Star Trek: BEYOND THE GALAXY

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Star Trek: BEYOND THE GALAXY
Star Trek: BEYOND THE GALAXY
EPISODIO #DUE: TOCCATA E FUGA
Diario del Capitano - Data stellare 57198.6
Recenti indagini della Tal’Shiar hanno individuato nel sistema togelliano una stazione illegale
di contrabbando. La Shadow è stata incaricata di recuperare una reliquia romulana trafugata
tre mesi fa dal Sacro Tempio di Romulus per mano di astuti pirati spaziali sicuramente
assoldati dai trafficanti di Togel I.
“E’ un piacere sapere che avete portato a termine la missione nel sistema di Freyak, ufficiali.
Purtroppo, le altre notizie che ci portate non possono essere commentate parimenti. La
comparsa di questo fantomatico Nemico Oscuro ha già messo in subbuglio gran parte delle
alte sfere federali: è inutile gettare subito lo scompiglio generale, ma abbiamo già intrapreso
una linea difensiva che sarà messa a punto nelle prossime settimane. Invieremo piccole flotte
di astronavi presso i sistemi stellari principali forniti di qualsiasi ammasso stellare rilevante:
forse la chiave per contrattaccare questa minaccia potrebbe essere celata nel firmamento. In
verità, signori, abbiamo già ricevuto alcuni mesi fa rapporti inquietanti da stazioni di frontiera
circa spaventosi picchi gravitazionali che si manifestavano attorno alla stella del sistema di
riferimento, ma ogni ricognizione è risultata vana. Adesso il Quadrante Alpha ha una nuova
specie da affrontare, i cui scopi e le cui capacità sono fuori della nostra immaginazione.
Questo è solo un esempio dell’utilità della vostra missione, ufficiali: anticipare le mosse del
nemico. Un compito sì difficile, ma che richiede l’impegno di gente come voi.
Augurandovi le migliori speranze per un futuro pieno di aspettative, vi saluto cordialmente…
Ah, dimenticavo: da questo momento è stata attivata una banda di comunicazione stabile con
il Reparto servizi segreti federali. Il Capitano Vespucci dovrebbe aver ricevuto nel suo studio
la frequenza che solo lui potrà utilizzare. Quinn, chiudo.”
La figura olografica dell’Ammiraglio della Flotta Stellare si dileguò nel nulla, lasciando fluttuare
la Plancia della Shadow nelle sue tonalità cristalline che riverberavano da ogni singola
consolle.
“Signore, il messaggio del Modudroide di risposta è terminato. Avvio la procedura di
cancellazione ed archivio la sonda.” Il Guardiamarina Larsen fece danzare i polpastrelli della
mano destra lungo l’asse dell’interfaccia, e nel contempo roteò la poltrona per affrontare le
ultime direttive presso la consolle opposta.
“Quando vuole, Tenente Drake…Ci porti in rotta verso il sistema di Togel –“ Il Comandante
Torlek attese qualche istante prima di concludere l’ordine: stava calibrando mentalmente le
ultime disposizioni prima di scivolare nello spazio silenzioso. “Curvatura sette. Meglio non
sfruttare le rotte speculari…”
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Il Klingon tornò alla sua postazione mentre la nave schizzava negli abissi siderali alla volta
della prossima missione: il Comandante avrebbe guidato una squadra di sbarco su di un
pianeta ricco di sfide emozionanti. Era finito il tempo della diplomazia: adesso doveva giocare
sporco contro chi aveva agito nell’ombra per rimpinguarsi le tasche.
“Dunque, Torlek, si entra finalmente in gioco…? Credo che il suo fiero animo klingon abbia
bisogno di una bella scarica di adrenalina!” Il Comandante della Shadow puntò gli occhi
stupiti al Consigliere T’Maren con uno sguardo che cercava di accendere una punta di stupore
umano, cadendo però in quella pavida ruvidezza klingon incancellabile dal suo atteggiamento.
Torlek non aveva mai capito a fondo, dopo quasi un mese dall’inizio della missione, come
fosse sopravvissuta alla disgrazia che l’aveva colpita due anni prima. Per un Klingon era
riprovevole avere a che fare con i Romulani della peggior specie, figurarsi incrociare il proprio
DNA con quello di un dissidente di quella razza…! In verità, ammirava la tenacità del
Consigliere: le sue doti vulcaniane erano pur sempre degne di rispetto.
“Certo, T’Maren. E’ per questo che l’ho scelta come seconda in comando.”
“USS Spacestorm, nave federale di classe Galaxy. Squadra che vince non si cambia…”
Gul Kelmes aveva cominciato ad analizzare il briefing per la missione su Togel I: era tutto
pronto. Da qualche giorno non faceva altro che controllare e ricontrollare l’arsenale della Sala
equipaggiamento alla ricerca vana di qualche imperfezione, ma tutto era andato secondo le
aspettative. Per un Cardassiano purosangue sarebbe stato impossibile accettare un’esistenza
priva della stessa essenza che la rende reale, ma Kelmes aveva abbracciato da tempo gli
ideali della Federazione: credeva che la diplomazia potesse essere l’arma definitiva contro la
violenza ottusa. Aveva vissuto anni come rinnegato durante la sanguinosa Guerra del
Dominio, ed ora voleva ricevere la sua rivincita; una rivalsa nel silenzio, ma forse più dolorosa
e più furente di uno scontro aperto. “Capitano, ho predisposto la Ulisse secondo le specifiche
da lei riportate. Ci presenteremo come un convoglio di dissidenti romulani e ci faremo strada
tra le vie di Togallia, la capitale di Togel I. Il Dottore ci ha assicurato che avremo a
disposizione dei generatori olografici portatili per…Signore, mi sta ascoltando?” Kelmes, nella
speranza che il suo rapporto fosse il più esaustivo possibile, notò il suo diretto superiore come
attratto da qualcos’altro, e bene presto Arthur cadde dalla sua nuvola personale che
l’accompagnava nelle gioie e nelle paure. “Continui pure, Kelmes…” Il Capitano Vespucci era
teso come una corda di violino, ma avrebbe fatto carte false prima di farlo capire anche agli
altri. Forse la scaltrezza del Consigliere T’Maren avrebbe scandagliato qualcosa di anormale
nel suo animo, ma l’atteggiamento remissivo che aveva adottato era giustificabile. Stava per
spedire i suoi migliori uomini su di un pianeta rinomato per le sue tradizioni quantomeno
alternative. Non erano inutili delazioni ciò che si raccontava su Togel I: circolano voci che
addirittura un plotone di guardie imperiali klingon sia stato sbaragliato durante una
rappresaglia dai rinnegati della capitale. Sarebbe stata una missione azzardata, ma la
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Federazione – adesso impegnata nello sviscerare quanto più possibile sull’apparizione
inaspettata e di certo sgradita del Nemico Oscuro – aveva affidato alla Shadow la più nobile
ma anche la più critica delle investiture: vivere la Storia che nessuno avrebbe mai letto. Gli
incarichi che rivestiva la nave del Capitano Vespucci sarebbero stati segreti inviolabili, realtà
che solo il diario di bordo poteva vivere: era per questo che era stata approvata la
fantomatica Direttiva Shadow, un protocollo assente nel Codice della Flotta Stellare. Questo
permetteva ad Arthur e ai suoi uomini figli di Nessuno di poter indossare qualsiasi identità
fosse congeniale per la missione: la loro vita sospesa a metà nel baratro dell’oblio non doveva
essere rivelata, altrimenti avrebbe compromesso quanto realizzato fino a quel momento.
