telekom - dossier - Bulgaria
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NOTIZIE EST - BALCANI (http://www.notizie-est.com) IL CASO TELEKOM SRBIJA tutti gli articoli, 1998-2003 © Notizie Est. Tutti i diritti riservati Da "Notizie Est - Balcani" n. 16, 11 febbraio 1998: L'ENEL E IL KOSOVO L'espansione economica dell'Italia verso i Balcani meridionali viene ulteriormente messa in luce da una notizia pubblicata dal quotidiano di Belgrado "Nasa Borba" lo scorso 29 gennaio relativamente a una conferenza stampa indetta dall'assemblea sindacale della EPS, la società statale jugoslava per l'energia elettrica, in merito alle imminenti privatizzazioni. Il presidente dell'assemblea sindacale, Radovan Perovic, ha affermato che sono in corso negoziati segreti per la privatizzazione del settore serbo dell'energia elettrica, ma ci ha tenuto tuttavia a sottolineare che in virtù degli accordi firmati con il governo riguardo alla privatizzazione "i sindacati dovranno essere informati di ogni contratto prima della firma e avranno il tempo di reagire", aggiungendo che "in tal modo, l'EPS non verrà sicuramente venduta - il sindacato ha già in passato, prima della vendita della 'Telecom', impedito con le proprie lotte sindacali che la EPS venisse venduta". Il sindacalista ha continuato affermando che l'Organizzazione sindacale mondiale ha fatto pervenire ai propri colleghi di Belgrado un elenco delle società estere che sarebbero interessate a comprare la EPS. Di fronte alle pressanti domande dei giornalisti, Perovic ha affermato che "si tratta di società greche, italiane, francesi e svedesi. L'italiana ENEL, in particolare è interessata agli impianti che la EPS possiede nel Kosovo e a tale proposito va notato che di recente sono stati raggiunti accordi per un cavo sottomarino tra la Grecia e l'Italia, attraverso il quale sarebbe possibile trasportare in Italia energia elettrica anche dalla Serbia". Secondo Perovic, la stima del valore dell'EPS (da 18 a 20 miliardi di dollari) ai fini della vendita è troppo bassa, perché si basa esclusivamente sui libri contabili, sui quali gravano i recenti passivi e il debito estero, mentre andrebbe invece applicato un metodo più redditizio che tenga conto delle reali potenzialità della società. Le mire dell'italiana ENEL sono in conflitto con quelle dei tedeschi, che secondo Perovic, si starebbero interessando anche loro alla EPS per il tramite della ceca Skoda, controllata dalla Volkswagen. Gli impianti dell'EPS nel Kosovo hanno una grande importanza strategica, nel contesto balcanico, perché producono praticamente tutta l'elettricità che viene utilizzata non solo dalla Serbia, e quindi dal Kosovo stesso, ma anche dalla Macedonia. In un articolo pubblicato nello stesso giorno, "Nasa Borba" riporta informazioni pubblicate dal "Financial Times", secondo le quali il governo di Belgrado starebbe per prendere la decisione di vendere la quota di controllo della Telecom serba ancora in suo possesso, a causa delle difficoltà finanziarie nelle quali si trova. La Telecom serba, infatti, è a corto di fondi, tanto che ha dovuto chiedere in prestito 63 milioni di marchi da due dei suoi azionisti, la Telecom italiana e la greca OTE, che di recente avevano acquistato il 49% delle azioni della società telefonica serba. Con questi crediti nei confronti dell'azionista serbo, i greci e gli italiani si trovano in una posizione ideale per acquistare la quota che consegnerebbe loro il controllo definitivo delle telecomunicazioni jugoslave. Se questi progetti si dovessero realizzare, l'economia del Kosovo si troverebbe completamente sotto il controllo dei capitali stranieri. Il settore energetico, del quale la EPS attualmente possiede il monopolio, insieme a quello minerario-metallurgico, è il principale settore economico del Kosovo, e quello minerariometallurgico è incentrato sull'enorme complesso di Trepca (con tutto il suo indotto) che è stato recentemente concesso in uso a una società greca, la quale occupa quindi una posizione privilegiata in vista dell'imminente privatizzazione di questo complesso. Se a questo aggiungiamo un possibile controllo italiano e/o greco della Telecom serba, che in Kosovo controlla sia le comunicazioni telefoniche che le poste e i telegrafi, avremo una consegna pressoché completa dell'economia della regione ai capitali occidentali e in particolar modo italiani e greci. (fonte: "Nasa Borba") Da "Notizie Est - Balcani" n. 32, 19 marzo 1998: UN ASSE ROMA-BELGRADO? di Andrea Ferrario Il ministro degli esteri italiano Dini da un anno a questa parte non perde occasione per fornire il proprio appoggio al governo di Belgrado, come ha fatto anche di recente, quando sapevano ormai tutti cosa Milosevic stesse preparando per Drenica. Ma Dini non è solo: dietro a lui c'è tutto uno stuolo di grandi aziende italiane, dalla STET all'ENEL. ****** Tra tutte le dichiarazioni rilasciate da uomini politici occidentali negli ultimi giorni in merito alla situazione nel Kosovo spicca in particolare quella del ministro degli esteri italiano, Lamberto Dini. Nessuno come Dini, pur nell'ambito del contorto linguaggio diplomatico, ha insistito tanto sulle responsabilità della parte albanese per la crisi attuale e sulla necessità che essa accetti "i segnali di disponibilità del governo serbo", pena un "rapido svanire delle simpatie internazionali". Parole abbastanza dure se si pensa ai massacri compiuti nei giorni scorsi dalle forze speciali del ministero degli interni serbo contro la popolazione albanese, ma che non sembrano così strane se si ripercorrono i passi della diplomazia italiana in Serbia (e dei rapporti economici tra i due paesi). Dini, a Belgrado, è di casa negli ultimi tempi e Italia e Serbia si sono di recente scambiate numerosi favori. Già nel dicembre 1996 Dini aveva fornito un importante aiuto al regime di Milosevic quando, in visita in una Belgrado nelle cui piazze ogni giorno decine di migliaia di persone protestavano accusando il regime di brogli, aveva preso una chiara posizione dichiarando che "la richiesta dell'opposizione di un riconoscimento dei risultati elettorali annullati dal governo non è realistica". Il sostegno politico dato in quell'occasione al governo serbo non ha mancato di dare ben presto i suoi frutti: nel corso del 1997 Dini ha visitato la Serbia ben tre volte e l'Italia è riuscita a mettere le mani su una delle più importanti operazioni di privatizzazione dei Balcani, quella della Telecom serba, acquistata nel luglio da una cordata tra la STET italiana e la OTE greca, una vendita che ha consentito a Roma di occupare un'importante posizione strategica nell'economia jugoslava e ha fatto allo stesso tempo affluire nelle casse del governo di Milosevic ben 800 miliardi di lire. L'ultimo dei viaggi di Dini a Belgrado è stato quello del 16 dicembre scorso, quando il ministro ha compiuto una visita del tutto improvvisa durante la quale è stato a colloquio per alcune ore con il presidente jugoslavo Milosevic e il suo collega agli esteri Milutinovic. Una visita che assume contorni più precisi se se ne esaminano alcuni particolari: il viaggio è avvenuto poco meno di una settimana prima delle elezioni presidenziali nelle quali proprio Milutinovic era candidato per il Partito Socialista di Milosevic e Dini, pur avendo rifiutato di rispondere alle domande dei giornalisti, non si è risparmiato nel farsi fotografare accanto a Milosevic e a Milutinovic [come mostrano rispettivamente le due foto in questa pagina], un atteggiamento che è stato univocamente interpretato dalla stampa locale non legata al regime come uno spot elettorale per il candidato socialista (il cui slogan era appunto "la Serbia e il mondo"). Ma non è tutto, la visita è venuta meno di una settimana dopo che i rappresentanti di Belgrado, insieme a quelli di Banja Luka, avevano abbandonato la conferenza di pace a Bonn in segno di protesta contro un inserimento del problema del Kosovo all'ordine del giorno, con la conseguente condanna di tutti i partecipanti nei confronti dei serbi. L'improvvisa visita compiuta da Dini a Belgrado proprio in quel momento (e senza avere preso accordi con gli altri paesi europei), così come i toni amichevoli dei colloqui ("la collaborazione economica tra Jugoslavia e Italia è in continua crescita" e "i rapporti bilaterali tra i due paesi proseguono positivamente") sono stati interpretati negli ambienti diplomatici come una presa di distanza dalla condanna unanime da parte dell'Unione Europea nei confronti dei serbi e un aperto sostegno al governo di Belgrado. Se si considera la visita in quest'ottica, poi, oggi non può che venire un brivido rileggendo i giornali di dicembre in cui si dice che durante i colloqui Dini ha auspicato, tra le altre cose, una "normalizzazione dei rapporti nel Kosovo". In quei giorni il quotidiano di Belgrado "Nasa Borba" scriveva che "Roma ci tiene moltissimo a mostrarsi come un fattore influente nella politica balcanica, soprattutto quando si tratta di rapporti con la Jugoslavia". Un'affermazione che gli sviluppi diplomatici degli ultimi mesi confermano: a metà febbraio, quando in tutti i Balcani si diceva ormai a chiare lettere che Milosevic stava organizzando per fine mese una vasta operazione repressiva nel Kosovo [si vedano "Notizie Est #19", 19 febbraio 1998 e praticamente tutti i giornali dell'area tra il 10 e il 20 di febbraio], Dini riceveva a Roma per due giorni il nuovo ministro degli esteri jugoslavo Jovanovic in una delle sue prime trasferte all'estero. "L'Italia appoggia gli sforzi del governo jugoslavo in direzione della democratizzazione del paese e della liberalizzazione dell'economia, perché consentiranno alla Jugoslavia di reintegrarsi nelle organizzazioni internazionali". Una liberalizzazione economica che decisamente continua a dare i suoi frutti anche per l'Italia: alcuni giorni prima, infatti, l'Agenzia serba per le privatizzazioni aveva ufficialmente inserito l'ENEL tra i quattro candidati esteri ufficiali all'acquisto della società di stato serba per l'energia elettrica, la EPS, di cui è imminente la privatizzazione [si veda "Notizie Est #16, 11 febbraio 1998]. I rappresentanti dei sindacati della EPS negli stessi giorni avevano denunciato pubblicamente che l'ENEL è interessata soprattutto a mettere le mani sulle centrali termoelettriche del Kosovo. Forse Milosevic, quando di lì a pochi giorni andava "in direzione della democratizzazione del paese" sparando con i cannoni su donne e bambini albanesi del Kosovo, stava tra le altre cose anche rendendo un favore a qualcuno... La Jugoslavia è ormai diventata una partner economico di primo piano dell'Italia. Il volume degli scambi commerciali tra i due paesi, che vede l'Italia al secondo posto, è stato l'anno scorso di 754 milioni di dollari, con un aumento di ben il 22% rispetto al 1996, ma secondo i dati relativi ai primi due mesi di quest'anno l'Italia è balzata addirittura al primo posto tra i partner commerciali della Federazione. Intanto la Telecom serba è a corto di fondi e pare che per reperire denaro sia intenzionata a vendere ulteriori quote al partner italiano, il quale potrebbe così acquisire definitivamente una posizione di controllo nella società. La posta in gioco in Jugoslavia, tra scambi commerciali e privatizzazioni, rimane sempre alta, così come rimane fondamentale per la Farnesina mantenere un ruolo diplomatico di primo piano in questo paese al centro dei Balcani. Chissà quindi che dietro lo pseudonimo di 'Serpicus', che firmava un articolo intitolato "Perché aiutiamo la Serbia" pubblicato l'ultimo numero di una testata vicina al governo come la rivista di geopolitica "Limes" e nel quale si formula a chiare lettere la necessità di aiutare la Serbia e di impedirne la frammentazione, non si nasconda qualche noto alto esponente della diplomazia italiana, di casa a Belgrado. (fonti: "Nasa Borba", 16-17 dicembre 1997 e 16 febbraio 1998; TANJUG, 10 marzo 1998; "Limes", n. 1, 1998) Da "Notizie Est - Balcani" n. 92, 18 ottobre 1998: DOPO L'ACCORDO MILOSEVIC-HOLBROOKE Cominciamo questa rassegna di aggiornamenti in breve con un particolare che può sembrare folcloristico, ma che è pur sempre un indice di quale sia il ruolo dell'Italia nella crisi del Kosovo. Tutti questi ultimi giorni il quotidiano di Belgrado "Politika", organo del Partito Socialista di Milosevic, è uscito con una vistosa reclame in prima pagina della Telekom serba, una società nella quale l'azienda pubblica italiana STET, come abbiamo più volte ricordato, detiene un'importante quota. L'Italia non si limita quindi al ruolo fondamentale svolto con il versamento, in occasione della privatizzazione della Telekom, di fondi senza i quali difficilmente Belgrado avrebbe potuto permettersi le operazioni militari degli ultimi mesi, ma prosegue anche ora contribuendo di fatto a finanziare la propaganda del regime (e questo mentre i quotidiani d'opposizione vengono chiusi con leggi degne del Minculpop). Non vi è quindi da meravigliarsi se il ministro Dini, a più riprese sponsor del regime serbo, si preoccupi sempre, oggi come all'indomani del massacro di Drenica, di indicare negli albanesi del Kosovo il principale problema: "E' stato compiuto un importante progresso verso la creazione di condizioni per la soluzione della situazione in Kosovo attraverso i mezzi politici sui quali l'Italia ha insistito fin dall'inizio della crisi", ha affermato Dini in dichiarazioni riportate ieri dal quotidiano "Blic". "Sono tuttavia di grande ostacolo le proteste e l'insoddisfazione espressi dai rappresentanti della minoranza albanese rispetto all'accordo MilosevicHolbrooke", ha proseguito Dini, il quale ha concluso affermando che "nessun rappresentante della comunità internazionale ha mai fatto alcuna promessa ai rappresentanti della minoranza nazionale albanese in merito all'indipendenza della provincia meridionale della Serbia". L'impiego del termine "minoranza nazionale albanese" e di quello "provincia meridionale della Serbia" dà una misura del completo sostegno di Dini alle posizioni serbe sul Kosovo. [...] Da "Notizie Est - Balcani" n. 154, 19 gennaio 1999: L'OCCIDENTE E BELGRADO, TRA CANNONATE E MILIARDI Mentre in Kosovo i cannoni sparano, il mondo continua a fare colossali affari con i boss del regime di Belgrado. Dopo l'Italia con le telecomunicazioni è la volta della Francia che, con l'aiuto di "consulenti" inglesi e statunitensi, si assicura il monopolio del cemento. Si apre anche il capitolo delle concessioni autostradali per migliaia di miliardi, con l'Italia nuovamente in prima fila. LA CEMENTIFICAZIONE DEL GOVERNO SERBO di Dimitrije Boarov Nel bel mezzo delle festività per il Nuovo Anno, il premier serbo Mirko Marjanovic ha trovato il tempo per ricevere Philippe Rollier, il vicepresidente dell'azienda francese Lafarge, confermando in tal modo le voci secondo le quali il governo francese ha dato il 22 dicembre scorso il via libera alla fusione tra il cementificio Beocin e l'importante azienda francese. Per essere precisi, la dichiarazione ufficiale dice solo che l'azienda francese è pronta a cooperare con la Beocin e a investire nell'economia serba. Marjanovic, da parte sua ha detto che entrambe le parti trarranno vantaggi dall'accordo e che altre aziende straniere stanno dimostrando un interesse crescente nell'effettuare investimenti in Serbia. La dichiarazione, naturalmente, non riflette nemmeno alla lontana i disperati tentativi dell'ultimo momento del governo serbo di vendere i cementifici del paese con un'operazione che dovrebbe generare tra i 350 e i 750 miliardi nel giro dei prossimi anni. Il problema è che vi è il bisogno immediato di 100 miliardi. Solo un giorno dopo l'incontro tra Marjanovic e Rollier, il consulente finanziario dell'azienda britannica RMC Group/Readymix, Slobodan Krunic, ha tenuto a Novi Sad una conferenza stampa per esprimere il proprio disappunto rispetto alla decisione del governo di portare a termine un accordo con la Lafarge. Krunic ha addirittura espresso l'opinione che si potrebbe trattare di una "falsificazione" dell'intero concorso, dovuta al fatto che la Lafarge ha promesso di fornire al governo della Serbia un credito immediato di 95 miliardi, nonostante il divieto di effettuare investimenti in Serbia approvato dall'UE nel maggio scorso. Dopo avere espresso la sua convinzione che la parte francese non sia in realtà disposta a violare le sanzioni economiche adottate tra gli altri anche dai rappresentanti francesi, Krunic ha affermato che la RMC avvierà una procedura legale e chiederà la revisione dell'intero processo solo nel caso in cui la Lafarge dovesse mancare di mantenere la propria promessa. La società britannica Readymix ha offerto al governo serbo un credito di 75 miliardi, con la riserva che l'intera operazione avverrebbe solo se e quando le sanzioni imposte contro la Jugoslavia verranno cancellate. Sembra che sia i britannici che i francesi intendano comprare la quota del governo serbo nel cementificio Beocin (BFC) mediante una soluzione con la quale il governo probabilmente "rimborserebbe" il credito con le azioni che possiede nella BFC. Tra l'altro, lo stabilimento è uno dei 75 che non possono essere privatizzati senza l'approvazione personale di Mirko Marjanovic. L'Istituto per le Scienze Sociali di Belgrado ha calcolato il valore della BFC come pari a 153 miliardi, mentre sia la Lafarge che la Readymix hanno promesso tra 100 e 150 miliardi per una ricapitalizzazione aggiuntiva. Sembra che le due società estere siano pronte a un acquisto mediante "rimborso" di una quota compresa tra un terzo e un quarto di questo appetitoso cementificio ubicato sulle rive del Danubio, il cui valore dovrebbe raddoppiare dopo la capitalizzazione aggiuntiva. Naturalmente bisognerebbe affrontare innanzitutto tutta una serie di aspetti poco chiari e non risolti. L'aspetto centrale è quello del controllo del prezzo del cemento sul mercato serbo. Le autorità serbe hanno approvato un prezzo "interno" di 60 marchi alla tonnellata, mentre sui mercati mondiali il prezzo di una tonnellata di cemento è di 110 marchi. Sarebbe quindi necessario valutare i problemi economici che si presenteranno nell'abisso creato dalla differenza di prezzo moltiplicata per circa 1,1 milioni di tonnellate di cemento, cioè la produzione annuale della BFC. A differenza di altri giganti serbi, la BFC non ha importanti debiti esteri. Pertanto, rimane non chiarito perché tra tutte le altre proprio questa doveva essere soggetta a una "capitalizzazione aggiuntiva", che è un altro modo per dire la vendita dei suoi diritti di gestione, e non la ricerca di crediti per avviare delle ristrutturazioni finanziarie senza l'interferenza di nessuno. [...] Un'azienda la cui potenziale produzione annua è superiore a mille miliardi non è forse in grado di trovare un credito a medio termine di 100 miliardi circa con un prezzo interno del cemento uguale a quelli mondiali? Ciò avrebbe risparmiato alla BFC la vergogna di chiedere un "prestito" per il governo di Marjanovic e di corteggiare i vari ministri del governo con o senza portafoglio, in particolare questi ultimi [una chiara allusione al miliardario Bogoljub Karic, da sempre vicino al regime, di recente nominato ministro senza portafoglio - a.f.]. Non è che c'è un gruppo selezionato di persone che conoscono vie segrete per violare tutte le sanzioni che hanno afflitto la Serbia nel corso dell'ultimo decennio? Questo gruppo di persone è forse in grado, con "società di filtraggio" all'estero (sono solo ipotesi), di ottenere gas per la Serbia con accordi sotterranei che implicano la vendita di impianti industriali nazionali? Il prezzo "controllato" del cemento in Serbia e i suoi effetti speculativi [...] ci portano alla conclusione che la politica economica della Serbia sia stata privatizzata da un gruppo di singoli che possono accumulare enormi ricchezze dopo essersi autonominati gli eroi della libertà e dell'eguaglianza. [...] A differenza della vendita di metà della Telekom avvenuta due anni fa [la nota operazione dell'italiana STET e della greca OTE - a.f.], un'operazione che si era svolta interamente all'interno della cerchia più stretta di Milosevic, la vendita della BFC ha riguardato un numero molto più ampio di politici di alto livello. Secondo varie voci, molti di essi hanno insistito per mediare in questo affare del secolo. Alcune fonti dicono che tra le persone chiave della vendita della BFC vi siano il ministro delle privatizzazioni Jorgovanka Tabakovic e il suo boss Vojislav Seselj, mentre altri dicono che a tenerne le fila siano stati il vice-primo ministro Dragan Tomic e il ministro senza portafoglio Bogoljub Karic. Con la vendita dei cementifici è cominciata anche un'aspra lotta tra le società internazionali di consulenza che operano nel nostro paese. L'inglese "Deloitte & Touche", in questo caso consulente della "Lafarge", a quanto si può giudicare dall'affare BFC ha conservato la forte influenza di cui gode nei circoli governativi di Belgrado, nonostante gli imbarazzanti risultati delle perizie sul caso dell'anno, la vendita della "Dafiment Bank", e le dimissioni del ministro Danko Djunic, che in passato era stato rappresentante in Serbia proprio della "Deloitte & Touche". Fonti bene informate dicono che la consulente della Readymix sia stata la società Price-Cooper. Anche la statunitense KPMG, che nell'affare ha fatto da consulente per la BFC, sta aumentando la propria presenza nel paese, mentre nel settore del cemento ha già portato a termine in Europa Orientale operazioni di privatizzazione di colossi come per esempio la bulgara "Devnja" e la ceca "Hranice". Anche i partiti politici serbi stanno cercando di ottenere la loro fetta della torta delle privatizzazioni. I partiti al potere fanno affari in eleganti saloni, mentre i partiti di opposizione come il Partito Democratico e la Lega dei Socialdemocratici di Vojvodina emettono dichiarazioni sulla "vendita sfacciata di tesori nazionali". E' evidente che la vita politica della Serbia tornerà sul campo del denaro che le è proprio non appena il conflitto in Kosovo verrà in qualche modo risolto. Non vi è dubbio che assisteremo ad altri "thriller finanziari", probabilmente di gran lunga più interessanti di quello della BFC. (da "Vreme", 9 gennaio 1999 - traduzione di A. Ferrario) Da "Notizie Est - Balcani" n. 205, 20 aprile 1999: SILENZIO. PARLA LA FARNESINA. STORIA DI UN'AMICIZIA FINITA MALE di Francesca Longo Silenzio. Parla la Farnesina. Storia di un'amicizia finita male. Dicembre 1996, dichiarazione di Lamberto Dini, in visita in una Belgrado 'occupata' da Zajedno e dagli studenti: 'La richiesta dell'opposizione di un riconoscimento dei risultati elettorali annullati dal governo non è realistica'. Seguono, nel '97 tre visite di Dini in Serbia, che 'agevolano', nel luglio dello stesso anno, la privatizzazione della Telecom serba, acquistata da una cordata della Stet italiana e della Ote greca, per complessivi 800 miliardi di lire. Il 15 dicembre (in piena campagna elettorale per la presidenza e pochi giorni dopo l'abbandono da parte jugoslava e serbo-bosniaca della conferenza di pace di Bonn, perchè contrari all'inserimento del 'caso Kosovo' nei temi da trattare) Dini incontra Milosevic e Milutinovic. Scrive l'Ansa: 'Dini ha detto ai giornalisti che da parte jugoslava si auspica un 'intervento più massiccio del settore privato italiano industriale e bancario' in vista anche delle grandi nazionalizzazioni preannunciate dal governo. Grande soddisfazione è stata espressa per la partecipazione dell'Eni alla realizzazione del progetto di gasdotto che dovrà collegare quello proveniente dal Mar Nero con quello che dalla Jugoslavia porta al Mediterraneo. Nel colloquio (...) sono stati messi a punto accordi per la promozione e la protezione degli investimenti'. Dini sostiene che 'la collaborazione economica tra Jugoslavia e Italia è in continua crescita', che 'i rapporti bilaterali tra i due paesi proseguono positivamente' e auspica 'una normalizzazione dei rapporti nel Kosovo'. Pochi giorni prima dell'esplodere della crisi kosovara e pochi giorni dopo che l'Enel veniva inserita nel novero dei quattro candidati ufficiali per l'acquisto della società di stato serba per l'energia elettrica, l'Eps, il ministro degli esteri jugoslavo, Zivadin Jovanovic, ricambia la visita a Roma. 