Choraliter n.34

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n. 34 - gennaio-aprile 2011
Rivista quadrimestrale della FENIARCO
Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali
ALLA RICERCA
DI SONORITÀ
INEDITE
Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – DL 353/2003 (conv. In L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 NE/PN
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Anno XII n. 34 - gennaio-aprile 2011
Rivista quadrimestrale della Fe.N.I.A.R.Co.
Federazione Nazionale Italiana
Associazioni Regionali Corali
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Presidente: Sante Fornasier
Direttore responsabile: Sandro Bergamo
Comitato di redazione: Efisio Blanc,
Walter Marzilli, Giorgio Morandi,
Puccio Pucci, Mauro Zuccante
Segretario di redazione: Pier Filippo Rendina
Hanno collaborato: Chiara Moro, Franca Floris,
Edy Mussatti, Nino Albarosa,
Leonardo Di Pierro, Davide Benetti,
Michele Pozzobon, Andrea Angelini,
Sergio Bianchi, Mauro Marchetti,
Michela Francescutto, Carlo Pavese,
Andrea Venturini, Gianni Bortoli
Redazione: via Altan 39
33078 San Vito al Tagliamento Pn
tel. 0434 876724 - fax 0434 877554
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In copertina: Festival di Primavera
(foto Renato Bianchini)
Progetto grafico e impaginazione:
Interattiva, Spilimbergo Pn
Stampa:
Tipografia Menini, Spilimbergo Pn
Associato all’Uspi
Unione Stampa Periodica Italiana
ISSN 2035-4851
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Federazione Nazionale Italiana delle Associazioni Regionali Corali
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tel. 0434 876724 - fax 0434 877554 - [email protected] - www.feniarco.it
n. 34 - gennaio-aprile 2011
Rivista quadrimestrale della FENIARCO
Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali
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Donne… di cori
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un genere tutto al femminile
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Chiara Moro
dar voce alle pagine
secoli di repertorio per coro femminile
popolare al femminile
Edy Mussatti
Intervista a Roberta Paraninfo
fragmentA
Efisio Blanc
Nino Albarosa
Dossier compositore
Jonathan Rathbone
Leonardo Di Pierro
17 Vem kan segla förutan vind?
36 Provare per credere!
gregoriano femminile
13 alla ricerca
di sonorità inedite
intervista a Jonathan Rathbone
portrait
Franca Floris
11 il perché di un coro
(Chi può navigare senza vento?)
Davide Benetti
40 Concorsi corali:
quali repertori e quali bandi…
Attività dell’Associazione
Mauro Marchetti
43 -3, -2, -1… Cantare è giovane!
Michela Francescutto
46 il management corale al giorno d’oggi
Michela Francescutto
48 la realtà dell’utopia
Nova et veterA
50 cronache dal futuro
21 which was the son of
La genealogia di Gesù Cristo
secondo Luca (3, 23-38): una lettura
musicale di teologia della storia
Michele Pozzobon
29 Tõnu Kaljuste allo specchio
Andrea Angelini
canto popolare
in una composizione corale
Sergio Bianchi
edizione estate 2022
Carlo Pavese
cronacA
52 applausi al concorso di maribor
Andrea Venturini
54
Notizie dalle regioni
Rubriche
INDICE
32 L’osservazione dei parametri musicali
Assemblea Feniarco a castelfranco veneto
Sandro Bergamo
56 Discografia&Scaffale
62 Lettere al direttore
64 Mondocoro
un genere
tutto al femminile
di Chiara Moro
direttore del coro femminile
clara schumann
Dirigo il coro femminile Clara Schumann da quasi trent’anni, infatti il prossimo ottobre
festeggeremo il trentennale. È una formazione femminile attualmente composta da circa venti
elementi, donne di età compresa tra i trenta e i cinqunt’anni. Quando ho formato questo coro,
allora denominato Corale S. Pio X, l’intento era quello di riunire un gruppo di ragazze teso al
servizio liturgico nella chiesa della parrocchia di nostra appartenenza. È proprio in seno a una
chiesa che spesso nascono i cori amatoriali dove si vedono protagonisti nelle celebrazioni
liturgiche, dapprima con l’esecuzione di semplici canti adatti al popolo e poi, attraverso uno
studio più accurato, con l’esecuzione di brani più complessi, come quelli di genere polifonico.
Così è stato per noi: alla base stava l’animazione del servizio liturgico e non avevamo delle
motivazioni specifiche per formare un coro prettamente femminile. Poi ha fatto seguito uno
studio più approfondito sul genere femminile, sul suo percorso storico, gli autori. Sempre più
nutrita da esperienze musicali, maturate nel tempo assieme alle mie coriste, potrei dire di aver
colto quali sono alcuni degli elementi che determinano e caratterizzano questo genere di coro.
Innanzi tutto riflettiamo sull’origine del coro femminile. Mentre si trovano accenni sull’esistenza
di cori femminili in Italia e Francia nei secoli precedenti all’800 (soprattutto nell’ambiente sacro
e di corte), sicuramente il coro femminile si affermò nel periodo del Romanticismo tedesco.
Alla fine del XVIII secolo si parla di “voci femminili” e non di “cori femminili”, in quanto questa
accezione non era diffusa al tempo. Mi riferisco agli anni in cui Franz Schubert (1797-1828) si
dedicò alle composizioni a più voci, con o senza accompagnamento strumentale, definite come
Chorlieder, composizioni cioè destinate alle società corali “amatoriali”, indipendenti dall’ambito
teatrale o ecclesiastico. Il genere compositivo del Chorlied aveva riscosso un immediato favore
in tutti i paesi tedeschi a partire dai primi dell’Ottocento, ma rimase a lungo prerogativa dei cori
virili. Solo nel 1839, con Felix Mendelssohn, si avranno i primi Chorlieder per coro misto, e più
tardi, con Robert Schumann e Johannes Brahms, Chorlieder per coro femminile. Decisivo per lo
sviluppo qualitativo dei cori femminili fu il fatto che molto spesso i compositori fungevano
anche da direttori musicali. Qui devono venir senz’altro ricordati Johannes Brahms, Robert
Schumann, Robert Franz ma anche altri autori come Richard Barth, Alexis Hollaender, i quali
furono attivi in questa doppia funzione.
A questo proposito è da ricordare il famoso Hamburgischer Frauenchor, fondato da Johannes
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Brahms, formato da ventotto signore e fanciulle di Amburgo.
Un coro amatoriale ma, a quanto si apprende dalle cronache
dell’epoca, di altissimo livello. La stessa Clara Schumann, da
poco vedova di Robert Schumann, tutte le volte che
soggiornava per qualche tempo ad Amburgo, trovava
immensa gioia a cantare assieme alle brave allieve di Brahms.
Nel 1860 questa società corale era così bene avviata che
divenne una delle istituzioni più attive della vita musicale di
Amburgo, a tal punto da dotarsi di uno statuto, redatto dallo
stesso Brahms. Ritengo interessante, nonché divertente,
presentarlo, a chi non lo conosce, nella sua integrità.
Avvertimento. Atteso che va tutto a vantaggio del piacere che
le cose si svolgano in modo ordinato, viene dai presenti
annunciato e fatto conoscere a tutti gli spiriti curiosi,
desiderosi di diventare e rimanere membri dell’ottimo e
soavissimo Coro Femminile, che essi devono controfirmare in
toto gli articoli e i paragrafi del presente documento prima di
potersi vantare di portare il titolo sopra indicato e di
partecipare a questo piacere e divertimento musicali.
A dire il vero avrei dovuto trattare questo argomento da
molto tempo, ma atteso che canteremo dall’inizio di questa
ro
mite primavera fino alla fine dell’estate, è tempo che questo
scritto veda la luce.
Pro primo, si fa osservare che le aderenti al Coro Femminile
devono essere presenti.
Ciò significa che esse devono costringersi regolarmente ad
assistere alle riunioni e agli esercizi della società corale. E se
qualcuna non osserva debitamente questo articolo e le
capita, Dio non voglia!, di contravvenirvi, costei, avendo
saltato un intero esercizio sarà punita con un’ammenda di 8
scellini (al corso di Amburgo).
Pro secundo, le aderenti al Coro Femminile dovranno essere
presenti.
Il che significa che dovranno essere sul posto esattamente
all’ora stabilita.
3
D’altra parte se qualcuna si trova in contravvenzione per non
aver potuto fare la dovuta riverenza o perché giunta alla
società con un ritardo di un quarto d’ora, sarà punita con
un’ammenda di 2 scellini (al corso di Amburgo).
Pro tertio, il denaro così raccolto verrà distribuito ai poveri,
ed è auspicabile che non ricevano troppo.
Pro quarto, si fa osservare che la musica manoscritta è
ampiamente affidata alla discrezione delle signore. Per
questa ragione dovrà essere trattata con amore e bontà dalle
onorevoli e virtuose dame, sposate o no, in quanto proprietà
altrui, e non dovrà in alcun modo uscire dalla società.
Pro quinto, le signore che non possono cantare sono
considerate neutrali; ovvero si potranno accettare degli
uditori, ma si fa osservare, pro ordinario, che in tali casi l’uso
di questo diritto non può degenerare.
Il presente proclama è reso pubblico e portato a conoscenza
di ognuno dal presente decreto generale e avrà forza di legge
fino a quando il Coro Femminile non sarà disciolto.
E non dovrete limitarvi a osservare quanto sopra
scrupolosamente, ma dovrete fare ogni sforzo possibile
perché in nessun caso le altre vi contravvengano.
A chi di diritto: tale è il nostro avviso, attendiamo la vostra
desiderata e giudiziosa approvazione.
Con profonda devozione e venerazione del Coro Femminile, il
suo sempre servizievole e metronomo, Johannes Kraisler jun.,
alias Brahms.
Addì lunedì 30 del mese di aprile del 1860.
Tutti i cori, femminili e non, dovrebbero considerare questo
statuto, poiché veramente attuali sono gli argomenti trattati
in esso!
Questa premessa sull’origine del coro femminile fa riflettere
sul fatto che quando si parla di questa compagine corale è
inevitabile focalizzare uno specifico periodo storico.
Conseguente è poi la proposta di repertorio attraverso la
quale il complesso si esalta in uno stile che gli appartiene con
maggior dimestichezza nell’esecuzione offrendo, nel
contempo, uno scenario di naturale movimento espressivo.
Ciò non significa che un coro femminile non possa cimentarsi
in esperienze esecutive di altri repertori e generi, come la
musica del ’500-’600 oppure il periodo contemporaneo, il
sinfonico corale piuttosto che il folclore, ma semplicemente
credo sia importante avere la consapevolezza di quali siano le
radici da cui è nata questa entità chiamata coro femminile,
ponendo attenzione alle successive evoluzioni storiche e le
relative composizioni dei brani per questo tipo di realtà
corale, al fine di ottimizzare la scelta del repertorio da
eseguire. Sostanzialmente si tratta di scoprire la “culla” che
storicamente ha accolto il coro femminile, di cercare gli
elementi interpretativi che costituiscono l’humus prezioso in
cui ha vissuto e vive tuttora questa realtà corale. Ogni
formazione corale tende poi, nella sua storia, a prediligere un
periodo storico che magari lo affascina di più, o che
semplicemente ritiene, ai fini dell’interpretazione, più consono
alla propria capacità e preparazione vocale, fino a
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specializzarsi in quel determinato repertorio. Nella mia
esperienza, pur avendo affrontato generi musicali diversi, per
studio ma anche per divertimento, devo constatare che solo
attraverso il repertorio romantico il coro è riuscito a tracciare i
veri profili e la vera natura del coro femminile, trovandosi a
proprio agio sia dal punto di vista vocale sia da quello della
naturale dinamica espressiva che lo stile romantico offre.
Talvolta la scelta del repertorio può essere un problema per il
coro femminile, nel senso che la produzione di composizioni
per questo genere di coro è sicuramente minore rispetto a
quella per coro misto o virile. Andando indietro nel tempo
basta infatti dare un rapido sguardo alla produzione corale di
Franz Schubert per cogliere l’assoluta preponderanza di brani
per coro maschile rispetto all’esiguo numero di
brani per coro misto – una decina in tutto – per lo
più di contenuto sacro-celebrativo. Per quanto
concerne i brani scritti per voci femminili, essi si
limitano addirittura a quattro.
Da qui si capisce che, pur avendo una discreta
produzione di composizioni di liederistica di vari
autori, per lo più romantici, le composizioni per coro
femminile sono quantitativamente minori.
Il coro femminile, classificato come coro a voci
pari, in genere si presenta con un organico
suddiviso a tre o quattro voci in: soprani, mezzosoprani, contralti oppure soprani I, soprani II, alti I, alti II.
Nella divisione delle sezioni è importante che la scelta degli
elementi che la compongono avvenga sì in base all’estensione
vocale del singolo cantore, ma soprattutto considerando
attentamente il timbro della voce, elemento fortemente
caratterizzante la sezione alla quale verrà affidata la linea
melodica. Il coro femminile, poi, richiede delle caratteristiche
specifiche riguardo la timbrica e l’estensione vocale, molto
diverse rispetto alle sezioni corali miste o virili.
Prendiamo in esame, per esempio, le differenze del contralto
nel coro misto e il contralto nel coro femminile. Nel primo
caso il contralto si identifica di più in un mezzo-soprano, sia
per l’estensione che va dal sol-la3 al re-mi5, sia per il colore
timbrico generalmente più chiaro; nel secondo caso il
contralto offre un colore più scuro, un’emissione profonda, e
deve generare suoni di un determinato spessore anche molto
gravi come il mi o il re3, che ascendono poi fino al mi5. Ne
sono dimostrazione alcune pagine di J.G. Rheinberger come
Im Erdenraum oppure in Die alte Tanne, dove il contralto deve
affrontare i mi-mib garantendo pienezza di suono arricchito di
armonici: queste note costituiscono il “pedale” sul quale si
appoggiano verticalmente i suoni delle altre sezioni, un po’
come avviene nel coro virile o misto con la sezione dei bassi,
o addirittura, strumentalmente parlando, con il “bordone”
dell’organo. Stessa cosa vale per il soprano. Le partiture
richiedono un’estensione ampia e l’esecuzione nitida di note
molto acute come il fa5-sol5-la5 in modo costante. Ne è
esempio Gott in der Natur di Franz Schubert, dove viene
richiesto un notevole impegno, sia ai soprani II che ai soprani
I, nel registro acuto, con un’ascesa fino al do6.
A differenza del coro virile, che esegue le partiture all’ottava
inferiore, per formazione vocale naturale, il coro femminile
emerge con una linea melodica costruita su suoni di giusta
altezza. Suoni chiari, bianchi, che se non impostati bene,
potrebbero risultare taglienti e o addirittura fastidiosi
all’orecchio dell’ascoltatore. Più evidenti, tanto da attirarne
l’attenzione, sono classicamente i suoni acuti che, se non
vengono emessi in modo nitido e curati, possono creare i
classici battimenti all’interno della sezione, e quindi risultare
sgradevoli a chi ascolta.
Inizialmente cantare nel coro femminile, per chi è reduce da
una esperienza nella formazione mista, dà una sensazione di
vuoto… di essere allo scoperto… si percepisce la mancanza di
Per ottimizzare la scelta del
repertorio, si tratta di scoprire
la “culla” che storicamente ha
accolto il coro femminile.
quello schermo, quasi protettivo, che la forza della voce
maschile offre producendo i suoni all’ottava inferiore. Se il
coro maschile e quello misto si riconoscono per il notevole
impatto sonoro dai volumi importanti, quello femminile non è
da meno. Basti pensare alle composizioni di straordinaria
ampiezza a sei, otto e dieci voci del lettone Veljo Tormis,
dell’ungherese Lajos Bardos, del tedesco Robert Schumann e
di tanti altri, in cui la raffinata ricerca della dinamica viene
portata all’estremo. Tutto ciò è esempio di come il coro
femminile sia in grado di eseguire pagine corali di grande
valore interpretativo e di straordinaria intensità sonora, tanto
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quanto i cori misti o virili. Anzi, riesce a esprimere passionalità intensa e sentimenti intimi e delicati.
E poi, come tutte le formazioni corali, anche quella femminile presenta le sue difficoltà. Quando le
coriste diventano mamme, ad esempio. Ovviamente devono congedarsi per un periodo più o meno
lungo e di ciò il coro risente non poco. La loro assenza crea un vuoto tale da impedire il raggiungimento
di quella completezza sonora necessaria al fine di ottenere al massimo la produzione dei suoni armonici
(problema, questo, decisamente più risolvibile nei cori misti). Ciò accade soprattutto nei cori
dall’organico più ristretto, dove ogni voce è come un tasto del pianoforte: se viene a mancare… mancano
gli armonici. Se poi tre o quattro coriste rimangono incinte nello stesso anno (caso a noi capitato!) ci si
trova veramente in difficoltà. Nel prosieguo si aggiungono assenze più frequenti dalle prove di coro
perché la corista donna è mamma al 100%, dovendosi assumere responsabilità maggiori, rispetto alla
figura maschile, nell’accudire i figli, nel seguire la loro crescita ecc. Se il bimbo sta male e ha la febbre…
la mamma sta a casa! Se il figlio deve studiare e non ha terminato i compiti… la mamma sta a casa!
E poi la mamma velocemente deve
preparare la cena prima di venire alle
prove, magari accompagnare a casa il
genitore anziano o bisognoso di cure;
la mamma fa da taxi per portare e
prendere i figli dagli allenamenti
sportivi, e così via. E forse alle nove
o nove e mezzo riesce a raggiungere
la sede del coro… magari incassando
pure il rimprovero del direttore di
coro che sottolinea il suo ritardo.
È naturale e forse inevitabile che la
donna abbia questo ruolo
fondamentale nel nucleo familiare, ma tutto ciò chiede alla corista mamma grandi sacrifici per poter
continuare a partecipare all’attività corale. Lodevole, quindi, e degno di plauso quell’impegno che tante
coriste mamme si assumono con grande sforzo per amore della musica. A seguito di questi problemi,
sicuramente il coro femminile è più penalizzato rispetto ad altre formazioni, e spesso è costretto a
rinunciare a trasferte per partecipare a concerti o a concorsi. Infatti, se più di qualche corista si trova in
difficoltà per motivi di lavoro, famiglia o figli, il coro non può esibirsi causa parte dell’organico assente.
Ciò riguarda sicuramente quei cori femminili amatoriali formati da donne di età media, con l’organico
stabile e collaudato, nel quale è difficile un rimpiazzo in quanto la fusione e l’intesa tra le coriste
ottenuta negli anni hanno caratterizzato e determinato il complesso. Ovviamente cori femminili
dall’organico più numeroso composto da quaranta-cinquanta elementi, come le splendide formazioni che
provengono dall’est (Lettonia, Lituana, Ungheria, Finlandia ecc.), o cori femminili dalle voci giovanili,
magari sorti all’interno di scuole di musica dove è garantito un ricambio e/o un potenziamento
numerico, non hanno questo tipo di problema da affrontare.
Per concludere… penso che questo genere tutto al femminile nasconda una bellezza raffinata e intima,
legata a quell’affascinante epoca chiamata Biedermeier. Epoca in cui nell’ambito di circoli ristretti
avveniva l’esecuzione di buona parte della musica di Franz Schubert, affidata a piccoli organici (come i
nostri cori femminili!?…) e al di fuori dell’ufficialità delle sale da concerto.
Proviamo a immaginare casa Fröhlich, dall’atmosfera cordiale e intima, dove Anna, la maggiore di
quattro sorelle, pianista, concertista e insegnante di canto presso il Conservatorio della Società degli
Amici di Musica di Vienna, accoglieva nel suo salotto artisti, poeti, musicisti tra i quali anche Schubert,
ormai ben conosciuto nei circoli borghesi e artistici per i suoi Lieder e la sua musica da camera.
Guardiamo da lontano quella scuola di canto organizzata da Anna Fröhlich, dove lei si prefiggeva di dare
l’educazione musicale, e dove presentava la musica corale in concerti e serate musicali in cui le sue
alunne avevano raggiunto un notevole livello qualitativo, anche grazie alle composizioni di Schubert
scritte per loro.
Oppure… facciamoci trasportare in un luogo dall’atmosfera più mistica e religiosa, pensando a Felix
Mendelssohn, quando in uno dei suoi viaggi in Italia compose dei Mottetti (op. 39) ispirandosi al canto
eseguito da alcune monache, quelle monache dalle voci dolci, tenere e commoventi, abituate a cantare il
responsorio. Quelle donne che non è concesso vedere…
Questo è il coro femminile.
Questo genere tutto al femminile
nasconde una bellezza
raffinata e intima, legata
a quell’affascinante epoca
chiamata Biedermeier.
6
dar voce alle pagine
secoli di repertorio per coro femminile
di Franca Floris
direttore del complesso vocale di nuoro
Basandomi sulla mia esperienza di direttore di un coro a
voci miste che ha lavorato e continua a lavorare anche
con le sezioni separate, proverò a suggerire, a chi si
occupa di istruire un coro femminile, come affrontare la
scelta di un repertorio.
È evidente che prima di allestire un qualsivoglia
repertorio, sia esso popolare, colto, sacro, profano,
gregoriano, pop, il direttore deve conoscere le possibilità
tecniche del proprio gruppo e mettere in atto tutte le
strategie in suo possesso per migliorare questo aspetto
di basilare importanza, poiché il coro, qualunque sia il
repertorio, deve essere sempre in grado di mantenere
una buona intonazione e le coriste in possesso di un
sicuro e consapevole controllo della propria voce.
Ho pensato di analizzare in modo molto veloce,
sicuramente non esaustivo ma, spero, non superficiale,
alcuni periodi e generi che meglio conosco: il canto
gregoriano, la prepolifonia e la polifonia medievale, il
mottetto, il madrigale e altre forme profane, il Lied
romantico, il Novecento e il XXI secolo.
Il canto gregoriano
Molto adatto per l’inizio di una prova, capace di
permettere al coro un legato utile non solo all’esecuzione
del repertorio gregoriano stesso ma anche per tutta la
musica corale in generale. Antifone, salmi, graduali,
alleluia tratti dal Graduale Triplex o da altre raccolte,
aiutano a risolvere problemi d’intonazione, particolari
difficoltà tecniche vocali e tornare utili per l’allestimento
di un programma che abbia come tema il Natale, la
Pasqua, la Settimana di Passione, la Risurrezione, la
figura della Madonna solo per fare qualche esempio.
Ancora, sapientemente alternati a mottetti rinascimentali
e contemporanei, sono capaci di creare una affascinante
atmosfera sonora e concedono un po’ di tregua
all’organo vocale che spesso lavora su tessiture o troppo
acute o troppo gravi.
Reincontrarsi in un unisono corale durante concerti di
grande impegno vocale fa bene a chi canta, in primo
luogo, ma anche a chi ascolta.
Interessante ho trovato lo studio e l’esecuzione di brani
tratti da raccolte quali il Codex “Las Huelgas” che offre
esempi di conductus e mottetti di grande cantabilità
talvolta di non facile esecuzione vocale e ritmica ma
molto coinvolgenti e stimolanti per la compagine corale;
penso a un Victimae paschali laudes che alterna versetti
della sequenza in canto piano ad altri nei quali alla
melodia conosciuta (quindi un buon punto di partenza)
viene contrapposta una seconda voce; al Salve sancta
parens, mottetto politestuale di semplice esecuzione ma
di sicuro effetto, al più complesso conductus Mater
patris et filia.
Oltre al citato Las Huelgas, il Codex Calixtinus, quello di
Bamberg, il Llibre Vermell di Monserrat, le composizioni
di Hildegarda von Bingen e i codici manoscritti che si
trovano nelle raccolte delle nostre chiese e biblioteche
contengono tropi, sequenze, conductus, rondellus che
opportunamente scelti in base alle possibilità del proprio
coro, possono essere felicemente inseriti nel repertorio
di un coro femminile.
Canto sacro rinascimentale e barocco
Si potrà obiettare che tutto questo repertorio non
andrebbe eseguito dagli ensemble femminili visto che,
come è noto, le voci femminili non facevano parte dei
cori.
Ma per un gruppo polifonico femminile, come d’altronde
per un coro a voci miste, rinunciare a un patrimonio di
tale portata e bellezza per non urtare la sensibilità
filologica (sacrosanta, ben inteso!) di alcuni sarebbe un
delitto.
I direttori conoscono le difficoltà che l’esecuzione al
femminile del mottetto rinascimentale presenta, i limiti
vocali dovuti all’insistere su suoni in zone di passaggio
di registro sia per i soprani che per i contralti, ma la
duttilità della voce umana ci consente di sperimentare,
metterci alla prova e se lo studio è serio e meticoloso i
risultati e le soddifazioni non mancheranno.
Non c’è che l’imbarazzo della scelta!
Già, ma è proprio la scelta che spesso è difficile fare,
vuoi per la vastità del repertorio sacro di quei secoli,
vuoi per la quantità di tempo che occorre per effettuarne
una adeguata alle possibilità del gruppo. Riproporre
brani già sentiti nei concerti o nelle raccolte
discografiche ci appare allora quasi come unica
soluzione.
Quanta bella musica musica si può ancora scoprire
dedicando un pò del nostro tempo alla lettura di brani
non solo di autori noti quali Palestrina, di Lasso, da
Victoria ma anche meno noti, e quanta soddisfazione a
eseguire magari per la prima volta in epoca moderna un
mottetto destinato altrimenti a rimanere inascoltato!
dossIER
La scelta, lo studio e l’esecuzione di una composizione
di cui non abbiamo sentito esecuzioni dal vivo o
registrazioni discografiche è un lavoro lungo e
coraggioso ma anche stimolante e non mancherà di
procurare una certa soddifazione nel direttore e nelle
coriste.
I Bicinia di Orlando di Lasso, solo per citare un autore
noto, costituiscono un buon punto di partenza per un
coro che si voglia accostare gradualmente alla
polifonia antica sia sacra che profana e il loro valore
musicale non si limita a soddisfare le esigenze
pedagogiche per cui furono composti.
Anche la polifonia profana rinascimentale offre diversi
esempi di brani corali eseguibili dai gruppi femminili:
chansons, villanelle, canzonette, madrigali che si
possono e si devono studiare; il fatto che gli organici
di allora fossero di solisti professionisti e ben
preparati non ci deve far sentire inadeguati: perché
non regalarci la gioia di cantare un madrigale o una
canzonetta?
Allora via a cercare tra le numerose antologie esistenti
in commercio, domandare alle biblioteche dei cori
amici o che fanno riferimento alle sedi regionali corali,
oppure navigare su internet: siti quali cpdl e Petrucci
Library presentano un’interessante scelta di brani sacri
e profani per ogni formazione corale: a 2 soprani, per
soprano e contralto, 3 soprani, 2 soprani e un
contralto fino alla formazione “classica” che divide il
coro in due parti di soprano e due di contralto.
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Brani di Palestrina, Aichinger, Morley, Festa, di Lasso,
da Victoria, Telemann, Monteverdi, Guerrero, Bellasio
e tanti altri autori dei secoli d’oro della polifonia sono
a disposizione di tutti i cori che non si vogliono
limitare a eseguire i soliti brani già sentiti.
I due maggiori siti internet che conosco e nei quali
siano consultabili una grande quantità di brani corali
sono cpdl e Petrucci Library: nel sito Petrucci abbiamo
a disposizione le edizioni in commercio o fuori
commercio e sembra di sfogliare i libri, le antologie
musicali come se fossimo seduti in biblioteca.
In cpdl, ricchissimo sito corale, consiglio di prestare
l’attenzione dovuta perchè talvolta le trascrizioni
presentano qualche imprecisione rispetto alle edizioni
originali, ma vale la pena utilizzare questa
straordinaria risorsa.
Numerosi esempi di polifonia sacra e profana del
XV-XVI e XVII secolo con le trascrizioni per voci
femminili assolitamente affidabili dal punto di vista
filologico si possono trovare sulla Cartellina (e negli
interessanti Quaderni della Cartellina curati da insigni
musicologi quali G. Acciai), rivista italiana di canto
corale che offre anche suggerimenti per una
esecuzione il più possibile fedele (consultare le
edizioni passate fin dal 1983!).
Un ultimo suggerimento che mi permetto di dare a chi
si occupa di guidare un coro femminile è quello di non
saltare a piè pari questi secoli perchè con il fatto che
Provarli, i brani,
non lasciarli lì
a rimanere pagine per sempre.
«non è stilisticamente corretto» (polifonia sacra), ma
«si canta con solisti» (madrigali) e così via si rinuncia
a godere di musica straordinaria, di notevole pregio
artistico, che allarga le possibilità vocali di un singolo
cantore, di un settore e di tutto un coro.
Forse è di difficile esecuzione: questo sì è vero!
Per chi non se la sente di affrontare un simile
repertorio in concerto potrebbe essere interessante
anche riservarne il suo uso, almeno per un certo
periodo di tempo, esclusivamente a scopo didattico e
già questo sarebbe un punto di arrivo (o di partenza?).
Anche il secolo XVIII offre interessanti spunti per un
concerto con il gruppo femminile; viene subito in mente
lo Stabat Mater di Pergolesi che, sebbene scritto per
due voci femminili soliste, spesso viene eseguito con
un intero coro oppure affindando al coro le parti più
corali per definizione quali la fuga finale: una vera
soddisfazione per le voci sostenute dagli archi.
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E ricordiamoci anche che tutta la l’opera corale di Vivaldi,
anche se scritta per coro misto, veniva eseguita dalle “putte”
dell’Ospedale della Pietà di Venezia famose per le loro
raffinate esecuzioni.
Il Lied romantico
Anche il XIX secolo ci offre tanto materiale, facilmente
reperibile e di straordinaria varietà e finalmente scritto
appositamente per le voci femminili. Il sorgere, soprattutto nei
paesi di lingua tedesca, di accademie corali che riunivano
signorine e signore della borghesia molto interessata alle arti
in generale e alla musica in particolare, il ritrovarsi nei salotti
a declamare poesie, suonare con Schubert, cantare un Lied di
Schumann accompagnati al piano magari dalla stessa Clara, o
dal giovane Brahms favorì il continuo nascere di brani dedicati
a cori femminili; brani popolari di esecuzione mediamente
facile ma anche di un certo spessore vocale.
Per citare solo i maggiori esponenti di questo periodo vorrei
ricordare:
– di F. Schubert le splendide composizioni con
accompagnamento di pianoforte: Gott ist mein Hirt (Psalm
23); Gott in der Natur; Coronach; Standchen nella seconda
versione (la prima è per contralto e coro maschile);
– di R. Schumann le Romanzen n. 69-75-91 (acc. di pf ad
libitum) piccoli capolavori della letteratura corale;
– di J. Brahms: Ave Maria op. 12 con accompagnamento
orchestrale o del solo organo; l’opera 17 Vier Gesänge per
coro femminile, due corni e un’arpa, che permette anche
l’esperienza con un accompagnamento strumentale insolito
e di grande impatto sonoro;
– ancora l’opera 27 Salmo XIII a tre voci femmili e organo (o
pianoforte);
– l’opera 37 Drei geistliche Chöre per coro femminile a
cappella;
– l’opera 44 Zwölfe Lieder und Romanzen per coro femminile
con pianoforte ad libitum e infine i Tredici canoni
dell’opera 113.
Unico ostacolo, facilmente superabile con un po’ di sano
esercizio, quello della lingua che se fatto bene, magari con un
esperto, aiuterà non poco anche per una corretta emissione
vocale. Anche la traduzione letterale del testo diventa
indispensabile e deve essere pienamente posseduta affinchè il
coro sappia sempre cosa canta e possa quindi partecipare
attivamente e non meccanicamente all’interpretazione e alla
resa finale del brano.
Il XX secolo
Anche questo secolo riserva tantissimo materiale
specificatamente composto per cori femminili. Operare delle
scelte non è cosa facile ma da qualcosa bisogna pur iniziare e
dunque suggerisco il nome di alcuni musicisti che hanno
dedicato una particolare attenzione alla coralità femminile che
in questo secolo si fa più forte e matura grazie all’esperienza
dell’Ottocento e al proliferare di associazioni corali che
coincidono con l’emancipazione femminile.
Partendo da A. Caplet (1878-1925) autore di una bellissima
Messe a trois voix e delle interessanti nonchè pregevoli
Inscriptions champêtres per tre soli (s, ms, a) e coro femminile
a tre voci raramente eseguite.
