28 illustri toscani

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28 illustri toscani
28 illustri toscani
dal Medioevo all’Ottocento
Dossier
associazione culturale
Associazione Culturale
DOUbLe SHOt
Via Macia, 21
59015 - Carmignano (PO)
www.doubleshot.it
[email protected]
Presentazione del progetto
L’idea del progetto è quella di realizzare dei volumi a fumetti di 48 pagine, che raccontino la storia dei
personaggi raffigurati dalle statue presenti nelle nicchie dei pilastri del loggiato degli Uffizi a Firenze.
Una storia romanzata, modernizzata, resa piacevolmente fruibile e interessante a nuove generazioni
di lettori.
I 28 personaggi di cui realizzeremo questa particolare “biografia” e che compongono la collana sono:
GIOTTO
MICHELANGELO
DANTE ALIGHIERI
GIOVANNI BOCCACCIO
NICCOLÒ MACHIAVELLI
AMERIGO VESPUCCI
FRANCESCO FERRUCCI
GALILEO GALILEI
GIOVANNI DELLE BANDE NERE
LEONARDO DA VINCI
FARINATA DEGLI UBERTI
COSIMO DE’ MEDICI
LORENZO DE’ MEDICI
ANDREA ORCAGNA
NICOLA PISANO
DONATELLO
LEON BATTISTA ALBERTI
FRANCESCO PETRARCA
FRANCESCO GUICCIARDINI
PIER CAPPONI
PIER ANTONIO MICHELI
FRANCESCO REDI
PAOLO MASCAGNI
ANDREA CESALPINO
SANT’ANTONINO PIEROZZI
ACCURSIO
GUIDO ARETINO
BENVENUTO CELLINI
L’obiettivo di questa collana è, appunto, quello di far appassionare alla storia degli illustri personaggi
toscani (dal Medio Evo all’Ottocento), stimolando i lettori ad approfondire la loro conoscenza.
Il fumetto quindi come strumento didattico per la divulgazione del sapere, che grazie all’immediatezza dell’immagine unita al contenuto scritto, riesce a fissare con maggior efficacia nozioni e storie,
anche nella memoria dei lettori più pigri. Se questo può sembrare direttamente destinato a bambini e
ragazzi, si allarga invece ai lettori più adulti appassionati del fumetto, o a semplici lettori adulti incuriositi dalla veste particolare che sarà data alla biografia di ogni personaggio.
Realizzare una biografia “moderna” dei personaggi succitati si può considerare semplice con alcuni dei
nomi coinvolti, mentre altri hanno un profilo più basso e sono effettivamente poco conosciuti ai più, ma
parimenti degni di nota perché distinti nelle scienze e nelle arti.
Per lo stesso motivo, i lettori avranno più facilità a penetrare nella storia di alcuni dei personaggi, grazie
anche a una minima conoscenza di questi (moltissime persone conoscono Dante Alighieri, Giotto, Boccaccio, ma hanno difficoltà a sapere chi siano Accursio, Andrea Cisalpino o Sant’Antonino Pierozzi),
mentre sarà per loro l’occasione di conoscere cosa han fatto in vita i meno conosciuti.
Per accattivarsi una fetta di lettori che comprenda tutte le categorie di cui sopra, le storie saranno romanzate e arricchite di una componente fantastica che, però, non modificherà gli effettivi avvenimenti
storici che hanno coinvolto il personaggio.
Distribuzione
Il prodotto dovrà necessariamente trovare un canale distributivo che lo porti, oltre che nelle librerie di
varia e nelle fumetterie, all’interno dei bookshop museali, dove certo non sfigurerebbe accanto ai
gadget già presenti.
Questa presenza nelle librerie specializzate potrebbe considerarsi uno scatto di qualità per i soggetti
coinvolti nella sponsorizzazione o nel cofinanziamento del progetto, dato che il mercato che gira intorno ai beni culturali è da sempre considerato una nicchia di qualità.
Gli albi, di 48 pagine, saranno realizzati a colori, col formato di 21 x 28,5 cm.
Il formato è il medesimo degli Art Dossier di Giunti.
L’intenzione sarebbe quella di realizzarne tre versioni: in italiano, inglese e francese.
Questo, oltre ad aumentarne la penetrazione nel mercato museale, ci permette di avere già pronto
un progetto rivendibile all’estero, in paesi come la Francia (dove il media fumetto è molto stimato) e
l’Inghilterra, ma soprattutto gli Stati Uniti, dove c’è un vero e proprio amore per la storia e i paesaggi
toscani.
Nelle librerie dei musei, i volumi saranno posizionati in speciali espositori che possano contenere
tutte e 28 le uscite.
Nelle nostre intenzioni c’è pure quella di effettuare delle presentazioni in librerie e nelle scuole, con la
presenza degli autori.
Dossier di presentazione
28 illustri toscani
soggetti
Sceneggiature di 4 pagine
Giotto
Soggetto
Giotto e il suo cane attraversano una popolata Firenze all’alba di una giornata primaverile in direzione
del cantiere di Santa Croce.
Gli artisti della bottega di Giotto dormono nel cantiere, alcuni mangiano una frugale colazione, altri
dormono ancora.
Oggi è una giornata importante, perché realizzeranno la prima “Giornata” ad affresco della cappella
Bardi.
Giotto arrivato in cantiere verifica che l’ “arriccio” (prima preparazione del muro per poter affrescare) sia
asciutto, dà un ultimo sguardo alla sinopia e organizza i suoi per realizzare la prima “Giornata”.
Alcuni artisti della bottega tirano l’intonaco, altri preparano i colori con i leganti, altri macinano i pigmenti, altri forano i cartoni preparatori sotto l’occhio attento del maestro e del suo cane.
Giotto dipinge in una crescente frenesia prima che l’intonaco si asciughi.
Tutti osservano e collaborano con il maestro in religioso silenzio, mentre il cane si è accucciato ai piedi
del ponteggio.
Cantiere, notte.
Tutti dormono eccetto il cane, che bevendo dalla sua ciotola bagna il dipinto.
L’animale si rivolge quindi al dipinto, scusandosi: “Scusami, ti ho bagnato! Il mio padrone si arrabbierà...”
E il dipinto: “...non ti preoccupare sono dipinto ad affresco e il processo di carbonatazione è già avvenuto, quindi l’acqua non mi danneggia...”
Questa parte del racconto è disegnata a mezza tinta seppia con l’apparato prospettico giottesco.
Il cane e le figure dipinte raccontano i segreti della pittura ad affresco, la scelta dei soggetti e la vita
delle botteghe d’arte.
Il cane “Disegnato” entrerà nell’immagine degli affreschi.
Questa parte del racconto è realizzata ad affresco eccetto il cane che mantiene il solito stile.
L’alba si approssima dalle finestre della chiesa, Giotto sveglia il suo cane: “Ecco dove eri finito... sei
rimasto tutta la notte a vegliare il cantiere? Bravo cane, ti ho portato da mangiare.”
Il cane strizza l’occhio in camera.
Fine
Giotto
Sceneggiatura
-1.1
description
Piano d’ambiente.Firenze 1330 circa.Sono le ultime ore della notte.
La città vista dall’alto è ricca di case torri, cantieri dei nuovi palazzi, fumo e alberi di alto fusto.
Mettere in evidenza la chiesa di Santa Croce.
-1.2
description
Vista dal basso.
Giotto esce dal portone di casa, semiaperto.
Giotto ha lo sguardo altero e si guarda intorno, stringe tra le mani un rotolo di carte.
-1.3
description
Vista frontale, figura intera.
Giotto, poco fuori dai gradini di casa, guarda sorridente il suo cane, accuciato e
scodinzolante.
dialog
Giotto-mi stavi aspettando?
-1.4
description
Vista dall’alto, figura intera.
Giotto cammina , da sinistra verso destra, (visto da dietro) seguito dal suo cane poco più indietro,
che odora il piano stradale.
La strada è stretta-si vede un alto muro in pietra, che chiude verso il suolo con uno scalino dove è
possibile sedersi.
Dialog
Giotto-Oggi è il grande giorno, andiamo.
-2.1
description
Vista leggermente dal basso. Figura intera.
Dall’ interno di un arco, vediamo Giotto in silhouette che cammina, da sinistra verso destra,sul
limitare dell’arco il cane fà la punta.
Dietro i personaggi, s’intravede la città.palazzi, mura merlate, alberi e foschia.
-2.2
description
Vista leggermente dall’alto.Piano medio.
Giotto visto da dietro cammina verso il prospetto laterale di un nuovo palazzo cantierato (sulla parte
sinistra della vignetta) che insiste su una scalinata di marmo.
Davanti a Giotto il cane guarda il cantiere, da sopra gli scalini.
-2.3
description
Controcampo.
Vediamo il cane in primo piano che odora la base della scalinata.