'Il Ministro Dini ha espresso apprezzamento per l'opera di sensibilizzazione svolta dal Presidente Milosevic sui serbo-bosniaci per la costituzione del nuovo governo di Banja Luka e ha auspicato che Belgrado continui a svolgere un ruolo costruttivo in proposito, favorendo il regolare svolgimento delle prossime elezioni generali in autunno. Un'azione di Belgrado in tale direzione non potrà che avere ripercussioni positive sulla stabilità della Regione' (Ansa). Quanto al problema Kosovo, Dini auspica 'colloqui diretti tra Belgrado e Pristina a partire dall'accordo sulle scuole sponsorizzato dalla Comunità di Sant'Egidio'. Pochi giorni prima i sindacalisti dell'Eps avevano denunciato all'informazione jugoslava le mire dell'Enel sulle centrali termoelettriche del Kosovo. 9 marzo '98, primo pacchetto di sanzioni:embargo alle armi e sospensione delle interazioni finanziarie. 'Dini ha detto che l'Italia rispetterà in toto queste misure e congelerà quindi gli investimenti diretti per le imprese pubbliche serbe in via di privatizzazione' (Ansa). 12 marzo '98: 'La pace però non dipende solo da Milosevic- sostiene Dini, riporta l'Ansa-: se da un lato 'come auspichiamo ci saranno progressi con Belgrado' dall'altro 'ci rendiamo conto che il progressivo miglioramento della situazione dipende anche da un atteggiamento costruttivo dei kosovari, che potrebbe veder rapidamente calare la simpatia internazionale che li circonda, se non faranno la loro parte'. 9 maggio, congelamento dei fondi esteri della federazione jugoslava. Dini, laconico: 'Abbiamo riaffermato i principi e le misure del Gruppo di Contatto che ora sono condivise nel contesto più largo del G8'. 20 giugno '98. Ultimo appello di Dini a Belgrado 'è stata fermamente rinnovata la richiesta di ritirare le unità speciali di sicurezza (...) Dini è intervenuto ieri su questo specifico punto con un messaggio diretto al presidente Milosevic. La parte kosovara -si sottolinea infine da parte italiana- deve 'evitare di assumere iniziative che possano offrire pretesti a Belgrado per nuove azioni di repressione' (Ansa). Da "Notizie Est - Balcani" n. 332, 13 giugno 2000: LA STRANA TEMPISTICA DEGLI INVESTIMENTI ITALIANI NEI BALCANI di Andrea Ferrario Sarà un caso, ma la scelta dei tempi di intervento da parte del grande capitale italiano nei Balcani sembra ricalcare un modello ben preciso che si ripete a più riprese: laddove c'è un regime autoritario o un'oligarchia in crisi, il più delle volte si trova anche un'azienda italiana pronta a riversare centinaia di miliardi nelle loro casse (beninteso, facendo molta attenzione ai propri interessi). E' avvenuto così con la privatizzazione della Telekom serba nel 1997, che ha visto l'italiana STET "finanziarie" indirettamente il bilancio del regime di Belgrado con centinaia di miliardi nel momento in cui le casse dello stato serbo erano vuote e gli oligarchi di Milosevic si preparavano alla resa dei conti in Kosovo. E' avvenuto così ancora una volta nel dicembre scorso, quando la Comit ha trattato e concluso con il ministro Skegro, uomo di Tudjman e corresponsabile con quest'ultimo della catastrofe economica del paese, un affare da centinaia di miliardi che ha nei fatti aiutato, non i croati, ma l'oligarchia politico-finanziaria del regime, a rendere più "indolore" il passaggio dei poteri dopo la morte di Tudjman, a scapito dei lavoratori del paese (si vedano nell'articolo di "Nacional" i costi del risanamento delle banche di svariate volte superiori agli introiti generati dalla loro successiva vendita) e questo al di fuori di ogni controllo democratico (l'affare è stato concluso quando il parlamento era sciolto, in attesa delle elezioni). Il modello si replica poi in buona parte, anche se in un contesto politico diverso, con il recente acquisto, sempre in Croazia, della Splitska Banka da parte della UniCredito. Anche la "variante bulgara", pur nella sua diversità contestuale, rimane analoga nella sostanza: l'offerta e il probabile accordo finale della UniCredito per l'acquisto della Bulbank arrivano nel momento in cui il regime di Sofia è in piena crisi, travagliato da violente lotte intestine e in preda a paranoici timori "golpisti", in un'atmosfera che ricorda quella che regnava nel regime di Tudjman mentre andava verso la disfatta (e anche qui, come scrive il settimanale "Kapital" [n. 22, giugno 2000] in edicola la settimana scorsa, si apre la possibilità che, grazie a una recente operazione della Bulbank ancora statale, la Bulbank "italianizzata" riesca in futuro a mettere le mani sugli attivi della Parva Castna Banka, la ex maggiore banca bulgara, fallita anni fa per malversazioni con esiti disastrosi per l'economia del paese). Anche gli affari che non sono andati bene, come il contratto della Marconi con il governo bulgaro, sono indicativi del contesto in cui si svolgono gli affari: l'accordo, siglato nell'inverno '98, è stato disdetto nei mesi scorsi, poco dopo un avvicendamento ai vertici del ministero della difesa bulgaro in seguito alla "purga" messa in atto dal premier Kostov e con la quale sono state emarginate importanti lobby politico-finanziarie (a vantaggio di altre). Quello che rimane più esemplare, tuttavia, di questo affare è il fatto che il governo bulgaro si sia impegnato a stanziare cento miliardi per la costruzione di un sistema di telecomunicazioni militari il cui unico scopo è quello di facilitare le operazioni NATO nell'area, mentre nel paese la disoccupazione continua a fare balzi in avanti e sono decine di migliaia i lavoratori che non ricevono lo stipendio da mesi e, in alcuni casi, anche da anni. Anche in questo caso, il capitale italiano è stato subito presente all'appello. LA STET, LA SDS E I FACCENDIERI BULGARI E RUSSI La Bulgaria è scossa da alcune settimane da un intricato scandalo, che ha portato alla luce gli stretti legami tra finanzieri russi legati alla mafia (Michael Corny e Grigorij Lucanski) e i loro "rappresentanti" locali (il pluriincriminato finanziere bulgaro Krasimir Stojcev, oltre all'imprenditore Vladimir Grasnov), i cui capitali, in questi anni, si sono concentrati soprattutto sulla "Mobiltel", la società che detiene il monopolio dei GSM in Bulgaria. Impossibile riassumere nei dettagli la dura e complessa resa dei conti tra il premier Kostov e tali ambienti, un tempo a lui vicini e ora diventati scomodi in conseguenza delle faide interne al partito al governo a Sofia, la SDS. L'ultimo sviluppo ha visto la moglie di Kostov dovere ammettere che la sua fondazione "caritatevole" ha ricevuto qualche giorno prima delle elezioni del '97 un lauto finanziamento da una società di Lucanski, che a sua volta sostiene di avere in passato finanziato il partito a suon di miliardi, in collaborazione con Stojcev, il quale in precedenza aveva già ammesso apertamente la cosa. Tra i fatti ritornati a galla dopo alcuni anni, ve ne è uno che riguarda direttamente l'Italia. La "Mobiltel" è stata acquistata nell'estate del '96 da due società di Lucanski, che la hanno rilevata da Stojcev. La società, secondo le accuse avanzate ora, era il canale attraverso il quale passavano i "fondi neri" della SDS, che nel '96 era impegnata nella campagna presidenziale e puntava a elezioni anticipate, poi ottenute con pressioni di ogni tipo nella primavera '97. Nel febbraio del '97 Stojcev si è infine dimesso anche da ogni incarico nella "Mobiltel" per diventare direttamente consulente della SDS in vista dell'imminente campagna elettorale (con la quale poi il partito ha conquistato la maggioranza assoluta, dopo una serie di manifestazioni e assalti al parlamento sapientemente orchestrati). Contemporaneamente al suo ritiro dagli affari, Stojcev annunciava l'imminenza della vendita della "Mobiltel" (da alcuni mesi comunque di proprietà di una società di Lucanski) all'italiana STET, società controllata dalla Telecom Italia e quindi indirettamente dal governo italiano. La STET avrebbe posto allora tuttavia come condizione che alla "Mobiltel", invece di una semplice licenza, venisse assegnata dallo stato una concessione. Il governo tecnico di transizione guidato da Sofijanski, nominato nel periodo di interregno dopo le elezioni, però, ha respinto la richiesta nella primavera inoltrata del '97, la STET si è quindi ritirata dall'affare e la "Mobiltel" è passata infine nelle mani di Corny, un protetto dello stesso Lucanski e anch'egli vicino alla SDS. Secondo la ricostruzione del settimanale "Kapital", a suggerire a Stojcev la vendita di quote di controllo alla STET sarebbe stato l'ente statale per le telecomunicazioni, il quale poi avrebbe accettato un preventivo passaggio della "Mobiltel" in mano al faccendiere Lucanski stante la garanzia che comunque alla fine sarebbe stata venduta alla STET. L'operazione non è andata in porto e la STET ha rivolto i suoi interessi altrove, andando a firmare da lì a pochi mesi con i burocrati del regime di Milosevic il noto accordo megamiliardario per l'acquisto di una quota della Telekom serba. Da un punto di vista tecnico, riguardo alle vicende bulgare della STET in Bulgaria non c'è nulla da eccepire, ma non si può non rimanere sconcertati dalla leggerezza con cui una società nei fatti controllata dallo stato italiano abbia condotto per mesi trattative di acquisto con faccendieri come il bulgaro Stojcev, la provenienza dei cui capitali non è mai stata chiara e che è stato costantemente al centro di scandali e incriminazioni, o peggio ancora con società del russo Lucanski, condannato negli anni '80 in Lettonia a sette anni di prigione per truffa, definito da un rapporto dei servizi segreti tedeschi "il capo della mafia russa", indicato dall'Interpol come persona che si interessa del contrabbando di armi e il traffico di narcotici, definito dal "Time" il più astuto e inafferrabile criminale del mondo e, infine, dichiarato persona non grata in Canada, Gran Bretagna e negli USA. L'operazione mancata è uno dei tanti capitoli degli affari del capitale italiano, a controllo statale o privato, in Bulgaria, ultimo dei quali è stato quello della vendita della Bulbank all'UniCredito, che ha sollevato una marea di critiche e di accuse. Chi scrive si ricorda ancora che nei primi mesi del '97, cioè proprio nel periodo in cui la STET puntava all'acquisto della "Mobiltel", una delegazione italiana formata da Casini, Mastella e Gawronski si era recata a Sofia per appoggiare le manifestazioni della SDS intenta nelle sue operazioni di conquista del potere. I tre erano stati immortalati anche dalla televisione italiana mentre in una di queste manifestazioni, mano nella mano con Kostov, saltavano sul palco al grido di "chi non salta un comunista è". Visto quanto emerso nel frattempo, lasciamo giudicare al lettore cosa sia chi, invece, salta. (da materiali pubblicati da "Sega", 8 settembre 2000 e "Kapital", 9-15 settembre 2000) Da "Notizie Est - Balcani" n. 357, 12 ottobre 2000: [...] Oggi sono in visita ufficiale a Belgrado il primo ministro italiano Giuliano Amato e il ministro degli esteri Lamberto Dini. Quest'ultimo, poco prima di partire, si è preoccupato di dichiarare all'ANSA che "nonostante i forti aiuti dell'UE per la ricostruzione, tutti i leader albanesi continuano a invocare l'indipendenza del Kosovo, che non è prevista dalla risoluzione 1244 dell'ONU". Chissà se Dini incontrerà il presidente serbo Milutinovic, uno dei suoi più importanti riferimenti in Serbia fin dall'affare Telekom e nel corso delle presidenziali serbe del '97. E a proposito di Telekom serba, proprio nei giorni della visita di Dini i sindacati indipendenti del settore poste e telecomunicazioni hanno chiesto le dimissioni del direttore generale delle poste e telegrafi (PTT), Aleksa Jokic, nonché di tutti gli altri alti dirigenti. Sono state chieste espressamente anche le dimissioni del direttore della Telekom serba (che dipende dalle PTT serbe, ma è a larga partecipazione italiana), Milos Nesovic, nonché dell'intero consiglio di amministrazione dell'azienda. Il sindacato accusa la direzione delle PTT di essere stata un canale per il lavaggio di denaro sporco e per la diversione di fondi verso le forze politiche che sostenevano Milosevic. L'accusa di avere trasferito fondi al SPS viene fatta anche al direttore generale della Telekom. Il sindacato chiede inoltre che le PTT e la Telekom presentino immediatamente un bilancio delle loro condizioni economiche attuali e che vengano reintegrati i lavoratori scacciati, trasferiti o licenziati dalle due aziende per le loro attività sindacali, dando un ultimatum per il 16 ottobre. (fonte: "Danas" del 12 ottobre 2000) Da "Notizie Est - Balcani" n. 364, 7 novembre 2000: SCHELETRI NELL'ARMADIO E CADAVERI "PULITI" I LAVORATORI DELLA TELEKOM IN SCIOPERO: VOGLIAMO VEDERE IL CONTRATTO DI VENDITA A STET E OTE di O.R. - ("Danas", 7 novembre 2000) Belgrado - "Non siamo entrati in sciopero per interrompere il sistema delle telecomunicazioni. In conformità al contratto collettivo rispetteremo il livello minimo di lavoro, ma se saremo costretti a interrompere completamente le attività, il pubblico ne verrà informato in tempo", è stato dichiarato ieri in una conferenza stampa comune del sindacato indipendente dei lavoratori delle Poste e Telecomunicazioni (PPT) della Serbia "Nezavisnost" e del Sindacato della Telekom Srbija. Leonard Bobisud, presidente del sindacato indipendente dei lavoratori delle PPT "Nezavisnost" ha comunicato ai giornalisti che, vista l'identicità delle rispettive richieste, i due sindacati coordineranno le loro azioni. "Nella seduta congiunta di ieri abbiamo formato un comitato di coordinazione formato da otto membri che lavoreranno attivamente affinché vengano accettate le richieste che i direttori generali delle PTT e della Telekom, Aleksa Jokic e Milos Nesovic, nonché i membri dei Consigli di Amministrazione di tali due imprese, vengano immediatamente rimossi dal loro incarico e che all'opinione pubblica e ai dipendenti venga reso accessibile il contratto di vendita della Telekom [si fa riferimento alle quote vendute alla STET e alla OTE nel 1997 - N.d.T.]", ha detto Bobisud. Egli ha affermato che al governo della Serbia è stato dato un termine di quarantotto ore per soddisfare le richieste degli scioperanti. Dopo lo scadere del termine, è stato detto, "verrà effettuato un blocco delle direzioni di PPT e Telekom e forse dello stesso governo". Secondo le sue parole, i sindacati intraprenderanno "ogni msura legittima affinché dall'azienda vengano allontanate tutte le persone che la hanno portata alla rovina". "Se il governo non rimuoverà dal loro incarico le dirigenze, le costringeremo noi a firmare le dimissioni", ha concluso Bobisud. Secondo le parole di Zoran Mrvaljevic, presidente del Sindacato della Telekom Srbija, stanno scioperando circa tremila lavoratori. "Terremo duro sulle nostre richieste", ha affermato. Egli ha ricordato che lo sciopero dei lavoratori della Telekom è stato rimandato dopo le promesse del Governo di rimuovere dalle loro funzioni nel più breve tempo i dirigenti dell'azienda. Mrvaljevic ha fatto riferimento al contratto di vendita della Telekom, affermando che "ai cittadini deve essere reso conto di tale operazione. Sono stati promessi grandi stipendi ai lavoratori, ma tutto si è trasformato in un'operazione mafiosa", ha detto. Da "Notizie Est - Balcani" n. 366, 11 novembre 2000: TELEKOM: LA GALLINA DALLE UOVA D'ORO IN UN CORTILE STRANIERO di Jelica Putnikovic - ("Reporter", 8 novembre 2000) [Segue più sotto una "infornata" di notizie in breve sull'affare Telekom Srbija e, con l'occasione, sui rapporti Vaticano-Mira Markovic] Oltre che sulla vendita della Telekom Srbija [all'italiana STET, controllata dalla Telecom Italia, e alla greca OTE], i cui dettagli rimangono ancora oggi ignoti, vi sono dubbi anche sui profitti della società mista così formata (conseguiti effettivamente o fittiziamente), che un piccolo numero di eletti si è accaparrato per sé, lasciando, eventualmente, le briciole a un altro gruppo ristretto di privilegiati. Per cominciare dalla fine, in questi giorni si è fatta molto attuale la domanda del perché la Telekom ha ceduto i redditi generati dagli apparecchi automatici. Per quale importo e a chi? Marija Dancetovic, una dei leader sindacali della Telekom, ha affermato in una conversazione con "Reporter" che il Sindacato di tale azienda non dispone di alcun dato nero su bianco, ma che è un "segreto noto a tutti" che l'85% dei redditi di determinati apparecchi automatici (quelli più redditizi) vanno agli "acquirenti nascosti" e solo il 15 per cento rimane alla Telekom. Come "acquirenti" segreti vengono menzionati le società sportive Partizan e Crvena Zvezda (Stella Rossa), divenute tali grazie all'intermediazione della società privata di Milorad Jaksic, che è stato privato della sua poltrona di direttore in maniera estremamente affascinante un giorno prima della vendita della Telekom. LE CONCESSIONI L'impresa pubblica PTT Srbija (Poste e Telegrafi della Serbia) ha il diritto di assegnare concessioni sulla Telekom e Aleska Jokic, della JUL, lo ha fatto nella sua veste di direttore generale. L'ex direttore generale delle PTT Srbija Milorad Jaksic, che è stato rimosso dal suo incarico, sembra tuttavia essere rimasto in gioco. "Alla Telekom ogni cosa è un 'segreto d'affari', perfino quanti soldi arrivano effettivamente sul nostro conto corrente" afferma Marija Dancetovic. Il Sindacato Telekom, da parte sua, è stato formato il 9 luglio 1997, alcuni giorni dopo che è stato venduto il 49% delle azioni della telefonia delle PTT Srbija. Oltre a esso, nelle PTT Srbija esistono altre due organizzazioni sindacali. Critica nei confronti dei suoi colleghi del sindacato "Nezavisnost" i quali boriosamente e con arroganza hanno fatto irruzione nell'edificio delle poste nella Takovska ulica, Marija Dancetovic non risparmia le critiche nemmeno nei confronti dei colleghi del terzo sindacato, quello statale (SSS), e afferma che i suoi leader sono stati comprati affinché non facessero problemi. Come esempio, l'interlocutrice di "Reporter" racconta che Srdjan Golubovic, ex presidente del Sindacato PTT, ha ottenuto dall'azienda un appartamento a Belgrado nella Ulica internacionalnih brigada (sotto la Biblioteca Nazionale) numero 20, di 200 metri quadri. Questo sindacalista di Leskovac recentemente ha dato le dimissioni e ha ottenuto un posto di lavoro alla Takovska 2 (la Direzione Centrale delle Poste). "Anche prima della vendita della Telekom avevamo avvertito che, con l'entrata del capitale estero sarebbero venuti anche dei datori di lavoro esteri. I lavoratori della Telekom non hanno i medesimi interessi dei lavoratori delle PTT Srbija. Per nostra sfortuna, al tempo della vendita della Telekom ministro del lavoro, della casa e delle questioni sociali era appena diventato Tomic Milenkovic, che dopo essere stato presidente dei sindacati statali SSS, e prima di diventare ministro, ha lavorato alle PTT, nella Unità di lavoro di Pancevo. La nostra rivolta non è servita a nulla. Abbiamo cercato, per mezzo dell'assemblea del Sindacato PTT, di fare capire ai funzionari sindacali delle PTT che saremmo stati venduti e non avremmo ottenuto nulla in cambio. Solo i dipendenti delle PTT non hanno potuto ottenere il diritto alle azioni dell'azienda nella quale lavorano, perché la Telekom è stata venduta prima della Legge sulla trasformazione delle imprese (che dà ai dipendenti il diritto di ottenere una quota del patrimonio dell'azienda). Ci hanno venduti dopo avere apportato modifiche e aggiune alla Legge sui sistemi di comunicazione e alla Legge sulle concessioni. Hanno trovato un modo di scorporare la Telekom dalle PTT e di venderci. E le telecomunicazioni sono una 'gallina d'oro' che produce 'uova d'oro'. E' una cosa nota in tutto il mondo. Ci ha venduti Milan Beko [fino al settembre scorso, direttore generale della Zastava, azienda a partecipazione dell'italiana IVECO - N.d.T.]