I bambini e l`”adozione” di una nuova lingua

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I bambini e l`”adozione” di una nuova lingua
I bambini e l'”adozione” di una nuova
lingua
scritto da Stefania Vadrucci il 10 Giugno 2016
IN FAMIGLIA
Cresce l’età dei bambini che arrivano in adozione, molti giungono nella nuova
famiglia in età scolare. Questo significa che già dopo pochi mesi dall’arrivo in
Italia iniziano a frequentare la scuola primaria. Impegnativo per loro, che si
ritrovano per ore e ore in una giornata ad ascoltare la maestra che spiega
in una lingua diversa e a cimentarsi con tutte le difficoltà di elaborazione e
comprensione di testi ed esercizi e di relazione con i compagni. Un errore di
valutazione che spesso viene fatto dal mondo scolastico è quello
di accomunare linguisticamente i bambini adottati ai bambini stranieri appena
arrivati.
Apparentemente hanno parecchio in comune: arrivano entrambi da un Paese
straniero e parlano un’altra lingua. Ma c’è una differenza non da poco: una
volta uscito da scuola, il bambino straniero arrivato con la sua famiglia in Italia
continua a parlare la lingua madre a casa con i genitori e i fratelli, e conserva le
sue abitudini linguistiche, l’italiano è la lingua che sente e che parla a scuola o in
società.
Il bambino adottato, invece, perde improvvisamente ogni legame con la
lingua madre. La sua nuova famiglia parla un’altra lingua, che diventa da
subito quella della sua quotidianità. È una questione di sopravvivenza: deve
imparare immediatamente a comunicare ogni bisogno, paura, desiderio. Per
questo i bambini adottati imparano la lingua così in fretta, è una necessità vitale.
Ho cercato spesso di mettermi nei panni delle mie figlie nei primi mesi. E
provare a rovesciare la situazione con l’immaginazione. Come sarebbe stato per
me essere catapultata in Etiopia tra persone che parlano solo amarico (io che
con gran fatica avevo imparato a malapena una trentina di parole)? E se avessi
dovuto andare a lavorare o scrivere utilizzando quella lingua così complessa,
così differente?
Tutta la fatica che i bambini adottivi fanno nell’imparare la nuova lingua è
espressa in modo magistrale nel racconto che mi ha fatto un’amica di un
episodio di vita di suo figlio di 7 anni, polacco, in prima elementare, in Italia da
pochi mesi. Il bimbo stava giocando nel cortile della scuola con un gruppetto di
compagni. Uno di questi stava spiegando le regole di un nuovo gioco e un paio
di volte il figlio della mia amica aveva fatto segno con il capo di non avere capito.
“Ma non capisci?”, gli ha chiesto il compagno spazientito.
Lì per lì il bambino non ha reagito ma poi è andato dalla maestra chiedendole di
aiutarlo a disporre i bambini in cerchio.
“Vuoi fare il maestro al posto mio?”, ha chiesto l’insegnante.
“No, voglio solo insegnargli a contare fino a 10 in polacco!”.
I bambini sono stati volentieri al gioco, ripetendo i numeri dopo di lui in quella
strana lingua.
Dopo essere arrivati con gran fatica fino al 4, il bambino ha esclamato: “Io sono
polacco e sono adottato. In 5 mesi ho imparato l’italiano, voi in 5 minuti non siete
riusciti a contare fino a 4!”.
Un finale degno di una favola di Esopo.