le vecchie di fine marzo - Osservatorio Balcani e Caucaso

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le vecchie di fine marzo - Osservatorio Balcani e Caucaso
LE VECCHIE DI FINE MARZO
PROLOGO
Questa era una città senza telefoni. Un luogo dove per incontrare qualcuno dovevi conoscere
i suoi ritmi di vita e le sue abitudini. Bisognava pensare intensamente l’altro e poi passare da una
certa strada ad una certa ora o entrare nella Biblioteca del Palazzo di Cultura Nazionale, nella
Biblioteca del Palazzo di Cultura della Città, nella Biblioteca del Quartiere e così via.
Nel sottofondo del continuo cercarsi degli abitanti, partecipavano gli sguardi di chi si
affacciava dalle ringhiere dei balconi delle ville costruite negli anni trenta o dalle finestre dei
palazzi costruiti un po’ più tardi; di chi sedeva nelle panchine dei grandi parchi sempre verdi o dei
larghi marciapiedi ornati da alberi di tiglio e di castano selvatico.
Niente di quello che veniva costruito resisteva a lungo e non per via dei terremoti che
accadevano di rado. Sembrava che gli architetti avessero intuito la facilità con cui gli edifici vecchi
venivano sostituiti da quelli nuovi. Per questo motivo nei secoli avevano costruito gli anfiteatri e i
monasteri lontano da questa città.
Le chiese e le moschee cadevano giù per essere ricostruite, il vecchio bazar lasciava il posto
al nuovo che in poco tempo si sarebbe invecchiato e gli abitanti si scambiavano le case per
avvicinarsi al posto di lavoro o ai loro parenti.
Un solo edificio resisteva da diversi secoli. Si era discusso tante volte di distruggerlo per
costruire un ristorante all’aperto con l’orchestra che suona nelle calde serate d’estate, ma ogni volta
ci si poneva la domanda: come faremo le foto della città dall’alto? La punta del minareto è l’unico
posto.
Questa era anche la città che sopportava le eccezioni, il minareto come l’ufficio delle
notizie–chiamate dove si trovava l’unico telefono. Il suo compito era di mettere in comunicazione
gli abitanti con i loro familiari nelle altre parti del paese.
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PARTE I
LE VECCHIE DI FINE MARZO
Valbona Guralumi percorreva ogni giorno la stessa strada. Partiva dalla sua casa, vicino il
Parco “Rinia”, verso piazza “Madre Teresa” che chiudeva il Boulevard “Dëshmoret e Kombit” per
dare inizio al grande parco di Tirana con il suo lago artificiale e l’orto botanico. Era metà marzo, le
piogge si mostravano gentili con la terra: dopo averle dato dell’acqua, le davano il tempo di
respirare e di asciugarsi per poi bagnarla di nuovo.
- Si stanno avvicinando “le vecchie”, - disse la nonna, aggiungendo altra legna alla stufa.
- Saranno buone quest’anno, - rispose Valbona togliendo dal fuoco la pentola dove nel
frattempo si era formata una semisfera di schiuma di latte.
La nonna aspettava questo periodo per capire se sarebbe vissuta un altro anno. Le “vecchie”
cattive e dure, che si trovavano nel suo calendario alla fine di marzo, riportando di nuovo il freddo,
decidevano sulla sorte degli anziani. Se non morivano entro i primi di aprile, sarebbero
sopravvissuti fino al marzo prossimo.
Valbona scese le scale di corsa. Al primo piano stava ancora appesa la lista con il turno per
la pulizia della strada e del prato sotto il palazzo. Quando era bambina il prato si estendeva anche
dall’altra parte della strada e, come in tutti i quartieri della città, c’era il parco giochi, il campo da
calcetto, da pallavolo. Poi hanno cominciato a scavare, a scavare, a riempire con del cemento
armato, a coprire. Adesso il rifugio sotterraneo somigliava alle spalle di un vecchio gobbo.
- Il prossimo sabato, la pulizia spetta al vostro piano, - si sentì la voce della vicina
accompagnata dallo scricchiolio della finestra e dal soffio di una pentola a pressione. Valbona
affrettò il passo per non sentire addosso il forte odore di fagioli e cipolle.
Attraversare il parco “Rinia” camminando sulla cinta di strada guardando le pietre scelte e
messe una vicino all’altra con grande cura le dava un senso di leggerezza. Le piaceva anche
respirare quello che le arrivava sotto il naso dal vapore acqueo emanato dalla terra bagnata dopo
essersi riscaldata al sole. Questo odore forte richiamava in lei uno stato che si ripeteva ogni mese,
dolori di fondo pancia e voglia di zucchero. Sensi ed odori che univano terra e utero.
*
Lindita Kolonja le veniva incontro camminando vicino al prato del fiume “Lana”, un
fiumiciattolo che attraversa tutta la città sopra un letto in cemento con delle aiuole laterali che
arrivano al livello della strada. Valbona ammirava da lontano il seno grande e denso dell’amica,
notando la fatica delle spalle sempre contratte nel tenerlo attaccato al petto.
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Si dovevano incontrare nella piazza dell’Università Centrale insieme a centinaia di studenti
che si esercitavano a camminare in dei quadrati ordinati. I preparativi per il Primo Maggio
cominciavano a gennaio, tutti entravano in uno stato d’animo effervescente dove si mischiava la
voglia di organizzare e fare tutto in maniera perfetta con la paura di non riuscirci. Qualcuno aveva
proposto di cominciare i preparativi prima di gennaio, a settembre, qualcuno più ansioso proponeva
di non fermarsi mai, di preparasi tutti i giorni dell’anno, fossero 365 o 366, per essere pronti il
primo maggio.
Loro due seguivano il primo anno dell’Università. Si erano diplomate con il massimo dei
voti ed il consiglio della scuola composto da insegnanti e alunni aveva avuto difficoltà ad
indirizzare i loro studi. Era impossibile distinguere se fossero più brave in matematica, storia,
letteratura o lingue straniere. Quelli che scrivevano le annotazioni sulla formazione e il
comportamento sul diploma di maturità sembrava che si fossero messi d’accordo, “eccellente,
intelligente, affettuosa, volenterosa, sistematica, operatrice attiva dell’Organizzazione della
Gioventù, si distingue per una formazione molto buona ideopolitica.”
*
-
Abbiamo cominciato le prove per la parata a gennaio e questi tre mesi sono volati, disse Valbona all’amica indicando l’orologio rotondo della strada attaccato al palo della
luce.
Erano in anticipo e si potevano permettere di prendere il caffè al Bar dello stadio sotto le
colonne. Lindita aveva le occhiaie e si sentiva molto stanca. Al tavolo accanto la voce di un uomo
faceva capire che aveva bevuto qualche bicchiere di troppo di raki o forse si sottintendeva dalle sue
parole.
Te lo posso garantire,- cercava di convincerlo l’altro, - è come dicono loro. Cosa c’è fuori
dell’Albania? Solo buio, pericolo, c’è la droga, la prostituzione, c’è gente che dorme sotto i ponti.
L’affitto della casa è più alto dello stipendio.
Il ragazzo biondo, dall’aspetto tranquillo e pulito, era il loro compagno di studi, Altin
Bushati, il fortunato nipote di uno dei membri del “Burò Politico”, appena tornato da Parigi dove
aveva curato il suo strabismo.
Sicuramente, l’uomo che urlava era stato mandato all’estero dallo Stato per una
specializzazione in medicina o altro, oppure aveva lavorato in qualche Ambasciata all’estero o
fortunatamente soffriva di qualche grave malattia vantando però una serie di parenti comunisti nella
sua biografia.
- Ognuno ha la macchina con la quale può andare dove vuole e non deve chiedere il
permesso allo Stato, può scegliere l’Università che vuole entrando anche con il minimo dei voti del
diploma. Ti puoi vestire o svestire come vuoi, bere litri di raki e arrotolarti per terra per tutta la
notte, urlare “cazzo” a tua moglie finché lo sente tutto il vicinato. Poi ...non è così buio come ci
dicono qua, le strade sono ben illuminate, - continuava l’uomo a descrivere il mondo occidentale
oltre confine aumentando sempre di più il tono della voce.
Il solito orologio impedì alle ragazze di ascoltare il resto della discussione. Salutarono Altin
da lontano e pagando velocemente si diressero verso la grande piazza.
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*
Il loro quadrato era color amarena. Per fare le prove generali era obbligatorio indossare la
divisa e tutte le ragazze avevano indossato la maglietta aderente, la gonna in cotone pesante e le
scarpe da ginnastica. Il colore amarena era spezzato soltanto dalle calze bianche e dal colore dei
capelli delle ragazze. A sinistra del loro quadrato, si preparavano dei ragazzi vestiti di bianco e
celeste. Alla loro destra, delle ragazze vestite in giallo.
Col passare dei giorni gli insegnanti di educazione fisica diventavano sempre più severi e il
suono della voce all’altoparlante cambiava frequenza.
- Uno, due, tre, quattro.
- Altin non ti toglie gli occhi di dosso neanche per un’attimo.
- Tu non lo guardare.
- A sinistra.
- Chissà se saremo insieme al servizio militare di quest’anno.
- L’anno scorso è stato molto emozionante. Tutti insieme in mezzo a quelle montagne ad
addestrarci la mattina, studiare il pomeriggio.
- La parte più attesa della giornata era la sera. Tutti a ballare in divisa con la musica
dell’orchestra improvvisata dai nostri compagni più grandi.
- Quest’anno siamo in ritardo, non so se ce la faremo.
- Se ci andremo, tra te e Altin di sicuro succederà qualcosa.
- Uno, due, tre, quattro.
- Alle cinque dobbiamo essere alla conferenza organizzata dall’Istituto di Archeologia.
- Si tiene all’Accademia delle Scienze, due passi da casa mia. Ti porto dietro la mia bici.
*
L’ Accademia delle Scienze era circondata da un grande parco. Loro due passavano da lì
ogni volta che andavano a casa l’una dell’altra. L’edificio si trovava accanto al Palazzo dei Pionieri
dove passavano i pomeriggi quando erano bambine a studiare musica, teatro, ballo o matematica.
Nonostante questo, entrare dentro l’Accademia le intimoriva. Quelli che lavoravano lì sembravano
molto vecchi, parlavano piano e avevano uno sguardo penetrante. Il padre di Altin, che lavorava nel
settore linguistico, sembrava più vecchio di suo nonno.
- Siamo arrivate, - disse Lindita infilando la bici nel parcheggio di ferro battuto.
- Qualche giorno fa a mio cugino hanno rubato la bici. Forse dovremo cominciare a
legarle.
- Ma è ridicolo, non si è mai sentita una cosa del genere.
- Andiamo a prendere posto nell’ultima fila, lo sai che in quella sala di conferenze mi
sento un essere minuscolo.
- Tra qualche anno sarai tu sul podio a parlare.
- Solo il pensiero mi fa tremare.
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-
-
-
Questo freddo mi fa sentire uno spaventapasseri.
O meglio biancheria dimenticata fuori dal balcone per tutta la notte.
Tu almeno ti riscaldi guidando la bici.
Hai notato come tutti erano distratti al seminario?
Pensavo soltanto agli scavi archeologici di Buthros. I primi a scavare sono stati gli
archeologi italiani negli anni venti. Cominciarono a restaurare un piccolo tempio
ellenistico. Poi il teatro, riportato alla luce nel 1980 dai nostri archeologi. Una parte della
scena appartiene al periodo romano.
Mi gira la testa.
Fermiamoci.
No, siamo vicino casa tua. Facciamo due passi a piedi.
Io corro per riscaldarmi.
Anch’io penso agli scavi di Buthros, al quartiere ellenistico con le abitazioni
appartenenti al III secolo prima della nostra era. Mi commuovo all’immagine di quella
copia di Artemide del II secolo della nostra era. Mi chiedo anche perché negli anni venti
ci lavoravano archeologi stranieri, mentre adesso nessuno può entrare nel nostro paese.
Non lo so, io sento freddo.
Tu non lo sai, mia madre non lo sa, i nostri professori non lo sanno. Qualcuno deve pur
darci delle spiegazioni.
Non gridare, non c’è nessuno per le strade e il poliziotto del quartiere può arrivare da un
momento all’altro.
Sei arrivata, buonanotte.
Perché non resti a dormire da me?
Non mi sento bene. Facciamo domani sera.
Notte.
Notte.
*
Nei giorni che seguirono Lindita non poté uscire per il forte mal di testa e come al solito,
quando restava a casa, passava il tempo studiando la divisione degli spazi del suo appartamento. La
superficie era standard, ottanta metri quadri, c’era un ingresso grande dove affacciavano tutte le
porte interne, una stanza da letto dove dormivano i suoi genitori, una cucina soggiorno, una stanza
multifunzionale che era un po’ la sua e un po’ degli ospiti, un bagno, un deposito per la legna e tre
balconi.
Tra qualche mese gli alberi di tiglio sarebbero fioriti e il loro profumo avrebbe riempito tutta
la casa.
Degli studenti più grandi le avevano parlato di uno stile chiamato razionalista che si era
espanso nel mondo negli anni sessanta. Questa casa doveva proprio rappresentarlo, anche i mobili
prodotti su misura dalle fabbriche dello stato. E’ buffo, pensò, che centinaia di appartamenti siano
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identici. Esci da una casa per entrare in un’altra uguale, stessi spazi, stessi divani, poltrone, tavoli,
tappeti, addirittura le stesse tende.
Lindita avrebbe voluto estendere il suo pensiero sulla quantità di oggetti che una persona
può conservare in questi spazi, ma un forte mal di testa le bloccò tutti i pensieri.
*
- Ha vomitato di nuovo- fu la prima frase che sentì al suo risveglio.
La mamma di Lindita parlava con un uomo che stava in piedi davanti al suo lettino. Doveva
essere il medico. Negli ultimi tempi, lei sentiva spesso un cumulo di parole dentro la testa, che le
interrompeva il sonno. Parole buttate una sull’altra in disordine, che non potendo formare delle
frasi, non potendo uscire attraverso la bocca all’esterno, sbattevano alle pareti dei centri cerebrali
moltiplicandosi per le continue riflessioni e producendo un fortissimo mal di testa.
- Mi faccio delle domande e non so darmi delle risposte. Così mi viene il mal di testa e
vomito, - Lindita nel frattempo cercava di ricordare dove aveva visto quella faccia.
- Ho visto diversi casi con gli stessi sintomi ultimamente, - disse il medico facendo segno
con la mano per impedire il suo tentativo di alzarsi dal letto, - non si riesce a capire se è
colpa delle allergie primaverili, di acari in abbondanza o di virus trasmessi attraverso le
rondini viaggiatrici.
- Sentendo la sua voce piena e sicura, Lindita continuava a pensare su dove aveva visto
quel viso regolare, lo sguardo profondo, i capelli brizzolati. Forse era un nuovo medico
dell’ambulatorio del quartiere. La mamma e il patrigno, vedendo tutta quella massa
densa e biancastra fuoriuscire dalla sua bocca, sicuramente lo avevano chiamato
d’urgenza.
- Io mi sento male, - pensava Lindita sperando di pensare ad alta voce davanti a sua madre
che stava in piedi immobile. - Com’è possibile che non capiscono? I genitori, gli adulti, gli
educatori, i responsabili della crescita della nuova generazione non si accorgono di niente. Sono
fermi, decisi e continuano a ripetere in automatico quello che hanno in testa da una vita: “è un
periodo di crisi, ce la faremo, con le nostre forze, dobbiamo essere forti, voi giovani dovete
continuare a studiare molto, a lavorare molto, soltanto così potrete essere utili al paese, ai nostri
ideali.”
- Non è un medico dell’ambulatorio, - riuscì a dire Lindita con un filo di voce.
- E’ Piro Kuqani, - le disse Hektor, il marito di sua madre, mentre le metteva la mano sulla
fronte per tranquillizzarla, mio collega e figlio di cari amici.
- E’ il signore che parlava al Bar con Altin Bushati, - pensò Lindita e chiuse gli occhi per
dormire sotto l’effetto dell’iniezione. Avrebbe voluto stare ancora sveglia per pensare a suo padre, a
quanto era bello quando suonava il violino.
*
Piro tornò nei giorni seguenti a visitare Lindita. Lei era molto curiosa del fatto che lui si era
laureato all’estero. Aveva tante domande da fare. Sembrava come una bambina che ha appena
imparato a chiedere il perché delle cose.
- Sono stufa di passare il tempo spostando i muri della casa con la fantasia stando coricata
a letto, - gli disse lei quella mattina, - voglio uscire e voglio vedere dove vivi tu.
- Io abito in quella catena di palazzi di sei piani.
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Ho capito, vicino ai Magazzini Popolari.
Sono gli unici edifici da sei piani della città.
So che è stata difficile l’approvazione di questo progetto da parte dell’ufficio
dell’urbanistica. Gli edifici nuovi non dovevano superare i cinque piani, - la voce di
Lindita proveniva dal bagno insieme al rumore dell’acqua che scorreva dal rubinetto.
- Ricordo la polemica, alla fine lo si è giudicato un segno di progresso e hanno dato il
permesso.
- Secondo quale criterio si è considerato un segno di progresso? – gli chiese lei
avvicinandosi.
All’improvviso quella ragazzina che vomitava in pigiama si era avvolta in una maglia di
lana aderente a collo alto che faceva sembrare il suo collo ancora più alto, il colore celeste
della quale contrastava con il blu dei pantaloni. I lunghi capelli castano chiaro che prima le
scendevano sul viso e sulle spalle, adesso raccolti in una treccia, mettevano in evidenza la
perfezione della sua testa, la muscolatura delle spalle, il seno.
- Secondo un criterio… matematico, - rispose lui quasi balbettando.
- Divertente, - disse lei con un’aria di stupore poggiando sotto l’orologio da tavola un
bigliettino per sua madre.
*
Mentre scendevano le scale di corsa, lentamente e con lunghe soste saliva il vicino del
quarto piano. Era un signore anziano, ex operaio in pensione, che portava a casa la razione
settimanale della spesa. – Mi sono messo in fila alle cinque del mattino e sto tornando a casa
adesso, - disse a Lindita facendo lunghe pause anche tra una parola e l’altra. Lei prese i sacchi dalle
sue mani, li salì al piano di sopra e salutandolo corse giù.
Al primo impatto con l’aria fredda tutti e due istintivamente sistemarono le sciarpe e i
guanti. Non pioveva, ma la nebbia aveva coperto totalmente il monte Dajti e le colline attorno alla
città, annullando tutte le regole della prospettiva, facendo percepire all’occhio umano una sequenza
di quadri bidimensionali. Degli edifici si riuscivano a vedere soltanto le facciate con le finestre
chiuse come se fossero disabitati. Gli alberi di platano in fila sulla riva del fiume Lana sembravano
come disegnati da un bambino, tagli longitudinali colorati di verde su uno sfondo bianco-grigio di
nebbia.
A interrompere la sensazione di trovarsi altrove derivante da questa atmosfera, furono le
voci dei bambini che giravano sulla ruota panoramica o facevano il giro sul trenino nel parco giochi
di Viale Elbasan. L’orologio rotondo della strada attaccato al palo della luce segnava le tredici.
Camminando sulle pietre del Ponte antico dei Tabachi, accanto alla Vecchia Biblioteca
Nazionale che ormai svolgeva soltanto le funzioni di archivio, trovandosi in mezzo a gente che
affrettava il passo per salire sugli autobus per cominciare il secondo turno di lavoro, gente che
aveva finito il primo turno e tornava di corsa a casa, senza accorgersi avevano affrettato il passo
anche loro e in pochi minuti si trovarono davanti alla casa di Piro.
- Non ho mai preso l’ascensore, - disse Lindita, - queste sono le prime costruzioni ad
averlo.
- Se preferisci saliamo per le scale.
- No, voglio provare.
- Va bene.
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L’indomani Lindita tornò a lezione. Era meno pallida e aveva voglia di camminare.
- Ci vediamo nel pomeriggio alle prove?
- Sì.
- Al parco del lago saranno fiorite le prime mimose.
- Quelle bugiarde.
- Sì, quelle bugiarde. Andiamo a sentire il profumo?
- Va bene, andiamo prima alle mimose, poi alle prove.
- Ti adoro.
- Dirò ai miei che dormo da te per qualche giorno.
- Va bene.
*
-
-
Perché vivi solo?
I miei sono morti in un incidente aereo. Mio padre era ambasciatore presso un paese
dell’Europa occidentale. Tornavano in patria, lui, mia madre ed il mio fratellino. Io
andavo alle scuole superiori ed era obbligatorio che le facessi qua. Non era permesso
agli adolescenti frequentare la scuola all’estero.
Com’è stato?
Mi ero abituato da diversi anni a vivere senza di loro, ma sapevo che c’erano. Dopo
quell’incidente, tutto quello che mi è rimasto della mia famiglia è questa casa.
Conoscevi mio padre?
Da lontano, era un violinista di grande talento. Mi è dispiaciuto tanto quando è morto.
Anche Hektor è in gamba, è lui che tiene in piedi l’ospedale.
Lo dici perché è il tuo capo.
Sei una bambina.
*
-
Compriamo gli hamburger con i peperoni rossi sottaceto e le patatine fritte?
Il tuo stomaco non è ancora pronto.
Non vomito da una settimana.
Ti preparo la minestra con yogurt e nipitella.
Di nuovo?
Chi è il medico tra noi due?
*
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-
Venti bottiglie di vetro, sette da latte da un litro, cinque da olio da un litro, otto da olio
da mezzo litro. Se continui a conservarle non potrai uscire più in balcone.
Le devo portare a riciclo.
Alla carta ci posso pensare io, mi viene vicino casa.
La minestra è pronta.
Che buon odore!
E’ la nipitella fresca messa sul fuoco con del burro.
*
-
I miei sanno che dormo da Valbona.
Ti sei stancata di me?
Voglio tornare a lezione e mi manca Valbona.
Domani vai a lezione e puoi anche mangiare il tuo hamburger.
Voglio fartela conoscere.
*
Da diversi giorni Valbona sognava la Necropoli di Foinike a Buthros. Sognava le decine di
tombe al sud della città e il professore che parlava mentre saltellava sopra le tombe. Appartengono
ad un periodo che va dalla metà del IV secolo prima della nostra era fino agli inizi del secolo III
della nostra era. Le tombe ellenistiche e romane non sono divise, spesso le tombe più antiche
vengono riutilizzate. L’ultima parola la terrorizzava. Mentre il professore la pronunciava, nel sogno,
un gruppo folcloristico di giovani ballerini danzava sopra le tombe e la chiamavano. A quel punto
la nonna riusciva a svegliarla chiamandola per una decina di volte.
Quella mattina il sogno si ripeté esattamente come le altre volte, ma prima che la nonna la
svegliasse, Valbona sentì un odore familiare che immediatamente le provocò una sensazione di
tristezza. Era l’odore di un’erba particolare che la nonna teneva dentro il baule della morte. Tutte le
nonne di una certa età conservavano in un baule il necessario per il giorno della morte: un vestito
nuovo, un paio di scarpe nuove, biancheria intima, un cuscino con la fodera in raso, una coperta
nuova e tanti foulard di seta neri da indossare nei funerali per i parenti. Valbona non aveva mai
avuto il coraggio di cercare il nome latino dell’erba di questo baule, l’odore sembrava un misto tra
tiglio selvatico e lavanda. Dentro di sé la chiamava l’erba della morte.
Si alzò velocemente dal letto e tremando dal freddo andò incontro alla nonna. La trovò
vestita con gli abiti migliori e il foulard nero che indossava lasciava la scia del profumo dell’erba
per tutta la casa.
- E’ morto mio fratello piccolo, - le disse la nonna passando le mani prima sul foulard nero
di cotone leggero che avvolgeva i suoi capelli per poi sistemare quello di seta che copriva il capo e
le spalle. - Le vecchie del marzo lo stanno portando via. Sto andando a piangerlo.
Valbona aveva visto diverse volte la nonna nel pianto della morte. Sedeva vicino alla testa
del morto, lo toccava con le mani e cantava le sue gioie e i suoi dolori. Cantava le guerre,
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l’emigrazione, la nascita dei figli, la morte dei suoi cari, tutti gli eventi importanti della vita di
quella persona. Cantava anche la causa della morte, la sofferenza di chi si allontana e di chi rimane
con il vuoto dentro.
Per via delle stufe spente, quella mattina di fine marzo sembrava ancora più gelida e
Valbona non ebbe il coraggio di lavarsi con l’acqua fredda. Il deposito della legna era quasi vuoto e
i camion dello stato che dovevano portare la legna nelle case non si vedevano da un pezzo. Decise
allora di rimettersi dentro le coperte.
*
Si riaddormentò e sognò di nuovo la Necropoli, ma questa volta a ballare erano i suoi
compagni in divisa militare e armati. Lei e Lindita non si separavano, camminavano per la mano
sulle tombe antiche. Quel continuo contatto fisico dava a Valbona la sicurezza che le mancava a
Buthros.
Si risvegliò con un forte mal di testa. Le sembrava di avere chiuso gli occhi dieci minuti
prima, invece secondo l’orologio avrebbe dovuto vivere nel mondo dei sogni per ben cinque ore.
Sapeva che questa era soltanto una sensazione, proprio come la sensazione che le aveva provocato
l’ultima parte del sogno quando Altin si era avvicinato a loro due e avevano unito le mani. Un
sospiro sempre crescente in velocità li accompagnava dando luogo a piccoli granelli di sudore sulla
pelle e ad una sensazione di caldo-freddo.
Il mal di testa non passava. Valbona si alzò e preparò la legna. Aprendo la stufa, si accorse
che la cenere era ancora lì dentro. La tolse facendo attenzione a non sporcare il tappeto di lana del
soggiorno e cominciò i tentativi per accenderla. Non ci riusciva mai al primo tentativo.
Qualche ora più tardi, i suoi genitori tornarono insieme alla nonna e trovarono la casa
riscaldata. Arrivarono subito i vicini. Sose per prima, poi una dopo l’altra tutte le famiglie che
abitavano nella stessa scala, una decina. Quando muore un parente, i primi tempi la casa è piena di
persone. Poi ci si riunisce in dei giorni prestabiliti, il settimo giorno dalla morte, il decimo giorno,
dopo tre mesi, dopo sei mesi, poi a ogni anniversario. Tutti portano del caffè e si sta insieme
bevendo grappa, prendendo caffè, fumando sigarette e parlando di chi ha cambiato vita.
Quel pomeriggio invece la discussione versava sulla situazione del paese. Stavano
accadendo delle cose molto strane. Il nipote di Sose che lavorava in una fabbrica era stato licenziato
insieme alla maggior parte degli operai, perché la fabbrica l’avevano chiusa. Tante altre fabbriche le
avrebbero chiuse e la gente sarebbe andata in assistenza. Assistenza significava che il licenziato
resta a casa e percepisce un terzo dello stipendio per un anno. Il vicino del quarto piano, che era un
professore universitario di filosofia, sosteneva la tesi che nel vocabolario della lingua albanese
dovevano aggiungere queste nuove parole, come licenziamento, assistenza, sciopero. Altre persone
dicevano che bisognava prelevare i risparmi dalla Cassa di Risparmio e trovare il modo di
scambiarli in dollari americani. Presto ci sarebbe stata una svalutazione della moneta.
- Svalutazione, - pensò Valbona ad alta voce, - un’altra parola da aggiungere nel
vocabolario.
*
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Il primo maggio si stava avvicinando in un modo davvero insolito. Valbona era abituata da
più di dieci anni allo stesso rituale, le prove ogni pomeriggio, la preparazione delle divise, dei fiori
di carta, la scelta dei colori, la lista con i numeri delle scarpe, l’arrivo a casa di un biglietto d’invito
per la nonna che le garantiva un posto in prima fila accanto ad altri veterani della seconda guerra
mondiale. Il giorno della festa la gente si alzava con il buio e le strade erano popolate dalle forze
dell’ordine che indirizzavano le persone nelle direzioni prestabilite, gli studenti da una parte, gli
operai da un’altra parte, militari, scolaretti, cantanti, ballerini, anziani, bambini. Il boulevard
diventava un tappeto colorato e la città cambiava la sua funzione. Per tornare a casa la strada di
sempre non serviva, bisognava seguire i sentieri obbligatori tracciati dalle corde laterali.