Dietro il cantiere del nuovo palazzo.
-2.4
description
Primo piano.
Il cane guarda verso destra con sguardo interrogativo.
-2.5
description
Piano francese.
Vediamo il cane in primo piano a figura intera, leggermente dal basso in silhouette in posizione
“scodinzolante”.
In secondo piano Giotto frontale a figura intera, silhouette.
Nel fondo il battistero in luce minima.
Foschia.
dialogGiotto- andiamo, è tardi.
-3.1
description
Piano francese.Figura intera.
Vediamo Giotto che cammina assorto nella lettura , il cane lo procede (vediamo solo la parte
posteriore, il “resto” è uscito dalla vignetta.)
Dietro la città: abitazioni,alberi, foschia etc..
-3.2
Primo piano.
Giotto è assorto nella lettura.
-3.3
description
Piano americano/piano medio.Vista dal basso.
Vediamo Giotto con sguardo interrogativo.
Dietro la figura un bel muro di pietra, una torcia accesa illumina la scena.
dialogBAU BAU BAU-onomatopee invadono la vignetta.
-3.4
description
Piano francese.Silhouette, luce minima.
Vediamo Giotto, da dietro a figura intera, con mantello svolazzante, al suo fianco il cane accucciato
sul posteriore.
Un carretto, abitazioni e muri incorniciano i due personaggi.
Davanti a loro si “apre”, Piazza Santa Croce e la celebre chiesa.
-3.5
description
Piano medio.
Giotto accarezza ,sulla testa il cane.
DialogGiotto-è vero siamo arrivati, bravo.
NOTA: La quarta pagina è una prova di affresco con la prospettiva giottesca e i personaggi degli
affreschi della cappella Bardi di Santa Croce che interagiscono col cane
Dante Alighieri
Soggetto
Ci troviamo nell’universo narrativo creato da Dante per la sua Divina Commedia, in una sorta di Backstage di quello che è il set dell’entrata negli inferi.
Qui vediamo Dante, agghindato come lo ricordano i ritratti del Botticelli o del Doré, mentre ascolta i
consigli di un aiuto regista biondino che gli spiega cosa accadrà nella scena.
Il poeta incontrerà sulla scena Virgilio che, come è noto, lo accompagnerà fino alle porte del paradiso.
Sul set arriva dunque anche Virgilio, che saluta bonariamente l’amico.
Tutto è pronto per il ciak.
I due recitano la loro “parte” e, dopo i complimenti del regista (anche lui stranamente biondo come il
resto della troupe), vanno a sedersi sulle sedie a loro riservate, dietro una quinta piena di monitor e
attrezzature cinematografiche.
Davanti a domatori che rimettono in gabbia le fiere, comparse che aspettano il loro turno e fonici che
testano microfoni, i due cominciano a parlare dei vecchi tempi.
Virgilio esordisce chiedendo a Dante (che chiama Durante, che è il vero nome del poeta, poi sincopato
in Dante) di come abbia vissuto quel brutto fattaccio che è stato il suo esilio.
Di lì Dante, che fuori dal set parla un italiano moderno, inizia a parlare del suo passato politico e della
contrapposizione forte, in Firenze tra Guelfi e Ghibellini.
Virgilio fa di nuovo, idealmente, da guida al sommo poeta, chiedendogli successivamente del suo amore per Beatrice, dei suoi figli e delle sue opere.
Tutte queste domande e le risposte (in flashback) dell’Alighieri, sono intervallate dai vari ciak del film
dei diversi canti de LA COMEDIA.
Al termine delle riprese, tutti i personaggi del libro presenti sul set e le comparse, si allontanano dall’empireo, dove è stato girato l’ultimo ciak, tornando ognuno nel proprio girone, nella propria cornice o nel
proprio cielo, lasciando una troupe soddisfatta del lavoro a compiacersi e a rivelarsi, come gli angeli
che circondano Dio nell’Empireo.
Fine
Dante Alighieri
Sceneggiatura
Pag 1
Vignetta 1
Dante, di spalle, si addentra per la selva oscura, oltre la quale vediamo il colle, che rappresenta la
redenzione. È un Dante intimorito.
DIDA 1: Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.
Vignetta 2
Dante ha superato la selva e ha raggiunto la base del colle.
Vignetta 3
Dante guarda in alto, verso la cima del colle che è illuminato dal sole che sorge.
Vignetta 4
Adesso il poeta si volta in dietro, per osservare il bosco dal quale è uscito.
Vignetta 5
Dante riprende il cammino, iniziando la salita del colle.
Pagina 2
Vignetta 1
Davanti a Dante si para una “lonza leggiera”. La lonza, che dovrebbe essere qualcosa di simile a una
pantera, è snella (leggiera) e agile, dal pelo a macchie. Dante indietreggia davanti alla fiera.
Vignetta 2
Dante si allontana dalla Lonza, sullo sfondo, impaurito.
Vignetta 3
Il poeta si ferma. Lo vediamo di spalle al lettore, mentre un leone gli si fa incontro.
Vignetta 4
Lo sguardo del poeta è spaventato. È di quinta, sulla sinistra della vignetta, mentre sulla destra
vediamo una lupa.
Vignetta 5
Dante indietreggia davanti all’avanzare della lupa che, delle tre fiere è la più tremenda.
Vignetta 6
Dante cade a terra, mentre nell’ombra si vede la figura di Virgilio, immobile. Durante la caduta dante
perde il copricapo con l’alloro.
Pagina 3
Vignetta 1
Qui inizia il gioco dei dialoghi che saranno recitati dagli attori stessi.
Virgilio è ancora nell’ombra e l’inquadratura parte da dietro la testa di Dante, così da vedere la nuca
del poeta in primo piano, mentre in secondo vediamo l’altra silhouette.
DANTE: Miserere di me
DANTE 2 legato: qual che tu sii, od ombra od omo certo!
Vignetta 2
Mezzobusto di Virgilio, viso sorridente, che osserva verso il basso Dante caduto. Occhio che c’è
bisogno di molto spazio per il dialogo.
VIRGILIO: Non omo, omo già fui,
e li parenti miei furon lombardi,
mantoani per patrïa ambedui.
Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi,
e vissi a Roma sotto ‘l buono Augusto
nel tempo de li dèi falsi e bugiardi.
Poeta fui, e cantai di quel giusto
figliuol d’Anchise che venne di Troia,
poi che ‘l superbo Ilïón fu combusto.
Ma tu perché ritorni a tanta noia?
perché non sali il dilettoso monte
ch’è principio e cagion di tutta gioia?
Vignetta 3
Dante, con riverenza, si rivolge verso Virgilio, mentre cerca di rimettersi in piedi. Quindi per
aumentarne il senso di riverenza, lo farei con un ginocchio a terra e la mano sull’altro (tipo posa
cavalieresca).
DANTE: Or se’ tu quel Virgilio e quella fonte
che spandi di parlar sì largo fiume?
DANTE 2 legato: O de li altri poeti onore e lume,
vagliami ‘l lungo studio e ‘l grande amore
che m’ha fatto cercar lo tuo volume.
Tu se’ lo mio maestro e ‘l mio autore,
tu se’ solo colui da cu’ io tolsi
lo bello stilo che m’ha fatto onore.
Vedi la bestia per cu’ io mi volsi;
aiutami da lei, famoso saggio,
ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi.
Vignetta 4
Virgilio aiuta Dante ad alzarsi da terra. Magari prendendogli la mano e tirandolo verso sé, se non è
una cosa poco elegante.
VIRGILIO: A te convien tenere altro vïaggio
VIRGILIO 2 legato: se vuo’ campar d’esto loco selvaggio;
ché questa bestia, per la qual tu gride,
non lascia altrui passar per la sua via,
ma tanto lo ‘mpedisce che l’uccide;
e ha natura sì malvagia e ria,
che mai non empie la bramosa voglia,
e dopo ‘l pasto ha più fame che pria.
Vignetta 5
Virgilio sistema il vestito di Dante, dato che la caduta lo ha un po’ scombussolato, e continua a
parlare, mentre l’altro lo osserva.
VIRGILIO: Molti son li animali a cui s’ammoglia,
e più saranno ancora, infin che ‘l veltro
verrà, che la farà morir con doglia.
Questi non ciberà terra né peltro,
ma sapïenza, amore e virtute,
e sua nazion sarà tra feltro e feltro.
Vignetta 6
Virgilio si china per raccogliere il cappello del poeta.
VIRGILIO: Di quella umile Italia fia salute
per cui morì la vergine Cammilla,
Eurialo e Turno e Niso di ferute.
Questi la caccerà per ogne villa,
fin che l’avrà rimessa ne lo ‘nferno,
là onde ‘nvidia prima dipartilla.
Pagina 4
Vignetta 1
Virgilio da due colpetti al cappello impolverato, mentre Dante continua a sistemarsi l’abito.