Di A. Roussel (1869-1937), uno dei più significativi musicisti
francesi del primo Novecento, allievo di V. D’Indy e influenzato
da C. Debussy, capace di una scrittura molto raffinata e
attenta al testo, il Madrigal aux Muses per coro a tre parti su
una lirica di G. Bernard.
L’opera corale di F. Poulenc (1899-1963) è molto conosciuta,
apprezzata ed eseguita; per quanto riguarda il coro femminile
ricordo i bellissimi Petites voix per coro di bambini o femminile
a tre voci; le Litanies à la Vierge Noire de Rocamadour per
coro femminile o di voci bianche e organo (o archi e timpani) e
il mottetto a tre voci Ave verum corpus.
Dello sfortunato H. Distler (1908-1942), conosciuto soprattutto
per la sua produzione corale e per il suicidio compiuto a soli
34 anni per sfuggire alla tragedia della guerra, ricordo il
bellissimo Lied vom Winde dai Mörike-Chorliederbuch op. 19,
ma interessante sarebbe andare a frugare anche fra la musica
sacra di questo sfortunato giovane compositore, nella quale si
possono trovare begli esempi
di mottetti e pezzi liturgici
per coro femminili.
Della ricca produzione corale
di Z. Kodály (1882-1967) si
possono citare i bellissimi
Quattro madrigali italiani per
coro femminile; le diverse
edizioni di Hegyi Éjszkák
(Notti di montagna), l’Ave
Maria e tutta la produzione
didattica dei Bicinia e Tricinia
Hungarica dalla quale si può
attingere a piene mani
(interessante potrebbe essere
allestire un programma che
metta a confronto i Bicinia e
Tricinia di Kodály con quelli rinascimentali già citati di
O. di Lasso e altri autori).
Non mi soffermo sulla produzione contemporanea d’oltralpe
perché, forse con un pizzico di campanilismo del quale non mi
vergogno, mi interessa maggiormente la produzione per coro
femminile dei compositori italiani contemporanei molto attivi
in campo corale: M. Fulgoni (1949), G. Bonato (1961),
M. Zuccante (1962), A. Basevi (1957), P. Caraba (1956) solo per
citare quelli di cui eseguo chanson, mottetti, brani per coro
spazializzato e quant’altro. Abbiamo in Italia tanti altri
validissimi compositori anche di ultima generazione e per
questo basta soffermarsi con attenzione tra le pagine delle
varie antologie messe a disposizione da Feniarco e dalle riviste
corali specializzate. Provarli, i brani, non lasciarli lì a rimanere
pagine per sempre: dar loro colore, calore, voce, vita!
p
dossIER
9
popolare
al femminile
di Edy Mussatti
direttore del coro femminile
vivavoce
La mia trentennale esperienza nell’ambito del
canto corale mi ha portato più volte a
confrontarmi con il significato attribuito al
concetto di “popolare”. Opinione di alcuni è che
si debba intendere come canto popolare il canto
esclusivamente legato alla tradizione, cantato
spontaneamente nelle versioni, anche a più voci,
tramandate oralmente. Personalmente ritengo
invece che per canto popolare si possa
considerare tutto il variegato repertorio di
ispirazione popolare, che comprende
elaborazioni/armonizzazioni sui temi popolari o
su testi di fonte popolare, composizioni d’autore,
composizioni musicali e/o testuali di ispirazione
popolare e anche canzonette e brani di musica
leggera o del folclore che sono ormai entrati
nella memoria collettiva. Ciò a conferma del fatto
che la categoria popolare non può essere
ancorata a un periodo o a un genere definito a
priori, ma ingloba tempi, spazi e caratteristiche
variegate che sono in continua trasformazione e
che subiscono l’influenza dell’evoluzione del
gusto come delle tendenze delle differenti
epoche storiche.
Fatta questa premessa, tanto con il coro virile La
Rupe di Quincinetto (Torino) che ho diretto dal
1982 al 2008, quanto con il coro femminile
VivaVoce di Donnas (Aosta) che dirigo dal 2001,
ho indirizzato le mie scelte di repertorio popolare
verso gli ambiti sopracitati, offrendo alle due
formazioni l’opportunità di affrontare un
repertorio molto vario e stimolante. La mia
personale esperienza mi ha inoltre dato modo di
sperimentare le potenzialità delle differenti
sfumature dello strumento coro che, se
innegabilmente offre la sua più completa
espressione nella formazione mista, permette
comunque originali e interessanti interpretazioni
anche con le voci pari.
Limite alla capacità espressiva della formazione
femminile è la minore estensione vocale che
quasi impone l’esecuzione prevalentemente a tre
voci in considerazione della difficoltà con cui si
riescono ad affrontare i canti a quattro voci.
Evidentemente tale restrizione condiziona anche
le opportunità del repertorio che si presenta, per
la formazione femminile, molto circoscritto e
difficilmente reperibile. La più contenuta
estensione vocale dell’insieme femminile offre
forse minori stimoli alla creatività di compositori
e armonizzatori che con meno frequenza si
impegnano nella produzione di opere destinate
esclusivamente a cori femminili. Davvero
importante è pertanto il contributo che la
regione Valle d’Aosta, da anni, dà alla coralità e
alla musica popolare destinando risorse
considerevoli al recupero e all’armonizzazione di
canti della tradizione. È stato questo l’impulso
che ha prodotto raccolte con armonizzazioni di
valenti musicisti tra i quali Paolo Bon, Angelo
popolare
10
Mazza, Armando Franceschini, Sergio Gianzini che, oltre ad
arricchire e valorizzare il repertorio corale, hanno riportato alla
luce piccoli capolavori in lingua francese, in patois (dialetto
francoprovenzale) e in tisch (dialetto Walser della Valle di
Gressoney), testimoni del folclore valdostano.
In merito invece alle difficoltà di apprendimento dei canti
composti per formazione femminile non credo che sia possibile
individuare differenze rispetto alle altre formazioni, se si
esclude la maggiore rapidità di assimilazione data dal numero
inferiore di voci in partitura. Infatti nella maggior parte delle
realtà corali – e la nostra non fa eccezione – il lavoro di
apprendimento è affidato soprattutto all’imitazione da parte
del/della corista di ciò che il direttore propone. Tale fase è uno
stadio fondamentale soprattutto per i gruppi che hanno
ancora poca esperienza e per i quali è necessario dedicare
particolare attenzione al momento di imprinting, durante il
quale il direttore deve utilizzare il suo talento per suggerire,
con modalità accessibili ai differenti livelli di abilità vocale
raggiunta, un corretto uso della voce oltre che un chiaro e
Negli anni di collaborazione con il VivaVoce ho potuto
verificare come prerogativa di questo coro sia quella di
imparare autonomamente brani di carattere popolare che, per
particolare passione di alcune coriste, vengono cantati anche a
più voci con armonizzazioni spontanee. Così accade che,
durante i momenti di festa, di intrattenimento e soprattutto
dopo i concerti, canti, che variano dalla canzone più
folkloristica tramandata dagli anziani, alle più recenti e note
canzonette della musica leggera, sgorghino come una
spontanea dimostrazione di espressione musicale che
accomuna, avvicina e crea un inconsapevole collante tra gli
appassionati del canto. Ulteriore conferma, questa, di quanto il
cantare sia genuina espressione, emotiva e istintiva
manifestazione dei sentimenti che accompagnano i momenti di
gioia come di dolore. Provo sinceramente profonda emozione
nelle situazioni in cui si canta spontaneamente, in quanto in
quei momenti si avverte con forza come i suoni e la musica
siano innati nelle persone ed esprimano un puro bisogno
emotivo.
Il processo imitativo è proprio di tutta la musica
popolare, che giunge a noi con testi e musiche
tramandati nel tempo attraverso il mezzo dell’oralità.
coerente senso interpretativo del testo e della musica.
Imparare solo per imitazione è un metodo valido che può
permettere ai coristi di cantare bene soprattutto se, come ho
spiegato prima, il direttore svolge con cura e talento il lavoro e
la proposta di esempi da imitare e che dà particolare
soddisfazione nelle formazioni femminili, per la prontezza e la
rapidità di assimilazione che caratterizza generalmente le
donne. Per contro, l’imitazione rimane un metodo molto lento
che non permette di rinnovare velocemente il repertorio con
nuovi canti; si spiega così perché spesso nei concerti corali si
sentano i soliti brani, che spesso portano a identificare una
formazione con i canti che usualmente propone.
Evidentemente se ogni corista imparasse a leggere la musica
– indifferentemente con il metodo tradizionale o con il metodo
del do mobile – avvantaggerebbe tanto il direttore quanto il
coro, che potrebbe rinnovare con maggiore frequenza il
repertorio e approcciare brani più interessanti e impegnativi.
Non dimentichiamo però che il processo imitativo è proprio di
tutta la musica popolare, che giunge a noi con testi e musiche
tramandati nel tempo attraverso il mezzo dell’oralità, e in esso
si racchiude tutto il valore e la forza del canto popolare:
quando l’uomo interiorizza, memorizza e in seguito tramanda
un canto significa che ciò ha un grande valore per l’uomo
stesso e risponde a un suo profondo bisogno emotivo.
In merito al recupero del patrimonio musicale spontaneo che
caratterizza la nostra cultura è inoltre da segnalare un
interessante lavoro che il coro VivaVoce ha realizzato con la
collaborazione di alcuni anziani cantori di Vert e Donnas
(comuni della parte più a valle della regione), coadiuvati dalla
professoressa Marinella Viola, che ne ha curato la ricerca e la
pubblicazione. Si tratta della raccolta intitolata Le Chansonnier
de la mémoire in cui compaiono canti della tradizione locale
che comprende chansons strophiques in lingua francese, in
patois e anche in piemontese.
Tale opera, corredata da una registrazione delle voci che
ripropongono con emozione i “canti della memoria”, è una
testimonianza del prezioso lavoro di recupero e di
divulgazione che i cori possono fare per contribuire alla
riscoperta del repertorio e della cultura popolare che anziani
cantori ancora custodiscono intatta e che è importante
salvaguardare per non cancellarne la memoria.
In conclusione, la musica popolare è un ambito variegato e in
continua modificazione al quale è opportuno guardare per
offrire, anche ai cori femminili, uno strumento di intatta forza
espressiva, che permetta di riscoprire le nostre radici musicali,
di esplorare nuovi orizzonti vocali e di condividere il
divertimento e le emozioni profonde che si creano cantando in
coro.
dossIER
11
il perché di un coro gregoriano femminile
di Nino Albarosa
direttore del mediae aetatis sodalicium e docente al pontificio istituto di musica sacra
non costituiscano più problema. La monodia non ha
sesso.
Si ricorda per di più come gli stessi monaci di Solesmes,
campioni della prima restaurazione gregoriana a partire
dalla metà del sec. XIX, abbiano registrato dischi, dico
dischi, già nel passato, quindi, con gruppi monastici
femminili.
Ripetiamo quindi che il problema non esiste più come
dato di fatto, malgrado la tradizione in Spagna resista e i
cori femminili siano veramente pochi. In Italia invece, se
non sovrabbondano non è più per pregiudizio ma per
crescita obiettivamente lenta. Cori femminili sono
segnalati anche in Francia, in Germania, in Polonia, in
Slovacchia.
L’amico direttore di Choraliter Sandro Bergamo mi
interroga sul perché il coro Mediae Aetatis Sodalicium,
che ho l’onore di dirigere, sia femminile, se cioè ci sia un
motivo particolare nella scelta vocale. Cercherò di
rispondere.
Innanzitutto molti sono i pregiudizi da superare, anche
se oggi, pur se non sempre e non dappertutto, essi sono
meno forti di un tempo. Il canto gregoriano veniva
considerato al maschile, soprattutto per monaci quindi,
cui è demandato il compito di cantare l’ufficio e la
messa. Per monaci, quindi, ma non per le stesse
monache.
Malgrado in nessun antico manoscritto ci siano
indicazioni di sesso, è pur vero che le biblioteche da cui
le fonti derivano siano legate ad abbazie maschili.
Esistono tuttavia ormai studi sul canto femminile nei
monasteri del Medioevo; e, d’altra parte, come si poteva
pensare che le donne non cantassero? Hildegard von
Bingen, ad esempio, sia pur punta di diamante di
gregoriano tardivo composto da una donna, non è certo
spuntata dal nulla, dall’oggi al domani, ma rappresenta
la sicura realtà di una tradizione pregressa.
In tempi più vicini a noi, è noto come in San Pietro in
Vaticano (e altrove) la cappella escludesse (ed escluda)
le donne, storicamente sostituite dai pueri; ma oggi
nessuno ha da protestare se, nelle chiese oppure fuori,
le voci infantili vengano sostituite da quelle femminili.
Non c’è nessun tradimento stilistico.
Nulla quindi da obiettare se i gruppi gregoriani femminili
Quanto a chi scrive, il pregiudizio non è mai esistito, e il
mio inizio quale direttore è avvenuto con un coro misto.
Questa è stata però una esperienza non positiva,
malgrado le persone e le voci. Il motivo è presto detto, i
due timbri mal si confanno nel canto monodico.
Raramente l’intonazione rimaneva di buona fattura;
difficilmente un brano veniva concluso sulla giusta nota;
e ciò, malgrado il fermo convincimento di qualche collega
tedesco che sostiene invece la sostenibilità dei due
timbri assieme. A mio avviso non è vero; l’urto timbrico è
molto sgradevole. Per questo, dopo un certo tempo
d’esperienza con il coro misto, ho deciso di separare i
gruppi, tenendo il maschile e affidando il femminile a
una collega gregorianista.
Con il tempo tuttavia il mio gruppo, il maschile,
malgrado la buona volontà e la preparazione di alcuni
cantori, si è sciolto; così per qualche tempo sono rimasto
senza un coro. Finché una mia diletta allieva di Bologna,
la dottoressa Bruna Caruso, non mi venne a casa con
l’idea di un coro femminile bolognese, da lei
recentemente fondato, e offrendomi la direzione. Ho
accettato in via sperimentale, ma l’accettazione si è
rivelata felice. Fondato nel 1991, il nuovo coro, dal nome
Mediae Aetatis Sodalicium, è andato felicemente avanti
senza crisi e senza rischi. Per di più mi sono assuefatto
alla voce femminile, non sentendo più l’esigenza di una
diversa esperienza.
Quale il motivo: la constatazione sul campo della
flessibilità della vocalità specifica; soprattutto nei brani
più difficoltosi, ricchi di melismi, come i Graduali, in cui
la voce femminile è in grado di aprirsi a ventaglio, di
essere ben elastica, di avventurarsi con ottimo senso
dell’estetica nelle volute tipiche di quello stile
12
che sono rimasto impressionato, a distanza di anni, dalla
duttilità anche della voce maschile. Fenomeno strano anche
per me: fenomeno che si è verificato, malgrado i gruppi
fossero due e in due luoghi totalmente differenti: una volta
ai corsi internazionali di Cremona, una volta con un coro di
allievi bolognesi. Penso sia dipeso anche dalla esperienza
accumulata negli anni, dalla capacità di render fuse le voci,
di trasmettere duttilità espressiva. Devo comunque dire, che,
pur nel timbro proprio della voce maschile, ho trovato pieno,
quasi incredibile agio nel sentire mie anche quelle voci. Le
possibilità espressive rimangono certamente differenti, ma
possono svilupparsi in grado eccellente.
melismatico. E non solo il coro, ma anche le soliste, con il
melisma duttile e ben intonato, con le belle articolazioni che
testo e canto esigono. Ho avuto e ho eccellenti soliste, dalla
voce educata, che assieme a eccellenti coriste completano il
timbro generale di un brano e del coro.
In un tal senso, la voce femminile, se coltivata e ben
impostata può compiere cose veramente egregie.
Quanto a me, quindi, l’assuefazione alla voce femminile è
avvenuta per progressiva stima e, in qualche modo,
compiacimento.
Cosa naturalmente fondamentale, nell’uso della voce non
bisogna dimenticare il carattere particolare del canto
gregoriano, nato per la liturgia. Nel condurre, quindi, bisogna
operare comunque quel
controllo, grazie al quale la
vocalità, pur se piena, non deve
evidentemente “sforare” in
espressività straniere
Con il coro Mediae Aetatis
Sodalicium ho così vissuto, e
vivo ancora, momenti alti in
Italia, in Europa e in qualche
paese asiatico come il
Giappone, e ho potuto giungere
primo in concorsi internazionali,
come ad esempio quello di
Arezzo nel 2005.
Penso di poter rispondere alla domanda dell’amico Bergamo.
È vero che la mia scelta del timbro femminile è avvenuta in
pieno convincimento e con il mio coro Mediae Aetatis
Sodalicium ho avuto conferma della scelta stessa. Ma oggi,
pur essendo per me cosa ormai inverosimile, potrei agire in
libertà e positività anche con un gruppo maschile.
Insomma, l’odierna epoca, grazie anche alle esperienze e
agli sviluppi internazionali, rende il canto gregoriano ben
accessibile ai due timbri. Superato un certo spirito storico,
sia pur glorioso; giunti, si può dire, nella fase della
globalizzazione; giunti così a un “nuovo” gregoriano, pur
intatto del suo spirito e nel suo significato secolare, non è
più questione di donne o di uomini, ma di capacità di cavare
da quelle splendide melodie tutta l’attualità di cui sono
pervase per innalzare lo spirito dell’uomo.
La voce femminile è in grado di aprirsi
a ventaglio, di essere ben elastica,
di avventurarsi con ottimo senso
dell’estetica nelle volute tipiche
di quello stile melismatico.
Ciononostante, l’esperienza didattica mi ha condotto, negli
ultimi tempi, a dover esercitare cori maschili. Avevo sempre
evitato di farlo, anche per esercizio, finché non ho potuto
sottrarmi. Erano anni che la cosa non mi accadeva.
Ricordavo le esperienze non certamente negative, tuttavia
non pari all’esperienza con le altre voci. Eppure, devo dire,
J
dossIER
13
alla ricerca
di sonorità inedite
intervista a Jonathan Rathbone
a cura di
Leonardo Di Pierro
musicologo
Abbiamo posto alcune domande a Jonathan Rathbone, presente in Friuli Venezia
Giulia per coordinare e dirigere alcuni cori giovanili in un repertorio di canti
natalizi della tradizione inglese. Le elaborazioni dei brani sono state realizzate
Jonath
in collaborazione con il
Gruppo vocale Ansibs
dal musicista inglese e i concerti hanno avuto luogo con successo a Pordenone
(27 novembre), Gorizia (28 novembre) e, a conclusione dell’attività, a Londra il 4
dicembre 2010.
Maestro Rathbone, che cosa direbbe a un corista
che non conosce le sue elaborazioni? Quali sono
le difficoltà che dovrebbe affrontare?
Se si tratta di un corista dilettante, non dovrebbe
essere preoccupato di unirsi a un coro. Ho molte
persone nei miei cori in Inghilterra e chiedo loro
perché non siano venute a cantare prima; spesso
mi rispondono con sorpresa che non sapevano
che un coro fosse attivo vicino a casa. Non è
necessario sapere molto prima di iniziare
l’attività in un coro. L’importante è iniziare
l’attività nel coro “giusto”. Quindi il corista deve
valutare se il tipo di repertorio praticato dal coro
è conforme ai suoi gusti musicali, deve scegliere
il coro in relazione alle proprie inclinazioni, non
si deve preoccupare se sia in grado o meno di
leggere musica; questa sarà un’abilità che
acquisirà durante l’attività corale.
Quali sono state, nella sua formazione, gli
autori, le musiche, i gruppi, gli stili che l’hanno
maggiormente influenzata?
La mia prima educazione musicale è classica. I miei eroi sono stati Bach e Mozart. Da studente
sono stato guidato dalla musica di Benjamin
Britten. Egli scrisse per la cattedrale di Coventry,
dove cantavo come fanciullo cantore, il War
Requiem. Britten, che ha spesso scritto musica
per complessi giovanili con precisi intenti
pedagogici, conosceva il nostro coro e il nostro
direttore lo conosceva. Abbiamo cantato la Missa
Brevis per voci bianche e organo op. 63, lavoro
ricco di interessanti soluzioni armoniche.
Successivamente mi sono interessato al jazz.
Quando mi sono unito ai Swingle Singers ho
avuto la possibilità di studiare le loro
elaborazioni jazzistiche e sono entrato in
14
parole, quando scrive, ha in mente un preciso ensemble
vocale capace di eseguire alla lettera le sue intenzioni?
Non sempre. Ho arrangiato un pezzo per un gruppo olandese,
senza averli mai incontrati di persona. Ho sentito solo delle
loro registrazioni discografiche. Credo comunque che sia
meglio per l’arrangiatore conoscere dal vivo il gruppo per il
quale lavora, perché così ne capisce istintivamente i lati forti e
quelli deboli e può conseguentemente dosare le difficoltà.
contatto con una nuova concezione dell’armonia. Le
elaborazioni di Ward Swingle e di Gene Puerling sono state
molto importanti nella mia formazione sia in fase di semplice
ascolto che in quella di lettura della partitura.
I Swingle Singers e altri gruppi hanno dimostrato, con le loro
performances, che è possibile eseguire con un insieme di voci
tutto ciò che si vuole. Da dove nasce questa idea e quali
sono, secondo lei, i compositori e gli elaboratori che hanno
pensato per primi a questa possibilità? E soprattutto, perché?
Gusto della sfida, ricerca del limite, voglia di
divertirsi, e divertire il pubblico, ricerca della
bellezza sonora, stupire con il virtuosismo?
I Swingle Singers hanno voluto sin dall’inizio
“suonare” come uno strumento. Questa concezione
proviene dai cantanti jazz venuti prima dei Swingle
Singers. Nell’ambito dei Double Six c’erano diversi
cantanti jazz, incluso Ward Swingle. Nel loro gruppo
imitavano i sassofoni in brevi passaggi vocali,
esplorando varie sonorità, come fa il cantante jazz nello stile
scat. Usavano diverse sonorità prodotte da diverse
combinazioni di consonanti e di vocali. I Double Six, con Ward,
hanno incominciato a cantare affrontando arrangiamenti tipo
Big Band, e presto erano in grado di imitare tutte le sonorità
caratteristiche di tale complesso strumentale. Poi Ward
Swingle fondò i Swingle Singers e il gruppo si indirizzò subito
verso elaborazioni vocali di musiche di Bach per organo,
clavicembalo, orchestra, tentando con successo di imitare le
sonorità originali. Ci sono al momento attuale diversi gruppi
vocali che cantano imitando gli strumenti. Ognuno cerca di
fare qualcosa di nuovo, di proporre nuove idee, di imitare
strumenti in modo “inaudito”. Ci sono piatti, percussioni, il
basso, si creano effetti speciali. Credo che tutte queste novità
dipendano proprio dalla competizione e dalla ricerca di
sonorità inedite.
A che livello è necessario essere buoni musicisti, saper
leggere le note, avere una conoscenza approfondita della
musica vocale in generale e del jazz in particolare per
eseguire le sue elaborazioni?
Ci sono diversi gruppi e ognuno ha diversi problemi. Il peggior
problema che ho incontrato è stato quello di trovare coristi
che cantavano solamente la loro parte, senza curarsi di
ascoltare le altre. In altre parole non erano consapevoli della
funzione della loro nota nel contesto dell’accordo. Questo è un
compito del direttore, cioè spiegare e contestualizzare la parte
nel tutto, in un continuo lavoro didattico sul corista. Io ho
scritto un corso di didattica vocale intitolato Sight - Sing Well
in tre volumi, Edizione Peters (2005), dove tratto il problema
del do mobile come mezzo di accesso più consapevole alla
lettura musicale. Tale metodo semplifica molto le cose, poiché
il corista è abituato a chiamare do ogni tonica. Quando c’è da
fare la mutazione, in corrispondenza al cambio di tonalità, il
nome da dare alle note cambia nella sua testa
Compito del direttore
è spiegare e contestualizzare
la parte nel tutto.
Quando elabora un pezzo vocale, il livello di difficoltà è
proporzionato alle reali capacità esecutive dei coristi? In altre
automaticamente. Se la tonalità cambia il suo cervello sa come
chiamare le note che si presentano, perché gli intervalli sono
già fissati nella sua memoria in do e quindi si applicano con
sicurezza e facilità nelle altre tonalità. Tutto diventa una
seconda natura.
Come conduce una prova con il coro? Incominciate con i
vocalizzi, provate subito l’insieme o a parti separate?
La conduzione della prova si svolge con diverse modalità a
seconda del coro che ho davanti. Secondo me c’è bisogno di
lezioni individuali per la tecnica vocale, poiché in un coro di
trenta elementi ci sono trenta diversi problemi vocali. Di solito
i cori giovanili iniziano subito cantando, non hanno bisogno di
molto esercizio a parti separate.
Conta essere strumentisti per cantare le parti che scrive o è
sufficiente essere buoni imitatori e avere buon orecchio?
Certamente è necessario conoscere le note. Succede qualche
volta che ci si entusiasmi per un pezzo, ma senza conoscenza
compositorE
15
Jonathan Rathbone_______
Il maestro Rathbone è uno tra i massimi esponenti del genere chiamato contemporary a
cappella, genere che amplia gli orizzonti della musica a cappella spaziando dal vocal pop jazz
al folk. Dopo un apprendistato come corista alla Cattedrale di Coventry e una borsa di studio
in musica corale al Christ’s College di Cambridge dove ha studiato matematica, ha perfezionato
la sua educazione musicale alla Royal Academy of Music con un secondo diploma,
specializzandosi in canto e composizione. La carriera compositiva di Jonathan Rathbone
comprende opere per teatro, film, radio, concerti e musica sacra. Tra le sue più recenti
composizioni ricordiamo: Requiem for a Condemned Man (per due solisti, orchestra e coro) e
un’opera per coro a cappella per i Vasari Singers. È stato direttore musicale e arrangiatore per
i Swingle Singers dal 1984 al 1996 e ha lavorato con musicisti e orchestre di importanza
mondiale (P. Boulez, S. Grappelli, G. Martin). È conosciuto a livello internazionale oltre che in
veste di docente anche di cantante, compositore, direttore e arrangiatore. Conduce corsi e
ateliers in tutto il mondo ed è membro della Commissione Musicale di European Choral
Association – Europa Cantat.
Masterclass
for choir conductors
2 7 J u l y - 1 st A u g u s t 2 0 1 1
Vaison-la-Romaine
France
Georg Grün
Silvana Vallesi
and the CUYO University choir
(Mendoza, Argentina) in residence
Full information on request :
[email protected]
Association À Cœur Joie
24 avenue Joannès Masset - CS 99261 - 69264 LYON cedex 09
Tél : +33 (0)4 72 19 83 40 - Fax : +33 (0)4 78 43 43 98
www.choralies.org
Choralies
16
della lettura musicale non si può fare molta strada. In ogni
caso lo strumentista jazz può ritrovare nelle mie elaborazioni
vocali parecchie atmosfere sonore e soluzioni armoniche che
gli “suonano” familiari; di conseguenza è favorito nell’intonare
intervalli o accordi complessi.
Maestro Rathbone, ha lavorato recentemente con alcuni cori
giovanili del Friuli Venezia Giulia. Cosa pensa del loro livello
di preparazione?
Mi è piaciuto molto lavorare con questi cori. I loro componenti
si sono impegnati tantissimo per dare vita ai concerti che
abbiamo tenuto a Pordenone e a Gorizia, inoltre sono in grado
di imparare velocemente e ricordare con facilità le indicazioni
del direttore. Sono duttili e pronti anche nell’affrontare
repertori diversi. Potete essere soddisfatti del loro livello e
non dovete pensare che da noi sia tutto perfetto. Ad esempio
nei miei tre cori di Londra cantano parecchi pensionati. Queste
persone sono molto appassionate, hanno il tempo per
partecipare con continuità ma imparano molto lentamente. La
strada da percorrere è sempre quella: coltivare una schola
cantorum, educare i giovani e, ancora meglio, i giovanissimi
alla musica per assicurare la continuità e un elevato livello di
qualità dei cori.
Composizioni corali di Jonathan Rathbone
COMPOSIZIONI
A Cappella Absolon, My Son (EP 7741)
Corpus Christi Carol (EP 7760)
Cradle Song (EP 7740)
Hymn to God the Father (ATB)
Jesu Dulcis Memoria
Magnificat (EP 77018)
May Jesus Christ be Praised
O Nata Lux (EP 71739)
Responses (EP 7742)
Running Wild (EP 77100)
Sweet was the Song (EP 7937)
The Oxen (EP 77009)
There is No Rose
Three Blake Songs (SSAA) (EP 7938)
When Did We See You Hungry? (EP 72081)
Zodiac (Song Cycle) (30 mins)
Coro e organo
Now the Day is Over (SS) (EP 7802)
St Bride’s Service (Magnificat & Nunc
Dimmitis)
The Lord Bless Your Endeavour
The Time of Loves (EP 7752)
Coro e orchestra (Cantate e Oratori)
Christmas Truce (35 mins) (EP 71991)
Echo Down the Years (45 mins)
Lord Love-a-Duck (30 mins) (EP 7882)
Mr Fezziwig’s Christmas Party (30
mins) (EP 71033)
Night of Wonder (20 mins)
Requiem for the Condemned Man (55
mins) (EP 71667)
Praise, My Vexed Soul (Three Psalms)
(15 mins) (EP 7794)
Swithun’s Watery Tale (20 mins)
ARRANGIAMENTI
A Cappella
2-part Invention in A minor (Bach)
2-part Invention in D minor (Bach)
Ah Leave Me Not to Pine Alone
(Sullivan)
Busy Doing Nothing (van Heusen)
Downtown (Hatch)
February Song (Groben)
Fields of Gold (Sting)
Go Down Moses (trad.)
Golden Slumbers (trad.)
Groovy Kind of Love (Collins)
How Deep is the Ocean (Berlin)
How High the Moon (Hamilton & Lewis)
I Won’t Send Roses (Herman)
Jeepers Creepers (Warren)
Love of My Life (Mercury)
Lullaby of Birdland My Colouring Book (Bacherach and
David)
Nobody Knows (trad.)
Our Love is Here to Stay (Gershwin)
Pick Yourself Up (Fields & Kern)
San José (Bacherach and David)
Save the Best for Last Smoke Gets in your Eyes (Harbach &
Kern)
Stormy Weather (Arlen)
Sunny Side of the Street (Fields &
McHugh)
Sunrise, Sunset (Bock)
When I Dream
Collected Arrangements (EP 7810)
• Try to Remember
• My Funny Valentine
• Strawberry Fair
• Shule Agra
• What good would the moon be?
• The Wraggle Taggle Gypsies, O!
• Tit Willow
Three Folk Songs (EP 77046)
• The Oak and the Ash
• Swing Low, Sweet Chariot
• Nine Hundred Miles
Three American Songs (EP 77047)
• Red River Vaslley
• Polly Wolly Doodle
• Steal Away
Die Moldau - Vltava (Smetna)
(EP 77061)
Galway Bay (EP 77034)
La Cucaracha (EP 77035)
My Love is Like a Red Red Rose
(EP 77037)
I Wonder as I Wander (EP 7758)
She Moved Through the Fair (EP 77052)
Sing Lullaby
Skye Boat Song (EP 77051)
What Child is This (EP 77020)
Il presente catalogo non è esaustivo ma
comprende i lavori più recenti del
maestro Rathbone.
Gli eventuali numeri tra parentesi si
riferiscono a Peters Edition Publications.
compositorE
17
Vem kan segla förutan vind?
(Chi può navigare senza vento?)
di Davide Benetti
compositore
Questo è l’ultimo brano del famoso album Around the world - a folk song collection dei Swingle Singers
pubblicato nel 1991. Tutti i brani, come il titolo dell’album suggerisce, sono arrangiamenti per formazione corale
di melodie folkloristiche provenienti da ogni parte del mondo.
Il risultato sonoro di quest’album è molto eterogeneo sia perché le melodie scelte, provenienti da diverse parti
del globo, hanno caratteristiche intrinseche nettamente differenti le une dalle altre, sia perché gli arrangiatori
sono quattro. Questo significa quattro teste, quattro modi distinti di approcciarsi all’arrangiamento, quattro
musicisti di generazioni successive con coinvolgimenti e ruoli specifici all’interno dei Swingle Singers. Ognuno di
loro, inoltre, ha dovuto dare a ogni singolo brano un carattere sonoro ben distinto e particolare per non sradicare
la melodia dalla sua terra, e permettere così all’ascoltatore di viaggiare virtualmente in parti diverse del mondo a
ogni traccia del cd.