. Ha fatto tutto quando era ministro delle privatizzazioni. I contratti di vendita e quelli azionari non li ha mai visti nessuno. Il loro contenuto è noto solo a Beko e, probabilmente, a Slobodan Milosevic", afferma questa lavoratrice del Servizio 988, ricordando che Milorad Jaksic "un giovedì prometteva ai lavoratori che sarebbero stati protetti e che avrebbero avuto delle buone condizioni" e il giovedì successivo veniva sostituito. I MILIARDI Il motivo di questa sostituzione, sempre secondo le voci che corrono, è che tale dirigente delle PTT, comunque capace, stava cercando di concludere un affare con la svedese "Ericsson" e la tedesca "Siemens" alle spalle di Beko. Così, a quanto sembra, ha cominciato a dare fastidio a persone con una posizione politica molto forte che volevano una fetta della torta per sé, e quindi è stato sostituito. L'affare sulla condivisione dei profitti dagli apparecchi automatici gli è stato quindi concesso come premio di consolazione. Dopo avere dichiarato che con la privatizzazione delle PTT, dopo la scorporazione delle poste dalle telecomunicazioni, ci si sarebbe potuti attendere l'afflusso di qualche miliardo di dollari, Milorad Jaksic è stato rimosso dal proprio incarico dal governo della Serbia, mentre si trovava in viaggio d'affari, il 28 gennaio 1997. Il suo successore Aleksa Jokic non si è opposto quando la Telekom, invece che per alcuni miliardi di dollari, è stata venduta per 1,568 miliardi di DEM. Va osservato che il valore di acquisto delle PTT era stato valutato da "Nat West Markets", consulente di queste ultime, come compreso tra 2,9 e 3,2 miliardi di DEM, mentre il consulente del partner straniero, la società svizzera UBC, aveva affermato che le PTT valgono 3,3 miliardi. Puntando il dito contro la cattiva gestione dell'azienda, i sindacalisti affermano che nel parco macchine del direttore generale della Telekom, Milos Nesovic, c'è una vettura di marca Audi del valore di 300.000 DEM. Alla giustificazione di Nesovic che questa automobile di lusso, così come altre, non è di proprietà della Telekom, bensì delle PTT Srbija, e che la prendono in affitto dalle PTT per aiutare la società madre, Marija Dancetovic afferma: "Sarà anche delle PTT Srbija. Ma le PTT non hanno così tanti soldi come la Telekom. Nelle PTT le spese sono pari all'80% dei redditi complessivi, e quindi difficilmente con il rimanente 20 per cento possono comprarsi i modelli più recenti, blindati e con i vetri neri. Sono soldi presi da quel 51% della Telekom di proprietà della holding. L'azionista greco si prende la sua quota, quello italiano la sua e noi ci dividiamo il rimanente bottino. E nonostante tutto questo, i lavoratori nel 1997, al momento della vendita della Telekom, avevano uno stipendio di 400 DEM, mentre adesso ne prendono solo 150, in media. Anche se in occasione della vendita della Telekom è stata inserita una clausola secondo cui per i cinque anni successivi alla conclusione dell'affare, i dettagli del contratto non possono essere resi accessibili al pubblico, il sindacato chiede: 'Fate vedere il contratto, affinché possiamo sapere cosa ci aspetta'. RIQUADRO: COMMERCIO CON PICCOLI E GRANDI MEZZI [Riporto per completezza anche il seguente riquadro redazionale di "Reporter", che accompagna l'articolo di Jelica Putnikovic, segnalando tuttavia subito che i dubbi sulla vera identità degli acquirenti della Telekom Srbija sono del tutto infondati, come spiegato nei particolari nella mia successiva nota - A. Ferrario] La domanda a chi e a quali condizioni è stata venduta la Telekom è stata avanzata in questi giorni dal Fondo per lo sviluppo della democrazia. E' stato segnalato che esistono dubbi su chi siano i proprietari effettivi, perché: all'opinione pubblica (con un annuncio dato su "Politika" l'8 giugno dal consulente delle PTT, la società Net West Markets) è stato comunicato che il 20 per cento era stato acquistato dalla greca OTE e il 29 per cento dalla Telecom Italia S.p.A., mentre presso il Tribunale commerciale di Belgrado e nella Gazzetta ufficiale della Federazione jugoslava, accanto alla società greca OTE, quale acquirente di una quota della Telekom Srbija viene citata la società olandese Stet International Netherlands N.V. Quindi la società italiana non viene nemmeno nominata e il Fondo per lo sviluppo della democrazia afferma che, secondo dati non ufficiali, non vi sono assolutamente rapporti tra la società olandese e quella italiana (con l'eccezione del fatto che negli organi dirigenziali della società di Amsterdam figurano anche degli italiani). E' interessante notare che, comunque, non sono noti gli azionisti di tale società olandese e quindi non si sa se tra di essi vi sono jugoslavi. Se il vero acquirente del 29 per cento della Telekom è una società olandese o italiana lo confermerà, tra gli altri, il nuovo governo della Serbia. Se i dubbi sugli azionisti effettivi, nonché sulle malversazioni e sulle provvigioni, verranno confermati, dovranno occuparsene i giudici. L'avvocato Milenko Radic, del Fondo per lo sviluppo della democrazia, sospetta anche dell'accordo stipulato con l'assistenza di Douglas Herd (che il 24 luglio si era incontrato con Slobodan Milosevic e Ljubisa Ristic proprio per la vendita della Telekom) e della Net West Markets da egli rappresentata, perché il prezzo reale era almeno tre volte maggiore di quello realizzato. Ricordando lo scenario in cui è avvenuta la vendita della Telekom, Radic afferma che cinque giorni prima della vendita il governo della Serbia aveva approvato un Decreto per l'impiego e lo sfruttamento dei fondi provenienti dalla vendita del capitale di imprese pubbliche, e che lo stesso giorno aveva dato il proprio accordo al programma del Fondo per lo sviluppo della Serbia, nel quale tale denaro è andato ad affluire. Inoltre, nel Consiglio di amministrazione del Fondo per lo sviluppo della Serbia il governo aveva praticamente nominato se stesso (il presidente del Consiglio di ammiknistrazione del fondo era il premier Mirko Marjanovic, e i membri erano Dragan Tomic, Dusan Matkovic, Borka Vucic...). Il 9 giugno è stato firmato il contratto e la Telekom è diventata una società per azioni con una partecipazione estera del 49%. E' interessante notare, tuttavia, che gli azionisti di minoranza hanno nei fatti il potere reale nella Telekom, perché su cinque membri del Consiglio Esecutivo dell'azienda tre sono stranieri e, secondo fonti non ufficiali, nella stessa azienda gode di maggiori poteri del direttore Nesovic il suo collega straniero, che ricopre l'incarico di vice-direttore generale. NOTA: I dubbi espressi dall'avvocato Milenko Radic del Fondo per lo sviluppo della democrazia in merito alla Stet International Netherlands sono del tutto infondati, come risulta anche solo da una rapida verifica su Internet. La Stet International Netherlands N.V infatti è una società interamente controllata dalla Telecom Italia S.p.A. e la cui funzione è quella di effettuare le acquisizioni estere della casa madre nel settore della telefonia fissa. La Stet International ha infatti acquistato quote di operatori telefonici in Spagna, Brasile, Argentina, Cile, Bolivia e Cuba, come riportato nei particolari da svariate fonti specializzate, e compare regolarmente nei bilanci delle società del gruppo Telecom Italia. Anche nell'ultimo numero del settimanale serbo "NIN" (9 novembre 2000) si avanzano dubbi infondati sui legati tra la Stet International Netherlands e la Telecom Italia. Nel relativo lungo articolo vengono tuttavia citate altre informazioni interessanti, sempre da leggere con la dovuta prudenza. Secondo il settimanale sarebbe stato Ivan Curkovic, noto ex calciatore serbo e attuale presidente del Partizan di Belgrado (del Partizan parla anche l'articolo di "Reporter" più sopra), nonché amico dell'ex premier federale Marjanovic (si veda sempre l'articolo di "Reporter"), ad aprire canali di contatto tra le autorità serbe e la Telecom Italia. In quegli anni Curkovic aveva numerosi contatti con importanti banche di tutto il mondo, poiché si occupava della compravendita di giocatori jugoslavi e dell'organizzazione delle partite all'estero delle squadre serbe. Il tutto, secondo quanto scrive "NIN", avveniva per il tramite di una società svizzera, la Radiotele, che allo scopo ha fondato in quegli anni una omonim consociata in Olanda, con filiale in Italia. Da qui probabilmente vengono i sospetti dei due settimanali serbi, visto tra l'altro che, causa l'embargo, il settore degli affari calcistici per centinaia di miliardi sembra essere stato uno dei canali per la diversione di fondi. L'altro particolare interessante rilevato da "NIN" è che nel consiglio di amministrazione del Partizan Belgrado ai tempi dell'affare Telekom sedevano il ministro delle telecomunicazioni della Serbia, Dojcilo Radojevic, e il già menzionato direttore della società telefonica Mobtel, Aleksa Jokic, oggi direttore delle PTT. Un articolo pubblicato dalla newsletter di settore "Telecommunications Online" nel luglio 1997 riguardo alla vendita della Telekom Srbija conferma invece quanto scrive "Reporter" in merito all'alto grado di controllo effettivo che la Stet (cioè Telecom Italia) ha della gestione degli affari correnti della società serba, pur essendo azionista di minoranza: "Il governo serbo passerà [ai partner stranieri] la gestione quotidiana della Telecom Serbia, ma tratterà per sé una 'golden share' che gli darà il diritto di veto sulle decisioni importanti. Stet ha affermato che deterrà quella che viene definita una 'sub-golden share', che le consentirà di avere il voto decisivo nel consiglio di amministrazione". Riguardo alla società di consulenza Net West Marktes le informazioni reperibili in Internet e negli archivi della stampa sono risultate, finora, molto scarne: la società era stata scelta nell'ottobre del '97, alcuni mesi dopo l'affare Telekom, come uno dei consulenti del governo macedone per la vendita della Telekom Makedonija (la società non è ancora stata venduta, anche se è oggetto di interesse da parte della greca OTE e della francese Alcatel). Il 9 marzo 1998 il quotidiano serbo "Nasa Borba" registrava una dichiarazione del direttore della Net West, John Crowley, secondo cui "con il contratto con la STET e la OTE è stato dato un segno di sicurezza e il paese si è confermato come un luogo in cui gli investitori esteri possono operare". Le voci corse sull'affare Telekom sono state davvero molte. Ne riprendiamo qui per la cronaca altre due che riguardano direttamente l'Italia. In un articolo del settimanale montenegrino "Monitor" pubblicato il 4 febbraio 2000 e riguardante la revoca dal proprio incarico dell'ex ambasciatore jugoslavo in Italia Miodrag Lekic, si scrive che quest'ultimo era stato tenuto dalle autorità di Belgrado all'oscuro di tutti i più importanti rapporti tra Italia e Jugoslavia e tra le altre cose si cita a proposito "l'incontro segreto tra il presidente serbo Milutinovic e [il ministro degli esteri italiano] Dini (probabilmente in relazione al contratto di compravendita della Telekom Srbija) avvenuto in un appartamento privato di Roma", senza aggiungere ulteriori particolari. Il quotidiano "Danas" (7 aprile 2000) e il settimanale "Reporter (19 aprile 2000) hanno aperto un altro "fronte diplomatico", scrivendo che l'ex ambasciatore jugoslavo in Vaticano, Dojcilo Maslovaric, membro della JUL (come il direttore delle PPT, Jokic) e particolarmente vicino alla moglie di Milosevic, Mira Markovic, aveva guadagnato tra 2 e 5 milioni di marchi tedeschi come provvigioni per il suo ruolo chiave nell'affare Telekom. Maslovaric aveva buoni contatti anche con don Vincenzo Paglia, della comunità di Sant'Egidio e, secondo quanto scrive Pregrad Simic in "NIN" del 18 maggio 2000, l'iniziativa delle trattative tra Rugova e Milosevic per l'accordo sull'educazione, poi firmato nel settembre 1996 e mai applicato, sono partite dai due. Nello stesso periodo don Paglia premeva sul Vaticano affinché il Papa si recasse in visita in Serbia, un progetto, secondo Simic, fortemente caldeggiato da Mira Markovic. Ci permettiamo a proposito un'ulteriore digressione, rilevando due fatti che sono un chiaro segno delle buone relazioni tra Vaticano e la signora Markovic. Durante i bombardamenti NATO del 1999, RAI 1 aveva trasmesso una puntata della trasmissione "Porta a porta", condotta da Bruno Vespa, giornalista che notoriamente intrattiene ottimi rapporti con le gerarchie vaticane, durante la quale è stata intervistata in diretta Mira Markovic, mentre in studio c'era una profuga albanese del Kosovo che non aveva più notizie dei suoi famigliari. Grazie all'abile opera di Vespa in studio, alla Markovic è stata data l'occasione di mostrarsi "umana" raccomandando alla profuga di andare a chiedere notizie dei suoi cari alla... ambasciata jugoslava a Roma! (E' stata certamente una delle trasmissioni televisive più ciniche del periodo dei bombardamenti). La Markovic inoltre, è stata intervistata con grande risalto nell'ottobre del 1999 dal settimanale cattolico "Famiglia Cristiana". Imboccata ad arte dall'intervistatore, la Markovic ha affermato che la delegazione jugoslava a Rambouillet non aveva firmato il relativo trattato a causa del noto "Allegato B" - per la cronaca, si è trattata della prima affermazione in tal senso da parte di un personaggio ufficiale jugoslavo, visto che nessun rappresentante jugoslavo si era mai lamentato di tale Allegato, né a Rambouillet, né nei sei mesi successivi. Tra le altre notizie trovate negli archivi sull'affare Telekom Srbija va citato ancora un articolo di "Nasa Borba" (28 gennaio 1998) in cui, riprendendo materiali pubblicati dal "Financial Times", si scrive che l'azienda serba avrebbe presto venduto un ulteriore 20% delle azioni ai partner stranieri, per un totale di 500 milioni di dollari, e che nei mesi precedenti la Telekom Srbija aveva ottenuto crediti a breve termine dalla Stet e dalla OTE per 63 milioni di marchi. (a cura di Andrea Ferrario) Da "Notizie Est - Balcani" n. 369, 18 novembre 2000: AFFARI, BANCHE & CONDONI [Seguono, nell'ordine, brani di un'intervista concessa a "NIN" da Maslovaric, ex ambasciatore jugoslavo in Vaticano, sull'affare Telekom Srbija; un breve pezzo sulla ristrutturazione "balcanica" dell'italiana Mediobanca; un commento di "Danas" sulla recente amnistia dell'UE agli uomini del regime di Milosevic, con un elenco dei nomi più noti cancellati dall'elenco delle persone bandite dall'Unione] CHI SI RIVEDE, DOJCILO MASLOVARIC Il settimanale di Belgrado "NIN" ha pubblicato nel suo numero del 16 novembre un'intervista a Dojcilo Maslovaric, l'ex ambasciatore jugoslavo in Vaticano al quale avevamo accennato nella serie di materiali riguardanti l'affare Telekom Srbija pubblicati in "Notizie Est" #366 dell'11 novembre scorso. Riportiamo più sotto i passi maggiormente interessanti di tale intervista (Maslovaric è stato contattato da "NIN" a Roma, dove ancora si trova). [...] NIN: Si dice che lei sia stata una delle persone chiave che hanno mediato per la firma del contratto relativo alla vendita della Telekom. MASLOVARIC: Sono scemenze, idiozie, "tesi cospirative". Visto che mi trovavo in Italia da quattro anni, visto che conosco molte persone, avevo il fortissimo desiderio di aiutare ad arrivare alla conclusione di tale affare. Ho portato il presidente del Banco di Roma a Belgrado già il 13 giugno 1996, all'incirca quando sono venuto qui a Roma. Successivamente con il Banco di Roma ha lavorato Borka Vucic [direttrice generale della Beogradska Banka e comunemente definita la "banchiera privata di Milosevic" N.d.T.]. E così si è arrivati alla Telekom. Io ero il tramite, mi contattavano per la mia conoscenza con il presidente. Ero io il contatto per fissare un incontro. NIN: Si ritiene che una persona coinvolta in tutto questo ne tragga dei vantaggi materiali, delle provvigioni, una percentuale? MASLOVARIC: Sì, ma come può ottenerne un ambasciatore? Penso che assolutamente non possa. A tutto ciò hanno lavorato persone del governo, persone delle Poste e della Telekom, da questa e dall'altra parte. Su queste cose vi può raccontare tutto Milan Beko, che vi ha partecipato direttamente, che è stato nominato dal presidente del governo e da quelli delle Poste che allora hanno lavorato. Naturalmente, è stato necessario allora sostituire alcune persone delle Poste. A quei tempi è stato sostituito Jaksic. Eh, si tratta di businessmen che possono trarre vantaggi, guadagnare. NIN: E' vero che l'affare ha avuto un valore di un miliardo e cento milioni di lire [si tratta della cifra ufficialmente comunicata - N.d.T.]? MASLOVARIC: Milan Beko ha tutti i relativi dati precisi. Oltre agli italiani, vi hanno preso parte anche i greci. E la cifra precisa è superiore a un miliardo e mezzo di marchi, vicina a un miliardo di dollari. Si tratta di una cifra molto alta rispetto al caso della Romania. Qui, nei giornali, gli italiani sono stati criticati per avere pagato troppo da noi. E Milan Beko ha detto che Nikola Sainovic e Jaksic volevano vendere per venti anni a fronte di una cifra minore, e lui è riuscito ad accordarsi per otto anni e per più soldi. NIN: Come è stato speso quel denaro? Per le pensioni prima delle elezioni del 1997? MASLOVARIC: Ero presente quando il presidente Milosevic ha detto apertamente a Marjanovic [l'allora premier] e a tutti gli alti funzionari: "E' una buona iniezione per la nostra economia, risponderete personalmente di fronte a me se quei soldi non verranno diretti come è necessario e dove è necessario". "E come no, presidente", gli hanno risposto. E sapete dove sono andati a finire? Piccole somme sono andate per le pensioni, mentre quelle grandi sono state spese nelle grandi imprese, nelle imprese "di successo". [...] [Tra gli altri particolari interessanti cui Maslovaric accenna nelle parti qui non riportate, vanno segnalate le sue affermazioni secondo cui uno dei motivi per cui egli non ha fatto ritorno in Serbia dopo la sua revoca nel febbraio scorso sono state le minacce provenienti da Marko Milosevic, figlio del più noto Slobodan, il quale sarebbe tra l'altro stato due volte a Roma alla fine del 1996. Maslovaric si lamenta anche della non professionalità di molti diplomatici jugoslavi, citando in particolare il caso del console a Milano, che era stato in precedenza direttore della "Zastava". Si conferma inoltre il particolare favore di cui Maslovaric godeva in Vaticano, visto che l'ex ambasciatore afferma di essere stato insignito, dopo soli due anni e due mesi che era a Roma, dell'ordine "Pio IX" conferito dal Papa, secondo Maslovaric un fatto senza precedenti per un ambasciatore. "NIN" riporta anche un breve profilo biografico di Maslovaric: è nato a Istok, in Kosovo, nel 1953, ha studiato legge a Belgrado e dal 1976 lavora al ministero degli esteri. E' stato console a Roma dal 1986 al 1990, vicesegretario nel governo di Milan Panic, segretario agli esteri della Serbia dal 1994, ed è infine diventato ambasciatore in Vaticano nel 1996, fino alla sua rimozione nel febbraio 2000] MEDIOBANCA O MEDIOBALCANICA? di Andrea Ferrario In Italia i Balcani sono purtroppo diventati nel senso comune, grazie anche all'opera dei media, sinonimo di loschi traffici, regimi autoritari e, soprattutto, immigrazione criminale. Nelle sfere della grande finanza, tuttavia, il termine ha un'accezione molto meno sgradevole, come è facilmente comprensibile a chi segua i grandi affari che il capitale italiano ha realizzato nei Balcani. Lo dimostra tra le altre cose la recente ristrutturazione dei vertici di Mediobanca, la grande banca d'affari che è sempre stata il salotto buono in cui si riunisce la "crème" del capitale italiano. Il 28 ottobre (ironicamente, l'anniversario della marcia su Roma di Mussolini, un altro "appassionato" di Balcani) nel consiglio di amministrazione di Mediobanca sono entrati a fare parte rappresentanti di Banca di Roma (Giorgio Brambilla) e di UniCredito (Paolo Biasi). Le due banche avranno fra breve loro uomini anche ai posti dei due vicepresidenti di Mediobanca. E' stato rinviato solo di poco l'ingresso di Roberto Colaninno, numero uno di Telecom Italia. Dei vertici di Mediobanca fa tradizionalmente parte anche la Fiat, mentre il 28 ottobre ha visto l'uscita della Comit. Tutte queste banche e aziende hanno svolto un grande (e chiaccherato) ruolo nei Balcani: la Banca di Roma ha grossi interessi in Albania e, secondo quanto racconta qui sopra Maslovaric, avrebbe avuto un ruolo nel mega-affare Telekom Srbija, tramite i suoi contatti con Borka Vucic, importante esponente di regime; la UniCredito ha realizzato affari megamiliardari, oggetto di una valanga di accuse da parte dei media locali, in Croazia e in Bulgaria (Splitska Banka e Bulbank rispettivamente); il Gruppo Fiat ha da anni interessi nella jugoslava Zastava, fino a poco tempo fa una delle roccaforti dei socialisti di Milosevic; la Telecom Italia è nota a tutti per l'acquisto della Telekom Srbija nel 1997, affare tornato alla ribalta sulla stampa serba nelle ultime settimane. La Comit da parte sua abbandona Mediobanca, ma ne faceva parte nel momento in cui, l'anno scorso, trattava e realizzava con gli uomini del regime di Tudjman l'affare per l'acquisto della Privredna Banka. Insomma, Mediobanca balcanizzata, ma con stile e, soprattutto, con profitto. (i dati sui cambiamenti ai vertici di Mediobanca sono tratti da "Corriere della Sera" e "Repubblica" del 29 ottobre 2000) Da "Notizie Est - Balcani" n. 381, 24 dicembre 2000: LINEE BOLLENTI di Nikola Vrzic - ("NIN", 21 dicembre 2000) [Nota: La stampa serba continua a seguire con attenzione gli sviluppi relativi alla vendita di quote della Telekom Srbija a italiani e greci, a differenza di quella italiana che sull'argomento, a quanto ci risulta, tace completamente] L'ex presidente ha guardato negli occhi Miodrag Miki Vujovic, nel corso di un'intervista per la TV Palma, ha pensato all'intero popolo e lo ha messo in guardia: il nuovo governo svenderà agli stranieri tutte le imprese serbe strategiche a prezzo derisorio, a differenza di quello precedente, cioè il suo governo, quello del popolo. Nella discussione sulle vendite e le svendite, tuttavia, dopo l'ex presidente ha preso la parola anche un potenziale futuro candidato a presidente del governo della DOS, Zoran Djindjic - ha ricordato la vendita di quote della Telekom Srbija agli italiani e ai greci nel giugno del 1997, definendo il relativo accordo estremamente dannoso per lo stato, il più dannoso mai stipulato, e ha dichiarato che sarà oggetto di una revisione. All'inizio del giugno 1997 lo stato della Serbia ha trasformato quella che fino ad allora era l'Impresa pubblica PTT Srbija (Poste e Telegrafi della Serbia), scorporando dalle Poste la Telekom e vendendo il 49% delle sue azioni a due aziende estere, l'italiana STET, o più precisamente l'impresa STET International Netherlands N.V. (SIN) con sede ad Amsterdam, e la greca OTE. Gli italiani hanno acquistato il 29% delle azioni, i greci il 20%. Complessivamente, il pacchetto di azioni è stato collocato a 1 miliardo e 568 milioni di marchi tedeschi - secondo quanto allora è stato comunicato al pubblico dai più alti vertici, la quota della STET è costata 893 milioni di marchi, mentre i rimanenti 675 milioni sono giunti allo stato della Serbia dalla greca OTE. IL REGISTA LJUBISA RISTIC Tuttavia: "L'OTE ha pagato la sua quota 650 milioni di marchi", afferma per NIN Aris Heretis, rappresentante della OTE nella Telekom serba e consigliere speciale di tale impresa. Una "nutrita" differenza, quindi, pari a 25 milioni di DEM, rispetto alla versione ufficiale, una differenza uguale alla somma che la OTE ha dato in prestito alla Telekom (con gli interessi, si tratta ora di una somma che supera i 30 milioni). Ad ogni modo, afferma il signor Heretis, la OTE non ha acquistato la sua quota dal Governo della Serbia, bensì dalla STET, che ha anche offerto loro le azioni. Ma questa è soltanto la punta dell'iceberg della vendita della Telekom, un iceberg che solo ora comincia a sciogliersi. Le stesse modalità di reperimento dei partner stranieri aveva già allora sollevato dubbi, poiché non vi è stata traccia di alcuna asta pubblica. "Non si sa ancora esattamente come sono stati trovati i partner stranieri", ha dichiarato a NIN il ministro federale delle telecomunicazioni Boris Tadic. "Invece di un'asta pubblica abbiamo organizzato una gara di vendita su invito", con queste parole laconiche ai tempi aveva dissipato i dubbi il ministro per la trasformazione delle proprietà, Milan Beko, direttamente