“In conclusione, signore, credo che manchino solamente gli ufficiali di missione a rapporto
nell’hangar navette non appena abbiamo raggiunto il sistema togelliano…” Kelmes si
allontanò dal suo superiore con le dovute riverenze, lasciandolo solo nei suoi pensieri
errabondi. In una porzione di spazio abbandonata al degrado totale si sarebbe tenuta la
prima vera sfida per la Shadow: Arthur strinse fra le mani il suo comunicatore atomico, e con
un sospiro affaticato tornò in Plancia.
La vita nel Ponte medico procedeva al meglio. “Disfunzione genetica interfasica. Posso
definire soltanto così la sua strana inclinazione naturale, Tenente Tremenov. Strano a dirsi,
ma se avessi l’occasione, potrei battezzare una nuova patologia…” Costantino Papadopulos,
medico di bordo della USS Shadow, aveva appena terminato di visitare l’Ingegnere capo
scampato qualche tempo prima da uno scontro imprevedibile contro una creatura dalle
capacità inimmaginabili, e che fortunatamente si era dissolta nel nulla con il suo carico
minaccioso di morte. Yuri scese dall’Elaboratore dell’Infermeria, e bastarono pochi secondi
prima che scomparisse nuovamente. “E’ questa la mia fortuna e la mia croce, Dottore: posso
vagare inosservato, ma rischio di perdere la stessa coscienza di esistere. Una vita che non
auguro a nessuno, nonostante le conseguenze strategiche del caso.” Il Tenente Tremenov si
allontanò dalla sala medica, lasciando il Dottore con un nodo insolubile che sui dimenava
lungo la gola.
Costantino aveva quasi terminato le analisi mediche preliminari per tutti i membri
dell’equipaggio: una procedura burocratica che si era rivelata necessaria persino a bordo di
una nave popolata da ombre di vita. In un momento di riposo dal continuo lavoro – che
costringeva l’Infermeria ad accogliere decine di teste parlanti quasi ogni ora -, il Dottor
Papadopulos attivò l’interfaccia dell’Intelligenza di bordo, formulando una sua personalissima
richiesta: “Computer, forniscimi i dati relativi alla USS Shadow per la sezione Equipaggio.”
Costantino, i capelli arruffati per la staffetta tra le consolle mediche che aveva terminato da
poco, si accorse di aver lasciato alcune provette fuori posto, e si industriò a ritrovare la loro
collocazione esatta mentre il computer emetteva ronzii ritmati e scanditi nel tempo. “Ho
elaborato la sua richiesta, Dottore. La nave USS Shadow – registro NCC 21284 -, classe
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Emperor, conta attualmente due ufficiali a bordo: Costantino Papadopulos, umano, nato ad
Atene il 29 febbraio 2460, ed il Capitano Arthur Vespucci, umano, nato a Nuova Berlino il 15
dicembre 2458. La nave è stata registrata come prototipo presso i cantieri stellari di…” Il
Dottore arrestò la nenia priva di tono dell’Intelligenza, e si sedette spaesato nella sua
poltrona. Incredibile ma vero: un equipaggio complessivo di duecentodieci persone ma
effettivo di due soli ufficiali. La Federazione aveva davvero varato la USS Shadow fidandosi
ciecamente delle qualità di uomini e donne che mai avrebbero pensato di rivestire un ruolo
del genere. Ed il Tenente Tremenov ne era un tristissimo esempio. Un uomo costretto ad una
vita senza immagine, un’esistenza cancellata dalla sete di conoscenza trasformatasi di colpo
nell’abisso dell’ignoto.
Costantino fu attirato dal vibrare lampante del comunicatore: “Qui Papadopulos.” Dall’altro
capo, la voce suadente del Consigliere T’Maren non tardò a dare una risposta: “Dottore, la
aspettiamo nella sala briefing: c’è una missione che la sta aspettando.”
“Togallia: gli ufficiali federali che l’hanno visitata sono tornati a casa ringraziando la sorte per
non averli cancellati dalla faccia della Galassia. Non c’è che dire: come prima missione in
esterna non è di certo una passeggiata. ” L’ufficiale Tattico di bordo stava esplicando agli
ufficiali convocati la natura dell’incarico affidato dalla Federazione. Digitando alcuni comandi
sulla consolle, apparve nell’aria uno schema dettagliato di una vasta area abitata: “Questa è
la mappatura della capitale di Togel I. Nostro compito è rintracciare un contatto federale e
scambiare solo allora un nostro comunicatore con un chip dati: do ut des, dopotutto.” La vita
su Togallia non doveva essere delle migliori, e sicuramente quell’ufficiale aveva venduto
l’anima al diavolo per scappare vivo da quell’accozzaglia di tagliagole e mercenari senz’anima.
“Il chip dati conterrà le specifiche del sistema energetico di Togallia: stando a voci ufficiose, il
centro dell’attività illegale dovrebbe trovarsi proprio sotto la capitale.” “…E cosa ci farà un
ufficiale federale con un nostro comunicatore?! Voglio dire, mica avrete intenzione di portarlo
a bordo…?!” Torlek si guardò intorno: ancora abituato ai toni vocali accesi ed infuocati dei
vascelli klingon, aveva in realtà posto una domanda legittima alla quale Kelmes fu felice di
rispondere. “Beh, potrà sembrarle strano, signore…Ma la Federazione ci ha ordinato di
consegnare al contatto la navetta Rousseau…E’ un miracolo che la sezione ingegneria abbia
modificato soltanto la Ulisse!” Il Cardassiano, inizialmente, non aveva nemmeno lui creduto a
quanto era stato impartito dal Comando. “Deve essere davvero un posto indicato per una
vacanza di piacere, suppongo…” T’Maren, affidata anch’ella a questa missione, si chiedeva se
davvero sarebbero risaliti interi a bordo. Per l’esperienza che aveva vissuto sulla pelle, le
squadre di sbarco fanno spesso una fine poco piacevole.
