Revocatoria fallimentare - Studio Legale Associato Boccardi

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Oggetto: REVOCATORIA FALLIMENTARE – ORDINARIA E COMPRAVENDITA
IMMOBILIARE
Le maggiori problematiche connesse all’acquisto di un bene immobile di proprietà di una
società di capitali attengono alla possibile fallibilità della Società, in data successiva alla
perfezione del contratto di compravendita immobiliare e pertanto alla possibilità che la legge
concede al Curatore designato di avvalersi dell’isituto della revocatoria fallimentare che per
brevi tratti si descrive, al fine di far comprendere le ragioni per cui è opportuno muoversi con
estrema cautela. In ogni caso il contratto di compravendita, come tutti i contratti a titolo
oneroso soggiace, in linea di principio alla azione revocatoria ordinaria.
REVOCATORIA FALLIMENTARE: tra il manifestarsi dell’insolvenza (uno dei
presupposti per la dichiarazione di fallimento) e la dichiarazione di fallimento trascorre
normalmente un lasso di tempo durante il quale il debitore (sia esso imprenditore o società)
esegue pagamenti, stipula contratti o compie altre operazioni che incidono sul suo patrimonio.
La legge fallimentare considera tuttavia sospette alcune attività compiute nel periodo di tempo
che precede immediatamente la dichiarazione di fallimento, se esse impoveriscono il
patrimonio e se sono poste in essere con soggetti che conoscevano lo stato di crisi del
debitore. Si presume, infatti, che tali attività tendano a privilegiare alcuni creditori
pregiudicando, nella procedura fallimentare successivamente dichiarata, la parità di
trattamento tra i creditori stessi.
Nella maggioranza dei casi il curatore può ottenere la revocatoria degli atti esercitando
un’azione giudiziale che mira alla dichiarazione di inefficacia dell’atto.
Nei fatti una volta individuata un’operazione del debitore che potrebbe essere oggetto di
revocatoria, il curatore, prima di proporre l’azione giudiziale, deve verificare se l’operazione
in questione al momento in cui è stata compiuta aveva carattere “normale” o “anormale”, se è
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avvenuta in un periodo sospetto, se chi ha contrattato o chi è entrato comunque in rapporti col
fallito conosceva lo stato di insolvenza del debitore e se essa ha pregiudicato le ragioni dei
creditori.
In particolare la legge fallimentare, ai fini che ci occupano, distingue due categorie principali
di atti:
a) gli atti “anormali” sono quelli che per le loro caratteristiche sono palesemente
pregiudizievoli delle ragioni dei creditori tanto che il loro compimento costituisce un
sintomo della conoscenza dello stato di insolvenza da parte di chi se ne avvantaggia
(ad esempio vendite con prezzo sproporzionato). La loro anormalità comporta un
periodo sospetto più lungo (di regola un anno) e il vantaggio per il curatore di non
dover provare che la controparte conosceva lo stato di insolvenza;
b) gli atti “normali”, ossia la generalità dei contratti, dei pagamenti, degli atti a titolo
oneroso e degli atti costitutivi di garanzie posti in essere dal debitore prima del
fallimento che non sono caratterizzati da elementi di anormalità. Per essi il periodo
sospetto è di sei mesi e l’onere della prova del curatore è più accentuato.
Regole generali. Nel fallimento dell’imprenditore o della società, il periodo sospetto decorre a
ritroso dalla data di pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento, cioè dal deposito
in cancelleria del suo originale. Di regola il curatore, per accertare se un contratto è stato
concluso nel periodo sospetto prende come riferimento la data della sua stipulazione. Se il
contratto è concluso fuori dal periodo sospetto ma i pagamenti da esso nascenti sono compiuti
nel periodo sospetto, il curatore può chiedere la revocatoria dei singoli pagamenti ma non la
revocatoria del contratto.
Se il curatore intende chiedere la revocatoria degli atti posti in essere dal debitore e che
abbiamo definito come atti normali, deve provare l’esistenza di un presupposto soggettivo,
deve cioè provare che il convenuto che ha avuto rapporti con il debitore , conosceva lo stato di
insolvenza del debitore (scientia decotionis). Se invece il curatore agisce per la revocatoria di
un atto del debitore caratterizzato da elementi di anormalità non deve fornire alcuna prova di
tale elemento soggettivo in quanto la legge presume che il convenuto che si è avvantaggiato
dell’atto anormale sia stato a conoscenza dello stato di insolvenza del debitore poi fallito. Per i
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suddetti casi il convenuto può fornire la prova contraria, cioè dimostrare la sua ignoranza
dello stato d’insolvenza.