incaricato da Slobodan Milosevic di portare a termine la fase conclusiva delle trattative. Secondo quanto rivela il ministro Tadic, nella prima fase delle trattative la parola principale la ha avuta il leader universale della Sinistra jugoslava (JUL) Ljubisa Ristic, politico, esperto di economia e di teatro. "Ristic ha condotto negoziati relativi alla stima del valore della Telekom insieme all'ex ministro britannico degli esteri Douglas Hurd, rappresentante della società di consulenza Net West", afferma Tadic e prosegue: "Nello stimare il valore della Telekom, Ristic lo ha in un primo momento sopravvalutato di svariate volte, fino a quando successivamente è accaduto qualcosa che lo ha spinto a modificare drasticamente l'offerta e a proporre un prezzo che è decisamente inferiore a quello reale e a quello originale. Alla fine, comunque, la seconda offerta di Ristic è aumentata in una certa misura e il 49% della Telekom è stato venduto (ufficialmente) per un miliardo e 568 milioni di marchi tedeschi". Qui si riscontra un altro problema: "Le azioni della società sono state vendute per molto meno denaro di quanto se ne sarebbe potuto ricavare. Secondo alcune valutazioni, la Telekom valeva addirittura quattro miliardi di marchi", afferma il ministro Tadic, "mentre il valore delle intere PTT di allora era di circa otto miliardi". Il direttore generale incaricato della Telekom, Drasko Petrovic, ha espresso di fronte a NIN un'opinione analoga e afferma che "la somma per la quale è stata venduta parte della Telekom è lontana dal suo valore reale". Quei quattro miliardi, è chiaro, non potevano essere ottenuti in alcun modo nel 1997, sia per l'instabile situazione politica all'interno del paese, sia per il muro esterno di sanzioni e per l'imminente guerra in Kosovo... Se la vendita della Telekom fosse stata rimandata a tempi più pacifici e fortunati probabilmente si sarebbe ottenuto molto di più, ma non è andata così. Alla domanda perché non è stato così si possono dare due risposte e quale sia quella giusta è una cosa del tutto lampante. Una spiegazione, in particolare, potrebbe essere che tutto ciò è stato fatto per il bene della società telefonica nazionale, l'altra, invece, è che le quote della Telekom sono state vendute per altri motivi nazionali. L'ACCORDO SEGRETO "DISSOTTERRATO" Quale delle due risposte sia più vicina alla verità lo si intuisce dalle parole di Drasko Petrovic, il quale ai tempi della vendita di tale impresa era deputato nel Parlamento della Serbia e membro del Comitato per i Trasporti e le Comunicazioni: "Tutto quello che so con sicurezza è che del denaro ottenuto nemmeno un marco è entrato nella Telekom o nelle PTT". Alle parole di Petrovic si affiancano quelle del ministro Boris Tadic: "Non abbiamo ancora un'idea precisa di dove sia andato a finire il denaro, ma sappiamo che una parte è andata a tappare i buchi del bilancio". Gli stipendi e le pensioni, quindi, hanno portato via una parte del denaro (Petrovic ritiene che varrebbe la pena di "andare a frugare" anche nel Fondo per lo sviluppo della Serbia), mentre crediti rilevanti e "singole" imprese e persone si sono portati via l'altra parte - c'era bisogno tra le altre cose di aiutare la campagna elettorale dei partiti di governo... Le vie prese dal denaro ottenuto sono sorprendenti, indipendentemente da quanto esso sia stato, anche se tutto finora rimane nella sfera delle ipotesi - un quadro preciso verrà tracciato solo dall'indagine che verrà avviata, dichiara il ministro Tadic. Per quanto riguarda il denaro, non è tutto; la realtà è molto più distorta: non solo la Telekom non ha ottenuto nemmeno un marco dalla vendita della metà delle sue quote, ma si è addirittura, come veniamo a sapere dal direttore Petrovic, maggiormente indebitata, tanto che entro il 2005 dovrà restituire oltre duecento milioni di marchi tedeschi. E' interessante, altrimenti, anche la domanda del perché i partner stranieri abbiano deciso di entrare in tale affare proprio in quel momento. Tre anni fa "NIN" ha scritto che nella notte della firma del contratto è atterrato a Belgrado in incognito il ministro degli esteri italiano Lamberto Dini e Boris Tadic giunge alla conclusione che la vendita delle quote della Telekom sia stata "un'iniezione finanziaria al regime di Milosevic", che sia stata "una prova che l'Occidente in quel momento non desiderava cambiamenti democratici nel nostro paese". Comunque sia, il contratto è stato firmato e direttore generale della Telekom Srbija è diventato Milos Nesovic, presidente dell'Assemblea degli azionisti Radmil Andjelkovic e del Consiglio di Amministrazione Milorad Vucelic. Lo stesso contratto è stato tenuto lontano da occhi indiscreti e ha ottenuto lo status del segreto di stato più gelosamente custodito, accessibile solo a pochissimi intimi. Fino a che punto si sia arrivati in ciò lo dimostra tra le altre cose che nemmeno il ministro per la trasformazione delle proprietà nel governo di unità nazionale di socialisti-julisti-radicali, la funzionaria del Partito Radicale Serbo Jorgovanka Tabakovic, è riuscita, nonostante i tentativi, a vedere l'accordo. Nemmeno Aris Heretis, secondo quanto afferma, ha visto il contratto, i cui firmatari, in realtà, sono stati solo la STET, ovvero la SIN, e il governo della Serbia, mentre la OTE ha firmato unicamente un accordo con la società italiana. Di conseguenza le nuove autorità si sono dimostrate più ingegnose; il contratto per la vendita di quote della Telekom agli italiani di Amsterdam è stato "dissotterrato" e, afferma Boris Tadic, la sua analisi è in corso, motivo per cui può riferire solo alcuni dettagli. E le domande che "NIN" aveva da porre erano molte; quali sono, per esempio, gli obblighi che il contratto prevede per i partner stranieri, ovvero, diciamo, in quale modo vengono suddivisi i profitti... Finora, infatti, il pubblico è stato informato di tali questioni unicamente dal precedente direttore della Telekom, Milos Nesovic: "Con l'accordo con gli azionisti greci e italiani è stato stabilito che le telecomunicazioni verranno sviluppate in maniera equa sull'intero territorio della Serbia e l'obiettivo è quello di avere entro il 2005 un numero di 40 linee telefoniche ogni 100 persone", nonché dal precedente presidente dell'Impresa pubblica PTT Srbija, Aleksa Jokic: "Per quello che riguarda le due società straniere che entrano nelle nostre telecomunicazioni, il contratto precisa in maniera chiara che ogni parte alla fine dell'anno, dopo la chiusura del bilancio, ha diritto a una propria quota dei dividendi. Quale ne sarà l'entità, dipenderà dal successo della gestione e del funzionamento della Telekom Srbija". "Fin dal primo sguardo è chiaro che l'accordo è stato scritto all'estero e quello di cui noi disponiamo qui costituisce una sua traduzione incomprensibile in lingua serba", questa è la descrizione fatta dal ministro Tadic. Aggiunge che finora non può parlare delle modalità di divisione dei profitti e per quanto riguarda gli obblighi dei partner stranieri afferma laconicamente che l'accordo parla di investimenti nell'infrastruttura, nella telefonia fissa e in quella mobile; in breve, di investimenti nello sviluppo della società telefonica nazionale. Ma la realtà ha fatto del contratto semplicemente parola morta sulla carta: "La politica di sviluppo della Telekom è stata direttamente una politica antisviluppo. E lo stesso funzionamento dell'azienda è stato messo in causa dalla mancanza di finanziamenti", ricorda il ministro Tadic. CINQUE DETTAGLI CONTROVERSI Questo, in pratica, potrebbe significare che ai partner stranieri (al partner straniero?) è stato consentito di non adempiere i propri obblighi per quanto riguarda l'effettuazione di investimenti per lo sviluppo e si tratta di una cosa chiara a ogni cittadino di questo paese che, per ottenere una linea telefonica o qualche servizio telefonico aggiuntivo come l'ISDN, per esempio, ha dovuto, al fine di togliersi lo sfizio, mettere mano al proprio portafoglio. Complessivamente, secondo le parole di Tadic, i punti più controversi sono cinque. Tra di essi vi è quello che assegna alla Telekom un diritto di monopolio fino al 2004, un monopolio non solo su quello che ora esiste nel paese per quanto riguarda la telefonia, ma anche su tutti gli altri servizi telefonici che potrebbero essere introdotti fino a tale data. "E' qualcosa che va contro non solo alle stesse norme europee che vietano il monopolio, ma anche alle nostre leggi e alla nostra Costituzione", afferma il ministro delle telecomunicazioni. Tra gli altri vari problemi che derivano dall'accordo vi è anche il fatto che esso vincola il prezzo degli scatti al corso del marco tedesco, riferisce Drasko Petrovic. "Il dinaro recentemente è stato svalutato. Se si dovesse mettere in atto tale clausola degli accordi, quali sarebbero le conseguenze per i cittadini?", si chiede il nostro interlocutore. A "NIN" sono state consegnate quattro pagine di uno degli allegati al contratto, "Accordo sull'assistenza tecnica", firmato da SIN e Telekom Srbija, il quale prevede che alla SIN, oltre ai dividendi dall'ammontare finora ignoto, la nostra azienda dovrà pagare anche "il tre per cento del reddito lordo" per il trasferimento di conoscenze ed esperienze, vale a dire quello che in inglese si chiama "know-how". "Per reddito lordo si intenderanno (nel testo dell'Accordo - N.d.A.) tutti i redditi mensili della Telekom Srbija che vengono riportati nel rendiconto finanziario mensile della Telekom Srbija, espressi nella valuta nazionale convertita in marchi tedeschi secondo il corso medio ufficiale mensile, escludendo le imposte dirette e indirette e le imposte sul valore aggiunto che il Governo della Serbia o la Repubblica Federale Jugoslavia possono approvare in futuro", scrive in tale documento. LA FIRMA DI RATKO MARKOVIC Il calcolo del reddito lordo secondo il corso ufficiale ha avuto, come conseguenza pratica, il fatto che il tre per cento della SIN sia stato davvero molto più alto di quanto non sarebbe stato se si fosse tenuto conto dello stato reale delle cose e del corso del cambio sulla strada. Vale a dire, in termini più pratici, che per il trasferimento del know-how la SIN ha guadagnato mensilmente tra tre milioni e tre milioni e mezzo di marchi. Tuttavia, come siamo venuti a sapere, la Telekom ha cessato di pagare tale denaro già nel corso del 1998 e, rendendo il tutto ancora più interessante, Aris Heretis afferma di "non sapere niente" e che "nessuno sa niente" di cosa effettivamente ci sia dietro la provvigione del tre per cento. Questa parte dell'accordo dell'azienda serba con il partner straniero è stato definito dal ministro Tadic "un elemento incredibile del contratto" e perché è tale lo si riscontra con chiarezza dalla lettera di 282 ingegneri dipendenti della Telekom, inviata al governo della Serbia, nella quale essi affermano di essere "sorpresi dalla recente notizia secondo cui ai partner stranieri viene pagata una determinata percentuale per il know-how". "Noi dichiariamo in tutta responsabilità che i partner stranieri non ci hanno apportato alcuna tecnica e miglioramento o progresso tecnologico, ma ci hanno solo reso il lavoro più difficile e ci hanno ostacolati, a cominciare dalla nuova organizzazione che i direttori serbi affermano direttamente essere stata proposta dal partner straniero", si afferma prima della chiusura della lettera, dopo la quale seguono le firme degli ingegneri. Ma non è ancora tutto; come rivela a "NIN" il ministro Tadic, con la firma di Ratko Markovic sotto una delle clausole del contratto, lo stato serbo ha rinunciato ai propri diritti di sporgere querela, e ottenere eventuali risarcimenti, a fronte di danni che gli azionisti della Telekom potrebbero causare all'azienda e allo stato con la loro gestione degli affari! Torniamo per un attimo alla commissione del tre per cento, ovvero ai redditi lordi della Telekom in rapporto ai quali essa viene calcolata - la maggior parte dei redditi proviene dal pagamento delle bollette telefoniche ed è un segreto pubblico che a molte imprese statali viene consentito da mesi, se non da anni, di non pagare tali conti. Oltre a ciò, ai "meritevoli" viene assegnato un gran numero di schede Telekom per i cellulari con conto illimitato (e gratuito, s'intende). E' per questo che i partner stranieri sono stati privati dei loro introiti? Oppure i relativi ammanchi sono stati riempiti "pompando" le bollette dei normali cittadini, che nella maggior parte dei casi non hanno modo di controllare i loro addebiti mensili? Un anno fa "NIN" ha cercato di indagare su questo problema, ma dall'ufficio dell'allora direttore generale Milos Nesovic è stata data la risposta che non esistono le possibilità tecniche di effettuare una cosa del genere. Il successore di Nesovic, Drasko Petrovic, non ci ha potuto dire nulla di più sull'argomento - ha solo confermato, per rincarare la dose, che invece esistono le possibilità tecniche per "pompare" le bollette. Comunque, non sono solo i cittadini a essere insoddisfatti del modo in cui fino a oggi ha funzionato la Telekom. Che qualcosa non abbia funzionato lo pensano anche gli ingegneri, Aris Heretis e Drasko Petrovic. "Quando sono arrivato al posto di direttore ho trovato una coordinazione molto cattiva nell'azienda, nell'ambito della quale non venivano rispettati nel modo migliore i rapporti tra i partner", afferma Petrovic. Sulle carenze di comunicazione e di una chiara suddivisione dei compiti e dei debiti si è diffuso più a lungo con noi, negli stessi termini, anche il signor Heretis, e i retroscena, così come il significato, di tali critiche si riduce, come veniamo a sapere dai vertici della Telekom, al fatto che "la JUL e gli italiani hanno messo in un angolo i greci". TENERE A FRENO I MONELLI Come ha effettivamente lavorato l'azienda lo descrive in maniera eloquente con ancora un altro dettaglio il direttore Petrovic: il Consiglio di Amministrazione della Telekom dalla fondazione fino a oggi non ha approvato nemmeno una revisione finanziaria della gestione dell'impresa telefonica nazionale! Tuttavia, non tutto alla Telekom Srbija è andato poi così male. Per esempio, non si può davvero considerare come "cattivo" lo stipendio dell'ex direttore Milos Nesovic, che riceveva mensilmente la cifra incredibile di 13.500 (tredicimilacinquecento) marchi al mese. "Ho rifiutato un tale stipendio, perché per me è impensabile potere ricevere una cifra che i dipendenti dell'azienda riescono a mettere insieme solo nel giro di svariati anni", spiega Drasko Petrovic e aggiunge che il Consiglio di Amministrazione dell'impresa ha detto che egli lavorerà per 26.000 dinari al mese - una cifra alla quale è giunto prendendo in considerazione gli stipendi dei dirigenti delle PTT. Cosa succederà ora e come si andrà avanti? Il leader del Partito Democratico Zoran Djindjic ha già annunciato una revisione del contratto, sperando in tal modo di salvare il salvabile. La revisione, naturalmente, sarà preceduta da un completo esame del contratto e della situazione nella Telekom che le nuove autorità hanno ereditato da quelle precedenti, e del quale hanno parlato sia Boris Tadic che Drasko Petrovic. Si dà per sottinteso che tutto questo dovrà essere accompagnato anche da un'indagine sulle responsabilità di coloro che hanno partecipato alla stipula del contratto e, speriamo, da una rivelazione trasparente dei flussi del denaro ottenuto. E tutto questo come pegno per il futuro, affinché non si realizzino le fosche previsioni dell'ex presidente, forte della propria esperienza di capo che, ecco, non ha avuto forze sufficienti per tenere a freno i monelli tra le proprie fila. Da "Notizie Est - Balcani" n. 406, 22 febbraio 2001: TELEKOM SRBIJA: GIOCHI DIETRO LE QUINTE di Petar Cvijic - ("Vreme", 15 febbraio 2001) [Questo articolo di "Vreme" è stato scritto appena prima che in Italia scoppiasse lo scandalo Telekom. Seguono più sotto una breve nota sugli affari della Ericsson nei Balcani, un editoriale del quotidiano "Danas" che riguarda anche lo scandalo Telekom, alcune informazioni sullo sciopero dei lavoratori della Telekom Srbija, ancora in corso] E' in corso un forte scontro riguardo alle aziende e intorno a esse. In particolare quelle che non sono completamente in bancarotta, oppure hanno qualche prospettiva. I leader della DOS hanno cominciato a installare "propri" uomini in posti chiave all'interno di tali imprese, dal direttore ai membri del consiglio di amministrazione. In maniera in una certa misura casuale, cioè più che altro in conseguenza dei disaccordi tra i nuovi poteri, alla guida della Telekom Srbija è arrivato Drasko Petrovic, che formalmente non fa parte di nessuno dei partiti democratici chiave, ma in passato, nonostante la sua giovane età, è stato membro noto di almeno tre tali partiti. Gli hanno aperto la strada i sindacati e nemmeno i partner stranieri (italiani e greci, partner del governo serbo nella Telekom) hanno avuto qualcosa in contrario. Zoran Djindjic, a quanto pare, non è stato contento di tale incarico e ha affermato che "un dilettante non può guidare una 'Formula 1'". I suoi uomini fidati a livello federale e della repubblica, Boris Tadic e Marija Raseta-Vukosavljevic, aiutati dal presidente del governo cittadino di Belgrado, Nenad Bogdanovic, hanno cominciato a fare sentire il fiato sulle spalle al nuovo direttore generale. E ben presto hanno avuto una buona occasione - il direttore nominato dal partner italiano (Cristofoli) ha richiesto una fornitura urgente di "un certo numero di stazioni di base e altre apparecchiature specifiche", perché la rete di telefonia mobile attualmente esistente è talmente sovraffollata che viene "messo in questione il proseguimento del suo funzionamento e in generale l'esistenza del sistema nel suo complesso". Contemporaneamente, l'italiano ha subito ottenuto un'offerta dalla Ericsson italiana, il cui valore su due fatture è di 48 milioni di marchi tedeschi. Petrovic, quale dirigente nuovo, giovane e ambizioso, ha scritto alla Ericsson svedese chiedendo un'offerta per le stesse apparecchiature citate nell'offerta della società affiliata italiana. L'offerta della sede centrale arriva e afferma: per le stesse apparecchiature 23 milioni di marchi. La Ericsson italiana - un successivo controllo porterà alla luce che tutte le sue offerte, alcune delle quali anche realizzatesi, avevano prezzi più alti di almeno il 40% rispetto a quelli reali - invia in tutta fretta e alla bell'e meglio un'altra offerta, sensibilmente più bassa, ma ancora superiore del 40%. Come direbbe il nostro popolo, qualcuno in tutto questo gioco ci è rimasto pienamente incastrato. Ma il ministro della repubblica Marija Raseta-Vukosavljevic ha inviato al direttore Petrovic un fax per un incontro immediato e tale fax comincia con le parole: "Egregio signor Draskovic". Per un tale errore perfino Freud si sarebbe rivoltato nella tomba almeno due volte. Il ministro, che altrimenti è anche quadro del CIP, vale a dire che è stata collaboratrice del grande edificatore della Serbia, Milutin Mrkonjic [nel 1999 direttore della Direzione per la ricostruzione del paese, nell'ambito della quale ha collaborato con Borka Vucic, "banchiere personale" di Milosevic - N.d.T.], fa pervenire a Petrovic, ormai in perfetto stile thriller, l'avvertimento "da parte del capo, che egli verrà arrestato se non sarà ubbidiente". Petrovic le risponde che c'è un solo capo e "sta in cielo" e che non accetta una terminologia che è propria della mafia siciliana. Lo scontro nella DOS si infiamma, viene messo in circolazione anche il nome di Nenad Bogdanovic come nuovo primo uomo della Telekom, ma anche quello di Andrija Bendarik come soluzione transitoria. L'intero garbuglio, nel quale vengono utilizzati gli argomenti più pesanti del tipo di "rapina", "contratto dannoso", "abuso di facoltà di ufficio", "firma senza firma depositata", "acconto del 30% in contanti", sono stati lanciati al fine di giustificare una rapida sostituzione di Drasko Petrovic. L'intero caso è giunto anche fino al presidente della Jugoslavia, Vojislav Kostunica, il quale commenta il tutto affermando con la parola "criminale" e successivamente il punto all'ordine del giorno con il quale Petrovic doveva diventare un bersaglio da colpire di fronte al governo della repubblica è stato ritirato e questo su insistenza di alcuni ministri che ne sapevano di più sul'intero problema. E quindi si è spenta la luce nell'osteria balcanica - sono partiti da più parti gli attacchi orchestrati nei confronti di Petrovic, alcuni media che anche durante il passato regime non esitavano a svolgere un tale ruolo hanno dato il loro completo contributo e ormai si può dire fin da ora che il direttore generale della Telekom Srbija è già un ex, solo che non lo si sa ancora. Oppure non si arrenderà. Senza alcun desiderio e intenzione di fare da arbitro o di schierarsi da qualsiasi parte in questa disputa, una persona, se è onesta, deve comunque porsi qualche domanda legittima: a chi conviene la modernizzazione della Telekom, cosa sottintende l'ampliamento delle capacità, l'introduzione del roaming, la sostituzione delle vecchie apparecchiature? Forse ne traggono un rendiconto coloro che sono a favore dell'introduzione di un terzo operatore di telefonia mobile, visto che con una Telekom sempre più disastrata ci saranno maggiori occasioni d'affari per questo terzo operatore e quindi anche un prezzo maggiore? [Il settimanale "Vreme" ha pubblicato, accanto all'articolo, anche il testo integrale della lettera di Drasko Petrovic al premier Djindjic in cui si denuncia l'enorme differenza di prezzo tra l'offerta della Ericsson italiana, richiesta dal direttore nominato dall'azionista italiano, e quella della centrale svedese] LA ERICSSON E I BALCANI: La società svedese ha firmato solo pochi mesi prima dei bombardamenti NATO sulla Jugoslavia, a fine dicembre 1998, un contratto da 350 miliardi di lire con la società serba Mobtel per lo sviluppo della rete GSM nel paese e il relativo credito è arrivato a Belgrado attraverso la "Progres" del premier Marjanovic (AFP, 22 dicembre 1998; AIM Podgorica, 23 dicembre 1998). Nello stesso mese la Ericsson è stata scelta dal governo greco per l'acquisto di quattro sistemi radar volanti per usi militari: la commessa ammontava a un totale di 570 milioni di dollari ("Nova Makedonija", 21 dicembre 1998). In Montenegro, la filiale croata della Ericsson ha finanziato la creazione di un secondo operatore di telefonia mobile con un apporto di 25 miliardi di lire ("Monitor", 16 giugno 2000). QUANDO L'INDAGINE RITARDA editoriale di "Danas", 21 febbraio 2001 Il governo della Serbia e il ministero proporranno al parlamento di approvare con procedura d'urgenza una legge sulla corruzione, ha dichiarato il ministro della giustizia Vladan Batic a una conferenza stampa del suo partito. Come ha spiegato ai giornalisti, "si tratterà di una specie di 'lex