Tra questi, chi riuscì in modo impeccabile a rendere particolarmente significativo ogni singolo brano, fu Jonathan
Rathbone, all’epoca giovane cantante e compositore del gruppo, che arrangiò ben otto dei venti brani presenti
nella compilation.
Vem kan segla è uno di questi.
Si tratta di un’antica e famosa melodia popolare svedese il cui testo con traduzione a fronte è:
Vem kan segla förutan vind?
Vem kan ro utan åror?
Vem kan skiljas från vännen sin
Utan att fälla tårar?
Jag kan segla förutan vind,
Jag kan ro utan åror.
Men ej skiljas från vännen min
Utan att fälla tårar.
Chi può navigare senza vento?
Chi può remare senza remi?
Chi può lasciare un amico,
Senza versare una sola lacrima?
Posso navigare senza vento,
Posso remare senza remi.
Ma non posso lasciare un amico,
Senza versare una sola lacrima.
Otto versi dei quali i primi quattro sono forme di domanda retorica e i quattro successivi sono la risposta alle
domande precedenti. Il testo descrive un ritmo di vita scandito quotidianamente dalla presenza del mare che
influenza l’esistenza degli abitanti del luogo. Rathbone ripropone costantemente nell’arrangiamento elementi che
richiamano questa realtà. Egli fa sì che il moto incessante delle onde, l’influenza del freddo vento e il remo usato
dal pescatore vengano fisicamente tradotti in musica dal compositore.
Quest’antica melodia popolare viene ripetuta invariata per due volte: una nei primi quattro versi, l’altra nei
successivi. La melodia si sviluppa su una lunghezza di otto battute da 6/8 con un’estensione melodica di
un’undicesima: uno slancio rapido di due battute e mezzo verso l’acuto con un importante salto di quinta
ascendente al suo interno. La discesa più lenta per ritornare verso la tonica ha all’interno un salto di quinta,
questa volta discendente, come a controbilanciare il salto dell’andata.
Ritmicamente è importante rilevare la ripetizione (quattro volte) del ritmo
che dà alla melodia un
andamento e uno slancio cullante perfettamente in linea con il significato testuale.
Prima di tuffarsi nell’analisi vera e propria del brano, è opportuno ricordare che il repertorio dei Swingle Singers
18
è fortemente caratterizzato dall’utilizzo di accordi, ritmi e
progressioni di tipo jazzistiche. Per questo, anche il modo di
comporre e arrangiare di Rathbone vede la presenza
costante, per esempio, di accordi di settima, di nona, di
undicesima, di accordi alterati e di ritmi “swingati” tipici di
questo stile compositivo.
La tonalità di Vem Kan Segla, nell’arrangiamento di Rathbone,
è re minore, costruito, come vedremo più avanti, su diverse
tipologie di scale.
La struttura del brano è molto quadrata:
– introduzione (A+B) (mis.1-16)
– prima strofa (mis.17-24)
– intermezzo (A) (mis. 25-32)
– seconda strofa (mis. 33-40)
– coda finale (mis. 41-45)
L’introduzione è un bellissimo quadretto “strumentale” che
apre il sipario su un affascinante scenario marittimo della
penisola scandinava; strumentale perché le voci in queste
prime sedici misure vengono utilizzate a imitazione di un
piccolo complesso d’archi. Questa intenzione compositiva la
si deduce sia per la tipologia di scrittura utilizzata, sia per il
continuo vocalizzo sulle due sillabe “lo-ro” che ricorda, senza
dubbio, le arcate di uno strumento, appunto, ad arco.
Questa introduzione è divisa in due parti: A (mis. 1-9) e B (mis. 10-16). La parte A è come il preludio di un film girato
nei freddi mari del nord Europa che inizia con un’ampia
panoramica. Le onde viste da lontano vengono disegnate
sulla partitura con un continuo gioco di sali-scendi delle voci.
Per sorreggere armonicamente questo lento ma costante
moto ondulatorio, Rathbone utilizza delle cadenze evitate che
servono a procurare un senso di “continuum” armonico che
non dà la sensazione di arresto o riposo. Ecco allora a misura
5, sulla salita finale di un’onda, una successione armonica
II-V-VI (cadenza d’inganno di fa maggiore) che invita l’onda a
non fermarsi e a tornare verso il basso. Oppure, a misura 7,
la cadenza II-V7-I (sempre di fa maggiore) risolve su un primo
grado facendone, però, sentire solo la settima maggiore (mi)
cantata dai tenori. Questo gioco di sali-scendi che a volte
vede coinvolte tutte le otto voci, a volte solo una (come a
voler seguire le fasi dell’onda), viene sapientemente sorretto,
fin dall’inizio, dalle sezioni gravi che si muovono in relazione
di quinta: mis. 2 bassi e tenori, mis. 3-5 bassi I e II, mis. 7 e
9 bassi I e II. È quindi importante curare la perfetta
intonazione di queste quinte che fanno da tappeto sonoro ai
movimenti ondulatori delle parti superiori che risulterebbero,
altrimenti, di difficile intonazione.
Questa prima parte dell’introduzione si conclude con una
sostituzione di tritono dell’accordo di settima di dominante di
re minore: l’accordo A7 ha come note strutturali la terza (do#,
nonché sensibile) e la settima (sol); il suo sostituto inverte il
ruolo di queste due note. Si trova, quindi, quell’accordo che
ha come terza sol e come settima do# (o reb). Ecco compreso
l’accordo di Eb7 di mis. 9 (distante tre toni da A7), qui
presente con tanto di nona (fa dei contralti I) e undicesima
(la dei soprani), che oltre a permettere al basso la discesa
cromatica verso la tonica (mib-re), offre una particolare e
diversa sonorità di avvicinamento alla stessa.
Nella seconda parte dell’introduzione, l’inquadratura di
campo si restringe. Il mare è ora vicinissimo e si possono
scorgere quelle piccole, ma più rapide onde mosse dal vento.
Ecco allora i soprani e i contralti che, su valori di semicrome,
si muovono più rapidamente su gradi congiunti con
dinamiche scritte in partitura che aiutano a raffigurare questa
nuova scena. Sotto questo movimento “liquido” e perpetuo
di semicrome, si muovono le voci maschili su valori più larghi
e con il compito, più “terreno”, di creare le armonie di questa
pagina. Questo tappeto armonico nel grave si muove però
con un proprio ritmo, regolare, ma sfasato rispetto alle altre
voci, quasi a evocare un pescatore che dà colpi di remi decisi
e regolari in mezzo a questo mare poco mosso. Ecco
l’esigenza di pensare le battute 10-13 di bassi e tenori in 3/4
anziché in 6/8.
compositorE
Una conferma di cambio di inquadratura tra le due parti
dell’introduzione ci è data dal diverso utilizzo della tonalità di
re minore nelle due pagine. Nella prima parte (A), infatti,
sembra di muoversi in un sistema di tipo modale: re eolio.
Nella seconda parte (B), invece, con la costante comparsa
della sensibile, il sistema tonale di re minore è sicuramente
affermato.
Quest’introduzione si conclude con un interessante doppio
pedale sulla dominante la e la sua terza sottostante fa di tre
battute (mis. 13-15) cantato da soprani e contralti e seguito
dalla cadenza che precede il tema. Anche qui torna, come in
tutto il brano, il tema dell’onda. Il pedale non è infatti
costruito in modo classico su note fisse, ma sulla costante
oscillazione tra queste due note e i congiunti gradi sottostanti.
Questa cadenza ci dice, inoltre, che sta per succedere
qualcosa: tutte le voci cambiano improvvisamente timbro
aprendosi alla vocale “eh”, escluso i bassi che, invece, posano
l’archetto per cominciare a pizzicare dolcemente le corde
cantando sulle sillabe “do-do”. Il tutto su un’armonia di
dominante di re minore che dapprima è senza la sua
fondamentale che, poi, compare al basso come mib (vedi
tecnica della sostituzione di tritono) e si trasforma, finalmente,
in la (vera nota fondamentale dell’accordo). Tutto questo è il
segnale che indica che ora la storia può cominciare.
19
Il tema (mis. 17-24) per le prime due battute è cantato a una
voce sola dai tenori che, nelle due battute successive, si
sdoppieranno proseguendolo in un canto per terze con la
melodia alla parte più acuta. Nelle ultime quattro battute si
aggiungono anche i contralti I e II già suddivisi portando così
a quattro il numero delle voci che espongono il tema (la cui
linea melodica rimane sempre alla voce più acuta). Questo
graduale crescendo di massa sonora intorno al tema evoca
un bellissimo effetto di un’unica ondata che si gonfia e sale
per poi ridiscendere fino al pianissimo delle battute 23 e 24.
Crea, però, anche un passaggio rischioso a cavallo di battuta
20-21 quando la melodia principale passa dai tenori I ai
contralti facendo un improvviso salto di registro sull’ottava
superiore. Per attutire questo salto e renderlo il più naturale
possibile è fondamentale che ci sia un’omogeneità e una
compattezza timbrica tra le voci che espongono il tema. Sotto
quest’esposizione i bassi continuano il loro dolce pizzicato
contribuendo a creare le armonie, mentre i soprani
proseguono per quattro battute il moto ondulatorio di
semicrome nato nella seconda parte dell’introduzione. Questo
fluire di sedicesimi si blocca però a misura 21 con un grido di
sofferenza ottenuto grazie a note di valori più ampi e cantato
sulla vocale “ah”, mentre il testo affronta, non a caso, il tema
dell’abbandono di un amico.
Meravigliosamente efficace è la drammaticità di mis. 23-24,
quando il testo dice: “…senza versare una sola lacrima?”. In
questa battuta le quattro voci che cantano il tema vengono
lasciate sole su un pianissimo con un’armonia molto
dissonante che crea “scontri” tra le voci (vedi, per esempio,
la discesa per seconde dei tenori I e II).
Evidente ed efficace è questa catabasi dei tenori e dei
contralti II a imitazione delle lacrime che scendono.
Un modo funzionale per affrontare queste dissonanze
potrebbe essere quello di far cantare singolarmente ogni
parte suonando (o facendo cantare ai bassi) le note
fondamentali dell’armonia [segnate in rosso nell’esempio
seguente], in modo tale che ogni voce consapevolizzi il
proprio ruolo armonico al di là delle dissonanze.
20
Ecco l’intermezzo strumentale che separa le due strofe del
tema. Questa parte è esattamente uguale all’introduzione
“A”, a eccezione di uno slancio iniziale dei soprani I verso
l’acuto di (mis. 26) che dà maggior drammaticità a questo
nuovo incipit di archi. In verità anche l’accordo cadenzale
conclusivo è differente: a mis. 9 si trova la prima sostituzione
di tritono dell’accordo di settima di dominante; ora, invece,
(mis. 32) i bassi cantano un la e quest’accordo torna a essere
una “normale” settima di dominante con l’aggiunta della
tredicesima (il fa dei contralti I). Questo preannuncia che la
parte strumentale sta già per finire e si è pronti per il
secondo ingresso del tema.
Da battuta 33 a battuta 40 tutte le voci cantano in modo
omoritmico gli ultimi quattro versi della poesia. La melodia
principale spetta ai soprani mentre alle altre voci spetta il
compito di creare le armonie sottostanti. È il momento in cui
il testo risponde alle domande retoriche dei primi versi e si
può vedere e udire in quest’omoritmia, sostenuta dall’unico
forte del brano, un carattere musicale più affermativo rispetto
alle pagine precedenti.
In queste otto battute ci sono passaggi e scelte armoniche
molto interessanti. Innanzitutto spicca immediatamente quel
si dei contralti di mis. 33 che apre l’orecchio a un nuovo
mondo. L’effetto è molto gradevole e apre improvvisamente a
un contesto sonoro diverso; anche se solo per questa
battuta, infatti, la scala di riferimento diventa un re dorico.
A metà di battuta 36 si trova l’ennesima sostituzione
dell’accordo di tritono della settima di dominante. Sul
secondo movimento di battuta 37 compaiono
improvvisamente due alterazioni che sembrano voler portare
distante. Tuttavia si devono considerare questi 3/8 come
facenti parte del mondo di A7 (settima di dominante di re
minore), considerando, quindi, il do# come sensibile e
l’accordo passeggero con il fa# come sostituzione di tritono
C7, quindi F#7b9 (fa#-la#-do#-mi-sol). Come si può notare i
due accordi di questo passaggio, F#7b9 e A7b9 (la-do#-misol-sib), cambiando le funzioni armoniche delle singole note,
possono entrambi rientrare nell’ambito sonoro di A7, avendo i
tre quarti delle note in comune. Dopo quattro battute di
diminuendo, l’episodio si conclude piano su un accordo
Dmin7 (mis. 40) dove il basso scende di grado congiunto
dalla tonica alla settima lasciando ancora aperto il sipario e
facendo strada alla coda finale. Sebbene, in alcune parti, le
armonie risultino dissonanti, con continui “scontri” ravvicinati
tra le voci (vedi, per esempio, tenori e contralti nel secondo
movimento di mis. 38), la maestria compositiva di Rathbone
consiste nello scrivere sempre linee melodiche chiare e
semplici.
Questa coda finale (mis. 41-45), come tutte le parti conclusive
ben scritte, riassume gran parte degli ingredienti utilizzati
nella composizione. È come un’inquadratura che velocemente
si riapre su un orizzonte più vasto. Le voci ritornano a essere
degli archi, procedendo omoritmicamente per le prime due
battute e utilizzando il ritmo cullante del tema. Un accordo
che ricorda la sostituzione di tritono di A7 ma che, in questo
caso, è da considerare come secondo grado abbassato di re
minore (in quanto il re dei contralti non è bemolle ma
bequadro), ricompare a metà di misura 42. L’improvviso e
drammatico silenzio delle sezioni maschili a battuta 43
rimanda al pianissimo di battuta 23. Inoltre, quel movimento
di onda che parte dalle voci gravi e termina su quelle acute si
ritrova alle ultime due battute, questa volta, però, senza
ridiscendere e trovando, non a caso, la sua stabilità armonica
sulla quinta re-la cantata dai bassi. Infine, quell’apertura
timbrica sulla vocale “eh” che aveva caratterizzato la cadenza
di misura 16, ritorna sull’accordo conclusivo di re minore
accessoriato di undicesima e tredicesima (vedi sol e si nelle
due voci più acute).
Rathbone, dunque, per questo arrangiamento, ha utilizzato
pochi ingredienti ma ben selezionati. Il loro continuo ritorno,
con vesti leggermente differenti e con tempi registici perfetti,
assieme all’uso di linee melodiche semplici seppur su
armonie a volte complesse, esaltano, amplificano e
aderiscono perfettamente allo spirito introspettivo e intimo
della poesia. Il risultato finale è un meraviglioso quadretto di
tre minuti che riesce perfettamente nell’intento di farci
viaggiare nelle lontane e fredde terre svedesi.
21
which was
the son of
La genealogia di Gesù Cristo secondo
Luca (3, 23-38): una lettura musicale
di teologia della storia
which
di Michele Pozzobon
compositore
Non è sempre agevole sottoporre ad analisi le
composizioni di Arvo Pärt scritte dopo la
pausa di riflessione seguita alla sua
esperienza seriale e dodecafonica. Risulta
ancor più difficile riportare sulla carta, con
parole semplici e di immediata comprensione,
il risultato dell’attenta lettura di un suo
lavoro. Lo stile tintinnabuli inventato da Pärt
e da lui utilizzato nei brani realizzati a partire
dal 1976 è semplice e complesso al tempo
stesso, frutto di una scrittura musicale
estremamente sorvegliata e consequenziale e
pur sempre fedele a precise scelte stilistiche,
in continuo divenire.
Ma chi è Arvo Pärt? Ai più sembrerà una
domanda superflua visto che il compositore si
è da tempo imposto con autorità sulla scena
internazionale. Mi sembra comunque
doveroso fornire su di lui qualche
informazione a vantaggio di chi non ha
ancora avuto la possibilità di avvicinarlo e di
conoscerlo.
Arvo Pärt nasce nel 1935 a Paide in Estonia
quando il paese gravitava ancora nell’orbita
dell’Unione Sovietica. La sua formazione
musicale lo porta ad accostare linguaggi
tecnici ed estetici ben differenziati: il
neoclassicismo di matrice sovietica (Due
sonatine, Partita), il serialismo integrale
(Perpetuum mobile), la tecnica del collage
(Collage uber B-A-C-H, Credo). Essi stanno alla
base dei lavori che precedono il periodo di
meditazione e di ripensamento spirituale e
artistico durante il quale Pärt studierà, con
crescente interesse, il canto gregoriano e la
polifonia antica, alla ricerca di un linguaggio
22
essenziale in grado di comunicare la forza oggettiva ed eloquente del suono. L’intenso studio di
quegli anni lo porterà a elaborare, agli inizi degli anni Settanta, un suo personalissimo stile che,
come abbiamo già osservato, chiama tintinnabuli. Il nuovo linguaggio sarà alla base di celebri
pagine strumentali (Fur Alina, alcune versioni di Fratres, Tabula rasa) e di suggestivi brani vocali
(Missa sillabica, Summa…).
Nel 1980 Pärt lascia l’Unione Sovietica e si trasferisce con la moglie e i figli prima a Vienna e
poi definitivamente a Berlino. In questi anni il compositore vive un periodo molto creativo. Si
susseguono lavori importanti che vengono accolti con favore e interesse dal pubblico di tutto il
mondo. Brani di ampio respiro come De profundis, Te Deum, Miserere, Stabat Mater, Passio,
sono destinati a lasciare una traccia significativa nella storia della musica della seconda metà
del Novecento.
E proprio l’adozione dello stile tintinnabuli induce Pärt a rivolgere un’attenzione nuova e
particolare alla musica vocale. Molto eseguito dai gruppi vocali di tutto il mondo è il Magnificat
(1989). Ricche di fascino sono molte altre pagine corali del compositore estone: The Woman
with the Alabaster Box (1997), Kanon pokajanen (ampio lavoro, sempre del 1997, articolato in
otto parti), Nunc dimittis (2001), solo per citarne alcune.
Arvo Pärt è ancora molto attivo e continua a regalarci opere di grande suggestione, fedele
sempre a un linguaggio estremamente sorvegliato e rigoroso capace, pur nella coerenza a una
scelta stilistica già fatta, di rinnovarsi continuamente in una ricerca appassionata della verità
fisica e trascendentale del suono.
Prima di accostare Which was the son of, brano vocale che Pärt ha scritto nel 2000 e che sarà
oggetto di analisi, mi sembra opportuno spendere due parole sullo stile tintinnabuli che, come
abbiamo già ricordato, il compositore mette a punto nella prima metà degli anni Settanta del
Novecento e che, a partire dal 1976, informerà i suoi lavori.
Per descrivere la sua nuova personale scrittura il compositore ricorre a un termine che
abitualmente viene utilizzato per indicare il suono delle campane e che è divenuto l’emblema della
sua estetica musicale: tintinnabulo. «La tintinnabolazione – confida il compositore – è ciò in cui
posso trovare risposte per la mia vita, per la mia musica, per il mio lavoro. Nelle mie ore più
oscure, ho la netta sensazione che tutto ciò che esiste al di fuori di questa sola cosa non abbia
alcun significato. Ciò che è complesso e multiforme
mi confonde, e io mi sento costretto a cercare
l’unità. Che cosa è dunque e come la posso trovare?
Tracce di questa perfezione appaiono in molti modi
e tutto ciò che non è essenziale viene a cadere. Il
tintinnabolo è qualcosa del genere. Mi trovo solo
con il silenzio. Ho scoperto che una singola nota,
quando risuona nella bellezza, è sufficiente.
Quest’unica nota, o una pausa, o un momento di silenzio, questo mi conforta. Io lavoro con pochi
elementi, con una, due voci. I materiali sono molto primitivi: una triade, una tonalità specifica. Le
tre note di una triade sono come campane. Ecco perché parlo di tintinnabolo». 1
Riportando liberamente le parole di Leopold Brauneiss, musicologo che ha studiato
attentamente e definito in modo articolato lo stile tintinnabuli, possiamo dire che le
caratteristiche del linguaggio elaborato da Pärt dopo lunghi anni di intensa e sofferta ricerca
possono essere così riassunte:
– riduzione delle tecniche compositive agli elementi tonali fondamentali fatti di scale e di
triadi;
– definizione di una nuova frase musicale basata sulla ripartizione delle scale e delle triadi in
due linee distinte: da una parte le voci melodiche fondate su frammenti di scale, dall’altra le
voci tintinnabuli formate esclusivamente dalle note di una triade;
– adozione di un nuovo tipo di cadenza che, entro un determinato arco di tempo, conferisce a
ogni singola nota un preciso peso e significato;
– elaborazione di un “sistema compositivo altamente formalizzato”, in cui i percorsi melodici e
armonici sono determinati da una rete di regole strettamente connesse (una sorta di
semplice matematica fondata su singole entità numeriche) che si articolano in una formula
strutturale fondamentale. 2
Una singola nota, quando risuona
nella bellezza, è sufficiente.
nova et vetera
È tempo di passare ora all’analisi di un significativo brano
vocale di Arvo Pärt. Si tratta di Which was the son of, una
composizione commissionata al musicista estone per il
giovane coro Voci d’Europa, riunito a Reykjavik nel 2000,
città eletta – per quell’anno – capitale europea della cultura.3
Il testo utilizzato dal compositore è tratto dal vangelo di Luca.
Se alcuni celebri passi dell’evangelista, come il Magnificat e il
Nunc dimittis, hanno ispirato compositori di ogni epoca,
altrettanto non si può dire del brano che riporta la genealogia
di Gesù, e che troviamo all’interno del terzo capitolo del
vangelo lucano (3, 23-38). La lunga lista di nomi non deve
aver offerto ai musicisti del passato una grande attrattiva.
Pärt, invece, in questo arido elenco di nomi ha probabilmente
intravisto una straordinaria sintesi della storia della salvezza
da poter ritrarre con efficacia attraverso la sua musica. 4
Nella composizione si possono individuare sei sezioni di varia
ampiezza.5 A una prima breve parte introduttiva (Larghetto,
batt. 1-15), segue una seconda più estesa (Preciso, batt. 16-86),
ambedue in una mobile alternanza di tempi semplici (3/4, 4/4,
2/4). Una terza in 9/8 (batt. 87-97) conduce a una quarta parte
che riprende con nuovo vigore la parte seconda (batt. 98-127).
Una quinta in un prevalente 12/8 (128-148) precede un
passaggio fortemente accordale (una sorta di piccola coda in
4/4) che ha il compito di chiudere la composizione sulla parola
“Amen” (Largo, batt. 148-150). Questa, in sintesi, l’articolazione
interna del brano per il cui testo, come accade in altri lavori
biblici, Pärt ricorre alla lingua inglese.6
È inevitabile che l’utilizzo di una lingua piuttosto di un’altra
determini, da parte dell’autore, delle particolari scelte
musicali, specialmente ritmiche. Pärt è infatti molto attento
agli elementi costitutivi del testo, alle sillabe che formano
ogni singola parola, alla punteggiatura. Egli parte dalla
radicata convinzione che le parole racchiudano già la loro
musica e che al compositore spetti soltanto il compito di
estrarla. L’adozione di una particolare lingua finisce, quindi,
per determinare in modo significativo anche il carattere
dell’opera e il suo esito musicale.
Se lo stile tintinnabuli è facilmente individuabile in lavori
come Fur Alina (1976), Missa Syllabica (1977) e Magnificat
(1989) (per citarne solo alcuni), non così agevole è rilevarlo
con la medesima evidenza in altre opere del musicista estone
e, in particolare, in Which was the son of. In questo singolare
brano «gli elementi di base dello stile tintinnabuli – la triade
e i movimenti per gradi congiunti – entrano in rapporto tra
loro in maniera diversa: la triade tintinnabuli si sviluppa non
come nelle [voci tintinnabuli], attraverso la successione
orizzontale delle note, ma – come nell’accordo tradizionale –
in una sovrapposizione verticale, all’interno della quale,
grazie a piccoli cambiamenti di singole note o di coppie di
note, prende forma la sequenza sonora».7
La composizione si apre con il passo evangelico che recita:
«And Jesus himself began to be about thirty years of age,
being as was supposed the son of Joseph».8 Una
declamazione ritmicamente rilevata e collocata nel registro
centrale (contralti-tenori) si sostanzia in una sequenza di tre
23
accordi che danno vita a una struttura cadenzale che riporta
all’iniziale accordo di mi minore, punto di partenza di tre
nuove sequenze, in uno spazio sonoro discendente
nell’impianto tonale sempre di mi minore. Al di sotto e al di
sopra, nelle voci di basso e soprano, compaiono singole note
tintinnabuli complementari che rilevano le singole vocali del
testo sulle quali cade l’accento principale e producono delle
dissonanze assai espressive.
Esempio 1
A batt. 16 prende avvio una sorta di formula litanica dal
sapore quasi processionale (“which was the son of Heli” […]
“which was the son of Levi”, batt. 16-86). La sezione dei
bassi scandisce, in serrato dialogo con le rimanenti tre voci, il
lungo elenco di nomi che da Gesù porterà poi fino ad Adamo
e a Dio. L’organizzazione del testo determina una figurazione
ritmica che caratterizzerà gran parte del lavoro e che ha il
compito di spingere ogni singola frase verso la chiara e
rilevata enunciazione dei nomi che compongono l’albero
genealogico. Tale figurazione scaturisce naturalmente dal
testo inglese che, a differenza di quello latino, presenta un
gran numero di monosillabi. Le pause che separano la linea
di canto dei bassi dalla risposta delle tre voci superiori
contribuiscono a dare all’eloquio quella significativa
sospensione carica di un’oggettiva e metafisica attesa che
intercorre fra generazione e generazione. 9
Esempio 2
24
Alla nota sequenza di mi minore, che viene successivamente
riproposta in un graduale movimento ascendente, ne subentra
una analoga trasposta nel luminoso tono di sol maggiore. I nomi sono per la maggior parte bisillabi. Nel caso dei nomi
trisillabi o quadrisillabi l’elemento melodico affidato al basso
acquista un lieve allungamento, mentre le tre voci superiori
rilevano le sillabe con un numero corrispondente di accordi.
Alla leggera dilatazione melodica e accordale corrisponde,
talvolta, una sorta di efficace innervazione ritmica dovuta alla
presenza di sincopi espressive con chiara funzione
declamatoria. Singolare, in tal senso, la sincopazione in
corrispondenza del nome quadrisillabo “Sa-la-thi-el” (batt. 61)
sul quale irrompe una sequenza di due nuovi pregnanti
elementi accordali (si bemolle maggiore e fa maggiore, sulla
consueta intelaiatura di sol maggiore) che ricomparirà una
seconda e ultima volta in presenza di un altro nome trattato
come quadrisillabo dall’autore (“El-K-e-zer”, batt. 78).
La terza sezione (“which was the son of Simeon […] which
was the son of David”, batt. 87-97) ricorre a un nuovo
andamento ritmico in 9/8. La partitura presenta ciascuna
battuta articolata in tre parti con l’inserimento grafico di linee
verticali tratteggiate. In questa indicazione semiografica è
possibile ravvisare l’intenzione del compositore di suggerire
all’interprete una sottolineatura particolare in corrispondenza
della prima delle tre crome di ciascun movimento. 10 Le
sequenze accordali mostrano la solita alternanza dei toni di
mi minore e di sol maggiore. Tali accordi si dispongono in
direzione discendente e danno luogo a mosse linee
“sinusoidali” che finiscono per generare una scrittura di tipo
polifonico-imitativo.
Esempio 3
In questo frangente è possibile osservare che la frase
polifonica non nasce da una linea autonoma rispetto alla
successione delle triadi, ma dalla prevalente frantumazione o
dalla disposizione orizzontale delle stesse. Nella linea di canto
del soprano secondo sembra di poter cogliere, una sorta di
scala, per lo più discendente, originata dalla prima nota di
ciascuna coppia di accordi disposti in arpeggio (sol, la, sol, fa
diesis, mi, re diesis, re; batt. 87-93).
Esempio 4
Altre successioni scalari di suoni sono poi rintracciabili nelle
altre voci, riverberazioni del discendente profilo a spirale della
melodia del secondo soprano.
Come già nella parte introduttiva, anche in questa sezione
compaiono delle note tintinnabuli al soprano e al basso. Alle
due voci estreme viene affidato il canto, reiterato per l’intero
passo, dell’espressione “the son” o della sola parola “son”.
Tale canto si rende presente in due sole note isolate che
ritornano a intervalli di tempo sempre uguali sopra il fluire
delle voci del secondo soprano e del contralto: una sorta di
eco che conferisce all’incedere a ritroso nella storia la forza di
una profonda e feconda umanità (“the son…”, “the son…”,
“son…”). Suggestiva la ripetizione, alla fine dell’episodio (batt.
97-98), del “giro” di sol maggiore dopo quattro cadenze
alternate di mi minore e sol maggiore. Esso si distende prima
sul quarto grado di sol e poi sulla dominante a rilevare un
nome chiave in questo straordinario cammino, “David”, e a
preparare, con sapiente movimento decelerante (rarefazione
delle voci, vocalizzazione del nome “David” affidata al
contralto con lieve sincopazione, chiusura della sezione con
sospensive pause cariche di attesa), l’entrata della quarta
articolazione.
A partire del levare della battuta 98 vi è la ripresa della
seconda sezione. La consueta sequenza di accordi di mi
minore e del suo relativo maggiore compare alternativamente
in tutte le posizioni e questo basta a offrire alla composizione
quella varietà di accenti che illumina un testo rigorosamente
strutturato. Questa volta il tono di sol maggiore precede
quello di mi minore e si distende per un buon tratto,
spingendosi fino a metà della battuta 110. Non vi è più
l’alternanza tra il basso e le rimanenti tre voci in una
spazialità contenuta ma allo stesso tempo differenziata; ora il
testo è gravemente declamato dall’intera sezione maschile
divisa in cinque voci, con un allargamento dei valori in
corrispondenza di ogni singolo nome. Sul levare della battuta
25
Associazione Regionale
Cori Marchigiani
6a ACCAdeMIA euRopeA
per
ecantori
direttori di coro
FANO (pu)
4/11Settembre2011
Direttore
NicoleCorti
Repertorio francese e inglese
del 20o Secolo
In collaborazione con
Comune dI Fano
Coro polIFonICo malatestIano
InContro InternazIonale polIFonICo
CIttà dI Fano
Con il contributo di
mInIstero del lavoro, della salute e delle polItIChe soCIalI
Iscrizioni entro
il 31 maggio 2011
26
106, sempre nella tonalità di
sol, l’austero e monotono
elenco si arricchisce di piccole
ma significative coloriture; le
tre voci superiori continuano
la consueta ritmica
enumerazione delle
generazioni mentre i bassi,
divisi a due o a tre, pongono
in evidenza ogni singolo nome
dapprima con una sorta di
pedale di sol (fondamentale e quinta della triade) e
successivamente sottolineando, con una efficace cadenza, il
ritorno al mi minore. Sul levare della battuta 118, in prossimità
della parte finale della terza sezione, l’incedere si fa corale
(otto voci in omoritmia) con un significativo allargamento della
spazialità sonora che raggiunge l’apice in corrispondenza del
nome “Abraham” (batt. 122), emblematica sottolineatura lungo
il cammino che riporta all’origine prima e definitiva.11
La battuta 128 dà avvio alla quinta sezione che ripropone gli
elementi già segnalati nella terza sezione. Questa volta il ritmo
è di 12/8 e il tono di mi minore, come era avvenuto nella
precedente sezione, è preceduto da quello di sol maggiore.
Le voci del tenore e del basso ruotano principalmente attorno
al profilo melodico del contralto. Ogni singola triade si
scompone dando luogo a due linee variamente intersecanti e
sovrapposte che si muovono, come è stato già osservato
nell’episodio in 9/8 (batt. 87-97), in modo “sinusoidale”,
originate dalle note degli accordi di sol e di mi. Ne scaturisce
una sorta di bicinium caratterizzato da una mobilità timbrica e
segnato talvolta dalla presenza di espressivi intervalli di quarta
eccedente, di quinta diminuita e di settima. Su questa elastica
intelaiatura melodica si sovrappongono, alternandosi, in un
primissimo momento le voci di contralto e di soprano e poi le
sole voci del soprano primo e del soprano secondo a scandire,
con incedere declamatoriamente regolare e in una fissità quasi
ieratica e solenne, il nome del personaggio, preceduto talvolta
dall’espressione “son of” o dalla preposizione “of”.