La griglia della metropoli di Togel I si tramutò velocemente in una fitta rete di tracciati che
formavano una specie di pietra roteante. “Questo è il nostro obiettivo finale: l’Occhio
dell’Oscurità. Si tratta di una reliquia appartenente ai templari romulani, e nostro compito è
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recuperarla grazie a quest’unità di contenimento. Non è radioattivo, ma potrebbe crearci seri
problemi.” Kelmes impugnò un cilindro metallico risplendente: doveva essere davvero un
oggetto prezioso. “Guardiamarina Larsen, in qualità di ex - agente della Squadriglia Atlantis è
stato scelto come ufficiale in seconda per questa missione: dovrà seguire le direttive del
Comandante Torlek e portare a termine l’incarico.”
Il colloquio ebbe fine, ma prima che gli ufficiali si allontanassero, lo spettro inquietante del
Capitano si fece avanti: “Questo briefing non ha mai avuto luogo. Ricordatevi, ufficiali:
confidiamo in voi.”
Diario dell’ufficiale medico capo - Data stellare 57236.2
Abbiamo appena lasciato l’hangar della Shadow alla volta dello spazioporto di Togallia.
Sebbene non abbia una personale inclinazione a visitare questo pianeta, la mia presenza si
rivelerà tuttavia necessaria nel caso fortuito di uno scontro a fuoco. Dubito che ci sarà un
comitato di benvenuto ad accoglierci.
Kelmes stava manovrando la Rousseau attraverso la cintura di asteroidi che si stava
diradando con l’approssimarsi dell’orbita planetaria di Togel I. “Se non fossi dato per disperso,
sicuramente non avrei accettato di travestirmi come un viscido dissidente romulano…” Torlek,
osservando l’uniforme severa e piuttosto scomoda che indossava per l’occasione, sentì
l’occhiata gelida del T’Maren posarsi impavida sul suo fiero animo klingon, giustificandosi al
meglio tra gli sguardi divertiti degli altri ufficiali a bordo: “…Con le dovute eccezioni,
Consigliere.”
Joshua, seduto accanto alla postazione del Cardassiano, si massaggiò più volte l’arcata
frontale spigolosa e, osservando il suo volto riflesso nel visore della navetta, commentò verso
Costantino: “E’ stupefacente, Dottore…! Ologrammi densomorfici: una trovata geniale. Se mi
vedesse mia madre, credo non mi riconoscerebbe!” Il Guardiamarina Larsen, sotto il velo
sottile di quella battuta, celava ricordi che mai sarebbero stati ripescati nella memoria degli
altri: sentiva la mancanza della sua famiglia, dei suoi più cari amici. Quella missione
compromessa con la Squadriglia Atlantis era stato il suo verdetto di morte per una rinascita
inaspettata come ufficiale addetto alle Comunicazioni di una nave dal futuro incerto.
Ripensare a quel suo fallimento l’aveva indotto a scrutare il Cardassiano accanto a lui,
l’artefice di quella sconfitta senza prezzo. Dopo le prime settimane aveva deciso in cuor suo di
non accanirsi contro ciò che Kelmes aveva fatto, ma portava nei suoi confronti un rancore
incancellabile, un peso opprimente nella sua coscienza che avrebbe volentieri consegnato al
cordato. La sua non era vendetta priva di scopo, ma ancora non era nemmeno a conoscenza
del motivo per cui era stato portato via da uno stesso infiltrato federale: un’azione che aveva
compromesso irrimediabilmente il suo destino. Ma quando Kelmes lo osservava, sentiva un
profondo desiderio che lo spingeva a rinnegare persino se stesso, se avesse potuto.
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Quel Cardassiano sembrava pentito di aver messo in gioco la vita di una giovane promessa,
ma aveva dovuto seguire le ordini dell’allora glorioso Gul Derek per ordine degli stessi servizi
segreti federali. Adesso, accomunati da una sorte malvagia, si trovavano assieme ad
affrontare il primo ostacolo rilevante: sgusciare silenziosamente nella tana dei più loschi
contrabbandieri del peggior sistema stellare mai registrato negli archivi federali.
Il computer iniziò a ronzare, e dopo che Kelmes attivò alcuni comandi luminosi, apparve nel
visore della navetta il volto butterato e dilaniato di un alieno ansimante. “Non abbiamo
bisogno di altri rifornimenti, pedanti orecchie-a-punta!” T’Maren afferrò le redini della
comunicazione già incandescente: “Siamo qui per un’ispezione. Lavoriamo per un conto di un
potente senatore romulano. Sa, è piuttosto influente su Romulus…Mi capisce, no?” La
creatura alloggiata in un tugurio appena capace di tenersi in piedi parve ricredersi, come
intimorita da quell’intimidazione tutt’altro che velata.
“ Se è così…mandatemi le specifiche.” L’alieno attese sconfitto il messaggio proveniente dalla
navetta dei Romulani, che vittoriosi aspettarono il lasciapassare per l’atterraggio. La creatura
confabulò per qualche istante con un suo simile – un alieno con la cavità oculare destra
mascherata da una pezza talmente consunta che pareva una toppa metallica – ed infine
concluse: “Potete scendere…”
L’addetto alle comunicazioni dello spazioporto, non ancora pago di quello smacco bruciante,
fece schizzare sul visore un’occhiata gelida e ringhiosa di rabbia pura.
“Beh, almeno qualcuno si è scomodato per darci il benvenuto, ” Gul Kelmes, stacanovista del
settore Tattico, terminò così la discesa verso lo spazioporto della capitale di Togel I. Adesso
cominciava la vera avventura.
I portelli della navetta si aprirono, mostrando agli ufficiali in missione l’accozzaglia immonda
di Togallia.
“Forse oggi qualcuno crede che sia il nostro giorno giusto per morire.” Persino un Klingon
della stazza di Torlek percepiva nell’aria un tanfo irrespirabile di violenza, come se gli stessi
edifici accatastati che componevano malamente la stazione d’attracco fossero il preludio a
qualcosa di imponente ma allo stesso tempo un monito all’incauto visitatore. I membri della
squadra segreta della Shadow, stirando le proprie uniformi romulane appena sgualcite dopo
l’uscita dalla navetta, seguirono la fila tumultuosa che si snodava verso un gigantesco portale.