VIRGILIO: Ond’ io per lo tuo me’ penso e discerno
che tu mi segui, e io sarò tua guida,
e trarrotti di qui per loco etterno;
ove udirai le disperate strida,
vedrai li antichi spiriti dolenti,
ch’a la seconda morte ciascun grida;
e vederai color che son contenti
nel foco, perché speran di venire
quando che sia a le beate genti.
Vignetta 2
Virgilio calza “forte” il cappello in testa a Dante. Di quest’ultimo si vede il volto un po’ “sofferente”…
VIRGILIO: A le quai poi se tu vorrai salire,
anima fia a ciò più di me degna:
con lei ti lascerò nel mio partire;
ché quello imperador che là sù regna,
perch’ i’ fu’ ribellante a la sua legge,
non vuol che ‘n sua città per me si vegna.
In tutte parti impera e quivi regge;
quivi è la sua città e l’alto seggio:
oh felice colui cu’ ivi elegge!
Vignetta 3
Dante si risistema anche il cappello in testa, calzatogli dal buon Virgilio in modo effettivamente
eccessivo e ridicolo.
DANTE: Poeta, io ti richeggio
per quello Dio che tu non conoscesti,
a ciò ch’io fugga questo male e peggio,
che tu mi meni là dov’ or dicesti,
sì ch’io veggia la porta di san Pietro
e color cui tu fai cotanto mesti.
Vignetta 4
Virgilio poggia la mano sulla spalla di Dante, quasi a invitarlo ad andare con lui. I due danno le spalle
al lettore.
Vignetta 5
I due si allontanano dirigendosi verso la porta dell’inferno.
DIDA: Allor si mosse, e io li tenni dietro.
Vignetta 6
I due si voltano, sorpresi, verso il margine destro della vignetta, da dove arriva una voce fuori campo.
REGISTA (FC): EEEEEE STOP! BUONA LA PRIMA!!!
DANTE: ?
VIRGILIO: !?
Vignetta 7
Primo piano del regista:
REGISTA: Bravissimi! Che recitazione, che disinvoltura!!
Amerigo Vespucci
Soggetto
Firenze, oggi.
Guido, Libero e Viviana sono tre giovani sceneggiatori teatrali che devono scrivere un
testo in tre atti su Amerigo Vespucci, ma non riescono a mettersi d’accordo sull’impostazione del progetto.
Seduti al tavolo di un caffè vicino a Piazza del Duomo, i ragazzi bisticciano sull’impronta da dare allo
spettacolo: ognuno ha un’idea ben precisa sull’identità del personaggio, condizionata dalle rispettive
fonti usate per documentarsi su di lui e nessuno ha intenzione di rinunciare alla propria.
Viviana vuole concentrarsi sull’infanzia e sulla prima parte della giovinezza dell’esploratore; la ragazza ritiene che il grande navigatore sia diventato tale grazie all’influenza del padre Nastagio (sempre
pronto a ricordare ai figli di perseguire “fama e onore”) e dei parenti vicini alla cerchia dei Medici: lo zio
e precettore Giorgio Antonio (studioso di Tolomeo e Strabone, fermamente convinto che l’Asia fosse
accessibile da una rotta occidentale), lo zio Guido Antonio (che lo portò con sé in Francia - in qualità di
ambasciatore - a soli vent’anni) e la bella cugina Simonetta, amante di Giuliano de’ Medici e modella
di Botticelli per “La nascita di Venere”. Secondo Viviana è stata la vicinanza di tante grandi personalità
a condizionare il destino di Amerigo e lei vuole che il primo atto narri questa parte della sua storia,
romanzando i pochi dettagli di cui siamo a conoscenza ed enfatizzando in particolar modo l’episodio
della Congiura dei Pazzi, evento che ha precluso alla famiglia di Vespucci (coinvolta nell’attentato a
causa del cugino Piero) l’amicizia di Lorenzo il Magnifico e l’aiuto di Giuliano (ucciso nell’agguato).
Libero non è affatto d’accordo: lui vuole porre l’accento su “Mundus Novus”, la discussa lettera attribuita da molti storici allo stesso Vespucci, dove l’avventuriero si descrive in modo del tutto positivo,
mostrando una smisurata fiducia nelle proprie capacità e un certo disprezzo per i metodi tradizionali
di pilotaggio, contrapposti alla superiorità della navigazione con gli strumenti (quadrante e astrolabio,
nell’uso dei quali eccelleva), raccontando i particolari di incontri improbabili (con mostri, amazzoni e giganti, sommati a un immaginario ripreso da Dante, Petrarca e Mandeville) e fornendo altrettanto poco
probabili ritratti di indigeni. Libero ritiene che sia necessario “forzare un po’ gli eventi” per stuzzicare
l’interesse del pubblico e cosa c’è di meglio di un’avventura spettacolare, con un eroe classico come
protagonista (probabilmente scritta proprio dall’uomo di cui si vuole narrare la storia) per raggiungere
questo scopo?
Guido è il più rigido dei tre. Lo studioso del gruppo ha ben quattro lauree, una delle quali in storia, e si
rifiuta di fornire un ritratto romantico di Vespucci. Il ragazzo vuole sottolineare i difetti e il lato più controverso del personaggio: l’opportunismo che gli ha consentito di mantenersi sempre a galla, l’abilità
nell’arte dell’arrangiarsi e di adattarsi (è stato protettore di prostitute, stregone ed è diventato cosmografo millantando abilità che non aveva), le bugie, le numerose scelte sbagliate e la capacità di sfruttare al meglio le amicizie importanti, per finire con il caso fortuito che ha dato il suo nome al continente
scoperto da Colombo.
I tre ritratti sono molto differenti tra loro e non molto equilibrati se presi singolarmente, ma tutti insieme
formano un quadro piuttosto convincente. È impossibile delineare con esattezza le varie sfaccettature
di un uomo, poiché tutti i punti di vista sono parziali; possiamo solo abbozzarne un ritratto di massima
grazie a ciò che sappiamo e a quello che immaginiamo. È questa la conclusione a cui arrivano i ragazzi, che in realtà non sono i tre sceneggiatori dello spettacolo, ma gli attori protagonisti. Allargando
la scena, ci rendiamo conto che la veduta del Duomo e il caffè sono elementi scenografici su un palco
di un teatro affollato. Sullo sfondo vediamo un pannello di cartapesta che riproduce l’ambientazione
dell’ultimo episodio narrato. Viviana, Libero e Guido raggiungono gli attori che hanno interpretato Vespucci nelle varie fasi della sua vita, mentre il pubblico applaude e i tecnici (dietro il sipario) cominciano
a portar via elementi che abbiamo già visto durante la narrazione dei tre ragazzi: lo spettacolo si è volto
proprio sotto i nostri occhi e a nostra insaputa.
Amerigo Vespucci
Sceneggiatura
1.1. Prima striscia. Guido, Viviana e Libero sono seduti a un tavolino all’esterno di un Caffè e alle loro
spalle ammiriamo un’amena veduta di Firenze che ci lascia intravedere anche la cupola del Duomo
(in realtà il paesaggio è soltanto una scenografia teatrale, ma per il momento è molto importante che
questo dettaglio non si comprenda). Viviana è la più battagliera di tutti: ha sbattuto un pugno sul tavolo,
guardando Guido in cagnesco e avvicinando il suo volto a quello del collega per gridargli più da vicino
la sua opinione. Da parte sua, Guido sembra molto tranquillo: alza appena gli occhi dalla sua rivista di
cinema (che tiene con una sola mano, mentre con l’altra si porta alle labbra una tazzina di caffè) per
gettare un’occhiata di sufficienza alla ragazza. Libero se ne sta timidamente in disparte cercando di
inserirsi nella conversazione, senza troppo successo.
VIVIANA
Assolutamente no! Non posso proprio permettertelo! Hai capito cosa ci
giochiamo con questa sceneggiatura o sei suonato come sembri?
LEGATO
Qui c’è in ballo la nostra carriera: questa pièce sarò il nostro biglietto da
visita per il futuro e io non ti lascerò trasformare un potenziale capolavoro in un fumettone soltanto
perché sei drogato di action movie!
GUIDO
Mischiare francese, inglese e italiano è una tua scelta spontanea o sei
affetta da una forma di afasia ancora ignota agli specialisti!?
LIBERO
Ehm... se posso esprimere il mio parere... bhé, a me piacciono
molto i fumetti; ho appena letto una serie che si muoveva su tre livelli di narrazione che...
1.2. Nuova striscia (3 vignette). Viviana si volta verso Libero, fulminandolo con lo sguardo; da come
gli si rivolge sembra che voglia sbranarlo vivo. Il ragazzo alza le mani in segno di resa (portandole
all’altezza del petto con i palmi rivolti all’esterno), affrettandosi a dare manforte alla collega.
