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L’OMBRA
Questa poesia è una felice combinazione di spirito poetico e di spirito filosofico-critico. Ero vicino ai 40 anni
quando la scrissi e già lavoravo nella scuola, era l’anno di prova presso l’Istituto tecnico-commerciale “Vittorio
Veneto” di Latina, dove insegnavo Letteratura italiana. In un giorno tiepido e soleggiato di febbraio
passeggiavo meditando per un vialone del mio amato Colle Oppio, il giardino per me foresta della mia infanzia,
quando vidi proiettata per terra la mia ombra, essendo quasi mezzogiorno, la vidi di una forma piuttosto
schiacciata. Fu sufficiente, tuttavia, per farmi esclamare: “eccoti qua”, quell’ombra non è altro che la
proiezione del tuo corpo, “tu”, dissi tra me e me, “non sei altro che quel corpo che la luce solare proietta a
terra come ‘ombra’”. Era una chiara presa di coscienza “materialista”, che aveva dietro di sé anni di polemica
contro la visione sociale che immagina l’individuo umano come “anima”, come semplice “io”, come “ragione”,
ecc.. Tale coscienza aveva dietro di sè tutta la mia concezione filosofica materialista. Però, proprio perché c’era
la consapevolezza che io non ero altro che quel corpo, c’era anche la consapevolezza del destino tragico che mi
appartiene, perché il corpo per sua natura è destinato a morire: “Dietro i tuoi pensieri..sta un possente
sovrano, un saggio ignoto..si chiama Sé. Abita nel tuo corpo, è il tuo corpo..Tramontare vuole il vostro Sé, e
perciò siete diventati dispregiatori del corpo”(F. Nietzsche - “Così parlò Zarathustra” - Dei dispregiatori del
corpo). La consapevolezza del mio corpo, della mia vita e della mia futura morte divennero una cosa sola. Ma
avevo anche la consapevolezza del tempo trascorso, cioè di avere quasi 40 anni, e avvertivo che la giovinezza
era trascorsa senza gioie né erotiche e né sentimentali, avvertivo che i miei genitori erano andati via per
sempre, avvertivo che la mia vita stava per iniziare il tempo del suo declino, avvertivo, insomma, la mia
malinconia. La filosofica consapevolezza del mio corpo e la poetica malinconia in cui immersi quella
consapevolezza, partendo dalla visione della mia ombra, una visione che, com’è ovvio, mi accompagnava da
anni, si mescolarono e divennero l’occasione per scrivere i primi versi. L’aspetto malinconico verrà chiarito più
dai versi che dai discorsi, per cui qui è meglio evidenziare più chiaramente quali sono gli aspetti filosofici su cui
si basa la poesia. L’uomo, soprattutto da quando è entrato nella civiltà, vive di quel carattere che Stirner
definiva “carattere mongolico”, cioè dona realtà alle sue idee o fantasmi mentali, ne fa delle autorità, e vi si
sottomette. Ovviamente chi riesce ad incarnare meglio l’idea ottiene anche l’autorità che le si attribuisce e
arriva a detenere un potere disumano su tutti gli altri uomini. E’ il meccanismo stesso del potere sociale.