Da una settimana, le prove si erano interrotte e girava voce che addirittura non ci sarebbero
stati festeggiamenti. Si diceva anche che sarebbe stato meglio se gli studenti avessero passato i
pomeriggi in biblioteca e le notti a dormire piuttosto che i pomeriggi con le prove e le notti a
studiare. Negli anni precedenti tali lingue erano state tagliate, perché i giovani dovevano essere
messi alla prova. Il loro programma di studi veniva accompagnato da un programma di formazione
della persona. Comprendeva il lavoro nelle fabbriche, nelle campagne, la preparazione militare.
Tutto quello che in tempi normali era stato normale, accettabile, oppure entusiasmante, in
quel 1990 era soltanto incerto. Nessuno poteva prevedere come si sarebbero comportate “le
vecchie” di fine marzo, chi e cosa sarebbe sopravvissuto.
*
-
Pari o dispari.
Tanto vinci sempre tu.
Allora dormi tu sul materasso a terra.
Lo sai che mi piace.
Lo sai che non ci tengo a dormire a terra.
*
-
Mi mancano le prove per la parata, sento un vuoto.
Non sono le prove che ti mancano.
Sembra che qualcosa stia cambiando.
Piro dà la colpa al governo, dice che hanno il dovere di informarci.
Di cosa?
Di quello che intendono fare.
Io non riesco ad immaginare cosa stia succedendo.
Io ho paura di immaginare.
Sento freddo.
Notte.
Notte.
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*
-
Ti sei addormentata?
No.
Com’è stato… a casa sua?
Sono stata bene.
E… non ti manca?
Mi mancano tante cose e so cosa significa perdere.
Lo so, notte, dolce sonno.
Notte.
*
-
Ti sei addormentata?
………….
*
-
-
Piro, hai ascoltato ieri sera la trasmissione “La voce dell’America in albanese”?
Sì, cerco di ascoltarla tutte le sere. Ho l’impressione che tante cose cambieranno, ma non
so come.
Perché chiudono le fabbriche?
All’industria mancano le materie prime. I guadagni dall’esportazione non bastano per
importare le merci indispensabili. La valuta di cui disponeva la Banca Centrale è finita.
Le banche straniere non ci fanno credito. Il mondo si aspetta che noi realizziamo il
cambiamento.
I negozi sono quasi vuoti. Hai fatto la fila per il pane?
No, ho comprato della farina e la sera il pane lo faccio io.
*
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L’indomani, Valbona non riusciva a concentrarsi in aula. Salì sulla bicicletta girando per le
strade di Tirana senza una meta. Le auto private non erano permesse e andare in bicicletta tra i viali
alberati regolando la velocità in funzione dei battiti del cuore le faceva vivere una dimensione tutta
sua.
Mentre attraversava il boulevard in direzione dell’Accademia delle Belle Arti, a sinistra, la
Piramide (così chiamavano il museo nuovo dedicato al capo dello stato Enver Hoxha, morto nel
1985) era quasi pronta all’inaugurazione.
- Sarà perfetto, - senti all’orecchio la voce di Altin Bushati.
- Hai abbandonato la lezione anche tu.
- Gli oggetti che lui ha usato, gli indumenti, i manoscritti, una sua macchina degli anni
trenta, le armi.
Altin continuava il suo monologo sull’ importanza dei musei di questo genere, su quanto si
vendono all’asta gli abiti di una persona importante tanti anni dopo la sua morte, mentre vicino a
loro passava Piro Kuqani. Teneva in mano l’ultimo numero del giornale “Drita”.
- Lo scrittore I. K., il nostro idolo, la nostra guida spirituale, è andato via, dicono che la sua
vita era in pericolo. Leggete queste righe pubblicate su “Drita”.
…vi farò un segno
e me ne andrò…
Valbona sentì lo sguardo di Piro toccarle il seno. Le righe di I. K., in presenza del medico,
per qualche associazione incomprensibile si confondevano con alcune righe di un poeta rumeno
scomparso giovane per via di qualche altrettanto incomprensibile malattia.
…quando vedo i miei seni densi
un segno ti farò
e me ne andrò
perché mi vien’ voglia di baciarli io stessa…
-Mi hanno fatto entrare per un po’ dentro la Piramide, con l’aiuto di mio nonno,- continuava
entusiasta Altin,- mi sono sentito dentro la storia di 40 anni fa. Pensa alle generazioni future come
ci saranno grate dei nostri sacrifici. Abbiamo sacrificato il nostro pane per costruire questo museo.
-Ci andrò senz’altro, - gli rispose Valbona saltando sulla bicicletta.
*
Il primo pomeriggio a casa di Valbona scorse in un via-vai di persone e la nonna rimase
quasi tutto il tempo con il pentolino del caffè in mano. Lei era abituata a vedere la casa piena di
gente. I suoi genitori non erano originari di Tirana e avevano tanti parenti nelle altre città che
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venivano ospiti in tutte le ore del giorno e della notte. La nonna era sempre pronta a
cucinare il riso, le patate e le sue conserve di cavolo bianco, melanzane e peperoni erano sempre
gradite. I materassi, le lenzuola, i cuscini e le coperte per gli ospiti occupavano un armadio a parte e
spesso le capitava di alzarsi di notte per cedere il suo letto a qualche zio anziano.
Questo pomeriggio però non si trattava di semplici ospiti che venivano a trovare la nonna.
Vicini di casa, parenti, amici erano molto preoccupati. La radio si teneva sempre accesa alla ricerca
di notizie da canali stranieri.
- Pu, pu, pu, - esclamò Sose, la vicina del primo piano, entrando in casa accompagnata
dall’odore dei fagioli. Per ogni “pu” che diceva le sue guance si gonfiavano come due
palloncini.– Avete sentito? In Romania hanno ucciso “la guida” insieme alla moglie, li
hanno fatti a pezzi tutti e due.
Povera Sose, aveva un nome che significa più o meno “basta”. Era nata dopo otto fratelli e la
madre la chiamò così sperando di non fare più figli, ma nonostante questo partorì altre tre volte.
Nel soggiorno non c’era più posto sui divani e Ermir, il fratello piccolo di Valbona, prese
delle sedie dalla stanza degli ospiti e le ordinò di seguito al divano, vicino alla porta.
- Stanno arrivando tempi scuri, - disse la nonna accarezzando i capelli ad Ermir, - ma la
colpa è nostra. Abbiamo buttato giù chiese e moschee, abbiamo vestito le donne con i pantaloni per
lavorare dovunque, abbiamo detto che quello non esiste, - e alzò tutte e due le braccia verso il cielo,
poi puntando il dito in alto continuò, - ma quello c’è, guarda dall’alto, sente tutto e prima o poi
arriva il prezzo da pagare. Questo è soltanto l’inizio.
A queste parole, la zia grande, unica cognata in vita della nonna, reagì con uno svenimento e
cadde sulle spalle di Sose che sedeva accanto. Nessuno si preoccupò più di tanto perché tutti
conoscevano la sua abitudine. Da quando si era sposata, sessanta anni fa, non sapendo reagire alle
ire del marito, trovava come unica soluzione svenire per raccogliere un po’ di pietà. Con il passare
degli anni lei diventava sempre più sensibile a tutte le discussioni e sveniva addirittura diverse volte
durante la giornata. Ermir, ridendo, le versò in testa quasi una brocca d’acqua e dopo qualche
secondo la ragazza, come la chiamava la nonna a causa di dieci anni di differenza tra di loro, stava
meglio di prima e seguiva con attenzione la riunione.
A Valbona, tutto quello che sentiva in questi giorni le si trasformava in immagini che
scorrevano velocemente davanti ai suoi occhi. Vide la capitale della Romania, pensò al nome
Bukuresht che deriva dall’albanese e significa “è bello”, alle chiese e moschee trasformate in
cumuli di pietre e terra, al sangue di marito e moglie uccisi e buttati sulle pietre. Sentì un forte
bisogno di dormire o meglio di svenire come la zia grande e senza salutare andò a coricarsi nella
stanza degli ospiti.
*
- Valbona, Valbona, - Altin Bushati la chiamava da sotto il palazzo con la speranza di vedere
affacciata al balcone tra gerani, basilico e nipitella, una testa dai lunghi capelli neri. Ermir, che
aveva riconosciuto la voce, gli fece segno di salire.
- Stavo riposando, - gli disse Valbona mentre apriva la porta a vetri della stanza degli ospiti,
- in questi giorni ho il cervello pieno di immagini che non riesco a cancellare, anche se chiudo gli
occhi continuo a vedere.
- Andiamo a vedere cosa succede alla Città degli studenti?
- Hai sentito cos’hanno fatto a Ceausescu e sua moglie?
- Sì, - rispose Altin dall’aria triste, - il nonno mi ha detto che la stessa cosa potrebbe
succedere qua in questi giorni, potrebbe succedere anche a lui.
- Prepariamo il caffè, - gli disse Valbona, - finalmente un po’ di silenzio in casa. Cosa ne
dici se ci mettiamo a studiare? Uscire, non mi sembra una buona idea.
- Va bene.
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-
Devi rientrare a casa prima che faccia buio.
*
Dopo un paio d’ore Valbona accompagnò Altin giù per le scale. Le chiacchiere più dolci
sono sempre quelle prima di lasciarsi. Quando si ha la sensazione di possedere del tempo, si pensa
che la possibilità di raccontarsi all’altro è illimitata. Va a finire che i pensieri vengono rimandati in
continuazione per essere maturati o rivalutati. Quando si pensa che si è pronti per aprirsi, ci si rende
conto che il tempo ne ha modificato il valore. Mentre si stavano salutando, Valbona sentì un dolore
allo stomaco, qualcosa di simile ad un pugno. Un altro argomento da consumare entro qualche
minuto. Dov’è che ti fa male? Hai preso troppo caffè? Non lo so, forse dovrò mangiare qualcosa.
Mentre Altin e Valbona si salutavano per l’ultima volta, Lindita veniva verso di loro.
- Vengo per dormire a casa tua.
- Stupendo!
- Io devo andare, sta facendo buio.
- Ciao, notte.
- Notte.
*
-
Se non vi alzate adesso, farete tardi a lezione, - la nonna uscì velocemente dalla stanza
dove dormivano le ragazze per togliere il latte dal fuoco e aggiungere altra legna alla
stufa. – Vi preparo le uova al burro.
- Stiamo arrivando, - rispose Lindita e infilò il maglione di lana sopra il pigiama di flanella
per andare in bagno.
L’acqua gelata che usciva dal rubinetto mischiandosi nelle sue mani con il sapone “Venus”
color verde, prodotto dell’azienda chimica della città, le ricordava che la giornata era cominciata.
Valbona aveva sempre protestato sull’orario dell’inizio delle lezioni, le otto del mattino era troppo
presto, dovevano spostarlo alle nove o ancora meglio alle dieci.
- Venite a fare colazione, - si sentiva il tono minaccioso della nonna, - tra poco preparo il
caffè.
Valbona e Lindita continuavano la loro discussione a tavola mangiando l’uovo all’occhio di
bue, pane abbrustolito e bevendo il latte caldo in tempo record.
- Interrompo gli studi, - disse Lindita, guardando la nonna che metteva sulla cucina elettrica
un pentolino di rame dal manico di legno con dell’acqua.
- Proprio adesso per il Primo Maggio? - le chiese Valbona, ma alla pronuncia delle ultime
sillabe voleva cancellare la domanda. Quante volte ne avevano parlato? Era tutto così nebbioso e
fisicamente si sentivano separate dal mondo. Se qualcuno poteva raccontar loro cosa stava
succedendo negli altri paesi dell’Europa, si sarebbero sentite meglio.
La nonna aggiunse tre cucchiaini di zucchero al pentolino. Il caffè lo faceva sempre lei.
Aveva tanta pazienza e l’unico segreto per fare venire buono il caffè alla turca è la pazienza.
Bisogna aspettare che l’acqua con lo zucchero bolla, poi, togliere il pentolino dal fuoco e dopo
qualche istante non misurabile aggiungere il caffè. Rimettere il pentolino di nuovo sul fuoco
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bassissimo ed aspettare che quel liquido scuro cambi pian piano colore, consistenza e una schiuma
densa tenti di uscire fuori. Bisogna versarlo sulla tazza con la schiuma compatta.
- Sento la terra scivolare sotto i miei piedi e i miei pensieri in sincronia con quelli di tante
altre persone, ma non riusciamo a parlarci. Vedo la paura presentarsi come tachicardia ed entrando
in risonanza con lo stomaco, trasformarsi in quel… vomito, - continuava Lindita mentre prendeva
in mano la tazza di porcellana grossa incappucciata in un’altra tazza di rame.
- Quando finite il caffè, la dovete capovolgere con cura sul piattino, - si sentì la voce della
nonna che aveva già preso il suo in un sorso come se avesse la bocca foderata.
La gente leggeva sempre di più il fondo della tazza e chi lo sapeva fare meglio erano le
vecchie. Chi non si trovava una nonna in casa, una di quelle che passano molto tempo davanti ai
fornelli perché i cibi migliori vengono cucinati a fuoco lento e nella tasca del grembiule tengono
sempre l’uncinetto, era costretto a conservare la tazza capovolta dipinta all’interno di bianco e nero
dal semplice caso per portarla dalla vicina di casa o dalla nonna dell’amica.
Era così evidente una linea sottile, lunga e bianca che partiva dal fondo della tazza di Lindita
e arrivava fino lì, dove lei aveva poggiato le labbra, che la nonna non poté che pronunciare, - farai
un lungo viaggio.
*
-
Questo è un passaporto per andare all’estero.
Non ne avevo mai visto uno così, io ho solo quello per l’Albania.
Ma non basta avere il passaporto, l’Ambasciata del paese straniero dove vuoi andare ti
deve mettere un visto in una di queste pagine.
E’ grande.
*
-
Gli studenti dell’ultimo anno sono preoccupati per i posti di lavoro.
Di norma ad agosto dovrebbero sapere dove cominciare a lavorare a settembre.
Gira voce che quest’anno non ci saranno nomine.
Non è possibile, tutto è sempre stato programmato.
*
-
Guarda!
Cos’è?
Un visto d’ingresso per l’Italia. Sono malata, ho problemi al cuore e andrò a curarmi.
E’ stato Piro a trovartelo?
Ehe.
16
*
-
Ho il biglietto dell’aereo.
Significa che non ci vedremo mai più.
Il visto è valido per un mese.
Lo sai come sono fatta, voglio finire gli studi, cominciare subito a lavorare, i miei stanno
mettendo dei soldi da parte per me, ogni mese tolgono qualcosa dallo stipendio.
Ti voglio bene.
*
-
Lui è Piro Kuqani, lei Valbona Guralumi.
Presto, l’autobus per l’aeroporto di Rinas sta partendo.
Non vedo l’ora di uscire dalla città, la campagna è bellissima ad aprile.
Fai attenzione!
*
La prima settimana senza Lindita per Valbona si trasformò in una settimana di dormiveglia
in cui i momenti del sonno erano carichi di sogni e quelli da sveglia carichi di tentativi per
interpretare i sogni. C’erano sempre lei, Lindita che a volte le si avvicinava abbracciandola, a volte
si allontanava e diventava piccola piccola, Piro che le guardava tutte e due a volte nude, a volte
coperte di veli trasparenti. Quando si svegliava nuda, si sentiva un pezzo di ghiaccio, quando era
coperta di veli, si sentiva come dentro i vapori che emana una pentola gigante messa sul fuoco con
del fluido bollente come il bitume; forse il fluido era dentro di lei e se ne accorgeva solo quando le
fuoriusciva svegliandola.
Piro sa tante cose, più di tutti i miei compagni messi insieme, più dei miei genitori, più di
Altin, ha avuto il privilegio di laurearsi all’estero. Devo trovare il modo per andare da lui, disse a sé
stessa. Mentre rientrava a casa tornando dall’Università, salendo le scale del palazzo, gli occhi si
fermarono sulla porta del vicino del piano di sotto, nella targhetta con la scritta famiglia Bakllavaja.
Aveva sempre voluto mangiarla quell’etichetta a forma e colore di cioccolato con il nome di un
dolce tipico sopra. Non aveva fatto una cosa simile anche una sua antenata quando era giovane? Si
chiamava Cipressa e per lei soltanto una persona aveva la capacità di entusiasmarle la vita o darle
delle risposte. Si trattava di uno dei Dervish della zona. Lei si ammalava di continuo per potere
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ricevere le sue cure. Ogni volta lui le dava il suo rosario da mettere in un infuso da bere. Un
giorno, stanca di ripetere il rito, Cipressa bevè l’infuso insieme al rosario.
Scese le scale di corsa senza entrare in casa pensando di passare dal Bar dove l’aveva visto
la prima volta, nella piazza dell’Università Centrale, accanto all’Istituto di Architettura.
All’improvviso a Tirana, tutto sembrava ridursi di dimensioni. Gli edifici che prima toccavano il
cielo, come la sede del Comitato Centrale del Partito del Lavoro, la sede del Consiglio dei Ministri,
il residence dei membri del Burò Politico detto “il blocco”, sempre circondati da una lunga fila di
soldati armati, erano diventati modelli in miniatura che la gente poteva muovere con un dito. Le
strade, le piazze diventavano sempre più strette e soffocanti.
- Finalmente ti ho trovato,- pronunciò Valbona sedendosi accanto a lui su una panchina
davanti alla Galleria d’Arte Moderna, accanto alla statua di Stalin. – Ho fatto una corsa lungo il
boulevard.
C’è una tradizione in questo luogo, - disse lui stringendole la mano. Le statue devono
essere sempre due, una di fronte all’altra ai lati della strada. Adesso di fronte c’è Lenin.
Tu eri piccola e non ti ricordi quando eravamo in buoni rapporti con la Cina. Mao Tze
Tung si era messo in evidenza come combattente deciso della “purezza” del marxismoleninismo.
- Ero piccola, ma ricordo che dei cinesi abitavano nel palazzo accanto al mio, vestivano
uguali uomini e donne, mi facevano le carezze. La sera, quando con i miei tornavamo a
casa dopo la cena da amici o parenti, passavamo dalla mensa dei cinesi. Più che una
mensa, era una grandissima sala da ping-pong. Io e mio fratello raccoglievamo le palle
schiacciate. Avevamo scoperto che mettendole in acqua calda tornavano come prima.
- A quei tempi, di fronte, dove adesso c’è la statua di Lenin, c’era la statua di Mao. C’è stata
una grande polemica su quale statua si doveva mettere qua, - continuò Piro toccando con la mano il
cappotto di Stalin. La collaborazione tra il nostro paese e la Cina risentì della crisi tra i partiti e
l’avvicinamento della Cina con gli USA fu visto come non coerente con i principi m-l.
L’allontanamento da Pechino negli anni '70 ebbe serie conseguenze sull’economia del paese.
- Ricordo quando all’improvviso il palazzo accanto al mio si svuotò e nelle strade non si
vedeva più nessun cinese. Sentivo freddo, lo stesso che sento dentro di me da qualche tempo.
Lindita è andata via, ma non si sa più niente di lei. Avere un visto da un’ambasciata straniera è
quasi impossibile, le leggi non lo permettono, alla linea di confine sparano, - Valbona abbassò la
voce notando i passanti incuriositi mentre voleva solo urlare.
- Fino a qualche tempo fa le capacità comunicative che avevamo sviluppato funzionavano,
adesso non più. – Piro le accarezzò teneramente il viso, - in altri paesi le statue le stanno
legando con delle corde per buttarle giù e presto le compagnie telefoniche faranno
fortuna nel nostro paese.
- Io…non ti capisco.
- Mi è arrivata una breve lettera da Lindita, sta bene.
*
-
Mamma, nel bigliettino hai scritto che oggi tocca a me fare la fila per il cherosene?
Sì.
Io l’ho fatta l’ultima volta, ho comprato cinque litri, oggi tocca a mio fratello.
Io non posso, ho la lezione di pianoforte al “Palazzo dei Pionieri”.
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-
Vai prima a comprare il cherosene, poi a lezione.
Va bene.
Ho prenotato una telefonata con la zia, domani alle 19 all’ufficio delle notizie-chiamate.
Voglio venire anch’io.
Anch’io voglio parlare con la zia.
Va bene.
*
- Raaaaiiiiiissssaaaaaa, Raaaaiiiiiissssaaaaaa Gorbaciov, - si sentì il solito urlo.
- Di nuovo Deti, - quasi urlò anche Valbona. – Sono le cinque del mattino e per
l’ennesima volta lui è puntuale nello svegliare i quartieri centrali della città con il suo
urlo.
Lo sguardo della mamma, sveglia anche lei, la fece vergognare per avere alzato la voce.
Deti, prima era un bravo ragazzo. Poi, non si sa con precisione quando e perché, cominciò
ad arrabbiarsi con le donne e per ogni problema, suo o altrui, dava la colpa alla mamma o alla
sorella. Questa volta si era arrabbiato davvero tanto, niente di meno che con Raissa Gorbaciov. E’
convinto che lei potrebbe fare qualcosa per lui, ma non vuole farlo. Forse vuole un paio di jeans, un
lettore CD, non fare la fila per il pane o la possibilità di fare un biglietto di andata e ritorno per
Parigi.
- Raaaaiiiiiissss
- Si sta allontanando, - pronunciò Valbona girandosi nel letto sperando che il sogno che Deti
le aveva interrotto potesse ricominciare proprio nel punto dove Piro Kuqani le sussurrava qualcosa
nell’orecchio… gocce di lacrime… mi vien voglia di baciarli io stessa…Valbona, Reisa, Lindita,
Valbona…
- Valbona, Valbona, - era la nonna che la svegliava.
- Dal modo in cui viene svegliata una persona la mattina, dipende l’andamento della sua
giornata, - tentava di intenerirla Valbona, - il suo umore, i successi, i fallimenti.
- Chi ha detto questo sicuramente non doveva essere a lezione alle otto.
- Raaaaiiiiiissssaaaaaa, - urlò Valbona alla nonna.
- Pace, ti voglio bene.
- Non sono più una bambina.
*
Le lezioni continuavano regolarmente, anche i laboratori pomeridiani, le date degli esami
appese alla bacheca trasmettevano terrore, non c’erano notizie invece su quando sarebbe cominciata
la preparazione militare.
- L’ultima volta ci siamo divertiti, - disse Valbona ad Altin che come al solito si era seduto
accanto a lei per seguire la lezione. Un mese intero in mezzo alle montagne, tutta la facoltà insieme.
Ho preso più di te in tiro a segno con il fucile, - continuò lei maliziosa.
− Però sei stata l’unica a non attraversare il ponte di corda sul fiume, attaccando i piedi a terra e
piangendo in silenzio. - aggiunse Altin, anche lui malizioso.
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- Non sono l’unica a non sopportare l’altezza, sembra che esista una sindrome della quale
soffrono molte persone, ma qua non se ne parla, proprio come quando non si racconta ai piccoli da
dove nascono i bambini.
- A me la nonna ha detto che nascono dalla fica.
- Sssssshhhhhh, silenzio.
- Comunque, non ti ammetteranno all’esame per diventare un ufficiale.
- Ti ho detto che non sopporto l’altezza.
- Sssssshhhhhh, silenzio.
*
Il caldo bruciante doveva corrispondere alla fine della sessione estiva degli esami, ma il
rettorato aveva deciso che si doveva recuperare una parte del tempo speso nelle prove per la parata,
quindi tutto slittava di due settimane.
- Hai notato quanta gente muscolosa c’è in giro?- bisbigliò Altin a Valbona sedendosi
accanto.
- Parli dei soldati in borghese?
- Sì.
- L’ho notato e mi stupisco del fatto che hanno un aspetto così estraneo a noi, non trovo
niente di familiare in loro, come se non fossero albanesi. Ma dove stavano fino ad ora?
Mi mettono una paura.
- Un mio amico l’hanno tenuto in cella per tre giorni malmenandolo senza motivo.
- Anche mio cugino, - aggiunse un compagno seduto dietro che era più interessato alla
discussione tra Valbona e Altin che alla lezione. Poi l’hanno abbandonato per strada
vicino l’ospedale.
- Prima di venire qua, sono passato dall’ufficio delle chiamate – notizie, chiedendo se
avevano aggiustato la linea con Korça, ma il centralino è guasto e nessuna delle linee
funziona. Non parlo con i miei da due settimane.
- Io vorrei andare via da questo paese.
- Anch'io, prima possibile.
- Non sappiamo se alla linea di confine sparano ancora.
*
-
Una ragazza del mio corso ha conosciuto un inglese.
Dove?
All’Hotel “Dajti”. Si sono incontrati per caso sotto gli alberi di pino, lui chiedeva
un’informazione, lei gli ha risposto con un inglese così perfetto che lui non poteva fare
altro che innamorarsi.
Sarà un giornalista.
Sì, è un giornalista, sta facendo di tutto per farle avere un visto per l’Inghilterra, ma si è
già scontrato con tante difficoltà.
Hanno malmenato il figlio di Sose, ha la testa fasciata e non esce di casa.
20
-
Sembra che il mondo non resti indifferente. Gira voce che le ambasciate dei paesi
dell’Europa Occidentale apriranno le porte per accogliere la gente e portarli nei loro
paesi.
Non lo so.
A quanto pare, la stessa cosa è successa nel caso degli cittadini della Germania dell’Est
che sono entrati nelle Ambasciate della Germania dell’Ovest a Varsavia, Vienna e
Budapest.
Speriamo.
*
-
Ti va di fare un giro più lungo per tornare a casa?
Sì.
Passiamo dalla strada delle ambasciate, vediamo cosa succede.
Va bene.
I muri sono alti, non è facile saltare dentro.
Fuori ci sono i poliziotti.
*
L’indomani, Sose non la smetteva di piangere. Aveva preso tre tazze di caffè per leggere più
possibile sul destino di suo figlio che era entrato nell’Ambasciata della Germania. Durante la notte,
migliaia di persone arrivate a Tirana da tutta l’Albania avevano occupato la strada delle Ambasciate
e avevano cominciato a entrare nelle Ambasciate di Italia, Francia, Germania e altri paesi. Valbona
non trovava il tempo per sedersi e ascoltare la discussione, perché il campanello suonava in
continuazione e lei doveva aprire la porta di casa. Entrarono il professore con sua moglie, la figlia
sposata di Sose con il marito, la vedova del commercialista con sua figlia. Sose temeva che la
polizia facesse pressione sul corpo diplomatico per buttare fuori la gente. Se succedeva questo, suo
figlio e migliaia di persone rischiavano la vita.
Da diversi mesi, a casa di Valbona, al quinto piano, l’acqua arrivava soltanto nelle prime ore
del mattino. Lei prese un bidone di plastica e scese le scale per andare a riempirlo a casa di Sose al
primo piano. Mentre saliva con il bidone pieno incontrò il vicino del secondo piano, l’ingegnere.
Lui le raccontò che due persone avevano tentato di chiedere asilo politico all’Ambasciata di Cuba,
ma li avevano buttati fuori con calci nel sedere.
*
-
Sono entrate le prime persone all’Ambasciata Italiana. Hanno chiesto asilo politico e
sono stati accolti.
Questo significa che il mondo non ci ha abbandonati.
21
-
Fa molto caldo.
I poliziotti albanesi sono pronti a usare le armi per impedire alla gente di entrare dentro.
Alcuni miei compagni si stanno preparando per entrare.
Io non posso sopportare la vista del sangue.
Ieri hanno massacrato di botte un ragazzo.
Quando vedo del sangue, la sensazione che provo è come se lo perdessi io dal fondo
della mia pancia.
Il tuo problema è che ti immedesimi troppo nell’altro, che sia persona, oggetto, storia.