A partire dalla battuta 140, dopo una sospensione non scritta
ma certamente suggerita dall’intensificazione del discorso
musicale, ricompare la figura ritmica che informa gran parte
del brano e che è stata già segnalata in apertura di analisi
(vedi es. n. 1). Essa, inserita in un mobile metro (9/8, 6/8,
12/8), ha il compito di sospingere i protagonisti della storia
della salvezza verso il motore primo e ultimo di tutte le cose e
fornisce all’episodio una nuova spazialità. Il bicinium già
incontrato acquista una nuova consistenza polifonica con un
incremento del numero delle voci (sei e poi sette). Queste si
dispongono a realizzare una sorta di progressione discendente.
Il soprano primo si muove su un disegno scalare, anch’esso
discendente. Tale disegno viene ripreso in tempi successivi da
tutte le voci ed è originato dalla prima nota (preferibilmente la
terza seguita dalla quinta e dalla fondamentale dell’accordo) di
triadi sciolte: ne scaturisce uno stretto, espressivo ed efficace
gioco imitativo (batt. 140-148).
Esempio 5
nova et vetera
L’episodio conduce alle strutture accordali che rilevano il nome del
progenitore (“Adam”) e al rallentando finale che si concreta in una
cadenza di tipo tradizionale. L’approdo è naturalmente costituito dal mi
minore iniziale che pone in piena evidenza il nome di Dio, principio e
fine di ogni cosa.
Il brano si chiude con la parola “Amen”, non contemplata nel testo
biblico (Largo, batt.149-51). Il cambio ritmico (4/4) offre la giusta
compattezza e solidità alla pregna accordalità realizzata dalle sei voci
che si muovono sul doppio mi dei bassi con una oscillazione di modo
(minore-maggiore) che approda fiducioso a un rassicurante e definitivo
mi maggiore.
La produzione vocale di Arvo Pärt pone alcuni problemi di carattere
esecutivo. L’apparente semplicità di scrittura non deve trarre in
inganno. Per realizzare un qualsiasi lavoro vocale del compositore
estone è necessario affidarsi a cantanti o cantori che hanno maturato
una certa familiarità con il repertorio antico. Il suono va emesso con
chiarezza e precisione di intonazione senza cedere alla tentazione del
vibrato. L’intonazione, in particolare, deve essere curata con grande
attenzione. «Quando la triade è ben intonata – scrive Paul Hillier, noto
interprete dei brani vocali di Pärt e del repertorio antico e
rinascimentale – i suoni che la costituiscono vibrano anche per
simpatia e le altezze che non fanno parte della triade […] possono
raggiungere il massimo effetto. Generalmente, se le ottave, le quinte e
le quarte sono ben intonate, il resto viene da sé». 12
L’oggettiva suggestione e fascinazione della musica di Pärt ha bisogno
poi di interagire con l’ambiente all’interno del quale essa viene cantata.
Lo spazio acustico finisce quindi per diventare «parte della
composizione, o addirittura lo strumento dentro il quale far risuonare
la musica»13. Ed è proprio lo stile tintinnabuli a richiedere un ambiente
adeguato per essere pienamente inteso. Infatti gli armonici superiori
sprigionati dalle triadi «giocano un ruolo importante nel modo di
risuonare della musica lì dove essa viene eseguita. Un fenomeno
analogo a quello del rintocco delle campane, forma di espressione
musicale che non conosce confini e consiste in un flusso di armonici
superiori»14.
La musica di Pärt, pur palesando una sua implicita e inequivocabile
oggettività di scrittura, possiede una sua forza significativa che, in
qualche occasione, si impone con l’evidenza della verità. Ciò accade,
probabilmente, perché il compositore dà voce al suono avvertito nella
sua semplicità, nella sua disarmante essenzialità, nel suo logico e
consequenziale rapporto con altri suoni, spogliato di tutte quelle
sovrastrutture che talvolta lo soffocano e lo rendono oscuro,
inaccessibile, in qualche caso incomprensibile; perché sa utilizzare il
suono nelle sue componenti fisico-acustiche naturali; perché sa
leggere e trasferire ciò che da sempre è scritto in esperienza sonora
reale, concreta, vissuta.
È per questo che la musica di Arvo Pärt piace, coinvolge, diviene il
prolungamento di una nostra intima dimensione dell’animo, sa
innalzare i nostri pensieri e infonde in chi la ascolta e, ancor più, in chi
la esegue una inafferrabile nostalgia del trascendente e – in qualche
caso – ci riconcilia con la musica del nostro tempo.
27
Note
1. La dichiarazione è riportata nelle note al
programma di sala stese da Wolfgang Sandner in
occasione dell’esecuzione del Passio Domini nostri
Jesu Christi secundum Johannem di Arvo Pärt,
eseguito da The Hilliard Ensemble presso
l’Auditorium C. Pollini di Padova il 28 marzo 1988.
2. Cfr. L. Brauneiss, Un’introduzione allo stile
tintinnabuli, in Arvo Pärt allo specchio, a cura di E.
Restagno, Il Saggiatore, Milano 2004, pp. 148-49.
3. Il presente lavoro si propone di offrire agli
appassionati e cultori di musica vocale un’attenta
lettura stilistica e interpretativa del brano di Pärt
senza la pretesa di essere esaustivo.
Un’approfondita analisi tecnico-stilistica della
composizione richiederebbe ben altro impegno e
spazio.
4. «È evidente il carattere costruito, quasi
artificiale, di questo elenco di nomi: sono 11 serie
di 7 nomi, per un totale di 77 nomi. Il sette –
numero sacro – è dominante: Davide e Abramo
sono ciascuno il 7° nome della loro serie. Gesù può
apparire come il 78° nome, o come l’inizio della
dodicesima serie, e cioè della dodicesima
settimana, l’ultima della storia del mondo».
(G. Rossé, Il vangelo di Luca, Città nuova, Roma
2006, p. 139). Non mi sembra che il simbolismo
sotteso al passo di Luca trovi una sottolineatura
nella struttura e nella musica del brano di Pärt.
5. Nella presente analisi ci si avvale, in alcune
occasioni, del contributo di L. Brauneiss,
Un’introduzione, cit., pp. 193-96.
6. È probabile che la scelta della lingua inglese sia
da mettere in relazione con il carattere
programmaticamente sovranazionale del gruppo
vocale formato da dieci giovani cantori per ogni
singola nazione (età compresa fra i 18 e i 23 anni),
provenienti da dieci stati europei.
7. L. Brauneiss, Un’introduzione allo stile
tintinnabuli, cit., p.194.
8. «Gesù quando cominciò il suo ministero aveva
circa trent’anni ed era figlio, come si credeva, di
Giuseppe» (Lc, 3, 23).
9. Il carattere “antifonale” del passo e le pregne
sonorità accordali che seguono l’enunciazione
melodica dei bassi, infondono all’ampio episodio il
carattere di un canto “gospel” ante litteram.
10. Una siffatta organizzazione degli accenti
imprimerebbe al passo un interessante e leggero
andamento di danza.
11. Il vangelo di Matteo si apre con un’altra celebre
genealogia di Gesù (1, 1-16). Essa ha inizio proprio
da Abramo, in un percorso inverso rispetto a quella
di Luca, che porterà a Giuseppe e Maria e alla
nascita di Gesù Cristo.
12. P. Hillier, Osservazioni sulla prassi esecutiva
della musica corale di Arvo Pärt, in Arvo Pärt allo
specchio, cit., p. 225. Il contributo di Hillier offre
altre utili indicazioni sul modo di eseguire le
composizioni vocali di Pärt.
13. Ivi, p. 228.
14. E. Mineur Saette, Microcosmo nella cattedrale.
Intervista ad Arvo Pärt, in Arvo Pärt allo specchio,
cit., p 248.
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nova et vetera
29
Tõnu Kaljuste allo specchio
a cura di Andrea Angelini
direttore artistico dell’associazione musica ficta e direttore dell’international choral bulletin
Incontro Tõnu Kaljuste in un ristorante di Rimini, ove ceniamo assieme dopo aver trascorso
una lunga e intensa giornata al Conservatorio di Cesena. Qui, dal 17 al 19 febbraio, il
famoso artista estone ha tenuto un masterclass per cantanti e direttori sulla musica corale
di Arvo Pärt. In repertorio c’erano alcuni dei suoi brani più amati come il Magnificat, il Da
nobis pacem, il Which was the son of… Gli appassionati a questo repertorio hanno risposto
numerosi: il corso ha visto la presenza di 24 partecipanti, provenienti da Italia ma anche da
Francia, Germania e Australia. Un concerto finale e la consegna degli attestati sono stati il
suggello di questa meravigliosa esperienza voluta dalla direzione del Conservatorio di
Cesena e realizzata in collaborazione con l’Associazione Musica Ficta.
C’è stata una decisione veramente significativa che ti ha portato a essere il musicista che
sei attualmente?
A mio parere è stato davvero importante e determinante il fatto di avere dei compositori
intorno: la loro presenza ha suscitato in me un forte interesse verso questo tipo di musica.
Se una persona si dedica allo studio di uno strumento, come il pianoforte o il violino, si
ritrova poi a eseguire una consistente quantità di musica scritta nel passato; se invece vive a
stretto contatto con diversi compositori, si trova come immerso in quello che possiamo definire
autentico linguaggio musicale. Questo per me è stato un messaggio estremamente importante.
Mio padre è stato direttore di un coro di voci bianche e un insigne didatta: ha scritto una
enorme quantità di libri sull’argomento ed è stato un sostenitore del metodo Kodály. La mia
prima esperienza musicale è avvenuta proprio all’interno del suo coro. Non saprei dire se, a un
certo punto della mia vita, ho deciso che sarei diventato musicista, o se mi sono sentito tale fin
dall’inizio. È stato un po’ come quando viaggi per mare: le onde ti portano in una certa
direzione.
La musica di Arvo Pärt ha avuto in Italia e
in tutto il mondo una grande popolarità,
molto maggiore rispetto a quella ottenuta
da altri compositori contemporanei. Qual è,
secondo il tuo parere, il motivo di un così
grande successo?
Talento, punto! Semplicemente talento.
Negli anni Sessanta Pärt ha composto brani
utilizzando diversi sistemi compositivi; ha scritto musica per bambini e poi, quasi
improvvisamente, ha “ideato” uno stile completamente innovativo, i tintinnabuli, che
costituiscono l’essenza della sua musica. Parliamo veramente di un grande compositore.
La musica di Arvo Pärt
“respira” con il pubblico.
Quando si parla di musica contemporanea, immediatamente si pensa alla scuola di Darmstadt,
che non è molto amata dalla gente poiché si dice che non “raggiunge” il cuore. Arvo Pärt è
stato un seguace di questa corrente prima di sperimentare lo stile dei tintinnabuli? O, cosa è
successo?
Non è possibile sapere con certezza cosa sia accaduto nel pensiero del compositore! Se però
osserviamo attentamente i brani composti precedentemente come Second Synphony o Pro et
contra o Solfeggio possiamo scoprire che le sue creazioni sono strettamente connesse con
l’algebra, con elementi matematici attraverso un sistema molto chiaro. Negli ultimi brani, come
in Adam’s Lament, Pärt ha cominciato a “volare” con una nuova energia. Sorprendentemente
tutti gli stili e le formule utilizzate precedentemente e tutto ciò che era importante prima, sono
stati trasformati in una nuova forma comunicativa, probabilmente molto più libera. Ancora una
30
ambientale in cui si trova. Questo tipo di musica non era
destinata alle sale da concerto: rivestiva piuttosto un ruolo
comunicativo e relazionale, era parte della vita stessa.
volta questo dipende dalle capacità del compositore! Pärt è
un comunicatore di emozioni, a volte trasmette un certo
distacco dalla materia mentre altre volte i suoi brani invadono
quella sfera che viene definita misticismo proprio perché la
musica è un linguaggio indipendente con elementi di
bellezza. Una volta mi disse che «per fruire della mia musica
è sufficiente che una sola nota venga suonata in maniera
sublime». Viceversa, ci sono tante pagine di compositori
contemporanei del XX secolo che, anche se eseguite alla
perfezione, non trasmettono le stesse sensazioni.
Naturalmente qui si apre un discorso difficile e pericoloso
perché il concetto di bellezza è soggettivo, è un concetto che
si offre a tante speculazioni. Resta il fatto che la musica di
Arvo Pärt “respira” con il pubblico.
Quando ti trovi a dirigere le composizioni di Pärt sei più
portato a dare una interpretazione personale o a seguire il
pensiero dell’autore?
Entrambe le cose. Lavorando insieme abbiamo avuto modo
di confrontarci e talvolta le nuove idee non erano né mie né
sue, ma scaturite proprio dal confronto. Posso affermare che
si tratta di un compositore molto sensibile e attento: a volte
ha modificato i suoi brani molti anni dopo la prima
esecuzione. Dona nobis pacem è stato “corretto” nel 2009:
quando dirigi un brano devi conoscere l’ultima versione. Ai
giorni nostri, la tecnologia costituisce un indispensabile
supporto per questo tipo di lavoro che prevede modifiche e
nuove versioni musicali.
La musica folk è molto popolare in Europa. Specialmente in
Ungheria, nei Paesi Baltici e Scandinavi, nel Nord Italia, in
Russia e in altri, si avverte l’importanza della musica come
strumento per tramandare e tenere vive le proprie tradizioni.
Come è possibile avvicinare i giovani a questo tipo di repertorio,
a farli cantare qualcosa che si riferisce al proprio mondo
passato? Quali sono gli elementi determinanti su cui far leva?
Sicuramente la cultura e la storia: è fondamentale
comprendere che la musica “scaturisce” dal contesto
Le tradizioni sono certamente qualcosa che guarda al
passato mentre i giovani sono attratti dalla musica techno e
rock… Come è possibile interessare le nuove generazioni e
far sì che cantino brani i cui testi riguardano eventi accaduti
40, 50 anni fa?
Penso che in proposito ognuno abbia le proprie idee; ora si
assiste a un fenomeno in cui è possibile accorgersi che milioni
di persone vanno tutte in una certa direzione: non è possibile
fermare lo sviluppo della musica techno o rock. Qualunque
tipo di musica è parte della nostra vita ed è importante non
“entrare in conflitto” con i diversi stili musicali; a volte
possono esservi elementi del folklore che vengono introdotti
nella musica contemporanea oppure possiamo scoprire
collegamenti rilevanti tra la nostra cultura e la nostra storia,
comprendere le motivazioni per cui un particolare brano è
stato composto, quali gli elementi musicali acquisiti
dall’ambiente… Credo che in Europa sia più difficile
comprendere questa teoria perché i legami tra il folklore
“antico” e la vita presente sono meno vivi rispetto ad altri
paesi quali l’Asia, l’India. È sufficiente analizzare un raga
indiano per accorgersi quanti elementi ci possano essere in
uno solo modello.
Veljo Tormis e Arvo Pärt allo specchio. Cosa rappresentano
per l’Estonia e come l’Estonia è rappresentata nelle loro
opere?
Ogni bravo compositore è unico e non appartiene
specificatamente a un Paese. La buona musica si trova
ovunque ma, naturalmente, Veljo Tormis è un compositore
davvero speciale in quanto ha attinto dalle canzoni tradizionali
Il potere poetico va
di pari passo con la musica.
estoni più antiche, facendo realmente tesoro della nostra
musica folk. Quando sviluppò i primi arrangiamenti di musiche
folk si rese conto che l’Estonia era un Paese piccolo; tuttavia
il suo intento era quello di conservare la cultura della
madrepatria, attratto dal fatto che la lingua di derivazione
ugro-finnica rischiava di essere dimenticata da persone che
vivevano in un Paese che apparteneva alla Russia già da molti
anni. Quando Tormis scrisse i sei Cycles (Livonian Heritage,
Votic Wedding Song, Izhorian Epic, Ingrian Evening, Vepsian
Paths and Karelian Destiny) nessuno sapeva nulla riguardo la
loro origine. Gran parte della popolazione che viveva in
Estonia utilizzava lingue diverse e Tormis pensò che l’estone
nova et vetera
avrebbe potuto essere un elemento di riunificazione. Quanto
forte è stato il potere delle tradizioni musicali contro la
pesante dominazione culturale russa! Al tempo stesso si può
dire che compose nuovi brani, attingendo comunque idee
dalla musica folk ma eliminandone i tipici colori romantici.
Accade, a volte, ascoltando la musica popolare europea, di
non distinguere se si tratta di una canzone danese, tedesca o
di un altro paese: sono talmente piccole le differenze nella
melodia o negli arrangiamenti. Ma il “vero” folklore estone ha
dato a Tormis l’idea di rappresentare proprio i canti originali,
eliminando gli eccessi di romanticismo. Similmente come fece
Stravinskij con la musica russa e come fecero molti altri
compositori che seppero valorizzare l’autentico folklore. Veljo
Tormis ha riportato in vita brani che erano stati per lungo
tempo dimenticati. L’attività di Arvo Pärt si svolge in un’area
completamente differente. Per chiarire potrei dire che l’ambito
di Tormis è la terra, il concreto e quello di Pärt il cielo,
l’etereo. Due visioni della musica estone! Sicuramente
l’Estonia è orgogliosa di questi compositori ma, a differenza
di altri Paesi, non è direttamente coinvolta nella loro
promozione all’estero. Abbiamo un’altra dimensione del
concetto di “popolarità nel mondo”.
Arvo Pärt è vissuto all’estero per molti anni; questo fatto ha
danneggiato, in qualche modo, l’immagine dell’Estonia? Si
potrebbe pensare che non rappresenti la vera essenza della
cultura estone?
Pärt è sicuramente più cosmopolita di Tormis, ma anch’egli ha
composto bellissimi brani per bambini, in lingua estone,
soprattutto quando era giovane. Lavora però in un campo
completamente diverso: è ortodosso, ad esempio. Due
personalità, ma entrambi molto famosi in Estonia. Pärt,
inoltre, è stato allievo di Tormis, dopo la Seconda Guerra
Mondiale.
Estonia: un piccolo Paese grande nella musica. Qual è il
segreto il segreto di quello che può essere definito “il Paese
che canta”? In quale modo il dominio sovietico ha suscitato il
desiderio di libertà, attraverso la musica?
Come ho detto prima, queste canzoni esistevano, nel
folklore estone, da centinaia di anni. Il potere della musica
può cambiare il mondo, può trasformare le pietre in denaro,
può determinare avvenimenti magici. Quando l’Estonia si
ribellò, la prima volta, contro l’Impero Russo, accadde che le
persone cominciarono a convergere insieme cantando su
temi inneggianti alla libertà; migliaia di persone arrivarono
da tutte le parti dell’Estonia e confluirono a Tartu, nell’estate
del 1869, dando vita, in maniera spontanea, al Laulupidu
(Festival Estone di Canzoni) uno dei più grandi eventi corali
amatoriali, del mondo. Il nazionalismo estone cominciò in
quell’istante. Tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, in
tutta Europa, molti giovani compositori fondarono “Scuole
Nazionali” allo scopo di conservare le proprie tradizioni
musicali.
31
Ritieni che la musica corale abbia avuto un ruolo importante
nella conquista della libertà dal regime sovietico o il suo
ruolo non è stato così rilevante?
Sì, lo ha avuto. Le persone non hanno protestato in strada,
distruggendo o incendiando tutto. Sono arrivate, cantando,
insieme. La forza della musica.
Secondo la mia opinione, un brano corale è un testo
“rivestito” di musica. Cosa pensi del potere poetico delle
parole?
Il potere poetico va di pari passo con la musica. Possiamo
dire che vi sono tre grandi linguaggi: il testo, la letteratura e
la musica. Quando la musica è interessante, sicuramente
aiuta il testo a “volare”. I canti gregoriani sono stati utilizzati
in chiesa, con l’intento di elevare le menti: semplici melodie
dagli effetti suggestivi.
«La voce umana è lo strumento più perfetto di tutti».
Condividi questa affermazione di Arvo Pärt?
Ogni strumento è perfetto! Dipende da chi lo suona e cosa
suona. Pensare che la voce umana sia lo strumento più
perfetto è davvero bello, ma… lasciatemi dire che è vero
quando viene utilizzata bene. La voce è come un segreto:
è qualcosa di non tangibile, è espressione di un individuo.
È anche evidente che ogni strumento, nel mondo, tenta di
riprodurre la voce umana!
( traduzione dall’inglese di Annamaria Fonti)
32
L’osservazione dei parametri musicali
in una composizione corale
di Sergio Bianchi
direttore del coro val tinella e docente al conservatorio di como
Capita talvolta di ascoltare esecuzioni precise nell’intonazione
e nel ritmo, equilibrate nella realizzazione degli accordi,
attente nella dinamica indicata ma che sono poco
coinvolgenti, ci lasciano indifferenti. Al contrario altre
interpretazioni riescono a emozionarci e trascinarci nel flusso
dei suoni. Come può uno stesso brano determinare reazioni
così differenti?
Evidentemente la situazione psicologica di chi è coinvolto
come esecutore o come ascoltatore o quella determinata da
una particolare circostanza non possono essere prese in
considerazione perché sono variabili imprevedibili.
Concentreremo quindi la nostra attenzione su elementi
esclusivamente musicali. Innanzi tutto un brano vocale ha un
testo letterario e quindi la sua analisi, la comprensione dei
rapporti con la melodia e l’armonia sono passaggi
indispensabili per uno studio serio della composizione
musicale.
Non vorrei deludere le aspettative di chi legge proponendo
l’analisi di un corale di J.S. Bach.
Il corale non solo ha una scrittura accordale che è tipica di
molte composizioni popolari ma presenta una scrittura
organizzata in “frasi” più o meno lunghe concluse da una
cadenza il cui accordo finale è evidenziato da una corona.
Questa organizzazione interna è presente in molti canti di
tradizione popolare i cui versi si concludono appunto con
cadenze (prive normalmente di corone). 1
Appurato un legame fra i due generi cerchiamo di vedere
come il metodo analitico e le osservazioni possibili per il
corale possano essere impiegate anche in un canto popolare.
Prendiamo in esame il corale Was Gott thut, das it
wohlgethan cercando di individuare:
1. il piano tonale: tonalità e modulazioni;
2. cadenze: perfetta, sospesa… complessità armonica;
3. la posizione melodica degli accordi con corona: diversa
valenza delle posizioni melodiche;
4. la linea melodica: discendente, ascendente, ad arco,
ondulata;
5. la linea melodica profonda;
6. i valori musicali.
Tutti questi fattori interagiscono nel creare il brano musicale.
La loro trattazione separata è però necessaria per coglierne il
singolo contributo e per avere un quadro analitico il più
preciso e completo possibile.
Il testo può essere così tradotto:
Quello che fa Dio è ben fatto,
rimane fedele la Sua volontà.
Siccome Egli dà inizio alle mie cose,
io avrò fermezza.
Egli è il mio Dio
che sa come aiutarmi, quando sono nel bisogno
ed io lascio agire.
La tonalità d’impianto è sol maggiore. 2
Le diverse corone dividono il corale in frasi più o meno ampie
dando vita a una articolazione interna. Nell’esecuzione
occorre evitare che tutte le corone abbiano la stessa
lunghezza, spezzando il fluire della musica in tanti archi che
(scusate il paragone) possono ricordare il “procedere di un
canguro”. È necessario valutare ogni corona, ogni cadenza e
osservare il modo di procedere della melodia e della armonia.
Il piano tonale del corale può essere così riassunto: 3
sol maggiore: battuta 0d-5a
re maggiore: battuta 5b-8c
sol maggiore: battuta 8c-10c
Le cadenze evidenziate dalle corone sono:
battuta 2: cadenza perfetta in sol maggiore (p.m. di 3a);
battuta 4: cadenza composta in sol maggiore (p.m. di 8a);
battuta 5: cadenza imperfetta in re maggiore (p.m. di 5a);
battuta 6: cadenza sul II grado in re maggiore (p.m. di 3a);
battuta 8: cadenza composta in re maggiore (p.m. di 8a);
battuta 10: cadenza perfetta in sol maggiore (p.m. di 8a).
Abbiamo ben tre cadenze sulla tonica nella tonalità d’impianto
e due cadenze rilevanti (battute 5 e 8) in re maggiore (tono
della dominante). Evidentemente non tutte le cadenze in sol
maggiore hanno la stessa importanza, perché la diversa
canto popolare
posizione melodica (p.m.) crea un effetto conclusivo più o
meno marcato.
L’esposizione al soprano dell’8a della fondamentale (p.m. di
8a) esprime un senso di chiusura, mentre l’esposizione della
3a (p.m. di 3a) o della 5a (p.m. di 5a) comunica un senso di
apertura.4
Partendo da questa considerazione, la cadenza di battuta 2
assume un senso di chiusura meno accentuato rispetto alle
altre due. Analoghi suggerimenti possiamo trarre per le
cadenze in re maggiore: la più importante risulta quella di
battuta 8 (l’unica in posizione melodica di 8a). La sua valenza
a fini strutturali è però inferiore alle due in sol maggiore,
infatti ogni deviazione dal piano tonale principale viene intesa
come fattore di dissonanza.5
Possiamo così proporre un’ipotesi di interpretazione: il corale
è diviso in due grandi archi che “orientano” le corone
contenute al loro interno.
N.B. i numeri contenuti nei cerchietti indicano le posizioni melodiche.
La validità di quanto ipotizzato viene confermata dall’analisi
delle linee melodiche.
Un andamento ascendente viene percepito come “apertura”,
come aumento di tensione; al contrario una linea discendente
comunica un senso di compiutezza, di chiusura, di risoluzione
delle tensioni accumulate.
Se infatti la prima fase (battute 0d-2c) che conduce a un
accordo di tonica in posizione melodica di 3a presenta un
andamento “ad arco” ascendente, le tre “frasi” che finiscono
in posizione melodica di 8a (2d-4c; 6d-7c; 8d-10c evidenziate,
nel successivo esempio, da una linea tratteggiata) utilizzano
una linea discendente sostanzialmente simile (le differenze
non sono tali da modificarne il carattere).
Se infine osserviamo la linea melodica profonda (potremmo
anche definirla linea tendenziale che si ottiene attraverso una
serie di sottrazioni di suoni in modo da ridurre quello che ci
appare ai suoi movimenti essenziali) notiamo la presenza di
due grandi archi che si chiudono in tonalità di sol maggiore e
che comprendono le battute 0d-4c e 4d-10c. Ciascun arco
procede inoltre dalla nota re alla nota sol, sottintendendo un
cammino dalla dominante alla tonica.
Anche sotto questo aspetto analitico risulta evidente
l’importanza della cadenza a re maggiore di battuta 8 (la
33
linea melodica conduce al suono più grave di tutta la seconda
parte) che tuttavia deve essere pensata nel contesto di tutto
il corale e quindi “sottomessa” alla cadenza finale.
L’analisi dei valori impiegati non è particolarmente rilevante in
questo corale: tutti gli accordi posti sotto la corona hanno la
stessa durata e questo significa che altri devono essere i
parametri da analizzare più attentamente.
Possiamo concludere sottolineando che questa proposta è
una possibile analisi interpretativa che si basa su dati
oggettivi.
A chi obiettasse che forse Bach non si è preoccupato di
procedere in modo così “costruito” si può rispondere che non
è molto importante come Bach sia arrivato a questo risultato,
ma che ci sia arrivato. Un compositore nell’atto creativo riesce
a utilizzare tutte le capacità in suo possesso: dall’abilità
tecnica, alla sensibilità, al bisogno di proporzione e di
equilibrio. Tutto concorre in modo più o meno conscio
attraverso il bagaglio delle esperienze a tradurre in musica le
emozioni e in definitiva “il sentire” tipico del compositore.
Prendiamo ora in considerazione il canto friulano A planc cale
il soreli nella armonizzazione di Gianni Malatesta.
A planc cale il soreli
daur d’un alte mont,
ne grande pâs a regne
che par un sun profont
Lentamente cala il sole
dietro un alto monte,
regna una grande pace
che sembra un sonno profondo
e lis piorutis
mangin jerbutis che son là.
Il to pinsir, o biele,
cui sa là c’al sarà!
e le pecore
brucano l’erba che sta là.
Il tuo pensiero, o bella,
chissà mai dove sarà!
34
Note
1. Il termine “cadenza” viene utilizzato come
strumento di organizzazione del discorso
musicale. Come la punteggiatura nella lingua
italiana “organizza” le diverse frasi che
compongono il discorso (pensate al punto, al
punto interrogativo, o quello esclamativo, alle
virgole, ai due punti…) così le cadenze
determinano un effetto conclusivo più o meno
marcato, oppure generano una sospensione,
un’attesa…
2. Occorre ricordare che nei corali spesso sono
presenti modi di condurre la melodia e
l’armonia che si rifanno ai cosiddetti “modi
antichi”. Pur non volendo trascurare la portata
del fenomeno, riteniamo necessaria una
semplificazione non essendo questa la sede
per un approfondito studio storico del corale.
3. Le lettere scritte in piccolo dopo il numero
delle battute indicano il tempo in cui avviene il
fenomeno esaminato, per esempio: 5a =
battuta 5, primo quarto; 8c = battuta 8, terzo
quarto.
4. Occorre ricordare che «la parte superiore,
per motivi psico-acustici, viene sentita come
più esposta; da ciò consegue che:
a. nella prima posizione (p.m. di 8 a) si dà una
condizione di rafforzata chiusura in se stessa
della triade;
b. nella seconda posizione (p.m. di 3a) si dà
una condizione di apertura verso l’alto con
accresciuta intensità luministica;
c. nella terza posizione (p.m. di 5a) si avverte
una dominanza panoramica, una visione
slargata e aperta che contrasta con quella
chiusa della prima posizione».
M. De Natale, L’armonia classica e le sue
funzioni compositive, Ricordi, Milano 1986.
5. Con l’espressione dissonanza non si intende
un fenomeno acustico sgradevole all’orecchio,
bensì una situazione di instabilità che
necessita di essere risolta. Per esempio la
triade di dominante non è sgradevole
all’ascolto, ma, creando una forte tensione,
deve necessariamente portarsi (cioè risolvere)
sulla tonica.
6. La dominante secondaria è un accordo di
dominante (V grado della tonalità) riferito a un
grado diverso della tonica. La sua funzione è
quella di creare una apparente e brevissima
modulazione, che agendo come elemento di
disturbo, rende ancora più appagante il
raggiungimento della vera tonica. La cadenza
finale acquista un effetto più potente, perché
deve compensare le digressioni armoniche
precedenti.
Il testo è formato da due strofe di quattro versi che si traducono in altrettante
frasi musicali concluse da una cadenza.
La tonalità è fa maggiore e non vi sono reali cambi di tonalità. Le alterazioni
do# (battuta 10b) e sib (battuta 11) suggeriscono modulazioni passeggere o
più propriamente appartengono a dominanti secondarie del VI e del V grado.6
Si possono individuare quattro cadenze:
battute 3-4, fa maggiore: cadenza plagale (IV-I), p.m. 5a;
battute 7-8, fa maggiore: cadenza sul II grado, p.m. 5a;
battute 11-12, fa maggiore: cadenza sospesa (V7 del V-V), p.m. 3a;
battute 14-15, fa maggiore: cadenza composta (IV7-V7-I), p.m. 8a.
Le cadenze utilizzate (tutte diverse fra loro) suggeriscono che l’unico approdo
chiaro è alla conclusione della strofa. L’analisi delle posizioni melodiche degli
accordi conclusivi di ciascuna cadenza conferma quanto emerso.
Sembra invece discostarsi da tutto ciò l’analisi della linea melodica che, dopo
la stasi del primo verso (sostanzialmente do-re-do) si innalza decisa sino al
la3 raggiungendo il suono più acuto (vedi anche battute 13 e 14) dell’intera
composizione.
L’ignoto autore della melodia ha evidentemente preferito l’aspetto descrittivo/
madrigalistico (l’ascesa melodica evidenzia l’espressione “alte mont”) alla
coerenza del testo nei primi due versi: “lentamente cala il sole dietro un alto
monte”.
