Programma 2016 - Comune di Pieve Santo Stefano

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Programma 2016 - Comune di Pieve Santo Stefano
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32a edizione
16-18 settembre 2016
pieve santo stefano
StoriEmigranti
PRE-mio Pieve 2016
Raccontare storie
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venerdì 9 settembre
ore 17.00
Arezzo, Cortile del Palazzo
dei Priori (Comune)
intervengono Tiziano Bonini, Camillo Brezzi,
Matteo Caccia, Natalia Cangi e Pierfrancesco De Robertis
con la partecipazione della commissione di lettura del Premio Pieve
Nel 2015, per la prima volta nella nostra storia, abbiamo presentato in anteprima ad
Arezzo le 8 storie finaliste del Premio Pieve. Lo abbiamo chiamato PRE-mio. Obiettivi
dichiarati: rafforzare i legami con la cittadinanza aretina, avvicinare un pubblico
nuovo e diverso al nostro “magico” mondo, quello della scrittura autobiografica e del
racconto delle storie di vita delle persone.
È stato un successo. Abbiamo ricevuto in cambio un grande abbraccio affettuoso
che ci ha convinto, grazie anche al sostegno del comune di Arezzo, a riproporre
l’iniziativa e trasformarla in un appuntamento fisso. E siccome “squadra che vince
non si cambia”, anche quest’anno abbiamo chiesto a un amico speciale dell’Archivio
di tornare a raccontare le otto scritture autobiografiche finaliste del concorso. La
voce al PRE-mio sarà quella radiofonica inconfondibile di un narratore straordinario,
come Matteo Caccia.
in collaborazione con la Camera di Commercio di Arezzo e il quotidiano “La Nazione”
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Italiani cìncali
uno spettacolo di Nicola Bonazzi e
Mario Perrotta
diretto e interpretato da Mario Perrotta
collaborazione alla regia Paola Roscioli
PRE-mio Pieve 2016
venerdì 9 settembre
ore 21.00
Teatro Petrarca
Arezzo
Sono da poco trascorsi 60 anni dalla tragedia di Marcinelle, evento simbolo
dell’emigrazione italiana nella seconda metà del Novecento. La mattina dell’8 agosto
1956 un incendio, divampato in una delle molte miniere del Belgio in cui lavorano migliaia
di nostri connazionali, provoca la morte di 262 persone. Commemorare per salvaguardare
un frammento prezioso di memoria collettiva. Ma soprattutto commemorare per
ricordare che siamo stati emigranti fino a ieri, e che emigravamo, lavoravamo e vivevamo
in condizioni disumane e inaccettabili. Inaccettabili ieri, inaccettabili oggi.
“Italiani cìncali” impartisce questa lezione con il sublime linguaggio dell’arte. È lo
spettacolo attraverso il quale Mario Perrotta, come si legge nella nota di regia, si è
misurato con l’emigrazione italiana nelle miniere di carbone del Belgio, raccontata
attraverso un’epopea popolare, fatta di uomini scambiati con sacchi di carbone, di paesi
abitati solo da donne, di lettere cariche di invenzioni per non svelare le condizioni umilianti
di quel lavoro, di mogli che rispondono a quelle lettere con le parole dettate dall’unico uomo
rimasto in paese: il postino. È lui che racconta tutto quello che ha visto, sentito, letto e
scritto. Racconta come può, come deve, ricostruendo uno spaccato violento e amaramente
ironico di un Italia uscita dalla guerra e pronta ad affrontare il boom economico. E così che
le sue storie, così apparentemente personali, ritraggono senza ipocrisia, uno dei capitoli
più amari della nostra storia repubblicana.
I miei cìncali
Cìncali cioè: zingari! Così credevano di essere chiamati gli italiani emigrati in Svizzera; pare,
invece, che fosse una storpiatura di cinq, “cinque” nel linguaggio degli emigranti padani che
giocavano a morra. Quasi un anno di testimonianze, un anno di memorie rispolverate a fatica.
Ho preso la macchina e ho girato senza un luogo preciso dove andare, eppure il Sud è tutto
uguale, non hai bisogno di sapere dove qualcuno ha preso le valigie ed è partito: basta entrare
in un bar, un bar della provincia e chiedere. La risposta è sempre la stessa: – qui tutti siamo
emigrati...
Si fanno pregare, un attimo soltanto, poi partono con la loro storia, infinita, che reclama
ascolto. Anche il Sud è infinito: tra i paesi montani del nord-est produttivo ed è ancora Sud.
Per i Belgi, gli Svizzeri, i Tedeschi che chiedevano braccia dopo la seconda guerra mondiale,
Sud era la Puglia, la Sicilia, la Calabria e Sud era il Veneto, il Friuli: - siamo emigrati tutti qui ...Negli archivi pubblici e privati trovo lettere, diari salvati per miracolo ma loro non hanno più
nulla: meglio dimenticare, dicono. Ma la memoria è importante perché nel 1990, quando
nel Salento è sbarcata la prima carretta del mare carica di albanesi, c’erano ancora 1.000
bambini italiani clandestini in Svizzera. Negli anni ’70 erano 30.000...
in collaborazione con il Comune di Arezzo
ingresso gratuito
Mario Perrotta
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in tema
StoriEmigranti
La storia di un’emigrazione comincia sempre da un punto di partenza e finisce con un
punto di arrivo. E poi c’è tutto quello che sta nel mezzo. Il viaggio. Che spesso è la parte
più difficile da vivere e raccontare. Se ci chiedessero di descrivere il punto di arrivo di
un’emigrazione, avremmo un vasto immaginario da richiamare. Evocheremmo prima
scene tragiche che abbiamo interiorizzato in molti anni, dai barconi che affondano
al largo delle nostre coste ai corpi senza vita dei naufraghi, di ogni età, riversi sulla
spiagge. Poi forse ci tornerebbero alla mente i centri di raccolta e smistamento dei
migranti, e la visione di chi resta ai margini delle nostre metropoli e della società.
Infine, in misura minore, andremmo col pensiero a chi ha raggiunto felicemente
il punto d’arrivo, a chi ha ricominciato a vivere una vita normale quand’è giunto a
destinazione.
Se invece ci chiedessero di descrivere il punto di partenza di un’emigrazione, ci
troveremmo in difficoltà. Penseremmo ai contesti di povertà, o di guerra civile, etnica,
religiosa, che oggi in tutto il mondo creano le condizioni per un esodo in massa di
milioni di uomini e donne. Ma faticheremmo a visualizzarli.
Cambio di prospettiva.
Smettere di pensare all’emigrazione come allo spostamento di un popolo da un luogo
geografico a un altro. Cominciare a immaginarlo come lo spostamento da un’epoca a
un’altra. Il punto di arrivo resterebbe quello dei barconi, dei margini delle metropoli e
dei rari esempi di felicità. Il punto di partenza lo ritroveremmo nella nostra memoria,
anche molto recente, nella storia degli italiani che hanno avuto le guerre in casa fino
alla metà del secolo scorso, la povertà fino a ieri, a oggi. Allora sì che riusciremmo a
visualizzare. Vedremmo partire i nostri fratelli, genitori e nonni, e vedremmo arrivare i
migranti africani, mediorientali o asiatici che attraversano i nostri confini.
Ci siamo lasciati trasportare da questa suggestione, da questa rilettura del fenomeno
migratorio, e ci siamo resi conto che l’Archivio dei diari ha molto da dare per contribuire
a una riflessione comune. Per aiutare chi fatica a immaginare quale sia il punto di
partenza di un migrante. Per contribuire a scrivere la storia di ciò che sta nel mezzo,
quella del viaggio. Non abbandoniamo la suggestione. Non immaginiamo il viaggio
da un luogo geografico a un altro, ma il viaggio da un’epoca a un’altra. Cos’è accaduto
da quando partivamo in cerca di una condizione di vita migliore, a quando abbiamo
iniziato a divenire terra di approdo, spesso anche di indifferenza e di odio, per chi
cerca a sua volta una condizione di vita migliore? È un viaggio difficile da raccontare.
Bisogna partire dalla cronaca dell’oggi, e dalle testimonianze scritte di anni fa, e farle
incontrare al punto giusto. Bisogna sovrapporre il parlato e lo scritto, lingue diverse,
mondi lontani.
È così che abbiamo immaginato il Premio Pieve Saverio Tutino 2016, come l’incontro
tra chi vive e racconta le emigrazioni di oggi e noi, che abbiamo raccolto e conservato,
e che raccontiamo, le emigrazioni di ieri.
A tutti voi, che siete il terreno sul quale avverrà quell’incontro, diamo il benvenuto al
Premio 2016.
esposizioni
Mario Dondero
nella città del diario
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venerdì 16 settembre
ore 16.00 presentazione
Palazzo Pretorio
intervengono Mario Boccia, Laura Strappa e Loretta Veri
Se c’è una persona che incarna lo spirito del viaggio inteso come curiosità verso l’altro
quella è Mario Dondero. Tutto in lui è stato andare, sempre verso qualcuno.
Anche il suo lavoro di fotografo è stato un pretesto per viaggiare alla scoperta degli
altri. Nessuno come lui sapeva innescare la complicità con l’immediatezza del sorriso,
lo slancio accogliente di chi non fa differenza e ritrae le persone, abitanti semplici
della città del diario come grandi personaggi del nostro tempo.
Dondero aveva il Premio Pieve come appuntamento irrinunciabile. Lo vedevi spuntare
all’improvviso, mai annunciato e sempre atteso. Veniva ogni anno, per riabbracciare
l’amico Saverio e tutta la “compagnia” dei diari.
In questo primo appuntamento mancato, lo vogliamo ricordare, senza celebrazioni,
cerimonie e riverenze, ma con la spontaneità dei suoi scatti. È una mostra che
abbiamo allestito con lui alla quale nel 2009 prese parte tutto il paese. Oggi la
riproponiamo per lui, alzando un calice di vino rosso in sua memoria.
a cura di Promemoria
Tra le righe del Lenzuolo
Piccolo museo del diario
venerdì 16 settembre
ore 16.30 inaugurazione
Palazzo Pretorio
intervengono Camillo Brezzi, Rosanna Mai e Melania G. Mazzucco
Clelia Marchi arrivò a Pieve Santo Stefano un giorno d’inverno del 1986, col suo
lenzuolo sotto il braccio. Era venuta in treno fino ad Arezzo. Era scesa dalla corriera,
con l’aria compunta e festosa delle donne già avanti negli anni, che hanno trascorso
una vita intiera senza mai uscire dal loro comune di nascita. Un viso bello, incorniciato
da una capigliatura canuta e ben pettinata, le trecce attorcigliate, gli occhi sfavillanti.
