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Venerdì 19 Dicembre, 2014 CORRIERE DEL VENETO - VICENZA © RIPRODUZIONE RISERVATA
Fiamm, And e Aku apripista. E Ggp porta la Svezia in Veneto
VENEZIA Di ritorno in Italia. Oggetto della constatazione, le produzioni manifatturiere per cui la qualità
diventa prevalente. Il fenomeno che fotografa la tendenza di riportare in Italia lavorazioni spostate
all’estero, va sotto il nome di re-shoring. Dinamica su cui ha accesso i riflettori l’altro giorno Unioncamere
Veneto, nel rapporto «Veneto internazionale 2014», segnalandolo come la novità più interessante nei
rapporti con l’estero, che stanno salvando l’industria a Nordest, a partire dalla spinta dell’export (54
miliardi nel 2014, +3,7%). Dinamica interessante in una cornice allargata, di lavorazioni che approdano a
Nordest. Frutto di una dinamica globale che finora aveva fatto perdere lavorazioni verso l’estero e inizia ora
a offrire anche occasioni - selettive - contrarie.
Un esempio di re-shoring puro è quello di Fiamm, colosso degli accumulatori per auto di Montecchio
Maggiore, che fino ad alcuni anni fa operava anche in uno stabilimento in Repubblica Ceca, dove le buste
paga degli operai pesano per un quinto di quelle italiane. Ma qualcosa non ha funzionato. «Professionalità
modesta, turn over troppo elevato – sintetizza il presidente, Stefano Dolcetta – e poi mancanza di una rete
solida della subfornitura. Così la fabbrica ceca è stata chiusa e il nostro sito di Avezzano, in Abruzzo,
potenziato passando da 220 a 330 addetti». Conviene? «Solo per i costi no. Ma contrattando con i sindacati
sulle retribuzioni, mettendo sul conto notevoli riduzioni di scarti, miglioramenti di produttività, logistica
più efficiente e il fatto che anche una batteria ‘per auto Made in Italy’ è più gradita, diciamo che il 50% del
gap è recuperato». Altro caso è Aku, azienda di calzature da trekking e outdoor di Montebelluna. Dopo
un’esperienza in Romania ha riaperto lo stabilimento trevigiano per i modelli di fascia alta.
Più complessa l’operazione di Ggp, gruppo dei trattorini rasaerba di Castelfranco fino a pochi mesi fa con 4
stabilimenti. Due in Slovacchia e Cina, per gli articoli tradizionali a basso valore aggiunto e due in Europa,
il quartier generale di Castelfranco e la sede in Svezia per le macchine evolute a taglio frontale. La fabbrica
svedese, 170 addetti, è stata chiusa e quei rasaerba si producono in Veneto. «Il costo minore del lavoro in
Italia può avere la sua incidenza – spiega il responsabile risorse umane, Massimo Bottacin – ma siamo sul
20%. Occorre aggiungere il risparmio dei costi fissi di un capannone e l’ottimizzazione avuta centralizzando
a Castelfranco marketing, comunicazione e gestione dei brand. L’operazione non ha portato qui lavoratori
in più, a parte 25 fra tecnici e commerciali su un organico di 700 unità, ma ha scongiurato contrazioni di
manodopera e l’handicap del sovradimensionamento degli impianti, evidente negli ultimi anni».
Quello che rileva Massimo Carboniero, vicepresidente nazionale dei produttori di macchine utensili
(Ucimu) e titolare di Omera di Chiuppano, nel Vicentino, è un ulteriore segnale di spostamento in Italia di
lavorazioni prima all’estero. Con benefici anche per Omera. «Abbiamo clienti nei componenti auto di
gamma medio-alta - dice Carboniero - che di recente ci hanno ordinato macchine per commesse di case di
prestigio. Parti fino a poco prima realizzate da aziende cinesi ma la cui qualità ora pare non accontenti più i
committenti». Cinesi che esigono però camicie rigorosamente italiane. Come per la And, di Mirano, e il
contratto di fornitura con un colosso della grande distribuzione locale, con la condizione che i capi siano
fatti interamente in Veneto.
Gianni Favero
© RIPRODUZIONE RISERVATA
19/12/2014 09:19