“Forse è l’entrata per Togallia.” Joshua allungò la mano per indicare al Comandante le arcate
solenni che sostenevano la struttura, ma in quel momento urtò involontariamente contro la
spalla destra di un Klingon che non prometteva nulla di buono. Torlek, solo immaginandosi la
reazione apocalittica che quel suo simile avrebbe avuto se avesse scoperto che sotto quella
corteccia romulana si nascondeva un suo simile, strattonò con forza il giovane Guardiamarina,
subissato dai mugolii degli altri alieni che seguivano rabbiosi la scia verso l’ingresso.
Era vero che chi visitava Togallia non riusciva mai a descriverla al suo ritorno. I motivi erano
due: o i ricordi erano ammassati come l’ecosistema di palazzi affastellati, o il disgraziato non
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era affatto tornato. L’ossigeno che si respirava nella capitale di Togel I sembrava misto ad
aromi confusi, spezie esotiche che si mescolavano senza criterio a zaffate di polvere generate
da qualche discussione eccessivamente animata, magari conclusasi con una lama sacrificale
puntata nella carotide dell’inerme vittima. La squadra stava attraversando i quartieri poveri
della capitale, ma era difficile cosa intendessero i Togalliani per ricchezza. “Qui la valuta
corrente è il sangue versato dalla propria arma. Più sei abile, più puoi permetterti il pane
quotidiano.” Il Dottore, crudo eppure sincero, cercava di scansare le flotte di alieni
incappucciati che si accostavano a lui a spintoni per offrigli le più disparate mercanzie –
naturalmente proibite se non mortali – e al tempo stesso mantenere il passo dei suoi
compagni. T’Maren, l’unica che non aveva bisogno del dispositivo densomorfico per la sua
naturale disposizione fisica, allungava il suo sguardo oltre ogni bancarella, oltre ogni nugolo di
creature ansimanti ala ricerca di un motivo in più per vivere. “Togallia è da sempre la terra
dei derelitti, dei disperati e degli avventurieri. I primi due generalmente si trovano di che
vivere, ma i terzi hanno poche speranze di vedere un’altra alba.” Kelmes, una mano puntata
alla fondina del phaser quantico, notò un gruppo più nutrito di alieni delle più variegate
specie intenti a latrare verso il centro di un’arena improvvisata. Il Cardassiano allungò il collo
nerboruto incuriosito, e ben presto si formò davanti ai suoi occhi l’immagine mostruosa di due
piccoli ragazzini – un umanoide ed un Ferenghi – che si azzannavano a vicenda fino a
squarciarsi i vestiti. Joshua, mosso da nobili ma in quel frangente impotenti sentimenti,
avrebbe sfondato quel muro vivente per salvare i due combattenti di fortuna, vittime
inconsapevoli di un cerchio senza fine. Il Klingon della squadra impose la sua mano sulla
spalla del Guardiamarina, facendolo volgere verso di lui con fermezza: “Ragazzo, purtroppo
non possiamo farci niente. Sai benissimo che siamo qua per uno scopo ben preciso: il mio
non è attaccamento al dovere, ma semplice speranza. So che ci sarà una vendetta per quei
due ragazzi: ed una vendetta nobile è giusta, dopotutto.” Gli occhi del Klingon brillarono dei
tempi passati sugli Sparvieri a caccia d’onore e di gloria: adesso tutto quello era scomparso, e
pur avendo perso parte della sua stessa essenza, Torlek sopravviveva grazie alla volontà
d’animo. Joshua si arrese, ma sentì attorno a lui un’attenzione improvvisa, come un
avvertimento cupo e minaccioso. Era il Consigliere T’Maren. La sua mente, nel tumulto del
combattimento pubblico, sovrastata da miriadi di voci rauche e profonde, si era imbattuta in
qualcosa che l’aveva attirata a forza. Era solo l’eco del futuro, un fotogramma sfocato che
pareva avvicinarsi nel tempo come l’ombra della luna dopo il tramonto. Il Consigliere notò che
il Guardiamarina Larsen la stava osservando, e con il suo fare diplomatico e volontariamente
sicuro annuì soltanto allo sguardo turbato del suo sottoposto. Il cammino proseguì faticoso e
ricco di ostacoli, ma la mezza Vulcaniana portava dentro di sé un segreto inconfessabile:
Joshua avrebbe dovuto incontrare il suo stesso passato, e l’arena di gioco sarebbe stata
proprio Togallia. Il posto infimo e raccapricciante per chi ha conti in sospeso con il Tempo.
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Da anni oramai percorreva quei condotti labirintici che riverberavano di un verde oceano
acceso generato dai canali energetici della capitale. Quell’arrancare affaticato era un segno
più che visibile della debilitazione fisica che era cresciuta di anno in anno, germogliata e
fiorita come il seme della zizzania. Coperto sempre da un cappuccio annodato ad una zimarra
di fortuna – a dir la verità recuperata dopo uno scontro tra un Andoriano ed un Klingon, ma
era un’altra storia – e schivo per scelta di vita, ringraziò il destino che fosse giunto quel
giorno fatidico. Aveva atteso per mesi dopo che era stato avvertito da un messaggio
camuffato nella rete principale di Togallia: erano arrivati. Finalmente niente più ore trascorse
a spartirsi violentemente un brandello di carne cruda con gli sporchi targ mantenuti in
cattività dalla feccia della capitale – difficile trovare una buon’anima su Togel I - o vivere le
notti gelide interminabili col terrore di essere pugnalato alle spalle ed esalare l’ultimo respiro
al chiarore cupo della luna. Avevo concluso i suoi ultimi affari: avrebbe sorriso, se solo i
muscoli della faccia non si fossero indolenziti così tanto.
La luce della mattina era diventata un supplizio quasi sadico: i suoi occhi erano abituati da
troppo tempo al buio della cittadella sotterranea di Togel I, quel fitto intricarsi di tunnel
filamentosi.
“Aspetterò. Ho pazientato fin troppo: finalmente a casa.”
I membri della USS Shadow tentavano di districarsi nel dedalo vivente e multiforme del
grande bazar di Togallia, finché uno di loro parve discostarsi dal gruppo. Si guardò intorno
come se cercasse di non farsi notare – impresa ardua dato il bagno di folla scalpitante – e si
accostò ad un mantello informe apparentemente vivo. Dondolando sulle scarpe lucide – un
miracolo che nessuno le avesse rivendicate per qualche assurdo motivo -, il Romulano sillabò
una frase priva di senso in un quel contesto alieno: “Oggi il sole splende alto. Arriverà la
stagione delle aquile.” Quella creatura, annaspando nelle sue ultime energie disponibili,
rispose con un tono roco e svilito: “Certo…Il nido è già pronto.”