Il tuo è che sei troppo superficiale.
*
-
Dicono che se non può Maometto andare alla montagna, andrà la montagna da
Maometto.
Capisco quello che vuoi dire, ma non credo che il parallelismo sia adatto.
L’Ambasciata è un pezzo di terra straniera.
Lo so.
Non ci è permesso andare nei paesi stranieri, allora pezzi di questi paesi arrivano qua e ci
aprono le porte.
Ho capito, ma guarda, non si vede nessuno per le strade e il silenzio è quasi misterioso.
Vuoi dire silenzio bugiardo.
L’ho sentita questa frase da qualcun altro.
Le Ambasciate sono piene.
Saranno aperte ancora per qualche giorno.
*
Il primo settembre, come ogni anno, arrivò con la pioggia. Le calze bianche delle ragazze, il
simbolo dell’inizio delle scuole di ogni livello, come al solito si macchiarono di acqua mischiata
con la polvere.
Valbona, seduta in quell’aula della Facoltà di Architettura costruita negli anni settanta diede
uno sguardo ai suoi compagni. Mancavano Lindita, Landi, Ardi, Tani, Shpresa, Drita, Eranda,
Luljeta, Rudina. Erano entrati nelle varie ambasciate e adesso si trovavano in Francia, Italia o
Germania.
Il professore parlava dalla cattedra, proiettando alla lavagna bianca le immagini di diversi
ponti, crollati alla prova finale. La combinazione delle sedie vuote con il vento che spingeva le
gocce di pioggia sulle finestre che occupavano la maggior parte della superficie laterale dell’aula,
fece sentire a Valbona brividi di freddo. Aspettava con ansia la fine delle lezioni. Aveva ricevuto un
bigliettino che annunciava una riunione tra studenti alla Biblioteca della Facoltà.
22
*
Al suono del campanello, tutti corsero verso la Biblioteca. La discussione era cominciata da
un po’ e sembrava non trovare via di uscita. L’argomento principale era lo sciopero della fame.
- Ci sono notizie che nei paesi più sviluppati quando delle persone vogliono protestare,
organizzano lo sciopero della fame, si chiudono in un edificio isolato, bevono soltanto acqua e
dormono a terra.
- Allora, noi tutti da anni stiamo facendo lo sciopero della fame.
- Non è la stessa cosa.
- Perché? Quanta carne vi spetta a voi della capitale?
- Un kilo alla settimana per cinque persone.
- A noi della provincia di meno.
- Nel mondo si sta verificando una tendenza a non mangiare la carne. E chi lo fa, viene
apprezzato di più dalla società, raggiunge un certo status, come ve lo posso spiegare?
- Vengono apprezzate le sue sofferenze.
- Non è proprio così.
- Dove le peschi tutte queste notizie?
- Ascolta qualche canale radio di nascosto, chissà in quale lingua.
- Sssssshhhhhh, sta arrivando qualcuno.
La Biblioteca della Facoltà era il luogo che accoglieva gli studenti in qualsiasi ora, ma
c’erano solo una ventina di posti a sedere ed era più comodo trasferirsi nella Biblioteca della Città
per continuare la discussione.
-
E i professori, cosa ne pensano?
Alcuni sono d’accordo con noi, alcuni non sanno da che parte stare.
Quale potrebbe essere l’edificio più adatto?
Il centro culturale della Città degli Studenti.
Chi è pronto?
Ho paura.
Compagna bibliotecaria, potrei prendere il vocabolario albanese-francese? Ho l’esame
tra qualche giorno.
Eccolo.
La scheda da firmare?
Portalo quando vuoi, nessuno sa quello che succederà.
Ho paura.
*
La Città degli Studenti di Tirana era il luogo più desiderato e frequentato dai giovani di tutto
il paese. Costruita tra gli anni settanta e ottanta sulle morbide basse colline all’uscita della città, a
fianco del grande parco, verso la strada che porta a Elbasan, comprendeva una quarantina di edifici
dai cinque ai sette piani, sparsi su una grande superficie verde. Comprendeva la biblioteca, il centro
culturale, la mensa, il “kinkaleri”, i campi da calcetto, basket, pallavolo. I convitti delle ragazze si
distinguevano da quelli dei ragazzi non solo per i colori più chiari e tenui delle facciate o per gli
stenditoi sempre pieni di biancheria, ma anche per la quantità di ragazzi posteggiati nelle
23
aiuole con libri in mano. Timidi ragazzi di paese che venivano da lontano per incontrare la
fidanzata di liceo ormai studentessa a Tirana, studenti più sciolti innamorati delle compagne di studi
o bei ragazzi della capitale dall’aria disinvolta a caccia di bellezza femminile.
Negli ultimi giorni, alla folla giornaliera si aggiungevano gli studenti provenienti dalle altre
università del paese, da Scutari, Elbasan, Korçe, Gjirokaster, e gli studenti abitanti a Tirana, e
boicottando le lezioni discutevano insieme sui prati, formando un tappeto di gioventù.
Le incertezze che li avevano attraversati continuamente negli ultimi mesi, adesso
prendevano forma sempre più velocemente e si trasformavano in un'unica forte sensazione di
libertà.
Da tempo i rapporti con i paesi del campo socialista erano interrotti a causa del
cambiamento della loro linea di condotta, ma adesso sembrava che qualcosa di più importante si
stesse frantumando.
Valbona, camminando con difficoltà tra un gruppo e l’altro, cercava di ascoltare in silenzio
tutte le discussioni. Il motivo principale era il cambiamento. Sembrava quasi una parola magica. Il
cambiamento avrebbe portato il consumismo e la libertà, avrebbe migliorato la gestione del paese,
non ci sarebbe stato più bisogno di fare la fila nei negozi, anzi sarebbero stati sempre pieni per tutte
le necessità della gente, acqua calda e riscaldamento continuo nelle case, si sarebbe potuto andare
tranquillamente all’estero. Soprattutto, il cambiamento avrebbe liberato tutti da quel peso che li
schiacciava sempre di più e non permetteva loro di esprimersi liberamente.
- Dobbiamo parlare con gli esponenti del governo, - si sentì la voce di un giovane ragazzo
moro dallo sguardo profondo all’altoparlante. – Da oggi lo sciopero della fame è aperto. Noi
cerchiamo il cambiamento.
In una frazione di secondo a Valbona passarono davanti le ore di lezione di economia
capitalista dove si parlava di superproduzione e consumismo. Industrie che bruciano o sotterrano la
merce per non venderla sotto prezzo e gente scalza, mal vestita e mal nutrita.
Si ricordò vagamente di quello che un amico le aveva raccontato tempo fa, qualcosa che
aveva a che fare con gli attimi prima di morire e con la vita che passa davanti velocemente, come in
un film. Inquieta, Valbona cercava Piro e Altin e il suo sguardo li incontrò mentre discutevano con
un gruppo. Sentendosi più sicura chiese a loro di accompagnarla a casa.
*
Le strade sembravano deserte. Negli ultimi giorni la gente aveva comprato delle provviste,
farina, fagioli, olio, patate, per uscire il meno possibile dalle case.
Camminando vicino al “blocco”, la residenza dei membri del “bureaux politico”, si
accorsero che invece era aumentato di gran lunga il numero dei soldati armati di guardia, lo stesso
anche sui marciapiedi del boulevard.
- Voglio cambiare Facoltà, - le disse Altin, - voglio passare a lettere per studiare
giornalismo.
- Sei quasi a metà degli studi di architettura, non mi sembra una saggia decisione.
Seguendo l’ombra degli alberi erano arrivati vicino agli edifici della Radio e della
Televisione e ancora soldati in abbondanza, lo stesso attorno alle ambasciate straniere.
- Lindita ha abbandonato gli studi e vive in un paese straniero, tu voi cominciare da capo
una nuova Facoltà.
- Un’amico di mio nonno mi ha trovato una borsa di studio per seguire la scuola di
giornalismo a Roma.
- Stai andando via anche tu, - Valbona non riusciva a trattenere le lacrime.
24
Erano gli unici a percorrere il primo pezzo del Viale di Elbasan. Il silenzio era interrotto dal
rumore dei sandali di Valbona e dai suoi singhiozzi regolari. Altin le fece notare degli uomini sparsi
sui marciapiedi. Erano dall’aspetto giovane, alti, molto allenati e i vestiti “in borghese” dentro i
quali era evidente che non sapessero stare, non riuscivano a nascondere la muscolatura molto
sviluppata.
- Mai visti prima e… sembrano tutti uguali, - riuscì a bisbigliare Valbona, - ho sempre più
paura.
*
Affrettando i passi entrarono nella Città degli Studenti e il contatto con i loro coetanei
riportò a Valbona e Altin il ritmo normale del respiro. Oltre agli studenti, alla folla si erano aggiunti
anche gruppi di giovani operai. Facendosi strada attraverso la gente, finalmente arrivarono al Centro
Culturale dove Piro si stava occupando dell’organizzazione dello sciopero della fame.
- Dentro ci sono una quarantina di studenti, ma vogliono entrare altri ancora. Per il momento
stanno coricati per terra, - disse Piro mentre liberava l’ingresso per fare passare degli studenti che
portavano dei materassi dai loro dormitori. – Una delegazione di dieci studenti è andata a parlare
con il governo, hanno appuntamento con “il grande” e hanno preparato una lettera con varie
richieste. Siamo tutti in attesa.
- Abbiamo visto tanti soldati mentre venivamo qua, alcuni in divisa, alcuni in borghese.
Tutti armati.
- In città non si vede nessuno, la situazione sembra chiara, da un lato soldati che
proteggono il governo, dall’altro lato noi che chiediamo il cambiamento.
- Si sta facendo tardi, - disse Piro accarezzando i capelli a Valbona, - è meglio se andiamo
a riposare un po’. Qua la sistemazione degli scioperanti continua, stanno portando altri
materassi, coperte. – Vieni da me?
- Puoi passare dai miei a dirgli che dormo da te? – chiese Valbona ad Altin riportando il
suono della voce alla lunghezza d’onda preferita del suo compagno.
- Va bene, ci vediamo domani.
- Paçim.
- Paçim.
*
Le ore che susseguirono furono le più lunghe che la gente ricordava dai tempi della guerra
contro i fascisti e i nazisti. Non si sapeva quando sarebbe terminata la riunione della delegazione
degli studenti con il capo del governo e con quale esito. Non si sapeva cosa succedeva nelle altre
parti del paese, l’ufficio delle chiamate-notizie era chiuso.
Piro cambiava di continuo la direzione dell’antenna della televisione nel tentativo di
prendere qualche canale delle Tv straniere dei paesi vicini, ma senza successo. Valbona girava la
manopola della radio “Iliria”, l’ultimo modello della fabbrica elettrotecnica di Durazzo, per riuscire
a prendere “la voce dell’America” in lingua albanese. Negli ultimi tempi era il canale radio più
ricercato dalla gente perché sembrava che desse delle notizie esatte su quello che succedeva in
Albania, addirittura anche su quello che poteva succedere.
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Stanca della ricerca di notizie Valbona aprì il frigorifero e il profumo di nipitella che non
mancava mai a casa di Piro riempì tutta la cucina. Trovò dei peperoni rossi che tagliò a pezzettini e
li frisse aggiungendo un po’ di sale, aggiunse dei pomodori, infine la ricotta, la nipitella, un po’ di
peperoncino e “fërgese” estiva, era pronta nell’arco di dieci minuti. Nel frattempo Piro aveva
aperta una bottiglia di birra Tirana e apparecchiava stando attento che il profumo del pane integrale
abbrustolito non si trasformasse in quello del pane bruciato.
*
A Tirana, le finestre delle case non hanno imposte o serrande, perché sia gli architetti sia gli
abitanti trovano molto importante che la luce del sole entri dentro le case. C’è scritto anche negli
ambulatori, nei consultori, persino dal dentista che dove entra il sole, non entra il medico. Si usano
le doppie tende, una tenda scura scorrevole vicino al vetro e una bianca, trasparente o opaca dopo
quella scura, anche quella scorrevole.
Piro e Valbona avevano dormito abbracciati e avrebbero continuato, nonostante
l’illuminazione forte che penetrava attraverso il vetro e le tende. Un rumore di sottofondo li svegliò.
Dalla finestra si vedeva tanta gente correre.
- Andiamo a vedere cosa succede, - le disse Piro e corse in bagno a lavarsi velocemente.
L’acqua sempre fredda in estate era piacevole, ma in inverno quando arrivava con fatica al rubinetto
dopo che aveva attraversato le tubazioni quasi congelate, per lui era una sofferenza lavarsi.
- Qua c’è il tuo spazzolino da denti, anima.
- Perché tieni tutti questi spazzolini usati?
- Questo è di Lindita, questo è il tuo, questi due sono miei. Perché li tengo?…Perché mi
mette tristezza il bicchiere con un solo spazzolino dentro.
- Mi manca Lindita.
- Usciamo.
- Forse dovresti chiudere il portone, hai visto quanta gente c’è in giro.
- Forse hai ragione, siamo abituati a lasciare sempre aperto. Ho chiuso.
*
Pensavano di andare verso la Città degli Studenti, ma la folla li spingeva verso la Piazza
“Skenderbe”. Riuscirono a fermarsi sui gradini del Palazzo Nazionale della Cultura. Le persone si
raggruppavano attorno alla statua di Enver Hoxha. Alcuni di loro la stavano legando con delle
corde.
- E’ meglio andare via, - le disse Piro che con una mano le stringeva il braccio e con l’altra
cercava di farsi strada tra la gente.
Dopo alcuni istanti, tutti sentirono il rumore di qualcosa che cade a terra e si rompe. Piro
aveva intravisto alcuni soldati in borghese e i due cominciarono a correre in direzione della piazza
“Partizani”, la superarono e si fermarono all’ingresso del “Mercato Nuovo”. In tempi normali il
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mercato era un posto molto divertente. Cominciava con i negozi in legno che vendevano i
prodotti tipici dell’artigianato, lavorazioni in rame, alabastro, legno, lana, poi continuava con una
grande macelleria che comprendeva una ventina di banconi di vendita, di seguito lo spazio per i
prodotti della campagna, per i formaggi e ovunque contadini che vendevano le loro spezie.
Quel giorno, il silenzio insolito del mercato sembrava aumentare la paura e l’incertezza di
quello che stava per accadere. La grande macelleria emanava il solito odore di sangue che negli
anni aveva penetrato i muri e i marciapiedi attorno all’edificio. Valbona pensò a quelle poche volte
che aveva accompagnato la nonna a comprare la carne qua. Le immagini che le passarono davanti
agli occhi erano quelle di macellai sicuri che colpiscono e tagliano la carne nei punti giusti senza
alcuna fatica. Mentre cammini tra i corridoi da labirinto, loro stanno a destra, a sinistra e tu ascolti i
continui colpi secchi su buoi, vitelli, agnelli.
- Non possiamo stare per strada, - le disse Piro con aria preoccupata.
- Vorrei capire cosa succede, ma ho tanta paura.
- Andiamo di qua, cerchiamo di avvicinarci al centro con cautela.
*
-
Non avrei mai creduto che quelle corde sottili avrebbero buttato giù la statua di Enver
Hoxha, - la voce di Valbona tremava e Piro Kuqani la stringeva tra le braccia per
tranquillizzarla.
Andiamo sul terrazzo di questo palazzo, - le fece segno lui con la mano, - è centrale e
dovremmo vedere quello che succede
Le strade sono affollate da gente che corre, tutti vanno via dalla Piazza Skenderbe. Piro,
cosa potrà succedere?
Non lo so...Guarda quello che si trascina dietro una scarpa dorata del “comandante”.
Cos’è questo rumore?
Mi sembrano… i carri armati, … sembra che vengano dalla zona del lago artificiale
verso il centro. Lì si trovano le forze speciali del governo, - il tono della voce di Piro
somigliava sempre di più a quello di Valbona, - e la gente è tutta per le strade.
Questi sono spari di armi.
Il famoso fucile nr. 46.
Quante volte smontare, lubrificare, montare, cronometrare il tempo.
Dovevamo essere preparati per qualsiasi invasione del nemico.
Di quel nemico immaginario che non si sapeva dove stava e quando ci avrebbe colpiti.
Ma poteva farlo in qualsiasi momento.
Quante notti passate nei rifugi antimina.
Faceva parte della preparazione.
Quanti rifugi.
Quanti bunker. Nascondiamoci in quell’angolo.
*
-
Sembra che la gente vada verso “il blocco”, - disse Valbona guardando la piazza
Skenderbe che si svuotava.
I carri armati si sentono sempre di più, - aggiunse Piro.
Significa che si stanno avvicinando al centro.
27
-
Secondo me si avvicinano al “blocco” anche quelli.
Potrebbe succedere come in Romania?
Potrebbe…
*
- Quanto tempo sarà passato? – chiese Valbona a Piro.
Quando erano usciti di casa, nessuno dei due aveva messo l’orologio al polso. Dal terrazzo
dove stavano si vedeva la torre dell’orologio, ma non si distingueva l’ora.
- Sarà passata un’ora.
- Vedo della gente tornare indietro.
- Sembrano tranquilli.
- Scendiamo.
*
-
-
Cosa è successo?
Ci stavamo avvicinando al “blocco”, i carri armati venivano nella nostra direzione. Nelle
prime file un uomo teneva al collo un bambino. A un passo da lui si sono fermati. Nella
riunione di stanotte tra gli studenti e il capo del governo sembra che si sia deciso il
cambiamento senza violenza e con una lenta transizione.
E’ la soluzione migliore, - Piro tirò un respiro di sollievo.
Gli studenti possono riprendere regolarmente le lezioni, gli operai tornare al lavoro.
Io vado a casa, - disse Valbona a Piro, - voglio anche vedere Altin.
Io vado in ospedale.
Paçim.
Paçim.
*
Arrivata alle scale del suo palazzo Valbona le salì a due a due. Faceva sempre così quando
era contenta. Le saliva a due a due e le scendeva a quattro a quattro.
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Entrando in casa sentì la nonna che parlava con Sose mentre le versava il caffè. Diceva che
una cosa del genere non si era sentita dai tempi della grande carestia del pane, quando entrò il greco
secondo. La nonna di Valbona era originaria di un paesino del sud-est dell’Albania, che aveva
subìto varie invasioni da parte dei greci. Quando diceva greco secondo, si riferiva alla seconda
invasione che lei aveva vissuto.
- Ero sposata da poco e oltre a un corredo completo per diverse generazioni, avevo portato in
dote un bel gruzzolo di monete d’oro. Durante quella carestia abbiamo dovuto pagare mezzo chilo
di pane con una moneta d’oro. Non mi posso dimenticare un brav’uomo che bussò alla mia porta
chiedendo qualcosa da mangiare, gli offrii un po’ di latte in una tazza con due pezzi di pane, mi
ringraziò, mangiò e morì.
- Nonna, la conosciamo questa triste storia, perché la racconti sempre?
- I tuoi genitori sono andati oggi alla Cassa di Risparmio, - disse Sose a Valbona e per
ogni parola che pronunciava, la puzza di cipolla nel soggiorno aumentava. – gli hanno
detto che la moneta si è svalutata, quindi quello che hanno risparmiato per venti anni,
oggi non vale niente.
- Ma com’è possibile, è una grandissima ingiustizia, - Valbona capovolse la tazza del
caffè quasi piangendo.
Anche la nonna si era stancata a leggere i fondi delle tazze, sembrava che negli ultimi giorni
fossero tutti uguali, scuri con delle linee nere ben marcate e con figure che non portavano
niente di buono.
- Hai ragione, - continuava Sose su qualche argomento precedente, - abbiamo peccato.
- Preparo le melanzane alla “imam ballajdi”, - disse la nonna a Sose, a mio figlio
piacciono molto. Il segreto sta nel soffriggere lentamente la cipolla con il dentro delle
melanzane, qualche peperone, aggiungere il pomodoro e quando riempi le melanzane
bisogna mettere degli spicchi d’aglio, prezzemolo e soprattutto tanto olio d’oliva.
- Nonna, non ho visto se era aperto il forno.
- Tra poco si aprirà, vedi se tutto è tranquillo.
Ogni volta che cucinava “imam ballajdi” la nonna raccontava la storia di questo piatto di
origine turca secondo la quale agli imam venivano servite tutti i tipi di pietanze, ma nessuna
riusciva a saziarli. Allora, una signora prepara questo piatto mettendo tanto di quell’olio
dentro da fare sciogliere le melanzane. Così è riuscita a sdegnare l’imam e “imam ballajdi”
significa l’imam sdegnato.
- La teglia è pronta, portalo al forno, cuore, - e la nonna lasciò tra le mani di Valbona una
teglia di allumino con tutte le melanzane ripiene messe in ordine.
*
Il forno era importante nell’organizzazione della vita della città. Per ogni due-tre
palazzi, ce n’era uno. Si trovava al primo piano della prima scala. Era lungo e stretto. I muri
laterali erano pieni di scaffalature dove appoggiare le teglie e un tavolo gigante copriva tutta
la superficie. Il fornaio stava in fondo, accanto al forno a legna e tutto quello che doveva
fare lo realizzava maneggiando la sua paletta gigante. Le donne preparavano le teglie la
mattina presto e le ritiravano cotte all’ora di pranzo o di cena. Valbona lasciò la teglia in
cambio di un biglietto con lo stesso numero inciso su un triangolo di alluminio che il fornaio
mise dentro la teglia e tornò a casa sovrappensiero. Il numero era il 31. Chi sa per quale
motivo il 31 si ritiene un numero fortunato?
*
29
-
E’ cominciato lo sciopero dei minatori.
Presto cominceranno a scioperare anche i trasporti.
E’ l’unico modo per raggiungere il cambiamento.
Bisogna paralizzare questo sistema, portare tutto a un livello zero, per poi costruire tutto
da capo come si deve.
Sembra che questa manovra sia ben studiata e ha anche un nome. Si chiama “terapia
shock”.
Il mondo aspetta da noi il cambiamento, per poi aiutarci a costruire.
*
-
La prossima settimana il Teatro dell’Opera e Balletto di Tirana mette in scena “Lola”.
Sono stanca di vedere sparire la gente.
Ho la possibilità di avere due inviti.
Le lezioni sembrano un mortorio.
Presto andranno via tanti altri.
Senti gli spari la notte?
Ti amo.
Ti odio.
*
-
Accendi la Tv.
Va bene, la luce è tornata.
Mettilo su un telegiornale italiano.
Fai tu che sei più pratico.
In Italia si discute su cosa fare con le persone che sono arrivate lì con le navi.
Credo che il problema dovrebbe coinvolgere tutta l’Europa.
Speriamo.
Cosa dicono?
Si stanno organizzando per accoglierli.
*
30
-
Oggi è arrivato a Tirana il Segretario del Dipartimento degli Stati Uniti d’America con
sua moglie.
Questo è un evento importantissimo per il nostro paese.
Domani ci sarà un meeting in piazza “Skënderbe” dove lui parlerà. Dobbiamo andare
tutti a dare il nostro benvenuto.
I nostri sacrifici finalmente saranno premiati. Gira voce che arriverà un “assegno bianco”
per la costruzione del paese. Si metterà fine alla vecchia tecnologia, al minimalismo, alla
fame.
Abbiamo lavorato per quasi cinquant’anni per niente. Basta guardare le televisioni dei
paesi vicini e ti rendi conto del livello di benessere che hanno raggiunto. Lì la gente
passa il tempo a spalmare le creme, in palestra o a bere superalcolici nei bei locali. Le
loro case sono grandissime.
*
-
Non riesco a vedere.
Sali sull’altro gradino.
Il podio l’hanno costruito sotto la statua di “Skënderbe”. Tutti hanno in mano la bandiera
americana.
Ci sono dei punti dove le distribuiscono.
C’è un bancone dall’altro lato del marciapiede. Vado a prenderle.
Sei tornato? Adesso sta parlando l’ospite, ma non si sente molto bene.
Gli altoparlanti sono rumorosi.
*
-
In questa piazza abbiamo assistito a tanti meeting dove parlava la nostra guida o altri
membri del Bureaux Politico.
Si criticava e si condannava il capitalismo, il revisionismo, l’imperialismo,
l’eurocomunismo.
Muovi la bandiera e batti le mani. Dobbiamo dimostrare la nostra felicità nel ricevere il
Segretario del Dipartimento dello Stato Americano.
Presto vedremo il beneficio di questa visita.
*
31
PARTE II
IL CAPITANO MATRANGA
Quattro anni dopo, il giovane Massimo Matranga, appena uscito dall’Accademia Militare
prendeva servizio per il suo primo incarico.
La suoneria dell’orologio aveva cominciato a lavorare prima quella mattina, svegliandolo in
un’ora in cui l’umidità dolciastra entrava dalla finestra senza la spinta del vento.
- Non dimenticare di ringraziare lo zio, - si sentì la voce della mamma accompagnata dal
rumore della macchinetta del caffè.
Massimo fece “no” con la testa e gli venne in mente il suo collega tornato da poco dai
Balcani. E’ divertente sai, per dire “no” fanno il segno che facciamo noi per dire “sì” e viceversa.
Gli piacque avere risposto con un “sì” alla mamma. Non aveva nessuna intenzione di
ringraziare lo zio che passava le giornate nel suo bell’ufficio della Prefettura. Che
raccomandazione, dirigere un reparto investigativo il primo giorno di lavoro.
Toccò per l’ultima volta la tasca dei pantaloni per accertarsi dell’esistenza del fazzoletto,
strisciò la mano sulla cravatta altrettanto indispensabile e prima di scendere l’ultimo gradino
soffermò lo sguardo sul cancello in ferro battuto della chiesa. Era coperto di gocce trasparenti simili
a quelle che coprivano la sua pelle in calde giornate come questa.
Due volte pensò di prendere un taxi, si sarebbe presentato meglio ai suoi superiori sotto
l’effetto dell’aria condizionata, ma poi rimise il telefono a posto.
Si stava avvicinando al corpo di guardia e nonostante i brividi di freddo la pelle continuava a
produrre gocce di sudore.
Prego, di qua, - disse la guardia ridandogli indietro la raccomandata e i documenti di
riconoscimento, - deve andare all’edificio numero due, l’aspettano all’ultimo piano.
*
L’edificio numero due era un grande parallelepipedo in cemento armato. Gli architetti non si
erano preoccupati di stabilire un colore della facciata accettabile facilmente dall’occhio umano, ma
per ragioni tecniche, fortunatamente, il grigio costante del cemento era spezzato dal rosso
dell’antiruggine che copriva le parti visibili in ferro. Era già stato in questi uffici una decina di anni
fa per trovare un cugino di sua madre e la sensazione che aveva provato era quella di sentirsi
totalmente al sicuro.
Massimo sapeva fin da bambino che avrebbe fatto questo tipo di lavoro. Nella sua famiglia,
da parte della madre, da generazioni gli uomini lavoravano nelle forze dell’ordine. Lui era cresciuto
in mezzo a reliquie e trofei. La sua terra viveva da molto tempo la criminalità organizzata come una
vera piaga sociale e politica e i De Antonio, questo era il cognome di sua madre, si erano
apertamente schierati contro.
Uscì dall’ascensore blindato osservato da telecamere.
Arrivato all’ultimo piano, seguì un corridoio stretto che lo portò a destra, poi dritto, poi di
nuovo a destra. A quel punto, il corridoio si divideva in altri tre più piccoli dai quali arrivava un
odore di vernice fresca appena passata sui muri. Gli piaceva questo odore da quando era bambino,
32
facevano a gara con il suo amico Carlo che impazziva per l’odore del mastice del calzolaio.
Massimo vide una porta semi-aperta e bussò.
- Buongiorno, sono il capitano Matranga, - disse facendo vedere alla persona che gli stava di
fronte la lettera raccomandata.