Portava l’età indefinita di una capofamiglia contadina vestita bene per una cerimonia.
dalla prefazione di Saverio Tutino a “Gnanca na busia”
A 30 anni da quell’inverno e da quell’incontro, il nostro omaggio a Clelia.
Firmato dotdotdot.
L’exhibit interattivo multimediale è stato progettato per reinterpretare il racconto
della vita di Clelia attraverso una narrazione resa concreta da alcuni oggetti,
rappresentativi del racconto, sospesi nella stanza che diventano “parlanti”,
sussurrando ai visitatori segreti e aneddoti della vita di Clelia Marchi.
dotdotdot
esposizioni
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Il tesoro dell’Archivio
i manoscritti pervenuti al
Premio Pieve Saverio Tutino
venerdì 16 settembre
ore 17.00 inaugurazione
Palazzo Pretorio
a cura di Cristina Cangi
Le persone e le loro vite, le loro vite e gli oggetti sui quali vengono descritte. Dietro
a ogni conferimento di ogni diario originale che viene depositato in Archivio, c’è una
storia nella storia. La storia è quella che il diario racchiude, la storia nella storia è
quella che nasce dall’incontro tra gli autori della testimonianza, o chi la custodisce, e
le persone che li accolgono a Pieve Santo Stefano. Si instaura, a volte in breve tempo
a volte dopo molti incontri, un rapporto profondo, di fiducia e di amicizia. Tra chi sa
di affidare per sempre a qualcun’altro un oggetto che è parte di sé, e chi si impegna
a rendere eterno il patrimonio culturale e sociale racchiuso all’interno di quella
scrittura autobiografica. In oltre trent’anni di attività si sono intrecciati centinaia
di rapporti umani basati su questo patto, sono nate centinaia di amicizie. Anche
quest’anno è successo molte volte. Dietro ai diari, alle lettere e alle memorie che
potete ammirare dal vivo, si nascondono i sorrisi, le lacrime, le gioie e le sofferenze, le
delusioni e le speranze di chi li ha scritti. E le strette di mano, le lunghe conversazioni
e gli abbracci scambiati tra le mura dell’Archivio. Vi invitiamo a ricercarli, tra le pagine
di carta e nell’atmosfera che vi circonda.
Ofelia voleva soltanto nuotare
mostra fotografica
venerdì 16 settembre
ore 20.00 presentazione
Via Roma, 11
intervengono Mariantonietta Anania e Samuel Webster
Un racconto in 22 ritratti, 11 storie in 33 panelli, che celebrano le preziose passioni
di vite innocenti. È una rappresentazione di piccoli momenti di femminilità, semplici,
universali e irripetibili. Donne di ogni età, nazionalità ed estrazione sociale; donne
creative, donne che lavorano, studiano; donne animate da sogni.
Ofelia voleva soltanto nuotare. Ofelia è la donna che ama e muore per amore. Ofelia è
la vittima e allo stesso tempo il risveglio delle nostre coscienze.
Ofelia voleva soltanto nuotare è un progetto dell’artista australiano Samuel Webster
e della criminologa Mariantonietta Anania che unisce fotografia e indagine forense,
per restituire l’immagine della donna del nostro tempo. Una donna emblema
della bellezza mutilata dalla violenza di genere. Il femminicidio, una parola ormai
inflazionata che non fa più rumore alle orecchie dei nostri giorni, ma che in Ofelia
voleva soltanto nuotare si trasforma in un grido di vita.
Da settembre l’esposizione sarà in viaggio per l’Italia e per il mondo.
progetti
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La nostra guerra ’43-’45
I diari raccontano
L’avanzata degli alleati, l’occupazione nazista, la Repubblica sociale, il Regno del Sud,
le Resistenze, le Liberazioni, le stragi, i rastrellamenti, le battaglie, i bombardamenti, le
prigionie. L’elenco potrebbe essere ancora molto, molto lungo. Gli ultimi due anni della
Seconda guerra mondiale in Italia, ripercorsi attraverso i libri di storia, si presentano
come una lunga catena di avvenimenti, a volte a sé stanti a volte sovrapposti, non
riconducibili a un’unica chiave di lettura. Se invece si prova a ripercorrerli attraverso
le testimonianze dirette delle persone comuni che sono vissute in quel periodo, la
catena tende addirittura verso l’infinito. Ogni avvenimento, ogni fatto, ogni data si
offre a molteplici ricostruzioni, soggettive e collettive.
C’è il 25 luglio 1943, il giorno in cui a Roma Mussolini viene destituito e arrestato. Che
è però anche il giorno in cui Vittorio tra le colline di Firenze si prende una solenne
sbronza insieme agli amici. C’è l’8 settembre 1943, il giorno in cui Eisenhower alla radio
di Algeri annuncia la stipula dell’armistizio. Che è però anche il giorno in cui Giuseppe,
prigioniero degli Alleati a El Bayadh, maledice con tutto se stesso quell’accordo. C’è
il 25 aprile del 1945, il giorno della Liberazione di Milano. Che è però anche il giorno
in cui Vieri sfreccia per Roma, in biciletta, alla ricerca di buon latte di mucca da dare
alla sua bambina appena nata.
Solo il fondo inedito dell’Archivio dei diari, che conserva oltre 2.000 testimonianze
relative a quegli anni, ha le potenzialità per restituire parte di quella ricchezza di punti
di vista, di versioni dei fatti, di informazioni e, in ultima analisi, di dati. Elementi dai
quali è impossibile prescindere se si vuole raccontare una guerra senza precedenti
nella storia, combattuta tra il 1943 e il 1945 in Italia, alla quale non riusciamo ad
attribuire altro appellativo che “nostra”.
Con questo obiettivo, e sulla scorta dell’esperienza maturata grazie al progetto
“La Grande Guerra, i diari raccontano”, è nato il progetto “La nostra guerra ’43-’45,
i diari raccontano”, vincitore del bando per il 70° Anniversario della Resistenza e
della guerra di liberazione istituito presso la Presidenza del Consiglio dei MinistriStruttura di missione per gli anniversari di interesse nazionale, con il Gruppo
Editoriale L’Espresso in qualità di media partner. Nasce così una nuova piattaforma
informatica che vi permetterà di navigare attraverso migliaia di storie di vita di uomini
e donne, anziani e bambini, protagonisti e testimoni del biennio più importante della
vita del nostro Paese.
premiati
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Lorenzo Colantoni
Premio Tutino Giornalista 2016
venerdì 16 settembre
ore 17.30
Teatro Comunale
incontro con Pier Vittorio Buffa, Lorenzo Colantoni e Barbara Schiavulli
consegna il premio Gloria Argèles
Un birraio in fuga da uno sceriffo omicida in Ecuador fino alle Highlands più sperdute.
Sir Rocco Forte, uno dei più famosi hotelier al mondo. La storia d’amore di un prigioniero
di guerra alle Orcadi […]. La comunità con la più grande concentrazione di italiani nel
Regno Unito, e che ancora vive come fosse in Campania o Puglia. Uno degli ingegneri
più importanti al lavoro del nuovo Mars Rover, e che lo fa vestito come un dandy del
diciannovesimo secolo. Queste, e molte altre, sono le storie di Italians and the UK.
Storie che raccontano la vita degli italiani di ieri e di oggi nel Regno Unito. Storie di
migranti, spesso di successo, che hanno creato legami stretti e profondi con la terra
che li ha accolti. “Italians and the UK” è un progetto realizzato in collaborazione con
National Geographic Italia e con il sostegno del Ministero degli Affari Esteri e della
Cooperazione Internazionale. Un progetto da cui è nato un libro, un web documentary,
un reportage. Un progetto che ha portato alla ribalta tutto il talento di Lorenzo
Colantoni, vincitore del “Premio Tutino Giornalista 2016”.
Collaboratore dell’Espresso e di Limes, voce di Radio Bullets, ricercatore per l’Istituto
Affari Internazionali (IAI) di Roma, per realizzare Italians and the UK Lorenzo è sceso
per strada. Ha viaggiato, è andato sui luoghi, ha incontrato le persone, facendo loro
domande e ponendole a se stesso. Ha ricercato, scovato e fatto affiorare storie di
persone comuni e straordinarie, profili emblematici del tempo in cui viviamo. Ha dato
vita a un lavoro dall’altissimo contenuto autobiografico. Lo ha comunicato attraverso
tutti i media disponibili sul mercato, dai più tradizionali ai più innovativi. Ha fatto
tutto quello che, per l’Archivio dei diari, serve per essere un ideale “Premio Tutino
Giornalista”.
Sono decine di storie che parlano di creatività, duro lavoro e cooperazione. È una
raccolta di storie d’amore, dal grande nulla delle Highlands alle torri della City e gli
artisti dell’East End di Londra. È un viaggio attraverso il tempo, dalla prima migrazione
di massa alla fine del 1800 fino ai giorni nostri, e nello spazio, dalla punta nord delle
Orcadi fino all’isola di Wight sulla Manica.
linguaggi autobiografici
Armi e bagagli
Primapersona
Forum, 2016
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venerdì 16 settembre
ore 18.30
Logge del Grano
incontro con Mina Cilloni, Pietro Clemente, Marcello Flores,
Emilio Franzina e Alessandro Triulzi
coordina Anna Iuso
letture di Andrea Biagiotti e Grazia Cappelletti
Guerra. Dolore. Terrore. Morte.
Fuga. Speranza. Accoglienza. Rifugio.
Storie di oggi, che leggiamo, ascoltiamo, osserviamo ogni giorno. Che viviamo.
Storie di ieri, che richiamano l’attenzione dagli scaffali dell’Archivio dei diari per
essere raccontate. Le abbiamo ascoltate. E abbiamo affidato loro un numero della
nostra rivista dedicata alle scritture autobiografiche, Primapersona.
“Armi e Bagagli”. Quando un titolo dice tutto.
Traiettorie di uomini e di donne comuni, persone che nella loro vita sono scappate.
Le emozioni, le paure, i dolori, le aspettative, le sconfitte, le delusioni, la solitudine, il
senso di rivalsa, la lotta. La grande epopea di chi va, sapendo di non fare più ritorno.