La linea melodica proposta sul verso successivo “ne grande pâs a regne” si
muove nuovamente per piccoli intervalli, sempre per grado congiunto,
comunicando un senso di calma e, appunto, di pace.
L’ampio intervallo collocato all’inizio dell’ultimo verso (do3-la3) spinge la
melodia verso l’alto sull’espressione “sun” (sonno) e chiude, ripiegando
nuovamente per grado congiunto.
Nell’interpretazione di una composizione occorre tener presente che i singoli
particolari devono essere valorizzati senza nuocere al valore complessivo
dell’opera. Ci deve essere un’interazione continua fra particolare e generale in
modo che quest’ultimo assegni il giusto valore alle singole parti che devono
comunque essere realizzate evidenziando tutte le loro possibilità.
Diventa così interessante osservare che sia nella parte dei bassi che in quella
dei tenori primi, i suoni degli accordi conclusivi di ogni cadenza disegnano
due linee melodiche (linee profonde) che riassumono quanto sin qui
osservato:
La linea dei tenori sembra condurci gradualmente dalla dominante alla tonica,
creando una tensione che risolve e trova il suo appagamento nell’accordo
conclusivo.
La linea del basso disegna una grande cadenza che estendendosi per tutto il
pezzo determina un principio compositivo che governa la composizione.
È certamente difficile, se non impossibile, stabilire quanto coscientemente
abbia operato l’inventore della melodia; più facile è immaginare che
l’armonizzatore (nel caso Gianni Malatesta) abbia in modo conscio o inconscio
attinto alla sua preparazione musicale, alla sua esperienza e alla sua
musicalità nel creare una coerenza mirabile.
Ci sia consentita un’ultima osservazione sulla armonia. Quest’ultima è
canto popolare
35
piuttosto semplice, direi volutamente semplice, volendo
esprimere concetti e sensazioni alla portata di tutti. Dall’analisi
dei primi accordi emerge una cura particolare nel concatenare
armonie molto simili (avendo ben due note in comune) che,
fondendosi l’una nell’altra, sembrano accostare “colori” molto
simili:
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L’effetto che ne deriva è un movimento armonico contenuto,
lento… e discendente… esattamente come dice il testo “A planc cale il soreli” (Lentamente cala il sole).
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Une initiative À Cœur Joie
36
Provare per credere!
Intervista a Roberta Paraninfo
a cura di Efisio Blanc
Tu, come molti altri direttori di coro, non hai avuto una
preparazione accademica nell’ambito della coralità (sei una
pianista), ma a un certo punto della tua carriera ti sei
dedicata al coro. Cos’è che ti ha indotto a questa passione?
Ebbene sì, sono una direttrice di coro senza diploma in
direzione corale! La mia formazione decisiva si è compiuta nei
primissimi anni di vita (ma non si è ancora fermata…).
Mio padre, medico di professione, era anche un pianista e
musicista molto appassionato: mia sorella e io siamo nate con
il respiro della musica e siamo cresciute a musica classica e
jazz.
Ciò che è stato davvero fondamentale per la nostra crescita è
che mio padre, facendoci ascoltare i dischi in vinile, cantava
tutte le parti degli strumenti d’orchestra, o quelli solistici, con
il nome delle note, cantava gli accordi “in verticale” mimando
a volte gli strumenti, altre volte il direttore d’orchestra,
“impersonava” gli andamenti armonici o quelli melodici,
oppure quelli ritmici, a seconda di cosa doveva essere
evidenziato, facendoci vivere la musica come un
discorso, come una storia da narrare.
Salto qualche anno di studi, arrivo al diploma di
pianoforte e divento anche insegnante del metodo
Yamaha, che ha il suo corso più importante con i
bambini tra i 4 e i 6 anni, giustamente, il momento
dove l’orecchio musicale ha il suo apice di sviluppo.
Il metodo prevede classi di bambini che ben presto
suonano in ensemble e cantano in coro, ed ecco
che mi trovo a dirigere cori di 80 bambini. Ma non si può
essere direttore di coro se non si è anche corista: la mia
formazione si arricchisce notevolmente negli anni in cui canto
nelle fila nel coro Polyphonie Studium diretto da Francesco
Lambertini, il maestro da cui apprendo molto del repertorio
corale e della tecnica direttoriale. In effetti posso dire che non
ci sia stato un momento preciso in cui sono diventata una
direttrice di coro: ho cominciato a esserlo a tre anni con i
dischi e nel corso della mia vita l’ho fatto diventare realtà.
Non possiedo “il diploma”, ma non ho mai smesso di
studiare, approfondire, mettermi in discussione, cercare di
crescere.
avvenire è a scuola, all’interno del gruppo classe, struttura
privilegiata per diverse, importanti ragioni: è un tessuto ricco
di differenti realtà umane che non si sono scelte alla
partenza, accomunate dall’età e dal fatto di trovarsi insieme
per un percorso di crescita didattico e umano. Avrei centinaia
di racconti di bambini che, grazie alla musica, sbocciano,
imparano a gestire le emozioni e le proprie energie, scoprono
se stessi, migliorano in matematica, superano difficoltà di
relazioni… Senza parlare delle soddisfazioni di capacità
musicali sviluppate anche nei bambini su cui mai si avrebbe
scommesso, o che mai in altro modo avrebbero potuto
permettersi uno studio musicale…
È un lavoro estremamente impegnativo, da dieci anni lo
svolgo con più di 600 bambini divisi in 30 classi.
Dall’educazione dei bambini dipende anche il nostro futuro
musicale e culturale: probabilmente su 600 bambini solo
alcuni continueranno ad approfondire lo studio della musica,
ma per tutti gli altri deve sussistere almeno la speranza di
Non si può essere
direttore di coro
se non si è anche corista.
L’altra tua principale occupazione professionale, oltre a
quella corale, è la didattica della musica. Quale rapporto fra
le due competenze: l’avvicinare i bambini alla musica e il
dirigere un coro?
Come accennavo prima, ritengo fondamentale che la crescita
musicale cominci nell’infanzia e attraverso una totale
“immersione” nella musica. Il luogo ideale dove questo possa
crescere come ascoltatori, capaci di apprezzare il bello
musicale, artistico in generale quando lo incontreranno nella
loro vita.
Il rapporto fra le due competenze, avvicinare i bambini alla
musica e dirigere un coro, si può probabilmente trovare in un
mio desiderio che si trova alla base di entrambe: trovare il
“carisma”, il piccolo tesoro con cui ognuno di noi nasce, e
farlo fiorire attraverso la musica, in particolare attraverso la
voce. Dirigere un coro o insegnare ai bambini, a questo punto,
si differenzia solo per aspetti “tecnici”.
Il Genova Vocal Ensemble, che tu dirigi, è un coro giovanile
di cui non si conosceva l’esistenza, fino a quando…
…è uscito dal nido: fino ad allora era un piccolo gruppo che
trovava nello studio approfondito e nella gioia della scoperta
musicale, la sua meta più felice.
Il Genova Vocal Ensemble, che nell’ottobre del 2011 compirà
17 anni, è una formazione abbastanza unica nel suo genere:
le bambine che ne sono state fondatrici, sicuramente dotate
di un grande talento musicale, hanno avuto la fortuna di
portraiT
37
crescere insieme, sviluppando capacità, gusto musicale e sintonia, diventando nel tempo,
ora giovani donne, ottime musiciste e pilastri imprescindibili del gruppo.
La particolarità di questo gruppo è la capacità espressiva e comunicativa nell’atto
esecutivo, maturata grazie a un costante impegno, caratterizzata da un ritmo di
apprendimento proporzionato all’età, vissuto senza fretta di “risultati” e con una sintonia
di pensiero musicale derivato dalla quantità di anni trascorsi a cantare insieme. Oggi
posso dire che, anche se l’età è quella del coro giovanile, il GVE è una formazione
matura, responsabile, appassionata e di grande sprone sia per le formazioni che seguono
a ruota (i Piccoli Cantori e i Giovani Cantori dell’Accademia), sia per la formazione mista
che li vede protagonisti insieme a una nutrita squadra maschile (lo JanuaVox).
È facile riconoscere in te una certa attenzione verso gli aspetti “teatrali” dell’esecuzione,
anche nel cantare. Quale valore attribuisci a questo elemento?
La musica tutta, ma molto di più il canto, narra una storia. Per narrarla, l’espressione
coinvolge tutto, la voce, gli occhi, il corpo intero. Nel coro il direttore non è il protagonista
del racconto, ma solo colui che ne “dipinge” il quadro, lasciando al coro totalmente la
narrazione.
Anche la staticità di un brano sacro rinascimentale
non va confusa con una staticità fisica o con uno
sguardo spento o distaccato dell’esecutore. Inoltre,
perché rimanere nella “solita” posizione a sezioni?
All’epoca di queste composizioni, non esisteva.
Dal punto di vista tecnico, poi, ne guadagna il
volume delle voci e la responsabilità di ciascun
corista che, in questo modo, diventa solista fra
solisti. Nel repertorio sette-ottocentesco,
ovviamente, è naturale mantenere lo schieramento
ufficiale, perché in questo modo veniva pensata l’esecuzione. Infine una piccola
riflessione sui programmi dei concerti: non una lista di pezzi, magari belli di per sé ma
scollegati, oppure messi in ordine cronologico. Per me è importante che ogni brano sia
collegato al successivo da un filo rosso che renda l’intero concerto comprensibile e
fruibile come un unico grande pensiero, un’unica linea di fraseggio che inizia con la
prima nota e scende sull’ultima, portando varietà di dinamiche espressive esattamente
come ogni singolo brano.
Nessuno più di un giovane
ha la mente aperta, elastica,
predisposta alle novità.
Roberta Paraninfo____
Diplomata in pianoforte nel 1987 si è dedicata soprattutto alla musica da camera e alla
collaborazione con strumentisti e cantanti. Da numerosi anni cura personalmente progetti
di educazione musicale e sviluppo della coralità per le classi delle scuole primarie e
progetti di formazione per insegnanti. Ha diretto e fondato, a partire dal 1994, diverse
formazioni corali.
Attualmente dirige il coro di bambini Les Petits, il coro di voci bianche I piccoli cantori
dell’Accademia, il coro giovanile femminile Genova Vocal Ensemble, il coro giovanile misto
Janua Vox, il coro femminile Good News! Ha ricevuto tre volte il premio come miglior
direttore: nel 2005 al Concorso corale nazionale di Vittorio Veneto, nel 2006 al Concorso
polifonico internazionale di Arezzo, nel 2007 al Concorso internazionale per gruppi vocali
solistici di Vittorio Veneto. È fondatrice dell’Accademia Vocale di Genova.
38
Con i tuoi cori, frequenti abbastanza assiduamente i
concorsi. Qual è il valore che attribuisci a queste
competizioni e come risponderesti all’obiezione di chi vede
in questo una volontà di primeggiare?
Dal mio punto di vista il concorso è un mezzo didattico:
decido di parteciparvi nel momento in cui sento che questo
costituirebbe una maggior spinta allo studio da parte del
gruppo. Diversamente da un concerto, la presenza di una
giuria pone il corista in una situazione emotiva molto forte,
quella del giudizio: l’obiettivo più grande è riuscire a
presentarsi talmente preparati da trasformare la
preoccupazione in energia musicale, in positiva realizzazione
delle proprie capacità, dando forza all’unicità irripetibile del
momento creativo dell’esecuzione.
È una prova anche per me! Lo è non solo per l’esecuzione,
ma anche per la possibilità di affinare la mia capacità di
condurre un gruppo fino a quel momento, dalla prima fase di
studio a quella finale della gestione dell’ansia e della fiducia
in se stessi: il mio più grande obiettivo è arrivare al momento
dell’esecuzione con il coro pienamente presente e capace di
dare il meglio delle proprie possibilità, desideroso di donare
la propria musica.
Aggiungo ancora due piccole ma preziose ragioni positive a
favore delle competizioni: nei programmi scelgo di inserire
sempre quanti più brani nuovi possibili, essi godranno di uno
studio “matto e disperatissimo” e, grazie al concorso,
matureranno velocemente e andranno ad arricchire il bagaglio
repertoriale del coro; la seconda è che il pubblico dei concorsi
è un pubblico esperto: molte belle occasioni per concerti o
festival anche all’estero ci sono state offerte, come ho già
detto prima, in seguito a qualche concorso.
In diverse occasioni sei stata premiata come miglior
direttore. Quali sono le tue qualità musicali e “direttoriali”
che ritieni essere alla base di questo riconoscimento?
Veramente non saprei… dovrei chiedere alle commissioni che
mi hanno assegnato questi premi!
Ciò che posso riconoscere in me è l’onestà di fronte alla
musica e di fronte ai coristi e agli allievi. Finché non ritengo
che nella nostra esecuzione ci sia tutto ciò che mi era
possibile comprendere dello spartito, mio fine primo e ultimo,
e del pensiero dell’autore, scavo a fondo di ogni singola nota,
esperimento, limo, sfumo, cambio di nuovo… Mi sento un
filtro tra lo spartito e il suo compositore e il coro che gli darà
la vita. Penso che questi riconoscimenti comunque, siano
arrivati semplicemente perché ero alla guida del Genova Vocal
Ensemble, che è davvero composto da persone speciali, che
nella musica hanno imparato a dare il meglio di sé, con le
quali esiste una sintonia umana e musicale che è evidente nel
momento in cui lo si ascolta e lo si osserva cantare.
Un direttore di cori giovanili, quali caratteristiche o
competenze deve avere (se deve avere…), in più o
diversamente, rispetto a chi dirige cori di adulti?
I giovani sono in continuo cambiamento, l’attenzione costante
a percepirlo e a reagire a esso modificando gli equilibri, è
forse la sensibilità più importante che il direttore di cori
giovanili deve avere. I giovani sono grandi, la nostra grande
responsabilità è arricchire la loro cultura e il loro gusto
musicale, facendo sì che vi aderiscano con tutta la loro fibra
e che sentano realizzata in essa la propria personalità.
Il pensarli grandi ci sia da guida anche nella scelta del
repertorio. Falsamente riteniamo che, per averli dalla nostra
parte, sia necessario assecondare i loro gusti musicali (parlo
di coristi “giovani di coro”), cascando nell’errore di non
scegliere mai repertori impegnativi, storicamente importanti,
nel timore di perderli: questa è la strada per perderli.
Nessuno più di un giovane ha la mente aperta, elastica,
predisposta alle novità, nessuno più di un giovane saprà
sorprenderci nella sua capacità di innamorarsi di Monteverdi o
di commuoversi con un Crucifixus.
Provare per credere!
provare
39
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Concorsi corali:
quali repertori e quali bandi…
di Mauro Marchetti
La difficile scelta di indicare un bando di concorso e la
conseguente scelta di un repertorio adatto alle circostanze del
concorso. Spunti e appunti di un “ex giovane” direttore di coro.
La valigia del direttore di coro. Per molti direttori di coro
seguire i concorsi corali in giro per l’Italia, o addirittura per
l’Europa, rappresenta una scuola, un corso da seguire, un
aggiornamento e a volte anche vere e proprie lezioni. Il
giovane che si avvicina alla direzione di coro ha molti spunti
su cui riflettere, anche e soprattutto nella scelta di un
repertorio, di un periodo storico da seguire, un coro da
emulare, esempi vivi che rappresentano sicuramente un punto
di partenza.
Ricordo le mie estati ad aspettare il Polifonico di Arezzo,
quando si aveva fame di cori, e si vedevano arrivare centinaia
di cantori che riempivano le giornate aretine di fine agosto, e
riempivano anche la mente e le mie librerie di spartiti, nomi,
titoli, dischi in vinile… Si tornava a casa con tanta musica
nelle orecchie e nel cuore, ma anche con tanti spartiti nella
valigia. Poco a poco la tua mente si allargava, si conoscevano
e si apprezzavano varie scuole corali europee e mondiali, la
crescente conoscenza del repertorio ti permetteva di
fantasticare e sognare di arrivare a eseguire repertori sempre
più nuovi e originali.
Negli anni ho visto cambiare molto spesso la formula dei
bandi di concorso e la cosa, per certi versi, è risultata
positiva. Dall’estero arrivavano sempre più spesso cori con
composizioni complesse e difficilmente realizzabili da cori
italiani, ancorati a una scrittura ancora tradizionale. La scuola
dell’est prima, e quella nord-europea poi, ha introdotto un
modo nuovo di far coro nelle intenzioni innovative dei loro
compositori e nella cura della vocalità, nello strumento coro,
ancora distante dalle nostre antiche concezioni musicali-corali.
Da alcuni anni i diversi cori italiani si sono avvicinati molto a
questo modo di far coro; i direttori, frequentando i numerosi
corsi e laboratori che sono nati in Italia e Europa, sono
arrivati a pareggiare i conti con i colleghi stranieri. Ma per
alcuni questa continua ricerca del “nuovo” è stato un modo
per dimenticare il “vecchio”, cioè l’antico, inteso nel termine
musicale. Ci si è allontanati progressivamente dalle nostre
radici, da quegli autori che riempivano i nostri programmi di
sala, anche in modo eccessivo, autori appartenenti alla nostra
scuola polifonica rinascimentale. E, paradosso del caso, quei
cori che venivano a portarci il “nuovo” hanno anche
proseguito a mantenere brani della tradizione polifonica
rinascimentale. Riassumendo potremmo dire che i cori italiani
(e, ahimè, mi ci metto anche io!) sono più vicini alla musica
del nostro tempo e più lontani da quella dei nostri “padri”
della polifonia antica. Ben venga il “nuovo” (sono sempre alla
ricerca di giovani che scrivano per coro) ma forse sarebbe il
caso di non abbandonare completamente le nostre radici.
Probabilmente questa situazione ha spinto involontariamente
i concorsi a formulare i bandi in maniera tale da sottovalutare
il problema. È vero, ci sono concorsi che prevedono la
presenza solo della musica contemporanea, ma quella è una
scelta ben precisa della commissione artistica, una linea
programmatica definita. Non è un caso che il più delle volte
siamo costretti ad apprezzare esecuzioni di cori inglesi o
comunque non italiani, di fronte a pagine di polifonia
rinascimentale italiana. Costretti a seguire corsi di
interpretazione da illustri maestri stranieri, decisamente più
vicini a quel tipo di polifonia.
Il Concorso Aretino. Il Concorso Internazionale Guido d’Arezzo
propone una griglia di selezioni, corrispondenti a vari periodi
storici. Questo obbliga i cori a scegliere un repertorio, che
dovrebbe essere più adatto e più vicino alle possibilità e alle
qualità del coro stesso. In una competizione (cori) il
complesso corale deve eseguire un brano d’obbligo
rinascimentale e scegliere dei periodi storici dalla griglia.
L’altra competizione (rassegna a premi) prevede la scelta di
una sezione storica e di programmare un’esecuzione del solo
periodo storico scelto. Ma proprio per i motivi sovraesposti ci
sono annate in cui troviamo solo un paio di cori nel periodo
rinascimentale, o addirittura un solo coro nel periodo
barocco-classico. Quest’ultima sezione potrebbe essere
accorpata al periodo storico precedente, unire rinascimentale
fragmentA
e barocco. Questo faciliterebbe l’esigenza di una competizione
vera e propria, altrimenti ci troveremo sempre di fronte a un
coro che gareggia da solo. In virtù del discorso fatto in
precedenza, personalmente preferirei vedere l’esecuzione di
un brano d’obbligo rinascimentale, peraltro già prevista nel
bando, e obbligare i cori alla scelta libera di un secondo
brano dello stesso periodo, mettendo ancora più in evidenza
le doti interpretative del complesso corale su pagine
che rappresentano la storia della polifonia.
Ognuno di noi direttori cerca e riesce spesso a trovare
una soluzione repertoriale che si adatti e modelli su
misura ai propri cantori. Credo sia allo stesso modo
motivo di crescita e d’interesse, se si arriva a
partecipare a concorsi di questa levatura, misurarsi
con altri repertori, anche lontani dalle sensibilità
personali di singoli direttori.
I giudizi sulle esecuzioni della musica rinascimentale sono
spesso motivo di grandi diatribe, dalla tipologia della
formazione che le esegue alla stampa del brano presentato,
dall’intonazione iniziale al numero di esecutori, dal tactus al
fraseggio. Si è assistito molto spesso a incredibili discussioni,
tra giurati, tra luminari del settore, tra musicologi e tra
direttori. E molto spesso i
premi su quella sezione non
sono assegnati! Lo stesso
problema esiste molto meno
nel dare giudizi sulle
interpretazioni delle esecuzioni
di musica contemporanea,
meno soggetta a discussioni (a
volte, per alcuni, la bravura del
coro è solo dettata dal portare
a termine un brano,
l’esecuzione in sé importa poco). Il virtuosismo vocale e
armonico non offre molti spunti di discussione, di giudizi
validi e misurati. Ovviamente queste sono considerazioni
dettate da esperienze dirette e vissute in prima persona e
non voglio nemmeno generalizzare e, chiaramente, non penso
davvero che la musica del ’900 non offra spunti di
discussione, di interesse e di chiarimenti sulle esecuzioni e
interpretazioni.
41
e non brani per coro adattati a un piccolo gruppo, altrimenti
continueremo ad ascoltare Vineta di J. Brahms o Abendlied di
J.G. Rheinberger eseguito in dodici o addirittura in otto. Le
commissioni artistiche dovrebbero suggerire ai cori di
modificare il proprio programma, di “controllare” il repertorio
proposto, evitando così di far eseguire ai gruppi programmi
che poco hanno a che fare con il vero gruppo vocale da
Forse sarebbe il caso di non
abbandonare completamente
le nostre radici.
Le giurie. Un capitolo a parte meriterebbe una discussione
serena e critica sulla composizione delle giurie, così come
sulla disquisizione molto sottile della definizione “coro
amatoriale” e “cantore professionista”, uno spinoso ostacolo
per molti cori italiani ma, ovviamente, un facile trampolino per
molti cori che arrivano dall’estero, con una concezione della
differenza amatore-professionista assai diversa dalla nostra.
Altro motivo di grande interesse nel Concorso Aretino è la
sezione riservata ai gruppi vocali. Bisognerebbe, per prima
cosa, diminuire il numero massimo, previsto dal regolamento,
dei contori del coro partecipante, obbligando gli stessi cori a
presentare un repertorio che sia veramente per gruppi vocali,
camera, dove effettivamente, la scrittura è più solistica e più
finalizzata a un gruppo ridotto (si griderebbe allo scandalo se
solo vedessimo un quartetto d’archi impegnarsi in una
esecuzione di una sinfonia di Mozart).
Le voci bianche: perché il Concorso Polifonico Guido d’Arezzo
non inserisce una sezione per voci bianche nel concorso
nazionale? È raro vedere la presenza di cori di bambini italiani
nella competizione internazionale, pur avendo molti buoni cori
sparsi nella nostra penisola. Si potrebbe pensare a una
categoria nazionale, che inviti poi a presentarsi, su
suggerimento della giuria e/o della commissione artistica,
nella competizione “sorella” maggiore del concorso
internazionale. Negli ultimi anni, in Italia, sono “fioriti” molti
cori giovanili, ma ancor più cori di voci bianche. Non sarebbe
forse il caso che proprio l’esempio più eccellente dei concorsi
corali europei, il Concorso Aretino, ritagliasse uno spazio per i
nostri cori del “futuro”, impegnandoli in un paio di sezioni del
nazionale a loro dedicato?
La valigia piena. Girando l’Europa, nei concorsi internazionali,
noto sempre più una precisa scelta di obbligare i cori a
esecuzioni di composizioni contemporanee, a volte scritte
appositamente per l’occasione, che sono di autori nazionali del
paese ospitante (con il Coro Città di Roma abbiamo eseguito
canti in sloveno, spagnolo, bulgaro). Questa è un’altra
particolare scelta che dovrebbe far riflettere, mette in risalto il
patrimonio musicale del proprio paese, sostiene giovani
compositori, favorisce lo scrivere per coro, dà maggiore risalto
alle proprie radici. Spunti su cui riflettere, per quei giovani
direttori che si affacciano nel mondo corale, ce ne sono molti,
che non servono a “imboccare” il giovane, ma a dar loro gli
strumenti necessari per la sua crescita, per la sua ricchezza
musicale e per arricchire il suo bagaglio musicale, la sua
“valigia artistica”, che certamente riempirebbe il vuoto lasciato
dai nostri corsi di conservatorio, ancora in ritardo rispetto al
resto del mondo nell’educazione corale.
I miei sono suggerimenti visti con l’occhio di chi viaggia da e
per Arezzo da ormai trent’anni, e la mia valigia è sempre alla
ricerca di stimoli.
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Cantare è giovane!
di Michela Francescutto
Feniarco, con il sostegno del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, organizza per quest’anno
a Torino il festival Cantare è giovane! che prevede la partecipazione di otto cori di voci bianche e
giovanili di alto livello provenienti da diverse regioni d’Italia. I ragazzi saranno impegnati per cinque
giorni, dal 29 giugno al 3 luglio, in numerose proposte concertistiche su alcuni dei più prestigiosi
palcoscenici della città di Torino e del Piemonte. Oltre ai concerti sono previsti dei momenti di
approfondimento con direttori di fama internazionale e con i maestri degli altri cori partecipanti. I cori protagonisti di questo evento saranno: Coro giovanile Dauno U. Giordano di Foggia diretto da
Luciano Fiore, Coro Diapason di Roma diretto da Fabio De Angelis, Coro giovanile Il Calicanto di
Salerno con Silvana Noschese, Coro
da camera del Conservatorio di
Torino diretto da Dario Tabbia,
VociInNote di Torino con Dario
Piumatti, Piccolo Coro Artemìa di
Torviscosa (Ud) sotto la direzione di
Denis Monte, Coro giovanile I Minipolifonici di Trento diretto da Stefano Chicco e Coro Artemusica di Valperga (To) diretto da
Debora Bria. Queste realtà corali, conosciute in tutto il territorio nazionale, offriranno inoltre il loro
contributo alle celebrazioni per il 150º anniversario dell’Unità d’Italia, inserendosi a pieno titolo tra i
numerosi eventi organizzati dal Comitato Italia 150 a Torino. I cori partecipanti, infatti, proporranno
la prima esecuzione di un brano commissionato a Alessandro Cadario, giovane compositore italiano
già noto nel panorama internazionale, con tema proprio la costituzione dello Stato italiano e la sua
peculiarità linguistica che trova riscontro nella numerosità dei dialetti e delle lingue regionali. Si
tratta quindi di un’esperienza intensa e di forte valenza qualitativa, che permetterà ai ragazzi di
venire a contatto con differenti culture corali e che arricchirà la città di eventi stimolanti e di giovani
dalle voci vivaci. La serata iniziale si terrà nel Tempio Valdese di Torino, dove gli otto cori si
esibiranno in un concerto di apertura che permetterà loro di presentare le proprie tradizioni
musicali. Venerdì 1 luglio sarà la regione Piemonte, in quattro sue località, a fare da scenario ai
concerti sul territorio, che avranno per protagonisti due cori uniti da una giornata di studio e
divertimento e che proporranno un repertorio in parte condiviso. Sabato 2 luglio, serata finale del
Un’esperienza intensa
e di forte valenza qualitativa.
cantare
44
festival, sarà il coronamento di questi intensi giorni di lavoro
musicale: nella Sala grande del Conservatorio G. Verdi del
capoluogo piemontese, gli otto cori canteranno i brani studiati
insieme ed eseguiranno in prima assoluta la composizione di
Alessandro Cadario, sotto la sua direzione.
Il festival Cantare è giovane! incrocerà il suo percorso con
Songbridge, un progetto dell’International Federation for Choral
Music (Ifcm) che vedrà un coro organizzatore, i Piccoli Cantori di
Torino, e i due eccellenti cori ospiti di voci bianche, il Cor infantil
Sant Cugat (Catalogna, Spagna) e il Coro Efroni (Israele), tenere
un concerto al Teatro Carignano il 30 giugno, cantando musiche
dei rispettivi paesi d’origine e tre prime esecuzioni assolute che
coinvolgeranno anche i cori del festival e il pubblico. Inoltre, 25
giovani selezionati dalle associazioni regionali corali, seguiranno
a Torino dal 25 giugno al 3 luglio uno stage per manager nel
campo musicale: oltre alle lezioni frontali con docenti
competenti su materie tra le quali management per la coralità,
aspetti artistici, produzione, comunicazione e new media, ci
sarà una prova sul campo proprio nella gestione dei ragazzi
partecipanti al festival. Cantare è giovane! è una fondamentale tappa di avvicinamento
e di preparazione in vista del grande Festival Europa Cantat
XVIII Torino 2012, che la Città di Torino e tutto il nostro Paese
ospiterà nell’anno successivo, dal 27 luglio al 5 agosto 2012.
Questa manifestazione vedrà l’Italia al centro di una dieci giorni
musicale-corale di livello internazionale, con una presenza di
migliaia di cantori e direttori pronti ad animare ogni spazio di
voci e canti. All’indirizzo www.ectorino2012.it sono disponibili
maggiori informazioni su questo evento.
Cantare è giovane! è anche concorso: secondo una tradizione
ormai consolidata, Feniarco propone una nuova prospettiva di
interazione tra la federazione nazionale rappresentante della
coralità e gli istituti scolastici italiani: si fa appello alla creatività
dei bambini, dei ragazzi e dei giovani sul tema “il coro che
vorrei”. La partecipazione è aperta alle scuole primarie e
secondarie di primo e secondo grado e prevede la realizzazione
di lavori che toccano diverse forme d’arte, dal disegno alla
rappresentazione teatrale, dalle fotografie ai racconti, dalla
scrittura di poesie alla realizzazione di video e filmati. Verranno
premiate la creatività, l’originalità e la capacità di comunicare le
proprie personali idee. In particolare, sarà importante
evidenziare la valenza culturale e sociale che la musica corale
può avere, oltre al suo valore educativo e pedagogico. La
cerimonia di premiazione avrà luogo a Trieste, entro il termine
dell’anno scolastico.
CD
CD
CHORALITER
Feniarco, attraverso la sua rivista CHORALITER, intende celebrare il 150º anniversario dell’Unità d’Italia dedicando ad esso un cd monografico o antologico da
allegare al n. 36 (settembre-dicembre 2011).
Al presente bando potranno partecipare
tutti i cori italiani.
Le registrazioni, edite o inedite, dovranno essere state realizzate, alla data di scadenza del bando, da non più di 5 anni e dovranno contenere uno o più brani, tutti legati ai momenti fondativi dell’Italia Unita
e della sua identità (Risorgimento, Grande
Guerra, Resistenza…). I brani potranno essere realizzati con qualsiasi tipo di organico (a cappella – misto, voci pari maschili
o femminili, voci bianche –, con accompagnamento strumentale e interventi di voci soliste), purché il ruolo del coro sia preponderante.
Le registrazioni dovranno essere di qualità
sul piano dell’esecuzione, della registrazione e del repertorio proposto.
Le registrazioni andranno inviate a Feniarco entro il 31 agosto 2011. Una commissione d’ascolto costituita dal direttore della rivista e da due componenti della commissione artistica nazionale valuterà le registrazioni pervenute, formulando una graduatoria in base ai predetti criteri.
La commissione d’ascolto potrà selezionare,
per la pubblicazione, anche singole tracce,
che confluiranno in un cd collettivo.
I costi di realizzazione delle registrazioni sono a carico dei cori. I cori interpreti del cd
selezionato forniranno inoltre una liberatoria che autorizzi Feniarco alla pubblicazione
e diffusione, rinunciando ad avanzare diritti.
A ciascun coro interprete del cd pubblicato
saranno riservate 100 copie omaggio del cd.
Bando di partecipazione
45
46
Il management corale al giorno d’oggi
di Michela Francescutto
Feniarco promuove da diversi anni rilevanti progetti che,
grazie anche al riconoscimento ottenuto come Associazione
di Promozione Sociale (Aps), vengono approvati e sostenuti
dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Nel 2010
l’iniziativa sperimentale CMT - Choral Management Today,
presentata nell’ambito dei finanziamenti previsti dalla legge 7
dicembre 2000 n. 383, ha ottenuto il favorevole accoglimento
da parte del Ministero. L’attuazione di questo progetto
prevede la realizzazione di due percorsi: uno dedicato alla
formazione e all’aggiornamento dei responsabili territoriali e
dei soci aderenti a Feniarco e l’altro alla formazione di giovani
manager in ambito corale-musicale. L’organizzazione di
eventi, la gestione efficace ed efficiente del sistema, la
necessità di continui aggiornamenti sulla normativa vigente in
materia e la sua corretta interpretazione, la cura nei processi
di comunicazione verso l’esterno sono solo alcuni dei punti
che hanno portato alla luce un’esigenza latente e condivisa
che risiede proprio nella necessità di “formazione”.