Questo fenomeno io l’ho chiamato “pregiudizio dell’anima” ed è basato sul dualismo anima-corpo, in modo
tale da poter porre tutto ciò che è pertinente all’anima, detto spirituale, in una scala gerarchica superiore a
tutto ciò che è pertinente al corpo, creando delle divisioni sociali in cui, come dicevano i primi cristiani,
essendo l’anima signora del corpo, anche chi rappresenta lo spirito è signore degli altri: ““I cristiani…sono nella
carne, ma non vivono secondo la carne. Dimorano sulla terra, ma sono cittadini del cielo…L’anima abita nel
corpo, ma non è del corpo; anche i cristiani abitano nel mondo, ma non sono del mondo” (Anonimo cristiano “Lettera a Diogneto”). Il che vuol dire, tradotto in termini più espliciti, che i cristiani, in quanto non vivono
secondo il corpo e sono cittadini del cielo, cioè del mondo spirituale, già sono o in prospettiva devono essere i
signori del mondo perché appartengono ad un “mondo superiore”. Mentre, in tal modo, la religione pone le
fondamenta del potere sociale che va ad essere il fondamento della civiltà, allo stesso tempo la denigrazione
del corpo e dell’individuo singolo diventa sistematica: il corpo viene vituperato perché porta alla morte, ma
questo si trascina con sé il disprezzo per il corpo intero, giacché, se il corpo è identificato con la morte e la vita
viene posta dualisticamente nell’anima, allora tutto ciò che è corporeo viene ritenuto spregevole, compresa la
vita terrena, i suoi sentimenti, i suoi piaceri, il suo attimo fuggente: “Io ho già sentito dire, infatti, anche da
uomini sapienti, che noi, ora, siamo morti e che il corpo è per noi una tomba” (Platone - “Gorgia” - 492 e).
Creato il dualismo anima-corpo, si è creato, con esso, “il disprezzo del mondo e del corpo”, il cristiano
medioevo peggiore è il punto di arrivo delle filosofie indiane e socratico-platoniche: si parte dalle Upanisad e
da Socrate-Platone: - “Colui il quale è cosciente del fatto che percepisce un odore, costui è l’atman <anima>,
l’odorato <corpo> serve <solo> a percepire l’odore…Colui il quale è cosciente del fatto che vuole ascoltare è
l’atman; l’udito è lo strumento per percepire il suono” (“Upanisad” - “Chandogya upanisad” - 8, XII, 3),
““Socrate - E l’uomo non si serve di tutto il corpo? Alcibiade - Certo. Socrate - Ma s’è detto che altro è chi si
serve di una cosa, altro la cosa della quale egli si serve? Alcibiade - Sì. Socrate - Altro dunque è l’uomo, altro il
suo corpo. Alcibiade - Parrebbe. Socrate - Che cos’è dunque l’uomo? Alcibiade - Non so dire. Socrate - Questo
però puoi dirlo, che egli è ciò che si serve del corpo. Alcibiade - Sì. Socrate - E che altro è ciò che si serve del
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corpo, se non l’anima?” (Platone - “Alcibiade primo” - 129 e, 130 a) per arrivare al “disprezzo del mondo e del
corpo”: “In verità, l’uomo è formato di terra, concepito nella colpa, nato per soffrire…L’uomo è nato per la
pena, il timore e il dolore e, ciò che è più miserevole, per la morte….Cosa è, dunque, l’uomo se non fango e
cenere? …Chi, infatti, non sa che il coito, anche se coniugale, non può mai verificarsi senza il prurito della
carne,..senza il fetore della lussuria?” (Lotario di Segni (Innocenzo III) - “Il disprezzo del mondo” - I, 1, 2, 3). Si
è fatto credere che questo “disprezzo del mondo e del corpo” fosse finito con il Medioevo, ma questo non è
vero, perché tale disprezzo seguiterà a sussistere fino a quando “il pregiudizio dell’anima” resterà insuperato.
Quell’antropocentrismo che era contenuto nella religione si sposta, con l’Umanesimo e il Rinascimento, con
l’eccezione di autori illuminati come Petrarca e Montaigne, da Dio all’Uomo, scritto con la “U” maiuscola. Da
allora in poi il “culto dell’Umanità” ha praticamente sostituito e assorbito il culto religioso, perfino là dove
questo culto dell’Umanità si proclama ateo (vedi Feuerbach e Marx, ma già Hegel aveva preparato tutto).