VIVIANA
Non ti ci mettere anche tu con i tuoi gusti da nerd, Libero... Vatti a fare una
partitina alla Play Station se hai tanta voglia di divagare!
LIBERO
No, no!!! Non mi hai fatto finire! Volevo dire che... ehm... anche se mi
piacciono non sono certo adatti a ispirare un’opera teatrale... Sono completamente d’accordo con te.
1.3. Inquadratura su Viviana; impettita e inorgoglita dalla risposta di Libero. La ragazza tiene le mani
strette a pugno sui fianchi e si rivolge altezzosa a Guido.
VIVIANA
Visto, Guido!? Basta avere un po’ di buon senso per arrivarci: noi qui
facciamo arte, non mero intrattenimento per ragazzini!
1.4. Inquadratura su Guido che ha posato la tazzina sul tavolo e che non ha ancora tolto gli occhi
dalla sua rivista.
GUIDO
Libero ti darebbe ragione anche se tu dicessi che dobbiamo trasformare
Vespucci in donna per rivisitare in chiave femminista la storia... Ha una cotta per te, quindi non conta!
1.5. Nuova striscia (2 vignette). Viviana si scaglia contro Guido, sempre più combattiva. Il ragazzo,
invece, mantiene la sua calma flemmatica, abbassando la rivista, rispondendole a tono e sostenendo
il suo sguardo.
VIVIANA
Cosa vorresti insinuare!? Stai forse dicendo che le mie idee sono
talmente scarse che per sostenerle bisogna essere di parte!?
GUIDO
No, lo hai detto tu. In verità penso solo che la tua eccessiva smania
di elevare il teatro al di sopra delle altre arti renda sempre tutto un po’ troppo... noioso...
1.6. Libero, sempre in disparte, è arrossito ma, nonostante l’imbarazzo procuratogli dal commento
del collega, prova a mediare. Il ragazzo mostra tre dita agli altri per sottolineare il fatto che potrebbero
occuparsi di un atto ciascuno.
LIBERO
Ehm... scusate ragazzi, è solo una proposta, ma... gli atti sono tre e
noi pure... e se ne scrivessimo uno ciascuno?
1.7. Nuova striscia (3 vignette). Stavolta Viviana si scaglia contro Libero, che indietreggia intimorito.
VIVIANO
un volgare miscuglio stilistico!!!
LIBERO
NON SE NE PARLA! Voglio realizzare un’opera omogenea io, non
Io... ehm... io dicevo così per dire!
1.8. Vediamo Viviana frontale (in primo piano), che si gira leggermente per ascoltare Guido. Il
ragazzo, ha finalmente distolto del tutto l’attenzione dalla sua rivista e sembra interessato per la prima
volta alla conversazione.
GUIDO Aspetta un attimo, Viviana... Forse Libero ci ha dato la chiave per
risolvere le nostre divergenze e appagare il tuo smisurato ego!
LEGATO punti di forza di ognuna...
Esponiamo le nostre versioni a turno; solo così potremo valutare i
1.9. Inquadratura su Viviana; la ragazza è già persa nei suoi pensieri e sta sorridendo.
VIVIANA comincio io!
Mmm... l’idea non mi dispiace... Prima le signore, giusto!? Allora
TAVOLA 2
2.1. Striscia. Vediamo una nave pirata in balia delle onde: il mare è in tempesta, ma l’impavido
capitano (un improbabile Vespucci bambino) sta tenendo un discorso per rincuorare i suoi uomini.
L’imbarcazione si sta dirigendo verso un altro piccolo gruppo di navi. Questo sfondo (come tutti quelli
che vedremo in seguito) è una scenografia mobile: prima di scrivere ho riguardato questo video e quest’altro
(il risultato deve essere meno marcato, naturalmente).
DIDA 1 (VIVIANA FC)
Immaginate un Vespucci bambino al comando di una nave
pirata: è già un grande affabulatore e le sue spiccate doti di leader sono ben evidenti...
DIDA 2 (GUIDO FC)
Perché bambino!? Nella prima parte della sua vita non si è
mai dedicato alla navigazione, dovresti saperlo... E poi cosa c’entrano i pirati!?
DIDA 3 (VIVIANA FC) Zitto e ascolta! È una metafora sulla sua personalità
che rimanda a un episodio importante della sua vita...
VESPUCCI Non saranno le onde a fermare la nostra avanzata,
né i mostri marini, né gli avversari che tenteranno di osteggiarci; niente mi impedirà di condurvi alla
conquista dei sette mari, miei prodi!
PIRATA
Ma capitano... Stiamo andando dritti dritti verso quelle
navi alla fonda! Se ci fossero ostili ci massacrerebbero...
2.2. Nuova striscia (2 vignette). Qui vediamo il piccolo Vespucci che sguaina il suo spadino per
minacciare il sottoposto.
VESPUCCI
Osi forse mettere in discussione i miei ordini!? Sappi
che non mi tiro mai indietro di fronte al pericolo, com’è vero che mi chiamo Amerigo!
2.3. Vediamo Vespucci in posa baldanzosa, a prua della nave (con un piede poggiato sulla punta)
che incita i suoi uomini ad andare avanti, indicando l’orizzonte col suo spadino.
VESPUCCI
A tutta dritta, miei prodi! Issare le vele!
2.4. Striscia. Vignetta grande che occupa lo spazio di due strisce in altezza (le due vignette seguenti
si trovano una sopra l’altra accanto a questa o, se preferisci, puoi disegnarle come inserti all’interno di
questa scena). Il vascello si avvicina inesorabilmente alle altre navi, intravediamo alcuni uomini degli
equipaggi avversari, rannicchiati vicino ai cannoni per non mostrarsi.
DIDA (GUIDO FC)
durante una tempesta...
Mmm... Non so quanto possa convenire issare le vele
DIDA (VIVIANA FC)
realistica!
Ma quanto rompi... Non deve mica essere una scena
VESPUCCI
tutti ci temono!
Come vedete nessuno ha intenzione di ostacolarci:
MARINAIO (su una nave avversaria)
Arriva! Tutto come previsto!
2.5. Questa vignetta si trova accanto (o all’interno, se hai preferito l’altra opzione) alla vignetta
precedente e sopra alla successiva. Zoom su uno degli uomini nascosti, che ha appena acceso la
miccia del cannone.
MARINAIO
Eccovi serviti, pirati da strapazzo!
2.6. Sotto la vignetta precedente. Dettaglio del cannone che spara.
ONOMATOPEA
BOOOUUMMM!!!
TAVOLA 3
3.1. Prima striscia. Vediamo parte del profilo dell’imbarcazione. Il colpo di cannone colpisce la
fiancata della nave in pieno: uno dei pirati si sporge per osservare il danno e dalla sua espressione
intuiamo il suo terrore. Sul ponte tutti cominciano a correre all’impazzata, disorientati, mentre Vespucci
bambino getta un’occhiata distratta alle sue spalle con un sorriso sibillino stampato sulle labbra.
PIRATA 1 Oh, no! Siamo spacciati, capitano!
PIRATA 2
Ci hanno colpiti, ci hanno colpiti!
PIRATA 3
Capitano! Quali sono i vostri ordini!?
3.2. Nuova striscia (2 vignette, la seconda più grande). Inquadratura frontale sul ponte, che si è
inclinato di parecchi gradi, sotto un secondo colpo di cannone. Vespucci si è aggrappato per non
cadere (ma sembra stranamente tranquillo), mentre alcuni dei suoi uomini stanno rotolando in mare:
un pirata che è riuscito a trovare un appiglio si rivolge esasperato al capitano (non si tratta di una scena
drammatica; è piuttosto grottesca).
ONOMATOPEA
BOOUUMM!!!
PIRATA
Ma capitano... ci avevate assicurato che non c’era pericolo!!!
VESPUCCI
Ho mentito...
3.3. Inquadratura sulla presunta nave nemica, che ha affiancato quella di Vespucci. Un uomo, non
senza difficoltà, visto il tempo avverso, sta fissando un ponticello di aggancio fra i due ponti e si
rivolge a Vespucci, mentre un altro marinaio, sullo sfondo, sta issando una bandiera. I pirati superstiti
osservano la scena increduli.
MARINAIO
Sbrigati Amerigo o affonderai assieme a questa feccia!
3.4. Le prossime due vignette si trovano una sopra l’altra, accanto alla 3.6. che occupa lo spazio di
due strisce in altezza. Qui vediamo uno dei pirati, ancora aggrappato al suo appiglio per non cadere;
indica incredulo un punto in alto, che non vediamo.
PIRATA
Guardate la bandiera! Non posso crederci...
3.5. Inquadratura sulla cima dell’albero. Una vedetta guarda orgogliosa la bandiera che sventola
sotto di lui. Sul drappo c’è questo simbolo.