L’uomo era alto e alzandosi in piedi sembrava ancora più alto. Nonostante Massimo avesse
un viso regolare, un bel sorriso, una corporatura proporzionata, si sentiva spesso a disagio per la sua
bassa statura. In questo lavoro l’altezza è molto importante. Tra poco avrebbe preso servizio e
doveva cominciare a comandare i suoi uomini. Come ci sarebbe riuscito se gli altri erano quasi tutti
più grandi di lui e sicuramente anche più alti? La mamma gli aveva consigliato di fare crescere la
barba. Forse non aveva torto, almeno sarebbe sembrato qualche anno più grande.
- Sono il tenente La Rosa, - disse l’uomo di fronte. – I colleghi la stanno aspettando, la
accompagno.
*
Il maggiore e il colonnello lo stavano aspettando nella stanza di quest’ultimo, la prima del
corridoio a sinistra. Era una stanza semplice, con mobili d’ufficio lineari, una scrivania, un
computer, scaffalature riempite di raccoglitori dalle etichette scritte in stampatello, foto di gruppo
con colleghi su tutti i muri.
Gli fecero segno di sedersi e cominciarono ad illustragli la situazione. Da tanti anni
seguivano diversi indagati delle varie organizzazioni criminali che operavano nel territorio. Come
ben sapeva alcune indagini si erano concluse molto bene, ma non si doveva abbassare la guardia.
Il maggiore parlò degli ottimi risultati che Massimo aveva ottenuto all’Accademia Militare,
della sua preparazione completa, della grande famiglia De Antonio che aveva dato allo Stato tanti
membri illustri e che l’aveva cresciuto ed educato nella giusta direzione. Da parte del padre non
aveva parenti in vita e di lui aveva un vago ricordo. Era scomparso giovane per via di un problema
al cuore quando lui aveva ancora tre anni. Insegnava Storia dell'Arte al liceo e Massimo conservava
con grande cura alcuni suoi dipinti. Erano degli acquerelli dai colori tenui e rappresentavano quasi
tutti
il
mare.
Il
mare
tranquillo,
il
mare
agitato,
il
mare
molto
arrabbiato.
Dopo il crollo del muro di Berlino, continuava il colonnello, nei paesi dell'ex-campo
socialista i malavitosi hanno avuto modo di organizzarsi e negli ultimi anni sono entrati in contatto
con i nostri. Così, nelle nostre indagini, sempre di più incontriamo collaborazioni dei nostri indagati
con gente straniera. Altri gruppi investigativi stanno seguendo le indagini in cui sono coinvolti
cittadini rumeni e russi. Lei sarà a capo delle indagini sugli albanesi.
Passando dalla sala ascolto, il maggiore gli fece vedere l’elenco dei telefoni che avevano
sotto controllo. Più della metà parlano spesso con degli albanesi che si trovano già nel nostro paese.
A volte partono delle telefonate da qua chiamando un numero albanese. Risponde una voce di
donna, poi si sente che nomina all’altoparlante il nome della persona che viene richiesta da qua.
Sembrerebbe una specie di centralino, ma non ci è chiaro come funziona.
*
33
Alle cinque del pomeriggio, mentre usciva dall’edificio, Massimo ebbe una grande voglia di
camminare e passò dal centro per allungare la strada di casa. La città si preparava per festeggiare la
sua Santa Patrona. Gli operai stavano attaccando delle strutture per le luci nelle strade principali e
dei podi nelle piazze per gli spettacoli che ci sarebbero stati durante i festeggiamenti. Diversi secoli
fa la Santa aveva salvato la sua gente in un periodo di carestia e malattie e loro ogni anno le
manifestavano gratitudine con grandi festeggiamenti. I più devoti salivano in ginocchio per circa
cinquecento metri per rendere omaggio alla sua tomba.
Pensò al suo lavoro. Poi alle immagini televisive di qualche anno fa, quando la gente
scavalcava il muro e saltava dall’altra parte ad abbracciare altra gente. Non importava se non si
conoscevano, se erano uomini, donne, vecchi o bambini. Il muro, per circa cinque decadi, aveva
impedito loro di vedersi, di scambiare conoscenze, sentimenti, di confrontare i pensieri. Quelle
immagini erano quanto commoventi, tanto sollevanti. Massimo si ricordava di come avevano
vissuto per anni nel terrore dei possibili attacchi dei comunisti, di possibili attacchi da tutte le parti e
con qualsiasi mezzo. Quelle immagini rappresentavano la fine di un tormento.
La mamma era sicuramente in ansia e lui affrettò il passo. Entrando in casa la trovò che
prendeva il caffè nel salotto insieme ad Anna. Dai loro sguardi capì che erano in dolce chiacchiera.
Lui e Anna stavano insieme dai tempi del liceo.
- Dobbiamo festeggiare, - lei gli vene incontro con una bottiglia di spumante.
- Non avrai intenzione di aprirla adesso, - le disse Massimo dandole un bacio sulla
guancia. Abbracciò la mamma e disse, - ho bisogno di fare un bagno.
- Ho prenotato in quel ristorante carino dove fanno delle fondute squisite.
La voce di Anna gli penetrava nell’orecchio e lui per non sentirla aprì i rubinetti dell’acqua
della vasca da bagno cercando l’apertura giusta in modo che l’insieme di acqua calda e fredda
diventasse tiepida. Dopo alcuni minuti il livello dell’acqua era arrivato al punto desiderato e
Massimo si immerse. Il monologo di Anna continuava, possiamo chiamare Carlo e Giorgio, forse
piacerebbe anche a loro venire con noi. E’ vero che io ho prenotato per tre, però potrei ritelefonare e
chiedere se aggiungono altri due posti. Siamo ancora in tempo. Domani sera siamo a cena a casa
mia, la mamma sta preparando il menu da una settimana.
− Lo sai che Carlo e Giorgio non vengono al ristorantino, preferiscono il ristorante indiano o
la pizzeria. Possiamo vederci con loro dopo cena, - dal tono della voce di Massimo si capiva che
non aveva tanta voglia di andare dove diceva Anna, ma lei è fatta così, nel bene o nel male
prende decisioni per tutti e lui la contraddice soltanto se si tratta di una questione importante,
per il resto cede ai suoi desideri.
*
“Chez Luis” non è un ristorante francese, è un piccolo locale al centro storico della città. I
gestori hanno affittato degli spazi di un palazzo nobiliare del sedicesimo secolo e i tavoli sono
predisposti nell’atrio, sotto le colonne. Anna e la mamma volevano coinvolgerlo nelle loro
discussioni, che era il momento giusto per fare un mutuo, comprare una casa, ristrutturarla piano
piano e pensare al matrimonio.
Massimo guardava contento gli ultimi pezzi di pane che spazzavano via la fonduta e non
vedeva l’ora di incontrare i suoi amici. Accompagnò la mamma a casa e mentre metteva la
macchina in moto Anna gli chiese di lasciarla a casa sua perché si sentiva stanca. Non aveva la
forza di dirle vieni amore, lo so che i nostri discorsi ti annoiano, ma almeno staremo vicini, io ti
tengo la mano, tu ti appoggi sulla mia spalla. Arrivati sotto il suo palazzo, la accompagnò al
portone.
34
*
Il caffè tunisino si trova al centro storico della città, ma dal lato opposto di “Chez Luis”.
Massimo dovette fare parecchia strada in macchina, perché la casa di Anna si trova lontano dal
centro, vicino al mare. I suoi pensieri ritornarono di nuovo al lavoro. Quando era più piccolo andava
spesso a casa dello zio più giovane e aveva scoperto che ogni giorno, verso le otto di sera, lui
sintonizzava la radio sul canale di “radio Tirana in italiano”. Dicevano che avevano realizzato il
socialismo, che non esisteva la proprietà privata, che tutto era di tutti, non c’era miseria, non
esisteva la criminalità, non si conosceva la disoccupazione, lo stato si prendeva cura dei bambini e
degli anziani, l’istruzione e l’educazione delle nuove generazioni aveva la priorità nello sviluppo
del paese insieme alla difesa dai paesi capitalisti dell’Europa Occidentale e dagli imperialisti
americani. Dicevano che il loro paese era come un giardino pieno di fiori. Lo zio e i suoi amici
discutevano a lungo alla fine di quella trasmissione radiofonica e Massimo non capiva molto di
quelle discussioni interminabili, ma ricordava che gli piaceva andare a casa dello zio a quell’ora.
Era arrivato e mentre cercava un posto libero per parcheggiare la macchina, si accorse che
da quando era uscito dall’ufficio non aveva fatto altro che pensare a quel paese. In ogni parte della
sua mente cercava le informazioni che aveva accumulato negli anni. In realtà, non erano molte, ma
ricordava di avere sentito che Albania era il nome con il quale il mondo la chiamava, mentre i suoi
abitanti la chiamavano Shqipëria, che significa paese delle aquile e gli abitanti si chiamavano
shqipëtare.
*
Carlo e Giorgio lo aspettavano seduti con davanti dei bicchieri di citronade, una bevanda a
base di limone, simile al sorbetto, che facevano solo in quel posto. Contenti di vederlo, gli fecero gli
auguri per il primo giorno di lavoro.
- Ormai non abbiamo più problemi per pagare il conto, - disse Giorgio dandogli una pacca
sulla spalla.
- Il problema è che non avrò più tanto tempo per frequentare i locali. – disse Massimo
dall’aria preoccupata e salutò Samì, il proprietario del locale il quale contento di vederlo gli faceva
il segno di benvenuto da dietro il bancone. - Oggi è stato soltanto il primo giorno e mi hanno fatto
prendere conoscenza di tutti i problemi che mi tocca affrontare. Da domani dovrò prendere in mano
la situazione e non sarà tanto facile.
- Ce la farai, - disse Carlo con aria soddisfatta, - come hai sempre fatto. A proposito, cosa
pensi di fare con l’Università, con gli esami che hai dato alla Facoltà di Scienze Politiche?
- Vorrei continuare gli studi, ma prima devo prendere confidenza con il lavoro, - rispose
Massimo ancora tenebroso, mentre sorseggiava la bevanda rinfrescante.
- Ti ricordi il gioco che facevi a noi in quel periodo?
- Come no, - gli occhi di Massimo brillarono all’improvviso, - scrivere giornalmente il
diario dei fatti politici accaduti in tutto il mondo e in base a quello indovinare le
dinamiche di quei fatti o fare previsioni per il futuro.
- Ci siamo divertiti tanto.
- Quest’anno sarà duro per me. A voi, quanto manca alla laurea?
- Ancora un anno.
- A me altri due.
35
-
E’ sempre così, manca sempre quell’anno.
Smettila di fare il papà.
Prendiamo un’altra citronade.
Questa volta con qualcosa di alcolico dentro.
Non so se viene buona lo stesso.
Io prendo un pezzo di lokum, lo portano direttamente dalla Tunisia.
E’ dolcissimo.
*
L’indomani, Massimo percorse la strada per andare al lavoro con il passo affrettato come se
avesse già l’abitudine di andare ogni giorno in questo posto. Anche la guardia lo fece passare senza
troppi controlli. Che coincidenza, pensò tra sé, incontrare la stessa guardia due mattine di seguito.
Altrimenti, avrebbe dovuto ripetere le spiegazioni che gli suonavano come un ritornello dentro la
testa, sono il nuovo capitano, mi chiamo Matranga, ho preso servizio ieri mattina. Oltre al suo
passo, anche l’ascensore andava più veloce del giorno precedente. Massimo si trovò subito di fronte
ai tre corridoi e per qualche minuto cercò di ricordare con esattezza dove si trovasse la stanza del
colonnello. E’ ancora presto, pensò, non sarà arrivato, e prese per il corridoio centrale dove si
trovava il suo ufficio. L’odore della vernice era leggermente svanito.
La sua stanza era abbastanza spoglia. Il collega che l’aveva preceduto era stato trasferito
qualche giorno fa e i segni delle cornici nei muri erano ancora freschi. Ad evidenziarli di più
contribuivano i chiodi solitari rimasti appesi alle pareti. Sulla scrivania lo aspettava un dossier con i
nomi e i curriculum degli uomini del gruppo che doveva dirigere. Erano una dozzina. La maggior
parte avevano la sua età o qualche anno in più, Nando e Sergio sui quaranta e solo Carmelo aveva
quarantacinque anni.
Con il dossier in mano, il nuovo Capitano entrò nelle stanze dei suoi uomini e presentandosi
cercò di conoscerli uno per uno. Di seguito divise il lavoro secondo lo schema che aveva elaborato
nella mente per tutta la notte. Quattro dei più giovani, a turno, sarebbero rimasti nella sala ascolto a
sentire le telefonate che arrivavano nelle 24 ore e trascriverle. Nando e Sergio avrebbero dovuto
fare la prima selezione e scartare quelle inutili. Scrivere un diario, preparare le conclusioni della
giornata e portare a lui la relazione finale, ogni giorno. Nessuna telefonata doveva essere
sottovalutata. Quelle difficili da interpretare le potevano mettere da parte e portargliele a lui insieme
alla relazione finale. Altri quattro dovevano occuparsi della parte burocratica del lavoro, Carmelo si
sarebbe occupato dei contatti con gli altri uffici, delle ricerche su internet. Al momento opportuno,
quando avessero fatto il punto della situazione, si sarebbero buttati tutti in azione.
Massimo sentì il bisogno di un caffè. L’orologio segnava le dieci del mattino e lui bussò
nella stanza del colonnello. Decisero di non prendere il caffè alla macchinetta, scesero i dieci piani a
piedi e si diressero verso il bar più vicino. Dopo i primi passi fuori dall’effetto dell’aria
condizionata Massimo cercava di fare assorbire il sudore dal suo fazzoletto di stoffa. Non faceva
molto caldo, ma in questa città tutto è umido in tutte le stagioni.
Sulla pelle del colonnello invece non si vedevano tracce di sudore. Col lo stesso tono di voce
del giorno precedente, lui gli spiegava di quanto era preoccupato il governo per quello che
accadeva. Da oltre il mare continuava ad arrivare gente.
- Fino a quattro anni fa, per loro, toccare la linea di confine era come toccare la morte, continuò prendendo un bicchiere d’acqua prima del caffè. – Adesso arrivano con navi, barche,
gommoni, a nuoto. Non sappiamo cosa succede lì, chi sono loro, non sono schedati, non abbiamo le
loro impronte digitali.
36
*
Tutta la settimana la passò con le cuffie alle orecchie. Gli addetti alle trascrizioni gli
portavano le telefonate tradotte e trascritte sulla scrivania, ma il Capitano Matranga voleva sentirle
con le sue orecchie, anche se in una lingua incomprensibile piena di sci, scie, je, dhe. Non si ha idea
di quante cose si possono capire da una conversazione quando non si comprendono le parole.
Quando due persone sono amici o parenti e si vogliono bene, le frasi scorrono spontanee, non ci
sono quelle pause di valutazione su quanto è stato detto o di previsione sull’effetto che avrà
sull’altro quello che si dirà. Quando si parla d’affari c’è sempre uno dei due che domina la
conversazione. Ci sono le conversazioni formali, fredde e corte, quelle da passatempo, lunghe e
piene di storie, barzellette, risate. Quando si conversa su affari illeciti, si rispetta una sorta di
gerarchia tra gli interlocutori, c’è sempre uno sottomesso all’altro e spesso si tratta di
comunicazioni brevi. Le più facili da indovinare sono le conversazioni tra amanti. Sono piene di
sospiri, i toni delle voci sono bassi, si interrompono in continuazione e trasmettono la sofferenza
della lontananza anche a chi li ascolta.
Quello su cui il giovane Capitano non riusciva a trovare una definizione erano le voci delle
centraliniste dell’ufficio delle chiamate – notizie. Erano molto simili tra di loro, soprattutto per la
tonalità nasale che le caratterizzava. L’ufficio restava sempre aperto e durante le 24 ore erano in tre
a darsi i turni. Per otto ore di seguito si occupavano di “pronto; sì ho capito; Luljeta con Turi alla
cabina numero due; scusi compagno, aspetti il turno; alla cabina numero sette non si è presentato
nessuno; Gezim con Luan alla cabina numero sette; pronto; sì ho capito; non legge che c’è scritto
non si fuma?”. Sì, l’aveva indovinato, da quelle voci traspariva l’indifferenza.
Alla nascita di quel pensiero Massimo posò sulla scrivania del colonnello l’informativa
composta da una ventina di pagine, in più un riassunto di una pagina per una lettura veloce. Era
rimasto l’ultimo al lavoro quel sabato pomeriggio e voleva raggiungere casa prima possibile.
Informativa nr.1
Abbiamo identificato uno degli albanesi che è in contatto con i nostri indagati. Si chiama
Hysen G. Si trova nel nostro paese da tre anni. E’ in possesso di regolare permesso di soggiorno per
motivi di lavoro. Professione muratore. Durante questi tre anni ha viaggiato dall’Italia in Albania e
viceversa quasi ogni mese. Contatta regolarmente un uomo a Tirana, che lui stesso chiama zio,
attraverso un piccolo centralino chiamato Ufficio delle chiamate – notizie.
In Albania poche famiglie hanno il telefono. Chi vuole parlare con qualcuno prenota un
appuntamento telefonico. L’Ufficio manda un telegramma alla persona richiesta con la data e
l’orario esatto dell’appuntamento e così la gente comunica a distanza. L’Ufficio collega la gente
della capitale con quella delle altre città e dei paesi di campagna o di montagna dove si trovano altri
uffici di chiamate – notizie più piccoli. Fino a qualche anno fa la linea con l’estero era controllata
dallo stato, ma da circa un anno non più. Non è molto chiaro come funziona la sua gestione, ma
chiunque dall’estero può telefonare a questo Ufficio e chiedere di parlare con la persona desiderata
comunicando il suo indirizzo e chiunque del posto può chiedere di chiamare un qualsiasi numero di
telefono all’estero.
37
*
Anna gli aveva telefonato dicendogli che aveva prenotato alla pizzeria “Le tre sorelle”.
Finalmente stiamo un po’ insieme, ho tantissime cose da raccontarti. Anna insegna economia
aziendale in una scuola professionale. Lei programma il suo lavoro nei minimi dettagli, ma ogni
giorno le succede un imprevisto con gli alunni. Quello che doveva essere preparato molto bene ha
avuto la nonna malata; quello che non poteva mancare perché aveva raggiunto il numero massimo
di assenze, si è ricoverato in ospedale; un alunno che non godeva della sua stima, le ha risposto
benissimo; una ragazza le chiede il permesso di allontanarsi dalla lezione, perché deve andare dal
parrucchiere. Quello che è certo è che Anna ha sempre tante cose da raccontare.
“Le tre sorelle”, ripeteva Massimo, chi sa se erano veramente tre. Sembra il titolo di una
fiaba mai pubblicata e persa nei racconti di generazione in generazione. Quel suo amico tornato dai
Balcani gli aveva raccontato che nelle loro leggende si trovava spesso il numero tre. Tre di solito
era il numero dei fratelli, il grande, il medio, il piccolo. Verso il grande si avevano più aspettative e
più rispetto, ma quello che compiva le imprese più difficili era il piccolo.
Aveva percorso metà della strada di ritorno e non si era accorto della gente che camminava
velocemente accanto a lui. No, in realtà era lui che aveva rallentato il passo, come in un video
telecomandato. Pensò di telefonare ad Anna per dirle che era molto stanco e che non se la sentiva di
andare a cena fuori, voleva rientrare a casa. La cabina telefonica si trovava sul marciapiede di fronte
e un uomo dalla pelle molto scura e i tratti del viso nordarfricani stava telefonando. Massimo si
avvicinò lentamente e si fermò davanti alla porta della cabina. L’uomo parlava a voce alta,
probabilmente per via della linea telefonica disturbata e Massimo si accorse che pronunciava spesso
la “h”. Probabilmente sta parlando in arabo, pensò, non somiglia per niente all’albanese.
Scommetterei che sta parlando con la sua famiglia.
Questa si chiama deformazione professionale, avrebbe detto Anna.
L’uomo lasciò la cabina e Massimo rientrò. Prima chiamo in ufficio, pensò. Pronto,
Carmelo, ci sono novità? – Sì, capitano, i nostri indagati hanno chiesto a Hysen dei pezzi di
ricambio. Lui si è messo in contatto con lo Zio il quale dice che quelli di Scutari hanno qualcosa di
pesante e lavorato, arrivato direttamente dalla Turchia. Sempre lo Zio dice che in Turchia la
lavorano e la spediscono con i camion metà lavorata e metà pura, ma quella lavorata si riconosce.
Lo Zio pensa che il prezzo sia conveniente, mentre Hysen è a conoscenza del fatto che una terza
persona la prende a Firenze ad un prezzo più basso. Porteranno cinque pezzi per lui e vorrebbero i
soldi in mano solo per tre. Gli altri due chili, li possono pagare dopo. Questi non hanno il mercato
di vendita e hanno chiesto allo zio di trovarlo. Hysen ha parlato con il compratore italiano detto il
Pelato per i soldi dell’acquisto e a quanto pare in parte ci sono. Hysen manderà un anticipo allo zio
con Western Union.
- Chi è di turno stanotte?
- Sergio.
- Mi raccomando, non ci deve sfuggire nessuna telefonata, nessuna frase. Io stanotte dormo
a casa, ma potete telefonarmi in qualsiasi momento.
- D’accordo capitano.
- Arrivederci!
- Arrivederci!
Mentre prese la strada di casa, Massimo fu colpito dal colore dominante delle vetrine, tutto
sulla tonalità del bordeaux. In lettere grandi c’era scritto: nuova collezione autunno-inverno. Ad
Anna non piace il bordeaux, pensò, - oh, - le devo telefonare, - disse ad alta voce, - alla prossima
cabina.
*
38
L’indomani, Massimo si svegliò frastornato dal suono inaspettato della sveglia. Si era
addormentato con il pensiero che potevano chiamarlo dall’ufficio in qualsiasi momento, ma il sonno
profondo gli aveva portato via tutti i pensieri. Dopo qualche secondo si accorse che era la suoneria
del telefono a svegliarlo. Pronto! Capitano, sono Nando. Cos’è successo? Hysen sta partendo per
l’Albania. E’ partito da qua con la macchina e a Brindisi prenderà il traghetto. Ha parlato con il
Pelato al quale ha detto: “domani sera prenderò il traghetto a Durazzo e dopodomani mattina
arriverò a Brindisi”.
- Avvisate le forze dell’ordine di Brindisi di fermarlo al suo rientro e di controllare la sua
auto. Io sto arrivando.
Di colpo Massimo si trovò fuori dal letto. Indossò la prima maglia che la sua mano toccò nel
cassetto e lo stesso pantalone del giorno precedente. Ansioso di prendere il giornale si trovò davanti
all’edicola senza avere percepito la discesa in ascensore e la camminata di una trentina di metri sul
marciapiede.
Camminando e leggendo arrivò al bar. Il barista gli chiese se desiderava il solito e cominciò
a preparare il caffè. Massimo continuò a leggere: Continuano gli sbarchi di clandestini albanesi in
Puglia. Albanesi a capo di associazioni a delinquere per traffico di stupefacenti e sfruttamento della
prostituzione.
Arrivò in ufficio con l’idea di leggere e rileggere tutte le trascrizioni delle telefonate, anche
quelle apparentemente insignificanti. Nando lo aspettava alla sua scrivania davanti a una montagna
di carte e un cumulo di cicche di sigarette.
- Capitano, si stano preparando.
- Ci prepariamo anche noi. Dobbiamo capire bene i loro movimenti. Rileggiamo tutto e
prepariamo l’informativa per il colonnello.
- Comandi!
*
Nelle prossime ventiquattro ore la sala ascolto diventò il luogo più popolato di tutti gli
uffici. Era situata nella mansarda che si estendeva su tutta la superficie dell’ultimo piano. Il tetto in
legno e il rivestimento sempre in legno di alcune parti delle pareti l’avevano resa accogliente. Se
non fosse stato per le travi basse dove tutti sbattevano la testa regolarmente diverse volte al giorno,
sarebbe diventato un ricercato luogo di ritrovo. I ragazzi più giovani della squadra non si
muovevano dalle postazioni aspettando con ansia il segnale che avvisava l’arrivo o la partenza di
una telefonata. Nando e Sergio erano i primi a leggere ed interpretare le trascrizioni. Massimo e tutti
gli altri superiori salivano su in continuazione per avere la situazione sotto controllo. L’unico a non
muoversi dall’ufficio era Carmelo che manteneva la comunicazione con i colleghi di Brindisi.
*
Informativa nr.2
Hysen è stato controllato a Brindisi e la sua auto è stata smontata. Non è stato trovato nulla.
Abbiamo chiesto l’elenco dei viaggiatori con le foto. E’ probabile che viaggiasse con un corriere.
39
*
I ragazzi erano riusciti a tornare nelle loro case per qualche ora, Massimo non rientrava da
48 ore. Dovrei telefonare alla mamma, - pensò, - ma la voce tremante di uno dei ragazzi con le
cuffie alle orecchie lo distolse da questo pensiero.
- Capitano, lo Zio ha un altro contatto. Parla con un certo Sazan di Valona il quale produce
del cioccolato e lo gestisce insieme ad un gruppo di Brindisi. Dicono che escono da Caraburun con
la loro barca, arrivano vicino Brindisi di notte, la scaricano e la nascondono nei boschi, la interrano
con dei panni. In un’altra telefonata Hysen racconta allo zio che un altro gruppo di Valona gestisce
il cioccolato con il Nord Italia. Lo portano lì con i camion da un certo Dritan il quale lo vende
all’ingrosso.
- Dobbiamo identificare tutti gli interlocutori, - disse Massimo e corse verso il telefono per
parlare con Carmelo, -ohhh, - ho sbattuto di nuovo alla trave.
Da un’altra postazione un altro dei ragazzi della sala ascolto lo chiamò.
- Capitano, Hysen ha parlato di nuovo con Dritan. Vuole entrare in affari con lui per il
cioccolato in modo da tenere lontano gli acquirenti italiani da quelli di Valona. Negli ultimi giorni
un carico di cioccolato è arrivato a Dritan con un camion. Hysen dice che il cioccolato è una cosa
leggera, non è un rischio grande. Ci si può mettere d’accordo con loro e come portano i camion lì,
possono portarli anche qua da lui. Sia di quella buona che costa di più, che di quella brutta che costa
quasi la metà.
Capitano, Carmelo al telefono.
- Pronto Carmelo!
− Capitano, abbiamo identificato Dritan. Vive in Italia da quattro anni, permesso di soggiorno
regolare per motivi di lavoro. Lavora come fornitore per una ditta di prodotti alimentari.
- Molto bene, sto scendendo, - disse Massimo, ma per l’ennesima volta dovette rientrare per
la chiamata di uno dei ragazzi.
- Capitano, stanno per partire.
- Chi?
- Sazan dovrà partire da Valona con la barca.
- Quando?
- Dice che dipende dal tempo, probabilmente questione di giorni.
- Prepariamo subito l’informativa.
Informativa nr.3
Lo Zio ha detto ad Hysen che Sazan è pronto per partire con la barca carica di cioccolato,
ma aspettano il tempo buono a Valona. Hysen ha contattato il Pelato, ha mandato dei soldi allo zio
con Western Union e partirà insieme al Pelato verso la Puglia appena lo Zio gli dà la conferma.
Partiranno con due macchine. Il Pelato in una e Hysen con la fidanzata nell’altra. Partiremo anche
noi dietro di loro e li seguiremo passo per passo.
Vi informo, inoltre, che attraverso l’Ufficio delle chiamate-notizie di Tirana molta gente
comunica regolarmente con l’estero, con Germania, Francia, Italia, Grecia, Belgio, Olanda.
