Istituzioni europee di ricerca in Italia

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Istituzioni europee di ricerca in Italia
orizzonti internazionali
Istituzioni europee di ricerca in Italia
L’Istituto universitario europeo di Firenze
S
Marisa Meli
i festeggia quest’anno il venticinquesimo anniversario dell’Istituto universitario europeo di Firenze. Inizialmente pensato quale Progetto di università per
l’Europa, l’istituto è il risultato di un lungo processo avviato già negli anni ’50, in
un momento in cui si aspirava ad organizzare una comunità scientifico-universitaria
accanto a quella economica. L’idea risale, più precisamente, al Congresso dell’Aia del
1948, benché ancora in forma embrionale: si pensa più che altro a cicli di conferenze o
all’inserimento di insegnamenti di carattere europeo nelle università già esistenti.
A poco a poco, prese corpo il disegno di creare una vera e propria istituzione,
analogamente a quanto già accadeva per il Centro europeo della cultura, con sede a
Ginevra, e per il Collegio d’Europa, con sede a Bruges (le due istituzioni sono operative
già dal ’49-’50; la prima è finalizzata a sottolineare il valore dell’unità culturale di tutto il
continente europeo; la seconda è più che altro concepita come una scuola per quadri
amministrativi – staff school). Ma l’obiettivo è ancora lontano. Si preferisce dar seguito
a proposte alternative, la più importante delle quali è la creazione, ad opera di Jean
Monnet, dell’Istituto della Comunità europea per gli studi universitari. L’Istituto, creato
nel 1955, ambisce a incoraggiare, nelle grandi università, la nascita di cattedre dedicate
ai problemi di integrazione europea, contribuendo a dotare i titolari di tali cattedre dei
mezzi necessari a svolgere ricerche e studi di rilevanza sociale.
Nel corso degli anni ’50, questo genere di istituti specialistici si diffonde in tutta
Europa (si pensi agli Istituti di studi europei di Nancy, Saarbrücken, Roma, Torino; al
Centre universitaire de hautes études européennes di Strasburgo, al Collegio europeo di
scienze sociali ed economiche di Parigi, al Centro Johns Hopkins di Bologna, ecc.). Si
respinge ancora, viceversa, l’idea di realizzare un’università di tipo classico.
L’idea è rilanciata nel 1955. Ancora per lunghi anni, tuttavia, le trattative sono destinate al fallimento; a causa delle ambiguità politiche dell’Europa dei Sei, ma anche per la
diffidenza del mondo universitario (soprattutto francese). Nella mente degli accademici
si profila, infatti, il rischio di una spiacevole concorrenza: si teme la minaccia di un
monopolio scientifico che toglierebbe alle altre università europee le migliori risorse, a
favore di una istituzione che attrarrebbe le élites. Solo gli Italiani manifestano grande
entusiasmo, forse anche in considerazione del fatto che, già dalla Conferenza di Messina (1955), si palesa l’eventualità che sede dell’iniziativa possa essere l’Italia.
Ed infatti l’Istituto nasce a Firenze, presso la Badia Fiesolana (S. Domenico di
Fiesole), appartenente alla Congregazione dei Padri Scolopi. Nasce ufficialmente il 14
novembre del 1976, con soli settanta allievi e una decina di docenti.
Non si tratta di una vera università (è infatti sotto la direzione di un presidente, non
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di un rettore), ma di un Istituto di formazione post-laurea e di ricerca. Consta di quattro dipartimenti, anch’essi non paragonabili a facoltà: Storia e civiltà, Scienze
economiche, Scienze giuridiche, Scienze politiche e sociali. Nell’ambito di ciascuno, l’Istituto è abilitato a conferire un Phd, ovvero un dottorato di ricerca (l’ordinamento italiano ha provveduto alla equiparazione di tale
titolo con quello conferito dalle università italiane). Nel
dipartimento di Scienze giuridiche v’è inoltre la possibilità di conseguire un certificato di frequenza di un anno
(LL.MM, Master in Comparative, European and
International Legal Studies).
I ricercatori vengono reclutati tra coloro che sono in
possesso di titoli universitari nazionali (l’ammissione all’Istituto è riservata, almeno inizialmente, ai cittadini degli Stati contraenti). Essi svolgono la loro attività in una
struttura organizzata in modo davvero eccellente, quanto alla varietà ed efficienza dei servizi offerti (dalle strutture di accoglienza, ai corsi di lingua, ai servizi informatici, al funzionamento di una biblioteca che possiede circa 3.000 periodici e mezzo milione di volumi). Le attività
di ricerca vengono condotte su base individuale (ad ogni
ricercatore è assegnato un Supervisor, tra i docenti dell’istituto); ma nell’ambito di ogni dipartimento sono previste anche attività seminariali, a partecipazione collettiva. L’attività si conclude con la preparazione di una tesi
di dottorato, che verrà poi ‘difesa’ davanti ad una commissione composta (anche) da membri esterni. Ogni anno
si può assistere alla cerimonia per il conferimento dei
‘diplomi’ai nuovi dottorati.