PIRATA FC
traditi!
Festina Lente... Non sono altri pirati! È la flotta medicea!!! Il capitano ci ha
3.6. Vignetta alta. Allontana l’inquadratura per mostrare una buona fetta della “flotta medicea” (si
tratta di un grossolano anacronismo compiuto da Viviana, che verrà criticato da Guido nella tavola
successiva). Vespucci è salito a bordo, ma si è voltato per salutare i malcapitati pirati. Sullo sfondo,
un’onda parecchio alta si sta avvicinando.
VESPUCCI
Non esiste inganno quando si persegue la giustizia!
MARINAIO
Davvero un coraggio ammirevole Amerigo... La Signoria la ricompenserà
generosamente per i suoi servigi...
TAVOLA 4
4.1. Prima striscia (2 vignette, la seconda più grande). Amerigo viene travolto dall’ondata.
ONOMATOPEA
SCIAAAFFF!!!
4.2. Stacco. Allargando l’inquadratura ci rendiamo conto che il piccolo Vespucci non si trova in mare,
bensì in una modesta stanza della sua abitazione. È immerso in una tinozza (intravediamo una barchetta
di legno che galleggia in acqua, ma la vedremo meglio in seguito). È stata la madre a versargli l’acqua
in testa: la donna è in piedi accanto a lui, tiene ancora il secchio reclinato (ormai vuoto) e osserva il
figlio con dolcezza. Il bambino strizza gli occhi, pieno di disappunto.
VESPUCCI
Dovevate interrompermi proprio adesso, madre!? Avevo compiuto la mia
missione e i miei alleati mi stavano celebrando...
MADRE
Ancora questi discorsi sulla fama e sull’onore? Nastagio ti soffoca
troppo con le sue manie di grandezza... Da parte mia, vorrei solo che tu prestassi più attenzione alle
lezioni di Giorgio Antonio...
4.3. Nuova striscia (2 vignette). Inquadratura angolata dall’alto. Il piccolo Vespucci guarda con occhi
attenti e vispi la madre (che parla fuori campo). Nell’acqua galleggia la barchetta con cui stava giocando
(una versione in miniatura di quella della sua fantasticheria).
MADRE
...tuo zio può insegnarti molto e aiutarti a guadagnarti una buona
posizione nel mondo: una solida cultura è il primo passo passo per diventare un uomo rispettabile...
VESPUCCI
...e anche famoso: lui conosce tutte le persone che contano!
4.4. La madre si china amorevolmente sul figlio, scompigliandogli i capelli.
MADRE
ti riserva grandi sorprese!
E anche famoso, mio piccolo avventuriero! Sono sicura che il futuro
4.5. Striscia. Stacco. Torniamo al Caffè dove sono seduti i nostri amici. Una cameriera sta posando
un’invitante fetta di torta davanti a Viviana, che per adesso non presta attenzione al dolce, ma si
rivolge ansiosa ai due colleghi; Libero la guarda sognante, mentre Guido la osserva scettico, a braccia
incrociate.
VIVIANA
Allora!? Cosa ve ne pare?
GUIDO
A parte il fatto che la flotta a cui ti riferisci è quella del duca
Cosimo I e che Vespucci non poteva conoscerlo, visto che è nato circa sessant’anni dopo di lui... Non
mi fa simpatia un bambino che sogna di vendere i suoi compagni in cambio di “fama e onore”!
LIBERO Sei proprio pignolo, Guido... Pensa invece all’idillio tra madre
e figlio: non trovi che sia un’immagine efficace e commovente?
4.6. Ultima striscia (3 vignette). Viviana, irritata dall’atteggiamento del collega, ha un’espressione
stizzita e infilza con la forchetta un pezzettino di torta, mentre Guido la fissa sempre più scettico.
VIVIANA
Non è la veridicità storica che rende avvincente un racconto, ma il
sentimento! Potrei citarti mille esempi che sostengono la mia tesi...
GUIDO
disprezzi tanto...
Certo anch’io... sono quasi tutti film o libri di genere, quei “fumettoni” che
4.7. Vediamo Viviana di profilo, altezzosa; la ragazza ignora completamente il commento di Guido e
alza la forchetta dal piatto. In secondo piano, Libero la osserva adorante.
VIVIANA
...e comunque questa fantasia controversa del piccolo Vespucci ha un
doppio scopo nella narrazione: sottolineare la sua attitudine a scegliersi sempre le amicizie giuste e
introdurre l’ossessione per la fama e per l’onore inculcatagli dal padre ...
4.8. Inquadratura su Viviana. La ragazza giocherella con la forchetta, senza mai portarsela alle labbra
e il suo sguardo è ispirato.
VIVIANA
...voglio tracciare un ritratto di Amerigo attraverso le persone che lo
hanno influenzato nell’infanzia: aspettate a sentire il resto, prima di giudicare!
Galileo Galilei
Soggetto
Firenze, Arcetri.
Sono gli ultimi giorni di Vita di Galileo. Vive in una condizione da arresti domiciliari dopo la condanna
della Santa Inquisizione. Gli è stato concesso dopo l’aggravarsi delle sue condizioni di salute di avere
il conforto e l’aiuto di due suoi allievi Viviani e Torricelli. Galileo è cieco, niente di peggiore per un uomo
che ha fatto della osservazione della realtà la sua ragione di vita. L’idea è quella di presentare Galileo
non come uno dei più grandi scienziati mai esistiti, ma di far venire fuori l’uomo, con le sue paure e i suoi
rimorsi. Inseriremo, per raccontare il passato (anche qui vogliamo concentrarci sulla sua vita privata, i
suoi numerosi figli, il rapporto che aveva con loro, il periodo Padovano nel quale andava a donne con
la toga del professore ancora addosso, per citare solo alcuni aspetti), tre “fantasmi” con i quali lui avrà
scambi accesi, impetuosi: Salviati, Sagreto e Simplicio. Sono i personaggi che Galileo usa per “Dialogo
sopra i massimi sistemi del mondo”. L’idea è quella di umanizzare il personaggio storico conosciuto da
tutti, vorremmo ad esempio concentrarci sulle scoperte minori di Galileo: l’intuizione su come calcolare
la velocità della luce é sua per esempio, per quanto poi ridicola fosse la messa in opera. Aveva fatto
mettere un suo amico su un colle vicino con una lanterna e gli aveva detto che appena avesse visto
Galileo illuminare la sua postazione, avrebbe dovuto repentinamente alzare
la torcia. Aveva intuito il metodo senza avere i mezzi tecnologici a disposizione. Concentrandoci sugli
aspetti della vita di Galileo meno noti, risulta chiaro che è stato uno dei più grandi scienziati mai esistiti,
ma anche un folle, un uomo dalla vita tormentata. Ed è questo quello che ci interessa, e che narrativamente può diventare davvero interessante raccontare.
Fine
Galileo Galilei
Sceneggiatura
Page 1
Panel
Le Stelle
Description
Dialog
1.1
8 gennaio 1642. Arcetri,
colli fiorentini. Ci troviamo
nella casa dove Galielo
sta passando le sue ultime
ore. Ad accudirlo Viviani
e Torricelli, due discepoli
del Fisico. Galielo è ormai
cieco. Nella prima vignetta la
volta celeste, un cielo senza
nuvole.
Caption: Vorrei, solo per un
attimo, potervi rivedere.
1.2
Vediamo Galielo alla finestra.
Visuale da dietro alle spalle.
La faccia rivolta verso
l’alto. La luce della luna
illumina la sua figura.
Caption: Che sia questa la tua
ultima punizione, Signore? O la
prova che esisti solo nella mente
dell’uomo?
1.3
Primo piano di Galielo. Gli
occhi fissi nel vuoto.
Caption: Come vedi, non ho ancora
capito niente. Continuo a farmi
domande. Anche ora. Ora che
dovrei supplicarti di esaudire
il mio ultimo desiderio. E allora,
forse, è la mia natura ad essere
demoniaca. Forse merito questa
punizione.
1.4
Siamo fuori dalla finestra.
Galielo in piano americano.
Dietro di lui si apre la
porta della stanza. Ancora
non vediamo chi sta entrando.
Caption: So che non ti piacciono
i "forse" che riempiono i miei
pensieri. Sono dubbi. Dubbi che,
per come la Chiesa parla di te,
non devono esistere. Ma vorrei
chiederti...
1.5
Nella stanza entra Viviani. Ha
un pasto caldo per Galielo.
VIVIANI
Maestro? (preoccupato)
1.6
Galielo girato verso Viviani.
La posa è di un uomo vecchio,
malato.
VIVIANI
Cosa sta facendo alla finestra?
1.7
Galileo appoggiandosi
malamente alla sedia cerca di
sedersi. Viviani ha la faccia
rassegnata per le condizioni
del Maestro.