Considerando gli oggettivi e radicali mutamenti del
“consumo culturale” è indispensabile saper
rispondere alle continue sfide con consapevolezza,
competenza e impostando strategie innovative che
guardino al futuro con curiosità e volontà di
crescita.
Per quanto riguarda il modulo rivolto alla
formazione e aggiornamento dei responsabili
territoriali e dei soci, sono invitati a partecipare
agli incontri i responsabili delle Associazioni
regionali corali e provinciali nonché i responsabili dei cori
italiani aderenti a Feniarco. La dislocazione territoriale degli
appuntamenti mira a promuovere la partecipazione attiva di
numerosi soci provenienti da tutte le regioni: gli interessati
potranno iscriversi all’incontro organizzato nella città di
riferimento più vicina rispetto alla propria regione. Gli incontri
avranno luogo in quattro diverse giornate: sabato 7 maggio a
Castelfranco Veneto, sabato 21 maggio a Torino, sabato 4
giugno a Salerno e domenica 5 giugno a Roma. Durante
l’appuntamento verranno trattati i principali temi d’interesse
per il management degli enti corali territoriali, suddivisi in
diversi moduli e affrontati con l’ausilio di specialisti del
settore. La gestione manageriale e il reperimento di risorse,
con l’esplicazione di principi di fund raising, saranno oggetto
di intervento, così come i fondamenti di gestione
amministrativo contabile, che tracceranno semplici linee
guida utili a redigere bilanci e rendiconti corretti da un punto
di vista economico-contabile. Non mancheranno temi di
natura fiscale e normativa, cui si affiancheranno chiare
spiegazioni di aggiornamento database e gestione del sito
web. Non verranno trascurati nemmeno gli aspetti artistici,
con un excursus su nuovi progetti e prospettive culturali,
anche nell’ottica di organizzazione di eventi, di piccola, media
e grande portata, studiando l’esempio del Festival Europa
Cantat Torino 2012, per il quale si auspica la partecipazione
di circa 4.000 cantori. Infine, nell’era della globalizzazione
tecnologica e informatica, appare necessario un
approfondimento riguardo all’innovazione, comunicazione e
new media, oltre che alla sfida posta da marketing e
“consumo culturale”.
Come già accennato, l’iniziativa prevede anche uno stage per
25 giovani manager in ambito corale-musicale che saranno
individuati dalle associazioni regionali. Questa esperienza
formativa si svolgerà a Torino, dal 26 giugno al 3 luglio, in
parziale concomitanza con il festival per cori di voci bianche e
giovanili Cantare è giovane!, che si tiene appunto dal 29
giugno al 3 luglio. Il corso si articolerà in due momenti: tre
giornate di lezioni frontali, dove relatori italiani e
internazionali tratteranno temi di gestione manageriale,
È indispensabile saper rispondere
alle continue sfide
con consapevolezza e competenza.
organizzazione eventi e comunicazione (anche giornalistica)
con un respiro più europeo, nell’ottica preparatoria per il
grande evento del Festival Europa Cantat Torino 2012; quattro
giorni, invece, saranno dedicati al field project, ovvero alla
prova pratica sul campo, che vedrà i giovani impegnati nella
gestione dei cori partecipanti a Cantare è giovane!, nel
coordinamento concreto della manifestazione, nella
conoscenza della città e della regione.
Il progetto CMT - Choral Management Today è un primo
passo che va incontro alla necessità di formazione e
all’esigenza di un arricchimento di competenze, espresse in
modo più o meno palese, dal mondo corale aderente alla
nostra federazione: è attraverso la partecipazione agli
incontri e allo stage che i soci potranno perfezionare le
proprie capacità gestionali utili alla crescita e alla
affermazione di realtà corali efficienti e solide da un punto di
vista organizzativo.
CMT
Choral
Management
Today
Gestione e organizzazione
delle associazioni corali
maggio / giugno 2011
Stage per giovani manager
in ambito corale-musicale
Torino, 26 giugno / 3 luglio 2011
info su
www.feniarco.it
47
iniziativa realizzata
con il contributo del
Ministero del Lavoro
e delle Politiche Sociali
48
La realtà dell’utopia
Assemblea Feniarco a Castelfranco Veneto
di Sandro Bergamo
L’Assemblea nazionale Feniarco di Castelfranco Veneto (12 e
13 marzo 2011) si colloca in un momento particolarmente
delicato del percorso della nostra coralità, momento che è
come segnato da una contraddizione, quasi un ossimoro: nel
momento in cui la coralità italiana cresce in maniera
esponenziale, si trova a confrontarsi con una situazione di
restringimento dei mezzi, delle risorse. Restringimento che,
più si procede nel tempo e si riflette sulla situazione, si ha la
sgradevole sensazione dipenda sì dalla difficile situazione
economica, ma che quest’ultima metta troppo facilmente in
crisi pubblici amministratori e investitori privati che hanno
scarsa fiducia nella cultura e ne colgono il valore solo quando
si tratta di grandi eventi dove l’apparato di immagine dia
soddisfazione più immediata di un quotidiano lavoro teso a
far crescere un sistema.
Il 2010 e lo scorcio di 2011 che l’assemblea è stata chiamata a
esaminare confermano che per Feniarco e il sistema dei cori
italiani continua un processo di crescita avviato ormai da molti
anni. Lo straordinario risultato di Salerno Festival è la più
importante novità del 2010: con 56 cori, oltre 1600
partecipanti, un’organizzazione che ha retto perfettamente alla
prova, si è instaurato un rapporto solido con la città di Salerno
che fa ben promettere per le prossime edizioni. Il festival è
stato anche un momento di forte collaborazione tra la
Federazione Nazionale e l’Associazione regionale: un elemento,
quello della sintonia tra struttura nazionale e locale, che si
dimostra sempre più importante per la buona riuscita di ogni
iniziativa e che andrà perseguito sempre di più.
Anche Armonia di Voci, uno degli ormai numerosi progetti
Aps realizzati, che nel corso dell’anno ha completato il suo
iter, ha rappresentato un elemento di innovazione,
soprattutto lungo il percorso che vede la coralità un vero
impegno civile attraverso lo strumento culturale: dar voce alle
minoranze linguistiche del nostro paese, portare in primo
piano la loro espressione musicale come momento di identità
ha rappresentato un’opportunità che potrebbe arricchire il
panorama corale italiano di nuove occasioni e nuovi
protagonisti, generando nei cori che hanno partecipato, nelle
comunità di cui sono espressione, ma naturalmente in
Feniarco che ha organizzato, il desiderio che non abbia a
fermarsi tutto con il compimento del progetto.
Tra le voci dell’attività del 2010 non va trascurato il progetto
Paci: una mappatura dalla coralità italiana che da un lato
conferma il ruolo della nostra federazione come principale
soggetto, unico a livello nazionale, dall’altro rivela spazi
enormi, dalla scuola alla parrocchia, dove il coro è presente e
permea la società italiana più di quanto noi stessi, a volte,
crediamo. E, d’altra parte, da dove, se non da questa
capillare diffusione del coro in tutta Italia, deriva il successo
ormai consolidato, quando non crescente, di alcune nostre
proposte? Da Alpe Adria Cantat, che rimane la più
frequentata delle settimane corali europee, al Festival di
Primavera, che in questo 2011 registra un altro record,
arrivando a quasi 1300 iscritti. Buone premesse, queste,
perché anche Torino 2012, che rimane il grande obbiettivo
per questo biennio, riesca nel migliore dei modi con una
grande partecipazione della coralità italiana.
L’editoria è un altro punto di forza del ruolo della federazione.
Nel 2011 vedranno la luce diversi volumi frutto del lavoro
impostato nell’anno precedente: i bandi per Melos 3,
Teenc@nta 2, Giro Giro Canto 4 e 5 hanno dato fornito materiale
per volumi di grande interesse e almeno due usciranno nel
corso dell’anno. A questi si unisce il volume sulla direzione di
coro di Pier Paolo Scattolin, che amplia, nel catalogo Feniarco,
Il sistema dei cori italiani
continua un processo
di crescita avviato ormai
da molti anni.
la sezione dedicata alla saggistica. Questi ulteriori titoli, uniti
alla nuova veste di Choraliter, che con il secondo cd ha
realizzato un prodotto apprezzatissimo, e a Italiacori.it.
Oggi il nostro lavoro editoriale, tanto più se sommato a
quanto prodotto dalle associazioni regionali, travalica il ruolo
di servizio interno al sistema corale e fa della nostra realtà
associativa il principale attore nell’editoria corale italiana.
Molti altri aspetti andrebbero citati, dai progetti Aps al ruolo
europeo che gioca la coralità italiana, dove si moltiplicano le
occasioni di apprezzamento delle nostre iniziative e delle
personalità provenienti dal nostro mondo, alla ripresa del
Coro Giovanile Italiano… Non è, tornando alle considerazioni
iniziali, una coralità smarrita, spaventata da quanto vede
intorno a sé, quella che si è presentata a Castelfranco, ma un
movimento solido, in crescita, attrezzato per proseguire nel
suo lavoro. Una coralità, tra l’altro, che non vive di pubblica
assistenza: per una buona metà il bilancio di Feniarco è
costituito da proprie risorse, che vanno ad affiancarsi a quelle
pubbliche.
ASSOCIAZIONE
Il coro Città di Piazzola sul Brenta diretto da Paolo Piana
Per questo ci si aspetta che, pur nelle difficoltà presenti,
chi ha responsabilità pubbliche sappia vedere, in un
mondo che cresce in questa misura, non un soggetto da
assistere, cui ritagliare comunque, riducendolo, un
piccolo contributo, ma un elemento su cui investire,
qualcosa su cui puntare per superare la crisi.
Nel suo intervento di saluto, l’on. Marino Zorzato,
vicepresidente della Regione Veneto (a quando il saluto,
se non del ministro, almeno del sottosegretario ai Beni
Culturali?) ha parlato di noi come di qualcuno che non
sta da nessuna parte. Il riferimento, ovviamente, era alle
parti politiche, rispetto alle quali siamo giustamente
sempre terzi, coltivando rapporti istituzionali con chi di
volta in volta è chiamato a governare lo Stato o l’Ente
locale. Ma ascoltandolo veniva in mente un altro senso,
un’altra etimologia: un essere di nessun luogo, un non
luogo, un ου τόπος, secondo il neologismo di Tommaso
Moro: siamo un’utopia, siamo alla ricerca di un qualcosa
che forse non raggiungeremo mai, ma la cui ricerca ci
motiva, ci sostiene ogni giorno, in uno spirito che,
proprio in un momento di crisi, potrebbe motivare
l’intera società.
49
L’Assemblea annuale si è tenuta a Castelfranco Veneto, il 12
e 13 marzo 2011. Ospite dell’Asac (Associazione per lo
Sviluppo delle Attività Corali del Veneto), l’assemblea di
marzo ha visto la partecipazione di 20 delle 21 associazioni
regionali e si è svolta nella Sala Conferenze dell’albergo
Roma. Aperta alle 15.00 dalla relazione di Sante Fornasier,
l’assemblea ha discusso un nutrito ordine del giorno che,
accanto ai bilanci consuntivo 2010 e preventivo 2011, ha
fatto il punto sullo stato dell’arte dell’attività. In particolare
l’assemblea ha esaminato la situazione relativamente al
Festival di Torino 2012, visionando e apprezzando il video
promozionale predisposto per divulgare l’informazione
sull’evento, ha deliberato sui nuovi progetti Aps, è stata
aggiornata sulle iniziative in corso e in particolare sul
Festival di Primavera, sulle iniziative per il 150° dell’Unità
d’Italia e sul lavoro del Tavolo Nazionale per la Musica
Popolare e Amatoriale.
Nella serata di sabato, dopo la sospensione dei lavori, i
partecipanti all’assemblea si sono trasferiti a Piazzola sul
Brenta, dove l’omonimo coro polifonico, diretto da Paolo
Piana, ha offerto un bellissimo concerto nell’affascinante
cornice di Villa Contarini, che ha successivamente ospitato
l’assemblea per la cena.
Nella ripresa mattutina, l’assemblea ha rinnovato le cariche
associative, riconfermando tutto l’attuale Consiglio di
Presidenza (Sante Fornasier, presidente; Alvaro Vatri e
Pierfranco Semeraro vicepresidenti; Lorenzo Benedet,
segretario) e parzialmente rinnovando la Commissione
Artistica che, accanto ai riconfermati Nicola Campogrande,
Piero Monti, Dario Tabbia e Paola Versetti, vede l’ingresso
di Maria Dal Bianco, Roberto Maggio, Mauro Marchetti e
Paola Stivaletta. Un particolare ringraziamento ai
commissari uscenti Alessandra Barbaro, Giovanni Bonato,
Lorenzo Donati e Silvana Noschese. Riconfermata in toto
anche la redazione di Choraliter.
Rinnovata inoltre la Commissione Giovanile che risulta ora
composta da Sarah Anania di Torviscosa (Ud), Riccardo
Bianchi di Varese, Paola De Maio di Giffoni Vallepiana (Sa),
Benedetta Nofri di Monte San Savino (Ar), Arianna Stornello
di Torino, Margherita Vacante di Varese, Matteo Valbusa di
Bussolengo (Vr) e Fabrizio Vestri di Roma.
Per il Collegio dei Revisori riconfermati Roberto Ciuchetti
(presidente) e Maurizio Biscotti con Paolo Bergamo di
nuova nomina. Si ringrazia vivamente Gino Prezzi che lascia
l’incarico.
Per il Collegio dei Probiviri riconfermati Angelo Filippini
(presidente) e Armando Corso mentre Giuseppe Vezzari
entra al posto di Nevio Stefanutti che pure si ringrazia
sentitamente.
L’appuntamento è per l’11 novembre, ad Aosta, dove si terrà
la prossima assemblea.
Cronache
dal futuro
cronac
dal
Edizione Estate 2022
di Carlo Pavese
Cari cantori, direttori, compositori,
a un decennio esatto dal festival Europa Cantat
XVIII, cominciato il 27 luglio 2012 con l’arrivo a
Torino di migliaia di partecipanti d’ogni età e
paese, cogliamo l’occasione per riflettere
assieme sullo stato della coralità italiana e sui
frutti generati da quell’evento negli anni a
seguire.
Forse qualcuno scriverà davvero un articolo nel
2022, ma non è ozioso provarci adesso, undici
anni prima. Ci costringe a chiederci dove
vorremmo dirigere il nostro mondo, fatto di
persone che cantano e credono che sia
importante farlo assieme, associandosi in un
movimento più grande di ciascuno di noi. In
questo senso non immagino Europa Cantat XVIII come un punto d’arrivo né di partenza, quanto
piuttosto come una boa, la possibilità di una
virata, favorita da un propizio soffio di vento.
Propongo quindi in questa sede di guardare al
festival da sette punti di vista e di osservazione
che mi sembrano poter rivelare, dietro l’angolo
del 5 agosto 2012, una più lunga prospettiva di
sviluppo e di crescita per i nostri cori.
Fin d’ora vi invito a usare la mail del festival
([email protected]) per sviluppare questa lista,
per scrivere anche voi un paragrafo per l’articolo
che pubblicheremo nell’estate del 2022.
Rimozione delle barriere architettoniche. Ogni
luogo, fisico o virtuale, può ospitare un’espressione
canora. Siamo avvezzi a considerare una chiesa o
un bel teatro sedi ideali per un concerto corale, ma
è giunta l’ora di invadere con le nostre voci musei,
piazze, scuole, stazioni, periferie, e così anche
schermi, youtube, cellulari, iPod…
La pratica corale è un’attività dall’immenso
potenziale d’impatto sulla società; chi vive in
piccoli centri lo sa bene. La scommessa è
scatenare questo impatto nella più vasta scala
della città e dei suoi spazi. Torino può essere un
laboratorio in questo senso, con prove in strada,
il canto aperto nelle piazze, la musica che sgorga
spontanea sotto i portici, nei caffè, alla fermata
di un autobus, unendo diverse abilità, etnie,
fasce sociali e culturali, età, gusti, interessi.
ASSOCIAZIONE
Rimozione delle barriere mentali. Età, gusti, interessi, generi
musicali, lingue, tipologia di cori, tradizioni, il festival è tutto
ciò. La varietà, la diversità, e l’eguale dignità data a ciascuna
forma d’espressione musicale e vocale può insegnare
qualcosa a ciascuno di noi. Basta un po’ di curiosità. Talvolta
l’etichetta e le etichette imprigionano le nostre opinioni e le
nostre scelte. Non sempre chi canta repertorio antico riesce a
credere che si possa fare musica di qualità con il vocal-pop.
Non sempre chi è appassionato di gospel è aperto a scoprire
il gusto di un bell’arrangiamento popolare. E non sempre un
patito di hip hop è disposto ad ammettere che cantare
Brahms dia un vero godimento. A ogni buon conto, a chi
preferisce andare sul sicuro, Europa Cantat offre un
rassicurante programma che va incontro a ogni predilezione,
ma nell’atelier di fianco, o nel giorno libero, magari come
partner del proprio concerto, o dietro l’angolo mentre si
passeggia, vi fa imbattere in qualcosa di nuovo e diverso, che
sprigiona scintille di curiosità. E apre la mente.
Innovo oggi, innovo domani: apre la mente, il festival, perché
è un laboratorio, dove sperimentare nuove forme e possibilità.
Innovare è un processo indispensabile, inevitabile, ma difficile
da condurre. Non può essere fine a se stesso, non nasce a
tavolino, ma è libertà di provare e coraggio nel raccogliere
successi e sconfitte. Europa Cantat XVIII concentra idee e
spunti, pensieri e follia, tutto in dieci giorni e in pochi
chilometri quadrati. Sta a noi far sbocciare e crescere negli
anni a seguire ciò che seminiamo.
che
Elogio della regione: ciò che seminiamo è la ricchezza di una
federazione di associazioni regionali. Ho avuto il privilegio di
assistere a un’assemblea di Feniarco e mi ha affascinato il
grande tavolo attorno al quale sedevano tutte le regioni
d’Italia. Con accenti diversi, con diversi punti di vista, con
diverse modalità di intervento, tutti costruivano lo stesso
progetto e ognuno ragionava su quali elementi, mattoni,
semenze poteva mettere a disposizione. Credo che la presenza
attiva e propositiva a Torino di ciascun membro della nostra
federazione potrà mostrare, prima di tutto a noi stessi, quale
patrimonio di differenze e coesione rappresenti la coralità
italiana.
Maestro sarà lei! …e lei! …e anche lui! La coralità italiana può
trarre gran beneficio dalla crescita di nuovi maestri, e
dall’aggiornamento dei direttori. Uscire dal proprio ambiente e
andare a scoprire come si fa coro nel resto del mondo, è
senz’altro un passo importante ma non sempre facile da
compiere nella pratica. Il festival, col suo programma per
direttori, esperti e novizi, porta l’Europa a casa nostra,
riunisce in otto giorni un’incredibile quantità di personalità da
incontrare, di spunti e prospettive da cogliere, di domande a
cui trovare risposta, e di nuove domande da porre.
Contemporanea • mente. Porre di fronte, l’uno all’altro, tutti
gli elementi dell’ecosistema musicale – compositore, direttore,
51
cantore, ascoltatore – aiuterà a sconfiggere infondati timori: di
scrivere musica troppo difficile da apprezzare, di non saper
gestire la partitura, di non essere in grado di cantarla, di non
possedere parametri di giudizio nell’ascolto. L’obiettivo del
programma per compositori è di creare un dialogo proficuo,
favorire la migliore conoscenza reciproca, e anche abbattere la
barriera che separa chi non scrive mai e chi scrive
La pratica corale è un attività
dall’immenso potenziale.
esclusivamente per la coralità amatoriale. Importanti autori
d’oggi comporranno per la prima volta per cori non
professionali, e si confronteranno con i loro colleghi invece
“specializzati”. Chissà se nel 2022 sarà più contemporanea la
nostra mente?
Base per Altezza, ma soprattutto Profondità: mente il direttore
che schernendosi afferma «tanto il mio coro non ce la fa!».
Nasconde così una sua difficoltà. Il problema è che pensa
bidimensionale. E altrettanto fa il suo tronfio collega che lo
guarda dall’alto in basso. Le coordinate del nostro spazio ci
raccontano di una sana e diffusa coralità di base, che
costituisce le fondamenta del nostro sistema. È importante che
essa si ponga in una prospettiva di crescita, ma non tanto
verso una presunta altezza di livello, quanto in profondità nel
fare le cose.
Il festival insegna che anche chi non è attrezzato per i
repertori più impegnativi può fare musica con amore, con cura
e con soddisfazione. Quando il “come canto ” conta più del
“cosa canto” comincia inevitabilmente un cammino che ci
porta a costruire e progredire.
E comincia la rimozione delle barriere.
52
Applausi al concorso di Maribor
di Andrea Venturini
Alcuni anni fa, tre per la precisione, chiamato a far parte della
giuria di un noto concorso corale internazionale, ebbi modo di
ascoltare il Sofia Vocalensemble. Il coro svedese mi colpì
subito oltre che per le indiscutibili doti vocali e interpretative,
per il coinvolgimento emotivo dei cantori e la forte capacità di
trasmettere queste sensazioni al pubblico. In quell’occasione
il coro, diretto da Bengt Ollèn, si classificò al secondo posto,
battuto per un soffio al Gran Premio.
Con piacere ho ritrovato questo coro all’XI Concorso Corale
Internazionale di Maribor, più in forma che mai, determinato e
molto preciso, in grado di incantare con un suono
emozionante, caratterizzato da un’ottima sezione femminile
dalle forti tinte, evocative della propria terra d’origine. Queste
doti, unite alla severità stilistica e interpretativa e all’equilibrio
generale, sono state colte dalla Giuria che ha decretato il
Sofia Vocalensemble vincitore con ampio margine dell’XI Concorso Corale Internazionale di Maribor, giudizio condiviso
dal pubblico presente.
Se questo fosse stato un romanzo giallo, avendo ormai
svelato il finale, avrei terminato il mio compito; riprendo
invece dall’inizio per raccontare, in sintesi, la tre giorni corale
di Maribor, svoltasi da poco.
Entrato a far parte dell’European Grand Prix for Choral
Singing Association, l’XI Concorso Corale di Maribor, città
della Bassa Stiria Slovena, a pochi chilometri dai nostri
confini nord orientali, si è aperto venerdì 15 aprile nel ridotto
della Union Hall con l’inaugurazione di un ritratto bronzeo di
Jacobus Gallus, tributo alle origini slovene del noto
compositore tardorinascimentale. Nella stessa Union Hall,
elegante sala con una platea capace di circa 400 posti, è
iniziata subito dopo la competizione con il concerto dei nove
cori ammessi al concorso, concerto che, seppur non
competitivo e dedicato alla musica del proprio paese, ha
permesso ai cori di mettere subito in campo le proprie
capacità vocali e comunicative. In quella che un tempo si
sarebbe definita serata dedicata alla musica popolare (ma che
le moderne elaborazioni corali spesso poco conservano di
veramente popolare) è stato possibile apprezzare i cori, alcuni
nel proprio costume tipico, i quali hanno proposto i brani o
semplicemente le atmosfere del paese di provenienza. Tra
tutti mi sento di segnalare il coro sloveno Komorni zbor
Megaron diretto da Damijan Mocnik che ha proposto, in modo
intelligente e garbato, un apprezzabile spaccato di tradizione,
aperto e chiuso dal noto canto Pa se slis, dove i giovani
coristi, in abiti tipici, hanno saputo arricchire il canto con una
giusta dose di movimento scenico.
Prima dicevo che i cori ammessi a questa edizione sono stati
nove e purtroppo l’Italia non è stata rappresentata da alcun
coro. Devo altresì segnalare che una buona parte dei cori in
concorso fosse formata a pieno titolo da cori giovanili.
È questo un dato di fatto ampiamente condiviso con altri
concorsi; se da un lato la giovane età dei cantori genera
entusiasmo e freschezza, non sempre però i cori giovanili
riescono a esprimere quella maturità vocale necessaria per
eccellere nei concorsi internazionali.
La competizione vera e propria si è aperta nella mattinata del
16 aprile, con il programma obbligatorio. Dopo gli squilli delle
trombe e dei tromboni (l’analogia con altri concorsi è apparsa
un poco stridente…) i cori si sono cimentati con la musica di
Jacobus Gallus, con il repertorio romantico e con la musica
del compianto compositore sloveno Uros̆ Krek. Ancora una
volta bisogna sottolineare come il repertorio rinascimentale
risulti essere quello più selettivo e ostico, non certo
congeniale per i cori presenti ai concorsi, spesso formati da
un numero elevato di coristi e non si capisce il perchè i più
non affrontino questa letteratura con un organico ridotto.
I brani d’obbligo hanno in ogni caso rafforzato le impressioni
maturate il giorno precedente e hanno messo in luce l’ottima
performance del Via-Nova-Chor di Monaco di Baviera, diretto
da Florian Helgath. Le prime impressioni hanno trovato
definitiva conferma nel programma a repertorio libero, dove,
oltre al Sofia Vocalensemble, hanno colpito per presenza
vocale e per l’impasto timbrico gli spagnoli de El Leon De Oro
diretti da Marco Antonio Garcia de Paz, mentre meno brillante
è parso il coro tedesco.
La serata è conclusa con l’annuncio dei cinque cori ammessi
al Grand Prix della domenica.
La giuria, presieduta da Maria Gamborg Helbekkmo e formata
da Martina Batic̆, Bo Holten, Karmina S̆ilec e, finalmente un
CRONACA
nome italiano, dal nostro Marco Berrini, ha ammesso il Sofia
Vocalensemble, El Leon De Oro, il Via-Nova-Chor e i cori
delle Filippine Ateneo de Manila e University of East Chorale,
diretti rispettivamente da Maria Lourdes V. Hermo e da Anna
Tabita Abeleda Piquero. Sono pertanto rimasti esclusi dal
Grand Prix il Z̆enski Hor Studentskog Kulturnog Centra
(Serbia), The Warsaw School of Economics Choir (Polonia),
cori che fin dall’inizio avevano manifestato una sensibile
inferiorità, ai quali si sono uniti il Khmelnyskyi Chamber
Choir (Ucraina) e il Komorni zbor Megaron (Slovenia).
Il Grand Prix è iniziato domenica 17 aprile a mezzogiorno in
punto, orario che non ha certamente facilitato il compito al
Via-Nova-Chor di Monaco il quale ha aperto l’ultima fase del
concorso manifestando immediatamente qualche difficoltà
nella concentrazione. L’esibizione, meno convincente del
previsto, ha determinato l’assegnazione del quinto posto
nella classifica generale al coro della Germania. È stata poi
la volta dell’Ateneo de Manila. Devo confessare che trovo
irritanti i sorrisi forzati che i cori filippini ostentano appena
si approssimano a un palco e che provo un certo disagio
nell’ascoltare la musica sacra eseguita da cantori avvolti in
abiti fosforescenti, tempestati da paillettes e fili dorati. Non
sarei però onesto se non ammettessi che i cori filippini ogni
volta mi stupiscono. Mi stupisce la vocalità che riescono a
sviluppare nonostante la loro giovanissima età, mi
impressiona la loro disciplina, la loro precisione, la loro
costanza nel rendimento, la capacità di superare diversità
culturali profonde, presenti nonostante i vari secoli di
dominazione spagnola subita. Anche sotto il profilo
dell’aderenza stilistica, un tempo loro anello debole, hanno
53
ormai poco da imparare! Sta di fatto che il secondo posto
ottenuto dall’Ateneo di Manila e il quarto posto guadagnato
dall’University of East Chorale appaiono più che meritati.
Altrettanto meritato è il secondo posto ottenuto, a pari
merito con l’Ateneo de Manila, da El Leon De Oro, che nella
regolarità del percorso ha avuto il suo punto di forza.
Il Grand Prix è stato chiuso dal Sofia Vocalensemble. Il coro
svedese è stato perfetto! Ha sfoderato tutte le sue qualità,
iniziando con un’improvvisazione a coro spazializzato, dove
canto armonico e colori molto nordici si fondevano a
perfezione. La capacità di unire il rigore interpretativo a una
notevole capacità comunicativa ha incantato il pubblico che
con lunghi applausi ha manifestato il suo assenso.
Proprio gli applausi sono stati una caratteristica del
concorso di Maribor: generalmente evitati nelle competizioni,
a Maribor sono consentiti anche tra i vari brani,
determinando un clima meno asettico e una maggiore
partecipazione del pubblico.
Per la cronaca, anche tutti i premi minori previsti dal bando
sono stati assegnati al Sofia Vocalensemble di Stoccolma
che il prossimo anno ritornerà nella bella e ospitale città di
Maribor, dove il 22 aprile 2012 si svolgerà l’European Grand
Prix for Choral Singing.
54
Notizie dalle regioni
A.R.C.C. Campania
Associazione Regionale Cori Campani
Via Trento, 170 - 84131 Salerno
Presidente: Vicente Pepe
Aspettando Salerno Festival 2011…
www.feniarco.it
A negativo
Victimae paschali laudes
immolent Christiani.
Agnus redemit oves:
Christus innocens Patri
reconciliavit peccatores .
Mors et Vita Duello conflixere
Passione & Risurrezione
Mirando:
dux vitae mortuus,
nella tradizione musicale
regnat vivus.
Dic nobis Maria,
quid vidisti in via ?
Sepulcrum Christi viventis , et
gloriam vidi resurgentis,
Angelicos testes, sudarium et
vestes.
Surrexit Christus spes mea
:praecedet suos in Galilaeam.
[Credendum est magis Soli Mariae
veraci Quam Judaeorum Turbae
Fallaci.]
Scimus Christum surrexisse a
mortuis vere: Tu nobis, victor Rex
Miserere
Amen. Alleluia.
paschalia
B negativo
C negativo
es
ri
s.
ixere
uus,
s , et
is,
m et
mea
eam.
Mariae
2011
La città di Salerno ha ospitato, il 5 febbraio scorso, l’Assemblea annuale Arcc, momento
di riflessione sulle attività svolte nel 2010 e di programmazione per il 2011, che ha visto la
presenza dei rappresentanti di 45 cori associati. Molte le iniziative e i temi toccati, in primo
luogo la seconda edizione di Salerno Festival, in collaborazione con Feniarco; un progetto
discografico rivolto a tutti i cori associati; la promozione degli eventi musicali sul territorio
regionale; i patrocini a rassegne e concorsi per promuovere la coralità della regione. In
occasione dell’assemblea è stato inoltre eletto un nuovo Commissario Artistico, Patrizia
Bruno, ed è stato presentata un’edizione speciale del giornale InformARCC, che ha raccolto
gli eventi corali del periodo natalizio e ha dato ampio spazio alla prima edizione di Salerno
Festival 2010.
Il mese di marzo ha poi visto svolgersi due interessanti corsi di formazione: il primo, a Vallo
della Lucania, rivolto ai cori di voci bianche e giovanili con la docente Roberta Paraninfo e
articolato in due momenti distinti, uno dedicato ai direttori e l’altro agli oltre 120 giovani
coristi partecipanti. Il secondo corso, a Salerno, era affidato al docente Carlo Pavese ed
era incentrato sulla lettura creativa e sull’improvvisazione corale.