specialis' rispetto alle attuali leggi penali esistenti, perché l'escalation della corruzione minaccia le basi dello stato". La magistratura di Torino ha aperto l'altroieri un'indagine sull'acquisto di quote della Telekom Srbija da parte dell'impresa italiana per le telecomunicazioni STET, in conseguenza delle notizie secondo cui tale impresa avrebbe ricevuto una tangente per entrare nell'affare. Lo stesso giornale ha affermato venerdì che nel 1997 la STET ha pagato 900 milioni di marchi tedeschi per il 29% delle quote della Telekom Srbija, di cui il tre per cento sarebbe stato pagato come tangente. Il giudice del Tribunale Centrale di Atene, Yanis Sakelakos, ha avviato l'altroieri un'indagine preliminare riguardo alle affermazioni di "La Repubblica", secondo cui la OTE, impresa statale greca per le telecomunicazioni, e la STET hanno preso una tangente per comprare il 49% della Telekom Srbija nel 1997. La magistratura jugoslava e serba non hanno ancora avviato un'indagine. E' vero che il ministro Batic, annunciando la lex specialis, ha detto che presto comincerà un'indagine anche sulla vendita della Telekom. Il parlamento serbo ha nominato la settimana scorsa nuovi giudici e magistrati. L'imbarazzante coincidenza della circostanze porta al dubbio che il loro primo compito sarà quello di portare in tutta fretta dietro le sbarre, sfruttando la lex specialis, i sospettati dell'ex regime. Senza grandi indagini e senza pompa, con testimoni protetti e altre categorie simili. E' un fatto che la lex specialis non sia una forma gradita in Serbia, visto i ricordi ancora freschi dell'intervento di Milosevic nel 1997, quando proprio attraverso l'applicazione di una tale legge è riuscito a sfuggire alla responsabilità per i brogli elettorali. [...] L'ex presidente serbo e jugoslavo era ai massimi vertici del paese, eppure, a differenza di Torino e Atene, non ci sono ancora indagini. Le importanti notizie evidentemente non costituiscono una traccia sufficientemente degna di fede per le nostre autorità, nonostante il fatto che, secondo quanto afferma "La Repubblica", la somma pagata abbia consentito a Milosevic di vincere le elezioni del 1997. "Con l'aiuto di tale denaro ha potuto pagare stipendi e pensioni e rianimare le riserve in valuta, ridotte a soli 200 milioni di dollari. Quello che è ancora più importante, è che Milosevic ha potuto armare l'esercito in Kosovo", ha affermato il quotidiano di Roma. La precedente "vittoria", ricordiamo, è stata ufficializzata da Milosevic con una lex specialis, con la quale ha dato una dimostrazione di potere ai rappresentanti del popolo e al popolo stesso. La lex specialis che si annuncia ora, tuttavia, sembra più una conferma dell'impotenza delle nuove autorità a fare i conti con i criminali ricorrendo a mezzi legali e a procedure regolari. E in particolare con i grandi criminali. SCIOPERO ALLA TELEKOM Ieri è stato il terzo giorno di sciopero dei lavoratori della Telekom Srbija, che si recano sul posto di lavoro ma hanno ridotto le loro attività. I lavoratori chiedono tra le altre cose il pagamento degli stipendi dell'ultimo trimestre, non ancora arrivati. Nonostante l'afflusso di capitale estero nel 1997, come avevamo già notato, gli stipendi medi dei dipendenti della Telekom sono diminuiti da 400 marchi in quell'anno ai 150 odierni. I sindacati chiedono trattative dirette con il premier Djindjic. Una delle loro richieste principali rimane ancora quella che venga resa pubblica la versione integrale dell'accordo di vendita del 1997. Zoran Mrvaljevic, presidente del Sindacato della Telekom Srbija ha affermato di "sospettare che il partner italiano impedisca volutamente il lavoro del Consiglio di amministrazione", visto che i suoi cinque rappresentanti non vi partecipano e sono irreperibili. Ieri i lavoratori hanno parlato con due direttori italiani, Giovanni Garau e Renzo Fiarini, i quali tuttavia non avendo alcun potere di firma, non sono in grado di prendere impegni. Infine, il sindacato indipendente delle PTT Srbije ha svolto un'indagine che ha portato alla denuncia pubblica del fatto che dal 1996 al 2000 la Telekom ha assegnato ben 126 appartamenti con crediti a tasso agevolato, in molti casi senza che il rimborso delle somme fornite sia mai nemmeno cominciato. Il tutto, secondo il sindacato, per un valore di 7 miliardi. (da "Danas", 21 e 22 febbraio 2001) Da "Notizie Est - Balcani" n. 408, 24 febbraio 2001: DAL PIEMONTE AL PIEMONTE, PASSANDO PER DEDINJE [Seguono due pezzi: 1) un aggiornamento sugli ultimi sviluppi del caso Telekom in Serbia; 2) un articolo del 1999, tratto dal settimanale montenegrino "Monitor", sulla traettoria della lobby favorevole alla "causa serba" in Italia - il settimanale parte dall'800 e dal ruolo del Piemonte, regione in cui tutto infine ritorna... con l'apertura dell'inchiesta da parte della magistratura torinese] 1) TELEKOM SERBA: IL MAGGIORE E (O) IL PEGGIORE INVESTIMENTO IN SERBIA di Rade Repija - ("Danas", 24 febbraio 2001) [...] Dopo la firma del Contratto, al posto di direttore della Telekom è arrivato Milan Nesovic, al quale è stato affiancato un vice nominato dalla italiana STET. Secondo il contratto, il vice ha poteri quasi identici a quelli del direttore generale, mentre la parte italiana ha il diritto di veto su tutte le transazioni (cosa che non vale per la parte greca). Inoltre, secondo alcune informazioni, il governo serbo ha rinunciato con il contratto anche a sporgere causa per ottenere il pagamento dei danni in caso di cattiva gestione. Il dato forse più eloquente sulla qualità della gestione è il fatto che i debiti della Telekom siano pari a 200 milioni di dollari, mentre attualmente il reddito mensile della società è di 25-30 milioni di marchi. Il contratto, secondo quanto afferma il ministro Tadic, è attualmente oggetto di esame e ha cinque particolari controversi, dei quali il maggiore è quello del monopolio su tutti i servizi telefonici fino al 2004. In un allegato particolare viene regolato anche il pagamento del 3% del reddito lordo alla Stet International Netherlands per il trasferimento di know-how, che viene calcolato al corso ufficiale (vale a dire molto più alto), ma del quale nessuno sa cosa rappresenti. Le modalità di gestione della società vengono illustrate eloquentemente anche dal fatto che il consiglio di amministrazione non ha mai approvato nemmeno un rapporto finanziario dal momento della sua formazione. Il motivo della cattiva gestione della Telekom può essere individuato soprattutto nella funzione sociale, attraverso il mantenimento di un basso prezzo dei servizi, nonché nel fatto che attraverso l'acquisto di spazi e il pagamento di servizi alle poste è stata fatta defluire una buona parte dei fondi, ma lo si riscontra in particolare nella cattiva organizzazione della società. Il modello applicato alla Telekom, che prevede 16 direttori, è una copia di quello della STET, ma oltre al fatto che le direzioni più importanti sono in mano agli italiani, per molte decisioni è necessario l'assenso di più direttori. Il partner greco nella Telekom è anch'egli altrettanto insoddisfatto del modello organizzativo, ma la sua proposta di riorganizzazione non riceve risposta ormai da due anni. Il vecchio sistema organizzativo della Telekom era in alcuni casi di gran lunga migliore, afferma una fonte di "Danas" in tale azienda. "La politica di sviluppo della Telekom è stata direttamente antisviluppo. Lo stesso funzionamento dell'azienda è stato messo in dubbio dalla mancanza di investimenti", afferma Tadic. Come affermano alla Telekom, nonostante la cattiva gestione dell'azienda, con il miglioramento del sistema tariffario, la cancellazione della zavorra delle PTT (i cui debiti sono stati assunti in occasione della divisione della precedente impresa pubblica), nonché convincendo i partner stranieri della necessità di effettuare maggiori investimenti, per esempio tramite la rinuncia al diritto per il know-how, la Telekom potrebbe essere un'azienda redditizia, e potrebbe anche darsi da fare per il terzo operatore di telefonia mobile, che secondo quanto annunciato presto dovrebbe essere introdotto in Serbia. UN POSSIBILE COMPROMESSO "E' sbagliata la politica di procedere a una revisione del contratto, perché ciò costituirebbe, innanzitutto, una soluzione controproducente e costosa", affermano alla Telekom. Sarebbe molto meglio giungere a compromessi attraverso trattative, perché un arbitrato internazionale potrebbe erodere il valore dell'azienda, come è avvenuto nel caso della Telecom russa. L'entrata in scena di un terzo operatore potrebbe in questo momento mettere in ginocchio la Telekom, e in particolare il suo settore di telefonia mobile, il cui sviluppo si trova a metà strada. Soprattutto perché attualmente il mercato della telefonia mobile rappresenta una torta piuttosto limitata per potere essere divisa in tre fette, mentre gli altri due operatori sarebbero comunque in una posizione di partenza migliore - liberi dalle zavorre delle poste e della telefonia fissa. Tuttavia, si prevede un futuro migliore per gli utenti della telefonia mobile in Serbia, poiché riviste americane prevedono che nel 2005 in Serbia ci saranno 5 milioni di utenti, i quali avranno uno stipendio medio di 500 DEM. Queste previsioni, e il fatto che la richiesta di tale tipo di servizio sia alta (è sufficiente guardare le code per acquistare le schede), giustificano forse l'introduzione di un terzo operatore e le trattative con le aziende interessate in gran parte continuano. Tra gli interessati vi sono la Deutsche Telekom, la France Telecom, la norvegese Telenor, l'ungherese Matel, la Siemens Austria, la Hermann (tedesca) e la stessa OTE. Un fattore chiave è tuttavia quello del tempo, perché anche i dipendenti della Telekom chiedono il rinvio di circa un anno, un periodo di tempo che secondo le valutazioni degli esperti dovrebbe consentire a questa azienda di riprendersi. Da parte delle autorità provengono affermazioni secondo cui non è compito dei dipendenti occuparsi di queste cose. Che il caso Telekom (come d'altronde anche in Italia e in Grecia) abbia un rilevante retroscena politico, lo si constata dal fatto che recentemente nel governo serbo è stata sollevata la questione dell'acquisto di moderne apparecchiature della Ericsson per la telefonia mobile, che miglioreranno di molto questo tipo di servizi. In relazione a tutto ciò, è stata presa in considerazione anche la sostituzione di Drasko Petrovic, direttore generale della Telekom, la cui elezione era stata approvata anche dai partner stranieri e da tutti e tre i sindacati. Non molto tempo dopo, questa nomina è sta messa in questione, ma si è rinunciato a una sostituzione, per motivi che non sono noti. Indipendentemente dai cambiamenti ai vertici del potere, il destino della Telekom continuerà anche in futuro a dipendere dai rapporti tra i due maggiori partiti della coalizione governativa, e gli utenti dei servizi risentiranno positivamente o negativamente del successo (insuccesso) della consolidazione dell'azienda solo in un secondo tempo. DAL PIEMONTE A DEDINJE di Gordana Borovic - ("Monitor" [Podgorica], 15 ottobre 1999) [Il settimanale montenegrino "Monitor" uscito ieri, pubblica in copertina una fotografia di Dini e Milosevic in sorridente conversazione, con il titolo a tutta pagina: "Come è stato finanziato Milosevic: la Italian Connection". L'articolo principale è un ampio sunto delle inchieste di "Repubblica" e pertanto non lo riprendiamo perché i fatti sono ampiamente noti ai lettori italiani. Sotto l'articolo, tuttavia, "Monitor" segnala un suo pezzo pubblicato nell'ottobre 1999 sui rapporti tra Italia e Serbia. Lo riportiamo qui sotto, insieme al riquadro che l'ultimo numero di "Monitor" pubblica sulle reazioni formulate rispetto a tale pezzo dall'allora ambasciatore italiano Riccardo Sessa, e ad alcune brevi dichiarazioni rilasciate al settimanale dal giornalista di "Repubblica" Guido Rampoldi. Riguardo alla parte conclusiva dell'articolo di "Monitor", relativa all'appoggio alla "causa serba" dato da settori politici e giornalistici italiani, osserviamo che il settimanale va "a rullo compressore" e che andrebbero fatti precisi distinguo - ad esempio, è senz'altro assolutamente fuori luogo e ingiusto affiancare a tale proposito i Verdi e Luigi Manconi ad Armando Cossutta e Gianfranco Fini. Nonostante le numerose riserve, pubblichiamo integralmente l'articolo che dà comunque una panoramica interessante sul tema (le posizioni della Lega Nord, per esempio) ed è un esempio di come spesso da oltre Adriatico si guardi all'Italia - a.f.] SERBIA-ITALIA: C'E' QUALCHE LEGAME SEGRETO **Mentre gli aerei NATO decollavano dagli aeroporti italiani, i rapporti tra Roma e Belgrado sono rimasti quasi intatti. Perché gli affari segreti e pubblici tra i due paesi sono cominciati tanto tempo fa** La creazione di legami tra l'Italia e la Serbia comincia nella seconda metà del secolo scorso. Coloro che combattevano per la liberazione dei serbi dai Turchi guardavano all'Italia appena unitasi, e al suo centro, il Piemonte, come a un modello per la formazione di uno stato nazionale. Nel corso della prima guerra mondiale l'esercito italiano ha dato un significativo aiuto ai Serbi e ai Montenegrini. Ma alla fine della guerra, e dopo l'annessione del Montenegro da parte della Serbia, l'Italia, nonostante i legami famigliari con la dinastia Petrovic, non ha in alcun modo aiutato gli interessi montenegrini e ha riconosciuto de facto tale atto. Negli anni '30 di questo secolo i rapporti italo-serbi si raffredderanno temporaneamente, soprattutto a causa degli interessi del Vaticano in Croazia e delle mire di Mussolini sulla Dalmazia. A un loro nuovo intensificarsi si giugnerà direttamente nel corso della Seconda guerra mondiale, quando si sono rafforzati i rapporti tra i fascisti italiani e i cetnici serbi, ma anche tra gli antifascisti italiani (che hanno disertato dall'esercito dopo la capitolazione) e i comunisti serbi. Circa 40.000 italiani sono stati tra i partigiani, combattendo nelle unità non disciolte della Garibaldi. Successivamente, molti di loro sono diventati membri del Partito Comunista Italiano e hanno mantenuto contatti con i comunisti italiani. A una crisi nei rapporti con la Jugoslavia si arriverà nuovamente con Trieste. Ma il governo italiano ha guardato con simpatia alla rottura di Tito con Stalin. Gli esperti di rapporti serbo-italiani affermano che proprio a partire da tale momento all'interno del ministero degli esteri italiano si è formata una potente lobby favorevole a Belgrado. Si tratta, secondo le affermazioni di alcuni, della più potente lobby (tra i paesi dei Balcani e dell'Europa Orientale) all'interno del palazzo romano della Farnesina, che non ha posto ostacoli né alla posizione degli altri paesi dell'Europa Occidentale rispetto alla guerra in Jugoslavia, né agli obiettivi espansionistici e di pulizia etnica di Milosevic. Nel settembre 1992 Roma è stata l'unica capitale occidentale nella quale è stato accolto ufficialmente il presidente serbo-montenegrino, e scrittore nazionalista, Dobrica Cosic. Il ministro degli esteri Emilio Colombo ha ignorato il 21 gennaio dell'anno seguente l'embargo diplomatico nei confronti di Belgrado, recandosi personalmente in visita da Milosevic. Il successivo ministro, Susanna Agnelli, altrimenti sorella di Gianni Agnelli e uno dei proprietari della Fiat, si è opposta all'intervento in Bosnia. Nel giugno del 1995 anche lei ha visitato Belgrado. L'unico, ma breve, periodo di raffreddamento dei rapporti serbo-italiani lo si è avuto dopo il 7 gennaio 1992, quando un MIG serbo ha abbattuto sopra la Bosnia un elicottero che trasportava quattro italiani osservatori della CEE. L'Italia aveva richiamato l'allora ambasciatore a Belgrado, Sergio Vento, ma alla fine si è accontentata delle scuse della parte serba. L'attuale ministro degli esteri, Lamberto Dini, ha con la Serbia dei legami quasi "di famiglia". Sua moglie Donatella è una delle proprietarie della Telekom serba. Si dice che con parte della sua quota di investimento, 80 milioni di marchi, Milosevic abbia finanziato le ultime elezioni. Le simpatie italo-serbe trovano radice in diversi campi. Sebbene condizionata dagli interessi geostrategici dell'Europa "latina" e dalla necessità di frenare la penetrazione del marco tedesco e degli interessi tedeschi nei Balcani, questa amicizia politica viene consolidata anche dalle più solide tra tutte le basi - gli investimenti finanziari a livello internazionale ed economico, così come svariati affari sospetti di persone eccezionalmente influenti di entrambi i paesi. Alcune di tali persone impersonificano e simbolizzano, in misura maggiore o minore, tale amicizia. A parte Donatella Dini, tra gli esponenti dell'establishment politico-finanziario il più influente è ovviamente Gianni Agnelli, la cui Fiat ha una collaborazione di svariati decenni con la Zastava di Kragujevac. Una delle "eminenze grigie" dei rapporti italo-serbi è Giovanni Di Stefano, personaggio mediatico nel corso dei due mesi dell'ultima guerra, altrimenti compagno "d'affari" e amico personale di Arkan. Di lui si afferma che ha tre passaporti e una vita che divide tra la Serbia e il Belgio. Su uno di questi passaporti, affermano, come luogo di residenza vi è l'indirizzo: Tolstojeva 31, Belgrado. Il SISMI (il controspionaggio italiano) sospetta che sia proprio lui l'uomo più importante che organizza il traffico di droga tra l'America Centrale e i Balcani. Tra le sue numerose attività (ha fondato il Partito Nazionale in Italia, ha fatto affari con la Metro-Goldwin Mayer) vi è anche una collaborazione d'affari con il noto businessman Radojic Nikcevic, legato all'establishment di Belgrado, ucciso nel '93 in circostanze misteriose. Di Stefano, nel frattempo, continua a essere più che attivo. Ci ricordiamo Di Stefano nel programma "Pinocchio", quando, nel corso della guerra, è stato intervistato dal noto conduttore televisivo italiano Gad Lerner, altrimenti giornalista della "Stampa" di Torino, il cui proprietario è Agnelli. Di Stefano si è fatto vedere da Belgrado, dando l'impressione di essere eccezionalmente bene informato sulla questione nazionale serba. E' stato strano ascoltare un italiano parlare da dure posizioni serbo-nazionaliste. Recentemente si è lamentato sulle pagine del "Corriere della Sera": "Le bombe NATO hanno distrutto edifici che ho realizzato per i poveri intorno al ministero degli interni jugoslavo, il mio appartamento nei pressi dell'Accademia militare e il 'Gran Casino Royal' all'interno dell'hotel Jugoslavija". Di Stefano si prende cura degli affari di Arkan in Europa, perché quest'ultimo non può muoversi liberamente in seguito al mandato di cattura dell'Aia. Si afferma che Arkan e Di Stefano abbiano l'esclusiva sull'importazione della birra olandese Heineken in Serbia. Ma oltre alla birra e alle squadre di calcio, la loro attenzione si è concentrata sui redditizi affari con l'America Centrale. Si sa che in tali affari non vi sono divisioni lungo linee nazionali - la mafia serba è legata a quella croata, kosovara, macedone e albanese nel commercio di armi e droga, e nel controllo della prostituzione. Gli affari italo-serbi sono di grandi dimensioni e ramificati. La Bosnia "serba", naturalmente, non è stata dimenticata né sul piano politico né su quello degli "affari". Così, nel 1996 la rivista "Avvenimenti" ha informato che nel corso di un'inchiesta a Torre Annunziata, che seguiva le tracce di auto rubate in Italia e vendute in Bosnia, si è giunti ai conti svizzeri di Radovan Karadzic, che gli servivano per il pagamento delle armi vendute. E' finito in prigione anche Lorenzo Macega, un 42enne di Mestre, nei pressi di Venezia, il quale ha visitato a più riprese Pale con il russo Andrej Aleksiev. Queste due persone dovevano prendere 54 milioni di dollari per la vendita della bomba "Vacuum" e le rampe di lancio "Uragan" a Karadzic. I due hanno affermato di avere pagato a Karadzic 600 milioni di lire (seicentomila marchi) di tangente. Nemmeno i partiti politici italiani hanno rinunciato alla gara per pronunciare la propria inclinazione nei confronti della Serbia. La domanda è se sia un caso che si tratti esclusivamente di partiti nazionalisti di destra o della sinistra comunista, cioè della stessa miscela che forma la politica di Milosevic. L'irredentista Lega Nord è stata apertamente, nel corso di tutte le guerre di Milosevic, dalla parte della Belgrado ufficiale. E Milosevic a suo tempo ha accolto il controverso leader leghista Umberto Bossi con tutti gli onori. I legami tra i leghisti e i serbi risalgono direttamente alla guerra in Bosnia, quando alcuni leghisti sono stati membri del battaglione "Garibaldi" nella Krajina, una formazione misteriosa e paramilitare sotto il comando diretto di Milan Martic. Vi sono anche sospetti che in Italia siano arrivate armi serbe per la Lega: in occasione di una perquisizione della polizia in una sede della Lega sono state trovate armi di provenienza jugoslava e recanti la bandiera serba. Nel corso del 1995, Adriano Bertasso, alto esponente della Lega Veneta, ha consegnato a Karadzic il "Leone di S. Marco", cioè il loro simbolo di indipendenza. L'entrata dell'Italia nel progetto "Euro" ha decisamente scompigliato i calcoli di Bossi, anche se non si sono interrotti i contatti con gli amici di Belgrado e di Pale. Dalla parte dei serbi, e basandosi su posizioni comuni antiamericane e antimperialiste, sono anche i comunisti di Armando Cossutta, il quale ha anch'egli visitato il despota di Belgrado, e i Verdi di Luigi Manconi. Da destra, Gianfranco Fini, leader del partito neofascista Alleanza Nazionale, ha coltivato grandi simpatie per Milosevic, soprattutto per la sua politica anticroata. Ora Fini è dalla parte della NATO. Sono passati anche i tempi in cui Seselj salutava Berlusconi come "un grande patriota... che si opporrà al fatto che gli aerei NATO decollino dall'Italia contro i serbi in Bosnia". Questa mescolanza politica di coloro che sostengono Milosevic si è formata su diverse basi: gli umori antiamericani, le nostalgie comuniste, il revanscismo anticroato, il falso pacifismo... La stampa e la televisione hanno, naturlamente il ruolo più importante nella formazione dell'opinione pubblica filoserba in Italia. Purtroppo, in questo "amore per i serbi" molto raramente e molto difficilmente riescono a prendere le distanze dal regime di Belgrado. Così la disposizione filoserba nella sua variante italiana, sulla scena politica come nei media, si dimostra spesso una volgare propaganda in stile Milosevic. Il "Corriere della Sera" e la "Stampa" (il primo e il terzo quotidiano per numero di copie vendute in Italia) ricevono sostegno finanziario dalla Fiat di Agnelli. Tali giornali sono stati da sempre moderatamente filoserbi, ma senza grandi cadute di stile. In Italia, a suo tempo, durante la guerra in Bosnia, è scoppiato un