Mediterraneo luogo geografico di partenze e di arrivi: su una sponda città e stati
da cui scappare, sull’altra luoghi dove rifugiarsi o transitare verso altri luoghi dove
rifugiarsi. Esodi di popoli diversi per origine e tradizioni. Individui che si incontrano
per caso, ma accomunati nel destino. Superare confini con bagagli di fortuna, fatti di
attese e illusioni, e una zavorra di nostalgia verso la patria amata. E odiata al tempo
stesso.
Questo numero di Primapersona, il 30° della rivista, racconta il lato drammatico
dell’emigrazione, la sofferenza della condizione di profugo, l’umiliazione di chi arriva
chiedendo asilo e giustizia.
È un piccolo omaggio di carta a tutti coloro che hanno scommesso la posta della
sopravvivenza, pur di vivere e far vivere la propria famiglia in condizioni più dignitose.
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MemoriaControErosione
Il cibo racconta nei diari di Pieve
cibo e racconti
venerdì 16 settembre
ore 20.30
Chiostro Asilo Umberto I
Memory Route, la strada sensoriale ed esperienziale sulla memoria che accoglie ad
Anghiari e Pieve Santo Stefano viaggiatori da tutto il mondo, si interroga e vi interroga,
in questo spazio crossmediale e multisensoriale, sul cibo come linguaggio comune,
come filo semantico fra le popolazioni mediterranee e fra le identità dei protagonisti
del viaggio, dai turisti ai migranti, di ieri e di oggi.
Le parole diventano commestibili e raccontano una storia. Quale storia? Quella
degli emigranti e il loro legame indissolubile con il cibo lasciato in patria. E la pausa
pranzo nuova, tutta da digerire, con il cibo trovato nella terra promessa. Il tempo del
consumare il pasto e i tempi della nuova vita. Gente d’Italia che andava...
Al centro della scena-giardino, un grande orcio trasparente pieno d’olio d’oliva del
Mediterraneo. Intorno, sul piano d’appoggio, tutti i pani del Mediterraneo: sicilia,
puglia, toscana...arabi e francesi, ebraici e greci. Mestoli di legno e rami d’ulivo, un
mucchio di sale grezzo di Sicilia. Antipasto simbolico di chi oggi arriva dai confini del
nostro bacino di civiltà mediterranea, tormentato dalla guerra e dai conflitti. Almeno
il pane e l’olio, per Gente in Italia che viene...
Ricostruire una narrazione attraverso il cibo e altri stimoli sensoriali, per fare fronte
all’erosione del tempo e masticare consapevoli. Suoni, Sapori, Storie. Cent’anni fa
poteva esserci una fisarmonica o un mandolino nel bagaglio del migrante, oggi uno
smartphone nel quale sono caricate le canzoni preferite: intatta è la necessità di
portarsi dietro almeno i propri suoni. E qualcosa da mangiare.
performance a cura di Andrea Merendelli
voci Andrea Biagiotti e Grazia Cappelletti
canzoni e musiche dal vivo di
Michele Corgnoli, Maurizio Rapiti, Damiano Lanzi,
Nicola Mancini, Giovanni Pichi Graziani
responsabile del progetto Memory Route Alessia Clusini
buffet a cura de Il Ghiandaio e Enoteca Simoncelli
prenotazione obbligatoria
diari che diventano libri
Con il fuoco nelle vene
Diario di un sottotenente della Grande Guerra
di Giuseppe Salvemini
prefazione di Antonio Gibelli
I diari di Pieve, Terre di mezzo, 2016
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sabato 17 settembre
ore 9.30
Logge del Grano
incontro con Emilio Franzina, Patrizia Gabrielli, Antonio Gibelli e Lucia Salvemini
coordina Camillo Brezzi
letture di Andrea Biagiotti
Esperienza traumatica e sconvolgente, la Grande Guerra ha
prodotto un fiume copioso di scritture epistolari, diaristiche e
memorialistiche […]. È il caso del diario di Giuseppe Salvemini,
sottotenente aretino, arruolatosi volontario nel 1916, quando
non aveva che diciannove anni, partito per il fronte l’1 novembre
dello stesso anno dopo un periodo di addestramento trascorso
in gran parte alla scuola allievi ufficiali di Modena e al campo
di Porretta Terme, morto per i postumi di un‘intossicazione da
gas nel 1918. Il diario ha inizio il 15 giugno 1916, data della
partenza da Arezzo, e termina circa un anno dopo, il 23 giugno
del 1917, alla vigilia di una licenza, dopo che l’offesa subita lo
ha chiaramente provato e si sono manifestati i disturbi che lo condurranno alla fine.
Nel diario di Salvemini il tema della generazione perduta ha una rappresentazione che
potremmo dire paradigmatica e si manifesta fin dalla sua articolazione in due parti
nettamente distinte: quella della preparazione e dell’attesa da un lato, quella della
guerra guerreggiata dall’altro. Nella prima, spensierata e piena di allegria, trovano
spazio le ambizioni di successo, le avventure amorose, il sentimento dell’ardore
giovanile e l’immaginario esibizionista dell’aspirante ufficiale, i divertimenti e le
escursioni, la vita all’aria aperta e la contemplazione della natura. Nella seconda
si fa strada rapidamente uno scenario catastrofico caratterizzato dal trionfo della
distruzione di massa, della decomposizione e della ferocia. Il passaggio da un mondo
all’altro è repentino. Il 30 ottobre 1916 il nostro è ancora partecipe di qualche bravata
con la compagnia dei commilitoni e con loro passa momenti “allegrissimi”, fermo ai
pensieri delle ragazze che lascia e delle occasionali compagne di viaggio disposte
all’approccio. Verso la mezzanotte del 31, superata Udine e raggiunta Cormons, “un
lontano brontolio, simile al boato cupo del tuono” lo avverte che un bombardamento
è cominciato e che la guerra si avvicina. L’1 novembre è già in mezzo alla battaglia,
partecipa a un assalto “immerso nell’acqua melmosa” e sperimenta la prima
carneficina. In pochissimo tempo si consuma, per lui come per migliaia di giovani,
la crisi totale delle aspettative e la disillusione sarà presto suggellata dalla tragica
morte.
dalla prefazione di Antonio Gibelli
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La nostra guerra ’43-’45
I diari raccontano
nuovi linguaggi
sabato 17 settembre
ore 11.30
Teatro Comunale
incontro con Daniela Bartolini, Maria Checcaglini,
Jessica Mazzotti e Alessandro Zanelli
coordina Pier Vittorio Buffa
letture di Lucia Cioncolini
Sugli ultimi due anni della Seconda guerra mondiale in Italia sono state scritte pagine di
storia indelebili. Date, luoghi, nomi, fatti, raccolti e assemblati per comporre un grande
quadro d’insieme. All’interno del quale, però, si levano incessantemente migliaia di voci che
reclamano spazio per raccontare la propria versione dei fatti. Voci che a volte collimano con
quella “ufficiale”, che a volte la contraddicono, che spesso spostano l’attenzione dai grandi
eventi verso vicende meno note, rimaste nell’ombra, ma non per questo meno importanti.
Sono le voci di chi ha vissuto il biennio ’43-’45, quello della “nostra guerra”, e ha scritto diari,
memorie, lettere oggi custodite dall’Archivio di Pieve. Un nuovo progetto sprigiona quelle
voci. Una piattaforma informatica accoglie circa 1.500 frammenti di testimonianze scelte e
trascritte dai racconti di vita di circa 600 persone. Uomini e donne, anziani, adulti o bambini.
Scopriamo tasselli delle loro storie di vita attraverso una narrazione dominante e diversi
itinerari dedicati a temi, eventi, protagonisti o personaggi storici. I parametri di spazio
e tempo offrono altri strumenti di navigazione, timeline e mappe georeferenziate. Ogni
frammento, collegato alla versione digitale integrale del documento da cui è stato estratto,
è una “porta d’accesso” verso la consultazione dell’intera testimonianza.
Human Library
sabato 17 settembre
ore 14.00
Logge del Grano
Mettiti seduto. Guardami dritto negli occhi e leggi quello che ho da dire. Proprio così: leggi.
È questa l’idea di base della Human Library. La Biblioteca Vivente è una vera e propria
biblioteca con lettori, bibliotecari e un catalogo di libri che sono persone in carne ed ossa.
Questi “libri viventi” – nell’occasione anche un po’ “diari viventi” dell’Archivio - vengono
“presi in prestito” per la conversazione: ogni lettore sceglie il suo. I libri viventi sono persone
consapevoli di appartenere a minoranze soggette a stereotipi e pregiudizi. Desiderosi di
scardinarli, si rendono disponibili a discutere le proprie esperienze con altri. La biblioteca
vivente — coinvolgendo delle persone in carne ed ossa — è un evento limitato nel tempo.
La conversazione dura circa venti minuti. I lettori potranno prendere in prestito uno o più
libri, sedersi con loro e ascoltare la storia che avranno da raccontare. Alcuni tra i “libri
viventi” della Human Library del Premio Pieve sono animati da partecipanti al progetto
DIMMI, Diari Multimediali Migranti. Un’iniziativa di raccolta di testimonianze di immigrati
promossa dalla Regione Toscana, che ha favorito la nascita di un fondo specifico all’interno
dell’Archivio di Pieve e che, a partire da settembre, sarà riproposto su scala nazionale.
diari che diventano libri
Lireta non cede
Diario di una ragazza albanese
di Lireta Katiaj, prefazione di Guido Barbieri
postfazione di Mario Perrotta
I diari di Pieve, Terre di mezzo, 2016
14
sabato 17 settembre
ore 16.00
Logge del Grano
incontro con Lireta Katiaj, Melania G. Mazzucco e Mario Perrotta
coordina Guido Barbieri
La parola latina “persona” deriva […] da un termine etrusco, phersu
da cui proviene a sua volta phersuna. […] Ha un significato ben
preciso: sta a indicare cioè la maschera funebre. […] Ma la storia
delle lingue antiche e della loro stupefacenti metamorfosi ci ha
donato anche un’altra “visione” di questa parola cruciale che
oggi usiamo con parsimonia e che ci sembra quasi un guscio di
suono, vuoto di senso. Secondo alcuni etimologi illustri “persona”
deriverebbe anche dal verbo latino per-sonare, ossia, letteralmente,
parlare attraverso. Ma attraverso che cosa? Una maschera, un’altra
maschera, anche se assai diversa da quella che riposa sui volti
dei defunti. È la maschera che nella tragedia attica, ma anche
nella farsa, l’attore indossava sia per assumere le sembianze del
personaggio che interpretava, sia per amplificare la propria voce, per arrivare in ogni
angolo del teatro. […] I due significati “fratelli” racchiusi nella parola persona, insieme
alle due maschere che la rappresentano, quella funebre e quella teatrale, disegnano alla
perfezione il ritratto di Lireta Katiaj. Una ragazza albanese, nata a Vlora trentanove anni
fa, che sul declinare del secondo millennio decide, come tante sue coetanee, di recidere
il cordone ombelicale che le lega alla patria, alla famiglia, alla lingua, alla terra di origine,
per approdare ad un nuovo mondo, sconosciuto, illusorio, salvifico: l’Italia falsamente
accogliente e luccicante di benessere raccontata dai pifferai magici delle televisioni
nazionali, pubbliche e soprattutto private.