L’uomo rinascimentale, non solo ritiene ancora la natura solo lo “sfondo” o il “fondo utilizzabile” su cui l’uomo
deve esercitare il suo dominio, ma seguita a non avere una grande considerazione del suo corpo, visto che
l’uomo viene descritto propriamente in termini di anima, fino al punto di ritenere un privilegio, rispetto agli
altri animali, essere di “natura indeterminata” così come lo è l’anima: “l’ottimo artefice <Dio> accolse l’uomo
come opera di natura indefinita e, postolo nel cuore del mondo, così gli parlò:‘Non ti ho dato, o Adamo, né un
posto determinato, né un aspetto tuo proprio…La natura determinata degli altri è contenuta entro leggi da me
prescritte. Tu te la determinarai, da nessuna barriera costretto, secondo il tuo arbitrio…Ti posi nel mezzo del
mondo, perché..di te stesso quasi libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avessi
prescelto’” (Pico Della Mirandola - “Oratio de hominis dignitate” (Sulla dignità dell’uomo)). Un essere umano
che non ha una “natura determinata” è prima di tutto un uomo senza corpo. La determinazione della persona
viene fatta a partire dalla mente e non dal corpo e le cose non sono ancora cambiate. La conseguenza è che il
corpo e l’intera natura vanno a cadere nella forma modernizzata dell’anima, cioè nella “ragione”, la quale
riduce tutto il mondo naturale, fisico, individuale e corporeo ad un’indeterminata entità “geometrica”, cioè
l’“estensione”, la quale riduce tutto a “regolarità meccaniche” e, quindi, finisce per considerare il corpo un
“automa”: “Suppongo che il corpo non sia altro che una statua o una macchina di terra” (R. Descartes
(Cartesio) - “L’uomo”). L’universo intero e tutto ciò che è materiale è visto dalla scienza come un
“meccanismo” regolato da leggi matematiche, come cosa non più viva. L’universo è privo di anima, perché
l’anima sta tutta nel pensiero dello scienziato, che è una “res cogitans”, cioè, praticamente un’anima, visto che
il suo corpo, perfino quando lo usa per preparare e fare gli esperimenti, non può essere che un mezzo della
“res cogitans”: “io sono una cosa vera e veramente esistente; ma quale cosa?..una cosa che pensa <res
cogitans>” (R. Cartesio - “Meditazioni metafisiche”). In questo modo resta per intero il dualismo anima-corpo,
i corpi sono automi, l’anima è soprattutto pensiero. La concezione religiosa medievale non è stata superata, ha
solo spostato il dualismo da cielo in terra, il dualismo anima-corpo non indica più una contrapposizione tra
religione e natura, ma indica una contrapposizione tra uomo (pensiero) e natura. Lo stesso corpo umano viene
contrapposto all’io e collocato nel meccanismo a cui si è ridotta la natura. Contro l’aspetto religioso hanno
combattuto, con relativo successo, sia il libertinismo erudito che le filosofie clandestine, nonché l’Illuminismo,
ma l’Illuminismo non ha compreso quanto di anti-medievale c’era nelle filosofie libertine e clandestine, cioè
una sano “scetticismo” e un ritorno più autentico alla natura di quanto potesse fare l’Illuminismo con la sua
“ragione”, che era solo lo sviluppo empirico del dualismo razionalistico cartesiano. L’uomo razionale, lo
scienziato, l’uomo tecnologico ancora non hanno capito la verità che avevano già compreso, sulla scia di
Montaigne, i filosofi delle filosofie libertine e clandestine del Seicento: “la natura non ha voluto che l’uomo si
elevasse più in alto, e in questo non gli ha concesso più di quanto ha dato agli altri animali” (Anonimo “Theophrastus redivivus” (del 1659)). Con questa affermazione, in linea con Montaigne, non viene superato
solo il dualismo anima-corpo cristiano, come suppose l’Illuminismo, ma lo stesso Cartesio e l’Illuminismo
medesimo, viene superato il dualismo cogito-estensione, ma anche quello tra ragione e natura, anche quello
tra pensiero e corpo. Si va verso una fusione del corpo e della coscienza e questo porta direttamente al
sentimento, alla passione, all’estetica e all’istinto che guidano i romantici, per i quali la religione non ha più un
aspetto dualistico, ma dissolve l’infinito, cioè Dio, nel finito, nella natura, così che, alla fine, esiste solo il divino.