Torlek, dalle vetta della sua statura poderosa, incrociò lo sguardo furtivo di Gul Kelmes:
aveva trovato il contatto. Joshua, stupito per l’incontro con un federale ridotto a condizioni di
povertà estrema, si affiancò al T’Maren e chiese allibito: “Consigliere, come è possibile che la
Flotta Stellare abbia abbandonato un ufficiale alla sua sorte…? Non dovremmo essere
esempio per le razze cui facciamo capo?” La domanda del Guardiamarina colpì al cuore la
mezza Vulcaniana. La risposta non sarebbe stata semplice: una parte di lei, quella più
razionale e fredda, le mostrava le grandi difficoltà che si nascondono dietro la macchina
politica della Federazione; l'altro specchio dell’anima, lo spirito cinico romulano che aveva
assimilato controvoglia, scalciava e si ribellava a quanto stava vedendo, come se
quell’ufficiale rappresentasse la pedina più importante di tutta la Flotta Stellare. Cercando di
trovare il giusto mezzo, si voltò pensierosa verso il Guardiamarina e rispose pacatamente:
“Vedi, Joshua, purtroppo il sacrificio di un singolo individuo vale per la salvezza di intere
civiltà. Se non avessimo stabilito un contatto su Togallia non avremo potuto recuperare
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l’artefatto romulano, scatenando di sicuro un potere nelle mani di esseri pronti a tutto…
Eppure so che hai ragione anche tu. Sappi che la vita ci riserva sorprese inimmaginabili ma
anche trappole da affrontare: quell’ufficiale sottile come la sua anima avvilita è la prova
lampante che noi, pur non avendo una nostra vita, fluttuiamo là dove lui avrebbe voluto
trascorrere ogni giorno, anche a costo di cancellare quanto aveva compiuto in passato.”
Il Cardassiano mimetizzato in falsa uniforme, con un gioco di polso degno del miglior
illusionista, fece passare nelle mani annichilite dell’umano un piccolo monile metallico azzurro,
e contemporaneamente il contatto federale consegnò all’ipotetico Romulano una pezza
nodosa e squamata. Non attesero molti secondi prima di allontanarsi, ognuno accompagnato
dal futuro più nebuloso che potesse presentarsi, ma prima di scomparire tra gli alieni
brulicanti il federale si accostò agli altri Romulani. Dalle profondità annebbiate del cappuccio
che gli copriva pesantemente il capo spuntarono due biglie che riflettevano un giallo ambra
truce ed allarmante. Muovendo le braccia all’aria come per catturare un nemico invisibile,
pronunciò un monito appena accennato dalla voce diafana ed ombrosa: “Chiunque voi siate,
prestate attenzione a tutto. Ogni singola scheggia di pietra che trovate a terra pulsa di morte.
Ogni atomo d’aria rivendica il vostro sangue: ho visto alieni falcidiati dalle loro stesse angosce
fino al suicidio. Che il Dio in cui credete possa darvi conforto: solo la Fede protegge i
disperati…”
L’esploratore federale, un tempo forse uno speranzoso ufficiale alla ricerca di avventura,
sgusciò via silenzioso, accompagnato soltanto dagli incubi del crepuscolo delle speranze.
“Perfetto: il nostro contatto ha compiuto il suo dovere. Dovremo dirigerci a settanta metri da
questa posizione: lì dovrebbe trovarsi un accesso incustodito ai condotti energetici di
Togallia.”
Il gruppo di dissidenti romulani, al comando del Cardassiano che aveva appena inserito nel
suo Tricorder i dati del chip informazioni ricevuto poco prima, si diresse alla volta di un viale
meno convulso e popolato dai soli echi del bazar multiforme. Costantino, ancora colpito
energicamente dalle parole del contatto, quasi si perse tra le file serpentine caotiche del
grande mercato locale. Era come immerso in un mondo parallelo, un universo la cui unica
legge è l’anarchia, e l’unica chiave di sopravvivenza era nascosta nella propria fondina ancora
insanguinata. Non perse di vista gli uomini della squadra da sbarco: con gli occhi ancora
catturava le uniformi romulane inconfondibilmente grigie e severe. Le fatalità avrebbero
condotto l’equipaggio della USS Shadow ad affrontare questi pericoli, queste incognite che
tentavano di oscurare l’equazione umana con tutto il loro terrore cristallino. Però Costantino
era sicuro di qualcosa: nonostante le avversità, quella sorte malvagia che li aveva segregati
ad un’inesistenza imperante li avrebbe condotti passo dopo passo a scoprire le meraviglie che
la Galassia nasconde nel suo grembo stellato.
“Di qua, Dottore: siamo arrivati.”
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Gli ufficiali raggiunsero la bocca metallica del condotto interminabile: si trattava in realtà di un
vecchio canale energetico in disuso, un perfetto cunicolo d’accesso al regno sotterraneo di
Togallia. Dopo aver percorso rannicchiati il tunnel che portava ancora i segni del suo passato
compito, gli ufficiali romulani sbucarono nei pressi di un’area soffocata dall’odore lancinante
che rendeva irrespirabile ogni atomo di ossigeno. Il Dottore, estratta la sua comoda valigia,
tirò fuori dal cofanetto grigio perla un Tricorder medico e si incamminò in un breve percorso
circolare attorno ai suoi compagni di missione impugnando un cilindro metallico poco più
grande del suo dito indice. Ripose tutto nell’apposito scompartimento e con rapidità caricò
una siringa ipodermica con una fiala colma di un colorante denso e leggero. Dopo aver
dosato il contenuto sulle braccia degli altri Romulani, Torlek gli sibilò incerto: “C’è qualche
problema, Dottore?” Gli occhi di Costantino brillarono nell’oscurità appena illuminata dalle
pulsazioni del Tricorder attivato da Kelmes, e rispose freddo: “Vi dico soltanto che l’aria che
stiamo respirando contiene addirittura particelle di Dumper allo stato puro. Una minima
quantità, ma sufficiente per inebriare persino il più impavido dei Vulcaniani.” Joshua scrollò
rabbrividito le spalle, spaesato in una catacomba di criminali senza scrupolo. D’un tratto il suo
sangue divenne gelido come il ghiaccio invernale che si infrange e si sgretola al vento:
qualcuno lo stava puntando.
“Voi, cosa volete...?! Quell’uscita è stata vietata da anni. Identificatevi!” Dal buio dell’antro si
fece avanti la figura minacciosa di una creatura dalla pelle verde e munita di tre braccia, una
delle quali spuntava dalla colonna vertebrale. T’Maren, nascostamente disgustata da quello
spettro vivente, passò all’alieno un documento impresso su una piccola scheda magnetica: un
alto regalo del contatto federale. La creatura lo manipolò fino quasi a stritolarlo, lo squadrò
con gli occhi dalle pupille violacee ed infine lo restituì alla finta agente romulana. La terza
mano si espose verso una nuova apertura, e contemporaneamente la creatura sentenziò
ufficiosa: “Vi stavamo aspettando da alcuni giorni. Vi prego di seguirmi da questa parte.”