Per molti anni, per la verità, a Lireta il diritto di essere “persona” è stato sbrigativamente
negato: fino al suo approdo definitivo all’Italia è stata, al contrario, una non persona. La
ragione è semplice e brutale: sulla sua pelle è stato impresso, come un tatuaggio indelebile,
il marchio di migrante. […] E ai migranti, lo sappiamo bene, non si usa la stessa gentilezza
che abitualmente viene riservata alle persone: ad esempio non si danno mai nomi. Nomi
propri, cognomi, nomi dati, nomi di famiglia. Anche Lireta si è dovuta conquistare con la
forza il nome che porta.
[…] Ma nella esistenza di Lireta ad un certo punto alla maschera funebre si sovrappone,
fino a prenderne il posto, l’altra maschera, la maschera della voce, la maschera del “teatro”.
E questo punto coincide perfettamente con la decisione di rifugiarsi in un universo che
Lireta, sin da bambina, ha abitato con grande felicità: la scrittura. La storia individuale di
Lireta non è diversa da quella di mille altre ragazze albanesi della sua generazione. E se
non fosse stato per la scrittura la sua storia si sarebbe inabissata nell’oblio, come le altre
mille. Invece Lireta scrive. Ed è per questo che non cede.
dalla prefazione di Guido Barbieri
15
Tavola rotante
testimonianze
sabato 17 settembre
ore 18.00
Logge del Grano
Ma cosa vuol dire oggi immigrare in Italia? Domanda molto complicata che abbiamo rivolto
a delle “risposte viventi”. Persone che in settori diversi, da presupposti e con obiettivi diversi,
lavorano ogni giorno per l’accoglienza, l’integrazione, l’inclusione.
Gheni Adam
Associazione Hypatia
Associazione nata da un gruppo di donne, provenienti da vari paesi del mondo, con l’obiettivo
di cercare soluzione ai “piccoli “ disagi della vita quotidiana, come la solitudine e l’isolamento,
creando spazi e momenti per la condivisione di cultura e tradizioni.
Alessandro Bechini
Oxfam Italia
Associazione umanitaria italiana, nata in Toscana più di 30 anni fa e oggi parte di una grande
coalizione internazionale, formata da 15 organizzazioni che lavorano in 98 paesi per combattere
l’ingiustizia della povertà nel mondo.
Fernando Vasco Chironda
Comitato 3 Ottobre
È una Onlus costituita nel 2014 con lo scopo di far riconoscere la data simbolica del 3 ottobre,
giorno del naufragio al largo di Lampedusa in cui persero la vita 368 migranti, quale “Giornata
della Memoria e dell’Accoglienza” .
Antonio Damasco
Rete Italiana di Cultura Popolare
Associazione culturale nata nel 2009 che ha per scopo la realizzazione di azioni socio-culturali
volte alla valorizzazione e alla riproposizione delle culture popolari e dei rituali sociali, antichi
e moderni.
Loris De Filippi
Medici Senza Frontiere Italia
Fondata a Parigi nel 1971 da un gruppo di medici e giornalisti, è oggi la più grande organizzazione
umanitaria indipendente di soccorso medico, con 19 sedi tra cui quella italiana. L’obiettivo di
MSF è portare soccorso alle popolazioni in pericolo e testimoniare della loro situazione.
Walter Massa
Arci nazionale
Associazione Ricreativa e Culturale Italiana, è un’associazione di promozione sociale fondata
a Firenze il 26 maggio 1957, oggi conta cinquemila circoli, più di un milione di soci. Donne e
uomini che hanno liberamente scelto di impegnarsi per promuovere emancipazione attraverso
l’autorganizzazione e la partecipazione.
Alessandro Triulzi
Archivio delle memorie migranti
Raccoglie un gruppo di autori, ricercatori, registi, operatori di terreno, migranti e non, impegnati
nel tentativo di dare vita a un nuovo modo di comunicare, partecipato e interattivo, che lasci
traccia dei processi migratori in corso e allo stesso tempo permetta l’inserimento di memorie
‘altre’ nel patrimonio collettivo della memoria nazionale e transnazionale.
teatro
Lireta
a chi viene dal mare
drammaturgia e regia di Mario Perrotta
16
sabato 17 settembre
ore 21.30
Teatro Comunale
anteprima nazionale
con Paola Roscioli
Laura Francaviglia - chitarra e percussioni
Samuele Riva - violoncello
Alessandro Migliucci - aiuto regia
Mirco Mora - fonica
Eva Bruno - scenografia e luci
Albania.
C’è una donna, Lireta si chiama. C’è una donna che guarda oltremare cercando un
brandello d’Italia, anche solo una luce. Una luce di Puglia che illumina i sogni di là, nella
terra dell’alba.
C’è un gommone che parte e la donna si sta in mezzo agli altri sul mare, cercando d’Italia
e di luci. Tra le braccia ha una bimba che, neanche tre mesi di vita e si trova sull’onda, nel
nero di un cielo senza luna.
L’hanno detto alla donna, alla bimba e a tutti gli altri lì sul gommone: “Se arriva la guardia
costiera d’Italia buttatevi in acqua!” L’hanno detto anche all’uomo, compagno alla donna
che si sta anche lui sul gommone.
Ogni onda che arriva, il mare s’ingrossa più ancora. E più forte è il terrore di perdersi la
bambina dalle mani. Ogni volo sull’onda, precede uno schianto sull’acqua arrabbiata e
ogni schianto è un ricordo.
Ricordo di un padre con l’alcool e la mano facile, un padre che serra i figli sotto chiave
mentre picchia la moglie. Ma Lireta non cede. Ogni volta, disperata, tenta una difesa di
quella madre così remissiva, una difesa qualunque gridando, sbattendo, ma senza
risposta. Ricordo di un matrimonio con chissà chi, matrimonio combinato tra famiglie,
senza che lei possa dire parola. Ma Lireta non cede. Rifiuta. Tutto rifiuta: l’uomo, il
matrimonio, e anche la famiglia. Ricordo di un fuga da casa e di un innamoramento, “che
io” le diceva lui “se mi ami ti porto in Italia”. Ricordo di una casa vicino al mare, ancora una
volta serrata a chiave aspettando che la portassero, insieme alle altre, sulle strade d’Italia,
“che io se mi ami ti porto in Italia”, dicevano anche gli aguzzini delle altre. Ma Lireta non
cede. E scappa. Ma uno di loro, un aguzzino, la insegue per giorni, la prende, la guarda negli
occhi e le dice “ti amo”: anche lui, come l’altro, le dice “ti amo”. E nasce una bimba.
Ricordo di quando con lui e con la bimba in braccio, decidono di prendere quel gommone
che adesso aggredisce le vette del mare, enormi, ringhianti, che ogni volta che sei sulla
cima butti l’occhio lontano sperando una luce di Puglia. E Lireta non cede e si serra più
forte la bimba sul petto. Ricordo di un volo, a qualche metro dalla costa del Salento, un volo
verso l’acqua spinti giù dal Caronte che guida il gommone.
Ed è qui che tutto si sospende: vola Lireta, vola il compagno e vola la bimba di soli tre mesi
e un’intera esistenza passa davanti agli occhi, in quel tempo infinito passato per aria sospesi - prima del contatto con quel mare che è morte, che è vita nuova...
Mario Perrotta prenotazione obbligatoria
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leggere e scrivere i diari
La commissione di lettura
incontra i diaristi della lista d’onore
domenica 18 settembre
ore 9.30
Piazza delle Oche
coordina Natalia Cangi
interventi musicali Pieve Jazz Big Band
letture di Donatella Allegro, Andrea Biagiotti e Grazia Cappelletti
Serafino Campori scelto da Ivana Del Siena
Isidoro Danza scelto da Rosalba Brizzi e Adriana Gigli
Giuliano Dondi scelto da Gabriella Giannini
Antonio Livorno scelto da Natalia Cangi e Patrizia Dindelli
Marcello Mugnaini scelto da Luisalba Brizzi e Laura Casucci
Sergio Neppi scelto da Elisabetta Gaburri e Riccardo Pieracci
Tiziano Recrosio scelto da Carlo Zanelli
Giovanni Sanvitale scelto da Valeria Landucci
Consegna Premi speciali ai diaristi
Premio speciale “Giuseppe Bartolomei”, ex aequo
Ugo Sernini Cucciatti “Al timone della Vespucci”
epistolario 1889-1891
Luigi Tramontano “Libro antico”
memoria 1820-1866
Premio per il miglior manoscritto originale
Selene Balestreri – Luigi Lazzarini “Lettere 2026”
epistolario 1935-1939
segue pranzo folcloristico a cura dell’Agriturismo Le Ceregne Bio
premiati
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Giusi Nicolini
Premio Città del diario 2016
foto di Rocco Rorandelli
I corpi senza vita affiancati sul molo Favarolo. L’uno dopo l’altro fino a contarne 366. È il
3 ottobre 2013, strage di migranti al largo di Lampedusa. Lo sgomento e la rabbia di una
donna diventano parole da scagliare insieme a un telegramma contro quelle istituzioni
che dovrebbero operare per cambiare, ma non lo fanno. Chiedo di venire qua a contare i
morti insieme a me. È Giusi Nicolini, sindaco dell’isola, che parla. È l’ennesima battaglia
che affronta dall’inizio del suo mandato, 7 maggio 2012. Ne seguiranno molte altre. La sua
guerra è contro l’eccidio in atto e per i diritti dei migranti. Sa che l’indifferenza e l’oblio sono
nemici pericolosi, da combattere. Una memoria condivisa è invece un alleato potente,
da chiamare in aiuto quando le istituzioni si voltano dall’altra parte, per non guardare.
