifezza etnica. Senti, offrimi un whisky intanto che mi faccio venire
in mente qualcosa.”
Agatha gli versò un whisky e lui si accomodò in poltrona cullando il bicchiere nelle mani piccole e ben curate.
Charles era un ometto biondo e snello. Agatha non aveva
mai saputo quale fosse la sua età. Il baronetto aveva un
viso dai tratti gentili e delicati e lei originariamente aveva
creduto che non avesse compiuto ancora quarant’anni. In
seguito però aveva deciso che dovesse essere probabilmente
attorno ai quarantacinque. Charles indossava una camicia
sbottonata sul collo e aveva appeso la giacca a una sedia.
“Ho trovato,” disse. “Possiamo andare al Jolly Roger,
quel nuovo pub di Ancombe.”
“Non ci sono mai stata e il nome non mi ispira affatto.”
“Un mio amico c’è andato la settimana scorsa. Ha detto
che si mangia bene. E poi hanno alcuni tavoli in giardino.
A proposito, a Mircester ho incontrato quel tuo amico poliziotto; il cinese, come è che si chiama?”
“Bill Wong. Ma è via in ferie!”
“Immagino che le passi a casa, le ferie. Era in giro a
braccetto con una ragazza.”
E non mi ha telefonato, pensò Agatha. Bill era stato il suo
primo amico, perché la vecchia Agatha, l’Agatha più tosta e
ambiziosa, quella che pensava solo alla carriera, non aveva
mai avuto il tempo di farsi degli amici. Agatha sentì ammassarsi all’orizzonte le vecchie nubi nere di quella depressione.
Partirono per Ancombe e parcheggiarono davanti al Jolly Roger, che un tempo si chiamava l’Uomo Verde. All’interno ogni dettaglio fece presagire ad Agatha che il cibo sarebbe stato scadente – le reti da pesca, i murali con scene di
pirati, camerieri e baristi in magliette a righe e braghe al ginocchio con fibbie in argento di purissima plastica. Charles
fece strada in giardino, che perlomeno era di una frazione
di grado più fresco dell’interno. Un cameriere furfantesco,
presentatosi come “Henry”, consegnò due menu grandi e
chiassosamente colorati.
“Oh, merda!” borbottò Agatha. “Senti qui. Deliziosa
salsina di patate di Capitan Uncino. E che ne dici del Polletto della Costa dei Barbari con frittelle di mais bollenti
alla Long John?”
Il cameriere Henry incombeva su di loro. “Ricordi
quando si chiamavano galline, e i polletti erano quei cosini
gialli e piumosi?” domandò Agatha.
“E adesso tutti i montoni si chiamano agnelli, cara mia,”
disse Henry con un risolino.
Agatha gli lanciò un’occhiata ostile. “Levati dai piedi e
piantala di contorcerti e sogghignare, ti chiameremo noi
quando saremo pronti.”
“Ma non l’ho mai fatto, davvero.” Henry fece un movimento brusco con la testa.
“Che tu non abbia perso la verginità è una cosa che non
mi riguarda. Cavati dai piedi.”
“Lo hai offeso, Aggie,” disse tranquillamente Charles.
“E chi se ne frega,” borbottò Agatha. Bill non si era neppure preso la briga di telefonarle. “Tu cosa prendi?”
“Prendo la prima colazione, qui la servono tutto il giorno. La Colazione Speciale di Dick lo Sguercio, e spero che
me la portino con un sacco di patate fritte.”
“Niente antipasto? Io prenderò un’insalata di prosciutto.”
“Non possono avere un piatto descritto banalmente
come un’insalata di prosciutto.”
“È descritto come maiale dei Mari del Sud arrostito, affettato su un letto di insalatina croccante con gallette del
marinaio.”
“Oh. Prendi del vino?”
“Perché no?”
Charles fece un cenno di richiamo al cameriere, ordinò
i piatti e una caraffa di vino della casa.