I membri in missione della USS Shadow erano entrati nel vivo dell’azione: camuffati da
perfetti dissidenti al servizio di un facoltoso e quantomeno corrotto senatore romulano
estremamente propenso ai traffici illeciti, avrebbero ben presto raggiunto uno dei capi di
quella misteriosa organizzazione che falciava la già convulsa quotidianità di Togallia senza
tregua. Kelmes, distanziato l’alieno dell’ingresso, fece per rivolgersi agli altri ufficiali,
mantenendo meglio che poteva una postura naturale: “Mani sui phaser quantici, signori. Non
so per quanto tempo passerà prima che si scateni un putiferio qua sotto.”
“Rapporto, Tenente Drake.”
Cassandra squadrò puntigliosa la consolle che stava controllando, e dopo pochi battiti
sull’interfaccia rispose al suo superiore: “Niente di nuovo, signore. Leggo i comunicatori della
squadra di sbarco appena sotto la capitale. Devono aver già trovato il contatto.” L’ufficiale dai
capelli soffici come batuffoli di cotone al vento si protese verso il Capitano: capiva che la
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situazione non era idilliaca. Tutto ciò che poté fare fu continuare a scandagliare l’area di
Togallia alla ricerca di qualsiasi discrepanza o pericolo che potesse mettere a repentaglio la
vita degli ufficiali in missione.
Le danze si erano aperte: adesso stava ai suoi uomini sapere se fossero in grado di stare al
gioco. Arthur non aveva mai provato quella strana sensazione di scomodità e disagio, uno
stato che lo teneva sospeso sul filo del rasoio. Osservò accigliato la sfera color ambra che si
stagliava nello spazio silenzioso, e per un solo istante avrebbe voluto attivare il suo segnale di
teletrasporto e vivere nell’angoscia dei membri del suo equipaggio. Ma questo non gli era
permesso: purtroppo, le missioni su terre sconosciute avevano la loro priorità nei riguardi del
Comandante della nave. Il Capitano Vespucci si fidava ciecamente di quelle povere anime
senza tempo che aveva adottato, e per questo fremeva ogni volta che un ronzio allarmante si
ripercuoteva nelle paratie della Plancia.
Il portello d’ingresso si aprì leggermente, e con lo stesso sibilo si richiuse a distanza di
qualche secondo. Senza nemmeno voltarsi, Arthur si alzò e si recò verso il suo ufficio:
“Tenente Tremenov, a lei la Plancia.” L’ufficiale invisibile scrollò di dosso quella patina
trasparente, materializzandosi nei pressi della giovane Cassandra. Aveva fra le mani la
poltrona di comando ed il destino della nave.
Non sapevano quanto tempo fosse trascorso da quando avevano visto l’ultimo spiraglio di
luce: nel labirinto sotterrano di Togallia c’era posto soltanto per il sole freddo e pungente del
male. Joshua, incuriosito da ogni più piccolo anfratto di quella vera e propria capitale
parallela, comprendeva la smania del contatto federale nel poter nuovamente tastare un
comunicatore: era una reliquia che non vedeva da anni. Stretto dalla morsa lenta ma mortale
che lo agguantava giorno dopo giorno, era stato costretto ad infiltrarsi tra le file dei
malviventi di Togallia per portare a termine una missione…Ma l’obiettivo si era presto
tramutato nella sopravvivenza quotidiana. Teletrasportato a bordo di una navetta federale a
poche miglia dall’invisibile nave del Capitano Vespucci, era stato catapultato ad anni luce di
distanza da quel miraggio reale di morte e violenza. Ora spettava alla squadra del
Comandante Torlek incastrare gli ultimi pezzi del mosaico e porre fine a quella missione che
diventava più ardua ogni secondo passato a cacciare le occhiate omicide degli alieni
accovacciati lungo i corridoi energetici.
Kelmes, paventando un fare sicuro, era certo che se non ci fosse stata quella guida
inconsapevole avrebbero percorso pochi passi prima di essere polverizzati alle spalle da un
folgoratore. Le luci soffocate installate ai crocicchi dei condotti marcavano i volti scheletrici di
creature appostate a qualsiasi angolo disponibile, alla ricerca disperata di un cono d’ombra e
pronti a scuoiare il primo malcapitato. Più volte il Klingon mimetizzato si era scostato dalla
parete laterale, cercando di non inciampare sopra qualche tagliagole dal grilletto facile. Quel
tanfo micidiale di violenza e dolore era quanto di più lontano dalla rigorosa etica dell’onore
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klingon: era a dir poco spregevole scrutare gli sguardi fuggevoli di quei surrogati di inciviltà e
disonore. Una mano infilata nella fodera del suo fedele Dk'tagh, procedeva spedito a capo del
piccolo gruppo che giunse poco dopo ad uno dei tanti portelli nascosti che avevano a
malapena notato lungo il percorso. L’alieno dalle tre braccia, sollevando l’arto conficcato
lungo la schiena in direzione della bocca metallica, proferì ossequioso: “Abbiate la pazienza di
attendere qualche minuto, signori. Vado ad annunciare il vostro arrivo.”
“Probabilmente non sono abituati a ricevere visite importanti…Ho letto nei suoi occhi come
una certa difficoltà. Avete fatto caso che non ci ha mai rivolto parola nel viaggio lungo i
condotti?” T’Maren, seduta sopra una protuberanza solida e compatta del soffitto della
saletta, rivolse quella sua supposizione agli altri ufficiali romulani anch’essi accomodatisi
attorno al perimetro dell’antro poco illuminato. Costantino, guardandosi attorno col suo fido
Tricorder medico, ripose le più impellenti preoccupazioni nello scompartimento remoto della
sua mente ronzante: “Non c’è nulla di preoccupante che possa danneggiarci. Sembrerebbe
quasi una sala d’aspetto per gli ospiti d’onore…” Torlek, volgendosi in direzione di un
cantuccio confuso nell’oscurità, notò alcune chiazze che corrodevano il pavimento: “…O più
semplicemente un metodo indolore per sbarazzarsi di qualche pedina scomoda, Dottore.” Le
poche certezze che gli ufficiali avevano tentato di agguantare crollarono miseramente:
Costantino, veloce come una saetta, rilevò le tracce violacee spruzzate a terra senza un
ordine logico. “Sangue. Qualcuno è stato ucciso qui dentro. E dubito che sia stato l’unica
vittima.”