GALILEO
Guardo le stelle!
Page 2
Panel
2.1
2.2
La cena
Description
Dialog
Galielo sta ancora armeggiando
con la sedia. Viviani vicino
cerca di aiutarlo a sedersi.
VIVIANI
Aspetti, posso aiut...
Galielo si siede con un grande
sforzo. Viviani davanti a
lui poggia il piatto sopra
la scrivania.
VIVIANI
Come sono stasera?
GALILEO
Faccio solo.
GALILEO
Di cosa stai parlando?
VIVIANI
Le stelle, Maestro. Le stelle.
GALILEO
Mai visto in cielo così sereno in
vita mia.
2.3
Galielo inizia mangiare,
Viviani alla finestra guarda
la volta celeste.
GALILEO
Se solo avessi la mente così
limpida.
VIVIANI
Qualche cosa non va?
GALILEO
Sei ubriaco, Viviani? Sei
stato avvelenato? O forse la
vecchiaia ti sta trascinando nella
stupidità?
2.4
Galileo si alza dalla sedia
schiacciando la mano sul
mangiare.
GALILEO
Dovrei essere io il cieco qui
dentro, ma sembri l’unico a non
riuscire a vedere le cose come
stanno.
VIVIANI
Maestro, si calmi. Non volevo...
Page 2
Panel
2.5
La cena
Description
Galileo inizia ad agitarsi.
Dialog
GALIELO
Avrai mai il coraggio di
comprendere la mia condizione?
Mi chiedi se qualcosa non
va? Ho basato la mia vita
sull’osservazione e il nostro
buon Dio mi ha chiuso gli
occhi. Avrebbe fatto meglio a
strapparmeli via invece che
lasciarmeli, morti, incastonati
nel cranio.
VIVIANI
Maestro, la prego...
2.6
Galielo continua in mezzo alla
stanza.
GALILEO
I miei occhi ciechi sono le lapidi
della mia vita passata. Sono
ridotto a stupidi giochetti, anche
con te e Torricelli, che siete
stati così devoti e premurosi nei
miei confronti.
2.7
Si avvicina a Viviani.
GALILEO
Cosa vuoi che ne sappia del cielo
di stanotte! Ho sentito il vento
dai monti soffiare tutto il
giorno. E’ arrivato il freddo
ho immaginato una volta celeste
limpida. Ma non ho visto niente.
Ho pensato.
Page 3
Panel
Il pianto di Viviani
Description
Dialog
3.1
Galileo frana addosso a
Viviani in un abbraccio goffo.
GALILEO
Sono stanco di pensare. Guarda
dove mi ha portato il pensiero.
A morire relegato in questa
casa come un traditore. E ora
che vorrei liberarmene non
posso. Dentro le tenebre che
mi accompagnano è l’unica luce
possibile.
3.2
Primo piano sulle facce di
Viviani e Galileo vicinissime.
Viviani si commuove.
3.3
Galileo abbraccia Viviani
GALILEO
Cosa fai? Ti commuovi? Sono solo
un vecchio scorbutico.
3.4
Galileo prende sottobraccio
Viviani. Accenna un sorriso.
GALILEO
Riportami alla tavola. Mi è venuta
fame.
3.5
Viviani aiuta nuovamente
Galileo a sedersi.
GALILEO
C’è una cosa che potresti fare per
me stasera.
VIVIANI
Qualsiasi cosa.
3.6
Galileo prende dei soldi da
una ciotola sulla scrivania.
La faccia vispa e ridente.
GALILEO
Esci, recupera una bella donna,
che abbia un seno generoso ed
formoso culo di marmo. Pagala
bene. Passa con lei tutta la
notte cercando di non fare brutte
figure. Io non ne ho mai fatte.
Page 3
Panel
3.7
Il pianto di Viviani
Description
Galileo allunga i soldi a
Viviani.
Dialog
GALILEO
Quando avrai finito torna qui, e
raccontami tutto.
VIVIANI
Per far questo dovrei lasciarla da
solo. Non mi sembra il caso...
GALILEO
Questi ti faranno comodo. Se
proprio non vuoi lasciarmi solo
va a chiamare Torricelli.
3.8
3.9
Primo piano di Galileo
che prende in mano un
cannocchiale. Sorriso
beffardo.
GALILEO
Ti terrò d’occhio a distanza
Viviani, non mi deludere.
Visuale da dentro il
cannocchiale. Percepiamo una
figura nel nero pece.
GALILEO
Buona serata. (voce fuori campo)
VIVIANI
Ma, Mestro...
Page 4
Panel
4.1
Cannocchiale su Gamba
Description
Dialog
Visuale dentro un
cannocchiale. L’ingrandimento
di un culo di donna.
Caption: Padova, Luglio 1609.
Vediamo la stanza di Galileo
e Marina Gamba. Lei distante
da lui si sta cambiando. Lui
sdraiato sul letto con il
cannocchiale.
MARINA
La vuoi finire? Da ore mi punti
addosso quell’inutile giocattolo
olandese. Mi hai stufato.
4.3
Siamo di nuovo dentro il
cannocchiale. Vediamo un seno
prosperoso.
GALILEO
E’ uno strumento destinato a
cambiare il modo di osservare il
mondo per sempre.
4.4
Marina leva il cannocchiale
dalle mani di Galileo.
MARINA
In questi momenti maledico il
giorno in cui hai deciso di venire
a Padova.
4.2
GALILEO
Girati Marina. (voce fuori campo)
GALILEO
Ti sbagli. Questo giocattolo, come
lo chiami tu, l’ho costruito io.
GALILEO
Non avrei potuto fare altrimenti,
lo sai bene. E’ qui che si ha la
massima libertà di studio. L’unica
università d’Italia che è nata
dagli studiosi stessi e...
4.5
Marina spinge Galileo giù dal
letto, ridendo.
MARINA
... non risente delle pressioni
della Chiesa. Ti ripeti sempre.
Stai perdendo colpi Professore.
4.6
Le braccia di Galileo attorno
ai fianchi di Marina fanno
cadere anche lei giù.
GALILEO
Maledetta...
4.7
Marina casca sopra Galileo.
I due volti ravvicinati. Si
guardano fissi senza dirsi
niente. Innamorati.
Cosimo de’ Medici
Soggetto
Chi era questo grande comunicatore e statista?
Come seppe attirare su di sé i favori del popolo?
E come contrastò l’ascesa al potere dei suoi avversari?
Un viaggio per ripercorrere le origini di questo personaggio che rese Firenze lo splendore del mondo …
e quale modo migliore per raccontare le sue gesta se non attraverso gli occhi dell’ eterno rivale Rinaldo
degli Albizzi?
In una Firenze governata dalla corruzione e dall’avidità, le famiglie più ricche e influenti sono pronte a
pianificare l’eliminazione di questo scaltro rivale.
Ma per Rinaldo non è sufficiente la morte: egli vuol strappare tutto al suo giurato nemico, anche la
dignità.
Ed è così che con un machiavellico piano corromperà le più alte cariche della città, eleggerà un nuovo gonfaloniere e porterà il rivale all’esilio … ma tutto questo sarà solo il principio di una lunga strada
verso la vendetta …
Questa è la storia di Cosimo dei Medici conosciuto anche come “Cosimo il Vecchio”, della sua
caduta e della sua rivincita.
“Rinaldo pensi di avermi sconfitto … ma così facendo mi hai solo reso più forte.
E sia!… che questa guerra abbia inizio.
Firenze dovrà essere più splendida che mai … e se per far questo dovrò sconfiggerli tutti … allora
ucciderò tutti.”
Fine
Cosimo de’ Medici
Sceneggiatura
Tav 1
vign. 1-veduta di torre strozzi e di uno scorcio di firenze:
Didascalia: Torre Strozzi, Firenze 1433.
Rinaldo (fuori campo): Questa cosa deve finire. Ora che Niccolò Uzzano è fuori dai giochi…
vign.2-Rinaldo e Luca degli Albizzi discorrono con Palla Strozzi in un salone della torre,Luca dei tre è
quello più in disparte e non partecipa alla discussione.
Palla: (lo interrompe) …fatti amico il popolo e gli affari andranno bene… fatti amica la chiesa e sarai
invincibile…
Rinaldo: Sto andando al cuore del problema…
Palla: Non puoi ucciderli tutti, Rinaldo!
Vign.3- primo piano Rinaldo;
Rinaldo: Lo vuoi morto quanto me, solo che non lo sai.
Vign.4- I due seduti (Palla e Rinaldo)con i calici in mano, si guardano l’un con l’altro:
Palla: Io voglio la libertas fiorentina. Ci deve essere un altro modo, un modo…
Rinaldo: ... (accavallandosi) “Diplomatico”? Se tuo padre fosse qui riuscirebbe a contrastare l’ascesa
dei Medici in modo diplomatico,..