grande scandalo quando è emerso pubblicamente che l'Italia è il maggiore esportatore mondiale di mine-"giocattolo" e il loro più grande produttore è una fabbrica della Fiat. Per finte penne stilografiche, accendini o giocattoli per bambini, molti bambini sono rimasti invalidi in tutta la Bosnia. I giornali del gruppo De Benedetti, il quotidiano "La Repubblica" e il settimanale "L'Espresso", per esempio, hanno mantenuto, fin dalla guerra con la Croazia e in Bosnia, una posizione critica nei confronti della Belgrado ufficiale. Mentre il giornale più importante della sinistra extraparlamentare, il "Manifesto", forse per vecchie nostalgie comuniste, è sempre stato su posizioni favorevoli ai serbi. "Liberazione", il quotidiano di Rifondazione Comunista, è stempre stato apertamente dalla parte serba, come, d'altra parte, "Il Giornale" (del gruppo Berlusconi). Molti giornalisti italiani hanno tifato durante la guerra per la Serbia, come se si trattasse di una partita di calcio. Sono note per lo stessso motivo anche alcune trasmissioni televisive, come "Pinocchio" di Gad Lerner e "Moby Dick" di Italia Uno, una delle televisioni di Berlusconi. Proprio a causa di tutto questo, è stato possibile che nel corso della guerra del Kosovo i rapporti italoserbi abbiano avuto un carattere, come minimo, strano. L'Italia ha potuto seguire, senza grandi conseguenze, una politica del doppio binario. Da una parte è stata fedele alla NATO, dall'altra ha insistentemente flirtato con la Belgrado ufficiale. Gli aerei NATO partivano durante la campagna aerea da basi sul territorio italiano. Ma Belgrado, evidentemente, glielo ha perdonato. L'Italia, per l'intero periodo della guerra, è stato il paese occidentale più privilegiato da Belgrado. Solo l'ambasciata italiana è rimasta aperta e dalla Serbia l'unico giornalista a non essere stato scacciato è stato Ennio Raimondino, della RAI. Tutto questo per il Montenegro non avrebbe una grande importanza, se molti influenti esponenti italiani, in tutta una rete di rapporti in un primo tempo solo accentuati con la Belgrado ufficiale, non si comportassero come dei consiglieri politici di Milosevic nella campagna iniqua e dai toni aspri il cui obiettivo, si sostiene, è solo la lotta contro la criminalità. Materiali faziosi che compaiono sulla stampa italiana vengono zelantemente e in maniera non selettiva ripubblicati sulla stampa di regime di Belgrado, così come in quella filo-Milosevic in Montenegro. LA RABBIA DELL'AMBASCIATORE ("Monitor" [Podgorica], 23 febbraio 2001) "Monitor" ha pubblicato il 15 ottobre 1999 [il testo qui sopra riportato] nel quale analizza in maniera critica i rapporti più che vicini tra Roma e Belgrado, addirittura anche durante i bombardamenti della NATO. In quella occasione erano stati menzionati anche i legami quasi "di famiglia" di Lamberto Dini con le autorità di Belgrado. "Monitor" aveva successivamente ricevuto una reazione dell'allora ambasciatore italiano a Belgrado, Riccardo Sessa, nonché della direzione della Telekom Srbija, nella quale tali affermazioni venivano definite completamente infondate e non veritiere. "Non posso nascondere la mia sorpresa che un giornale così serio abbia pubblicato per la seconda volta una notizia infondata e già smentita che, proprio per tale motivo, non riflette in modo corretto l'ampia, complessa, spesso difficile, ma sempre equilibrata e obiettiva, attività che negli ultimi anni l'Italia ha svolto sul piano politico e che ha ispirato i nostri espliciti sentimenti nei confronti di una regione importantissima per l'Italia", ha scritto Sessa. Chi sia stato serio, e chi abbia "agito in maniera equilibrata e obiettiva" forse oggi è chiaro a tutti, probabilmente anche all'ambasciatore Sessa, che dopo la Jugoslavia ha proseguito il suo servizio diplomatico in Iran. "ERA NORMALE FARE AFFARI CON MILOSEVIC" ("Monitor" [Podgorica], 23 febbraio 2001) "Forse l'intero scandalo ha ottenuto tanta pubblicità perché in Italia ci saranno tra breve elezioni a tutti i livelli. Da noi è cominciata la campagna elettorale. Perché, quando io ne ho scritto tre anni fa, non è accaduto nulla", racconta a "Monitor" Guido Rampoldi, giornalista de "La Repubblica", esperto di Balcani. "E' vero, non avevo tutti i dettagli e le informazioni di cui dispongono i miei colleghi che ora hanno fatto l'inchiesta. Ma dell'affare hanno scritto anche il 'Financial Times' e il settimanale americano 'Time', e anche in tali casi non è accaduto nulla, perché si riteneva normale fare affari con Milosevic". Rampoldi ritiene che questo scandalo non avrà alcuna conseguenza sui rapporti tradizionalmente buoni tra Roma e Belgrado. "Ma è possibile che venga riesaminata la nostra posizione rispetto a Milosevic negli ultimi anni. Penso che nella diplomazia italiana abbia regnato per troppo tempo l'idea che l'opposizione serba fosse incapace. Successivamente, tuttavia, si è dimostrata vincente, e nel conseguire questo obiettivo è stata aiutata e orientata dagli americani e dai tedeschi. La nostra diplomazia deve capire che la politica nei confronti della Serbia è stata errata". Da "Notizie Est - Balcani" n. 471, 19 settembre 2001: SCIOPERO GENERALE ALLA TELEKOM SRBIJA Da ieri è in atto uno sciopero generale a oltranza dei dipendenti della Telekom Srbija. I lavoratori chiedono un aumento salariale, affermando che attualmente la stragrande maggior parte degli stipendi è di circa 200 DM al mese, mentre lo stipendio medio nell'azienda è di 250 DM al mese solo perché un numero limitatissimo di singole persone ha retribuzioni enormemente alte. I dipendenti ritengono doveroso ottenere un aumento, visto che l'azienda realizza un profitto di circa 70 milioni di marchi al mese. I lavoratori richiedono inoltre "che si proceda finalmente alla revisione dell'Accordo di vendita della Telekom" alla Telecom Italia e alla greca OTE. Vi è anche la richiesta che si riunisca il consiglio di amministrazione dell'azienda, che non si riunisce da lungo tempo nonostante sia tenuto a farlo almeno una volta al mese. [SEGNALAZIONE IMPORTANTE: Segnaliamo, per chi legge il serbo, che il quotidiano di Belgrado "Glas Javnosti" sta pubblicando dal 25 agosto scorso un lunghissimo dossier sulla Telekom Srbija, praticamente un libro a puntate, intitolato "Abusi, manipolazioni giuridiche e criminalità nelle telecomunicazioni della Serbia" - lo potete leggere ricuperando i relativi numeri nella sezione "Arhiva" del sito del quotidiano (http://www.glas-javnosti.co.yu)] Da "Notizie Est - Balcani" n. 542, 18 marzo 2002: TELEFONI SCANDALOSI E TELEFONI IN RITIRATA [Seguono: 1) un articolo del settimanale bulgaro "Kapital" sul (presunto) scandalo dell'asta per il secondo operatore GSM in Bulgaria, che ha coinvolto la greca OTE e l'italiana TIM; 2) il brano di un articolo del settimanale serbo "NIN" sull'intenzione della Telecom Italia di ritirarsi dal mercato della telefonia serbo e sul desiderio della OTE di aumentarvi di conseguenza la propria presenza] 1) L'OTE E LO SCANDALO DEL SECONDO OPERATORE GSM BULGARO di Borjana Semkova - ("Kapital" [Sofia], 16-22 marzo 2002) Le scoperte del giornale greco "Kathimerini", pubblicate una decina di giorni fa, hanno coinvolto l'operatore di telecomunicazioni OTE in uno scandalo relativo a tangenti internazionali, legato ai suoi investimenti in Bulgaria. Secondo il giornale, la OTE ha pagato 3,5 miliardi di dracme (10 milioni di euro) alla società italiana Telecom Italia Mobile (TIM), affinché quest'ultima si ritirasse dalla partecipazione al concorso finale per la licenza di secondo operatore GSM in Bulgaria. L'accordo, afferma il giornale, sarebbe stato raggiunto il 10 dicembre 2000 tra il presidente e CEO della OTE, Nikos Manasis, e l'allora direttore esecutivo della filiale greca della TIM - Stet Hellas - Roberto Rovera. "Kathimerini" ricorda che una settimana dopo tale data la OTE è stata dichiarata vincitrice dell'asta per il secondo operatore GSM in Bulgaria. La TIM ha rinunciato alla sua partecipazione alla gara quando era arrivata a un'offerta di 130 milioni di dollari e in tal modo la OTE ha conquistato il primo posto con 135 milioni di dollari. Il 10 marzo 2002 il quotidiano "Kathimerini" ha pubblicato il facsimile di una lettera, inviata il 21 febbraio 2001 dall'allora direttore finanziario della OTE, Dimitris Kouvatzos, al capo delle operazioni internazionali della TIM, Elis Bontempelli. In tale lettera vengono elencati sei servizi alternativi, per i quali la TIM poteva ottenere dalla OTE 2 miliardi di dracme. Si presuppone che si tratti della prima di due tranche dell'intera somma dell'accordo. "Kathimerini" afferma che la prima tranche doveva essere ricevuta il 31 gennaio 2001 e la seconda entro il 31 luglio 2001. Per ora tuttavia non vi è nessuna prova categorica a supporto della veridicità delle affermazioni del giornale greco riportate qui sopra. In un'intervista alla radio greca "Sky", citata dalla radio "Deutsche Welle", il ministro dei trasporti e delle comunicazioni Hristos Verelis ha dichiarato di avere chiesto a tutte le società della holding OTE informazioni esaurienti sui movimenti di somme provenienti da, e destinate a, società della TIM nel corso degli ultimi due anni. I rapporti tra la OTE e la TIM in relazione all'asta svoltasi nel nostro paese sono stati esaminati nel corso di una seduta del parlamento greco. Martedì il presidente dei pubblici accusatori del Tribunale di prima istanza di Atene ha disposto l'avvio di un'indagine conoscitiva in relazione alla pubblicazione di "Kathimerini". In una sua dichiarazione ufficiale la OTE ha negato i fatti riportati da "Kathimerini", affermando che essi mirano a discreditare il nome dell'azienda. Per quanto riguarda le operazioni in denaro con la TIM, la OTE afferma: "Il documento pubblicato si riferisce alla risoluzione di precedenti relazioni finanziarie tra la OTE e la Telecom Italia". La notizia che la OTE si è rivolta alle società di audit indipendenti Ernst & Young e Arthur Andersen affinché certifichino che tra il 1 gennaio 2000 e il 31 gennaio 2001 non sono stati effettuati pagamenti di alcun tipo alla Telecom Italia, con l'eccezione della risoluzione dei conti con la Stet Hellas, è una chiara dimostrazione degli sforzi della società per essere il più convincente possibile nel respingere le accuse rivoltele. Lo scandalo è stato seguito da un'assemblea generale straordinaria dell'OTE, tenutasi mercoledì - la prima in 53 anni di storia dell'azienda - con la quale è stato eletto il nuovo CEO che sostituirà Nikos Manasis, nominato nell'estate del 2000. "L'OTE non sarà più diretta da personaggi politici", ha dichiarato prima dell'assemblea il portavoce del governo Hristos Protopapas. Le cose sembrano stare effettivamente così, almeno a prima vista: il nuovo presidente e CEO della OTE, Elefterios Antonakopoulos, ha lavorato per quasi 30 anni nel gruppo Shell. Secondo gli osservatori, la sua elezione a tali cariche conferma le parole di Protopapas e l'intenzione del governo, annunciata prima dell'assemblea, di diminuire il proprio controllo sull'operatore di telecomunicazioni. Il giornale greco "Vima" afferma tuttavia che il nome di Antonakopoulos è stato imposto dal ministro delle finanze Nikos Hristodoulakis. Alla domanda di "Kapital" sul perché l'assemblea generale straordinaria della OTE si sia svolta in coincidenza con la pubblicazione di "Kathimerini", George Georgiadis, direttore della filiale di Sofia della OTE International, ha riposto che la sua convocazione è legata in realtà alla diminuzione della quota statale nella società, che è scesa sotto il 50%, e allo scadere del mandato dell'attuale dirigenza, eletta dallo stato. Georgiadis ha precisato che la convocazione dell'assemblea è stata pubblicata un mese fa (come vuole la legge greca) nella gazzetta ufficiale locale e in quattro quotidiani. Secondo Georgiadis, le pubblicazioni di "Kathimerini" avevano come fine quello di discreditare la OTE esattamente appena prima dell'assemblea generale, al fine di diffondere la sfiducia tra gli azionisti della società. L'unico media che ha avallato la tesi da un nesso tra l'assemblea degli azionisti e una tangente è stato il "Financial Times". E' tuttavia un fatto che Nikos Manasis ha visitato il ministro dei trasporti e delle comunicazioni Hristos Verelis dopo la pubblicazione dell'articolo di "Kathimerini", e la maggior parte dei media mondiali e greci danno per vero che il motivo della visita sia stato quello di dare le dimissioni (alcuni giorni prima dello scadere del mandato). Lo stato ha progressivamente diminuito la propria partecipazione nella OTE e nel 2001 è riuscito a portarla al di sotto del 50%, ma non è riuscito a realizzare la vendita di un altro 20% a un partner strategico europeo. Gli operatori di telecomunicazioni del vecchio continente non si sono dimostrati interessati all'offerta, per il timore che lo stato riesca a continuare a esercitare un controllo sulla gestione. Attualmente la quota dello stato è del 41,75%. L'avvicendamento ai vertici non ha tuttavia aumentato la fiducia degli investitori e le azioni della OTE la settimana hanno subito un calo. Giovedì alla borsa di Atene venivano scambiate a 17,04 euro, mentre lunedì la loro quotazione era di 17,94 euro. Il trend al ribasso ha colpito anche le note di deposito americane della OTE sul mercato dei fondi di New York. In Bulgaria la OTE, oltre a essere proprietaria del secondo operatore GSM, si è dimostrata interessata alla privatizzazione della telecom nazionale, la BTK. COME LA OTE HA OTTENUTO LA LICENZA DI SECONDO OPERATORE GSM IN BULGARIA Sono stati cinque i candidati che entro il termine previsto di inizio dicembre hanno presentato offerte per la gara di assegnazione della licenza di secondo operatore GSM. Hanno consegnato la documentazione entro i termini previsti la "Fintur Holdings" (i cui azionisti fondamentali sono il maggiore operatore GSM turco "Turksel" e la finlandese "Sonera"), "Rumeli Telsim konsorcium" (il secondo operatore GSM della Turchia in ordine di grandezza), "Vodafone Bulgaria" (al 90% di proprietà dell'operatore mobile mondiale "Vodafone" e al 10% della Obedinena Bulgarska Banka) e "TIM International" (il maggiore operatore GSM in Europa per numero di clienti). La turca "Rumeli Telsim konsorcium" tuttavia non è stata ammessa all'asta. La commissione d'asta non ha dato spiegazioni per il respingimento di quest'ultima. Anche la società turca non ha voluto commentare la propria mancata ammissione all'asta. Una fonte vicina alla "Rumeli Telsim" ha dichiarato che la decisione di non ammettere la società è stata motivata con la circostanza che il consorzio non è registrato come persona giuridica. La gara, per la quale era stato fissato il termine del 15 dicembre 2002, è cominciata con 40 milioni di dollari, e la quota di aumento per ogni tornata era di 5 milioni di dollari. La "Vodafone" ha interrotto la propria partecipazione a 75 milioni di dollari, mentre la "TIM International" si è fermata a 130 milioni di dollari. In tal modo, la OTE ha vinto l'asta per la licenza con la sua offerta di 135 milioni di dollari. 2) GLI ITALIANI SE NE VANNO di Tanja Jakobi - ("NIN" [Belgrado], 14 marzo 2002) [...] Secondo quanto ha detto Tadic [presidente del consiglio di amministrazione delle PTT (Poste e Telegrafi) serbe, nonché vicepresidente del DS, il partito di Djindjic] attualmente sono tre le opzioni in gioco [sul mercato della telefonia serba]: la vendita della quota statale nella Mobtel o nella Mreza 064, la vendita della partecipazione statale nella telefonia fissa e la concessione di un'altra licenza per la telefonia fissa nella quale lo stato manterebbe una certa partecipazione, l'introduzione di un terzo operatore, una variante che in questo momento è complicata e costosa dal punto di vista tecnico, perché gran parte delle frequenze sono in mano all'Esercito jugoslavo. Se l'Esercito dovesse rinunciare a tali frequenze, sarebbe necessario comprargli attrezzature per altre frequenze. Tutte le opzioni per il settore delle telecomunicazioni entreranno in gioco in una volta sola, poiché la Telecom Italia, pressata da difficoltà finanziarie, desidera definitivamente vendere tutte le sue partecipazioni di minoranza in aziende estere e ciò significa che si ritirerà anche dalla Telekom Srbija e dalla Mreza 064. Tadic, come ha confermato egli stesso a "NIN", ne discuterà con gli italiani all'inizio di aprile. La OTE ha già fatto intendere in passato di essere disposta a comprare la quota italiana e/o quella dello stato, oppure, mediante una capitalizzazione aggiuntiva, a diventare proprietario di maggioranza dell'operatore di telefonia fissa. In tale caso, l'OTE sarebbe disposta a rinunciare alla posizione di monopolista di cui gode grazie agli attuali accordi, in cambio della facoltà di licenziare dipendenti e di decidere le tariffe, ha detto alla fine dell'anno scorso a "NIN" il direttore del settore internazionale della OTE, Jorgos Skarpelis. Egli ha affermato che la OTE non è preoccupata nemmeno dell'eventuale entrata della Vodafone nell'operatore mobile Mobtel, perché in Grecia l'operatore mobile della OTE, "Cosmote", ha più successo. Sembra che la parte jugoslava preferirebbe qualche altro partner strategico sia nella telefonia fissa che nella Mreza 064, come per esempio la Telnor, l'operatore norvegese che detiene una quota nel primo operatore di telefonia mobile montenegrino "Promonte". Da "Notizie Est - Balcani" n. 552, 24 maggio 2002: TELEKOM SRBIJA: TANGENTE DA 78 MILIONI DI DM ("Blic" [Belgrado], 24 maggio 2002) Presso il Primo tribunale circondariale di Belgrado è stata condotta una procedura di indagine in seguito alla rogatoria del pubblico procuratore di Torino, nell'ambito del procedimento penale contro gli italiani Tommaso de Tommasi e Giuseppe Guardini per svariati atti penali, tra i quali falso in bilancio e corruzione, ha confermato a "Blic" il giudice Nebojsa Mrkic, portavoce di tale tribunale. Secondo le parole di Mrkic, sono stati ascoltati come testimoni Milorad Jaksic, ex direttore della Telekom Srbija, Aleksa Jokic, ex direttore delle PTT Srbija, Milan Beko, ex ministro per le privatizzazioni nel governo della Serbia, Borka Vucic, Nikola Sainovic, Milan Milutinovic, Vladislav Jovanovic... Come afferma Mrkic, la procedura è terminata e la documentazione è stata inviata agli organi giudiziari italiani. Alla domanda perché il pubblico non sia stato informato delle indagini, egli ha affermato che si tratta di una procedura dalla quale il pubblico è escluso e ha aggiunto che agli interrogatori non ha partecipato alcun rappresentante degli organi giudiziari italiani. "Il pubblico procuratore italiano è stato informato sulle scadenze di effettuazione del lavoro di indagine e ha annunciato il suo arrivo, ma non si è fatto vedere", afferma Mrkic e aggiunge che, come è norma, i testimoni sono stati avvisati che la falsa testimonianza è un atto penalmente perseguibile. Agli interrogatori dei testimoni, afferma una fonte di "Blic" che ha desiderato rimanere anonima, non hanno assistito né rappresentanti delle autorità jugoslavi né gli attuali dirigenti della Telekom, anche se questa sarebbe la prassi comunemente adottata nel mondo per tali tipi di testimonianze. Secondo informazioni non confermate, agli interrogatori ha assistito un rappresentanto delle autorità giudiziarie serbe. Altrimenti, il pubblico procuratore di Torino ha inviato alle autorità jugoslave una rogatoria basata su quanto rilevato dalla "Commissione 40", composta da 20 senatori e 20 giudici, che è stata formata dal premier italiano Silvio Berlusconi per condurre indagini sui dettagli dell'acquisto di quote delle telecomunicazioni serbe da parte della Telecom Italia. Secondo fonti di "Blic" a Roma gli esiti del lavoro della "Commissione 40" indicano che la parte italiana ha pagato la partecipazione alla Telekom Srbija molto di più del suo effettivo valore. I responsabili del "gonfiamento" del prezzo sono gli accusati Tommasi e Guardini, che hanno distribuito ai mediatori della transazione, sotto forma di provvigioni, 78 milioni di marchi. La maggior parte di tale somma, secondo le affermazioni della nostra fonte, è stata suddivisa tra Srdjan Dimitrijevic (30 milioni), il conte Vitali (20 milioni) e una società macedone. La stessa fonte afferma che gli interrogatori condotti a Belgrado hanno indicato che l'ex presidente jugoslavo Slobodan Milosevic non è direttamente coinvolto nella "distribuzione" delle provvigioni, ma che rimane non chiarito quanto abbiano influito sulla vendita della Telekom Srbija i suoi rapporti con l'ex premier britannico Douglas Hurd. "Milosevic non si è intromesso direttamente, ma continuava a ripetere ai suoi collaboratori: 'alzate quanto più possibile il prezzo!'", afferma la fonte di "Blic". In Italia le indagini su tale acquisto hanno un denso retroterra politico e secondo gli osservatori esse sono in massima parte spiegabili come uno scontro tra le opzioni politiche del premier Berlusconi e quelle dell'ex ministro degli esteri Lamberto Dini. Berlusconi forza l'indagine sull'acquisto della Telekom Srbija per portare alla luce il ruolo di Dini nella suddivisione delle provvigioni, ma anche per distogliere l'attenzione del pubblico dalle numerose accuse di cui è oggetto per evasione fiscale e malversazioni finanziarie. A Roma il silenzio delle attuali autorità serbe viene interpretato come del tutto ragionevole. "Cosa diranno mai adesso, dopo quanto scoperto dalla commissione, coloro i quali affermavano che la Telekom Srbija è stata venduta a un prezzo inferiore di quello reale e che delle provvigioni hanno approfittato soprattutto i membri della parte serba alle trattative", si chiedono a Roma, con una certa dose di malignità. TELEKOM SRBIJA: IL VALORE DELL'AZIENDA CRESCE, LE AZIONI NON SARANNO A BASSO PREZZO di I. Krasnic - ("Glas Javnosti" [Belgrado], 28 maggio 2002) BELGRADO - "Secondo le mie informazioni ci sono stati contatti negli ultimi tempi tra i greci e gli italiani, azionisti della Telekom serba, ma non so se gli azionisti esteri hanno raggiunto un accordo sulla modifica dei rapporti di proprietà all'interno della Telekom Srbija", vale a dire se l'italiana STET ha offerto alla greca OTE l'acquisto delle proprie azioni. Ogni decisione, anche quella degli italiani di vendere eventualmente le proprie quote, è possibile nel caos che si è creato con la privatizzazione della Telekom Srbija. "E' un fatto che gli italiani negli ultimi tempi vendono le azioni di tutte le loro società di telecomunicazioni nel mondo nelle quali non detengono quote di maggioranza, e in generale è questo il trend nel mondo. Tuttavia potrebbe trattarsi di una 'bufala' che qualcuno mette in giro per interessi personali", ha detto a "Glas Javnosti" Dragor Hiber, presidente della UO Telekom Srbija ed esperto di telecomunicazioni, in riferimento ad articoli comparsi sulla stampa e alle dichiarazioni di politici italiani