Con il Romanticismo Dio è diventato tutt’uno con l’universo, è il panteismo naturalistico-irrazionalistico
romantico: :-“Se Dio è potuto diventar uomo, può diventare anche pietra, pianta, animale ed elemento, e forse
in questo modo c’è una continua redenzione nella natura” (NOVALIS - “Frammenti”del 1799-1800 - 603). In
questo modo l’anima non sta di fronte al corpo, come il padrone davanti allo schiavo, oppure come in Cartesio
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sta il cogito di fronte al corpo-automa, ora l’anima è tutt’uno con il corpo, quest’ultimo è sacro come il divino,
questa immagine viene data ricorrendo alla figura del “tempio”, il corpo è un tempio, il tempio contiene il
sacro, il sacro ha bisogno del tempio per sussistere: “C’è un solo tempio al mondo, ed è il corpo umano. Nulla è
più sacro di questa sublime figura. L’inchinarsi davanti all’uomo è un rendere omaggio a questa rivelazione
nella carne” (Novalis - “Frammenti” del 1799-1800 - 75). E’ superata l’idea della carne opposta all’anima di
paolina memoria, ma è superata anche la visione scientifica, è superata, in genere, ogni visione dualistica. I
corpi sono tutti sacri. Questa concezione romantica, di tendenza materialistica, che fonde la spiritualità
religiosa con la materialità della natura, escludendone i prodotti artificiali umani, diventa consapevole
materialismo in Leopardi e Nietzsche: “Dietro i tuoi pensieri e sentimenti..sta un possente sovrano, un saggio
ignoto - che si chiama Sé..è il tuo corpo” (F. Nietzsche - “Così parlò Zarathustra”- Dei dispregiatori del corpo).
Ma non si tratta di un materialismo meccanicistico, razionale, tecnologico, consumistico, bensì arcaicizzante,
tale cioè che non si immagina nulla di spirituale che non sia, allo stesso tempo, materiale. Per far comprendere
la possibile congiunzione segreta che può esserci tra il Romanticismo e Nietzsche, ovviamente al di là di tutti gli
equivoci in cui cadde Nietzsche - che accostò troppo Romanticismo e Schopenhauer -, si può affermare che
Nietzsche combatte la concezione dualistica della religione, ma non è lontano da una visione panteistica, sia
pure, ormai, decisamente tragica e perciò sublime. Queste grandiose conquiste del pensiero sono state
seppellite dalla melma dovuta al trionfo borghese e socialista in politica, dal progresso industriale, dalla cultura
del Novecento, che hanno coltivato di nuovo “il pregiudizio dell’anima” e il dualismo che ne consegue,
chiudendo anche la via a soluzioni libertarie, perché il dualismo cela sempre autoritarismo. E’ venuto così fuori
lo psicologismo, il neospiritualismo, l’esistenzialismo, in politica si è affermata l’astrazione nell’idea autoritaria
di nazione (fascismo) e di umanità-lavoratrice (comunismo), si è separata, di nuovo, nonostante tutti gli sforzi
dell’Ottocento, l’anima dal corpo (quindi anche l’idea dagli individui singoli), perché si è preso a sistema di
misura il corpo come lo descrive la scienza, cioè come un “automa”, mentre la visione del corpo come automa
nasce già da una visione dualistica che separa l’anima, ponendola nel cogito, dal corpo, quest’ultimo ridotto ad
estensione meccanica. Si ricrea un dualismo spirituale per fuggire dal mondo artefatto della società, un
mondo, cioè, creato artificialmente dallo stesso dualismo spirituale. Il dualismo spirituale applicato alla natura,
cioè la scienza, viene combattuto dal dualismo spirituale non applicato alla natura. E’ una falsa
contrapposizione quella che ha caratterizzato tutto il Novecento. E in versione laica sono state dette di nuovo
e in modo nuovo molte delle cose già dette dalla religione, per cui si è immaginata una condizione spirituale,