Bastò un tonfo sordo e poco definito per mettere in allerta Gul Kelmes, che afferrò
chirurgicamente il suo phaser quantico celato appena sotto la cintura squamata color nero
pece, e lo fece roteare fino a coprire l’intera area attorno a lui. Soltanto un’eco lontana che si
ripercuoteva lungo le salette costruite forzatamente nei condotti energetici: il Cardassiano
ripose l’arma nella fondina, il tempo necessario per far scattare il portello da cui erano entrati.
Comparve nuovamente il volto scalfito dell’alieno dalle tre braccia, ma dietro di lui spuntò
un’ombra affilata come una lama. I Romulani, presi in contropiede da quel ritorno inatteso,
furono quasi strozzati dalla presenza di un secondo astante che ben presto rivelò la sua vera
identità.
“Benvenuti nel mio piccolo mondo, amici di Romulus. Ho saputo del vostro…Mittente.
Abbiamo da concludere qualche piccola pratica che penso possa velocizzare il vostro ritorno
dal Senatore Demetren.” Il potente trafficante, una creatura dall’aria tanto astuta quanto
scaltra, fece segno agli ufficiali della Shadow di seguirlo lungo l’ultima tappa prima dell’arrivo
definitivo.
Come un lampo accecante del tempo, Joshua si trovò scaraventato oltre i confini della realtà.
Davanti a lui c’era nientemeno che uno dei suoi esecutori: Freken, il viscido trafficante
Ferenghi incontrato sul pianeta del sistema di Nervada. E T’Maren, con gli occhi della mente,
aveva già vissuto quell’evento.
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La mente di Kelmes si appannò, squartata a morte da quell’apparizione mai immaginata.
Come poteva lo spettro del suo passato, il Ferenghi al comando della Triade di Nervada, aver
saputo sfruttare al meglio le sue capacità fino a radicare una potente organizzazione criminale
nelle viscere di Togallia? A quanto sembrava non c’era traccia degli altri due membri del
passato complotto, ma solo lui bastava per mescolare le carte in tavola. I pensieri del
Cardassiano, nel fitto scalpitare dei condotti energetici in disuso, sembrarono quasi mescolarsi
a quelli di Joshua, l’empatia feroce di una missione che unì il loro futuro nella missione
lontana nel tempo. Se solo Freken avesse visto cosa si celava sotto la finta epidermide verde
cristallo di quei Romulani adepti di un Senatore a dir poco rinomato – un vero e proprio
ricercato dalla Tal’Shiar, stando alle parole del Capitano Vespucci -, avrebbe sicuramente
messo a soqquadro l’intera base segreta e si sarebbe cercato una giusta vendetta al piano
fallito sul pianeta del sistema Nervada. Kelmes rallentò il passo e si affiancò al Guardiamarina
della Shadow fremente di poter ristabilire i conti distanti solo qualche metro: il tempo di
estrarre un phaser e fare fuoco, disgregando per sempre quella creatura riprovevole. Non
importava se anche lui avesse dettato la sua sentenza di morte: avrebbe almeno appagato il
vero artefice della sua morte a metà. L’ufficiale tattico accanto a lui, visibilmente provato da
quanto aveva capito, tese una mano verso quella di Joshua: non doveva improvvisare una
vendetta senza senso e gettare in pasto al nemico i suoi compagni. In fondo aveva già fatto
sfumare una missione importante e non aveva più saputo nulla della Squadriglia Atlantis –
nonostante l’ibernazione temporale avesse sospeso le sue cognizioni -. Non poteva
permettersi di farsi vincere di nuovo dai sentimenti umani. Osservò il Consigliere di bordo,
fiera e statuaria nell’andatura, che aveva capito cosa passava nei suoi pensieri: paura
cristallina, ma allo stesso tempo rancore, odio e rabbia.
I passi del Ferenghi erano pedissequamente accompagnati da un tintinnare cantilenante delle
decine di monili penzolanti che gli imperlavano il collo e soprattutto le orecchie paraboliche,
segno di potere e potenza tra quella massa informe ed ansimante. Freken porgeva la sua
mano sulle fronti degli alieni accartocciati e terrorizzati dalla sua presenza, quasi in possesso
di poteri taumaturgici. Aveva fatto molta strada, e con molta probabilità si era accaparrato
qualche strumento capace di distorcere le menti altrui: un solo Ferenghi non può mettere su
un impero.
All’improvviso Freken arrestò il proprio cammino, accompagnando la fermata alla mano destra
alzata solennemente. Si voltò verso i Romulani e con un’occhiata di sbieco fece vibrare la sua
voce roca e grottesca: “Benvenuti nel mio piccolo regno, amici.”
La sola pressione di un pulsante invisibile sul lato destro del finto vicolo cieco dissolse il muro
metallico davanti agli astanti, mostrando un panorama sfavillante di una brillantezza mai vista
prima: un’autentica miniera di tesori, un salone interamente ricoperto di ricchezze esotiche e
preziosità razziate senza il minimo scrupolo.
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E là in mezzo, poveramente sommerso da scrigni luminosi, si celava l’Occhio dell’Oscurità, la
pietra che aveva generato una sequenza incalzante di eventi fino a giungere alla tappa finale:
scampare alla morte o dichiarare un’ennesima disfatta bruciante e stavolta realmente
mortale.
Da alcuni minuti i Romulani si aggiravano sotto lo sguardo compiaciuto del Ferenghi, fiero di
poter mostrare i suoi anni di dure peregrinazioni stellari alla ricerca di questo o di quel
pianeta degno di nota.
Il Dottore, estraendo di nascosto il suo Tricorder, cercò di mappare l’intera area occupata
dall’immenso possedimento di Freken, tanti erano gli oggetti anche minimamente luccicanti
ammassati ai quattro angoli della sala. Si avvicinò all’orecchio di Kelmes, e questi senza far
notare lo spostamento ascoltò silenzioso, sfoggiando un sorriso falsamente compiaciuto:
“Tutto questo salone si snoda per cento metri quadrati. Le letture del Tricorder indicano una
fonte energetica appena dietro lo scranno del Ferenghi.”