*
40
Erano passati mesi da quando aveva ricevuto l’incarico, ma soltanto in quel momento
Massimo si stava accorgendo di avere lavorato ininterrottamente. Non si ricordava quando era
rientrato a casa, però era certo che, dopo avere consegnato l’informativa al colonnello si era
accertato che Sazan non fosse partito da Valona. La mattina si svegliò con una strana sensazione
che non riusciva a decifrare. Aveva passato ogni giorno ascoltando le telefonate degli indagati,
conosceva le loro voci, il loro temperamento, le loro storie, i movimenti, a volte riusciva perfino a
prevedere le loro mosse. Tornava a casa soltanto per dormire. La domenica quando prendeva il
caffè nel salotto con la mamma ed Anna, vedeva i movimenti delle loro labbra, ma non sentiva
quello che dicevano. Nella sua testa rimbombavano le voci di Hysen, del Pelato, dello Zio, di
Dritan, ma anche le voci delle centraliniste dell’ufficio di chiamate-notizie di Tirana.
Ebbe il desiderio di compiere il rituale del prendere il giornale nell’edicola sotto casa e di
sedersi al bar accanto per prendere il caffè. Corse in bagno per lavarsi. Dalla finestra si vedeva un
pezzo di cielo coperto dalle nuvole grigie. La mamma gli parlava dalla cucina dicendogli di portare
con sé l’ombrello. Il primo giorno di pioggia, pensò. Diede un bacio alla mamma e dopo qualche
minuto usciva dall’ascensore aggiustando il collo dell’impermeabile. Comprò velocemente il
giornale e mentre si sedeva ordinò un caffè al barista con il linguaggio dei segni. Un altro terremoto
in Giappone. In alcune zone aveva causato il distacco della corrente per diverse ore. Alcune persone
erano rimaste bloccate negli ascensori. All’improvviso riuscì a decifrare la strana sensazione che
non gli si toglieva di dosso da quando aveva aperto gli occhi, ma che probabilmente era cominciata
dapprima sotto forma diversa. Stava vivendo la vita di qualcun’altro. Devo chiamare in ufficio,
pensò. Pronto, Carmelo; sì Capitano, stanno partendo; arrivo, preparatevi.
*
Il Capitano Matranga salì sulla macchina di servizio, uno degli ultimi modelli dell’Alfa
Romeo, insieme a Nando e Sergio. Non aveva avuto dubbi nello scegliere la squadra. Con loro due
accanto si sentiva al sicuro, sapeva di essere capito e consigliato nella maniera giusta. Nando era
una montagna di uomo, tanto buono, comprensivo e disponibile nell’amicizia, quanto severo e
rigido nel lavoro. Prima di spegnere la sigaretta che stava fumando, accendeva la prossima, come se
non volesse sprecare del tempo nel non fumo. Sergio invece, oltre a non sopportare il fumo, non
diceva mai una parola fuori posto; era bello, educato, corretto, attento anche ai minimi particolari
nel lavoro. Anche se erano parigrado, alla guida dell’auto stava Sergio, portando rispetto al collega
che sembrava molto più grande di lui.
L’uomo che inseguivano guidava una Fiat Tempra. Carmelo, dall’ufficio, dava loro le
indicazioni sul viaggio dell’indagato, su che strada prendesse e su dove si trovasse.
Lavoravano da mesi su questa indagine, avevano studiato a fondo gli indagati, le loro
abitudini, le loro telefonate, i loro viaggi. L’indagine era diventata parte della loro vita. Adesso che
era arrivato il momento di intervenire, Massimo si sentiva insicuro. Per lui era la prima volta in
azione. Dovevano arrestare le persone e sequestrare la merce. Sarebbe andato tutto come avevano
programmato?
Il traffico era scorrevole e Sergio aveva messo della musica leggera a volume bassissimo. Il
viaggiare in autostrada dava a Massimo la percezione del non cambiamento, trasmettendogli la
sicurezza della quale aveva bisogno.
41
*
Dopo un paio di giorni il Capitano Matranga e i suoi colleghi tornarono dalla Puglia. Il
colonnello era stato informato via telefono sull’accaduto. Durante il viaggio di ritorno Massimo
aveva preparato l’informativa e al rientro andò a consegnarla direttamente al suo superiore. La posò
sulla scrivania e chiese il permesso di allontanarsi per qualche ora.
Aveva voglia di camminare da solo con i suoi pensieri. Vado verso la Cattedrale, poi giro a
destra, entro tra i vicoli, esco, torno indietro, arrivo all’incrocio, vado verso la statua della libertà.
Le vetrine dei negozi erano stracariche di merce, saldi, soldes, rebajas e il traffico cittadino
stracarico di macchine, moto, autobus. Sentì il bisogno di vedere i suoi amici per sentire le loro
interminabili discussioni sul perché vestiamo tutti nello stesso modo, perché compriamo abiti nuovi
quando abbiamo già gli armadi pieni, perché camminiamo sempre di meno. Si era avvicinato alla
sua abitazione. Mentre attraversava la strada per raggiungere il marciapiede dove si trovava il
portone del suo palazzo, un gruppo di persone uscivano chiacchierando. Cercava di indovinare in
quale casa erano stati in visita, ma non gli riusciva facile. Con il passare degli anni, una parte dei
vecchi condomini si erano allontanati o avevano venduto gli appartamenti. Alle riunioni
condominiali partecipava sempre sua madre. Trovò il compito impossibile da risolvere. All’uscita
dall’ascensore sentì un buon profumo di aglio. Forse la mamma stava preparando la pasta con cozze
e vongole. Quando era più giovane a lui non piaceva l’aglio, anzi non ne sopportava né l’odore, né
il sapore. Si arrabbiava moltissimo quando lo trovava nei piatti di pesce e ancora di più quando si
sentiva dire “non si può cucinare il pesce senza il soffritto d’aglio”. Da qualche anno invece aveva
cominciato ad apprezzarlo. Aprendo la porta andò dritto in cucina per dare il bacio alla mamma.
Non resistette alla tentazione di assaggiare il sugo e pensò un’altra volta che la sua mamma era
magica, tutta la casa era impregnata da un odore intenso di aglio, mentre nel sugo non si sentiva
neanche un po’.
*
Informativa nr. 4
Questa operazione è stata fatta in collaborazione con i nostri colleghi di Taranto. Noi
abbiamo inseguito Hysen e il Pelato durante il loro viaggio verso la Puglia, mentre i colleghi di
Taranto avevano il compito di osservare la costa. Inizialmente, non sapevamo con esattezza dove
sarebbero sbarcati, ma inseguendo le macchine con prudenza abbiamo individuato il luogo. Mentre
i colleghi si avvicinavano al luogo dove sarebbero sbarcati, improvvisamente la barca è tornata
indietro ad alta velocità. Avevano buttato in acqua una donna con un bambino di dieci anni che non
sapeva nuotare e un signore sulla cinquantina d’anni. I colleghi li hanno salvati e accolti portandoli
direttamente al commissariato. Si deduce che la costa era controllata da altra gente, loro
collaboratori che li hanno avvisati in tempo. I colleghi che lavorano da molto tempo su questo
terreno ci hanno rivelato che queste organizzazioni sono molto forti. Ci hanno spiegato inoltre la
situazione interna di questo paese oltre l’Adriatico che io in linee generiche descrivo come segue.
L’attività più redditizia del paese è il trasporto. Negli ultimi 4-5 anni gli albanesi sono
riusciti a portare quasi a zero la produzione di un'agricoltura sofisticata, a distruggere gran parte
delle strade, portare alla rovina l’industria leggera ed alimentare, tagliare i boschi, abbandonare le
miniere. Tuttavia, il trasporto oggi rende molto di più di tutte quelle attività messe insieme. Nella
costa sud del paese ci sono dei mezzi di trasporto marittimo fuori ogni legge e regola. Trasportano
le merci più richieste nell’Europa Occidentale, droghe di ogni tipo, armi, donne. Nelle campagne
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viene coltivata la cannabis e anche se la produzione è buona, non è sufficiente per la richiesta, così
una grande parte arriva in Albania da altri posti per poi essere trasportata; lo stesso con le droghe
pesanti. Di armi ce ne sono abbastanza in quanto per la loro ideologia di prima tutto il popolo
doveva essere armato, ma per fortuna si trovano in dei depositi ben custoditi. Ci sono quelli che si
occupano del trasporto e quelli che si occupano della vendita agli acquirenti stranieri.
Dopo il trasporto l’altra attività redditizia è il fenomeno “visto”. Sembra che una parte della
gente riesca a comprare a prezzi molto alti questi “visti”, ma il trasporto fa la concorrenza e offre
prezzi più bassi. Si aggiunge così alle attività precedenti, quella del trasporto di persone da lì a qua,
persone che poi continuano da sole la loro strada, raggiungono altri posti sotto il rischio della non
identità, non avendo un passaporto con un visto e di seguito la possibilità di chiedere un permesso
di soggiorno. Sembra che quest’ultimo fenomeno trovi appoggio nel nostro paese, dove alcuni
datori di lavoro li fanno lavorare pagandoli molto meno; di contro loro sono contenti di lavorare
anche se sottopagati, piuttosto che vivere nell’incertezza del loro paese.
*
Ai tempi della scuola il mercoledì era il giorno preferito di Massimo. Nella fretta che si
aveva nel raggiungere il sabato, superare mercoledì era fondamentale. Sembrava la cima della
montagna, si faticava a salire per poi correre felicemente in discesa. Mentre si avvicinava all’ufficio
pensava di portare tutti i ragazzi al bar. Lo faceva sempre volentieri, gli sembrava un modo per
sentirsi unito a loro. Era uscito di casa prima del solito e la città era ancora dormiente. La guardia lo
avvisò che il colonnello lo aspettava nel suo ufficio. Non era stato in grado di concludere
l’operazione. Aveva buttato all’aria il lungo e intenso lavoro di tutta la squadra. Aveva tradito la
fiducia dei suoi superiori, ma anche dei ragazzi. Uscendo dall’ascensore sentì una leggera
tachicardia invadere il suo cuore e rallentò i passi. Mi toglieranno l’incarico, pensò, me lo merito,
non sono stato all’altezza. Prima di bussare alla porta del colonnello si concesse qualche attimo di
pausa nella speranza che la tachicardia lasciasse il posto al ritmo normale del battito cardiaco. Mi
toglieranno l’incarico, ripeté a sé stesso lasciando lo spazio nella sua mente per una invisibile
superstizione del prepararsi al peggio.
Al bussare alla porta rispose l’avanti del colonnello e alla spinta timida di Massimo lui si era
alzato in piedi e si trovava già a metà della stanza. Dandogli una pacca sulla spalla lo invitò a
prendere il caffè. Massimo non poté fare altro che lasciarsi invadere da una semplice reazione
istintiva umana, abbracciare l’altro.
*
Il caffè offerto dal colonnello in contraddizione con tutti i trattati di medicina, aveva pacato
la tachicardia a Massimo Matranga. Si sentiva così leggero che rientrò in ufficio di corsa. Carmelo,
guardandolo, si alzò in piedi e interruppe il suo saluto dicendogli, - Capitano, è stata fatta un’altra
richiesta ad Hysen da parte del Pelato per pezzi di ricambio. Lo Zio ha detto che quelli di Scutari
aspettano la merce in questi giorni e che la prossima settimana sarà pronta. Al solito Hysen dovrà
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mandare l’anticipo dei soldi con Western Union e alla conferma dello Zio potrà partire per
l’Albania.
- Questa volta non ci deve sfuggire niente. Tirate fuori la lista dei passeggeri che hanno
viaggiato con Hysen l’ultima volta da Durazzo a Brindisi.
- Subito Capitano!
- Io salgo in sala ascolto.
- Aspetti, Capitano, stanno telefonando proprio da lì. Dicono che Hysen si trova in Albania.
Ha detto al Pelato che stasera prenderà il solito traghetto da Durazzo per arrivare a Brindisi.
- Ragazzi, io salgo in sala ascolto, - avvisate a casa, stasera dobbiamo rimanere tutti qui.
*
Tutti sanno che il cibo della mensa, a lungo andare, stufa. Sembra che il menu non vari
molto da un giorno all’altro, ma in realtà i cuochi stanno attenti a cucinare sempre piatti diversi.
Quello che rimane invariato è il menu per ogni giorno della settimana, per esempio, il lunedì,
polpette al sugo di pomodoro, martedì, pasta al salmone e così via. Quello che stufa, probabilmente,
è questa prevedibilità, così come l’odore della mensa, sempre uguale, in qualsiasi giorno e in
qualsiasi ora.
Era già sera e nella sala ascolto i ragazzi cominciavano ad avere fame.
- Prendiamo dei panini per stasera? – chiese Sergio agli altri, - così non dobbiamo perdere
tempo in mensa, ceniamo qua.
- Io preferisco la minestra, - rispose Nando, - preferisco anche perderla una mezz’ora,
altrimenti mi scoppia la testa.
- Nando, puoi rispondere tu al telefono?
- Va bene. Pronto, Carmelo, cosa c’è? – Capitano, Carmelo dice che è arrivata la lista dei
passeggeri che viaggiano stasera con Hysen. Ci sono due persone che viaggiavano nello stesso
traghetto con lui il mese scorso, una donna e un uomo.
- Avvisate i colleghi di Brindisi di perquisirli domattina.
*
Durante la notte, nessuno tolse le cuffie dalla testa, tranne per grattare l’orecchio o per
andare in bagno. Qualcuno si era anche addormentato sulla postazione per qualche minuto. La
mattina arrivò presto e tutti saltarono in aria per la suoneria del telefono dell’ufficio. Era Carmelo.
Chiamava per dare la notizia che i colleghi di Brindisi avevano arrestato Beqir P., l’uomo che aveva
viaggiato con Hysen per due volte di seguito. Nella sua macchina erano stati trovati quattro chili di
cocaina pura. Hysen era rientrato tranquillamente in Italia.
Un grido di vittoria avvolse tutta la stanza.
- Andiamo a congratularci con il colonnello, - disse Nando e si diresse verso la porta. - Poi
potete rientrare a casa per qualche ora.
*
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Con il passare delle ore della mattinata, l’entusiasmo iniziale scese in modo esponenziale in
sala ascolto. Da tutti i telefoni sotto controllo partivano o arrivavano telefonate per via dell’arresto
del corriere. Nando e il Capitano, gli unici rimasti, non riuscivano ad ascoltare neanche una minima
parte. Si guardarono negli occhi e contemporaneamente dissero - Prepariamo l’informativa e
diciamo ai ragazzi di rientrare.
*
Informativa nr.5
I nostri indagati sono molto preoccupati per l’arresto del corriere. Sono andati persi i soldi
dell’anticipo. Il gruppo di Scutari chiede ancora dei soldi, anche se non tutti viste le circostanze. Gli
avvocati dell’arrestato chiedono dei soldi per cominciare la difesa. Hysen sta chiedendo dei soldi a
persone che a quanto pare avevano preso della merce da lui. Sono una ventina.
*
Due dei più giovani rientrarono subito in sala ascolto, dopo una ventina di minuti anche
Sergio. Massimo e Nando scesero giù in ufficio, ma appena rientrati arrivò la chiamata di Sergio dal
piano di sopra. - Capitano, lo Zio avvisa Hysen che in questi giorni a Roma è arrivata della farina
bianca con dei camion. La gestiscono dei cari amici dello Zio e lui sta facendo di tutto perché gliela
diano senza chiedere i soldi in mano. Sta aspettando una risposta.
- Nando, io salgo di nuovo, per favore chiama mia madre per dirle che non torno a casa.
- Va bene, - scusi, devo rispondere al telefono. – Capitano, è di nuovo Sergio. Dice che è
arrivata la risposta per la farina bianca. Non la danno senza soldi in mano. – Nando posò la cornetta
del telefono per rialzarla subito. - Capitano, è arrivata una telefonata in cui lo Zio dice a Hysen che
una nave mercantile albanese parte due o tre volte al mese dal porto di Durazzo e raggiunge i porti
della Puglia. Si ferma qualche giorno, carica la merce e ritorna in patria. Lo Zio vuole mettere
Hysen in contatto con il proprietario della nave, perché sa che partirà stasera.
- Prepariamo l’informativa, - disse Massimo tenebroso.
Informativa nr.6
Lo Zio ha informato Hysen che la nave mercantile partirà stasera da Durazzo. Arriverà a
Bari domani mattina. Hysen partirà per Bari in macchina. Lo Zio lo chiamerà per dargli il luogo e
l’ora dell’appuntamento con la persona che gli consegnerà la merce. Questa volta niente anticipo e
niente soldi in mano. Lo Zio ha fatto tanti favori importanti al proprietario della nave e adesso lui
sta ricambiando. Sono stati avvisati i colleghi di Bari di perquisire la nave con molta cura prima che
l’equipaggio scenda a terra.
*
45
L’indomani mattina, lo squillo del telefono della sala ascolto fece accorgere tutti che si
erano addormentati sopra i tavoli. Massimo aveva deciso di parlare con i superiori. C’era bisogno di
altro personale per seguire questa indagine che si allargava sempre di più. I ragazzi della sua
squadra facevano straordinari da mesi, capitava che non dormivano per diversi giorni. Non
potevano reggere ancora per molto.
- Capitano, è Carmelo- ci dà la notizia che la nave mercantile è stata perquisita. Sono stati
trovati e sequestrati cinque chili di eroina. E’ stato arrestato il proprietario insieme a tutto
l’equipaggio. Hysen è tornato indietro con la sua macchina.
- Grazie ragazzi, - disse Massimo commosso abbracciando tutti, - preparate i turni e
cominciate a rientrare a casa.
- Capitano, - si sentì la voce di uno dei giovani, stanotte Dritan ha contattato Hysen. Gli ha
chiesto se gli interessano delle pillole da comprare a un prezzo buono direttamente in Belgio da una
persona che conoscono. Dritan dice che ne potrebbe vendere subito 20 mila. Hysen pensa che è più
conveniente prenderle in Calabria. Dritan insiste che è più conveniente il Belgio.
- Riposatevi un pò, parlerò con il colonnello sul fatto che abbiamo bisogno di uomini, aggiunse il Capitano dando una pacca sulla spalla al più giovane, - anche io sto andando a casa, mi
raccomando, tenetemi informato.
*
Dopo mesi di solo lavoro era la prima volta che Massimo Matranga si concedeva uno svago
domenicale. Non disse né ad Anna né alla mamma che aveva la giornata libera. Uscì presto di casa
come per andare al lavoro, comprò il giornale e si sedette al solito bar. Alla pagina numero undici
lesse, agli arresti otto uomini di nazionalità albanese. Rapivano delle giovani donne in Albania,
spesso minorenni e le portavano in Italia con i gommoni. Qui le tenevano sotto pressione e minacce
e le costringevano a prostituirsi. Prese il caffè ascoltando nel sottofondo il monologo del barista su
questi stranieri che vengono in Italia dove non c’è lavoro neanche per gli italiani. Salutò e decise di
prendere una nave per abbandonare la città, avvicinandosi ad un’isola dal perimetro facilmente
misurabile, viverla per qualche ora e poi ritornare.
La stagione turistica avrebbe avuto inizio tra qualche mese e i passeggeri che salirono sulla
nave erano pochi. Lui notò due ragazzine in jeans che ridevano dopo ogni frase che pronunciavano,
un signore anziano che si appoggiava al bastone e una giovane coppia con due bambini piccoli ai
quali dicevano in continuazione quello che non dovevano fare.
Appena la nave partì, salì sul terrazzo per sentire l’aria fresca e l’odore del mare.
- Chissà cosa vedono le api?
La voce piena e profonda dell’unica passeggera vicina lo costrinse a guardare nella direzione
che lei indicava con la mano. Un’ape si era aggrappata alla ringhiera in acciaio dello schienale della
sedia di fronte.
Tempo fa aveva letto qualcosa sul meccanismo della visione. Sembra che quello che
vediamo in parte dipende dagli oggetti stessi, da quanto loro assorbono e riflettono della luce del
sole; in parte dall’organo che permette la visione, quanto è in grado di vedere dalla luce che gli
oggetti riflettono.
Mentre cercava tra i ricordi per spiegare alla donna tutto questo, i suoi sensi captavano
qualcosa di intraducibile che lo distraeva.
Lei restava seduta sulla panchina in acciaio verniciata di bianco, ferma in modo che il suo
corpo formasse due angoli retti, uno nella piega delle ginocchia, l’altro tra il busto e le gambe, con
le mani affusolate che poggiavano leggermente sulla panchina. Il vento che sbatteva contro il suo
viso le portava indietro i lunghi capelli neri e mossi, mettendole in evidenza i lineamenti disegnati
alla perfezione e la muscolatura che legava il collo alle spalle.
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Nell’osservare la donna, Massimo sentiva un desiderio sempre crescente di baciare una
statua. Cosa c’è di male nel baciare una statua? Bianca, perfetta, fredda. Sarà come baciare la
propria bocca sullo specchio, come da bambini, quando per curiosità si bacia lo specchio credendo
di provare le sensazioni che provano gli attori che si baciano nei film.
La statua stava lì, davanti a lui e le labbra carnose si erano staccate leggermente una
dall’altra lasciando intravedere il bianco dei denti e forse… il desiderio di essere baciate. Massimo
chiese scusa alla donna e corse dentro la nave. Nei giorni che seguirono pensò a quell'episodio con
il dubbio che non fosse mai successo realmente.
*
L’indomani, Massimo rientrò in ufficio prima del solito. Ormai si era talmente abituato a
quelle stanze che il distacco fisico da quei muri, da quelle scrivanie, scaffalature, lo metteva a
disagio. Salì subito in sala ascolto e appena diede il buongiorno, Sergio gli venne incontro.
- Capitano, Hysen si è convinto che comprare le pillole in Belgio è conveniente. Ha parlato
con il Pelato. Domani partiranno per raggiungere Dritan. Poi tutti andranno in Belgio per
concludere l’affare.
- Benissimo, è arrivato il momento di arrestarli. Lo facciamo subito dopo la partenza.
*
Informativa nr.7
Abbiamo arrestato Hysen, Dritan e il Pelato.
Informativa nr. 8
Abbiamo identificato lo Zio. Si chiama Gezim P. E’ ricercato dalla polizia albanese per
omicidio e detenzione di armi.
Informativa nr.9
Abbiamo arrestato Sazan.
*
Quasi ogni giorno le pagine della cronaca giudiziaria dei giornali raccontavano del lavoro
del Gruppo Investigativo Antidroga. Lei aveva telefonato, sono una giornalista del…, mi chiamo
Olga P., vorrei intervistarla. Massimo aveva rifiutato tutti i giornalisti, inviava soltanto le relazioni
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ai giornali via fax. Olga P. attraverso qualche nota di insicurezza nella sua voce gli aveva provocato
la sensazione di tenerezza. Lei aveva bisogno della sua intervista. Adesso sedeva davanti a lui,
dall’altra parte della scrivania. Era giovanissima, minuta e dai lineamenti del viso regolari.
Somigliava in qualcosa ad Anna. Anche se i capelli lisci castano chiaro decidevano la netta
differenza tra loro due, c’era qualcosa che le legava. Forse si trattava di un ordine interno che si
rifletteva nell’abbinamento quasi maniacale della giacca alle scarpe, delle scarpe alla borsa, della
penna all’agenda, dell’agenda al portafogli.
Massimo intuì che la lista delle domande alle quali doveva rispondere sarebbe stata molto
lunga.
- Le va un caffé? – disse alla donna, cercando di cambiare la sensazione che qualcosa di
rigido si fosse impossessato dello spazio tra di loro.
- Volentieri, - rispose lei, ma il tono della voce voleva dire, non prendo mai il caffé.
- Questo deve essere uno dei suoi primi incarichi, - aggiunse Massimo mentre apriva la
porta dell'ufficio invitando Olga ad uscire.
- Sì, è uno dei miei primi incarichi al giornale. A dire la verità, … è il primo.
- Molto bene.
- Non immaginavo che un capitano così giovane potesse ideare e dirigere un’operazione
così complessa.
- Anche per me questo è stato il primo incarico. Loro sono la squadra, Nando, Sergio,
Carmelo, …
Massimo fece fare ad Olga il giro delle stanze piene di fumo di sigarette. – andiamo al bar,
poi saliamo nella sala ascolto, - le disse, - cosa ne pensa se prima di passare alle domande guarda
come lavoriamo?
- Ve benissimo, - rispose lei, con lo sguardo pieno di gratitudine.
- Capitano, c’è sua madre al telefono, - la voce di Nando lo fermò vicino alla porta.
Tornò indietro per rispondere dalla scrivania di Nando dove regnavano due portacenere
stracolmi di cicche. Pronto, mamma, è successo qualcosa? No, mi hanno chiamato gli zii, si
vogliono congratulare con te. Io e Anna vorremmo organizzare una cena. Va bene per te sabato? Sì.
Invita anche Giorgio e Carlo. Va bene, mamma. Ciao tesoro. Ciao.
*
-
Come ci si sente... ? – mi scusi, prendo gli appunti.
Quanto zucchero nel caffè?
Niente, metto il dolcificante.
Lo sa che il mio nome non deve comparire sul giornale, almeno per il momento.
Lo so.
Allora, cosa si dice negli appunti?
Come ci si sente…?
*
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Dalle dichiarazioni spontanee al processo
Hysen: Ho quarantadue anni, sono sposato e ho due bambini. Una bambina di dieci anni e un
bambino di sei. La mia professione è minatore. Ho lavorato in miniera dall’età di diciotto anni. Mia
moglie lavorava in una fabbrica alimentare che produceva gli ortaggi sottaceto. Nel 1992 la miniera
ha chiuso e sono rimasto a casa senza lavoro. Subito dopo anche la fabbrica dove lavorava mia
moglie ha chiuso e lei è andata in assistenza. Avevamo grosse difficoltà economiche. Per fortuna,
mio cognato Gezim, il fratello di mia moglie, era venuto in Italia come profugo e aveva trovato
lavoro presso una ditta di trasporti. Siamo sopravvissuti grazie al suo aiuto. Gezim è sempre stato il
mio idolo. Quando eravamo in Albania, io passavo il mio tempo lavorativo sotto terra nella miniera
e pensavo a lui che viaggiava sempre guidando il camion e scherzando con le ragazze. Era molto
bravo come autista. Quando lui mi chiese se volevo andare a lavorare con lui in Italia, fui molto
contento. Mio cognato conosceva delle persone alle quali ha dato mille dollari per farmi avere il
visto per l’Italia sul passaporto. Quando sono arrivato in Italia, ha pagato altri mille dollari per
farmi avere il permesso di soggiorno. Cominciai a lavorare come muratore. Un giorno Gezim mi
chiese se potevo portare due valigie a un suo amico che stava a tre ore di treno distante. Gli ho detto
di sì e quando tornai mi diede in mano tanti soldi quanti ne avevo guadagnati in un mese di lavoro.
Per quanto riguarda l’episodio per il quale sono stato arrestato….
Dritan: Sono nato e cresciuto a Durazzo. Lavoro in Italia da diversi anni. Non ricordo quando
conobbi Gezim. Ho interrogato tante volte la mia memoria su chi potrebbe averci presentati o in
quale circostanza ci siamo conosciuti, ma non riesco a rispondermi. Il ricordo più remoto è quel
pomeriggio in un bar di Tirana insieme ad altre persone, ma già ci conoscevamo da un pezzo. Mi
aveva fatto una buona impressione, allegro e ben vestito. Io ero lì per le vacanze e sarei partito tra
qualche giorno. Gezim mi propose di darmi quattro-cinque fialette piccoline che si potevano tenere
nella tasca interna della giacca da consegnare a una persona che mi avrebbe contattata al mio arrivo
in Italia. Avrei guadagnato lo stipendio di quattro mesi. Ebbi paura e non accettai, ma tenni il
contatto con lui e di seguito abbiamo lavorato insieme…
Sazan: Provengo da una famiglia contadina della campagna di Valona. Io e i miei fratelli siamo
molto legati alla terra. Prima del regime comunista i miei antenati non avevano la loro terra, ma
lavoravano quella degli altri. La riforma agraria del 1945-46 ha realizzato il loro sogno attraverso la
legge “la terra appartiene a chi la lavora”. Così nei prossimi dieci anni la mia famiglia é diventata
molto ricca lavorando moltissimo e vendendo i prodotti della terra. Poi sono uscite altre leggi
secondo le quali i contadini non dovevano possedere del terreno, perché si potevano arricchire.