Vign.5-Primo piano Rinaldo:
Rinaldo: ..ma tu NON sei tuo padre…
vign6-Palla strozzi in piedi e Rinaldo che l’osserva seduto,col calice in mano.
Palla: Potremmo trovare un accordo con Cosimo...
Tav 2
Vign.1- Rinaldo che sgrana gli occhi e stringe il calice in mano con forza.
Rinaldo: E diventare un suo tirapiedi? Accomodati, se vuoi.
Vign.2-Rinaldo si rivolge a suo fratello Luca che sta guardando fuori dalla finestra:
Rinaldo: Luca! Non avvicinarti alla finestra! Te l’ho detto mille volte...
Vign.3- Inquadratura dall’esterno della finestra,La testa di Luca fa capolino dietro il vetro del
finestrone.
Vign.4- Scorcio dei vicoli di Firenze,Sullo sfondo la torre Strozzi.
Rinaldo fuori campo: Ci sono occhi dappertutto…
Vign.5-Luca obbedisce a sguardo basso.si discosta dalla finestra e appoggia le spalle al muro con le
braccia conserte. Rinaldo beve.Silenzio..
Vign.6-Palla Strozzi scruta in silenzio Rinaldo che è intento ad assaporare il suo vino..
Vign.7-Palla Strozzi si gira verso il finestrone,dando le spalle a Rinaldo,spezzando il silenzio con un
sospiro:
Palla: Questa conversazione sta prendendo una piega che non mi piace. Conosco questo tono.
Significa che hai già in mente qualcosa. Và al punto. Ti ascolto.
Tav 3Vign.1-Rinaldo Finisce di bere. Si pulisce la bocca...
Vign.2-...e prende un’espressione sardonica.
Rinaldo: . …non mi limiterò ad uccidere Cosimo de’ Medici. Prima voglio distruggere la sua
immagine. Per far questo abbiamo bisogno di un nuovo gonfaloniere. Un uomo di fiducia…
Vign.3-Visuale di una strada principale di Firenze,una carrozza si sta dirigendo verso il palazzo Pitti.
Dida: ..un uomo che lo odi quanto noi.
Vign.4-La carrozza si è fermata d’avanti all’ingresso principale,lo sportello è aperto,chi è sceso si sta
dirigendo verso l’entrata del palazzo:
Dida: Bernardo Guadagni domani sarà eletto per questa carica.
Vign.5-di nuovo nella stanza della torre.Rinaldo continua a parlare ,il suo volto assume un
espressione sempre più minacciosa:
Rinaldo: ...Faremo accusare Cosimo di essersi appropriato di cifre indebite per foraggiare la sua
guerra personale contro Lucca.
Vign.6-Rinaldo di spalle seduto,sullo sfondo Palla e luca.
Rinaldo: Lo faremo passare come un tiranno, un despota che ha portato la corruzione su Firenze,
macchiando per sempre la tua amata “libertas”.
Palla: …lo faremo esiliare. Non importa versare del sangue.
Tav 4
Vign.1-Rinaldo si alza in piedi (sorride beffardo).Luca ancora indisparte appoggiato al muro:
Rinaldo: …Luca, tu che ne dici?
Vign.2- primo piano Luca con lo sguardo basso.
Vign.3-Luca in disparte,Rinaldo e Palla al centro della scena:
Rinaldo: già,tu non dici mai niente… (rivolto a Luca)
Rinaldo: (di nuovo rivolgendosi a Palla) Quell’uomo ha sotto di sé mezza città. Con il suo oro si
è comprato i favori del popolo… dopo che sarà stato allontanato potrebbe tornare e tentare di
rovesciare la situazione a suo favore…
Vign.4- Rinaldo appoggia le mani al tavolo,con un’espressione seria:
Rinaldo: e quel che è peggio è che potrebbe riuscirci. Immagina:... pensi che se tornasse non si
riprenderebbe ciò che gli è stato levato…con gli interessi?
Vign.5- Primo piano Palla che osserva serio Rinaldo:
Rinaldo ( fuori campo): Dovresti dire addio a tutti i tuoi beni, tutte le tue “collezioni”…
Vign.6- Rinaldo sogghigna, con un filo di disprezzo. Risolleva il bicchiere dal tavolo:
Rinaldo: No, Palla. Se vogliamo riprenderci Firenze, Cosimo De’ Medici deve morire. E lo ucciderò
io stesso.
Lorenzo de’ Medici
Soggetto
Lorenzo, ragazzo ventitreenne, viene messo a capo dei domini fiorentini insieme a suo fratello,
Giuliano. Grande diplomatico e studioso riesce a difendere Firenze da pericoli interni ed esterni,
portando la propria città all’apice della gloria del periodo rinascimentale. Ma è tutto merito suo? Un
giovane ladruncolo crescerà fra i vicoli della città, incrociando varie volte Lorenzo nella propria vita e,
inconsapevolmente, determinandone il successo. Molte volte, nella storia, gli uomini comuni sono stati
i veri, sconosciuti, protagonisti degli eventi più importanti della storia. Questo ragazzino è uno di loro.
Questo figlio del caso renderà possibile la fuga dalla congiura dei Pazzi, la risoluzione pacifica dei
conflitti e sarà di ispirazione per i Canti Carnascialeschi.
Fine
Lorenzo de’ Medici
Sceneggiatura
Impostazione francese su 4 strisce.
Pag1)
Due vignette inscritte in una veduta di Firenze, via dello studio, dove aveva allora sede lo Studio
Fiorentino. In alto a destra, svetta la cupola del Duomo di S. Maria del Fiore. Pioggia battente. In
basso e soprattutto un alto, lasciare lo spazio minimo necessario a rendere l’immagine della veduta.
Le due vignette formano due strisce sovrapposte e centrali alla pagina.
Voce fuori campo sopra la vign1: Giuliano…
Vign.1) Siamo all’interno dello studio fiorentino.
Giuliano e Lorenzo sono insieme, uno, malamente seduto, giocherella con un pugnale, l’altro, seduto
alla scrivania, è intento a scrivere. Si voltano verso un medesimo punto fuori campo.
Giuliano: Padre.
Voce fuori campo: Lorenzo…
Vign.2) Primo piano di Piero il Gottioso, dall’aria affranta. Il gambo della nuvoletta gli esce dalla
profondità della bocca, come se indicasse che la voce viene dal profondo di sé stesso.
Piero: Il nonno… (scritto piccolo)
Sotto la vignetta 2 la pioggia casca sul selciato sconnesso, indicando un’atmosfera pesante e triste,
richiamando l’idea delle lacrime.
Pag2)
Vign.1) Si vede, posata sul tavolo, la piuma che Lorenzo usava per scrivere nella pagina precedente.
La vignetta prende un terzo della prima striscia(che prende un quarto di pagina per altezza).
Vign.2) prende il resto della prima striscia più lo spazio della seconda. Illustra la corsa, vista
lateralmente, di Giuliano e Lorenzo lungo una scala che segue (nello spazio della prima striscia)
il senso di lettura, dove corre Lorenzo, e (nello spazio della seconda striscia) il senso di ritorno
a capo, dove Giuliano, più atletico, lo precede scendendo. La luce, proveniente dall’alto, diventa
progressivamente più debole via via che incontra le varie rampe di scale. Nello spazio rimasto vuoto,
in fondo a destra, della vignetta, il più oscuro, si trova una didascalia.
Vign3) Prende un’intera striscia. Primo piano di Giuliano e mezzo busto di Lorenzo, che
sopraggiungono da sinistra. Hanno un’espressione impressionata.
Vign4) Una striscia. Si vede il nonno, Cosimo il vecchio, morente, di scorcio, disteso su un letto a
baldacchino. Attorno a lui soltanto il suo confessore.
Pag3)
La vign1 è interna alla vign2, che prende 2 strisce (metà pagina)
La striscia sottostante è divisa in 3 vign. Di uguali dimenzioni.
L’ultima striscia è occupata totalmente dalla vign6.
In ogni vignetta, direttamente sullo sfondo, si sentono le litanie del confessore.
Vign1) La mano di Cosimo spunta dalle coperte. Parte qui una nuvoletta che sarà legata ad un’altra
nella vign2.
Cosimo:Lorenzo…
Vign2) Si vede il volto di Cosimo morente, che protende la mano. Il gambo della nuvoletta finisce
dentro la sua bocca, a ricordare un sondino.
Cosimo: Giuliano… (scritto sempre più piccolo)
Vign3) Giuliano, mezzo busto, tiene la mano del nonno.
Vign4) Stessa inquadratura, la mano gli sfugge e cade.
Vign5) Stessa inquadratura, Giuliano china il capo.