sempre di più simile al “nulla” (di qui il nichilismo novecentesco, soprattutto degli esistenzialisti), che fosse
diversa da quella della scienza applicata, cioè del dualismo spirituale applicato alla natura. Anziché liberare la
natura dagli schemi del dualismo spirituale che la scienza vi applicava, ci si libera della natura. Ciò facendo si è
ritornati ad una condizione simile a quella del dualismo gnostico e religioso (tanto che Jonas, a ragione, trova
profonde somiglianze tra l’esistenzialismo del Novecento e lo gnosticismo dell’antichità), con la differenza che
ora si usa un linguaggio laico e ciò che è posto “oltre” la natura viene chiamato “Essere”, “Nulla”, ma non
“Dio”. Si fanno distinzioni formali e sottili tra Dio e l’Essere sostenendo che Dio è “ontico”, mentre l’Essere è
“soggettività pura”, distinzioni che, rispetto al corpo e alla natura, sono semplici vaneggiamenti mentali, visto
che il contenuto è lo stesso e in entrambi i casi viene predicata l’estraneità alla natura e al corpo, cioè in
pratica alla reale vita terrena. Questo atteggiamento dualistico anti-naturale e ostile al corpo è evidente dai
seguenti passaggi di pensatori del Novecento: “Il dominio del naturalismo <positivismo> è finito…La soluzione
fu quella di abbandonare le immagini del mondo esterno per indagare piuttosto i misteri dell’anima solitaria…si
arrivò, abbandonandosi alle tendenze della psicologia, alla necessaria caduta del naturalismo: dar forma alla
propria interiorità” (H. Bahr - “Il superamento del naturalismo”), poi: “Ma essa <la metafisica> non pensa
l’essere come tale <cioè privo di determinazione>, non pensa la differenza tra l’essere <l’indeterminato> e
l’ente <il determinato>” (M. Heidegger - “Lettera sull’‘umanismo’”), poi: “L’uomo, secondo la concezione
esistenzialistica, non è definibile in quanto all’inizio non è niente. Sarà solo di seguito, e sarà quale si sarà fatto.
Così non c’è una natura umana…l’uomo non è altro che ciò che si fa”. (J. P. Sartre - “L’esistenzialismo è un
umanismo”), poi: “L’io è il soggetto rispetto a cui tutte le altre cose sono oggetto…Io non sono il mio
corpo..senza l’arbitrio non c’è la libertà” (K. Jaspers - “Filosofia”), poi: “La vita è un flusso continuo che noi
cerchiamo d’arrestare, di fissare in forme stabili e determinate, dentro e fuori di noi..dentro di noi stessi, in ciò
che noi chiamiamo anima, e che è la vita in noi, il flusso continua…L’umorista non riconosce eroi..Il mondo, lui,
se non propriamente nudo, lo vede, per così dire, in camicia: in camicia il re” (L. Pirandello - “L’umorismo”),
poi: “talora ci si aspetta/ di scoprire uno sbaglio di Natura,/ il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,/ il
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filo da disbrogliare che finalmente ci metta/ nel mezzo di una verità/…/Sono i silenzi in cui si vede/ in ogni
ombra umana che si allontana/ qualche disturbata Divinità” (E. Montale - “Ossi di seppia” - “I limoni”), infine:
“Tutto ciò che si vede è falso” (Tristan Tzara - “Manifesto Dada 1918”). In tutti i passi suggeriti manca proprio
la concezione per cui l’individuo umano sia una realtà corporea ben determinata secondo natura. Così, alla
fine, il Novecento è tornato all’inizio, cioè al “pregiudizio dell’anima”, tanto che si può parlare di “insuperato
pregiudizio dell’anima”, come si evince anche da questo passo di Jonas: “Non resta alcun presente, in cui il vero
esserci <di Heidegger> potrebbe permanere. Balzando fuori dal suo passato <teoria dell’oltrepassamento>