L’unico proprietario delle terre divenne lo stato attraverso le cooperative dove lavoravano tutti i
contadini in cambio di uno stipendio misero. Di nuovo tempi duri per la mia famiglia. Per fortuna,
con l’arrivo della democrazia, nel 1992, ognuno poteva riprendersi la sua terra, bastava ritrovare i
vecchi confini e recintare. Come ho già detto, nella mia famiglia amiamo la terra, così tutti i fratelli
e parenti abbiamo recintato non solo i terreni che ci aveva dato la riforma agraria, ma anche tanto
altro terreno appartenente all'ex-signore di quelle terre e di altra gente non furba come noi. Questi
ultimi non si azzarderanno mai a chiedercela, perché sanno che gli tagliamo la gola come alle
pecore.
Gezim lo conosco da quando lavorava con i camion dello stato. Veniva spesso dalle nostre parti e ci
trovavamo a bere qualche bicchiere di raki al club del paese. E’ sempre stato in gamba. Quando
arrivò la democrazia, mi venne a trovare. Aveva trovato lavoro in Italia e guadagnava bene. Era
venuto in vacanza per il Capodanno insieme a due amici italiani. Brava gente. Noi avevamo fatto
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ingrassare i tacchini di mare nutrendoli per tutto dicembre con olive e noci intere. Se vuoi un
tacchino di mare come si deve per Capodanno, bisogna abituarlo a mangiare piano piano. Il primo
di dicembre una noce e un'oliva, il secondo giorno due e così via. Prima di ammazzarlo ti mangia
trenta noci con la buccia e trenta olive con nocciolo.
Comunque, abbiamo parlato su come coltivare questi terreni. Gezim e gli amici italiani ci hanno
proposto la cannabis. Il clima è favorevole e il guadagno molto buono. Abbiamo fatto le prime
prove e tutto è andato a meraviglia. Così, potevamo dare lavoro anche ad altra gente, perché la
disoccupazione aumentava giorno dopo giorno. Le fabbriche chiudevano tutte una dopo l’altra. Con
i guadagni potevamo mettere su un’attività commerciale, comprare dei prodotti di primo consumo
in Italia o Grecia e venderli qua, perché non si produceva niente.
*
Il sabato pomeriggio arrivò presto, proprio come il caldo che in questa città arriva senza
preavviso. Massimo stava portando il tavolo della cucina nel salotto per riunirlo all’altro. Facendo il
conto tra parenti, Anna con i genitori, amici, sarebbero stati più o meno in venticinque a cena. Non
era una novità per lui. Era cresciuto con la mamma e con tutti gli zii e fino all’età di 15 anni
pensava che fossero fratelli di sua madre. In realtà i fratelli erano soltanto due, gli altri erano cugini
e parenti dei cugini. Mentre apparecchiava, piatto piano, piatto fondo, bicchiere dell’acqua,
bicchiere del vino, Anna gli citofonava chiedendogli di scendere per andare a prendere le torte.
Diede un bacio alla mamma che canticchiava davanti alle teglie di lasagne e uscì. Lei
cercava sempre di nascondere i suoi pensieri, ma lui li percepiva. L’indicatore di tristezza della
mamma era la serratura delle labbra. Meno le serrava, più gioiva. Ma, quando le labbra si aprivano
per fare uscire fuori una melodia senza che lei si accorgesse che stesse cantando, significava che era
felice.
Anna lo aspettava sorridente.
- Le torte sono pronte, una l’ho ordinata con crema alla nocciola, l’altra alla frutta, - gli
disse dandogli un bacio rumoroso sulla bocca. - Se sapevo che avrebbe fatto così caldo,
avrei ordinato la torta gelato.
- Facciamo presto, gli zii staranno arrivando.
Loro due entrarono dentro casa sotto gli applausi dei parenti. Gli antipasti erano a tavola e il
vino rosso era stato versato nei bicchieri. Lo zio grande, pieno di emozione, cominciò a fare il
discorso a nome di tutti i parenti. Erano fieri di Massimo, di come aveva svolto bene il suo primo
anno di lavoro, di come si era mostrato degno del nome dei De Antonio portando onore a sua
madre, al ricordo di suo padre e a tutti loro. Infine, schiacciando l’occhio diede a tutti la notizia
riservata della promozione del nipote.
- Mi mandano in missione in Albania, - era l’unica frase che Massimo riuscì a pronunciare.
Erano passate ventiquattr’ore da quando gliel’avevano comunicato e lui non aveva trovato il modo
di dirlo agli altri. La missione era diventata il suo unico pensiero che condivideva soltanto con sé
stesso. Lo aveva chiamato il colonnello nel suo ufficio. Aveva pensato che si trattasse di
congratulazioni, ma come si verifica puntualmente, i superiori sorprendono.
In quella stanza dove niente era cambiato, dove anche la temperatura dell’aria era
rigorosamente la stessa, il colonnello gli aveva illustrato come avevano chiuso la prima fase
dell'indagine, avevano arrestato cinquanta persone tra italiani e albanesi che adesso si trovavano
sotto processo, avevano sequestrato grandi quantità di stupefacenti. Avevano aperto altre indagini
che avrebbero portato ad altri arresti e sequestri, ma la situazione diventava sempre più complicata.
Dall’altro lato dell’Adriatico continuavano ad arrivare delle persone, la droga, i malavitosi erano
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sempre più organizzati. I colleghi che sorvegliavano la costa avevano intensificato il lavoro e
tentavano di impedire i loro arrivi. Stavano succedendo degli incidenti in cui moriva gente
innocente. Noi dobbiamo sapere cosa succede realmente in quel paese. E’ necessario che lei vada lì
sotto copertura.
Il silenzio improvviso fece della casa Matranga il suo regno. Anna era diventata un pezzo di
legno, la mamma aveva serrato le labbra al punto da farle sanguinare. Tutti gli altri restarono a
bocca aperta. Lo zio piccolo che sembrava avvolto in una nuvola grigia gli chiese: - pensi di
accettare? Il “sì” di Massimo scatenò un bisbiglio collettivo che accompagnò tutta la serata. Pian
piano gli invitati ripresero le loro discussioni cercando di evitare l’argomento missione. Carlo e
Giorgio non avevano più l’aria stordita e cominciarono a raccontare sulla protesta che stavano
preparando contro il trattamento chimico di alcuni prodotti agricoli. Perché le mele non piacciono
più ai vermi? Perché le pere hanno lo stesso sapore delle banane, del formaggio, del pane
plastificato? E se noi cambiassimo in funzione del nostro nutrimento? L’unica a non accettare l’idea
era Anna. Non puoi andare in missione lì, è molto pericoloso, rischi la vita. Secondo te, perché loro
vengono qui da noi?
*
Il lunedì Massimo andò in ufficio per inerzia. Aveva passato la domenica tra il letto, il
frigorifero e la televisione. Si sentiva riposato. I ragazzi svolgevano già i loro compiti. Nando lo
prese per il braccio ed entrò insieme a lui nella sua stanza. Gezim P., gli disse, detto lo Zio, non
parla più al telefono dall’ufficio delle notizie – chiamate. Sembra che questo ufficio di Tirana non
sia più l’unico punto di comunicazione telefonica, si stanno costruendo altre reti telefoniche. Lei ha
già un appartamento a Tirana con la linea telefonica e il fax. Ultimamente in Albania è uscita una
legge che permette l’acquisto delle fabbriche da parte di società o individui stranieri. I superiori le
avranno detto che lei fingerà di essere un uomo d’affari che studia la situazione per conto di varie
società.
- Sì.
- Stia attento, se avverte il minimo rischio, entri dentro la nostra ambasciata, - aggiunse
Nando senza nascondere la preoccupazione. - In questo dossier c’è tutto il materiale
necessario riguardante le leggi del posto, la lingua, la storia, la geografia. Troverà cartine
dettagliate della città e del paese. Lo può studiare con comodo. La prima cosa che deve
fare quando arriva a Tirana è andare al Collegio Notarile per trovare un interprete. Nel
dossier troverà anche dei soldi albanesi. L’equivalente di un milione di lire. Dovrebbero
essere più che sufficienti per un mese. Comunque, porterà con sé anche del denaro
italiano.
51
PARTE III
IL CAPITANO MATRANGA A TIRANA
Pioveva quei giorni a Tirana, come ogni inverno e… nessuno pensava che smettesse, forse
nessuno desiderava che smettesse. Il rumore costante delle gocce di pioggia, perfetti ellissoidi
trasformati in ballerine al primo contatto con le pozzanghere era il sottofondo preferito della
quotidianità dei cittadini della capitale. Da qualche parte nel mondo la gente danzava con la musica
della pioggia. Forse danzava per chiamarla, forse … per farla smettere.
Cercando di modellare le forme ammorbidendole, l’acqua facilitava a Massimo Matranga il
compito di prendere confidenza con la città straniera. Questo lo portò a pensare a quella lezione di
antropologia criminale ormai lontana quando il suo collega sfoggiò senza successo la tesi che i
neonati hanno tutti i lineamenti morbidi per attirare solo tenerezza.
Il Collegio Notarile si trovava nel Viale Durazzo. Era un edificio costruito negli anni trenta
dove i segni del lusso del passato che si intravedevano nel legno pregiato delle scale, nei marmi e
nei balconi, si perdevano nei tanti cambiamenti fatti di seguito nella divisione degli spazi. La
maggior parte delle persone, notai, avvocati, interpreti, non avevano uffici, stavano in piedi nei
corridoi in attesa di clienti.
- Sono l’interprete della lingua italiana, - sentì lui una voce femminile e una mano delicata e
decisa si tese in sua direzione, - mi chiamo Lindita Kolonja e ci scusi per la confusione. - Si tratta di
nuove attività professionali e non siamo pronti dal punto di vista delle infrastrutture. E’ un
affarista?
- Come? Non sento.
- E’ un affarista?
- Management – administration. Sono interessato alle fabbriche, vorrei visitarle e parlare
con i direttori, vorrei capire lo stato in cui si trovano e la possibilità di comprarle.
- E’ ricco?
- No, sono un mediatore, lavoro per i ricchi.
- Non ho capito il suo nome.
- Massimo Matranga.
- Non sento.
- Massimo Matranga.
- Matranga!!! Allora è arberesh.
- Cosa?
- Arberesh.
- Cosa significa?
- Non posso urlare.
- Possiamo sederci?
- Va bene, di fronte c’è un Caffè.
Attraversarono il viale Durazzo nascondendosi sotto gli ombrelli e si trovarono di fronte alla
scritta Caffè “Flora”. Guardando attraverso i vetri si accorsero che il locale era pieno. Lindita gli
fece un segno per scendere giù nel seminterrato dove si trovava uno spazio arredato rigorosamente
in stile anni settanta. Il parquet molto curato e le strisce di moquette beige mettevano in evidenza il
colore marrone delle poltrone. Massimo andò in direzione dell’unico tavolo libero. Era un tavolo
rettangolare, basso con attorno due divanetti e due poltrone. Lindita ordinò due espressi che
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arrivarono in poco tempo in delle tazze basse di forma cilindrica color beige con una linea sottile
sul bordo di colore marrone. Insieme al caffè anche due bicchieri con dell’acqua.
*
-
-
-
I Matranga erano una famiglia importante albanese, - cominciò a spiegare Lindita a
Massimo. - Nel quindicesimo secolo, quando l’Albania si chiamava Arberi e gli abitanti
arberesh, dopo 25 anni di resistenza contro i turchi sotto la guida di Skenderbe, il nostro
eroe nazionale, fummo occupati dall’impero ottomano. Molte famiglie arberesh si
trasferirono in Italia.
Sono sorpreso, non ho conosciuto mio padre e non so molto dei miei antenati.
Noi a scuola studiamo Luca Matranga. Ricordo che nel sedicesimo secolo ha tradotto il
padrenostro in albanese. Se le interessa potrà fare delle ricerche.
Mi piacerebbe, ma non credo di avere tempo per dedicarmi a questo, dovrò lavorare
molto. Comunque, non avrei mai pensato che una ragazza si potesse chiamare Kolonja.
E’ il nome di un paese nel sud-est dell’Albania.
E’ il nome di un paese anche in Italia, al Nord, Cologno.
Lo so.
Ah… lo sa?
Sono stata in Italia, allora ci diamo del tu? Nella nostra lingua si usa dare del “voi” a una
persona grande di età o ad una persona che copre un incarico lavorativo importante, ma
dare del “lei” a una persona che guardi negli occhi per il nostro modo di pensare é
incomprensibile.
Sono d’accordo. Per poter cominciare a lavorare mi servirebbe la lista delle fabbriche
esistenti nel paese.
Dovremmo andare in qualche ministero.
D’accordo. Poi, ogni mattina, io comprerò tutti i giornali. Ho bisogno che tu me li
traduca.
D’accordo, - disse Lindita scuotendo la mano davanti alla faccia per allontanare il fumo
che da un po’ di tempo stagnava in tutto il locale. – Allora ci vediamo domani mattina. A
che ora?
Alle otto davanti al Collegio Notarile.
Va bene, a domani.
A domani.
*
Massimo si alzò in piedi per accompagnare Lindita all’uscita. Pioveva ancora e lui ritornò
dentro il Caffè. Ebbe la sensazione che da quando aveva ricevuto questo incarico il tempo fosse
trascorso molto in fretta. La sua mente era stata interamente impegnata con i preparativi della
partenza e con il programmare i giorni che sarebbero seguiti che il presente si era trasformato in
passato senza lasciare alcuna traccia. Ordinò un’altra tazza di caffè espresso e realizzò di trovarsi
solo in un paese straniero.
Finito il caffè, prese la strada di ritorno. Il suo appartamento si trovava in una buona
posizione, al quarto piano di un palazzo di cinque piani, si affacciava sul viale Durazzo ed era ben
illuminato. Era arredato con gusto, con mobili lineari e minimi. I quadri che riempivano tutte le
pareti, davano all’interno una luce particolare rendendo unico lo spazio entro le mura. Lui attaccò
alla presa della corrente la spina di una stufa elettrica con la resistenza bene in vista che in poco
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tempo diventò incandescente. Ci volle un po’ perché i vestiti si asciugassero e la stanza si riempisse
di odore di terra bagnata, mentre fuori la pioggia continuava a scendere con la stessa pazienza. Si
sdraiò sul divano e cadde in un sonno profondo.
*
Dopo qualche ora, Massimo si svegliò per via di una sensazione di vuoto nello stomaco. Si
trattava di una fame leggera, una di quelle che ti permettono di gustare i cibi e di provare piacere nel
masticare e ingoiare. Se sto ancora a casa, disse a sé stesso, la fame supererà questa soglia e sarò
costretto a divorare velocemente qualsiasi cosa per combattere la sofferenza. I suoi occhi
scivolarono sul pacchetto di noccioline, poi sul tappeto, nel punto dove aveva tolto le scarpe quando
era rientrato. Erano in disordine, una sopra l’altra. Lui le mise ai piedi, prese la giacca e si diresse
verso la porta. L’ombrello si era asciugato. Lo chiuse e uscì per le scale. Quello che lo attirava era il
profumo di carne arrostita proveniente dai chioschi. Ne aveva notato uno all’inizio di Viale
Durazzo, non molto lontano da casa sua. Erano le quattro del pomeriggio, lui affrettò il passo
camminando sul marciapiede in mezzo a tanta gente e il suo sguardo si fermava di tanto in tanto
sulle vetrine dei negozi dalle quali gli arrivava un messaggio indecifrabile. L’odore della carne lo
raggiunse prima che vedesse il chiosco il quale si doveva trovare a una distanza di venti metri. In
una frazione di secondo ebbe la paura che il cibo non fosse sano, che non fosse sottoposto al
controllo delle norme CEE, pensò alla scatola di medicine che aveva portato con sé. C’era tutto in
caso di intossicazione. Ordinò un hamburger con patate fritte che fu pronto in un attimo e dopo
avere ingoiato i primi bocconi, rimase stupito dal suo pensiero. Nelle vetrine mancavano i
manichini.
*
L’indomani, alle otto meno cinque, Massimo arrivò davanti al Collegio Notarile. Lindita era
già lì che lo aspettava con un buongiorno sorridente.
- La pioggia non vuole smettere neanche per qualche minuto, - le disse lui stupito
raccogliendosi dentro l’ombrello.
- Si dice che quando la pioggia non vuole smettere, il diavolo lassù ha lavato le mutande e
le sta strizzando, - gli rispose lei spostando l’ombrello indietro e alzando la testa verso il
cielo pieno di nuvole.
- Sto cominciando a credere, - continuò Massimo e i due scoppiarono in una lunga risata.
- Dobbiamo arrivare in piazza Skenderbe dove si trovano i ministeri. Possiamo chiedere
un appuntamento al Ministero dell’Industria per avere una lista di fabbriche da visitare, disse Lindita mentre camminavano in direzione del centro. – Ecco, si vede la statua di
Skenderbe. Scendiamo le scale e attraversiamo il giardino.
Lindita cominciò a scenderle a tre o quattro gradini in una volta, come faceva sempre, dal
primo giorno che da bambina scoprì di essere in grado di farlo. Massimo la raggiunse e si accorse
che nel giardino stavano alcuni fotografi pronti a scattare delle foto. All’improvviso aveva smesso
di piovere.
- Chiunque viene a Tirana deve fare una foto qua. E’ come un obbligo morale. In tutte le
famiglie ci sono le foto di questo giardino con la statua sullo sfondo.
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-
Non capisco se sei seria o se stai scherzando, - le disse Massimo con lo sguardo
dubbioso.
Non sto scherzando.
Sarà per la prossima volta.
Ecco i Ministeri. Questi edifici sono stati costruiti da italiani negli anni trenta, all’epoca
del fascismo.
Sì, lo stile é proprio quello. Mi sembra che all’angolo vendono i giornali, - la interruppe
Massimo, - mi accompagni a comprarli?
Va bene, – mi dà una copia per ogni giornale, per favore?
Perché spendere i soldi, - rispose il giornalaio, un uomo anziano con tanti capelli grigi e
con la schiena curva, - scrivono tutti le stesse cose, cento lek, grazie.
Grazie a voi.
Guarda, un uomo vende banane – disse Massimo con stupore
Sono buone.
Ci credo, ma io non sono abituato a mangiare banane per strada.
Andiamo?
Qual è il Ministero dell’Industria?
Questo a destra, siamo arrivati.
Massimo, anche se non capiva la conversazione tra Lindita e la persona che stava
all’ingresso, un uomo sulla cinquantina, alto, magro, con un abito doppiopetto color ulivo, si
accorgeva con quanta gentilezza Lindita parlava con lui. Finita la conversazione, i due poterono
entrare dentro. Mentre salivano le scale lei gli spiegava che dovevano arrivare all’ultimo piano.
Bussarono alla porta e al “prego” di una voce femminile i due entrarono dentro. L’ufficio era una
stanza molto grande, con tre scrivanie e con degli angoli salotto. Da dietro un computer, una donna
più o meno di trent’anni, in tailleur color celeste, chiese loro il motivo della visita. Dopo una breve
conversazione i due si diressero verso la porta ringraziandola. Lindita spiegò a Massimo che
dovevano presentare una domanda scritta. Poi aggiunse che se lui non voleva perdere tempo
potevano cominciare dalle visite anche senza avere la lista completa. Lei stessa poteva prepararne
una provvisoria. Massimo le disse che le sarebbe stato grato. Lindita si ricordò che sul terrazzo del
Ministero si trovava un bar. Poteva essere un’occasione per guardare la città sotto un’angolazione
speciale, disse lei. A Massimo piacque l’idea e i due continuarono a salire le scale. Le pareti non
dipinte da anni, la moquette e le tende sbiadite, le porte con qualche graffio di qua e di là, davano
l’impressione che questo posto fosse stato dimenticato da tempo. A consolidare la sua impressione
contribuì la vista del terrazzo con l’acciottolato sparso casualmente, allo stesso modo delle cacche
dei piccioni che sembravano i veri padroni. Massimo si accorse con stupore che nei vari tavoli
occupati si parlava in inglese. La cameriera era una signora di quarant’anni vestita con il classico
costume in bianco e nero, che con il sorriso portò loro i due caffè espressi insieme a due bicchieri
d’acqua.
Massimo posò i giornali sul tavolo e chiese a Lindita se poteva leggerli. Mentre ascoltava le
notizie, il suo sguardo si perse sul boulevard, sul verde intenso degli alberi di pino che in fondo si
confondeva con le varie nuance di verde degli alberi del grande parco.
Il giornalista che scrive questo articolo è un mio amico dei tempi dell’Università. Si chiama
Altin Bushati. Studiavamo insieme architettura. Io ho interrotto gli studi quando sono andata via.
Lui ha cambiato facoltà. E’ andato a studiare giornalismo a Roma. L’unica che non ha permesso
agli eventi di sconvolgerle la vita, è stata la mia amica Valbona. Ha finito gli studi, si è laureata in
architettura. Però adesso lavora alla Banca Centrale, non di certo come architetto.
Massimo notò alcuni uomini armati sul bordo della terrazza.
– Andiamo via, - disse con lo sguardo preoccupato.
Dopo qualche minuto si trovavano sul boulevard.
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- Ti posso accompagnare a casa? – le chiese lui senza nascondere una tonalità tremante nella
voce.
- Va bene, - rispose lei, dobbiamo scendere sul boulevard, poi girare alla piramide, dietro
il parco giochi si trova il mio palazzo.
Dopo un quarto d’ora di camminata silenziosa si trovarono davanti ad un palazzo nel pian terreno
del quale c’era scritto in grande “PITE”.
- Io sono arrivata, - disse Lindita più tranquilla. “Pite” è una specie di pizza molto buona.
- Qualche volta vorrei assaggiarla. Allora domani allo stesso posto?
- Alle otto?
- O.k., a domani.
- A domani.
*
Anche se si trovava a Tirana da pochi giorni, Massimo decise di scrivere la prima
informativa. Avrebbe scritto le prime impressioni, quello che pubblicavano i giornali.
La tranquillità dell’appartamento che risaltava ancora di più dal rumore della pioggia lo
induceva a concentrarsi. Dopo averla inviata telefonò alla mamma. Ciao, come stai? Io sto bene.
Informativa nr.10
In questi giorni a Tirana la situazione è apparentemente tranquilla. La gente sembra
affrontare le giornate normalmente, i locali sono pieni. In verità la situazione interna è tesa, i
cittadini hanno paura. I giornali scrivono che alcune linee telefoniche hanno smesso di funzionare,
che una bomba è scoppiata in un bar del centro, che le strade sono insicure, pullman e macchine
vengono derubati.
*
Massimo aveva studiato in dettaglio la cartina della città. La Posta Centrale non doveva
trovarsi molto lontano da Viale Durazzo. Gli era piaciuto molto l’hamburger del giorno precedente.
Pensò di andare a riprenderlo e poi di fare un salto alla Posta. Il venditore del chiosco, un uomo di
una trentina d’anni, dal fisico robusto, lo riconobbe subito e lo salutò con un ciao all’italiana.
Massimo gli indicò con la mano le cipolle tagliate facendogli capire che questa volta voleva anche
quelle. Tenendo l’hamburger in una mano e l’ombrello nell’altra stette fermo all’incrocio per
qualche minuto per decidere quale strada doveva prendere. Se prendeva dritto arrivava nella piazza
Skenderbe, se prendeva a sinistra arrivava dietro il Museo Nazionale di Storia. A destra doveva
trovarsi la Banca Centrale. Lui credette di vederla e anche se non era sicuro del tutto, andò in quella
direzione. La Posta Centrale non doveva essere lontana. Appena finito di mangiare si trovò davanti
alla Banca. Non aveva l’abitudine di mangiare mentre camminava per strada, ma non gli dispiacque
affatto. Buttò la carta nel cestino e cominciò a girare attorno all’edificio che somigliava ad una L
gigantesca con l’angolo retto ammorbidito da una curva. Cominciò a camminare e si ritrovò
all’interno della L su un giardino. Lo attraversò pensando di fare il giro completo, ma si trovò in
mezzo ad un gruppo di persone che circolavano con mazzi di cartamoneta in mano. Alcuni uomini
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si avvicinarono a lui chiedendogli, dollari, marchi, lire? Più andava avanti più il gruppo diventava
folla e lui non riusciva a vedere neanche la strada. Capì che si trovava al centro del mercato nero del
cambio. Facendosi strada con difficoltà, tornò indietro e dopo qualche minuto raggiunse il suo
chiosco per ricevere il ciao amichevole del venditore di hamburger. Rallentò i passi e decise di fare
un giro prima di rientrare a casa.
*
L’indomani, al solito appuntamento alle otto, Lindita era come sempre sorridente e piena di
voglia di fare. L’ombrello rosso rifletteva sul suo viso una luce calda. Massimo aveva già comprato
i giornali ed era ansioso di leggerli. La foto di Gezim P. era dappertutto.
- Dove lo prendiamo il caffè oggi? – le chiese Massimo dopo il buongiorno. Si sorprese
lui stesso dopo essersi ascoltato. Dove lo prendiamo il caffè oggi? Cosa significa? Non
sei un turista che fa il giro dei caffè. Sei in missione. Comunque sia, a te non è mai
importato dove prendi il caffè.
- Qua vicino, alla Lega degli Artisti, si trova proprio su questo viale. Mio padre era socio e
possiamo entrare.
L’edificio che ospitava la Lega degli Artisti era stato costruito negli anni trenta ed era ben
conservato. Il bar del giardino, con i tavoli e le sedie in ferro battuto dipinto di un verde pisello
chiaro, immerso tra le piante dalle foglie verdi, era molto invitante, ma vista la monotonia con la
quale scendeva la pioggia, nessuno aveva il coraggio di sedersi lì .
- Ci conviene entrare dentro, - disse Lindita a Massimo, facendogli segno con la mano in
direzione delle vetrate.
Avvicinandosi, lui notò il bar al piano terra. Lo spazio circondato da vetrate in ferro battuto
era arredato rigorosamente in stile anni settanta. I due si sedettero nelle poltrone comode e
ordinarono del the caldo al cameriere che gli venne incontro.
– Chi è quest’uomo? – chiese lui a Lindita indicando la foto di Gezim P. sul giornale.
- E’ un grosso trafficante ricercato dalla polizia per una serie di reati. A quanto pare
stavano per prenderlo, ma due giorni fa, poco prima dell’arresto, qualcuno l’ha avvertito
ed è scappato. E’ probabile che abbia superato il confine e si nasconda in Macedonia.
- Il vostro the, - disse il giovane cameriere gentile e sorridente posando con cura la teiera e
le tazze.
Massimo approfittò per cambiare argomento sperando di cambiare anche l’espressione
inquieta del suo viso. – Allora, sei riuscita a preparare la lista delle fabbriche?
- Sì, - gli disse lei aprendo il block notes, – a Tirana e nelle vicinanze si trovano la fabbrica
dei mattoni, del cemento, le fabbriche tessili, l’azienda dell’industria chimica, il poligrafico… Da
dove vuoi cominciare?
- Potremmo cominciare dalla fabbrica del cemento.
- Si trova a Elbasan, a circa un’ora di strada tra le montagne.
- D’accordo.
- Sono contenta che si cominci ad avere interesse per l’Albania nella direzione giusta per
noi, che si riprenda la produzione interna.
- Sì, ma non sarà facile. Raccontami la tua esperienza in Italia.
- Non c’è molto da raccontare. Sono riuscita ad andare via da qua grazie a un mio amico
medico che mi ha trovato un visto per entrare in Italia. Lo sai che noi albanesi non
possiamo uscire fuori dal nostro paese soltanto con il passaporto. Ci vuole una specie di
timbro che si chiama visto che non ti viene dato sulla base del tuo comportamento nei
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confronti della legge o sulla quantità di denaro sufficiente per il viaggio. Bisogna
conoscere una persona all’estero che si fa garante per te. Per me è stato molto difficile
sopravvivere i primi tempi in Italia senza documenti e senza soldi. Per mesi ho lavorato
tantissimo, facevo la cameriera, la baby sitter, naturalmente sottopagata.