“Niente vino d’annata, per me?” chiese Agatha.
“In un posto come questo non mi pare il caso.”
“E allora perché mi ci hai portata, in un posto come
questo?”
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“Dio mio Agatha, sei acida come un limone, stasera. Ne
devo dedurre che James non è nei paraggi?”
“No, è via chissà dove.”
“E non ti ha neppure detto arrivederci? Sì, lo capisco
dalla tua faccia.”
“Gli uomini sono così immaturi.”
“È quello che le donne ci rinfacciano sempre.”
“Beh, è la verità.”
“È una componente necessaria della cosmetica maschile.
Ci consente di sognare più in grande e di realizzare questi
sogni. Ti sei mai chiesta perché tutti i grandi inventori sono
maschi?”
“Perché le donne non ne hanno mai avuta l’opportunità.”
“Sbagliato. Le donne sono pragmatiche. Devono esserlo,
per poter tirare su i figli. Ti illustrerò il mio pensiero con un
aneddoto.” Charles posò il mento sulle mani e fissò con aria
sognante un punto alle spalle di Agatha.
“Un tizio va all’università di Cambridge. Le ragazze lo
atterriscono e in ogni caso sono interessate solo ai rugbisti
grossi e pelosi, mentre lui è il tipo dell’accademico. Così
il tizio si innamora della camerierina di un bar e la ingravida e la sposa. Si laurea con il massimo dei voti in fisica
ma deve mantenere la nuova famiglia, quindi accetta un
lavoro in una società di assicurazioni, ed eccolo lì immerso
fino al collo nel mutuo e nelle rate dell’auto, e la moglie
mette al mondo due gemelli. Passa qualche anno e lui comincia a passare tutti i fine settimana nel capanno degli
attrezzi, in giardino. La moglie comincia a piagnucolare e
a lagnarsi. ‘Non ti vediamo mai. A Sharon e Tracey manca
il loro papà. Cosa stai combinando?’ Alla fine lui glielo dice.
Sta costruendo una macchina del tempo. E a quel punto,
oh merda, scoppia il finimondo. ‘Ci pagheremo le bollette,
con ’sta roba?’, s’infuria lei. ‘I Jones, i nostri vicini, hanno
un freezer nuovo. Quando ne avremo uno anche noi?’ E
così via. Lui allora si rinchiude nel suo capanno ed eccolo
lì che lavora con il suo martello, mentre lei è là fuori a
strillare.
“Insomma, il tizio costruisce questa macchina del tempo
e diventa miliardario e scappa di casa con una ragazzetta
dell’ufficio, l’unica donna che lo capisce veramente e che gli
ha dato sostegno, e lei di sicuro lo ha fatto pur non capendo
una sola parola di quel che il tizio le ha raccontato, però le
piace il brivido di avere una storia con un uomo sposato.
Il tizio divorzia dalla moglie e sposa la ragazza dell’ufficio,
solo che il denaro dà alla testa della nuova tipa che comincia a frequentare gli Eurotrash e fugge con un pilota da
corsa e poi vivono tutti infelici e scontenti. E la morale della
favola è che gli uomini e le donne sono diversi tra loro e
dovrebbero cominciare ad accettare questo fatto.”
Agatha rise. “Ma il tizio non poteva fuggire dentro la sua
macchina del tempo?”
“Ovviamente no. Gli avevano dato fior di miliardi per
distruggerla. Non si poteva rischiare di avere gente saltabeccante da un secolo all’altro, a incasinare la storia.”
“Non capisco mai se sei un maschio porco sciovinista o
se stai solo facendo lo spiritoso.”
“Non faccio mai lo spiritoso. Guarda che rughe ho sulla
fronte, Aggie. Il prodotto di pensieri profondi. Ma dimmi di
te. Niente omicidi piacevoli e succosi?”
“Niente di niente. Ormai sono un’investigatrice in disarmo.”