secondo cui la STET venderà le proprie azioni alla OTE a metà del prezzo pagato per il 29% delle quote della Telekom Srbija. Hiber afferma che il prezzo delle azioni della Telekom Srbija che gli italiani eventualmente offrirebbero non dovrebbe essere basso, il che vuol dire che la STET sicuramente non venderà le proprie azioni tanto per venderle. Così come la OTE, anche la parte serba avrebbe il cosiddetto diritto di prelazione, ovvero il diritto di acquistare le azioni a un prezzo migliore di quello al quale un azionista offre le proprie azioni ad altri nell'ambito della comune azienda. Secondo le parole di Hiber gli italiani non hanno mai venduto per quattro soldi azioni che detenevano in qualche società, come invece sostengono i politici italiani per quanto riguarda la nostra Telekom. "Se la STET davvero offrirà in vendita le proprie azioni, il governo della Serbia, se avrà il denaro per acquistarle, dovrà avere un'idea chiara e un piano strategico sui passi successivi da compiere, perché una tale cosa non la si acquista senza sapere perché, così come non si accumulano proprietà senza motivi. In ogni singolo caso gli esperti dovranno valutare se procedere con una tale opzione e comunque, secondo la mia valutazione, il valore della Telekom Srbija sta aumentando, perché nell'azienda sono stati investiti molti soldi, l'impresa si sta sviluppando e nel campo della telefonia mobile ora la Telekom ha un milione di utenti. Sono stati fatti grossi investimenti anche nella telefonia fissa. Per coloro che desiderano acquistare le azioni è giunto il momento giusto, mentre chi vuole vendere forse dovrebbe aspettare ancora un po'", afferma Hiber, ricordando che nel 2000 la Telekom era in perdita, mentre l'anno scorso ha conseguito un bilancio di segno positivo, che nel 2002 crescerà ulteriormente. Hiber dice che un'eventuale trasferimento di quote all'interno della Telekom non migliorerebbe, né peggiorerebbe, la situazione e che indipendentemente da ciò è necessario fare ordine nei rapporti tra gli azionisti. "A noi spetta," dice Hiber, "continuare con la consolidazione e con gli investimenti nella società. E ad ogni modo, con la privatizzazione della Telekom Srbija la Serbia ha incassato 1,7 miliardi di marchi". [RIQUADRO:] Parlando dei soldi che gli azionisti locali devono agli italiani ai sensi dell'Accordo sugli aiuti tecnici, e che ammontano a circa 50 milioni di dollari, Hiber dice che si tratta di un "debito formale" che sta effettivamente aumentando in conseguenza del tasso annuale previsto del 13,5%. "Stiamo cercando una soluzione a questo problema e spero che la troveremo presto. La parte serba dal 1997 non paga il 3% del reddito annuale della Telekom Srbija a fronte del cosiddetto Accordo sul know-how, motivo per cui, secondo quanto ha scritto la stampa, il premier italiano Silvio Berlusconi ha rimproverato Zoran Djindjic, il premier della Serbia, in occasione della visita ufficiale di quest'ultimo a Roma". Da "Notizie Est - Balcani" n. 568, 17 giugno 2002: TELEKOM SRBIJA: UN'EREDITA' DI DEBITI, INDAGINI E SOSPETTI di Vojislava Crnjanski Spasojevic - ("Nedeljni Telegraf" [Belgrado], 12 giugno 2002) **Una delle promesse delle nuove autorità, prima di salire al potere, era quella di chiarire tutta la storia della vendita della più preziosa azienda serba: la Telekom. Tuttavia, a due anni di distanza, lo scandalo è stato aperto non dai serbi, bensì dagli italiani. E non per quello che ci preoccupa, ma per 78 milioni di marchi di commissioni che sono stati presi dalle loro "tasche" e distribuiti da persone il cui luogo di intermediazione per la vendita della società serba è rimasto non chiarito** Non siamo riusciti a mettere le mani sull'accordo azionario, perché si tratta di un segreto d'affari e chiunque lo renda pubblico dovrebbe pagare agli altri una penale astronomica. Questo, in una certa misura, potrebbe spiegare perché tutta la storia della vendita della Telekom è ancora oggi avvolta da un velo di segreto. Tuttavia, cercando i nomi di tutti coloro che hanno ricevuto enormi somme sotto forma di commissioni, "Nedeljni Telegraf" (NT), è riuscito ad arrivare a dei fatti che colpiscono. E' emerso che la Serbia deve essere preoccupata, molto di più che per le commissioni, per gli enormi debiti di cui i partner esteri ci chiedono il rimborso, a titolo degli aiuti tecnici (il cosiddetto know-how) e del prestito degli azionisti alla Telekom. Trattandosi di cifre che ammontano a milioni (di euro), se in Italia non fosse scoppiato lo scandalo, la loro [dei partner esteri - N.d.T.] posizione sarebbe molto più forte e non è escluso che tenterebbero, sulla base dei debiti, di diventare soci di maggioranza della Telekom Srbija! LA LICENZA PER LA TELEFONIA MOBILE MESSA IN FORSE Solo per la voce relativa all'accordo di aiuto tecnico, la Telekom Srbija deve al socio italiano, dall'ottobre del 1998 all'aprile di quest'anno, 58.646.176,39 euro! Si tratta del dato ufficiale che NT ha ottenuto dal presidente del Consiglio di Amministrazione della Telekom, dr. Dragor Hiber. Nella dichiarazione scritta che ci è stata consegnata, Hiber scrive letteralmente: "In occasione della vendita della quota di minoranza della Telekom Srbija è stato incluso l'Accordo di aiuto tencico, con il quale si prevedeva che la Telecom Italia, per un periodo di esclusiva di otto anni, avrebbe pagato, a titolo del trasferimento di conoscenze (know-how), il tre per cento del reddito lordo della Telekom Srbija. In base a tale accordo fino al settembre del 1998 sono stati pagati 37.016.539,93 marchi, dopo di che i pagamenti previsti per il periodo successivo sono stati sospesi". Quindi, dall'ottobre 1998 la parte serba deve agli italiani la somma sopra menzionata. Per questo motivo gli azionisti hanno creato un gruppo di lavoro che dovrebbe trovare una soluzione soddisfacente per tutti i proprietari. Fino a oggi tale gruppo di lavoro non è riuscito a giungere a nulla. Lo si vede in particolare dalla seconda parte della lettera di Hiber a NT, relativa al prestito degli azionisti. In essa si spiega che tutti gli azionisti nel 1997 hanno approvato un prestito alla Telekom per la realizzazione di progetti di sviluppo, ammontante a 92.963.939 marchi. L'interesse è stato modificato svariate volte: in principio era del 7%, e successivamente era pari a EURIBOR + 10%. "Nel periodo delle sanzioni la Telekom Srbija non è stata in grado di trovare sul mercato del denaro delle condizioni di credito migliori", scrive Hiber. Tuttavia, dopo l'ottobre del 2000 la situazione è cambiata. La Telekom ha chiesto agli azionisti di armonizzare le condizioni di credito con le attuali condizioni sul mercato del denaro, che corrispondono a EURIBOR + 2%. Nessuno degli azionisti fino a oggi lo ha accettato". Di quale cifra (enorme) si tratti lo si riscontra dei promemoria riservati ai quali NT ha avuto accesso, e che sono stati preparati da Hiber per la seduta dell'Assemblea degli azionisti della Telekom Srbija tenutasi l'anno scorso. In questo documento segreto si scrive: * che la Telekom Srbija ha un debito di quasi mezzo miliardo di marchi * che la perdita per l'anno 2000 è pari a quasi sette miliardi di dinari * che la situazione di arretratezza tecnologico-tecnica è enorme, soprattutto nella telefonia fissa, ma anche in quella mobile * che l'organizzazione della società è vecchia e inefficace, e che gli azionisti di minoranza (italiani e greci), in conformità alle delibere statutarie, non solo controllano singole direzioni, nonché servizi (telefonia mobile), ma possono anche bloccare le decisioni della società (il Consiglio di Amministrazione approva le delibere con una maggioranza della quale deve fare parte almeno un voto di ciascun azionista). Nella struttura del debito, si prosegue in questa lettera, dominano: il debito relativo ai prestiti degli azionisti, pari a 150 milioni di marchi, riprogrammato, con un interesse del 13 per cento, i debiti nei confronti dei grandi fornitori di attrezzature (Siemens, Alcatel, Ericsson), il credito oggetto di contesa con la STET Italia per il Contratto di "know-how" e le questioni e i debiti non risolti con la PTT (Poste e Telegrafi della Serbia) relativi a svariati contratti di servizi congiunti. "Le questioni irrisolte tra gli azionisti sono tali che non sono stati approvati i rapporti dei revisori per gli anni 1999 e 2000, un fatto che va contro i documenti della società e le leggi della Jugoslavia. Non esiste un piano strategico e gli investimenti sono stati in pratica interrotti", afferma Hiber in questa lettera riservata, e aggiunge: "La conseguenza della mancata soluzione di tali questioni è una scarsa qualità dei servizi della Telekom, tanto che potrebbe essere messa in forse addirittura la licenza per la telefonia mobile!" 22 MILIONI DI MARCHI DI DEBITO CON LA PTT Abbiamo cercato di avere maggiori dettagli sulla vendita della Telekom anche dall'azionista di maggioranza nazionale, la PTT Srbija. Il direttore del settore per le relazioni esterne, Jovan Birac, ha affermato, anch'egli con una comunicazione scritta, quanto segue: "Le indagini sulle circostanze della vendita della Telekom sono di competenza degli organi giudiziari, e non dell'Impresa pubblica PTT. Né gli organi di indagine italiani, né quelli locali, hanno finora chiesto alla PTT alcun dato o documentazione. Nessuno dei nuovi dirigenti della PTT, che sono arrivati alla guida di questa impresa poco meno di un anno fa, ha partecipato alla vendita della Telekom, con l'eccezione dell'ex direttore generale Aleksa Jokic, la cui firma si trova tra quelle apposte sul contratto siglato con i partner italiani e greci. Quando il governo ha messo alla guida delle Poste l'attuale direttore generale Srdan Blagojevic, Jokic è diventato uno dei 45 consulenti speciali del direttore generale, ma successivamente è stato trasferito al posto di addetto alla Tipografia delle Poste. Dal giorno del trasferimento, Jokic non si è recato al lavoro e si è messo in malattia. Milorad Jaksic, anch'egli uno degli ex direttori generali, sostituito appena prima della vendita della Telekom, ha abbandonato di propria volontà la PTT Srbija". Poiché nel frattempo siamo venuti a sapere che la Telekom ha debiti anche nei confronti della PTT, abbiamo ricontattato Birac affinché ci spiegasse di quali debiti si trattasse. "I debiti si riferiscono a immobili, al trasferimento di diritti per lo svolgimento di attività telefoniche, a servizi del Centro di informazione delle poste e alla fornitura di servizi di cabine telefoniche. Al 2 aprile 2002 la Telekom ci doveva 656.731.198,28 dinari, vale a dire circa 22 milioni di marchi tedeschi! Si tratta di un debito documentato, che la Telekom contesta e non desidera pagare", è stata la breve spiegazione di Birac. IL MISTERIOSO BUSINESSMAN Cercando di chiarire ulteriormente il "caso Telekom", ci siamo rivolti ad alcuni testimoni che, su richiesta delle autorità giudiziarie italiane, si sono presentati innanzi al nostro Primo tribunale circondariale di Belgrado, in qualità di partecipanti alla vendita. Oltre a Ljubisa Ristic, alto funzionario della JUL, e a Milan Beko, l'allora ministro per le privatizzazioni, hanno testimoniato di fronte al tribunale anche l'ex direttore delle PTT, Milorad Jaksic, l'allora presidente del consiglio di amministrazione Radmilo Andjelkovic, il successore di Jaksic, Aleksa Jokic, nonché Milan Milutinovic, Nikola Sainovic e Borka Vucic. Ricordiamo che le autorità italiane hanno avviato un'indagine contro coloro che ai tempi hanno diretto il progetto di acquisto della Telekom Srbija, Gerard Duzi [trascrizione dal serbo incerta - N.d.T.] e i suoi collaboratori de Tommasina [evidentemente si intende Tomaso Tommasi di Vignano - N.d.T.] e Giuseppe Guardiano, che hanno consentito al controverso businessman serbo che operava in Italia, Srdjan Dimitrijevic, di ottenere 30 milioni di marchi di commissione, con l'accordo che il conte Vitali, definito dai media italiani "compagno di caccia di Milosevic", avrebbe ricevuto 20 milioni e una società macedone i rimanenti 28 milioni. I media di Skopje hanno reso pubblico unicamente che questa società aveva come prima sigla nel proprio nome MAK e che, a quanto pare, era vicina al regime di Milosevic. Per quanto riguarda il businessman Srdjan Dimitrijevic, non siamo riusciti a saperne di più. L'ex ministro federale per le telecomunicazioni, Boris Tadic, ci ha confermato di avere anch'egli preso informazioni a suo tempo in Italia e che gli è stato detto che si tratta di una persona che ha buoni contatti nel jet-set europeo. Degli attori serbi del "caso Telekom" ha risposto alle nostre domande Ljubisa Ristic. Per la prima volta Ristic smentisce in pubblico, in esclusiva per NT, le accuse che circolano secondo cui egli avrebbe incassato, per la JUL e per se stesso, una commissione di 10 milionidi marchi. In particolare, nel 1996, dopo gli accordi di Dayton, il governo della Serbia ha dato il via libera all'individuazione di acquirenti per il 49% dell'impresa statale per le telecomunicazioni. Il primo a giungere alla banca di investimento Nat West Market, della quale era supervisore l'ex ministro degli esteri britannico Douglas Hurd, è stato a quanto pare lo stesso Ljubisa Ristic. La stima del valore dell'azienda devava essere fatta dalla ditta di consulenza e revisione Price Waterhouse di Londra, mentre lo studio di avvocati newyorchese Weil, Gotschell e Mangis [trascrizione dal serbo incerta - N.d.T.] doveva portare a compimento l'affare. Ljubisa Ristic nel corso del 1996 ha soggiornato più volte a Londra. IL SEMAFORO VERDE E' STATO DATO DAGLI USA E DALL'INGHILTERRA Ristic spiega a NT quanto segue: "Quando il governo ha espresso l'idea di procedere alla privatizzazione era chiaro che disponevamo solo dei canali parlamentari per arrivare al mercato finanziario internazionale. Pertanto, è stato logico che noi del parlamento, e io come presidente del comitato di politica estera federale, ci impegnassimo in tale lavoro. Il nostro compito era esclusivamente quello di fare capire agli stranieri che volevamo seriamente procedere alla privatizzazione e che eravamo dei partner seri. Abbiamo trovato degli avvocati seri e delle banche serie, pronti ad aiutarci. E qui è finito il mio compito. Io non ho partecipato alla vendita vera e propria. Non so se qualcuno ha incassato una commissione e di quale commissione si trattava, ma ribadisco che tutta la faccenda della Telekom è stata eccezionalmente trasparente!". Ristic afferma inoltre che l'affare non sarebbe mai andato in porto se gli USA e l'Inghilterra non avessero dato semaforo verde! Dell'affare, afferma, sono stati informati il Club di Londra, il Club di Parigi e il FMI. Egli aggiunge inoltre che l'offerta iniziale era inferiore di ben un miliardo di marchi. Ammontava a poco più di 600 milioni di marchi. "E' chiaro che Silvio Berlusconi vuole dimostrare come Lamberto Dini, con l'acquisto di quote della nostra Telekom, abbia aiutato direttamente il regime di Slobodan Milosevic. E' una faccenda politica che riguarda solo lui. Per quanto riguarda noi, per il 49% delle azioni abbiamo ottenuto il miglior prezzo in tutta l'Europa sud-orientale. Se avessimo avuto la fortuna di riuscire a privatizzare anche tutto il resto, non ci avrebbero bombardati. Quando hanno visto come abbiamo venduto bene la Telekom, l'Occidente ci ha completamente chiuso il paese", conclude Ristic. E per finire, il premier Silvio Berlusconi ha appena formato la Commissione dei 40, composta da 20 giudici e 20 senatori, che indaghera sui dettagli di tutto il caso della suddivisione delle commissioni. I membri della commissione sono tenuti a concludere i loro lavori entro un anno. [RIQUADRO 1: VOLEVO UN'ASTA, E NON UNA VENDITA DIRETTA L'ex direttore generale della PTT, Milorad Jaksic, ha ripetuto di fronte al giudice per le indagini quanto tempo fa aveva già dichiarato ai giornali, cioè che gli italiani erano interessati alla Telekom già nel 1994. A quei tempi il conte Vitali aveva proposto la somma favolosa di 8,6 miliardi di dollari. "Era chiaro che erano interlocutori privi di serietà, inviati da persone che si trovavano ai massimi vertici del potere", ha commentato Jaksic. "Eppure si conducevano trattative con loro. Non potevo nemmeno supporre che si trattava dell'ouverture di qualcosa che, in modo strano, sarebbe terminato alcuni anni dopo". "Prima degli inglesi, la prima stima della Telekom è stata effettuata dalla CES Mekon. Poiché si sapeva che le analisi fatte localmente non potevano essere proposte sul mercato internazionale, nel giugno del 1996 è stata incaricata la Nat West. Nel mezzo dei preparativi per un'asta internazionale, con la quale tramite le offerte si sarebbe dovuti arrivare al miglior prezzo possibile, sono nuovamente comparsi gli italiani e hanno cercato di ottenere che l'affare venisse concluso con un accordo diretto", ha testimoniato Jaksic. Tutto questo è successo un mese prima che la Nat West dovesse cominciare la stima del valore dell'azienda. Jaksic ha continuato a insistere per l'asta. E' stato redatto un protocollo in serbo, dal quale si evinceva che dopo la stima si sarebbe proceduto all'asta. Tuttavia, la Telecom Italia ha rifiutato di firmare il documento in serbo e ha rchiesto una traduzione in italiano, nella quale, tuttavia, come per magia era scomparsa la parola asta, sostituita dalla frase "vendita diretta". In seguito a ciò Jaksic, almeno secondo quanto ha affermato, ha rifiutato di firmare l'accordo ed è quindi uscito dal gioco. Gli italiani, secondo le parole di Jaksic, sono venuti a Belgrado il 15 gennaio 1997 con un accordo in base al quale non solo avrebbero comprato la Telekom senza alcuna asta, ma la Serbia avrebbe venduto loro anche una parte del sistema di telecomunicazioni della RTS [la Radio Televisione Serba] e la futura società congiunta avrebbe dovuto avere due direttori generali. "E' stato dato l'ordine politico di firmare tale accordo e Mirko Marjanovic mi ha fatto sapere che, per quanto lo riguardava, tutto era a posto e si poteva firmare in 15 minuti!". Jaksic è stato rimosso e l'accordo è stato firmato da Aleksa Jokic. [RIQUADRO 2: COMMISSIONI DOPPIE RISPETTO A QUELLE CITATE (NT scrive degli interrogatori di svariate personalità serbe legate alla vicenda Telekom, svoltisi su richiesta delle autorità giudiziarie italiane e dei quali avevamo giù riferito in "Notizie Est". Aggiunge tuttavia anche alcuni ulteriori particolari:) [...] Il giudice Mrkic non ha voluto svelare cosa hanno detto i testimoni. Ha confermato solo che nessuno ha ammesso il coinvolgimento nello scandalo Telekom: "E' naturale che nessuno desiderasse mettersi in un contesto in cui è coinvolta la politica, i rapporti tra due stati, e nel quale sono girati molti più soldi dei già menzionati 78 milioni di marchi di commissioni. Forse addirittura il doppio! Gli italiani sono convinti di avere pagato troppo cara la loro quota del 29% della Telekom, rispetto al valore reale, e quindi vogliono mettere le cose a posto e punire i colpevoli. Per quanto ne so, per il momento sospettano solo di Tommasini e Guardiano, ma hanno sospetti anche su Srdjan Dimitrijevic e il conte Vitali. Di loro questo tribunale non sa nulla". Come NT è venuto a sapere in via non ufficiale da circoli della procura, i nostri organi giudiziari, dopo avere mancato l'occasione di avviare per primi un'indagine sulle eventuali malversazioni relative alla Telekom, stanno lavorando adesso su un altro soggetto, nel quale gli eventuali colpevoli potrebbero portare anche alla Telekom. I nostri interlocutori affermano che è in questione una frode di enormi dimensioni, con l'immancabile retroterra politico, nel quale sono coinvolte cifre ancora più grandi che nel caso della Telekom, ma tutta la faccenda si trova ancora nella fase prima delle indagini. La fonte di NT aggiunge: "Anche in questo caso vengono menzionati alcuni dei testimoni dello scandalo Telekom. Tutto viene tenuto ancora sotto il più stretto segreto e se qualcuno per caso dovesse parlare, se la passerebbe male. Il minimo che gli potrebbe accadere, sarebbe di perdere il posto di lavoro e probabilmente gli andrebbe ancora peggio!". (titolo di "Notizie Est"; traduzione di A. Ferrario) Da "Balcani Economia" del 14 gennaio 2003: TELEKOM SRBIJA: SALDI DI FINE STAGIONE O SVOLTA RISOLUTIVA? I media serbi commentano l'operazione mediante la quale a gennaio il governo di Belgrado ha acquistato la quota che Telecom Italia deteneva in Telekom Srbija Domani, 15 gennaio, verrà firmato ufficialmente l'accordo per il "riacquisto" del 29% di Telekom Srbija da parte dell'impresa pubblica PTT Srbije, controllata dal governo serbo (si veda "Balcani Economia", numero speciale del 7 gennaio 2003). Già da alcune settimane, e più precisamente dall'annuncio del raggiungimento della relativa intesa tra Telecom Italia e governo di Belgrado, in Serbia si è aperto un dibattito circa i motivi che hanno portato a tale operazione e al futuro che attende l'operatore di telefonia fissa nazionale serbo. Telekom Srbija era stata creata nel 1997 mediante lo scorporo delle attività di telefonia fissa dalla PTT Srbije (Poste e Telegrafi della Serbia). Come è noto, la quota del 29% era stata acquistata nello stesso anno dalla STET, controllata dalla Telecom Italia, che allora era un'azienda a controllo statale. Contemporaneamente, la greca OTE aveva acquistato una quota del 20%. Il prezzo che l'azienda italiana aveva pagato allora era di 495 mln di euro: la stessa quota viene oggi venduta da Telecom Italia al proprietaro originale per "soli" 195 mln di euro, cifra che, oltretutto, comprende anche debiti della parte serba per 60-75 mln di euro, rivendicati dagli italiani e mai incassati. In Serbia ci si è posti innanzitutto la domanda del perché un'operazione di tale importanza sia stata portata a termine in un periodo di festività, che generalmente si contraddistingue per la mancanza di eventi importanti. E' difficile credere che abbia rappresentato "un regalo di Natale" del premier Djindjic ai cittadini serbi, come ha ironizzato la stampa di Belgrado, che ha invece parlato apertamente di una scelta di tempi tesa a fare sì che la notizia avesse la minore eco possibile, soprattutto in Italia. Alcune delle fonti più serie, si sono concentrate tuttavia sugli aspetti tecnici dell'accordo e, soprattutto, sulle sue conseguenze. Gli aspetti tecnici L'esperto di economia Dimitrije Boarov ha scritto sul settimanale "Vreme" che le lunghe trattative per l'accordo (secondo la maggior parte delle fonti sarebbero durate almeno otto mesi) si sono incentrate soprattutto sulla prima, e più importante, tranche del pagamento, che ammonta a 120 mln di euro e dovrà essere versata entro quattro mesi. Di trattative per un "riacquisto" della quota si parlava già dall'aprile del 2002 quando, secondo il settimanale di Belgrado "Ekonomist", si ipotizzava un prezzo superiore: circa 220 mln di