L’azione politica, civile e culturale di Giusi Nicolini esprime un’idea militante dell’uso della
memoria. Il 3 ottobre non dovrà essere un giorno in cui si sta in silenzio. Qua bisogna urlare.
Il giorno della Memoria deve essere l’urlo della vendetta che chiedono questi morti.
Non può esserci oggi un uso più legittimo e nobile della memoria. È una chiamata che
arriva all’Archivio dei diari, custode di migliaia di testimonianze di vita contemporanee. La
lezione di Giusi Nicolini vale molto di più di un “Premio Città del diario”, che le attribuiamo
orgogliosi. Le vite dei migranti in mare si proteggono grazie alle missioni di salvataggio
ben organizzate, non con le commemorazioni. Ma una commemorazione può sferzare chi
detiene il potere di vita o di morte.
19
memorie in piazza
Otto racconti autobiografici
manifestazione conclusiva
del 32° Premio Pieve Saverio Tutino
Guido Barbieri
incontra i finalisti 2016
Marcello Caprarella
Ivano Cipriani
Paola Forghieri per Camillo Forghieri e Ada Tonelli
Alma per Chandra Ganapati
Cinzia Pinotti
Marta Bonucci per Giulio Cesare Scatolari
Gioia Turchi per Giulio Turchi
Fausto Vagnetti per Fausto Vagnetti
ospite d’onore
Giusi Nicolini
che riceve il
Premio Città del diario 2016
letture di Mario Perrotta e Paola Roscioli
con le musiche dal vivo di Laura Francaviglia e Samuele Riva
regia di Guido Barbieri
la manifestazione sarà trasmessa da Radio 3
live tweeting #premiopieve
domenica 18 settembre
ore 16.30
Piazza Plinio Pellegrini
diari
Sotoverde
diario 2013 -2015
20
Marcello Caprarella
nato a Foggia
nel 1969
Per il momento, non penso all’Europa. Penso a quanto bene si stia
qui, in Spagna, coprendo le necessità elementari, in un contesto
relativamente umanizzato. Di seguito, penso che non sia la Spagna,
ma Madrid, la città in cui ha trascorso la maggior parte dei miei
anni. E poi, nemmeno Madrid, ma Chamberí, il quartiere in cui
ho trascorso la maggior parte dei miei anni a Madrid. E, in fondo,
nemmeno Chamberí, ma il Sotoverde, in cui ho sperperato le ore
più belle e più corte. Sotoverde è il bar di riferimento che Marcello
Caprarella, nato a Foggia nel 1969 e approdato in Spagna da
pioniere-erasmus nel 1990, ha scelto per la sua vita da madrileno.
E il bar, per un madrileno, è luogo epicentrico della vita. Ma Sotoverde è più di un bar.
È metafora di una scelta, di una storia emblema del tempo presente, raccontata in un
diario cominciato il 7 maggio del 2013 e mai terminato, perché chi lo scrive lo aggiorna
anche ora, mentre leggete. Racconta di una moglie di nome Lola e di due figli, maschi
e adolescenti, Pablo e Italo. Di un professionista affermato nel settore delle traduzioni
tecniche, con un passato da docente universitario. Racconta dei viaggi di lavoro, di tanti
amici, di allenamenti in palestra, dei tripudi e delle sconfitte dell’Atlético Madrid.
Racconta di un uomo che esprime opinioni sferzanti su tutte le vicende del suo tempo.
Dal costume. C’è tutta una serie di ingredienti, appartenenti alla cucina povera e contadina
di non molti anni fa, che sono diventati improvvisamente dei “must”, nobilitati dai capricci
salutisti e dall’orrenda abitudine di scrivere, accanto ai piatti, “ricetta della nonna”,
“all’antica usanza” o altre cazzate. […] ho preparato le orecchiette e broccoli (orecchiette
e broccolo) con la pancetta, senza fronzoli e vaffanculo a tutte le nonne che aprono
franciaising con il wifi.
Alla società. Giusto un paio di osservazioni sui gay, l’orgoglio ecc... […] vorrei dire che io
non vedo alcuna trasgressione nei gay che sfilano sulle carrozze, depilati e con i baffi alla
Freddy Mercury. Mi sembrano perfettamente omologati. Anzi, sono da annoverare tra i più
feroci difensori di un sistema basato sui consumi, il culto dell’immagine, le palestre, gli spa,
gli agriturismi. E non c’è niente di male, si muovono soldi e ciascuno è libero di ancorarsi a
qualunque cosa che gli offra l’impressione che la vita abbia un senso. Pero, amici gay, non
venite a parlarmi della trasgressione e del ribellismo implicito nell’essere carne da parata.
La vera trasgressione è quella silenziosa. La vera trasgressione è la mia che, di fatto, sono
solo, e, invece di sfilare, mi sfilo.
Al terrorismo. Non parlo della possibilità di essere vittima di un attentato, ma della
paura di essere vittima di un attentato, cioè del meccanismo innescato dal terrorismo,
dell’autocensura dei comportamenti. Un paio di giorni fa […] prendevo la metropolitana
per andare in palestra. Prima di entrare nel vagone, ho visto che c’erano dentro due tipi con
la barba coranica e la chilaba, e, per un istante, ho pensato di far passare quel treno, e di
prendere quello successivo. Dopo mi sono ribellato a questo pensiero, però è un sintomo
brutto. Queste considerazioni occupano, in questi giorni, i discorsi di tutti.
E soprattutto sulla politica italiana. Renzi e Berlusconi si sono incontrati e, a quanto pare,
la sintonia tra i due è assoluta: riforma elettorale, riforma dell’Articolo V della Costituzione.
Berlusconi e Renzi sono nati per capirsi. E Letta, Alfano, Napolitano, Grasso, Boldrini... Qui
si capiscono tutti. Siamo rimasti solo noi a non capire una minchia, ma ci tengo a chiarirlo
una volta per tutte: io sono per un proporzionale con una correzione alla Sambuca Molinari.
21
Balilla blues
autobiografia 1926-1943
diari
Ivano Cipriani
nato a Roma
nel 1926
Il padre scuro in volto che esce di casa con indosso una camicia
nera. “Hai visto babbo? Lo fa per te”. Ed era vero, tutti i compromessi
con il loro passato, le loro idee, i loro sentimenti più profondi, i
membri di quella famiglia li fecero in nome della sicurezza e della
tranquillità del piccolino di casa, dei suoi studi, del suo avvenire.
Quel piccolino è Ivano Cipriani, figlio di genitori comunisti, poi
balilla e avanguardista e infine comunista egli stesso. Nasce a
Roma nel 1926 da Alfredo e Alma e cresce in una famiglia allargata,
tutti parenti scappati da Pistoia per fuggire alle persecuzioni del
regime, pronti a ogni compromesso pur di costruire una vita normale intorno a quel
bimbo. Pronti a comprargli il corredo da balilla per andare scuola. Pronti a lasciare che la
propaganda plasmi la sua mente fertile. Pronti a indossare una camicia nera. Talvolta tra
vita pubblica e domestica avviene il cortocircuito. La mamma che scatta a rimproverarlo,
apparentemente senza motivo, perché ha esposto in salone una fotografia di Benito
Mussolini. O peggio. Un giorno, appena entrato in casa, tutto allegro com’ero e tanto per far
sentire che a scuola mi insegnavano un mucchio di cose, mi misi a cantare a squarciagola:
“Ce ne fregammo un dì…” e, imprevedibile […] mi arrivò dritto sulla bocca un ceffone di
mamma. Rimasi di sale […] e strillai “Ma perché?”. Mamma, che si trovava sempre nella
situazione di quella che si arrabbia, ma poi non può dirne la vera ragione, urlò agitatissima:
“In questa casa di parolacce non se ne dicono…”. “Ma che ho detto mai?”. “Fregammo, hai
detto, e non lo dici più…”. “Ma è una canzone patriottica che cantavano a scuola…”. “E allora
la canti a scuola”.
Ivano assiste alla promulgazione delle leggi razziali, allo scoppio della Seconda guerra
mondiale, al bombardamento di San Lorenzo, alla nascita della Repubblica sociale. Ma è
attraverso le piccole esperienze quotidiane che forma la propria personalità e coscienza
critica. Non furono soltanto le ore passate ad ascoltare e sillabare “Cuore” a prospettarci
un’altra visione del mondo, forse arcaica e decadente, ma in quel tempo ai limiti
dell’eversione. Furono anche i pomeriggi interi impegnati a mandare a memoria poesie che
raccontavano di donzellette venute dalla campagna, di pioggerelline di Marzo, di Valentini
vestiti di nuovo -ma con i piedini provati dal rovo perché senza scarpe- di cavalline storne,
di pii buoi; un mondo in cui il massimo della ribellione era quella di Pinocchio o di Giannino
Stoppani detto Gianburrasca. Ciascun verso di quelle poesie, così modeste, ciascun brano
di quei testi quasi tutti di scarso valore letterario, avevano però la forza di contraddire
le grida guerresche degli istruttori della Milizia. Con gli anni del liceo e la scoperta
dell’amicizia arrivano il cinema e la sessualità, la musica e la libertà. Il blues. Mi misi
all’ascolto di Armstrong con un certo scetticismo. La puntina gracchiò un poco sul bordo
del disco poi trasmise un urlo di tromba alto, sempre più alto, prepotente, che mi strinse
insieme le viscere e il cervello. […] Credo che fu soprattutto quel suono di tromba a far
saltare per un attimo il lucchetto delle mie catene invisibili. Emancipazione culturale che
sfocia nell’adesione al Pci. Sparivo in mezzo a gente allegra che cantava “Bandiera Rossa”
o “Fratelli d’Italia”, salutava gli americani e agitava le bandiere, mentre le Jeep sfrecciavano
sul viale, all’insù e all’ingiù, tra una fila e l’altra di soldati che avanzavano stanchi.