“Pensavo che l’esperienza di Cipro ti avesse assicurato
una dose di morte e agitazione bastevole per tutta la vita.”
Cipro. Sull’isola Agatha aveva trascorso una notte con
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Charles e James lo aveva scoperto e le cose tra lui e Agatha
non erano state più le stesse. Agatha non voleva riconoscere
che la relazione con James era in crisi già da molto prima
del fattaccio.
Charles vide l’ombra calare sugli occhi di Agatha e disse
gentilmente: “Non avrebbe funzionato, lo sai. James è un
tipo da venti per cento”.
“Non capisco. Che vuol dire?”
“Le cose stanno in questo modo. Tu sei una tipa da ottantacinque per cento e James è uno che dà solo il venti per
cento. Non lo fa per cattiva volontà, è che non è capace.
Un sacco di uomini sono così ma le donne non lo capiranno mai. Le donne continuano a dare. E pensano che se
andranno a letto con il tizio da venti per cento, e daranno
anche quel loro quindici per cento finale, si sveglieranno
miracolosamente accanto a un cento per cento. Sbagliato.
Sarà già un miracolo se si sveglieranno accanto a quel tizio,
e basta. Probabilmente troveranno un biglietto sul cuscino,
con su scritto ‘Sono tornato a casa a dar da mangiare al
cane’, o qualcosa del genere.”
Ad Agatha tornarono in mente le notti con James e le
mattine in cui lui si alzava sempre per primo, e non accennava mai a quel che era successo a letto né la coccolava né
la baciava.
“Forse ero solo la donna sbagliata,” ammise.
“Fidati, cara mia. Qualunque donna è quella sbagliata,
per James.”
“Forse mi sarei accontentata senza problemi del venti
per cento.”
“Bugiarda. Ecco la nostra cena.”
Agatha rimase stupita nel constatare che il prosciutto era
squisito e l’insalata fresca e croccante.
“Quindi non andremo più in giro a investigare?” chiese
Charles, irrorando di ketchup le sue patatine.
“Non posso continuare a contare sul ritrovamento di cadaveri per rallegrarmi la vita.”
“Non lavori più nelle pubbliche relazioni?”
“No. Profondo tutte le mie energie nel rifornire di tè e
torte le dame di Ancombe.”
“Qualcosa ti inventerai, Aggie. Non ci sono altri uomini
all’orizzonte?”
“Uno assolutamente stupendo.”
“Chi?”
“Il mio parrucchiere.”
“Ah, il responsabile della nuova eleganza?”
“Lui.”
“I parrucchieri sono volubili. Ricordo… Ma no, lasciamo stare.”
“Che mi dici della tua vita amorosa, Charles?”
“Al momento niente in vista.”
Per il resto della cena rievocarono le loro avventure a
Cipro, e poi Charles riaccompagnò Agatha a casa.
“Se mi fermassi da te, stanotte?” disse lui, sulla soglia
del cottage.
“No, Charles, non mi interessa il sesso occasionale.”
“E chi ti dice che sarebbe occasionale?”
“Charles, a Cipro hai dimostrato che per te io sono solo
un divertimento a ore. Non ti ha mai colto il dubbio che
potresti essere anche tu uno da venti per cento?”
“Touché! Ma rifletti, Aggie. Se un’ottantacinque per cento continua a frequentare i venti per cento vuol dire che è
altrettanto refrattaria a impegnarsi.”
Charles la salutò con un cenno della mano e se ne tornò
alla macchina.
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Agatha entrò in casa, con il morale a terra. Zero messaggi sulla segreteria telefonica. E perché Bill Wong non le
aveva telefonato, che cosa gli passava per la testa?
La cosa ragionevole sarebbe stata che gli telefonasse lei,
eppure Agatha era atterrita all’idea di scoprire di aver perso
l’affetto del suo primo amico.
La vita andava avanti. Agatha doveva andare avanti.
Forse alla fin fine avrebbe accettato l’invito di Mr John.
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