euro. L'accordo sarebbe stato raggiunto con grande ritardo poiché chi era più scettico verso l'ipotesi del "riacquisto" riteneva che la Serbia non sarebbe stata in grado di assicurarsi una tale somma in tempi così brevi, perché i suoi principali finanziatori esteri, per motivi sconosciuti, non erano disponibili a sovvenzionare l'operazione. Il governo di Belgrado ha tuttavia infine ritenuto vantaggioso assumersi l'impegno di pagare un aumento della quota di proprietà in Telekom Srbija (che passerà dal 51% all'80%), sebbene ciò richieda uno stanziamento pari all'ammontare di tutti i fondi finora ottenuti mediante la vendita di imprese statali a investitori esteri. L'operazione, secondo Boarov, rientra in una strategia di più ampio respiro, che darà i suoi frutti finanziari solo quando sarà stata portata a termine con successo. L'operatore di telefonia fissa nazionale rimane pur sempre appetibile, visto che nel 2002 ha raggiunto i 55 mln di euro di utili, cifra che secondo le stime dovrebbe toccare nel 2003 il tetto di 100 mln di euro. Inoltre, l'impresa statale PTT Srbija, nuovo azionista di maggioranza di Telekom, prevede di ricavare alti utili dalla vendita della quota che quest'ultima detiene nell'unico operatore mobile del paese, Mobtel. E' grazie a queste prospettive che il governo di Belgrado è riuscito in extremis a convincere le banche serbe a fornire il loro sostegno all'operazione. Vi è tuttavia chi, come il quotidiano "Danas", ritiene che sarebbe stato più utile per il futuro sviluppo della Telekom investire i 195 mln di euro in un versamento aggiuntivo di capitali, che avrebbe consentito di riacquisire il controllo dell'azienda e, allo stesso tempo, di modernizzare sensibilmente l'azienda. Inoltre, nota il quotidiano, il riacquisto della quota del partner italiano invia un messaggio negativo al mondo, perché è un segno di come la Serbia non abbia una strategia precisa e preferisca liberarsi di investitori esteri, piuttosto che impegnarsi in seri piani di sviluppo. Il contesto politico Riguardo agli aspetti politici, Boarov si chiede perché, citiamo, "i notoriamente astuti 'latini' hanno accettato un accordo così conveniente per la parte serba" e in particolare perché Telecom Italia abbia deciso di abbandonare, per soli 195 mln di euro, un'azienda che dal maggio del 2001 ha quadruplicato la propria rete di telefonia mobile, passata da 400.000 a 1,3 mln di abbonati, che ha cominciato ad aumentare rapidamente i propri profitti e che opera in un mercato telefonico lungi dall'essere saturo. Inoltre, la parte italiana si era garantita una fonte continua di entrate grazie all'accordo per il "know-how tecnico", che le aveva consentito finora di incassare 39 mln di euro. Facendo un po' di calcoli, Telecom Italia avrebbe potuto facilmente ottenere la stessa somma di 195 mln di euro senza dovere vendere la propria partecipazione, una circostanza che, scrive Boarov, "ha fatto venire i brividi a tutti coloro che hanno seguito le trattative". La decisione rientra comunque nella strategia generale dell'azienda italiana che dal 1999 si sta disimpegnando da tutte le società di cui non è azionista di maggioranza e concentra le sue attività estere soprattutto sull'America Latina. Inoltre, l'Europa Orientale si è rivelata essere un'area problematica per le telecom, come è testimoniato dal caso di un gigante come Deutsche Telekom che, nonostante la sua forza, ha registrato nella regione perdite per decine di miliardi di euro. I motivi politici tuttavia non mancano e numerose fonti serbe, come per esempio l'autorevole "Ekonomist", li individuano negli scandali che hanno fatto seguito all'operazione realizzata nel 1997, quando era ancora al potere Milosevic, scandali che durano ormai da anni e sono ancora oggi oggetto di indagini da parte della magistratura italiana. Ora, grazie al riacquisto della quota da parte di Belgrado, si spera che tutto venga "nascosto sotto il tappeto", visto che tutto sommato nessun governo è entusiasta del fatto che vengano condotte indagini parlamentari su importanti affari, anche quando lo scandalo è stato ereditato da un governo passato. Rimane da vedere, si chiede Boarov sulle pagine di "Vreme", se anche questa "fuga" di Telecom Italia dalla Serbia avrà un seguito. Il futuro del monopolio e la telefonia mobile Il settimanale "Ekonomist" e il quotidiano "Politika" sono convinti che l'uscita di Telecom Italia dalla società telefonica serba avrà come primo effetto quello di mettere in discussione il monopolio che quest'ultima ha nel settore e che dovrebbe durare, secondo una clausola contenuta nell'atto costitutivo, fino al 2005. La parte italiana avrebbe sempre esercitato pressioni affinché tale monopolio non venisse eliminato, con la giustificazione che la sua esistenza aveva contribuito ad aumentare il prezzo pagato per la quota di Telekom Srbija. Tuttavia la società serba continua ad avere un partner estero, cioè la greca OTE, che potrebbe avvalersi delle stesse motivazioni, come lascia pensare una dichiarazione resa dal direttore della PTT Srbija, Sdrjan Blagojevic: "Sono contrario al monopolio, ma continuiamo ad avere un partner straniero, i greci, a cui tale diritto spetta ancora". La bozza di legge sulle telecomunicazioni vieta l'esistenza di ogni monopolio, ma solo dopo lo scadere di quello attuale. Alcune fonti ritengono che la parte greca abbia posto delle condizioni per accettare la fuoriuscita di Telecom Italia e abbia addirittura chiesto un diritto di voto del 50% per la propria quota che ammonta solo al 20%. Se non lo otterranno, affermano tali fonti, anche OTE potrebbe decidersi a ritirare la propria partecipazione da Telekom Srbija, ma solo in cambio di una quota dell'80% dell'operatore di telefonia mobile Mobtel. Proprio in questi giorni il ministro dell'economia e delle privatizzazioni, Aleksandar Vlahovic, ha annunciato che entro fine gennaio inizieranno i preparativi per la vendita delle partecipazioni statali in Mobtel, data entro la quale sarà certificato l'assetto proprietario dell'operatore GSM, che secondo le previsioni vedrà lo stato in posizione di maggioranza. Il miliardario serbo Bogoljub Karic continua tuttavia a rivendicare il 51% della proprietà di Mobtel attraverso la sua società BK Trade e, vista la sua influenza politica ed economica, non è scontato che il problema possa essere risolto facilmente. Il rischio è, viste le possibili rivendicazioni della parte greca e i problemi irrisolti con Karic, che anche il caso della Mobtel si possa trasformare in un ostacolo allo sviluppo della telefonia mobile, così come quello di Telekom Srbija lo è stato per il settore della telefonia fissa. (a cura della redazione di "Balcani Economia") Da "Osservatorio Balcani" (www.osservatoriobalcani.org), 15 maggio 2003: IL CASO TELEKOM, INTERVISTA CON ANDREA FERRARIO OB: Chi visita il tuo sito si accorge che sin dall'inizio hai avuto un'attenzione particolare per la vendita della Telekom Srbija. Mi piacerebbe che tu riassumessi per punti salienti in cosa è consistita questa discussa operazione finanziaria? Ferrario: Nel giugno del 1997 la STET International, società controllata da Telecom Italia, ha firmato il contratto per l'acquisto, in cordata con la greca OTE, di una quota del 49% di Telekom Srbija. In totale, per tale quota sono stati versati circa 1.500 miliardi di lire, 900 dei quali pagati da Telecom Italia e 600 da OTE. La Telekom Srbija è una delle più importanti aziende della Serbia e a quei tempi era controllata dallo stato. Nonostante la quota acquistata da Telecom Italia e OTE non fosse di maggioranza, una clausola del contratto riservava agli italiani una golden share, cioè un diritto di veto nelle decisioni, che conferiva a Telecom Italia il controllo di fatto dell'azienda. L'accordo, secretato subito dal governo di Belgrado, è stato frutto di negoziati condotti per alcuni mesi e svoltisi in un clima politicamente molto caldo per la Serbia, che era appena uscita dalle grandi proteste dell'inverno '96-'97 contro i brogli elettorali del regime. Milosevic, grazie anche agli appoggi occidentali, ne era uscito alla fine vincitore. C'era poi la situazione perennemente irrisolta del Kosovo, che da lì a soli tre mesi avrebbe visto l'organizzazione di massicce manifestazioni di protesta contro le politiche repressive di Belgrado, manifestazioni poi seguite dalla prima azione organizzata dell'UCK. L'enorme quantità di fondi che è giunta nelle casse del regime di Milosevic, economicamente molto in difficoltà, ha quindi sicuramente avuto un peso politico ed è stato un segno di appoggio da parte dell'Italia. Negli anni a seguire la gestione italiana di Telekom Srbija si è dimostrata pessima. L'azienda ha continuato a sopravvivere senza alcuna prospettiva di sviluppo e senza investimenti che ne consentissero una ripresa. Subito dopo la caduta del regime di Milosevic, nell'ottobre 2000, sulla stampa serba hanno cominciato a comparire svariati articoli di denuncia dell'accordo, delle sue conseguenze negative e, soprattutto, degli oscuri retroscena politici. Nell'opera di denuncia hanno svolto un ruolo importante anche i sindacati serbi. Uno dei personaggi chiave dell'operazione Telekom, uno dei tanti intermediari, si è infine fatto avanti dando la propria disponibilità a parlare: si tratta di Dojcilo Maslovaric, ex ambasciatore jugoslavo in Vaticano ed ex amico della famiglia Milosevic. Nel febbraio 2001 tali denunce sono state riprese dal quotidiano 'La Repubblica', che ha condotto un'inchiesta con la quale è stato dimostrato che per l'acquisto delle quote erano state pagate delle tangenti. Ne è nato uno scandalo finito sulle prime pagine di tutti i giornali italiani, in seguito al quale la magistratura ha aperto un'indagine. Successivamente è stata creata anche una commissione parlamentare di inchiesta, che tuttavia ancora oggi non ha chiarito i retroscena politici dell'operazione. Infine, nel gennaio scorso, Telecom Italia è uscita da Telekom Srbija, rivendendo la propria quota allo stato serbo per un cifra decisamente inferiore a quella a cui la aveva acquistata, cioè per 195 milioni di euro. OB: E' evidente che le ragioni dello scandalo legato alla Telekom Srbija sono diverse per l'Italia e per la Serbia. In Italia l'intera questione assume una connotazione politica, uno scontro tra la sinistra e la destra italiana che coinvolge la magistratura e i grossi processi in corso nel nostro paese. D'altro canto invece la Serbia è interessata a vedere, non solo la questione delle supposte tangenti, ma l'appoggio del governo italiano, nella figura dell'allora ministro degli esteri Lamberto Dini, al regime di Milosevic. Vorresti chiarire questi due punti di vista? Ferrario: In Italia c'è sempre stata scarsa considerazione per le conseguenze che l'operazione Telekom Srbija ha avuto in Serbia e l'interesse si è rivolto quasi esclusivamente alle ripercussioni sulla scena politica italiana. Non bisogna dimenticare in effetti che lo scandalo coinvolgeva, indirettamente, l'intero establishment politico di allora: presidente del consiglio era allora Romano Prodi (oggi presidente della Commissione Europea), ministro degli esteri Lamberto Dini (oggi impegnato nella redazione della costituzione UE), sottosegretario agli esteri Piero Fassino (oggi segretario DS), mentre alla guida del Ministero del Tesoro, che nel 1997 controllava Telecom Italia, c'era Carlo Azeglio Ciampi (oggi Presidente della Repubblica). Anche per questo la commissione parlamentare sulla Telekom Srbija è diventata uno strumento politico, che viene dispiegato pressoché regolarmente come ritorsione quando il governo Berlusconi è in difficoltà per qualche motivo. Il più delle volte tale strumento si è rivelato efficace nel mettere in imbarazzo alcuni dei protagonisti di allora. La destra fa un uso del tutto strumentale dello scandalo, un uso assolutamente ipocrita, visto che la sua politica internazionale, per non parlare della sua tradizione di corruzione, ha raggiunto livelli di gran lunga più bassi di quelli del centro-sinistra nei suoi recenti governi. Il centro-sinistra, da parte sua, fa finta di nulla riguardo a tutta la vicenda Telekom Srbija e i suoi esponenti, quando chiamati a risponderne, affermano di non averne mai saputo nulla. In Serbia invece la vicenda è sempre stata vista come la dimostrazione del sostegno dato dall'Italia al regime di Milosevic e come una prova del cinismo della diplomazia italiana. Anche le ricadute economiche negative sono state particolarmente evidenziate: i giornali serbi più critici hanno sempre citato la Telekom Srbija durante la gestione italiana come un esempio di sfruttamento di un importante settore economico nazionale da parte di un vicino invadente, per nulla interessato a mettere in atto una politica di rilancio o a migliorare le condizioni dei dipendenti. OB: In un'intervista rilasciata da Lamberto Dini al Corriere della sera lo scorso 11 maggio, l'ex ministro degli esteri sostiene di essere giunto a conoscenza dell'acquisto solo dopo il giugno '97. Dini insiste dicendo che: "Anche se il governo avesse saputo, all'inizio del '97 non c'era alcuna ragione per la quale si sarebbe dovuto fermare una società italiana in procinto di acquistarne una serba. La questione del Kosovo, infatti, e scoppiata 18 mesi dopo. All'inizio del '97, Milosevic era un interlocutore gradito all'Occidente: era un artefice dell'accordo di Dayton e anche gli Usa si sforzavano di aiutarlo". Non credo che tu sia d'accordo con queste affermazioni, in particolare con l'ignoranza degli accadimenti in Kosovo nel periodo indicato da Dini. Oltre tutto, i rapporti tra Dini e Milosevic mi sembrano piuttosto evidenti e documentati, anche da fotografie. Ferrario: Dini continua a ripetere che non sapeva nulla dell'affare. Io rimango convinto che la sua sia un'affermazione che stupisce. Di norma le ambasciate italiane, che dipendono dal ministero degli esteri, sono informate preventivamente sugli affari che le grandi aziende del nostro paese compiono in loco. Nella maggior parte dei casi se ne fanno addirittura promotrici. Se comunque Dini non sapeva nulla, rimane il fatto che era un ministro davvero poco informato su sviluppi così importanti e questo non va certo a suo favore. D'altronde, anche oggi rilascia dichiarazioni che lasciano esterrefatti. Come è possibile affermare che la "questione del Kosovo", come la chiama Dini, è scoppiata 18 mesi dopo l'inizio del '97? Le repressioni di Milosevic in Kosovo erano in atto già da quasi un decennio! E le nuove proteste, il conflitto armato, sarebbero scoppiati solo pochissimi mesi dopo. Come sono possibili tali imprecisioni da parte di una persona che ha avuto un ruolo così importante nella diplomazia italiana nei Balcani? Sul ruolo svolto da Dini in Serbia, comunque, basta citare alcune sue dichiarazioni rilasciate durante i quattro viaggi compiuti a Belgrado tra il 1996 e il 1997. Nel 1996, quando centinaia di migliaia di serbi sono scesi sulle piazze per protestare contro i brogli elettorali, l'ex ministro dichiarava che "la richiesta dell'opposizione di un riconoscimento dei risultati elettorali annullati dal governo non è realistica". Nel dicembre 1997, in piena campagna elettorale per le presidenziali serbe, Dini si faceva fotografare con Milosevic e il candidato socialista Milutinovic (entrambi oggi all'Aia) e auspicava un "intervento più massiccio del settore privato italiano industriale e bancario" in vista anche delle grandi privatizzazioni preannunciate dal governo. Mentre le forze serbe si preparavano agli imminenti massacri in Kosovo, Dini dichiarava a Belgrado che "i rapporti bilaterali tra i due paesi proseguono positivamente". OB: Come hai precisato prima, la quota della Telekom Srbija di proprietà di Telecom Italia è stata recentemente rivenduta alla Serbia, per un ammontare che è pari circa alla metà del valore di acquisto iniziale. Credi che questa ulteriore manovra abbia a che vedere con il caos che suddetto acquisto ha suscitato in Italia? Per dirla in altri termini: ci si è voluti in qualche modo liberare della "gallina dalle uova d'oro" come venne chiamata a suo tempo, restituendola dopo che di uova ne aveva fatte ben poche e dopo che ne è nato un vero e proprio scandalo in Italia? A dire il vero Telekom ha dimostrato un discreto margine di utili proprio nel momento della vendita delle azioni di proprietà di Telecom Italia. Non trovi sia curioso che 'la gallina' sia stata venduta proprio nel momento in cui le uova le stava facendo? Ferrario: Sulla questione mi affiderei ai commenti della stampa serba, che ha osservato come in Italia vi fosse il desiderio di chiudere un capitolo molto imbarazzante per Roma. In effetti l'operazione di rivendita è stata siglata tra Natale e Capodanno: sono stati molti quelli che hanno affermato che la scelta dei tempi non sia stata casuale ma scelta apposta per fare sì che la notizia avesse la minore eco possibile sui media. Ed è vero anche che Telekom comunque realizzava profitti. E' tuttavia stato osservato, a ragione, che comunque Telecom Italia ha adottato da tempo una strategia che prevede la vendita delle proprie partecipazioni estere non essenziali, una mossa abbastanza logica vista la forte crisi del mercato mondiale delle telecomunicazioni. Gli ultimi recenti strascichi dello scandalo Telecom, inoltre, sono un'indicazione di come l'attuale governo Berlusconi non sia interessato per il momento a 'nascondere sotto il tappeto' lo scandalo, semmai il contrario. OB: Da un po' di tempo a questa parte ti sei occupato in modo particolare di economia, seguendo le privatizzazioni, i flussi economici, le borse dei Balcani, ecc. Hai visto in quest'ultimo anno in Serbia altre vicende controverse come lo è quella legata alla Telekom? Ferrario: La vicenda Telekom appartiene a un'altra epoca, quella di Milosevic. Gli affari controversi continuano a essere all'ordine del giorno nei Balcani, ma segnalerei per la sua valenza politica un altro scandalo, quello della Jugoimport, uno scandalo direttamente legato al nuovo corso della politica mondiale e in particolare a quella statunitense. La Jugoimport è un colosso dell'economia serba, dedito all'import-export di armamenti. Ne hanno sempre fatto parte alti esponenti di governo, il suo consiglio di amministrazione attualmente è presieduto dal ministro degli interni Dusan Mihajlovic, fino a poco tempo fa ne faceva parte l'attuale premier Zivkovic. Nell'autunno scorso è scoppiato uno scandalo, in seguito alla documentata vendita di armi da parte della Jugoimport all'Iraq, in violazione dell'embargo ONU, fino all'estate del 2002. Il traffico illegale di armi era organizzato dalla stessa Jugoimport e dalla Orao, una società serbo-bosniaca. L'azienda serba ha una lunga esperienza di vendita in Iraq e in genere nel Medio Oriente. Su pressioni degli Stati Uniti, è stata creata una commissione di inchiesta su tale scandalo, commissione della quale facevano parte gli stessi Mihajlovic e Zivkovic, i quali naturalmente hanno insabbiato le indagini, limitandosi ad affermare che tali traffici di armi non si verificheranno più. In Bosnia invece la vicenda ha avuto strascichi fino al mese scorso e ha portato alle dimissioni di importanti militari e politici, tra i quali il rappresentante serbo nella presidenza collegiale bosniaca. Riguardo alla Serbia, il voltafaccia degli Stati Uniti è stato incredibile e solo un mese e mezzo dopo lo scandalo, in dicembre, il direttore della Jugoimport (tra l'altro, ex membro dei servizi segreti di Milosevic) si recava a Washington per firmare un accordo di collaborazione con gli USA. A fine marzo Powell si è recato in visita a Belgrado, in piena guerra, dichiarando il proprio entusiasmo per il governo di Zivkovic, diventato nel frattempo premier. Dopo alcune settimane sono stati firmati svariati accordi economici e, soprattutto, Bush in persona ha emesso un decreto in base al quale gli Stati Uniti potranno riprendere le vendite di armi alla Serbia, considerato paese amico e importante per gli interessi nazionali degli USA. Infine è giunta la notizia più clamorosa: sarà la Jugoimport a coordinare le aziende serbe che parteciperanno alla ricostruzione in Iraq! Si tratta di un'altra vicenda che dimostra chiaramente il nesso costante tra grandi affari (anche illeciti) e politica internazionale. Intervista a cura di Luka Zanoni LA DIFESA DI ALCUNI PROTAGONISTI: LAMERTO DINI: " Anche se il governo avesse saputo, all’inizio del ’97 non c’era alcuna ragione per la quale si sarebbe dovuto fermare una societa italiana in procinto di acquistarne una serba. La questione del Kosovo, infatti, e scoppiata 18 mesi dopo. All’inizio del ’97, Milosevic era un interlocutore gradito all’Occidente: era un artefice dell’accordo di Dayton e anche gli Usa si sforzavano di aiutarlo" (Corriere della Sera, 11 maggio 2003) ROMANO PRODI: " Un aiuto ad un regime criminale? No. L'operazione Telekom Serbia è del 1997. La guerra del Kosovo è di due anni dopo. La firma del contratto per l'acquisto della partecipazione in Telekom Serbia avvenne il 10 giugno 1997, in un periodo di progressiva normalizzazione dei rapporti con la Serbia. Con gli accordi di Dayton del 21 novembre 1995 di cui lo stesso Milosevic era stato uno dei firmatari e che, nel sancire il nuovo assetto costituzionale della Bosnia Erzegovina, costituivano un vero trattato di pace, si era aperta nei confronti della Serbia, dopo gli anni del conflitto in Bosnia e, prima ancora, di quello in Croazia, una stagione di rinnovato dialogo. Il 1° ottobre 1996, otto mesi prima della conclusione dell'operazione Telekom Serbia, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite aveva revocato le sanzioni economiche contro Belgrado. All'inizio del 1997 Italia e Serbia conclusero due accordi per evitare la doppia imposizione fiscale e per la tutela e la promozione degli investimenti. In questo contesto, molte imprese occidentali, e numerose in particolare del settore delle telecomunicazioni, guardarono con interesse al mercato che si stava riaprendo. Nella nuova situazione politica non c'erano, da parte né dei governi europei né di quello americano, obiezioni di ordine politico a una ripresa degli investimenti. Questa, nel quadro di una politica tesa ad aiutare la Serbia a ritrovare la strada della democrazia e dello sviluppo, era anche la posizione del governo italiano. Qualificare un investimento nella Serbia del 1997 come "aiuto ad un regime criminale" e come finanziamento "del genocidio di un popolo" sulla base delle responsabilità di Belgrado nel conflitto con il Kossovo di due anni dopo costituisce, prima e più ancora che un inaccettabile metodo di polemica politica, un falso storico. (Repubblica, 8 settembre 2003) MASSIMO D'ALEMA: " E’ stato montato un caso che non esiste. E’ ora di finirla con questa campagna scandalistica". (Corriere della Sera, 10 settembre 2003) © Notizie Est. Tutti i diritti riservati