- Capisco.
- Quando sono ritornata, ho cominciato a lavorare come interprete e mi sto laureando in
lingue moderne. Seguo il corso per corrispondenza. Guarda, stanno entrando lo scultore
U.M. e il poeta A.S. Scusa, devo andare a salutarli, anzi, vieni con me, te li presento.
Dovevano avere entrambi quasi 60 anni. Lo scultore era un uomo piccolo, con la pelle del
viso stropicciata, ma la luce che emanavano i suoi occhi raccontava di quanta energia raccogliesse
dentro di sé. Stringendogli la mano, sentendo il contatto con i calli e le rughe, Massimo si accorse
della forza di quest’uomo. Il poeta, invece, era alto e sembrava ancora più alto per via dei capelli
neri e ricci dritti in testa. Aveva la pelle liscia, le guance rosse e un’aria caratteristica di chi ha la
testa fra le nuvole. I primi minuti tutti e due si occuparono di elogiare la bellezza di Lindita. Lei li
dovette interrompere per presentare Massimo Matranga il cognome del quale suscitò tanto stupore e
interesse. I due artisti diedero loro appuntamento per l’indomani mattina per consegnare a Massimo
degli appunti sull’immigrazione degli albanesi in Italia durante il XV secolo, dove si parlava anche
della famiglia Matranga.
- Quando li incontro, - disse Lindita a Massimo mentre uscivano dalla Lega degli Artisti,
mi sento così piena di vitalità, gioia, amore, che mi viene voglia di fare una corsa. E
pensare che adesso loro hanno difficoltà a pagare il caffè, perché gli stipendi e le
pensioni sono rimasti quelli di una volta, mentre il costo della vita è aumentato cento
volte.
- Questo è drammatico.
- Avevi detto che alloggi in un appartamento sul viale Durazzo, accanto al Ministero della
Istruzione. Come l’hai trovato?
- Prima di partire, ho telefonato a un numero telefonico a caso e ho chiesto se mi potevano
affittare un appartamento per un mese. Mi hanno risposto di sì e al mio arrivo, mi sono
sistemato lì.
- Mi sembra molto insolito, ma mi fa molto piacere. E’ passato poco tempo da quando si
può telefonare o ricevere telefonate dirette dall’estero e non siamo ancora abituati. Chi è
il proprietario?
- Appartiene a un giovane pittore, infatti le pareti sono piene di quadri, ma non c’è acqua
calda.
- Questo è normale, non c’è acqua calda nei nostri appartamenti. Non è così terribile,
prima o poi ti abituerai a lavarti con acqua fredda.
*
Dopo avere finito la lettura dei giornali e avere dato appuntamento a Lindita per l’indomani
mattina, Massimo voleva riprovare ad andare alla Posta. La sera precedente, ritornando a casa,
aveva rivisto la cartina. La Posta si trovava nella stessa strada della Banca, ma sul lato opposto.
Uscì dalla Lega degli Artisti aprendo l’ombrello e si diresse verso il chiosco degli hamburger che
era diventato ormai il suo punto di riferimento. Sul marciapiede erano caduti i primi frutti degli
alberi di castagno selvatico. Per Massimo era la prima volta che vedeva questo frutto. L’unica
associazione che gli veniva in mente era con i ricci di mare. Tanti ricci di mare sui marciapiedi di
una città dove piove sempre. Non devo arrivare al chiosco, pensò, la Banca Centrale la vedo già.
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Attraversò l’incrocio e continuò a camminare sul marciapiede opposto alla Banca. Sulla destra si
trovava una grande libreria piena di ragazzi delle scuole, più avanti la scritta “Paçe”. Pensò alla sede
di qualche organizzazione internazionale per la pace, ma alla vista del self – service funzionale sotto
la scritta, dovette cambiare idea. I clienti erano tutti uomini che prendevano dal banco dei piatti
fondi e mangiavano in piedi in dei tavoli alti. Tenevano anche un bicchiere davanti, poteva esserci
dentro della grappa.
Tra una cinquantina di metri, in caratteri grandi c’era scritto PTT. Posta, Telegrafo,
Telefono, disse Massimo a sé stesso soddisfatto. Era emozionato. Conosceva molte cose su quanto
succedeva lì dentro. Per un anno intero aveva sentito quello di cui la gente parlava. Aveva anche
immaginato come fosse all’interno. La cosa fondamentale era il tetto basso, doveva essere
esattamente all’altezza delle cabine. Dentro ci doveva stare sempre tanta gente che produceva un
mormorio costante. Le centraliniste dovevano essere grasse, stanche e nervose con il rossetto rosso
sulle labbra, sbavato dal sudore.
Era arrivato di fronte. La Posta Centrale era un edificio luminoso con le pareti in vetro e
marmo grigio. Massimo salì tre gradini e superò la porta d’ingresso.
Lì dovette decidere se proseguire sul corridoio a destra o su quello a sinistra. Senza pensarci molto
si diresse a destra. Una serie di sportelli offrivano i servizi di invio pacchi, lettere, telegrammi, fax.
Ritornò indietro e proseguì dritto. Spinse la porta di vetro e si trovò in uno spazio grande illuminato
molto bene dalle pareti di vetro e dalle riflessioni che produceva il rivestimento in marmo. Ai lati
delle pareti si trovavano delle poltrone nere ordinate in modo tale da sfruttare al massimo lo spazio.
Sulla sua destra un grande banco a U dove una giovane signora in divisa da lavoro grigio e nero
spingeva gli interruttori di una centralina quadrata dal lato di circa quaranta centimetri e parlava al
microfono. La centralina con i suoi colori panna e rosso acceso sembrava la tastiera di una
fisarmonica. Dritto in fondo si trovavano le cabine. Almeno il numero l’aveva indovinato. Erano
una ventina, costruite di un materiale sintetico leggero color panna. Dentro erano rivestite di velluto
rosso. Massimo rientrò a casa e inviò l’informativa su quanto era accaduto a Gezim P.
*
L’indomani, lui aspettava Lindita molto prima dell’appuntamento. Passo a prenderti alle
otto, aveva detto lei, ma lui era sveglio dalle sei del mattino. Non era ancora abituato alla casa non
riscaldata e soprattutto a lavarsi la mattina con acqua gelata. Alle otto meno dieci scese le scale e
dopo qualche minuto vide la figura di Lindita avvicinarsi. Veniva dal centro e camminava sul
marciapiede del viale Durazzo in mezzo a tanta gente.
- Buongiorno!
- Buongiorno!
- L’appuntamento con gli artisti è alle otto e mezza al bar davanti alla Galleria d’Arte
Moderna. Da lì andremo a prendere un minibus che porta a Elbasan. Devi sapere che le
strade non sono molto sicure, non portare molti soldi con te e niente oggetti d’oro.
- Soldi non ne ho molti, ma devo salire a casa a lasciare la catenina d’oro che tengo da
quando ero ragazzo. E’ un regalo di mia madre.
Senza il rumore della pioggia, la città sembrava triste e insieme a lei anche la gente. Dopo
quindici minuti si trovavano all’appuntamento. I due artisti anziani li salutarono da lontano con
entusiasmo.
59
-
Sono degli articoli scritti da un professore di lingua e letteratura albanese dell’Università
di Palermo. Sono scritti in albanese e in italiano, - disse il poeta a Massimo, - avrai come
passare il tempo durante il viaggio.
Io vi saluto, - lo scultore diede la mano a tutti trasmettendogli di nuovo attraverso quella
stretta un po’ della sua forza - devo andare all’ambasciata francese, perché il Console
dopo avere visto i miei ultimi bronzi, mi ha promesso di organizzare una mostra a Parigi.
Tanti auguri zio U.
Dieci minuti dopo Lindita e Massimo sedevano sul minibus targato EL che lentamente
lasciava Tirana passando per il viale Elbasan per intrufolarsi tra colline e campagna dal verde
intenso. Insieme a loro viaggiavano una coppia di signori anziani che andavano a trovare la figlia
sposata e altri due uomini.
Massimo cominciò a sfogliare i quaderni.
“…di flussi migratori consistenti dall’Albania verso l’Italia si parla più comunemente a partire dal
tempo di Skanderbe, in seguito agli accordi da lui contratti con Venezia, con la Santa Sede
e con il Regno di Napoli, per i quali egli a suo tempo rappresentava il muro di difesa dell’Italia che
conteneva l’avanzata turca. Egli stesso e i suoi furono presenti nell’Italia meridionale per far fronte
a particolari necessità militari del tempo, o contro i baroni ribelli del Regno di Napoli o in difesa
delle sue coste contro la pressione turca…”
*
-
Avete messo soldi nelle firme piramidali?
Finalmente ci siamo convinti. All’inizio, ci sembrava strano quello che facevano alcuni,
dare dei soldi ad una persona e dopo una settimana te ne tornava indietro dieci volte in
più.
Quelli che hanno guadagnato davvero sono quelli che hanno osato all’inizio.
Noi, due mesi fa ci siamo decisi a investire tutti i nostri risparmi, circa 200 dollari.
Adesso abbiamo 2000 dollari e io vorrei tenerli, ma mio marito è deciso a metterli di
nuovo nelle firme.
*
-
Tra poco l’autista si fermerà tra queste montagne.
Perché?
Ci sono delle sorgenti d’acqua tra le rocce ed è obbligatorio fermarsi per bere.
“…Tuttavia, nelle colonie militari si trovano la maggioranza dei nomi e cognomi dei personaggi e
delle famiglie più rilevanti del periodo, come vengono ricordate dal Barlezio. E quei cognomi,
spesso anche accompagnati dagli stessi nomi di cinque secoli fa, in Sicilia si tramandano ancora da
nonno a nipote, fino ai nostri giorni. Così avviene ad esempio tra i Bua, Spata, Barcia, Granà,
Masaracchia, Muzacchia, Matranga, Alessi, Petta ecc…”
*
60
-
Anche noi abbiamo guadagnato bene, - continuò uno dei due uomini che dovevano
essere fratelli, - da poco abbiamo venduto la casa e non vediamo l’ora di riprendere i
soldi per ricomprarne un’altra e mettere da parte la rimanenza.
Io non capisco com’è possibile. Ho lavorato per trent’anni alla Cassa di Risparmio e so
che non funziona così. Adesso ho paura che quei soldi non li vedremo più.
Due giorni fa, è apparso al telegiornale un grande politico, diceva che le firme piramidali
sono sicure.
Non lo so.
*
La polvere molto fina che entrava con facilità dai finestrini annunciò a Massimo l’arrivo alla
fabbrica di cemento. Pagarono l’equivalente di mille lire all’autista e si diressero verso l’entrata. La
fabbrica si estendeva su una pianura ed era molto grande. Mentre proseguivano nei corridoi di un
edificio composto solo dal piano terra, ma dalla superficie molto grande, la quantità di polvere
nell’aria aumentava sempre di più e i loro vestiti si coprivano lentamente di un leggero velo bianco.
Il direttore, un uomo sulla cinquantina, dall’aspetto misto tra un intellettuale cinico, un
negoziante spietato e un padre di famiglia dal cuore tenero, era ben disposto ad andare incontro a
Massimo per cercare di sollevare la fabbrica dalla rovina. Anche se erano passati diversi anni dal
cambiamento politico, aveva spiegato lui a Massimo, le leggi ancora non favorivano e non
proteggevano questo tipo di impresa. Per questa ragione, quasi tutta l’ industria, pesante, leggera o
alimentare, stava andando in totale distruzione, portando a zero la produzione interna e aprendo le
strade alla disoccupazione. In questo modo, si facilitava l’entrata di tutti i tipi di merce dall’estero
che raccoglievano il capitale del paese, soprattutto in questo clima dei guadagni facili dalle firme
piramidali.
- Vi offro un bicchiere di raki, - cercò di sdrammatizzare il direttore.
- Grazie, ma io non posso, - rispose Massimo vergognandosi.
- Lei sarà sicuramente del Sud Italia.
- Sono di Palermo.
- Aha, avete la Mafia e il Commissario Cattani, - disse il direttore sorridendo.
- Ho saputo che lo sceneggiato “la Piovra” ha avuto molto successo qua negli anni passati.
- Sì, sì, - aggiunse il direttore, mentre componeva un numero al telefono nero della sua
scrivania girando il disco tre volte. – Tre caffè, per favore. – Signor Matranga, ho visto
tanti colleghi suoi in questi anni, da diverse parti dell’Europa. Siamo ancora qua, la
fabbrica non respira più, gli operai rischiano di perdere il pane per le loro famiglie e
siamo tutti delusi.
I caffè arrivarono in tempo e dopo qualche minuto Massimo e Lindita salivano di nuovo su
un minibus per tornare a Tirana. Non avevano molta voglia di commentare. La polvere di cemento
aveva sbiancato i loro vestiti, le loro scarpe, ma soprattutto i loro capelli aumentando il segno di
tristezza che quella visita aveva lasciato in loro.
Massimo si tuffò di nuovo nella lettura:
“..L’Albania, prima di cadere sotto i Turchi e dopo essere stata per duemila anni nell’orbita delle
civiltà greco-latina e bizantina, pur con tutta la parentesi slava anch’essa bizantinizzata, aveva avuto
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il suo ultimo bagliore medioevale attraverso la figura di Skënderbe. Alla sua morte, una parte del
popolo albanese, almeno quella che militarmente si era più esposta nella lotta contro gli invasori,
prese la via dell’esilio e venne ad impiantarsi prevalentemente nell’Italia Meridionale ed in Sicilia
dove furono accolti benevolmente sia dalle autorità religiose che da quelle civili…”
*
Nella strada di ritorno il gruppetto dei passeggeri del minibus era composto da una famiglia,
padre, madre e figlia ventenne, che giudicando dai vestiti, dovevano venire dalla campagna, e da
una coppia di giovani sposini, che, a giudicarli dai vestiti nuovissimi e di colori forti, dovevano
venire anch’essi dalla campagna.
-
-
Perché andate a Tirana?
Ahhh, figlia cara, abbiamo un grosso problema. Nostra figlia era fidanzata con un
ragazzo del paese, famiglia per bene, un bravo ragazzo. Sono usciti insieme diverse
volte. Lui si è accorto che lei è strabica e l’ha lasciata. Siamo tutti disperati.
Abbiamo sentito che a Tirana, in ospedale, c’è un medico molto bravo che opera e
guarisce da questo male. Noi non veniamo mai a Tirana. Io ho insegnato per trent’anni
alla scuola media del paese e mia moglie ha lavorato in cooperativa. Abbiamo cinque
figli.
Adesso siamo in pensione e ci occupiamo della terra che ci hanno dato in questi anni,
delle mucche e degli altri animali domestici.
Ma questa storia ci ha sconvolti.
Non conosciamo nessuno a Tirana, abbiamo trovato l’indirizzo di un cugino di secondo
grado che non ho mai visto in vita mia e stiamo andando da lui per la prima volta.
Gli stiamo portando anche dei fagioli, del miele. Dovremmo stare diversi giorni da lui.
Il mio patrigno è primario in ospedale. Andate a trovarlo, vi scrivo qua l’indirizzo.
Grazie, figlia, che il Signore ti faccia il giorno mille.
Di nulla, vi auguro che vada tutto per il meglio e che vostra figlia trovi un uomo migliore
che le voglia veramente bene.
Grazie, figlia, le tue parole all’orecchio del Signore.
*
Stava facendo buio. Attraversando quelle strade di montagna illuminate soltanto dai fari del
minibus, Massimo capì per la prima volta il significato del buio. La sposina aveva appoggiato
leggermente la testa sulla spalla dello sposo e anche se teneva gli occhi chiusi per nascondersi, tutto
il suo essere trasmetteva le emozioni che stava vivendo.
Tra un quarto d’ora si sarebbero avvicinati alla capitale e lui volle leggere le ultime righe
anche a costo di sforzare gli occhi.
“…Fu meraviglioso che quegli esuli soldati, titolari di imprese grandiose, decidessero di restare
uniti, anche a condizione di cominciare a fare i contadini per sopravvivere, o di continuare a farlo
62
come usavano nella loro terra d’origine quando non erano impegnati nelle guerre. Così diedero
origine a un nuovo popolo dalle caratteristiche molto particolari …”
*
Il “siamo arrivati” dell’autista sembrò quasi magico, anche se da un po’ le luci della città
avevano svegliato tutti, perfino il pudore della giovane sposina.
- Io farò un altro viaggio, - aggiunse l’autista.
- Che il Signore te la mandi bene, - gli augurò la famiglia campagnola.
- Grazie e buonanotte a tutti.
- Dite buonanotte alle sei del pomeriggio? – chiese Massimo stupito a Lindita.
- Scusami, ma sono stanca, - ho tradotto tutto il giorno.
- No, scusami tu. Ti volevo chiedere… se posso darti un anticipo per il lavoro.
- Ma certo, mi farebbe comodo.
- Ecco centomila lire.
- Grazie.
- Grazie a te.
- Guarda, il parco Rinia è tutto illuminato dai locali. Ti va di prendere qualcosa?
- Questo prima era un parco?
- Sì, tutto prato e alberi.
- Adesso sembra Las Vegas.
- Sediamoci qua.
*
-
La giornata è stata lunga, ma adesso hai un’idea iniziale sul lavoro che ti aspetta, - gli
disse Lindita con lo sguardo serio.
Perché portare alla distruzione fabbriche così buone che potevano produrre e fare
lavorare la gente? - continuava Massimo mentre ordinava caffè e succo di ciliegia al
cameriere che sorridente si era avvicinato al tavolo.
Credo che a qualcuno interessi che si riducano male per poi comprarle a basso prezzo. Il
processo di privatizzazione è diventato molto complicato.
Non ti voltare, - le sussurrò Massimo – Alle tue spalle, un uomo sta uscendo un grande
mazzo di cartamoneta da una borsa piena di soldi. La tiene sotto le sue gambe.
Non mi impressiono di questo, sta diventando la norma ed è molto preoccupante. Vedi i
locali strapieni in tutte le ore, si spende soltanto. Io ho paura che qualcosa scoppi e dovrò
andare di nuovo via. E’ meglio che ci alziamo.
Va bene – disse Massimo lasciando i soldi per il conto sotto il posacenere.
Come impari in fretta, - gli disse Lindita divertita, - allora a domani.
Domani possiamo vederci anche più tardi. Se per te va bene, alle dieci al solito posto.
Va bene, buonanotte!
Buonanotte!
63
*
Informativa nr.11
Le parole più usate negli ultimi mesi nel paese sono “le piramidi”. Si tratta di società che
producono soldi. Ne metti dieci e fra una settimana ti danno indietro cento. I primi che hanno fatto
la prova con la pensione o lo stipendio sono rimasti entusiasti e tutti li hanno seguiti. I bar e
ristoranti aumentano e insieme a loro anche i clienti. L’idea è stata lanciata anche agli emigranti per
mettere dentro le piramidi i loro risparmi.
Sembra che la nascita di queste società finanziarie sia il risultato del bisogno della nuova
casta criminale di avere a disposizione denaro da utilizzare nelle sue attività illegali ed è stata
favorita dal non funzionamento del sistema bancario.
E’ molto probabile che presto si verifichi un collasso economico che porterebbe
all’impoverimento della popolazione. Gli emigranti potrebbero sospendere l’invio del denaro nel
loro paese, gli investitori stranieri potrebbero bloccare i loro affari e ricomincerebbe l’ondata
dell’emigrazione.
*
Massimo era talmente abituato al suono della sveglia che la sentì suonare allo stesso orario
anche se non l’aveva attivata. Stava cominciando a piacergli stare sotto i piumoni caldi, mentre
fuori faceva freddo ed era ancora buio. La sera precedente, dopo avere scritto e inviato
l’informativa, aveva pensato di concedersi mezza giornata di vacanza. Infatti, si alzò con comodo e
si sedette al Caffè “Flora” per prendere il suo espresso. Preso il caffè andò a guardare nei negozi di
souvenir che aveva notato nei giorni scorsi accanto al Caffè. Seduto vicino alla finestra accanto la
macchina da cucire un signore di mezza età preparava dei ricami dorati su una stoffa rossa, parte di
un costume tradizionale maschile. Massimo notò dei vasi in alabastro, dei lavori in rame, dei tappeti
di varie dimensioni. Voleva prendere un ricordo alla mamma e alla fidanzata, ma non sapeva
scegliere. Nel portone accanto, un signore su una sessantina d’anni, molto magro, con capelli
brizzolati, lavorava con della filigrana d’argento, seduto davanti ad un tavolino di legno che portava
i segni di tanti tagli. Con le mani affusolate e forti, giocava con il filo attraverso una specie di
uncinetto, arrotolandolo e formando varie figure, per poi incastrarle dentro dei ventagli di piccole
dimensioni, di larghezza circa venticinque, venti e quindici millimetri. Massimo spostò lo sguardo
da quelle mani soltanto per trasferirlo sul paio di orecchini che l’artista stava creando. Pagò molto
contento e corse all’appuntamento con Lindita.
Lei come sempre era puntualissima. Il primo appuntamento era con il giornalaio. I titoli dei
giornali non erano per niente rincuoranti. Lindita cominciava a pensare che non era davvero
indicato spostarsi nelle strade interne del paese o uscire di casa nelle ore tarde della notte.
- Devo riflettere, - disse Massimo pensieroso, - oggi però ci prendiamo una vacanza. Ti fa
piacere se andiamo a pranzo insieme?
- Va bene.
64
-
Ieri sera, mentre cercavo un posto dove mangiare, ho scoperto un ristorante non molto
lontano da qua.
Il ristorante si trovava dove viale Durazzo si univa alla Piazza del Museo Nazionale. La
pioggia era finita, ma i platani della piazza avevano accumulato parecchia acqua che tranquilla
scendeva costringendo i passanti a tenere ancora gli ombrelli aperti. Da lontano si sentiva un buon
odore di carne speziata e Lindita spiegò a Massimo che sicuramente stavano cucinando qofte, una
specie di polpetta tipica cotta ai ferri. Ordinarono qofte, con contorno di patate fritte, insalata e salsa
di yogurt.
- Questo piatto si può accompagnare soltanto con raki, - disse il cameriere sorridendo e
schiacciando l’occhio a Lindita.
Da quando venivano dei clienti italiani, i camerieri avevano capito che loro non
pasteggiavano con la grappa, ma con il vino. Così si divertivano a prenderli un po’ in giro.
Naturalmente, Lindita stette al gioco e per la sorpresa di Massimo prese un bicchiere di grappa
simile a quello dell’acqua per la grandezza.
- Non ti preoccupare, - cercò di tranquillizzarlo lei, noi siamo abituati al raki. Se hai mal
di denti, bevi raki, se hai mal di testa, bevi raki, se hai raffreddore, bevi raki. Raki,
cipolla e aglio, sono i rimedi contro tutte le malattie.
- Guarda che comincio a crederci.
- Ti va di conoscere i miei amici?
- Volentieri.
- Ti sarà anche utile parlare con loro. Sono delle persone in gamba che lavorano ogni
giorno con la gente e hanno un’idea corretta di come si possono svolgere più o meno gli
eventi in questo paese. Valbona è la mia migliore amica. Altin è il giornalista, ormai
conosci quello che scrive. Mentre Piro è … è una di quelle persone alle quali chiedere
consigli nei momenti più difficili della vita. Se ti va possiamo vederci a cena.
- Va bene, - guarda stanno portando i piatti. A dire la verità io non mangio yogurt se non è
alla frutta o con lo zucchero.
- Ma non è yogurt fatto dal supermercato, l’ha fatto la pecora.
*
-
-
Ho visto delle locandine. Rappresentano un seno che esce da un muro, un bambino che
allatta e un occhio che piange sul muro. C’era scritto…
Rozafa.
Sì, guarda, ce n’è una anche qua.
Il Teatro Nazionale mette in scena Rozafa. Si tratta di una leggenda albanese. Una donna
viene sacrificata tra le mura del castello perché questo possa resistere. Lei ha un
bambino neonato e come ultimo desiderio chiede che le lascino fuori dalle mura un seno
per allattarlo, un braccio per accarezzarlo, un occhio per guardarlo.
Sento i brividi.
Anch’io, ogni volta.
Ti accompagno a casa?
Grazie, ma devo fare un salto all’Università.
Allora ci vediamo stasera.
Alle sette al bar dietro il Museo.
Alle sette. Ciao.
Ciao.
65
*
Valbona Guralumi era contenta di essere rimasta sola a casa. Alla Banca Centrale dove lei
lavorava, il tempo lavorativo si era esteso appropriandosi di quello privato, di quello delle faccende
domestiche, addirittura di quello dedicato al sonno. Così, al matrimonio di sua cugina poteva
andarci soltanto sabato sera, l’ultimo giorno dei festeggiamenti. Tutti erano partiti da Tirana per
raggiungere quella piccola città, viaggiando attraverso una catena di montagne di 1600 m per più di
un’ora. L’ultima volta che c’era stata, dalla finestra dell’autobus aveva visto un’aquila.
Essendo sola aveva pensato di rimanere a lungo sotto la doccia. Voleva rispettare i suoi ritmi lenti
nell’asciugarsi e nel vestirsi, ma la suoneria del telefono la costrinse a correre. Percorrendo lo
spazio tra la porta del bagno e quello della sua stanza, il riflesso sullo specchio che riempiva lo
spazio tra le due porte, di un corpo sul quale lo scultore lavora da mille anni e non vuole né fare
rumore, né trasmettere dolore, la costrinse a rimanere immobile.
Più lei osservava a bocca aperta la linea dritta delle spalle, ammorbidita armoniosamente
all’esterno per dare luogo alle braccia lunghe ed eleganti e con qualche interruzione per continuare
dritta da sotto le ascelle ad una vita stretta, più il riflesso era deciso a non andarsene. Stava fermo
riflettendo insieme alle forme anche il forte contrasto di colori tra la pelle color grano ed il nero di
un perfetto triangolo che avrebbe cambiato forma se lei si fosse mossa, trasformandosi in una
superficie irregolare.
- Alò!
- Ho un cliente nuovo, è un affarista italiano.
- E’ carino?
- Usciamo insieme stasera. Telefono io a Piro o tu?
- Lindita, sto morendo dal freddo.
- Ho capito, glielo dico io. Gli dico di venire con Altin.
- Va bene, sono congelata.
- A casa di’ che dormi da me.
- Non c’è nessuno a casa mia, sono andati tutti al matrimonio di Arjana.
- Ci vediamo al Bar Piazza tra un’ora.
- O.K.
*
Il Bar Piazza non si trovava molto lontano da casa sua, ma Valbona si sentiva a disagio a
percorrere quelle strade di sera. Lei rispettava molto le sue abitudini, seguiva i suoi ritmi di sempre
e desiderava che nella sua vita non cambiasse nulla. Andava sempre alla stessa biblioteca, negli
stessi orari, comprava il pane sempre nello stesso panificio. Le piaceva molto incrociarsi per strada
con le stesse persone che per motivi di lavoro o personali, camminavano tutti i giorni agli stessi
orari nella direzione opposta alla sua. Negli ultimi tempi le strade e i marciapiedi erano affollati da
gente nuova che lei non aveva mai visto prima. Quello che aumentava il suo disagio e la faceva
sentire estranea alla sua città era il fatto di non potere identificare la fisionomia di questa gente. Lei
distingueva gli albanesi del nord, perché in genere sono molto alti, hanno un fisico asciutto, capelli
e occhi chiari e spesso il naso aquilino. Quelli del sud sono più bassi, scuri e con lineamenti più
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morbidi. Le persone che guardava negli ultimi mesi per le strade di Tirana rappresentavano un tale
miscuglio di forme e colori che lei non sapeva più a cosa attribuire i geni dominanti.