Quello fu per tutti noi il giorno della liberazione.
diari
Camillo e Ada
epistolario 1935-1954
22
Camillo Forghieri
Ada Tonelli
nato a Modena
nato a Modena
nel 1909, morto nel 2008 nel 1915, morta nel 1972
Camillo e Ada vanno per la loro strada. Si conoscono, si amano,
vivono un lungo rapporto a distanza e si ricongiungono sullo
sfondo del periodo più drammatico della storia d’Italia, quello che
va dalla metà degli anni Trenta alla metà degli anni Cinquanta.
Ma raramente si conformano alla Storia. Nascono e crescono
a Modena prima di conoscersi, a metà degli anni Trenta. Lui
lavora per il Modena Calcio. Lei fa la parrucchiera. Il tempo di
innamorarsi e Camillo si trasferisce, nonostante le resistenze di
Ada. Irrinunciabile l’offerta di lavoro che riceve da Roma, assunto
dall’Istituto Nazionale Gestione Imposte di Consumo. La città affascina, ma a dispetto
degli stilemi futuristi. La zona in cui vivo, lavoro, mangio, dormo, sembra un manicomio.
Un rumore assordante che costringe sempre a sbraitare, in casa, per la strada, in ufficio,
dovunque. Ognuno è preso dalla mania della velocità, dal far presto, dal giungere prima.
È un secolo che creerà più nevrotici di tutte le ere storiche precedenti sommate assieme.
Lavora duro, ottiene promozioni, si concede pochi viaggi per andare dall’innamorata,
le scrive meno spesso di quanto atteso, dimentica gli anniversari. Tutte mancanze che
Ada rimprovera, ma senza che la solidità del rapporto venga meno, anche se per lei, che
antepone l’amore alla carriera, la separazione è motivo di grande sofferenza. L’ingresso
dell’Italia in guerra e gli sconvolgimenti che ne derivano li sfiorano appena. Camillo è il
primogenito di un caduto della Grande Guerra e perciò non è richiamato. 26 settembre
1943[…] Sei preoccupata per me, piccola Picci. Non c’è motivo. Sta tranquilla. C’è stata una
chiamata per il servizio del lavoro, ma io sono escluso per ragioni di età. Per il resto, Roma è
città aperta. Passano talvolta aerei, ma vanno altrove. A volte si sente vicino il rumore della
guerra, ma Roma non subisce offesa. I tedeschi si comportano da buoni camerati. Verranno
tempi più duri? Non lo so. Ma anche venissero, sopporteremo con forza e coraggio. Camillo
e Ada. Il resto del mondo sta fuori. Un equilibrio che vacilla solo quando Camillo incontra
un amico che ha perso una gamba il Libia, e ancor di più dopo il bombardamento del
quartiere San Lorenzo. Dalle 11,05 pioggia di bombe per oltre due ore. Leggerai dai giornali.
Erano tanti a successive ondate alti bianchi e serrati nel bel cielo di Roma. Fiocchi di scoppi
dell’artiglieria sempre intorno, ma lo scempio è stato commesso. La zona S. LorenzoTiburtino verso il cimitero del Verano che pure è stato sconvolto nei pietosi resti che conserva
nel suo grembo, la città universitaria, la antichissima chiesa di San Lorenzo fuori le mura, e
vasti quartieri popolari. I morti e i feriti debbono essere molti tutt’oggi passano carri attrezzi
dei pompieri, dei soldati, autoambulanze, truppe e squadre specializzate per rimuovere le
rovine. Con la nascita della Repubblica sociale, quando le amministrazioni sono trasferiti
al Nord, Camillo si sposta a Treviglio in provincia di Bergamo. Il nuovo contesto non agevola
i contatti e gli incontri si fanno più rari. Picci mia cara, da lungo tempo non so nulla di te.[…]
Tutto è tristezza a guardarsi intorno. Triste è il presente ed il passato; incerto l’avvenire. Ed
io rimprovero a me stesso di non averti sposata tanti anni or sono e di non aver percorso
insieme la strada della vita, e di non aver costruito e procreato. Oggi avrei una casa e una
famiglia, oggi ti avrei vicino. Avrei dei figli che darebbero alla nostra esistenza una più vivida
luce. Il matrimonio arriva nel 1946, accompagnato dalla nascita di due figli, ma la famiglia
si riunirà stabilmente solo nel 1950.
23
Furia Chandra
memoria 1978-1996
diari
Chandra Ganapati
Chandra è una furia. Una furia che non si contiene, una vita vissuta
oltre il limite. Chandra è una furia. Ricorda di sé, di sé da piccola,
ricorda di essere sempre stata strana. Ricorda di quando, finite
le scuole medie, decide di rinunciare a studiare. Meglio il lavoro,
qualunque lavoro purché le permetta di uscire, guadagnare
denaro. Essere libera. E poi incontra Mirko, primo grande amore.
Prima rovina. Passavamo il tempo insieme facendo l’amore e
fumando canne. Iniziai poi con gli psicofarmaci, il passaggio fu facile
e inevitabile. Droghe sempre più pesanti e sempre più costose,
soldi da rimediare con ogni mezzo. Anche illegale. Per Mirko arriva prima lo spaccio di
eroina. Dopo il carcere. I ragazzini della mia età erano bambini in confronto a me che, che
fumavo, mi impasticcavo ed avevo il ragazzo che si bucava e lo stavo aiutando a smettere.
Mi sentivo grande. Avevo 14 anni e mezzo. Succede l’esatto contrario. Mirko […] diceva che
ero troppo lontana […] lui si sentiva solo perché io non potevo capire. Volli capire anch’io
e mi feci la prima pera all’età di 15 anni. Stratagemmi, raggiri, per avere più soldi, per
acquistare più droga. Mai abbastanza. Al Servizio tossicodipendenze (Sert) la mattina
prendevamo metadone, dopo cercavamo soldi per sballarci. Mischiavamo di tutto dalle
anfetamine alle benzodiazepine, dall’eroina al metadone, dalla cocaina ai barbiturici.
Appena maggiorenne finisce in carcere a Rebibbia, per un furto che non commette. Ad
attenderla all’uscita c’è di nuovo l’eroina, e l’amore degli uomini che incontra sulla sua
strada. Michele, Carlo, Vinicio e molti altri. Il sesso è vita per Chandra, è un piacere che si
concede ogni volta che trova la persona giusta. Due gravidanze inattese, invece, le fanno
conoscere l’esperienza dolorosa dell’aborto.
E poi? Poi l’HIV, gli amici che muoiono, la certezza che prima o poi sarebbe morta. Poi
un raggio. Lo yoga, Daniel il maestro e le sue regole. Nuovo baricentro, nuove sfide,
nuovi sbandamenti e cadute. Allora è la volta della comunità Saman in Sicilia, ma gli
eccessi non diminuiscono. Poi arriva Pietro e il suo amore possessivo, estremo. Diventa
il compagno di un lungo viaggio di otto mesi, in India e in Nepal. Sempre sul crinale del
limite, e oltre. Era il 1991 e per vivere vendevo eroina a Nuova Delhi. […] Vivevo benissimo,
l’unico mio problema erano le vene ormai distrutte da anni di buchi. Non riuscivo più a
bucarmi […] Pesavo trenta chili e i miei piedi erano talmente gonfi che dovevo calzare un
43 a fronte di un usuale 38. È troppo persino per Chandra. La furia torna a Roma.
Il difficile recupero fisico, oltre le crisi d’astinenza, è di nuovo ancorato allo yoga, alla
palestra di Daniel, a una comunità nella quale ora riesce a riabilitarsi in pieno, a
ritrovarsi, a divenire a sua volta un punto di riferimento per altri tossicodipendenti.
Infine il grande premio. Giano, musicista, l’uomo che la completa. La vita con lui era arte
pura. L’amore, la passione, la musica, i viaggi, le risate. Quella era la vita che volevo ma
soprattutto con quell’uomo. Un nuovo inizio e una casa in cui vivere, minuscola, di soli
quindici metri quadrati. Ma per noi era un nido d’amore. Una reggia. Per la prima volta ogni
tassello si incastra perfettamente. Non mi mancava nulla. O forse sì. Avrei voluto un figlio.
E dopo una gravidanza, finalmente desiderata e ad altissimo rischio, quel figlio arriva.
La nascita di Santiago ha segnato la mia vita di gioia, mai avrei pensato di uscire dalla
tossicodipendenza, figuriamoci diventare madre. Qui si arresta la furia. E resta Chandra.
diari
24
Cinzia Pinotti
Vera
nata a Cremona nel 1959
diario – memoria 1988-1999
C’è un presentimento, in quella pagina di diario che Cinzia Pinotti
scrive il 10 settembre 1988 per annunciare a se stessa la notizia
più attesa. I primi giorni di questo mese ho scoperto di essere
incinta, di aspettare un bambino. L’abbiamo voluto e cercato solo
da agosto, e non si è fatto attendere molto. La prima reazione è
stata di incredulità mista a gioia, la seconda di paura. Paura. Nove
mesi dopo, il 15 luglio 1989, viene al mondo Vera. Ti hanno visitato,
mi hanno detto che eri sana e questo era tutto per me.
Paura.
3 aprile 1990 [...] I problemi per tutto sono sempre tanti, insomma, e anche fisicamente
non sto molto bene... ma chi mi risolleva è quella “bena” di mia figlia! Paura.
23 ottobre 1991 [...] Oggi mentre io e il papà per l’ennesima volta ci urlavamo, Vera ci ha
detto di smettere. Noi siamo rimasti di stucco e ci siamo accorti che stavamo litigando per
delle sciocchezze. Paura.
28 marzo 1992 [...] Vorrei che anche Vera vivesse la sua infanzia con gioia come l’ho
vissuta io, malgrado tutto... Paura.
7 febbraio 1993 [...] Sì mia figlia è tutto. È tutta la mia vita. Non vorrei soffocarmi, soffocarla.
Non vorrei trasmetterle le mie frustrazioni, la mia fatica di vivere. Paura.
11 aprile 1994 [...] Ho scritto così poco su di te sulle pagine di questo mio diario! Invece
avrei dovuto scrivere ogni giorno dei nostri momenti felici, che tu ci regali a piene mani!
Paura.
Maggio 1995 [...] In Aprile ho sognato ben due volte il funerale di Vera. Nel primo ho visto
la bara bianca e lei stesa dentro con il cappottino di peluche rosso e verde che mette
in questo periodo. Nel secondo si alzava dalla bara bianca e si metteva seduta. Io la
rimettevo dentro, coricata, come si fa con un bambino nella culla che non vuole dormire.