L’esponente di spicco dell’organizzazione illegale, orgoglioso dei suoi ospiti stupefatti dalla sua
ricchezza immensa, appoggiò le sue braccia minute su di un trono sfavillante ed adornato da
cordoni dorati inestimabili; forse le reliquie di qualche civiltà perduta nello spazio. Passò il
palmo della mano destra sopra un pomello diamantato e si materializzarono due affascinanti
concubine olografiche pronte a soddisfare i piaceri perversi del Ferenghi. T’Maren,
sventolando un volto formale e stringendo gli occhi per allungare le labbra come se annuisse
– ma non ne conosceva il motivo reale -, si avvicinò allo scranno circondato dalle due bellezze
virtuali che stavano massaggiando i lobi dell’alieno, visibilmente caduto in un turbine di
piaceri comprensibili solo dai suoi simili. Con lo stupore del Klingon della squadra - che
avrebbe venduto l’anima a Kahless per scappare da quel covo di lussuria e disprezzo il più
velocemente possibile -, la mezza Vulcaniana si accasciò sopra un cuscino di monete dorate
appena sotto i piedi del Ferenghi: “Vede, gli amici di Demetren sono nostri amici. Il Senatore
è un suo intimo conoscente, e per questo…Sa, la vostra amicizia con uno dei più potenti
membri politici di Romulus…” Freken parve annuire: “Ma certo…Credete che il sottoscritto
Freken, Daimon di questo lussuoso covo di ricchezze, non si ricordi del suo amico
Demetren…E del fatto che lui stesso ha spedito i suoi uomini appena una settimana fa?!” Gli
ologrammi scomparvero nell’aria, e al loro posto giunsero da entrate laterali tre alieni armati
di folgoratori. Freken si alzò pesante, come se la forza di quelle sue parole gli avessero
conferito un’autorità prestigiosa. “So benissimo che voi quattro lavorate per qualche combutta
romulana…Non crederete sia così facile giocarla ad uno come me, vero?!”
I quattro ufficiali della Shadow vennero presto circondati, e furono costretti a gettare le
proprie armi a terra. In realtà avevano trovato il modo di mascherare i phaser federali.:
sarebbe stato ulteriormente complesso spiegare come fossero entrati in possesso di quella
tecnologia così avanzata.
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Ma la missione era lungi dall’essere fallita. Torlek puntò la coda degli occhi verso Kelmes: il
Dottore, un folgoratore puntato alle spalle, sapeva che quei due avevano in mente qualcosa.
Il Klingon, con uno scatto di spalle incredibile, afferrò il suo Dk’tagh nascosto nella fondina
dell’uniforme, sgozzando la guardia aliena che gli copriva l’uniforme romulana, ed in seguito
lo scagliò ancora insanguinato verso l’altra creatura che vigilava sul Consigliere. Adesso il
combattimento era tornato a vantaggio degli ufficiali federali, ma era impossibile completare
la missione. Premerono appena sotto la spalla destra, e tutti scomparvero catturati da un
misterioso raggio teletrasporto. Freken li vide dissolversi nell’aria, ma almeno aveva
preservato il sudore di anni pieni di grandi imprese.
O forse no.
Joshua, sopraffatto dal silenzio spettrale che era atterrato dopo il teletrasporto degli altri
ufficiali, sentiva soltanto il rumore ritmico e pesante del suo fiato. Si era nascosto appena
dietro lo scranno di Freken, pronto ad entrare in azione. Stavolta non voleva ripetere quanto
era successo due anni prima: afferrò il suo comunicatore atomico e disattivò il teletrasporto
automatico. Sentiva il dovere morale verso la nave che serviva – ma soprattutto verso se
stesso – di compiere quella dannatissima missione e riportare a bordo quella pietra che aveva
messo in gioco troppa gente. Per caso era stato assegnato al trasporto dell’obiettivo dopo il
compimento dell’incarico, così attese solo il momento propizio per muovere i primi passi. Vide
il Ferenghi allontanarsi ed uscire dalla sala: dopotutto non c’era bisogno di sensori dentro una
stanza in cui l’accesso era limitatissimo. Joshua iniziò la sua ricerca, ancora guardingo e
sospettoso, finché non inciampò in un oggetto contundente: era qualcosa di appuntito e
sfaccettato. Scavò frenetico nel mucchio di perle criselefantine, ed infine fu abbagliato dallo
splendore di un monile fosforescente, l’unica ragione per quella fatica immane: l’Occhio
dell’Oscurità.
“E così avete trovato ciò che vi interessava, Romulani…” Joshua raggelò quando si accorse
della voce rauca di Freken. “Quello che hai visto uscire era uno stupidissimo ologramma.
Deve nascere ancora chi
la spunta con uno come me, pivello.” La riverenza recente del Ferenghi si tramutò in un’arma
affilata che avrebbe trafitto il Guardiamarina Larsen fino al cuore. A Joshua sembrava di
rivivere quegli istanti al fulmicotone in cui era appeso alla lama rovente di Kelmes, allora
semplice infiltrato federale sul suolo cardassiano. Ancora tenendo in pugno il cilindro, il
giovane Romulano si voltò verso il nemico, un alieno che smentiva la sua statura col potere
che aveva accumulato nel tempo. Allungò le braccia come un compasso e sentenziò: “Vedi
tutto questo, giovanotto? Beh, credo che nessuno prima d’ora sia riuscito ad eguagliare la mia
ricchezza. Sappi, e questo lo dice Daimon Freken, che non esiste miglior potere che il denaro.
Potete combattere per eoni, ma alla fine la vittoria spetta a chi sa sfruttare al meglio le
occasioni. Io ho sudato per anni prima di raggiungere questo visibilio, ed il destino di questa
insulsa capitale è tra le mie mani.” Freken iniziò a ridere sadico, e la sua voce echeggiò tra i
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tesori risplendenti. Joshua fece scivolare il cilindro a terra, e con un colpo improvviso alla
cintura disattivò l’emettitore densomorfico. Sotto la scorza romulana apparve un giovane
ufficiale della Flotta Stellare: il Ferenghi rimase allibito. “Abbiamo un conto in sospeso da due
anni, Freken. Le nostre strade si incroceranno di nuovo…Ma per ora ho io la partita in
pugno.” Il Guardiamarina Larsen attese quei secondi necessari prima che lo spietato Daimon
potesse rovistare nella cantina dei ricordi, poi con un volto di sfida passò la mano destra sul
suo comunicatore: un raggio luminoso lo teletrasportò altrove, lasciando quel Ferenghi in
balia di un fantasma senza nome, un federale che aveva osato sfidare il suo colosso. Percepì
qualcosa: aveva portato impunemente con sé un frammento del tesoro. Ora, soltanto una
vendetta poteva appagare uno gesto così sprezzante da scalfire l’avidità di un Ferenghi..
Da qualche parte, in qualche recesso del pianeta Romulus, i Sacri Templari si riuniscono alla
luce delle stelle ogni tre pleniluni. E questo rituale può ancora prendere vita grazie
all’impavido coraggio di alcuni ufficiali federali che avevano rischiato tutto per far
sopravvivere la speranza di una vita migliore.
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