Dopo dieci minuti di camminata, si trovava davanti al Museo Nazionale e il Bar Piazza si
trova proprio dietro il Museo, nascosto sotto i platani e immerso nel verde dei cespugli tra varie
fontanelle che spruzzano acqua in continuazione. Distinse subito Lindita avvolta nel suo cappotto
nero e il ragazzo accanto a lei, seduti sulle sedie alte e pesanti in ferro battuto di fattura moderna,
attorno ad un tavolo, in mezzo a tanta altra gente. Valbona non sopportava il freddo, ma la gente a
Tirana sta volentieri nei bar all’aperto davanti a un bicchiere di raki.
*
-
Io esco raramente la sera, - cercò di giustificare Valbona il disagio che provava a uscire
con il buio. Lei è da poco qua?
- Come fate a parlare così bene le lingue straniere? – disse Massimo Matranga senza
nascondere il suo stupore nel sentire parlare Valbona in italiano.
- La mia teoria è che nei secoli abbiamo sviluppato le capacità comunicative in tante
direzioni portandole ad un alto livello. Il passaggio da una lingua all’altra è soltanto un
particolare tecnico. Poi ci sono quelle teorie sul fatto che l’albanese è una lingua antica,
madre di tante lingue. Nella nostra lingua l’uccello non cinguetta, ma cicerona.
- O mia Afrodite,- si sentì la voce dal tono ridicolo di Piro Kuqani che arrivando aveva
sentito parlare Valbona, - Afer dites, in albanese significa vicino al giorno, - continuò lui
presentandosi al nuovo ospite.
- Lui è il giornalista, - disse Lindita abbracciando Altin che aveva un’aria timida.
- Leggiamo ogni giorno i suoi articoli, - gli disse Massimo senza nascondere
l’ammirazione.
- Nella situazione in cui si trova il nostro paese non è difficile trovare argomenti su cui
scrivere, - rispose Altin che ancora non si sentiva a suo agio.
- Altin oggi è anche un uomo molto ricco, - disse Valbona cercando di togliere la tristezza
che aveva preso tutti all’improvviso.
- Non è vero. Io non sono ricco. Mia madre è stata fortunata. Prima era la direttrice
dell’azienda telefonica dello stato. Con la privatizzazione, a lei spettava una parte
dell’azienda. Ma non si sapeva che le telecomunicazioni sarebbero diventate uno dei
business più fruttuosi.
- Non ti devi giustificare. Noi siamo contenti per te.
- Cosa gli facciamo assaggiare all’ospite italiano, byrek?
Piro disse qualcosa, ma il suono di una sequenza di spari era così forte che nessuno poté
capirlo. Alcune persone passarono loro davanti correndo. Quelli che stavano seduti al bar si
alzarono, qualcuno disse che era morto un ragazzo.
- E’ questo il motivo per cui non esco la sera, - si rivolse Valbona a Massimo quasi
contenta di potersi giustificare. Voglio andare a casa.
- Si è interrotta la corrente.
- Andiamo a casa di Valbona, è quella più vicina.
- Qualcosa brucia.
67
*
Per quanto loro avessero il passo veloce, ci vollero dieci minuti per arrivare dal bar Piazza
alla Posta Centrale, altri dieci per proseguire verso il Tribunale d’Appello e raggiungere l’abitazione
di Valbona. Dopo ogni sparo Massimo teneva il fiato sospeso calcolando la probabilità che aveva di
diventare un bersaglio, senza che questo fosse l’obiettivo di chi sparava. Il buio profondo che li
circondava aumentava le loro incertezze. Quando arrivarono davanti alla sua scala Valbona disse
che i gradini che separavano due piani di riposo erano nove. Se contavano, avrebbero evitato di
cadere.
Una volta entrati dentro casa, tutti emisero un sospiro di sollievo.
– Ho avuto l’impressione di vivere nel terrore interminabile, - disse Altin abbracciando
Valbona.
- Vado a prendere le candele, - poi ci prendiamo un po’ di grappa, - disse Valbona
accarezzando Altin sulle spalle. – Se non torna la corrente, non possiamo cenare, si
chiacchiera e si dorme.
- Mi dispiace Massimo, - pronunciò Lindita, - mi dispiace tanto. Forse è il caso che tu
rientri in Italia.
- La luce delle candele è sempre più accogliente della luce elettrica. Alcuni angoli della
casa rimangono non illuminati lasciando uno spiraglio aperto alla fantasia.
- Qua c’è la bottiglia di grappa fatta in casa come si deve. Il medico vi consiglia di alzare
il gomito. – Piro cercava di dare una svolta alla serata.
- Sto pensando all’odore di casa mia, si sente soltanto i primi momenti quando si arriva da
fuori.
- Ogni casa dove le stesse persone vivono per un periodo di tempo ha un suo odore
caratteristico, frutto di un armonioso miscuglio di sudori e profumi di ognuno, di odori
dei cibi che si cucinano e degli aromi che ci si mettono, di quanto uso si fa di detersivo e
ferro da stiro.
- Si può dire che io sono cresciuta in diverse case, - continuava Valbona. - Da piccola,
regolarmente, facevo visita in due-tre case dei vicini, in questa scala. In quelle frazioni di
minuto, mentre aspettavo che l’intensità sempre crescente del rumore dei passi lasciasse
il posto a quel “chi è?” accompagnato dall’apertura della porta e dal fuoriuscire di un
odore conoscente, sul mio naso scivolavano veloci e puntuali tutti gli odori degli stipi
della dispensa, da quello che conteneva fagioli e farina a quello dei biscotti e liquori; dal
forno e il frigorifero ai salumi e la frutta secca;
- E’ così forte l’odore di bruciato.
- Mi sembra che bruci la Biblioteca del Quartiere.
- Preparo i letti finché ancora si vede qualcosa.
- Mi dispiace disturbare.
- Non lo dire neanche.
*
L’indomani, Piro e Altin furono i primi ad andare via con il presentimento che li aspettava
una giornata pesante in ospedale a al giornale. Valbona uscì più tardi per andare in Banca. Con lei
scesero anche Lindita e Massimo. Comprarono i giornali, lei gli tradusse velocemente gli articoli
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importanti e andò incontro alla mamma per tranquillizzarla. – Ci vediamo alle dodici al Collegio
Notarile? - le aveva chiesto lui. – Va bene.
Era una giornata secca. Si può chiamare secca una giornata non piovosa? Dicono che se si
dimentica di portare l’ombrello, piove. Io non lo porto da ieri sera e ha smesso di piovere. Devo
andare a casa. Devo scrivere qualcosa ai colleghi, ma non so più qual’è la mia missione. Restare e
continuare ad informare il mio ufficio sulla situazione interna? Seguire le tracce di Gezim P.?
Salvare Lindita, andare via insieme a lei? Dirle che la amo? Ho mal di testa. Sento freddo.
I piedi lo portarono sotto il suo appartamento. Massimo si sentiva circondato dal silenzio. Si
fermò alla pasticceria per prendere un pezzo di torta al cioccolato e salì le scale. Entrando in casa
schiacciò l’interruttore della luce. Non aveva mai provato tanta gioia nel vedere accendersi una
lampadina. Quella luce che si percepiva appena perché si confondeva con l’illuminazione naturale
della casa alle dieci del mattino, gli diede la serenità. Si sedette per scrivere l’informativa, ma riuscì
a scrivere soltanto due righe. Il mal di testa non lo abbandonava. Si era soltanto camuffato per un
po’. Attivò la sveglia per le undici e trenta e si infilò sotto le coperte.
*
Informativa nr. 12
Ieri a Tirana si è sparato durante tutta la notte. Il motivo si è appreso stamattina dai giornali.
Le società finanziarie dette “firme piramidali” sono crollate.
*
Al risveglio, Massimo corse in cucina a finire il pezzo di torta lasciato a metà. La crema di
cioccolato si scioglieva in bocca riempiendolo di dolcezza. Al finire dell’ultimo boccone, suonò la
sveglia. Lui la spense, compiaciuto di averla battuta di qualche minuto e si ritrovò davanti
all’armadio con l’espressione, “che cosa mi metto?” Non si faceva questa domanda dai tempi del
Liceo. Scelse un pantalone di velluto marrone ed una maglia di lana arancione. No, arancione non
va bene, metto quella beige. Quella l’ho messa due volte, forse si deve lavare. Sentiamo? Fa buon
odore. Scarpe, sciarpa, giacca e via per le scale. Questo mal di testa non vuole smettere. Avrò la
febbre?
Attraversò la strada e si trovò davanti al portone del Collegio Notarile. Lindita lo prese per il
braccio e lo diresse verso il bar dell’angolo.
- La situazione è molto critica. Hanno bruciato il giornale dove lavora Altin. Gli ospedali
sono pieni di feriti.
- Sediamoci.
- Devi andare via.
*
69
-
Per arrivare qua, sono passato dall’incrocio.
Si trovano mucchi di libri.
Ho camminato sopra, tremo tutta.
Dalla finestra ho visto gente riempire i sacchi di libri sotto gli spari.
Non so cosa ancora vedranno i nostri occhi.
Il professore che abita nel palazzo di fronte ha rischiato la vita per l’erbario.
Sono andati a bruciarlo?
Lui ha bloccato la porta chiedendo 24 ore di tempo per salvare il materiale. Gli è andata
bene. Tutti i vicini sono andati ad aiutarlo e ognuno conserva in casa una parte
dell’erbario.
*
Loro due stavano ancora dentro il bar dell’angolo, ma non avevano molta voglia di parlare.
Sorseggiavano lentamente salep, la bevanda calda e densa che servono i bar di Tirana nelle giornate
fredde. Il primo a rompere il silenzio fu Massimo.
- Mi dispiace che non ti sei trovata bene nel mio paese.
- Non ho detto questo. L’Italia è un paese bellissimo. Mi son fatta tanti amici e mi è
dispiaciuto lasciarli. Non posso dimenticare la prima gita in macchina fuori dalla città.
Noi, qua, non potevamo muoverci senza che venisse informato il commissariato di
polizia, potevamo viaggiare solo sugli autobus dello stato che venivano controllati
regolarmente dai posti di blocco della polizia, lo stesso per i treni. Piro, che si è laureato
in Francia, mi aveva parlato di questa sensazione di libertà, ma solo quando l’ho provata
ho capito cosa significasse.
- Allora, perché non sei rimasta ancora, vedi cosa succede qua?
- Te l’ho spiegato che il visto per restare in un paese straniero dura più o meno un mese.
Poi sei nessuno, non hai nome, cognome, non hai il diritto di calpestare quella terra dove
anche se ti trovi bene, per te diventa estranea.
- Potevi cercare un lavoro.
- Conosci l’alto grado di disoccupazione. Negli uffici dell’emigrazione ti dicono che per
un cittadino di un paese che non fa parte della Comunità Europea, l’unico lavoro
dipendente per il quale si può ottenere il permesso di soggiorno è quello di assistenza per
le pulizie presso una famiglia per un minimo di due anni. Di seguito si può cambiare il
tipo di lavoro. Pensi che avrei dovuto utilizzare così i migliori anni della mia vita?
- Scusami, non volevo dire questo, - Massimo non disse altro, ma la fronte gli si riempì di
rughe e le sue labbra copiarono la forma delle labbra della mamma quando diventava
triste. Lui voleva dire a Lindita che l’avrebbe portata con sé, che se la lasciava lì e poi le
succedeva qualcosa, il rimorso lo avrebbe corroso per tutta la vita. Non si sarebbe mai
perdonato.
- Mi sembri molto raffreddato.
- Sì, lo sono.
70
-
Ti va di provare un rimedio antico? Lo fa una vecchina che abita vicino a me.
Naturalmente, passiamo anche dall’ambulatorio.
Va bene, - rispose Massimo finalmente sorridente. - Premettendo che ci arriviamo vivi.
Devo salire per qualche minuto a casa.
Ti aspetto qua.
Sto tornando.
*
Informativa nr.13
La situazione è sempre più tesa. In queste ultime ore la città è stata avvolta dal silenzio, ma
si prevede una rivolta di dimensioni gigantesche.
*
Massimo impiegò un quarto d’ora per salire, inviare l’informativa e ritornare al bar.
Dall’ufficio gli avevano detto che poteva rientrare. Doveva decidere il giorno. Dalla valutazione dei
fatti, sarebbe già dovuto partire, ma un forte senso di incompiutezza glielo impediva. Ha ragione
Lindita, pensò, in questo posto gli eventi si susseguono velocemente e influiscono fortemente sulla
vita degli abitanti. Ma io non sono uno di loro, sono venuto qua per completare un’indagine. In
ufficio avevano sotto controllo uno dei cellulari di Gezim P. Si trovava in Macedonia e dirigeva da
lì i suoi affari.
Lei gli fece segno con la mano da dietro il vetro del bar, poi si alzò e lo raggiunse.
– Sei pronto per essere guarito dal raffreddore?
– Prontissimo.
– Allora di corsa in direzione di casa mia.
Arrivati a casa della vecchina, dovettero ascoltare il suo ritornello, che i giovani non
dedicano mai abbastanza attenzione alla salute, che si vestono leggeri, che si bagnano sotto la
pioggia. Continuando sugli stessi argomenti, lei aprì un cassetto da dove uscì dodici candeline alte
più o meno un centimetro e dodici bicchierini dal bordo arrotondato. Ordinò a Massimo di
spogliarsi dalla vita in su e di coricarsi sul divano-letto che lei stessa aveva coperto di lenzuola
bianche. Distribuì le candele su tutta la sua schiena perfettamente equidistanti una dall’altra.
Cominciò ad accenderle e ogni volta che ne accendeva una la copriva con il bicchiere apposito.
Dopo avere finito il rito con tutte e dodici le candele, coprì Massimo con una coperta di lana. In
silenzio calcolava il tempo in cui la prima candelina si sarebbe spenta per continuare il suo lavoro.
Piano piano, Massimo si sentì avvolto da una sensazione di caldo non invadente, ma
piacevolmente penetrante. Era tutto così nuovo per lui, a tal punto da cullarsi tra il sogno e la realtà
senza sentire il bisogno di accertarsi in quale stato si trovasse veramente. All’improvviso si sentì
come dentro la vasca da bagno a casa sua, dalla mamma. Aprendo gli occhi scoprì che si trovava
ancora sul divano a casa della vecchina con addosso le garze bianche. Con lo stesso tono di voce
con il quale gli aveva ordinato di spogliarsi, lei gli ordinò di vestirsi in fretta, mettendogli davanti
una tazza di the di montagna, profumato e tiepido. Lindita diede dei soldi alla signora anziana e i
due andarono via.
- Io vado a casa.
71
-
Anch’io. Ci vediamo domani mattina alle dieci, al solito posto.
D’accordo, a domani.
A domani.
*
Dopo avere riposato nel pomeriggio, Massimo Matranga si sentiva davvero meglio. Il mal di
testa non lo aveva disturbato più. Il rimedio antico ha funzionato, pensò sorridente. Preparò un the
caldo e sedette vicino alla finestra. Gruppi di persone si muovevano velocemente per le strade. Lui
era stato preparato dall’Accademia Militare, quindi doveva essere in grado di capire, sostenere e
prevedere situazioni di conflitto armato. Ma questa non era una scuola, qua tutto era reale ed era
difficile fare previsioni su come si sarebbero intrecciati gli eventi. Nell’imbrunire cominciarono i
primi spari. Massimo capì che il posto più sicuro della casa era lo spazio tra il pavimento e il letto.
Prese delle coperte di lana e passò lì diverse notti.
*
Informativa nr.14
L’ultima settimana nel paese sono stati aperti e saccheggiati tutti i depositi di armi. Sono
giorni che le città si svegliano e si addormentano sotto gli spari continui. L’aria sa di polvere da
sparo e le strade, i balconi, tutto é rivestito di un tappeto di bossoli. Bruciano gli edifici dei
Tribunali, Procura, Palazzi di Cultura, Musei, Alberghi, Commissariati di Polizia e vengono liberati
tutti i carcerati. Bruciano Municipi, Casse di Risparmio, Banche, Biblioteche. Ci sono delle bande
armate che rubano, bruciano, violentano, rendono la vita insicura a tutti. Adesso, la merce che rende
di più al “trasporto” sono armi e munizioni, si trovano in quantità indescrivibili e per il momento
gratis, a mucchi per le strade. Le persone sono impaurite, la morte per chiunque è dietro la porta,
cercano di andare via e si rivolgono al “trasporto”.
*
-
Chi è?
Apri, sono Lindita.
Stai bene?
Sì, ma non potevo uscire di casa. Ti sei reso conto di quanto si è sparato in questi giorni?
Sì, anch’io sono rimasto nascosto in casa.
Hai capito che devi partire?
72
-
…
Ti ho portato i giornali degli ultimi giorni. Te li lego velocemente e torno a casa.
Ti va un cognac?
Volentieri.
*
Informativa nr.15
Lo stato proclama la situazione straordinaria per un tempo indeterminato affidando così la
sicurezza interna del paese all’esercito. A Tirana si spara dappertutto, nelle strade del centro e lungo
il boulevard Deshmoret e Kombit dove si trovano gli uffici e gli alberghi più importanti della
capitale. L’aeroporto è chiuso, il porto di Durazzo è fuori uso dopo che migliaia di persone hanno
preso la strada del mare. Gli stranieri sono scappati in massa.
*
Informativa nr.16
Sono stati saccheggiati i musei di Tirana e il museo archeologico di Durazzo. Sono stati
depredati siti archeologici come quello di Buthros dove le bande hanno rubato o distrutto reperti di
grande interesse storico e artistico. Il “trasporto” lavora più che mai.
*
-
Sei ferito?
E’ solo una macchia di sangue, vengo direttamente dall’ospedale.
Io mi sono nascosta sotto il letto per tanto tempo.
Da noi nessuno ha abbandonato il lavoro.
Stringimi forte.
Delle bande armate hanno circondato l’ospedale. Avevamo appena salvato una vita, loro
sono entrati dentro la sala operatoria e l’hanno ucciso mentre era ancora sotto anestesia.
Guarda quel buco sopra il mio letto, se ieri sera restavo ancora seduta lì, il proiettile
avrebbe preso me.
Ti amo.
Ti amo anch’io.
*
73
Informativa nr.17
Tragedia nel paesino chiamato Qafe-Shtame. Due tunnel con materiale militare sono stati
avvolti dalle fiamme e poi sono scoppiati portando alla morte una ventina di persone.
Migliaia di cittadini di Scutari e dintorni da martedì aspettano sulle coste di Velipoje la
partenza per l’Italia.
Bomba scoppiata alle 12:30 in un bar di Tirana. La sera stessa, pochi minuti prima delle
nove, è scoppiata un’altra bomba nello slargo del Viale di Kavaje, al capolinea degli autobus
provenienti dalla periferia.
*
Informativa nr.18
Ad Argirocastro, città del sud dell’Albania, vicino al confine con la Grecia, non funziona
nessun servizio o organismo amministrativo. L’unica istituzione che funziona è il consolato greco
che fornisce i visti ai cittadini albanesi che si recano in Grecia. L’attività che funziona bene è il
“trasporto” di persone. Un visto sul passaporto costa 1000 dollari, mentre un passaggio per la strada
di montagna costa circa 350 dollari.
*
La mattina di giovedì si prospettava una giornata tranquilla. Probabilmente era il forte
desiderio che fosse tale dopo giorni di terrore. Massimo desiderava che Lindita bussasse alla porta.
Amore, sono qua, sono viva, usciamo, ti va l’agnello allo yogurt? Nooo, non mangio agnello con lo
yogurt. Lindita bussò davvero alla porta di Massimo.
-
Ciao, come stai?
Vivo.
Ti ho portato i giornali.
Grazie. Facciamo un’ultima cosa prima che io parta?
Cosa?
Ho sentito che sulle colline hanno costruito un nuovo centro benessere.
Lo so, il proprietario è il grosso trafficante Gezim P.
Come lo sai?
Lo sanno tutti.
Massimo lo sapeva e per questo voleva andarci. Dall’ufficio gli avevano detto che Gezim P.
si trovava in Albania, che sicuramente avrebbe approfittato della situazione di caos per compiere i
suoi affari. Inoltre, gli avevano ordinato di tornare immediatamente in Italia.
74
-
Vorrei andarci.
Ho sentito che è molto bello, ci sono piscine, vasche con acque termali, campi da tennis,
ristoranti, ma è rischioso andarci. Sentiamo cosa dice Piro, se lui ci accompagna io
vengo, altrimenti...
Va bene. Ah… ti do la paga, prima che … non si sa… se ci perdiamo.
Va bene, grazie.
*
Qualche ora dopo la Mercedes Benz color miele di Piro, produzione tedesca degli anni
ottanta, seguiva una strada serpeggiante sulle colline di Tirana. Viaggiavano da circa 15 minuti nel
silenzio. Ultimamente le orecchie si erano adattate al suono degli spari e la mancanza di tali suoni
comportava uno sforzo da parte dell’organo dell’udito. Il verde intenso che copriva le colline
trasmetteva a loro attraverso l’occhio un tale senso di conforto e pian piano tutti e tre cominciarono
ad entrare in armonia con quello che li circondava. In cima alla collina più alta, il castello di Petrela
sfidava i passanti come aveva fatto cinque secoli fa con l’esercito turco. Finalmente in un piazzale
accanto alla strada il primo contadino con l’asino che vendeva i suoi prodotti. Piro sperava di
trovare l’ortica perché aveva promesso a Massimo di fargli assaggiare “pacarok”, una pietanza che
viene cucinata con ortica, latte, burro e farina di mais. Il contadino non l’aveva raccolta, ma indicò a
Piro un posto dove non passavano le macchine in modo da raccoglierla lui stesso.
Anche nei prossimi quindici minuti nessuna macchina venne incontro a loro e neanche
dietro. Massimo cominciò a preoccuparsi. Il suo istinto gli preannunciava che qualcosa era
accaduto.
Più avanti due macchine della polizia formavano un posto di blocco. Piro si fermò, i
poliziotti chiesero loro i documenti, la ragione per cui viaggiavano, spiegarono che era successo un
incidente e che dovevano tornare indietro.
*
Informativa nr.19
Oggi tutti i giornali scrivono della strage che è accaduta al centro benessere sulle colline di
Tirana. Nelle ore di tarda mattinata un gruppo di cinque persone armate é entrato negli uffici della
direzione dove si trovavano Gezim P. e i suoi soci. A quanto pare gli uomini della banda hanno
fatto irruzione molto velocemente cogliendo di sorpresa i padroni di casa. Si è sparato per circa
venti minuti ininterrottamente. Gezim P., i due soci e i tre uomini della loro scorta sono morti.
*
75
L’aeroporto di Tirana continuava a rimanere bloccato. Massimo ricevette l’ordine di
contattare immediatamente l’Ambasciata Italiana per poter tornare in patria. Stava entrando il mese
di marzo e la pioggia accompagnava il tempo senza abbandonarlo un istante. Lindita gli aveva
raccontato che secondo una leggenda albanese, negli ultimi giorni di marzo, la sorte del tempo e
degli eventi la decidevano alcune vecchie vestite di nero che erano congelate nelle montagne. Lui
avrebbe voluto aspettare, ma non poteva, doveva preparare la partenza. Aveva appuntamento con
Lindita per comprare gli ultimi giornali. Lei ci teneva a fargli conoscere la nonna di Valbona, non ti
capiterà più questa occasione, gli aveva detto, è come guardare in faccia la storia. Piro li avrebbe
accompagnati. Poi Massimo sarebbe entrato alla sua Ambasciata e non si sarebbero più visti.
Uscì di casa in fretta. Da lontano vide Lindita che lo aspettava insieme a Piro. Lei aveva già
comprato i giornali per non fargli perdere tempo. Dopo una decina di minuti arrivarono a casa di
Valbona.
*
-
-
-
Chi è questo giovane? Il figlio di Marika?
No, è un italiano che si trova qua per lavoro e Lindita gli fa da interprete.
Ah, interprete, noi dicevamo terxhuman. Anche mio fratello piccolo lavorava come
terxhuman in America. Poverino, è morto il marzo scorso.
Non ci fare caso, mia nonna ha ancora dei fratelli vivi, tutti quasi centenari.
E’ incredibile come tua nonna usa ancora parole turche che nessun altro ricorda, - disse
Piro abbracciando la vecchia e dandole un pacco di dolci.
Sì, dice terxhuman per dire interprete. Quando è nata lei, eravamo sotto l’Impero
Ottomano e la lingua ufficiale era il turco. Lei ricorda ancora di come era vietato
imparare a scuola l’albanese e chi lo faceva rischiava la vita. Suo padre però, era un
grande patriota e aveva organizzato a scuola dei banchi con un cassetto nascosto dove i
bambini tenevano i libri in lingua albanese che arrivavano sempre di nascosto ai turchi
stampati da tipografie estere. Così, dopo che finivano di studiare in turco, cominciavano
in albanese.
Come ti chiami?
Si chiama Massimo.
Digli che io ho conosciuto due italiani durante la seconda guerra mondiale.
Va bene, nonna, ma mettiamo il caffè sul fuoco. Gli devi leggere il fondo della tazza, per
favore.
Uno si chiamava Antonio, l’altro aveva un nome complicato che non sono mai riuscita a
memorizzare. Era il tempo in cui sono arrivati i tedeschi e cercavano i soldati italiani per
ucciderli. Loro arrivarono da noi in campagna in una notte di pioggia, erano
completamente bagnati e tremavano dal freddo. Noi li abbiamo invitati ad entrare in
casa, ma loro non hanno voluto. Se i tedeschi li trovavano dentro, ammazzavano anche
noi compresi i bambini. Abbiamo dato loro dei vestiti, da mangiare e si sono riparati nel
bagno fuori casa. Mi piangeva il cuore tutta la notte. Quando mi alzai la mattina, nel
bagno non c’era più nessuno. Sentii un gran freddo dentro di me ed ebbi la forte
sensazione che i tedeschi li avessero presi.
Il caffè è pronto.
Mi sento triste.
Anch’io.
Cominciamo a leggere, nonna, guarda prima la tazza di Massimo.
Figlio, hai un grosso peso sulle spalle. - poi la nonna continuò dicendo che una persona
lontana lo aspettava. Ce l’hai la mamma? Sì. E’ la mamma che ti aspetta. Un angelo ti
protegge. Devi partire? Sì. Farai un viaggio….
76
*
-
Sei pronto?
…
L’Ambasciata è lì. Il portone per i cittadini italiani è il secondo.
…
Io devo andare, fai buon viaggio.
…
*
Dopo qualche giorno di permanenza in ambasciata, il Capitano Matranga poté prendere
l’aereo per ritornare in patria. Mentre decollava, guardava emozionato il rilievo. Più le montagne si
allontanavano, più aumentava in lui il senso di incompiutezza. Non aveva svolto la sua missione.
Avrebbe dovuto prendere dei contatti, conoscere da vicino l’attività criminale, trovare Gezim P.
Dire a Lindita che si era innamorato di lei. Chissà cos’avranno da dire i miei superiori? Il giorno
precedente aveva parlato al telefono con la mamma. Pronto! Rientro a casa. Grazie al cielo!
Diglielo ad Anna. Va bene, ti aspettiamo tesoro.
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EPILOG
Oggi, questa è la città che ha le tariffe telefoniche più alte d’Europa. I grattacieli costruiti
ovunque estendono le loro ombre sugli edifici più bassi. Il minareto non è più la cima della città. Il
punto più alto, per un motivo incomprensibile si chiama la Torre di Vodafone. Si tratta dell’ultimo
piano di un edificio che gira attorno ad un asse centrale. Così, mentre si sta seduti a sorseggiare il
caffè del bar, si può vedere tutta la città.
A seguito della ridistribuzione della proprietà privata le case non appartengono più allo
stato, ma agli abitanti. In questo modo non le possono scambiare più l’una con l’altra secondo le
proprie esigenze, ma le vendono e le comprano.
Quello che è rimasto inalterato è il profumo dei fiori di tiglio. Quando gli alberi fioriscono,
il loro profumo intenso riempie tutta la città e inebria i sensi dei passanti allo stesso modo di anno in
anno.
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