U.S.C.I. Friuli Venezia Giulia
Unione Società Corali del Friuli Venezia Giulia
Via Altan, 39 - San Vito al Tagliamento (Pn)
Presidente: Franco Colussi
Tradizioni musicali dalla natività alla risurrezione
Sulla scia delle positiva esperienza maturata con il progetto Nativitas – che nella sua ultima
edizione ha raggiunto gli oltre 130 appuntamenti – l’Usci Friuli Venezia Giulia ha proposto
un nuovo progetto di rete dedicato al repertorio musicale legato alla Pasqua e alla Settimana
Santa. Il 20 marzo scorso ha dunque preso avvio Paschalia - Passione & risurrezione nella
tradizione musicale, cartellone di cinquanta eventi corali (concerti, sante messe, sacre meditazioni…) che si concluderà il 1º maggio toccando tutte le province della regione. Tra gli
obiettivi principali della nuova iniziativa, da un lato la valorizzazione di un patrimonio
musicale quanto mai ampio e prezioso nella storia della musica occidentale, e dall’altro
promuovere le proposte musicali offerte dai cori associati nel periodo quaresimale e pasquale, creando un sistema di rete che ne favorisca la fruizione e la visibilità.
Nell’ambito delle attività formative, particolare rilievo ha avuto il progetto dei corsi di formazione per direttori e coristi A scuola di coro, proposta articolata in quattro moduli indipendenti
– che hanno coinvolto le province di Pordenone e Udine – incentrati su differenti temi e affidati
ad altrettanti docenti: Alessandro Cadario, con la collaborazione di Deborah Summa e Krishna
Nagaraja, ha affrontato in particolare il repertorio vocal-pop, mentre l’universo del canto
popolare è stato al centro del modulo condotto da Fabrizio Barchi; Maria Dal Bianco ha
approfondito gli aspetti legati alla conduzione della prova, mentre Denis Monte ha affrontato
le problematiche legate alla direzione dei cori di voci bianche e scolastici.
REGIONI
Nei mesi di gennaio e febbraio si è inoltre concluso presso l’Abbazia
di Rosazzo un nuovo ciclo di Incontri gregoriani avviato nel mese di
novembre scorso e affidato, come di consueto, alla guida del prof.
Nino Albarosa. Ha poi preso avvio nel mese di aprile, presso il Villaggio
Ge.Tur., con una straordinaria partecipazione di corsisti, l’edizione 2011
di Voce e consapevolezza corporea, seminari di preparazione al canto
incentrati su vocalità e metodo Feldenkrais condotti da Paolo Loss e
Bettina von Hacke.
U.S.C.I. Lombardia
Unione Società Corali della Lombardia
Via S. Marta, 5 - 23807 Merate (Lc)
Presidente: Franco Monego
Percorsi natalizi… e non solo
Il 26 marzo presso l’Aula Foscolo dell’Università degli Studi di Pavia
si è riunita l’Assemblea ordinaria dell’Usci Lombardia, per l’approvazione dei bilanci e delle relazioni del presidente regionale e dei presidenti delle singole Delegazioni.
Diverse le iniziative messe in atto in regione, a cura delle rispettive
associazioni provinciali.
L’Usci Bergamo ha organizzato nel mese di marzo il IV Corso di formazione “Cantare a scuola - Il coro di voci bianche”, docente Denis
Monte, corso dedicato ai docenti di educazione musicale, di connotazione pratica con la presenza di un coro laboratorio. In occasione del
concerto corale “Fiocco d’oro”, tenutosi il 12 marzo a Bergamo, l’associazione ha inoltre premiato i cori bergamaschi che nel 2010 si sono
distinti per premi o riconoscimenti importanti. Ricordiamo infine che
tra dicembre e gennaio si è tenuta la tradizionale rassegna natalizia
“Musiche di Natale” organizzata dall’Usci Bergamo in tutto il territorio
della provincia.
Sempre in tema natalizio, diverse le iniziative svoltesi sul territorio: l’8
dicembre l’Usci Cremona ha proposto la prima edizione di “Natale in
coro”, rassegna corale con la quale la nuova Delegazione provinciale
ha ufficialmente avviato la sua attività; prima edizione anche per la
Rassegna corale natalizia coordinata dall’Usci Pavia nel mese di dicembre su tutto il territorio provinciale; l’Usci Lecco ha messo in atto
un progetto di rete denominato “InCanto di Natale”, raccogliendo in
un unico cartellone gli oltre settanta concerti realizzati dai propri cori
associati nel periodo natalizio; il 12 dicembre al Teatro Dal Verme di
Milano si è tenuto il concerto finale della XXI Rassegna corale provinciale organizzata dall’Usci Milano, con la partecipazione di sette cori;
e il numero sette ritorna ben due volte con il progetto “Cantiamo il
Natale per…”, iniziativa di solidarietà promossa dall’Usci Varese che
nella serata di martedì 7 dicembre ha visto la realizzazione di sette
concerti in diverse località della provincia.
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A.R.CO.M. Marche
Associazione Regionale Cori Marchigiani
Via Panoramica Ardizio, 95 - 61100 Pesaro (Pu)
Presidente: Luigi Gnocchini
Madrigali, chansons… & Christmas carols!
Si è svolta il 10 aprile a Macerata l’Assemblea ordinaria dell’Arcom,
per l’approvazione dei bilanci 2010 e 2011 e per la definizione dell’attività per l’anno in corso. Confermate tutte le iniziative già programmate dal precedente Consiglio Direttivo, tra cui la rassegna per cori
di voci bianche Corimarche 2011, il corso di Dario Tabbia a Macerata
e il patrocinio al primo Concorso corale nazionale “Città di Fermo”,
organizzato dal coro Vox Poetica Ensemble.
In particolare, il corso con il maestro Tabbia si è tenuto il 5 e 6 marzo
sul tema “Madrigali, chansons, mottetti e villanelle” e ha visto la partecipazione di una cinquantina di iscritti fra coristi e direttori di coro.
Sono state affrontate le problematiche essenziali riguardanti la prassi
esecutiva relativa alla musica rinascimentale, approfondendo aspetti
legati alla notazione, al tactus, alle alterazioni, ma anche aspetti tecnici
propri dell’esecuzione corali quali l’intonazione, la vocalità, le tecniche
di concertazione.
Tra dicembre e gennaio, due interessanti percorsi concertistici hanno
trovato compimento: da un lato il cartellone di “Puer natus est”, rete
di concerti natalizi svoltisi nell’ambito di tutta la regione, che hanno
coinvolto complessivamente trentacinque cori; dall’altro, gli ultimi
quattro concerti della rassegna “Fermano in…canto”, organizzata
dall’Arcom in collaborazione e con il sostegno della Provincia di
Fermo.
A.CO.M. Molise
Associazione Cori del Molise
Via Appennini - 86023 Montagano (Cb)
Presidente: Francesco Antonio Laurelli
Vocalità per direttori e coristi
Tra febbraio e marzo si è tenuto a Campobasso, presso la biblioteca
provinciale “P. Albino”, il corso di vocalità applicata al repertorio rivolto
a direttori e coristi, tenuto dal maestro Fabrizio Barchi. I partecipanti
(circa 160) hanno potuto proficuamente approfondire la conoscenza
di elementi essenziali per una corretta emissione vocale, preziosi per
la prassi esecutiva del canto polifonico.
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discografia&SCAFFALE
Giovanni Pierluigi da Palestrina
Missa Papae Marcelli
Odechaton, dir. Paolo Da Col, Arcana, 2010
Ci sono opere talmente emblematiche del loro tempo e del loro genere e, di conseguenza, così note al pubblico, da richiedere a chi voglia riproporle, soprattutto
in un’edizione discografica, una notevole dose di coraggio. Ci si confronta, infatti,
con una così ampia tradizione interpretativa che, da un lato, fa immediatamente
scattare il paragone, ovviamente con gli esempi più illustri e impegnativi, dall’altro
si inserisce in uno spazio saturo, di fronte al quale l’ascoltatore potrebbe reagire
con un «Ancora?…».
La Missa Papae Marcelli è una di queste: indubbi meriti artistici e leggende storiografiche ne fanno l’opera più nota di Palestrina e la pietra di paragone di uno
stile che, travalicando i confini di una scuola, aspira a diventare modello universale
per tutta la musica sacra.
Il coraggio necessario per affrontare la sfida Paolo Da Col e il suo ensemble,
l’Odhecaton, ce l’hanno avuto e il cd pubblicato nel 2010 da Arcana ne è il risultato.
Un coraggio tanto più necessario, in quanto questa edizione non si motiva per la
novità della sua proposta interpretativa, ma si basa esclusivamente sulla qualità
intrinseca dell’interpretazione. Paolo Da Col, infatti, non si accoda a quanti diluiscono nella prassi le affermazioni di principio circa il divieto dell’uso di strumenti
che differenzierebbe la scuola romana da quella veneziana, per restare a un luogo
comune della storiografia musicale, e ci ripropone ancora una volta una versione
interamente vocale e di un organico ampio, di almeno tre voci per sezione, forte
dei dati storici che mostrano una cappella pontificia, nel XVI secolo, compresa tra
i 20 e i 36 cantori.
Ciò non significa che le scelte operate da Da Col non siano stimolanti. Interessante
è l’idea di ambientare il capolavoro palestriniano in un concreto contesto celebrativo, a sottolineare che la liturgia non è mai astratta ma evidenzia sempre il farsi
dell’Universale nel concreto di un tempo particolare. Così, dopo il mottetto Sicut
Cervus, tratto dalla liturgia della veglia del sabato santo, il Comune della Papae
Marcelli si cala nel proprium della Domenica di Risurrezione, ricorrendo ad altri
brani palestriniani e, in un caso, a un altro esponente della scuola romana, Felice
Anerio, succeduto al Palestrina come compositore della cappella pontificia. Apprezzabile (e non del tutto scontata, stante la poca conoscenza liturgica di molti
interpreti) la pratica dell’alternatim con il gregoriano nel Kyrie e nell’Agnus Dei,
tratti dalla missa I Lux et origo. Una cura, nel rendere il più possibile concreta la
celebrazione che si spinge fino a scegliere una disposizione delle voci conforme
a come le stesse sono disposte nel grande in folio del 1567 in cui la messa è
pubblicata, mantenendo la prassi del codice manoscritto che vede la cappella riunita attorno a un unico volume, anziché quella, generale nel madrigale, dei cantori
forniti di personale libro parte.
Sono dunque molti i motivi per ascoltare attentamente questa riproposizione del
capolavoro di Palestrina. Ma, tra tutti, quello che vorremmo rilevare particolarmente è come questa produzione di un gruppo italiano vada a incrementare una
presenza sempre meno marginale del nostro paese nella musica rinascimentale,
fino a non molto tempo fa oggetto solo di attenzioni d’oltralpe. Una doverosa ri-
discogr
RUBRICHE
conquista di un patrimonio culturale nostro, finalmente in controtendenza alla scarsa autostima culturale che in Italia governanti e governati hanno verso se stessi e il proprio paese.
Sandro Bergamo
Pontus - Melodie dal mondo
Integrazione e interazione culturale
attraverso la musica
Castelfranco Veneto, Asac, 2010
Da un’idea di Paolo Bon, l’associazione corale del Veneto (Asac)
ha realizzato il progetto Pontus (il termine è un colto riferimento
alla storia di Venezia, città marinara, che è stata per lunghi
secoli il principale luogo di contatto e di scambio fra l’Europa
e l’Oriente).
Terminata una prima fase – un concorso per le scuole dell’obbligo, il cui esito ha prodotto un assortimento di melodie provenienti da diverse tradizioni culturali relative alle aree di provenienza degli studenti immigrati – i materiali selezionati sono
stati successivamente proposti ai compositori che hanno partecipato a un concorso di elaborazione corale.
Il volume Pontus (realizzato dall’Asac in collaborazione con la
Regione Veneto, Feniarco e la Fondazione di Venezia) è pertanto
la pubblicazione delle opere di elaborazione corale premiate e
segnalate da una giuria di esperti. Una raccolta di otto brani
meritevoli suddivisi nelle categorie Coro di voci bianche anche
con strumenti, Coro di voci miste a cappella e Coro di voci pari
a cappella.
Ecco i nomi dei compositori premiati: Andrea Basevi, Alessandro
Kirschner, Cristina Ganzerla, Sara Silingardi, Maurizio Santoiemma, Enrico Ariaudo, Pompeo Vernile e Fabrizio Perone.
Un’ampia e dotta prefazione di Paolo Bon motiva gli obiettivi
del progetto. Tra le righe leggiamo che l’espressione musicale
«è la stessa lingua alle più svariate longitudini e latitudini del
nostro pianeta. La lingua musicale orale è una sola, e si tratta
della lingua diatonica». Affermazione che Bon sostiene sul piano
delle altezze e delle scale. Ma l’espressione musicale è un fenomeno più complesso che include anche altre dimensioni e
che si manifesta nelle diverse culture in prassi molto
eterogenee.
Perciò, l’operazione di manipolazione di materiali di altra origine
nella forma corale non è sempre così immediata. Per i nostri
compositori coro significa polifonia, intreccio di voci sulle regole
di un tessuto armonico. Non è detto che ciò che proviene dalle
57
altre culture sia facilmente coniugabile con questa forma
espressiva. Il rischio di snaturare la sostanza espressiva del
dato estraneo sta sempre dietro l’angolo. Prova ne sia che i
compositori del progetto Pontus hanno preferito lavorare attorno a una melodia di origine bosniaca (Nina nina nena) per certi
tratti familiare. Ben quattro elaborazioni di questo stesso canto.
Evidentemente l’andamento melodico e la struttura di Nina nina
nena meglio si adatta ai canoni della nostra scrittura corale. Ci
insegnavano al liceo «Graecia capta ferum victorem cepit» – la
Grecia, conquistata [dai Romani], conquistò il feroce vincitore
– dove le lettere e le arti greche stanno per il contrappunto
musicale occidentale che artiglia i fenomeni musicali estranei
e li addomestica alle sue leggi. Vi siete mai chiesti perché Puccini apre Madama Butterfly (un’opera di ambientazione esotica)
con un fugato?
Dispute teoriche a parte, Pontus, è stata un’iniziativa encomiabile, che ha prodotto lavori convincenti. Ne cito un paio, ma
non da meno sono gli altri. Il lavoro di Sara Silingardi (Nina nina
nena, a 6 voci miste) è un brano di sicuro impatto ed efficace
resa corale. Ingralese (a 6 voci femminili) di Pompeo Vernile
mette in campo un tipo di scrittura moderna ed essenziale, che
va nella direzione della libertà formale e della ricerca timbrica.
Un neo non da poco. A parte un caso, mancano le traduzioni
dei testi.
Mauro Zuccante
Quadri a dó passi da ’l Stif
rafia&
Raccolta di 20 composizioni per coro maschile
scritte per il Coro Castel sez. SAT di Arco
Se il Coro della Sat di Trento è stato etichettato come «il conservatorio delle Alpi» (celebre definizione coniata dal musicologo Massimo Mila), potremmo definire il Trentino “l’università
del canto alpino”.
Nelle valli della prospera provincia autonoma sembra infatti non
conoscere crisi lo “standard” del coro maschile alpino. Mentre
nelle vicine regioni del Nord a questo particolare modello corale
vengono ormai preferite altre tipologie di formazione corale e
altri repertori, in Trentino la tradizione del coro maschile alpino
tiene botta e vien mantenuta viva anche dalle generazioni più
giovani. Leggo tra le pagine del rapporto del 2010 sullo stato
della coralità italiana pubblicato da Feniarco, che i cori maschili
associati ammontano, a livello nazionale, al 17%. Ebbene, in
Trentino la percentuale, tra gli aderenti alla Federazione Cori,
sale quasi al 40%, superando quella dei cori a voci miste.
58
Pertanto, non sorprende che la specificità della coralità trentina si traduca in un
cospicuo numero di collezioni di brani appositamente composti per il coro maschile
alpino. Accanto agli arrangiamenti di canti popolari locali (patrimonio già ampiamente setacciato), il repertorio è ulteriormente alimentato da opere originali.
In quest’ultimo filone si inserisce un’iniziativa editoriale del Coro Castel sez. Sat
di Arco, sostenuta dal Comune di Arco, dalla Provincia Autonoma di Trento e dalla
Federazione Cori del Trentino. Il coro ha infatti dato alle stampe una raccolta di
20 nuove composizioni per formazione maschile, dal titolo Quadri a dó passi da
’l Stif, dove Stif sta per Stivo, ossia il Monte Stivo, una panoramica altura i cui
versanti si elevano da un lato sopra Arco e dall’altro sopra Rovereto.
Testi poetici e musiche sono opera di autori locali. Ma nel citare i nomi dei compositori viene da considerare che si tratta di personalità conosciute, accanto ad
altre emergenti, nel più ampio ambito della musica corale nazionale. Andrea Chini,
Mattia Culmone, Ilario Defrancesco, Roberto Di Marino, Sandro Filippi, Riccardo
Giavina, Angelo Mazza ed Enrico Miaroma.
In sintesi il contenuto del volume è illustrato dalle parole che ricaviamo dalle note
introduttive di Giuseppe Calliari. «Venti canti d’autore. Segno dello sviluppo del
coro virile oltre le armonizzazioni di melodie tramandate, le pagine musicali scritte
per altrettanti testi poetici tengono conto delle forme strofiche come di quelle libere: ne derivano atteggiamenti compositivi differenziati nella costruzione ma non
meno nelle scelte di linguaggio, tra la fedeltà ai modi popolareschi e la piena
autonomia».
A conferma di quanto scrive Calliari a proposito di «fedeltà ai modi popolareschi»,
cito un lavoro che mi ha particolarmente colpito. Si tratta del brano Montagna
amara di Roberto Di Marino, una misurata, coerente e toccante ricostruzione del
cliché del canto alpino non solo dal punto di vista stilistico, ma anche in termini
poetico-espressivi. La composizione di Di Marino richiama all’orecchio i lavori di
Camillo Moser, altro musicista trentino che aveva introiettato i modi del canto
corale alpino, sapendone produrre credibili re-invenzioni.
Tra i restanti pezzi della raccolta si distinguono quindi quelli che manifestano il
tentativo di coniugare la tradizione popolare con una scrittura più elaborata, personale e di derivazione colta, nonché con un linguaggio melodico e armonico liberamente aperto ai sistemi modali.
Infine, è stata inserita nel volume La preghiera del partigiano, un lavoro di Terenzio
Zardini. Padre Zardini non era trentino, ma veronese. Eppure, come altri autori
della stessa generazione, nutriva simpatia per il canto corale alpino, avendone
anch’egli ben assimilato il modello. Probabilmente un segno del legame con i luoghi
prealpini dov’era nato.
Mauro Zuccante
discogr
RUBRICHE
Gastone Zotto
59
Steven Mithen
Legger cantando
Il canto degli antenati
Varenna (Lc), EurArte, 2010
Torino, Codice, 2009
Sono passati quasi quarant’anni dalla pubblicazione del Cantar
leggendo di Roberto Goitre: un testo che ha avuto e continua
ad avere, nell’edizione rinnovata, un notevole successo, diventato bandiera per schiere di insegnanti. Nonostante il loro impegno, l’obiettivo di una alfabetizzazione musicale di massa
rimane ancora piuttosto lontano. Nella prassi rimane ancora a
farla da padrone il solfeggio parlato, croce senza delizie capace
di falcidiare generazioni di allievi ancorché benintenzionati,
mentre continuano a crescere ottimi (?) strumentisti incapaci di
articolare suono con la voce, strumento universale e gratuito.
Sull’argomento ritorna Gastone Zotto. Una biografia, quella del
musicista veneto, che gli ha permesso di conoscere il problema
da ogni lato: compositore e didatta, Gastone Zotto conosce i
cori (è stato presidente dell’Asac per due mandati) e il loro
bisogno di risolvere i problemi di lettura, ed è espressione del
mondo accademico, avendo insegnato musica corale ed essendo stato direttore di conservatorio. Lo fa con una nuova opera
pubblicata da Eurarte: sei fascicoli più un settimo introduttivo,
che introducono gradualmente il bambino alla lettura degli intervalli sviluppandone contestualmente il senso tonale.
Rovesciando fin dal titolo i termini del binomio goitriano (ma
non in polemica con Goitre, a cui Zotto riconosce i meriti) il
percorso parte dall’apprendimento di semplici filastrocche che,
decodificate, diventano poi piacevoli strumenti di alfabetizzazione musicale: il percorso di Kodály, che partiva dai canti popolari ungheresi e, se vogliamo, dello stesso Guido Monaco,
che dalla memorizzazione degli intervalli dell’Inno a San Giovanni ricostruiva quelli degli altri canti.
Per gradi successivi, il percorso si snoda dal riconoscimento
delle note alla loro intonazione, alla lettura con do mobile, fino
a quella corale a più voci, per concludersi in una guida all’insegnamento per genitori e insegnanti. Come dal parlato alla lettura
verbale, questo l’assunto di Gastone Zotto, così dal cantato alla
lettura musicale: sempre nel gioco, perché «il primo e più condizionante approccio alla musica non può e non deve essere
che gioioso. Al di fuori della piacevolezza rimane ben poco spazio alla vera musica. Forse nessuno».
Sandro Bergamo
Non è un testo nuovissimo, quello che presentiamo oggi: pubblicato negli Stati Uniti nel 2005 è stato tradotto ed è uscito in
Italia nel 2009. D’altronde, ci sono libri che chiedono di essere
letti con attenzione, e bisogna aspettare che venga il momento
per dedicarvisi. Il canto degli antenati di Steven Mithen è uno
di quelli. Mithen non è un musicista: è un archeologo che ha
indagato soprattutto nella preistoria, andando alla ricerca delle
abitudini dei nostri progenitori, oltre l’homo sapiens, fino a risalire a Neanderthal e oltre.
I risultati della sua indagine prospettano uno scenario inedito
sullo sviluppo delle capacità musicali e sul loro rapporto con le
facoltà del linguaggio. Due aspetti ritenuti, a torto, secondo
Mithen, in stretta relazione, con la musica ritenuta derivazione
e sviluppo della parola. Analizzando una serie di casi clinici,
l’autore intende dimostrare come le due facoltà siano autonome.
Nella prima parte dell’opera vengono infatti presentati una serie
i casi in cui la perdita del linguaggio a seguito di lesioni cerebrali
non ha compromesso le capacità musicali, fino al caso estremo
del compositore impossibilitato a insegnare per perdita quasi
totale della parola che proprio in quel periodo della sua vita
scrive i suoi capolavori. Viceversa, diversi sono gli esempi di
amusia interessanti tanto amatori quanto professionisti che, pur
vedendo compromesse le facoltà musicali, non hanno alcun
riflesso su quelle del linguaggio. Le due facoltà, musica e linguaggio, sono infatti governate da due diverse parti del cervello,
collocate in due distinti emisferi.
Nella seconda parte l’analisi si sposta sui reperti antropici e
le conclusioni di Mithen stravolgono quanto credevamo di
sapere: lo sviluppo della parola è recente (non prima di 50
mila anni fa) e limitato all’homo sapiens, mentre la musica è
più antica. Lo studio si concentra sull’uomo di Neanderthal.
Le dimensioni del cervello, insufficienti a contenere tutta la
massa impegnata a gestire la parola, le caratteristiche di altre
parti del cranio, che impedirebbero, per esempio, un sufficiente afflusso di sangue alla lingua e fanno pensare a un organo
molto meno versatile del nostro, inducono l’autore a negare
a questo progenitore la parola: al contrario, altre caratteristiche e lo sviluppo di aree del cervello destinate alla musica ne
indicherebbero il pieno possesso delle facoltà musicali. L’uomo di Neanderthal poteva comunicare attraverso suoni intonati: dotato di orecchio assoluto e capace così di distinguere
le diverse altezze, era in grado di trasmettere segnali significativi ai suoi simili. Non si trattava di un linguaggio articolato,
rafia&
60
in cui pochi elementi privi di significato (i fonemi) diversamente combinati danno
origine a suoni portatori di significato (le parole): si trattava di segni olistici,
portatori cioè, ciascuno di essi, di interi concetti (andiamo a cacciare oltre la
collina dove c’è una mandria di bisonti). Un sistema capace di formulare pochi
elementi di comunicazione e impossibilitato a svilupparsi in un vero e proprio
linguaggio: ciò che invece riesce all’uomo sapiens, che, anche per questo, riesce
a soppiantare il progenitore.
Ciascuno di noi ripercorre nella sua infanzia il cammino dell’umanità primitiva. Il
bambino, che già dal quarto mese dal concepimento è in grado di sentire, nasce
con l’orecchio assoluto e mostra grande attenzione al mondo dei suoni. Lo sviluppo
del linguaggio soppianta queste facoltà e la musica diventa poi una faticosa riconquista della sua cultura. Ma sempre, per tutta la vita, la musica esercita su
ognuno il fascino delle cose radicate nel profondo, oltre la memoria, oltre la consapevolezza, oltre la ragione.
Sandro Bergamo
Aurelio Zorzi
Io canto al re il mio poema
Roma, 2010
Si tratta di un prezioso volume, aggiornato ai nuovi Lezionari, stampato magnificamente che musica i Salmi responsoriali per i tre cicli domenicali, le solennità e
le feste dell’Anno Liturgico. Le antifone sono accessibili a una comune assemblea
liturgica e i salmi sono facilmente sostenibili da un buon cantore. Non si tratta di
musiche scontate; anzi sono speculari a ogni antifona, segno che il lavoro è stato
meditato dapprima nell’intimo della fede e solo successivamente trasfuso in melodie che sono l’esegesi della parola che investono. Il canto responsoriale infatti,
che costituisce di per se stesso un rito, è affrontato con sobrie melodie che esaltano
il testo, sempre comprensibile anche quando, nelle solennità, è rivestito da una
musica leggermente più lirica. L’opera contiene anche i canti della settimana santa
e le due sequenze più note: Alla vittima pasquale e Vieni, santo Spirito. Si tratta
in sostanza di un sussidio che rende più accessibile e più efficace la parola di Dio,
sottratta all’espressività soggettiva del recitato per elevarla agli spazi purissimi
della preghiera e della contemplazione.
Gianni Bortoli
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che aderiscono al progetto web
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letterE al direttore
«Egregio Direttore, (…) nel n. 33 settembre-dicembre 2010 trovo una lunga dissertazione del maestro Pier Paolo Scattolin dal titolo “Un secolo di canto popolare”.
(…)
Nel saggio di Scattolin vengono citati i musicisti che hanno contribuito a impreziosire con le loro elaborazioni il repertorio dei cori, nel testo vengono segnalati
molti complessi corali a partire dallo storico coro della SAT.
Dopo attenta rilettura dello scritto del maestro Scattolin noto una singolare “dimenticanza”. Il Maestro si è scordato di menzionare il Coro ANA di Milano. (…)
Certamente citare tutti i complessi corali italiani, che secondo le ultime statistiche
pare siano oltre 5000, sarebbe stato impossibile. Nello scritto molti dei complessi
corali citati sono scomparsi da decenni e, nella maggior parte dei casi, hanno lasciato
pochissime tracce ragguardevoli del loro percorso musicale. Quindi, caro Direttore,
per un più ampio approfondimento sul percorso musicale del Coro ANA di Milano e
più avanti mio personale, mi permetto di lasciare qualche informazione che forse
potrà essere utile per il maestro Scattolin da tenere in archivio per eventuali altri
saggi. Il Coro ANA di Milano nasce nel settembre del 1949 e viene considerato il
primo coro nato nell’ambito della Associazione Nazionale Alpini. I cori inseriti nel
saggio nascono tutti, esclusi SOSAT e SAT ben dopo il Coro ANA di Milano. Ovviamente l’età anagrafica non giustifica alcun merito artistico se esso manca. Il coro in
oltre sessant’anni si è esibito in Italia, in Europa, in America, in Canada, e ultimamente
in Australia, il maestro Scattolin potrà trovare ampie informazioni sul sito del Coro
ANA di Milano. (…)
Dal 1954 a oggi la discografia del nostro coro è vastissima. (…) Per circa tre anni
abbiamo tenuto una trasmissione settimanale su TV2 della RAI dedicata ai canti
degli alpini e ai canti popolari presentati da Paolo Limiti.
La mia formazione musicale si è quasi interamente esplicata a Milano. Sono entrato
giovanissimo come cantore nella Cappella Musicale del Duomo di Milano, studi
in conservatorio. Con il maestro Bruno Bettinelli il mio percorso è stato straordinario, la mia parentela con lui mi ha permesso di avere un contatto personale con
un grande compositore, un didatta eccezionale che mi ha concesso l’opportunità
d’avere un lungo rapporto di studio e di collaborazione fino a poco prima della
sua morte. Sono entrato nel Coro ANA di Milano nel 1955 (avevo vent’anni), ho
assunto la direzione del Coro nel 1973.
Ho avuto frequenti contatti con molti musicisti, divenuta poi vera amicizia: con
Luciano Chailly, Angelo Mazza, Mino Bordignon Bruno Zanolini (…). Sono stato molti
anni or sono presidente dell’USCI di Milano. Ho tenuto lezioni nelle università (Statale
di Milano) Istituto Gonzaga di Milano. Nel 2008 il Coro ANA di Milano ha tenuto per
la prima volta un concerto al teatro degli Arcimboldi di Milano con l’Orchestra Sinfonica Giuseppe Verdi di Milano con un concerto dedicato al 90° Anniversario della
Vittoria nella Prima Guerra Mondiale, diretto per l’occasione dal maestro Giovanni
Veneri e ripetuto poi l’anno successivo nel Duomo di Milano alla presenza di oltre
7000 spettatori in occasione della beatificazione di don Carlo Gnocchi.
Ecco caro Direttore in sintesi il percorso del Coro ANA di Milano e mio personale.
Nel saggio del maestro Scattolin trovo molti nomi di direttori di coro con i quali
ho avuto rapporti di stima, di amicizia e anche di collaborazione: Paolo Bon, Bepi
De Marzi, Angelo Agazzani e molti altri (…).
Termino caro Direttore questa mia sostenendo che per una corretta informazione
RUBRICHE
il Coro ANA di Milano avrebbe dovuto avere una citazione su
Choraliter come è stato fatto per altri complessi corali, spiace
che l’autore del saggio non abbia ritenuto opportuno citare un
coro che oltre a ogni opinione personale è stato ed è una realtà
nella vita corale di questo nostro Paese.
Nel ringraziarla per l’attenzione porgo cordiali saluti e un ringraziamento personale per la sua bella rivista.»
Massimo Marchesotti
Direttore del Coro ANA di Milano, 20 gennaio 2011
«Gentili Signori, gentile Direttore Sandro Bergamo,
scrivo a nome del Coro e del Maestro per evidenziare un fatto
– a nostro modo di vedere – alquanto deplorevole.
Mi riferisco all’articolo “Un secolo di canto popolare” redatto
da Pier Paolo Scattolin, apparso sul numero 33 della Vostra
rivista Choraliter.
Leggo che il Signor Scattolin è docente di musica corale e direzione di coro presso il conservatorio di Bologna, nonché direttore del coro Euridice di Bologna.
Trovo anche una sua biografia, nella quale servono quasi 20
righe per elencarne tutti i meriti e i titoli.
Se ne evince un’immagine di un grande esperto della coralità
italiana che firma, su Choraliter, un articolo che si estende su
ben 14 pagine, nelle quali vengono citati numerosi cori, in particolare dell’alta Italia. Realmente ne cita parecchi, anche delle
nostre parti, alcuni di loro piuttosto “giovani”, altri che vantano
un’esistenza ultradecennale.
A prescindere dai meriti e dalle qualità dei singoli cori menzionati, che ovviamente non intendiamo mettere in discussione,
ci sorprende – e nel contempo ci delude – osservare che del
nostro coro, il Coro Rosalpina del C.A.I. Bolzano, costituito nel
giugno 1945 e tuttora attivo, non si fa il minimo cenno, e tantomeno vengono menzionati né il Maestro Silvio Deflorian né
il Maestro Nunzio Montanari, nostri valenti armonizzatori e indiscussi protagonisti nel mondo della coralità italiana.
Eppure, sottolineando l’esclusività del nostro repertorio, in quasi 70 anni di attività abbiamo – con oltre 1500 concerti – portato
le nostre voci in lungo e in largo per l’Europa, nell’isola di Malta,
in Libano, in Siria… riscuotendo ottime valutazioni dai maggiori
critici musicali.
Uno fra tutti, Giulio Confalonieri, che non esitò a definire il Coro
Rosalpina un “caposcuola” nel filone del canto popolare.
Evidentemente troppo poco per meritare di essere – quantomeno – citati nella vostra rivista.