Dobbiamo prevedere le due ipotesi: 1) contratto che prevede prestazioni notevolmente
sproporzionate 2) contratto normale. Una volta valutata la disciplina prevista dalla legge, si
indicheranno le possibili strade da percorrere per limitare i rischi ipotizzati in astratto.
1) Contratto che prevede prestazioni notevolmente sproporzionate (art. 67 c. 1 n. 1 L. fall.). la
sproporzione deve esistere al momento in cui l’atto è compiuto o in cui il contratto è stato
concluso. Si deve invece quindi raffrontare il prezzo indicato nel contratto e valore del bene al
momento del rogito anche se il prezzo è stato pagato in anticipo. Il curatore deve provare la
notevole sproporzione tra le prestazioni. Tale prova può essere data con ogni mezzo, anche
mediante presunzioni. Il Curatore può chiedere al tribunale che sia disposta una consulenza
tecnica d’ufficio (CTU). E’ bene sottolineare che se il curatore si limita ad affermare
l’esistenza dello squilibrio, senza fornire alcun principio di prova della sproporzione, il
tribunale non può far luogo ad alcun accertamento tecnico per acquisire elementi di giudizio.
La legge chiarisce che le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal fallito sono
sproporzionate quando sorpassano di oltre ¼ (25%) ciò che al fallito è stato dato o promesso a
titolo di controprestazione (art. 67 c. 1 n. 1 L.fall).
2) Contratto normale (art. 67 c. 2 L. fall.). la legge esclude dalla revocatoria fallimentare i
contratti di vendita di immobili ad uso abitativo se ricorrono le seguenti due condizioni:
-
la vendita deve avvenire a giusto prezzo;
-
l’immobile dev’essere destinato a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o dei
suoi parenti o affini.
La prima condizione è stata agià affrontata (prestazione del fallito supera di ¼)
La seconda condizione fa espresso riferimento al concetto di “dimora abituale”, ossia la
permanenza in un determinato luogo ed alla espressa intenzione di abitarvi stabilmente. A tali
fini le risultanze anagrafiche hanno solo un valore presuntivo e per far cadere tale presunzione
il giudice può ammettere ogni mezzo di prova.
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REVOCATORIA ORDINARIA
Astrattamente il debitore può peggiorare la situazione dei creditori sociali ponendo in essere
atti che rendono più difficile il soddisfacimento dei diritti dei creditori.
Qualora il debitore dovesse compiere atti che diminuiscono il suo patrimonio fino a renderlo
insufficiente a garantire il soddisfacimento dei diritti di tutti i suoi creditori, ovvero dovesse
compiere atti che, pur non diminuendo il patrimonio, diminuiscano tuttavia la garanzia dei
creditori, a questi ultimi è concesso il rimedio dell’azione revocatoria.
Per l’esperimento dell’azione revocatoria si richiedono i seguenti presupposti (art. 2901 cod.
civ.):
(a) un atto di disposizione, ossia un atto con il quale il debitore modifica la sua situazione
patrimoniale, o trasferendo ad altri un diritto che gli appartiene, o assumendo un
obbligo nuovo verso terzi, o costituendo diritti a favore di altri sui suoi beni;
(b) l’eventus damni, ossia un pregiudizio per il creditore, consistente nel fatto che, come
conseguenza dell’atto di disposizione compiuto, il patrimonio del debitore divenga
insufficiente a soddisfare tutti i creditori, ovvero renda più difficile l’eventuale
soddisfacimento coattivo del credito;
(c) il consilium fraudis, ossia la conoscenza del pregiudizio che l’atto arreca alle ragioni
del creditore. Nel nostro caso, trattandosi di atto a titolo oneroso, poiché tanto il
creditore che il terzo acquirente cercano di evitare un danno, occorre, per la
proponibilità dell’azione, la partecipatio fraudis del terzo, ossia che il terzo sia
consapevole del pregiudizio che l’atto arreca al creditore. L’onere di provare la
consapevolezza dell’acquirente spetta a chi agisce in revocatoria.
La prescrizione dell’azione revocatoria è più breve di quella decennale ordinaria (e cioè
cinque anni dalla data dell’atto).
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