Paura.
Nel marzo 1996 Vera comincia a sentire dolore a una gamba. Passa qualche giorno
ma il fastidio resta. Domenica mattina mi è venuta incontro con aria preoccupata e
guardandomi negli occhi, abbracciandomi forte, mi ha detto che le faceva male ancora.
Gli accertamenti diagnosticano osteosarcoma. Cancro. Vera non ha ancora compiuto
7 anni. Cinzia ne ha 36. Il primo intervento, seguito da cure chemioterapiche, sembra
risolutivo. La piccola torna a scuola e a danzare, i genitori al lavoro. Ma nel gennaio 1998
un controllo rileva metastasi ai polmoni. A Torino viene sottoposta allo “Studio Serio”,
cura sperimentale importata dagli Stati Uniti. Vera affronta due trapianti, settimane
di isolamento in camera sterile. Ma non migliora. Il tentativo successivo è la “cura Di
Bella”. In un primo tempo ci sono riscontri positivi. Ma nel dicembre 1998 le condizioni
precipitano. Vera muore all’ospedale di Parma l’11 marzo 1999.
Chi può capire o solo immaginare COSA può passare nella mente di una bambina colpita
in questo modo: quali i PENSIERI, le PAURE, le CONSIDERAZIONI, le SPERANZE. Chi può
capire cosa può passare nelle menti e nei cuori dei genitori... Nessuno Cinzia, nessuno
potrebbe riuscirci. Ma cercheremo invece di raccogliere il tuo appello. Caro lettore, cara
lettrice, non voltare lo sguardo, non chiudere queste pagine e il tuo cuore. Non aver paura
di conoscere un fatto così straziante. La nostra bambina e noi non l’abbiamo potuto fare.
25
diari
Giulio Cesare Scatolari
Millenovecento Africa
nato a Jesi (Ancona)
diario 1899-1900
nel 1872, morto nel 1955
Corre l’anno 1899 quando il Blackwood’s Magazine di Edimburgo
comincia a pubblicare a puntate Heart of Darkness, Cuore
di tenebra, romanzo breve di Joseph Conrad destinato a un
successo mondiale. Chissà con quale sorpresa lo scrittore
polacco naturalizzato inglese avrebbe accolto la notizia che nello
stesso momento in cui va in stampa la storia dei suoi Marlow e
Kurtz, un giovane medico italiano di nome Giulio Cesare Scatolari
comincia lo stesso viaggio dei personaggi nati dalla sua penna,
verso il cuore dell’Africa equatoriale, e dentro alla degenerazione
morale dell’Europa imperialista e colonialista.
Giulio Cesare nasce a Jesi e proprio dalla cittadina in provincia di Ancona parte il
16 agosto 1899, fresco di una laurea conseguita a soli 23 anni, per andare a curare i
malati nel Congo belga, ingaggiato dalla milizia coloniale. È l’occasione buona per fare
un’esperienza di vita unica e guadagnare denaro, da restituire alla famiglia che lo ha
sostenuto durante gli studi. Attraversa l’Europa in treno, si imbarca a Anversa e naviga
20 giorni fino alla baia di Banana, dove l’oceano è tinteggiato di un colorito rossastro,
per l’enorme quantità di acque che il Congo versa nell’Oceano. La risalita in battello del
grande fiume rievoca le sequenze di Apocalipse Now, il film di Francis Ford Coppola
ispirato al romanzo di Conrad. La vegetazione è addirittura splendida, abbondantissima,
rigogliosissima, e in qualche punto si ànno dei boschi impenetrabili a causa specialmente
degli alberi camminatori. […] Nel pomeriggio abbiamo visto branchi di 50 e più ippopotami,
un numero enorme di sparvieri di cui ne furono uccisi parecchi e uno stormo di pipistrelli
grossi come una gallina. [...] Ci ànno consigliato di non andar al villaggio perché vi è poca
sicurezza trattandosi di una tribù battagliera. […] Ad un certo punto sento un forte sibilo,
di una freccia che mi passa rasente alla testa, mentre un’altra mi perfora il calzone
destro senza ledermi. Tiro tre o quattro colpi di mitraglia nella direzione donde son
partite le freccie ma per così dire alla cieca impedendomi le altre erbe di vedere qualcosa.
Giulio Cesare capisce presto però che il male dell’Africa non è nei nativi o nella natura
selvaggia, ma nei coloni europei. A quattro mesi dalla partenza, raggiunge il luogo in
cui deve prestare servizio, un villaggio dell’entroterra chiamato Lusambo. L’ospedale
si compone di due corsie; appena aperte un tremendo puzzo di cadavere si fece sentire
[…] mi fu detto che, l’ultima volta che fu messo la un malato, fu dimenticato là dentro e
quando, per caso, fu aperta la porta, si trovò un cadavere in stato di putrefazione e a metà
mangiato dai topi. […] E dire che si viene in Africa per portare la civiltà! I militari ostentano
l’onnipotenza dei colonizzatori. Il comandante à esposto tutto il suo piano […] guerre per
gl’indigeni, si propone di marciare anche contro i capi più potenti […] egli riassume la sua
politica così: Guerra ad oltranza. E l’abuso continuo di alcool spinge verso la follia. Il
comandante ubriaco fradicio à cominciato col licenziare più della metà dei negri occupati
alla stazione, per cui un malcontento immenso, poi à inviato un certo numero di soldati
per arrestare, per un futile motivo, un capo indigeno, prevedo che se continuerà di questo
passo a lasciarci governare dal vino e dai liquori noi tutti finiremo per essere trasformati
in bistecche. Prima che la tetra profezia si avveri, indebolito dalle malattie, il 31 maggio
1900 Scatolari si imbarca di nuovo per fare ritorno a casa.
diari
Tre e settantaquattro
epistolario 1925-1926 26
Giulio Turchi
nato a Impruneta (Firenze)
nel 1902, morto nel 1974
Tre e settantaquattro. Bastano questi due numeri per convincere
Giulio Turchi ed Emma Forconi ad amarsi, sposarsi e trascorrere
insieme l’intera vita. Tre, come gli incontri che i due giovani
riescono a organizzare tra il giugno del 1925 e il maggio 1926,
tra la prima volta che i loro sguardi si incrociano e il giorno in cui
celebrano il matrimonio. Settantaquattro, come il numero delle
lettere che in undici mesi Giulio scrive a Emma, raccontando di sé
e del suo modo di vedere la vita privata e quella pubblica. Vita di
un operaio metallurgico, nato a Impruneta in provincia di Firenze
nel 1902, attivo politicamente e nelle fabbriche già durante il
tumultuoso “biennio rosso” (1919-1920). Vita di un militante del Partito comunista,
costretto a trasferirsi a Roma per sfuggire ai fascisti ma pronto a proseguire l’attività
politica nella capitale. Quando si conoscono Emma è una giovane sarta di 18 anni,
sorella di un compagno di lotta. Giulio inizia a scriverle mettendo subito in luce il
proprio carattere, il suo essere un uomo diretto, a tratti austero. Roma 20 giugno 1925.
Alla compagna Emma Forconi. […] Una volta espletate tutte le indagini volute, lei può
accettare o meno la proposta di condividere insieme le amarezze della vita e le gioie
che due esseri che si comprendono a vicenda e si compenetrano sanno procurarsi. Non
le parlo di amore, né uso frasi e parole altisonanti. Il più delle volte chi usa le une o le
altre, ignora di esse il contenuto. Io guardo all’essenza e non all’esteriorità delle cose; la
ho giudicata uguale anche lei e spero mi comprenderà benissimo. Non si sbaglia. I due
si scoprono in sintonia su tutto, dalle piccole cose ai più alti valori della vita. Ti chiesi di
farmi conoscere i tuoi passatempi preferiti, annunciandoti, come […] ve ne fosse uno
che non potevo tollerare, e che, qualora anche questo fosse stato fra i tuoi sarei stato
costretto a invitarti (non a proibirti, intendiamoci bene) […] ad abbandonarlo. […] E il
passatempo proibito era proprio il ballo, del quale dai anche tu un giudizio analogo
al mio. […] Il dubbio un po’ assillante che anche Emma fosse una ballerina è sparito,
quindi posso oggi confessarti che tu sei veramente la donna dei miei sogni. Il suo
desiderio è quello di avere accanto una compagna istruita e impegnata. Senza invitarti
a sacrificare un po’ di passeggio, e troppo tempo al giusto riposo, ti prego tuttavia di
utilizzare quanto più tempo possibile dedicandolo allo studio […] il sapere non è mai
troppo. Non mancano dolcezze ed effusioni, che si fanno sempre più frequenti con il
passare del tempo, la conoscenza reciproca e la crescita del desiderio. Così anche
un uomo tutto d’un pezzo come Giulio, non resiste alla seduzione di scherzare con
Emma sulla sua abitudine di usare lo scaldino per il letto. Vergogna, una signorina nel
pieno vigore dei suoi 18 anni, con la pienezza del suo sangue bollente che le scorre nelle
vene, ricorre subito all’amico che le scaldi il letto! […] E non pensare che io sostituisca
il tuo amico di quest’anno andando a scaldarti i lenzuoli! Schermaglie d’amore che
si insinuano tra riflessioni amare sul tempo che vivono e sul contesto politico che
li minaccia direttamente. Undici mesi dopo il matrimonio, Giulio viene arrestato per
cospirazione politica e condannato a 21 anni di carcere. Nel 1937 scontata la pena,
viene confinato alle Tremiti, a Ponza e poi a Ventotene fino al 1943. Dopo la guerra
assume il suo posto di dirigente nelle file del Partito comunista: sarà assessore
al comune di Roma nel 1944 e in seguito consigliere comunale; eletto deputato al
Parlamento nel 1948, nella successiva legislatura assumerà l’incarico di questore.
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Chiaroscuro
diario 1905-1954
diari
Fausto Vagnetti
nato ad Anghiari (Arezzo)
nel 1876, morto nel 1954
Quando nella pittura non si tiene conto di quell’infinita e continua
varietà di chiaroscuro e di colore che si osserva nella natura,
anche semplificandola, si fa opera di decoratore e non di pittore.