Oggi, a distanza di venticinque anni, l’Istituto è divenuto una realtà ben diversa da quella iniziale. Ospita 500
ricercatori, 50 docenti e circa 60 visiting senior researchers (soprattutto nell’ambito delle borse di studio postdottorato, quali le Jean Monnet Fellowships). Corrispondentemente, ha ampliato i propri spazi, estendendosi dalla Badia ad altre sedi di pari bellezza che dominano la
collina fiesolana. Inoltre, accanto alle tradizionali attività
di ricerca afferenti ai quattro dipartimenti, ha sviluppato
una serie di attività collaterali.
Così, ad esempio, nell’ambito del dipartimento di
Scienze giuridiche, nel 1990 è stata creata l’Academy of
European Law, organizzata sotto forma di summer school,
per promuovere la ricerca soprattutto in materia di Human
Rights. Con le medesime caratteristiche è stata creata,
lo scorso anno, l’Academy of European History, afferente al dipartimento di Storia.
Inoltre, i ricercatori afferenti alle diverse aree di studio hanno creato dei Working Groups, che hanno progressivamente acquisito carattere di stabilità. Basti ricordare lo Human Rights Working Group, lo Habermas
Social Club, il Working Group on Criminal Law, l’
Environmental Working Group, il Balkans Working Group,
il Labour Law and Economic Working Group.
In ultimo, a tali iniziative si è aggiunto il Robert
Schuman Centre for Advanced Studies, iniziativa di successo che ospita annualmente universitari provenienti da
tutto il continente, e che è considerata una «indispensa-
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bile risorsa intellettuale» per l’Europa. Creato nel 1993
per approfondire specifiche problematiche legate al processo di integrazione europea, soprattutto nell’ottica di
un approccio interdisciplinare, il Centro porta avanti parecchi progetti, tra cui si segnala il Mediterranean
Programme, che ha per oggetto lo studio dei Paesi dell’area mediterranea (Medio Oriente e Nord Africa) e delle relazioni tra questi e l’Europa.
Se dunque l’avvio è stato lento, una volta avviata
l’esperienza è decollata a meraviglia; al punto che, nelle
parole dell’attuale Presidente, Yves Mény, «The EUI is a
doctoral and postdoctoral academic institution, whose
European character is unique».
Il 70 % dei ricercatori che hanno conseguito il dottorato all’Istituto universitario europeo svolge attività di
insegnamento in ambito universitario. Anche nell’ateneo
catanese, presso le facoltà di Giurisprudenza e di Scienze politiche, sono presenti docenti che hanno conseguito il dottorato presso l’Istituto. Tra questi, chiediamo di
raccontare la sua personale esperienza ad Antonio Lo
Faro, docente di Diritto del lavoro presso la facoltà di
Giurisprudenza.
Avevo sentito parlare dell’Istituto universitario europeo da alcuni amici (oggi colleghi d’ateneo) che, prima di me, avevano sperimentato l’‘avventura’fiorentina. Mi avevano descritto un ambiente dotato di tutti i
presupposti ideali per trascorrere nel migliore dei modi i
tre anni di ricerca che precedono la ‘difesa’delle tesi di
dottorato: un incantevole chiostro sulle colline fiesolane,
un gruppo di ricercatori provenienti da ogni parte d’Europa, un corpo di docenti di assoluto valore e pressoché
interamente dediti a supervisionare tesi tendenzialmente
coincidenti con le rispettive ricerche del momento. Devo
ammettere che quella descrizione era più che giustificata: l’Istituto europeo mi ha regalato l’opportunità di
vivere per anni in un vero e proprio campus universitario, all’interno del quale ho trovato molte cose che purtroppo non sempre l’università italiana è in grado di
offrire: biblioteche open shelves aperte fino a tarda sera,
spazi di socializzazione (caffetterie, mense, bar) dove
non era raro intavolare le discussioni più interessanti
con colleghi e supervisors, seminari rigorosamente ‘non
frontali’, possibilità di frequentare seminari di discipline ‘affini’, vista la coesistenza di più dipartimenti negli
stessi luoghi, insomma una universitas nel senso più pieno del termine. Oggi, degli anni trascorsi all’Istituto,
rimane molto più del solo piacevole ricordo: la fitta rete
di rapporti, conoscenze e incontri che quell’ambiente
ha favorito non si è spezzata e buona parte delle mie
attuali ricerche sono ancora svolte nell’ambito di gruppi di lavoro composti da alumni dell’Iue, oggi sparsi
nelle università di tutta Europa. In definitiva, un’esperienza pienamente positiva che mi sentirei di consigliare
a coloro che volessero avviare un percorso di ricerca
nell’ambito delle scienze giuridiche, economiche, storiche e politico-sociali.