Vi giungano i saluti dal
Coro Rosalpina del C.A.I. Bolzano
Dott. Aldo Stracchi, Vicepresidente
63
Il tema del canto popolare è di quelli che accendono gli animi
e suscitano il dibattito non meno dell’interpretazione del repertorio antico o di altri aspetti della musica corale. Personalmente
ricordo con grande nostalgia le occasioni di discussione, nei
convegni o margine di concerti, cui ho avuto modo di partecipare, negli anni Settanta, forse i più vivi in quest’ambito, quando
le diverse posizioni dei Marelli, dei Bon e degli esponenti della
Nuova coralità, dei De Marzi, dei Mazza, dei Corso, dei Malatesta, dei Vigliermo (e chissà quanti ne dimentico: arriveranno
lettere?) si intersecavano con il movimento del folk revival e le
sue posizioni, spesso critiche, verso l’elaborazione corale del
canto popolare. Fu un dibattito stimolante, per un giovanissimo
direttore, che invitava allo studio, alla ricerca, al non riposare
sullo scontato di un repertorio consolidato: un atteggiamento
di fondo che mi sono portato dietro fino a oggi e che spero di
mantenere fino alla fine, considerando la mancanza di stimoli
la certificazione della sopravvenuta vecchiaia. Ho potuto così
conoscere bene anche l’attività del coro Rosalpina, consumando
l’LP Sui monti fioccano, come del coro ANA e di uno dei suoi
storici direttori, Flaminio Gervasi, incontrato, se non ricordo
male, nel 1975 in un convegno a Milano.
Dove c’è dibattito, c’è intelligenza ed è quindi inevitabile la differenza di posizioni e punti di vista, laddove i temi sono trattati
con passione e competenza. E l’attenzione che i nostri lettori ci
riservano, anche quando criticano un nostro articolo, è la conferma che passione e intelligenza vivono ancora nella coralità
popolare, quale che sia il significato che vogliamo dare a questo
termine.
I nostri dossier hanno proprio questa funzione: stimolare la riflessione, suscitare la voglia di approfondire. Non intendono né
potrebbero essere esaustivi di un argomento.
La storia della coralità popolare italiana è ancora tutta da scrivere e chi lo fa si muove sulla base di poca documentazione,
della propria personale esperienza e in assenza di studi che
delineino la situazione regione per regione, offrendo dati ampi
a chi deve fare sintesi. Tutte queste considerazioni Pier Paolo
Scattolin le metteva in nota a una prima e molto più lungo versione dell’articolo, che, per ragioni di spazio, abbiamo dovuto
chiedergli di abbreviare, precisando anche che la sua esperienza
di vita, corale e non (è bolognese), lo portava a confrontarsi più
facilmente con la realtà emiliano-romagnola.
In più, quando si scrive la storia, si ha sempre un punto di vista
e ciò che è importante per quella ipotesi di lavoro può non
esserlo per un altro e viceversa. Se voglio scrivere una storia
del paesaggio attraverso la sua raffigurazione nelle opere d’arte, mille quadri di vedutisti minori contano più degli affreschi
della Sistina, senza con questo dare a essi più valore estetico
che a Michelangelo. Sono punti di vista di cui l’autore e chi lo
pubblica assumono la responsabilità, e come tali vanno accolte,
perché non rappresentano, né vogliono rappresentare, classifiche, lodi o biasimi. E assieme all’assunzione di responsabilità
si aprono – perché può aiutare a proseguire nella conoscenza
– alla critica, purché questa non voglia vedere complotti e fazioni, pena diventare faziosa essa stessa.
64
MONDOCORO
a cura di Giorgio Morandi
Non so come canti mio Signore
sempre ti ascolto in silenzioso stupore
La luce della tua musica
illumina il mondo
Il soffio della tua musica
corre da cielo a cielo
L’onda sacra della tua musica irrompe tra gli ostacoli pietrosi
e scorre impetuosa in avanti
Il cuore anela di unirsi al Tuo canto
ma invano cerco una voce
Vorrei parlare
ma le mie parole non si fondono in canti e impotente grido
Hai fatto prigioniero il mio cuore
nelle infinite reti della Tua musica.
(R.Tagore)
Credo che ormai non sia rimasto più nessun italiano a cui l’anniversario 2011 non
dica immediatamente “Unità d’Italia”. Forse qualcuno c’è, invece, che non collega
questa data al doppio anniversario (150° di nascita e 70° di morte) di Rabindranath
Tagore, prosatore, drammaturgo, filosofo e musicista indiano, uno dei più grandi
poeti mistici del mondo che riscosse grande successo sia negli Usa, sia in Europa
(Premio Nobel per la letteratura nel 1913!). Non poteva capitarci (Deo gratias!)
opportunità migliore, a me di fare e ai lettori di Choraliter di ricevere – a primavera
ormai avanzata – i migliori auguri di buona continuazione delle attività musicali e
non, con parole più grandi e più sagge.
Takadimi, metodo per lettura a prima vista
Sound Connections (Connessioni audio) è un
programma sequenziale completo per l’apprendimento della lettura a prima vista, basato
sull’apprendimento e la ricerca corrente sul
cervello (è spiegato nel testo). È auto-pubblicato dal dott. Don Ester della Ball State University (Usa). Se siete alla ricerca di pedagogia
efficace per la lettura a prima vista in base a
come i bambini effettivamente imparano in
realtà – ossia il suono prima della vista, come
molti studiosi sostengono – probabilmente questo metodo è esattamente quello
che state cercando. È un sistema chiaramente delineato, facile da usare, e quando
si acquista il libro si è autorizzati a fare copie/fotocopie di tutti gli esercizi in esso
proposti.
«Con questo metodo ho visto fare cose incredibili nelle scuole di tutta la zona.
Quando utilizzato in modo coerente… gli studenti della scuola media e della scuola
superiore riescono a leggere ritmi sempre più difficili (in metro semplice e composto,
RUBRICHE
tra l’altro) rispetto a ciò che sanno fare la maggior parte dei miei
colleghi universitari. Davvero, un coro di scuola superiore oggi
a prima vista legge meglio di noi» (lo dice uno studente universitario americano, laureando). Come molti altri hanno sottolineato, Takadimi è appropriato per tutte le età, dai bambini piccoli
agli adulti.
Felice lettura… a prima vista!
Libri e risorse elettroniche
per la musica vocale
C’è un libro in tre volumi che è un’enciclopedia di tutto quanto si conosce
sulla voce. È scritto in maniera brillante, senza perdere di vista gli studenti delle superiori (junior e senior).
Copre letteralmente tutto ciò che
chiunque vorrebbe sapere sul tema
della voce, i benefici dell’autoespressione umana nel cantare e
parlare, come sono fatte e come
sono “utilizzate” le voci in un cantare e parlare qualificato ed
espressivo, la salute e la tutela della voce, come cresce la voce
attraverso la vita prenatale, l’infanzia, l’adolescenza, la giovinezza, l’età adulta e l’anzianità, e un buon numero di altre
“cose” basate sull’evidenza. Ci sono 18 autori, tra cui tre documenti di medicina ENT (ear, nose, throat [orecchio, naso, gola]),
un immunologo-allergologo, un endocrinologo, un logopedista,
un audiologo, uno specialista educatore della voce, uno specialista sul cambio della voce maschile, uno specialista sul cambio della voce femminile, due specialisti della voce infantile,
uno specialista della voce nella prima infanzia, un insegnante
di Tecnica Alexander, un direttore di coro, e tre autori che sono
direttori di coro, educatori di voce solista ed educatori musicali
di prim’ordine.
Bodymind & Voice: Foundations Of Voice Education (Corpomente e voce: fondamenti di educazione della voce) è co-pubblicato dal National Center for Voice and Speech e dalla rete
VoiceCare. Co-redattori sono Leon Thurman e Graham Welch
(educatore e studioso della voce di fama mondiale, responsabile
di Lettere e Filosofia all’Istituto per l’Educazione dell’Università
di Londra).
Negli Usa e, più in generale, a livello internazionale, il libro è
stato adottato per i corsi di educazione musicale, per quelli di
direzione di coro, e per i corsi di pedagogia vocale ed è stato
molto ben valutato e apprezzato da insigni professionisti.
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Solo due pareri fra i tanti: «Uno dei miei studenti ha detto “Avere
questo libro vale quanto i quattro anni dei miei studi all’Università. Esso risponde a moltissime mie domande”» (Judy Roberts,
professore in educazione della voce ed educazione musicale
dell’University of Central Arkansas). «…La più importante pubblicazione sull’insegnamento dell’uso della voce negli ultimi
venti anni…» (il canadese Reid Spencer, attore, cantante, educatore della voce).
Maggiori informazioni e ordini presso www.voicecarenetwork.
org
Libera la voce, libera la musica
Benvenuti nella Rete VoiceCare! Dal 1982, la rete
VoiceCare ha offerto corsi
a migliaia di insegnanti di
musica, direttori di coro,
insegnanti della voce, artisti e appassionati di
voce di tutto il mondo e
ha condiviso la ricerca, la
conoscenza e le tecniche
per rimodellare ciò che
essi sanno fare con la
voce.
La rete VoiceCare vi invita
a ringiovanire la vostra passione per la voce e trasformare le
vostre conoscenze immergendovi nella dimensione creativa di
un corso di livello laurea di 8 giorni, dove, indipendentemente
dal vostro livello di esperienza, sarà possibile:
• sviluppare il vostro canto attraverso potenti tecniche vocali
basate sull’evidenza;
• esplorare l’approccio a una classe e alle prove per aiutare
i cantanti a costruire fiducia, crescere e avere successo;
• scoprire come cantare per tutta la vita e insegnare agli altri
a fare lo stesso;
• stimolare la libertà che c’è in voi stessi e negli altri per produrre senza sforzo un suono ricco ed espressivo;
• imparare strategie per mantenere sana la vostra voce tutto
l’anno;
• migliorare il suono corale e l’espressione attraverso una
direzione senza interferenze, centrata sul cantante;
Questo sito è per insegnanti di educazione musicale, direttori
di cori e di corali, direttori d’orchestra, maestri di canto, cantanti,
logopedisti e medici ENT (orecchio-naso-gola).
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Cantare con la mente, con il corpo
e con l’anima
Singing with Mind, Body, and Soul: A Practical
Guide for Singers and Teachers of Singing (Cantare con la mente, con il corpo e con l’anima:
Guida pratica per cantori e direttori di coro) è
un testo molto facile da leggere, con molta narrativa e molta tecnica che sviluppa abilità importanti; è un’opera unica in quanto davvero è
una guida per preparatori della voce, cantori e
direttori di coro. Essa evidenza in un modo chiaro e diretto i fondamentali di una sana tecnica
vocale. Strumenti ed esercizi sono usati passo
passo per raggiungere una produzione vocale
solida e corretta. Esercizi specifici per migliorare la cinestetica e la consapevolezza del canto
sono riccamente presenti in ogni capitolo. Gli strumenti, usati insieme agli esercizi,
riqualificano i muscoli e permettono un meccanismo vocale che scarica la tensione,
al tempo stesso mantenendo nella voce energia e vitalità.
Cantare con la mente, con il corpo e con l’anima offre a entrambi, coro e direttore
di coro, una chiara guida al bello e al sano cantare con tutta l’anima.
La musica è gioia e anima… e guarigione
Musica come guarigione: effetti benefici
del cantare in coro
Amanda Weber dirige un coro
“speciale” a Washington DC. Si
era trovata a lavorare in un centro per donne senza fissa dimora e senza tetto che oltre ad
alloggio, cibo e vestiario fornisce lezioni di arte, scrittura,
autobiografia, yoga e cucina.
Durante il primo anno di volontariato s’è chiesta «ma dove è
la musica?» e si è resa conto di
poter colmare questa lacuna.
Forte della sua formazione musicale, era sicura di sapere cosa fare, ma in seguito
lei stessa dirà: «Mi sbagliavo». Si trovò a parlare con il direttore del centro e ora…
dopo due anni e mezzo dirige un gruppo musicale di circa trenta donne senza
fissa dimora: il Bethany’s Women of Praise.
«Sono donne forti – dice Amanda – provenienti da molti luoghi diversi. Alcune
stanno uscendo dalla droga, altre sono malate mentali; alcune sono state avvocati,
RUBRICHE
insegnanti, funzionari del governo, altre sono analfabete o ignoranti; alcune hanno subito abusi, altre sono nate in situazioni
sfortunate… Mi sbagliavo – aggiunge – nel credere che queste
persone volessero cantare solo musica gospel. Loro amano
anche Bach e Beethoven, Chopin e Debussy; sono affascinate
dalla Sagra della Primavera e attirate dalla storia di Pierino e
il Lupo. Abbiamo avuto lezioni su tutto, dal canto gregoriano a
John Cage… E mi ero sbagliata anche nel pensare che avrebbero
preferito imparare la musica a orecchio».
Infatti queste donne hanno imparato a leggere la musica e hanno appreso che le note nella pagina in realtà significano qualcosa. In classe, una volta, Amanda ha sollecitato una discussione su cosa si può qualificare come musica. Per valutare le
loro reazioni, ha sbattuto il pugno sul pianoforte e ha chiesto:
«Questa è musica?». Credeva di conoscere quale sarebbe stata
la loro risposta, ma, di nuovo, si sbagliava. «Sì, è musica!»
hanno detto. «Sembra arrabbiata, ma rappresenta come ci si
sente dentro, e questo va bene. Va bene essere arrabbiati. Questo è sicuramente musica!» Quando è stato chiesto loro di definire la musica, hanno detto che «la musica è gioia e anima».
Una donna ha chiesto di scrivere anche «guarigione» sulla scheda. La maggior parte sono donne molto provate, ma tutte sono
forti.
«Nei miei sforzi per insegnare a queste donne, sono io che ho
imparato. Sono stata accolta e servita. Insieme abbiamo sperimentato una ospitalità reciproca che molte stanno cercando, e
credo fermamente che la musica può facilitare questo. Ho avuto
la fortuna di vedere persone unirsi per formare una comunità,
legate dal canto… Non siamo certamente l’unico coro senza fissa
dimora», conclude Amanda Weber. «Esistono molti cori non
convenzionali, come i cori nei carceri, cori nelle case di cura, e
cori composti da cantori con handicap mentale o fisico… Io
aspetto con ansia il giorno in cui questi gruppi non saranno più
classificati cori non convenzionali. Quel giorno, davvero comprenderemo la definizione di musica come “guarigione”. La
vedremo come potenza al di là di noi stessi: una gioia inspiegabile, una agitazione per il cambiamento, uno strumento di
giustizia sociale, e un modo per costruire una comunità in un
mondo che così disperatamente ne ha bisogno». Sottoscriviamo? Credo che saremo una grande compagnia!
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Semplici passi per una lunga
e piacevole vita di canto
Dieci facili regole per la salute vocale
1. Dormire bene: non dormire abbastanza influisce negativamente su tutte le funzioni motorie e cognitive. Gli esperti del
sonno dicono di dormire tra quattro e otto ore, ma ognuno di
noi è la migliore guida per se stesso.
2. Bere adeguatamente: le corde vocali devono sempre essere
debitamente idratate (un motore senza adeguata lubrificazione
non regge al compito a cui è destinato), ma non trangugiare
bicchieri d’acqua appena prima di cantare o di fare un uso impegnativo della voce.
3. Respirare correttamente: si potrebbe dire che l’aria che si
respira diventa voce a livello delle corde vocali. Quindi bisogna
aver cura di respirare in modo adeguato alla funzione vocale
che si deve svolgere. Più volte al giorno esercitarsi a respirare
con calma, profondamente e in modo relativamente rilassato.
4. Postura efficace: come gli strumentisti cercano la posizione
migliore per produrre suono con il proprio strumento, così per
lo strumento della voce, il corpo. L’intero strumento lavora con
più efficienza quando la postura è ottimale, semplice ed efficace
per migliorare la funzione vocale.
5. Muscoli rilassati: ogni atleta sa che l’ipertensione dei muscoli
richiede maggiore fatica. La stessa cosa è vera nel canto. I nostri
muscoli devono mantenersi in una posizione relativamente rilassata in modo da poter fornire la miglior prestazione
possibile.
6. Non così forte! In ambiente rumoroso gli esseri umani tendono inconsciamente ad aumentare il volume della voce (Effetto
Lombard). Ma le corde vocali sono strutturate per sostenere
una limitata forza di contatto. Per quanto perfetta sia la tecnica,
oltre un certo limite la voce comincia a cedere.
7. Rallenta! Più veloce si parla, meno di respira e più teso è il
sistema di fonazione nell’insieme. Rallenta! La minor velocità di
parlata non solo permetterà al sistema vocale di lavorare con
più efficienza, ma produrrà anche un’atmosfera più piacevole
per te e per chi vive e lavora intorno a te.
8. Meno istruzioni è meglio! Il direttore tende a riempire ogni
pausa di lavoro con “perle” di conoscenza e informazioni senza
le quali chi canta… non potrà realizzare il suo massimo successo
artistico. Ma studi recenti non confermano che tutte quelle indicazioni fornite al cantore lo aiutino effettivamente ad apprendere meglio!
9. Il silenzio è d’oro. Come “atleta vocale” si sa che le corde
vocali hanno bisogno di tutto il riposo che si può dar loro, anche
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se pare non ne abbiano bisogno. È proprio necessaria quella lunga conversazione…
quella telefonata…? Mai sovraccaricare la voce!
10. Calmati! Purtroppo nella nostra società abbiamo perso coscienza dell’importanza che momenti di assoluto riposo hanno per il mantenimento di una buona
salute fisica, mentale e spirituale. Tutti hanno bisogno di tempo per ricaricarsi. Il
corpo, la mente e lo spirito ne hanno bisogno! È importante stare impegnati in
attività rilassanti e piacevoli, ma anche avere momenti di assoluto “farnulla”, momenti “vegetativi” in cui la mente è assolutamente libera. È essenziale per lo
sviluppo creativo, perché permette al cervello di ricaricarsi come in nessun altro
modo può fare.
Se miracolosamente voi foste in grado di applicare contemporaneamente tutti
questi suggerimenti, avreste risolto tutti i vostri problemi e cambiato totalmente
la vostra produzione vocale? Probabilmente no, ma anche la minima applicazione
di uno di questi suggerimenti aumenterebbe la capacità di produrre bel suono
proteggendo il tuo strumento voce. Il modo migliore per cominciare? Affrontare
una regola per volta. Lo sostiene Margaret Baroody di Philadelphia, specialista in
medicina della voce, famosa per il suo lavoro sulle voci danneggiate, autrice di
libri sulla salute e la pedagogia vocale e corale, mezzo-soprano professionista con
ampia esperienza nel campo dell’opera, dell’oratorio e del recital.
Presidenti Usa… in canto
Sappiamo tutti che Thomas Jefferson era un violinista, che Truman Capote suonava il pianoforte e Bill Clinton il saxofono, ma
chi può citare un presidente cantante o corista? C’è voluta Judith
Clurman per far cantare i presidenti degli Stati Uniti, con un
progetto davvero originale, anche nel nome: The President.
Il seme del progetto fu piantato
soltanto due giorni dopo il noto
attacco dell’11 settembre alle
Torri Gemelle, presso una caserma di vigili del fuoco di New York City, mentre la
stessa Clurman stava dirigendo il suo coro nel brano America The Beautiful. «Molte
persone piangevano – ricorda la Clurman – e io ero molto commossa».
Qualcosa di nuovo cominciò subito a ribollire nella musicista che ha sempre amato
la musica e la politica americana. «Mi son resa conto che i canti che cantiamo con
tanta naturalezza e i folk songs americani hanno un profondo significato per il
popolo».
Judith Clurman propose la sua idea alla Biblioteca del Congresso a Washington:
«Non sarebbe fantastico e divertente se proponessi ad alcuni miei amici compositori
di prendere parole scritte da presidenti americani e farne dei canoni molto semplici
da far imparare ai ragazzi delle superiori dando loro l’opportunità di apprendere
RUBRICHE
musica nuova di compositori contemporanei e di studiare i
presidenti?».
Judith assegnò a musicisti del calibro di Jake Heggie, Samuel
Adler, Paul Moravec, Nico Muhly e altri il compito di comporre
un breve canone di non più di 90 secondi di durata. Sosteneva
che «un canone chiunque lo può cantare, anche se non è un
cantore perfetto; lo cantano i ragazzi, lo cantano gli adulti…».
Le risposte dei compositori coinvolti sono state molto diverse
fra loro. Qualche compositore mandò una composizione di 18
pagine! Altri, composizioni di una sola riga! Alcune composizioni
erano troppo difficili per ragazzi delle scuole superiori. Milton
Babbit è l’unico compositore che ha potuto scegliere il testo. A tutti gli altri compositori il testo è stato assegnato: Judit aveva
fatto tutto il possibile per abbinare la personalità del compositore con la personalità del presidente. «Il risultato è un ritratto
in miniatura di un presidente in musica».
L’intero ciclo di canoni è stato registrato dall’Essential Voices
Usa Choir all’Accademia Americana delle Arti e delle Lettere il
17 gennaio 2011. «Durante la registrazione, mentre dirigevo
l’esecuzione io vedevo le facce dei presidenti davanti a me.
Quando abbiamo eseguito La migliore via per il progresso è la
via della libertà di JFK, non ho potuto fare a meno di pensare:
“Wow, quelle parole sono davvero stupefacenti!”». Parole di
Judith Clurman, direttore dell’Essential Voices USA Choir.
Restituire al canto gregoriano
la sua verità
Sandro Magister ha scritto recentemente che «i Cantori Gregoriani… sono i primi a sapere e a teorizzare che il canto gregoriano
può essere compreso e gustato solo se riportato nel suo contesto proprio, che è quello della liturgia… Non c’è altro modo
che questo per restituire al canto gregoriano la sua verità. E per ridargli il posto preminente che il Concilio Vaticano II gli
aveva confermato, come canto principe della liturgia
cattolica».
Già convinto per me stesso di questo, ancor di più lo sono dopo
una esperienza vissuta a Somasca, nel lecchese dove vivo, dove
in occasione dell’ultima festa di San Girolamo sono stati
proposti i solenni Vespri in rito ambrosiano.
E ora leggo dell’iniziativa per la quale, dall’inizio della Quaresima 2011, arte e musica si accompagnano alla parola del papa,
che fa da guida alle messe festive. La domenica con Benedetto
XVI va in onda in Italia ogni sabato alle 17.30, con una replica
alle 22.35. Accompagnerà l’intero anno liturgico, senza mai andare in vacanza. La tv che mette in onda questo nuovo pro-
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gramma è TV 2000, di proprietà della Conferenza Episcopale
Italiana, con Dino Boffo direttore dei programmi, visibile sul
satellite e sul digitale terrestre in Italia, e in streaming anche in
tutto il mondo, sul suo sito web.
La domenica con Benedetto XVI si articola in tre momenti: arte,
parola e musica. La parola è quella del papa stesso, con il meglio
della sua predicazione (in viva voce e immagini) nelle omelie
delle messe e negli Angelus a commento del vangelo del giorno
dopo; l’arte fa, invece, da “ouverture” alla trasmissione. Il grande storico dell’arte Timothy Verdon mostra e illustra tre capolavori della pittura legati ai temi e ai soggetti della messa del
giorno dopo, gli stessi messi in luce dal papa; la musica, a
coronamento del tutto. I Cantori Gregoriani diretti dal maestro
Fulvio Rampi fanno ascoltare il canto d’ingresso e il canto di
comunione del proprio di ciascuna domenica, in gregoriano
purissimo, con un commento del loro direttore che ne svela le
meraviglie musicali e liturgiche, in alcuni casi già anticipate dallo
stesso papa. Nota perfettamente intonata: la trasmissione non
dura più di mezz’ora. Si conferma il caso: piccolo è bello!
1° Concorso internazionale
di composizione corale
La prima edizione del Concorso Internazionale di Composizione
Corale organizzato da IFCM (Federazione Internazionale per la
Musica Corale) in collaborazione con ECA - Europa Cantat e JMI (Gioventù Musicale Internazionale) si è concluso con buoni risultati: 65 composizioni provenienti da quattro continenti sono
state sottoposte alla giuria composta dal tedesco Graham Lack
(presidente), dal finlandese Reijo Kekkonen, dall’australiano
Stephen Leek e dall’inglese Jonathan Rathbone. La giuria ha
nominato il vincitore e ha assegnato due menzioni speciali.
Opera vincitrice del primo premio: White, those that stayed still,
del compositore Matthew Van Brink (New York, Stati Uniti). Prima menzione speciale: At that hour, del compositore Tom Norman Harrold (Glasgow, Scotland, Regno Unito). Seconda menzione speciale: Drawing number one, del compositore Michael
Fili (Pittsburgh, Stati Uniti).
L’opera vincitrice sarà pubblicata da un editore musicale prestigioso mentre ICB (International Choral Bulletin) presenterà
un’intervista al compositore vincitore e presenterà un estratto
dell’opera allo scopo di promuovere il compositore e le sue
opere.
Per maggiori informazioni rivolgersi al direttore artistico del
concorso Andrea Angelini ([email protected]).
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IV Forum Mondiale della Musica
a Tallinn in Estonia
IMC (International Music Council) e EMC (European Music Council) hanno deciso
di combinare i loro sforzi e organizzare insieme il prossimo Forum Internazionale
della Musica. Esso avrà luogo a Tallinn (Estonia), dal 26 settembre al 2 ottobre
2011, in collaborazione con il Consiglio Estone per la Musica.
I consigli direttivi delle citate associazioni hanno deciso di unire le forze per fare
di questo il 4° Forum Mondiale del Consiglio Internazionale per la Musica un evento
davvero globale all’insegna della collaborazione.
All’interno di questo ricco e interessante programma del Forum, l’EMC terrà anche
il meeting annuale dei suoi associati. L’EMC si farà carico del primo giorno del
Forum, dedicandolo al tema “La musica è uno strumento per il cambiamento”.
La giornata culminerà nella presentazione del II Premio dell’IMC per i Diritti
Mu­­si­cali.
Maggiori informazioni sono reperibili in www.emc-imc.org e in www.imc-cim.org
Italia - Germania: cinque secoli
di musica sacra corale
È il titolo di un progetto internazionale che ha lo scopo di proporre e valorizzare
la musica polifonica sacra a cappella di stili e periodi differenti, sia a coro singolo
sia a doppio coro, appartenenti ai repertori propri delle due nazioni, Italia e Germania, che tanto hanno contribuito nella produzione musicale vocale europea di
questi secoli.
Nel prossimo mese di luglio, promotori e realizzatori del progetto nelle due rispettive città sono il Coro St. Maximilian di Monaco di Baviera e il Coro San Giorgio di
Acquate Lecco.
Protagonista sarà la musica corale a cappella sul tema appunto del rapporto Italia
e Germania in cinque secoli di musica sacra. Dei vari periodi storici considerati
(Rinascimento, Barocco, Classico, Romantico e dal Novecento ai giorni nostri) verranno eseguiti un brano di un autore italiano, un brano di un autore tedesco, un
brano di autori dell’una o dell’altra nazione che abbiano qualche elemento in comune, e siano previsti per cori contrapposti e a doppio coro. La realizzazione del
concerto di Monaco di Baviera vedrà la partecipazione diretta e ufficiale della
comunità italiana attraverso l’Istituto Italiano di Cultura e il Consolato Italiano. A Lecco i concerti avranno il supporto organizzativo dell’Associazione Harmonia
Gentium.
Non c’è dubbio che si tratti di un piccolo ma importante evento corale che nel
panorama culturale 2011 di Monaco di Baviera e di Lecco e, soprattutto, nel panorama corale europea si propone anche come esempio imitabile anche per molti
altri cori.
RUBRICHE
Festival corale per la pace mondiale
Dal 25 al 28 luglio 2011 ancora una volta Vienna sarà il palco
per eccellenza dei cori di ragazzi e giovani di tutto il mondo.
Sotto lo slogan “Riuniti per cantare; cantare per un futuro migliore” i giovani promuoveranno la pace mondiale. Cori di tutto
il mondo, assieme al Vienna Boys Choir, inaugureranno il Festival Corale per la Pace Mondiale confermando ancora una volta
che la musica è la lingua comune del nostro mondo. La musica
è la lingua che dà ai ragazzi di ogni età, provenienti da qualsiasi
parte del mondo, e con le preferenze musicali più diverse, l’opportunità di trovarsi insieme e collegarsi in modo davvero appassionato. Vienna, con la sua lunga tradizione musicale, fornisce ai giovani l’atmosfera giusta per celebrare momenti
indimenticabili. Durante il festival i giovani cantori si renderanno
conto di essere tutti uniti dalla passione per la musica e che la
musica aiuta a creare una migliore comprensione fra esponenti
di culture diverse.
Diretta emanazione del festival è il Coro della Pace Mondiale
(World Peace Choir), un progetto corale interculturale che mira
a unire e ispirare ragazzi e giovani di tutto il mondo attraverso
la bellezza e la gioia della musica. Non c’è nulla di più potente
che un gruppo di individui giovani e appassionati che alzano
la loro voce tutti insieme. Essendo parte del Festival Corale per
la Pace Mondiale esso fornisce esperienze valide e ricordi memorabili per ciascun partecipante.
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Brevissimamente…
Poi se interessa “ci torniamo su”
Il pubblico conta! In qualità di leader che si dedicano alla promozione delle attività corali, noi tutti – direttori, amministratori,
membri del consiglio direttivo, volontari e cantori – lavoriamo
senza risparmio di fatica per garantire l’eccellenza del prodotto
artistico.
Stiliamo programmi, facciamo prove, raccogliamo danaro, vendiamo biglietti, viaggiamo, mettiamo giù sedie e leggii così da
poter cantare. Sì, cantare! Ed essere ascoltati!
Senza le stupende persone del nostro pubblico non ci sarebbe
concerto! E allora gli ascoltatori (e non importa solo “quanti”)
sono essenziali al concerto quanto di esecutori. E non soltanto
perché comprano biglietti o danno contributi finanziari. Essi
respirano nel nostro suono, esalano il loro apprezzamento originando un dialogo che ci sostiene.
E allora è il caso di chiederci: Chi sono i nostri ascoltatori? Cosa
vogliono? Come stanno cambiando?
È un suggerimento, magari per un prossimo dossier di Choraliter.
E tu
sei pronTO
a cantare?
Stiamo preparando la XVIII edizione del prossimo
Festival Europa Cantat che avrà luogo dal 27 luglio
al 5 agosto 2012 per la prima volta in Italia, a Torino.
Il festival ospiterà partecipanti provenienti da tutto
il mondo e offrirà 40 atelier per cori, gruppi vocali,
singoli cantori di ogni livello, toccando tutti i generi
musicali. Verranno inoltre attivati appositi programmi
per direttori e compositori. Durante il festival, si
potrà assistere a oltre 100 concerti e numerosi eventi
musicali e culturali con ospiti di fama internazionale.
Al tramonto tutti i partecipanti e il pubblico di Torino
si riuniranno in piazza per cantare insieme nell’open
singing serale. In terra piemontese, le persone
vivranno 10 giorni di sorprendenti esperienze: musica,
arte, cultura, sapori e, ovviamente, incontri e nuove
amicizie! Le iscrizioni al festival apriranno nel mese
di giugno 2011. A breve saranno disponibili maggiori
informazioni sulle modalità di partecipazione e sul
programma artistico della manifestazione sul sito
www.ectorino2012.it.
Vi aspettiamo a Torino!
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n. 34 - gennaio-aprile 2011
Rivista quadrimestrale della FENIARCO
Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali
ALLA RICERCA
DI SONORITÀ
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Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – DL 353/2003 (conv. In L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 NE/PN
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Anno XII n. 34 - gennaio-aprile 2011
Rivista quadrimestrale della Fe.N.I.A.R.Co.
Federazione Nazionale Italiana
Associazioni Regionali Corali
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Presidente: Sante Fornasier
Direttore responsabile: Sandro Bergamo
Comitato di redazione: Efisio Blanc,
Walter Marzilli, Giorgio Morandi,
Puccio Pucci, Mauro Zuccante
Segretario di redazione: Pier Filippo Rendina
Hanno collaborato: Chiara Moro, Franca Floris,
Edy Mussatti, Nino Albarosa,
Leonardo Di Pierro, Davide Benetti,
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Michela Francescutto, Carlo Pavese,
Andrea Venturini, Gianni Bortoli
Redazione: via Altan 39
33078 San Vito al Tagliamento Pn
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In copertina: Festival di Primavera
(foto Renato Bianchini)
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ISSN 2035-4851
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