E se si tiene pur conto della detta varietà, ma nell’opera manca
quel lampo di luce che rivela l’impressione che ne ha ricevuto chi
ha natura d’artista, si fa opera di pittore, ma non di artista. Fausto
Vagnetti è stato un artista che ha illuminato con lampi di luce il
chiaroscuro della natura. E della vita. All’Arte! Ecco dove si volge
sempre il pensiero mio quando cerco di distrarlo dai dolori e dalle
preoccupazioni. Nasce ad Anghiari, in provincia di Arezzo nel 1876
e si trasferisce a Roma sin da giovane. Allievo e poi docente dell’Istituto di Belle Arti di
Roma, insegnante al Museo artistico industriale, cattedratico alle Facoltà di Ingegneria
e di Architettura. Uomo, marito e padre. Ma soprattutto, artista. In 17 taccuini, centinaia
e centinaia di pagine scritte tra il 1905 e il 1954, racconta i capolavori custoditi nei musei
e nei monumenti, le mostre e le esposizioni allestite ai quattro angoli della Penisola. La
vita e la morte degli artisti, dei maestri e degli allievi, delle avanguardie e dei cialtroni,
dei profittatori e dei magnati. La storia del Paese, dei suoi politici e dei burocrati,
dei notabili e dei borghesi, del popolo, della città e della provincia. L’età giolittiana, il
ventennio fascista, la Seconda guerra mondiale, l’occupazione nazista, la Liberazione,
la ricostruzione.
L’enigma che lo accompagnerà sempre: si para innanzi all’anima mia il solito problema:
[…] Devo, oppur no, fare i concorsi per avere una cattedra in una delle tante scuole di
Italia? Se riesco […] addio speranza, addio illusioni, addio chimera dolce dell’Arte! Avrò
assicurato il solo pane dello stomaco; ma quello della mente? Si nutrirà di entrambi, con
fortune alterne, combattendo una lotta senza sosta per guadagnarsi spazi di libertà
creativa e commesse all’altezza del suo talento. Fiero nemico degli incapaci, adulatori,
corrotti e camorristi, ai quali contrappone granitica rettitudine. Socialista e massone,
con l’ascesa del fascismo resta defilato, ma non basta. 28 maggio 1929. Il 22 scorso ebbi
una perquisizione domiciliare a casa e allo studio. All’una quando tornai per colazione
trovai un Commissario di Pubblica Sicurezza con quattro agenti che mi annunziò
l’ ordine di perquisizione per ragioni politiche. Critica il regime che promuove e difende
l’arte italiana solo a parole, che sostiene correnti che strozzano la creatività. Maledetto
novecentismo, funzionalismo, razionalismo, semplicismo, anche in architettura, i giovani
vanno incontro ad un autocastrazione. L’architettura come arte non esiste più. E ancora.
Da qualche anno i più giovani strillano ‘colore, colore, colore!’ e buttano giù malamente
il prodotto del coloraro stonato, barbaresco, senza forma e senza chiaroscuro. Si tratta
sempre di un primitivismo selvaggio e ignorante in antagonismo col tempo. E dappertutto
si chiama arte fascista!
Nel 1936 esulta per la fine della guerra in Etiopia. Con lo scoppio della Seconda guerra
mondiale il racconto dell’arte cede il passo a quello delle vicende familiari, della moglie
Rosalia e dei tre figli Gigi, Corinna e Nenella. Dopo la caduta del fascismo torna ad
Anghiari e lotta contro la miseria e la fame, sfugge ai bombardamenti e ai rastrellamenti
nazisti, si nasconde in campagna, aspetta il passaggio del fronte. Sopravvive. E dopo la
Liberazione ricomincia a vivere e lavorare. Una morte improvvisa, nel 1954, lo sorprende
nel suo studio di pittore.
diari
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Premio speciale “Giuseppe Bartolomei”
attribuito dalla Commissione di lettura, ex aequo
Ugo Sernini Cucciatti
nato a Cortona nel 1869 morto nel 1952
“Al timone della Vespucci”
epistolario 1889-1891
Ugo Sernini Cucciatti nasce nel 1869 a Cortona, in provincia di Arezzo, da famiglia
nobile. Nel 1889 presta servizio militare nella Regia Marina, timoniere sulla nave
scuola Amerigo Vespucci, antenata dell’attuale. E parte per un viaggio indimenticabile.
Dopo aver toccato la Grecia e l’Egitto, fa rotta verso il Sud America. Brasile, Uruguay,
Argentina, Terra del Fuoco e, dopo aver varcato lo Stretto di Magellano, Cile e
Perù. Scruta, osserva e commenta nelle lettere che scrive alla madre. Fa scoperte
sorprendenti. Repubblica Argentina. […]. Ensenada di Santiago 1° marzo 1890.
Carissima madre […] L’altro giorno sono andato in tramw fino alla Plata dove ero stato
invitato da un pisano e si stette a far baldoria fino a mezzanotte. Passando per quelle
pianure dove pascolano infinità di cavalli vidi tante capanne e mi dissero che quelle
erano dei contadini italiani che qui emigrano… come da noi gli zingheri! Libertà qui non
esiste. Per esempio è proibito di ballare, e vi sono 50 nazionali di multa. […]. Ad ogni
cantonata ci è un questurino a cavallo collo scudiscio in mano […]. Questa gente che
sono per lo più argentini quando possono prendere un italiano è la loro contentezza, e
se è anche innocente bisogna che paghi una forte multa per uscir di prigione.
Luigi Tramontano
nato a Pagani (Salerno) nel 1793 morto nel 1868
“Libro antico”
memoria 1820-1866
Questo libro di memorie fu ritratto da me dai libri antichi, e compilato nell’anno 1820. In
seguito si è accresciuto di altre posteriori notizie, e rifatto anche da me infrascritto in questo
anno 1832. Libro antico e diario di famiglia quello che Luigi Tramontano, nato a Pagani in
provincia di Salerno nel 1793 e deceduto nel 1868, inizia a integrare e redigere nel1820.
Tradizione radicata tra i ceti benestanti dell’epoca per annotare nascite, morti, matrimoni,
compravendite e acquisizioni di beni del casato. E si scopre che in una famiglia del ‘700,
come quella da cui proviene Luigi, su nove figli di cui sei femmine, tutte le figlie femine
[…] menarono vita celibe in casa. La sola D. Fortunata si fece monica nel monistero di S.
Mº del Carmine ad Arco[…] D. Giuseppe ascese allo stato sacerdotale, e D. Bernardo prese
in moglie D. Fortunata Pepe di Antonio nel giorno (…). Un solo matrimonio, per preservare
il patrimonio. Come accadrà con la progenie di Luigi. Erasi da più tempo nell’idea di
ammogliare il mio figlio Vincenzino. Fu egli per tutte le occasioni indifferente; quindi si seppe
voler egli prendere una figlia di D Salvat.e Tortora fu Mattia ed avendolo manifestato, e
benché fosse solo dispiaciuta la età, mentre la dª figlia di D Salvatore appena contava anni
tredici, e mezzo, pure niuno si oppose.
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diari
Premio per il miglior manoscritto originale
attribuito dall’Archivio diaristico
Selene Balestreri – Luigi Lazzarini
nata a Isola Dovarese (Cremona) nel 1912 morta nel 1997
nato a Isola Dovarese (Cremona) nel 1911 morto nel 1997
“Lettere 2026”
epistolario 1935-1939
Gli anni Trenta e l’Italia fascista a Isola Dovarese, provincia di Cremona in riva all’Oglio. È
in questo luogo e sullo sfondo di questo periodo storico che Gino e Nene si incontrano,
si innamorano, e decidono di sposarsi. Ma prima di arrivare all’altare, c’è la guerra in
Etiopia.
Luigi, classe 1911, nella primavera del 1935 viene richiamato alle armi e nel settembre
parte per il Corno d’Africa, dove avrà la fortuna di non conoscere mai direttamente
la battaglia, impiegato com’è nella mensa ufficiali. Il che non impedisce a Selene,
classe 1912, di vivere in uno stato di apprensione costante. L’unico sollievo, in attesa
che tutto sia passato, è scriversi ogni giorno dell’esperienza che stanno vivendo. Un
fiume di lettere. Sono addirittura 2026 quelle che vengono scambiate nel periodo in cui
i due innamorati sono distanti. E Gino, per soddisfare il desiderio di Nene, accumula
nello zaino militare gli scritti da Isola Dovarese (lettere, biglietti, cartoline), che lo
accompagneranno nelle lunghe marce abissine, per riportarle a casa ad unirsi a quelle
da lui inviate dal fronte e gelosamente conservate. Nell’agosto del 1936, “conquistato
l’Impero”, Gino rientra in Italia e l’anno successivo si unisce finalmente in matrimonio
con Nene.
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attivalamemoria
Siamo tutti attivatori di memoria
“Attivalamemoria”: la scriviamo proprio così, è l’espressione che abbiamo scelto per
lanciare, rilanciare e condividere le attività di sostegno all’Archivio dei diari e al Piccolo
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Sì, perché la memoria è il filo conduttore della scrittura e delle vite che passano da qui.
La memoria, per restare viva, ha bisogno di essere “attiva e attivata”, di una linfa vitale che
ne faccia un patrimonio sempre attuale e la conduca nel futuro.
E per farlo ci vogliono le persone che la rendano dinamica, questa memoria. Non solo
quelle che lavorano qui, ma tutte quelle per le quali l’Archivio diaristico, il Piccolo museo
del diario e il
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Un posto del cuore, come in tanti ci avete detto.
Per questo abbiamo ripensato al legame con i nostri visitatori, i diaristi, i donatori, i
partecipanti al Premio, i volontari… tutti coloro che, in modi diversi, ci sono vicini.
Abbiamo voluto fare qualcosa di più, per dare vita a nuovi legami a un’esperienza diversa,
più intima e personale, con l’Archivio dei diari e il suo mondo. Il nostro mondo.
Da quest’anno ci sono le nuove Carte degli Amici dell’Archivio.
Nuove nella grafica, nei piccoli doni che abbiamo pensato come ringraziamento per chi
vorrà sostenerci sottoscrivendone una (o anche più di una, magari per un regalo), nella
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E ci sono anche i nuovi percorsi per diventare Ambasciatore di memoria, o nostro Mecenate.
O, pensando alle aziende, anche per compiere Un’impresa memorabile.
Insomma, abbiamo lavorato sugli stimoli che ci avete lasciato, immaginando un Archivio
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