l’esserci si getta nel progetto del suo futuro..Non vi è alcun presente in cui si potrebbe permanere, solo la crisi
fra essere-passato e futuro..Questo vertiginoso dinamismo ebbe un’enorme attrazione per lo spirito
contemporaneo…Questa svalutazione esistenzialistica della natura rispecchia evidentemente il suo
svuotamento spirituale attraverso la moderna scienza naturale e questa ha qualcosa in comune con il disprezzo
gnostico della natura” (H. Jonas - “Lo Gnosticismo”). E’ chiaro che l’attivismo, il futurismo, il progressismo, il
tecnicismo sono fenomeni di una mente scissa dal corpo, perché il corpo vive ed esiste solo nel presente. E il
presente è che si sente e si vede. Quando si dice che è falso tutto quello che si vede, quando si cercano verità
nell’invisibile, si è tornati al dualismo delle Upanisad, di Socrate e Platone, del cristianesimo medievale, siamo
pronti a disprezzare il corpo e la natura. Ma, poiché i vecchi canoni religiosi non sono più di moda, non sarà un
Innocenzo III a mostrarci il disprezzo del corpo, saranno, invece, la tecnica, l’arte come mera affermazione
dell’interiore (dualismo) e della tecnica, che, appunto, come capitò in una rappresentazione espressionistica,
uccide e macella un cavallo sul palcoscenico di un teatro oppure fornisce “performance” mostruose del tipo di
quella artista che si fece deformare il cranio chirurgicamente per ottenere l’effetto artistico: “due
protuberanze che azzerano ogni stereotipo di bellezza desiderabile” (T. Macrì - “Il corpo postorganico”),
un’arte, evidentemente, che considera il corpo un semplice strumento come capita nel dualismo spirituale. In
tal senso le mode relative ai piercing e ai tatuaggi non sono incoraggianti, sono segnali di latente dualismo,
come per dire “io sono quello penso di essere”, quindi posso anche diventare un mezzo di comunicazione
simbolica, mentre si dovrebbe “pensare secondo quello che si è”, e si è, prima di tutto, il proprio corpo così
come è alla nascita (in questo senso si può pensare che anche l’omosessualità celi questo dualismo, fermo
restando che, quando non danneggia il prossimo, ognuno gestisce il suo corpo come gli pare, anche contro
natura: vedi piercing, tatuaggi). Resta il fatto che oggi il corpo è più che mai vittima del simbolismo e del
dualismo anima-corpo, ancora oggi si seguita a pensare, come diceva Jaspers, io non sono il mio corpo e
questa è l’alienazione più grande. In questo senso, citando le parole di Nietzsche, io ho voluto ribadire che il
materialismo che ispira la poesia afferma, proprio come fece Leopardi: “Il corpo è l’uomo” (“Operette morali” “Dialogo di Tristano e di un amico”), che l’io, come l’ombra, è il corpo. La conseguenza della morte è
inevitabile, così come lo è la malinconia per un uomo avanti con gli anni che sente perduto per sempre il
tempo della possibile felicità. La poesia si proiettava anche oltre il presente, immaginando già la vecchiaia,
quella vecchiaia nella quale ora sto entrando.
“Dietro i tuoi pensieri e sentimenti, fratello,
sta..un saggio ignoto..è il tuo corpo”
(F. Nietzsche - “Così parlò Zarathustra” - Dei dispregiatori del corpo)
Quest’ombra sì fedele
che m’accompagna muta
io l’incontrai fanciulla
e non l’ho più perduta:
la vidi farsi uomo
e dir ferme parole
giù nell’asfalto fusa
dall’infuocar del sole
e rintanarsi lieta
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dietro ad un cespuglio
sfuggendo alla calura
d’un tormentato luglio.
Quanto cammino amica!
Quanto t’ho affaticato!
Ed or mi segui curva
al centro d’un bel prato:
sei vecchia e stanca ormai,
vuo’ in eterno riposarti,
laggiù, sotto le mammole,
alfin dovrò lasciarti.
(Carlo De Cristofaro - 15/2/1988)