Vign6)Il confessore copre il volto di Cosimo con un velo. Ora le litanie sono racchiuse nel balloon
pronunciato da lui. Dietro di lui, su differenti livelli, sempre più in ombra, Giuliano e Lorenzo.
Pag4) La prima striscia è divisa in tre vignette.
Vign1)Vediamo una finestra, dall’esterno, frontalmente, che si apre.
Vign2) Stessa inquadratura. Una donna si appresta a mettere un drappo nero alla finestra.
Vign3) Stessa inq. La donna butta fuori dalla finestra il drappo, che ora è esposto.
Vign4) Prende tutta la striscia. Si vede un’inquadratura simile a quella precedente, ma con un’intera
fila di finestre con il drappo nero. La finestra (l’ultima) di richiude.
Le successive vignette prendono, in altezza, lo spazio di 2 strisce, riempiendo la pagina. Sono tutte
di uguali dimensioni ed affiancate. La voce fuori campo non è racchiusa in nuvolette, ma è libera, in
un carattere diverso ed appariscente, come un’onomatopea.
Vign5) Si vede un arco, di scorcio, dall’alto, come se si vedesse dalla finestra chiusa. Dall’arco si
affaccia un bambino, è Jacopo.
Voce fuori campo: Cittadini di Firenze!
Vign6) Stessa inquadratura. Jacopo è sparito.
Voce fuori campo: More la ricchezza nostra…
Vign7) Vediamo Jacopo di spalle che si allontana fischiettando, passando sotto l’arco, che lo mette in
ombra, quasi in siluette.
Voce fuori campo: …ora che Cosimo parte…
Donatello
Soggetto
Trasformazione, evoluzione, modernità, classicità e medioevo.
Insieme all’amico Brunelleschi e a Masaccio, Donato di Niccolò di Betto Bardi, in arte Donatello, è uno
dei padri del Rinascimento.
Sperimentazione incessante su materiali e tecniche, spirito indomito alla ricerca continua dell’equilibrio
fra bellezza ed espressione del sentimento… Donatello è tutto questo e anche di più, famoso fra i
contemporanei e osannato nei secoli successivi.
Ma Apollo, Dio delle Arti, che dall’alto tutto osserva, non ci sta: è geloso e irritato.
Come può un mortale elevarsi al livello degli Dei sfidando le antiche regole approvate nell’Olimpo e
quindi eterne? Come può un uomo sviluppare idee tanto rivoluzionarie e ottenere nel contempo opere
sublimi? Quale personalità può essere tanto determinata da resistere alle suggestioni delle Grazie
(inviate dall’Olimpo) mirate ad indirizzare la sua arte sui binari di una serena e “classica” tradizione?
Come si permette questo stronzo?
Apollo decide così di intervenire: prendendo le sembianze di Bertoldo di Giovanni, il discepolo che
rimarrà a lungo con Donato e seguirà l’artista fino alla fine dei suoi giorni cercando di capire e carpirne
i segreti (da lui imparerà la tecnica per lavorare il bronzo e quella dello stiacciato).
Bertoldo- Apollo cercherà nel corso degli anni di condizionare le scelte artistiche del Maestro ricorrendo
a trucchi e provocazioni, ma alla fine il Dio finirà battuto e conquistato dal genio libero e sfacciato
dell’artista; metterà il suo orgoglio da parte e, sotto le sembianze di Bertoldo, completerà molte opere
incompiute del maestro. Soprattutto tramanderà il suo sapere facendo avvicinare all’arte tanti giovani
che poi diventeranno artisti immortali (uno su tutti un certo Michelangelo …).
Fine
Donatello
Sceneggiatura
PAGINA 1.
Vediamo l’Olimpo in lontananza, ci avviciniamo. La città degli Déi si rivela in tutto il suo splendore attraverso le nubi.
Sempre più vicino, tra architetture classicheggianti e al contempo improbabili; la vista si concentra
in un sontuoso salone. Scorgiamo la forma di un uomo possente, di spalle, che siede assorto su uno
scranno. Il primo piano finale ci mostra il suo volto, bellissimo e fiero. E’ Febo Apollo, dio delle Arti.
Didascalia:
- Che cos’è la bellezza? PAGINA 2.
Il dio si alza, con aria contrariata, un piano americano ci permette di vedere che cosa stava osservando; una sorta di “visore” una finestra sul mondo dei mortali. E’ Firenze, nello splendore rinascimentale.
Didascalie a cavallo tra questa vignetta e altre piccole che illustrano il fermento sociale e artistico della
città:
-Superamento dei sentimenti...-Serenità...-Equilibrio...-Classicità...Un primissimo piano degli occhi di Apollo esprime tutto il suo scontento.
Didascalia:
-Ma per quest’uomo è diverso.Vignetta di un viso in ombra, è un artista intento a scolpire.
Didascalia:
-Questo scultore non si abbassa a regole o canoni assoluti.
Ancora lo stesso uomo, campo lungo, tra opere abbozzate, indaffarato.
Poi il profilo di Apollo, pensieroso.
Didascalia:
-Quest’uomo con le sue opere sta sfidando da troppi anni le antiche regole dell’Olimpo.Un’ultima vignetta, che mostra altri aspetti della produttività dell’artista, magari pannelli e tele...
PAGINA 3.
Una composizione di vignette mostra illustra la fervida attività dell’uomo in questione, la mole delle sue
opere, momenti di lavoro e suggestivi dettagli delle sue creazioni, tratte da quelle fatte tra gli anni ‘10
e ‘30.
Una didascalia con motivi grafici che ricordano l’aspetto del visore visto prima recita:
-E quel che è peggio è che le sue creazion sono sempre diverse, rivoluzionarie e...
sublimi. Sì. Di grande... bellezza.-
-Non posso tollerarlo.-Io, il dio delle Arti non posso limitarmi a scuotere la testa da quassù.-Sono secoli che gli dèi non interferiscono con la storia umana...Nella vignetta che termina la sequenza, l’uomo è in penombra, voltato di spalle, lavora ad un bassorilievo circolare.(Madonna con bambino)
Didascalia “sospesa” nel buio:
- Ma adesso è giunto il momento di intervenire.PAGINA 4.
Toc! Toc! La prima vignetta apre con Donatello, che interrompendo il lavoro si volta verso il rumore e
mostra il viso al lettore.
Un campo lungo ci permette di vedere l’interno del suo laboratorio, illuminato da squarci di luce e reso
suggestivo da volte che abbracciano l’ombra.
-Chi è?- Il Maestro, già in età matura, percorre lo stanzone disseminato di strumenti e lavori incompiuti.
L’ultima didascalia del pensiero di Apollo è relegata in fondo a destra della vignetta, possibilmente nel
mezzo ad una zona di nero, per avere maggior risalto:
-Per vedere da vicino. Osservare come lavora quest’uomo. Toccare con mano.Per un attimo vediamo l’esterno della bottega da una lunga distanza, “sentiamo” solo la voce di chi ha
bussato:
-Permettete Maestro.Nella vignetta conclusiva Bertoldo/Apollo si presenta a Donatello, visto di 3/4 da dietro, mentre vediamo bene il giovane, quasi a figura intera. Un tipo completamente agli antipodi del dio, grassottello,
dall’espressione vacua, poco acuta.
-Bertoldo Di Giovanni, per servirla! sarebbe per me un onore frequentare la sua scuola!-
Francesco Petrarca
Soggetto
In un’ambientazione moderna, la storia di Francesco Petrarca, giovane scrittore che deve andare da
Firenze ad Avignone dove si svolge la presentazione del suo ultimo libro “Il canzoniere”. Durante il
viaggio in auto, da solo, si lascerà andare ai ricordi ed all’introspezione, sempre guidato dalla chimera
del suo amore non corrisposto: Laura.
La sera prima di partire si trova a bere con gli amici più cari, Giovanni Boccaccio e Simone Martini. I
compagni, che non potranno accompagnarlo nel viaggio, cercano di animare la serata ma Francesco
è cupo et pensieroso. È tormentato dal pensiero di Laura, una ragazza che ha conosciuto in Francia
qualche anno prima e di cui si è innamorato. La natura schiva e solitaria di Petrarca e la distanza hanno
impedito a questo amore di realizzarsi.
Durante la serata, Francesco inveisce contro le magagne dell’Italia contemporanea, una dichiarazione
sicuramente sincera anche se in realtà maschera un malcontento del tutto personale: è sempre l’amore
non corrisposto per Laura a renderlo infelice.
La notte prima del viaggio, Francesco sogna Dante, la sua guida letteraria.
Al mattino, di buon ora, inizia il viaggio.
La strada, lunga e trafficata, stimola il ricordo dell’inizio della carriera di scrittore, di quando, ancora
studente, viveva il fermento Bolognese.
Ancora una volta, a sovrapporsi ai ricordi più affettuosi, c’è il pensiero del suo amore impossibile.
Francesco non smette di scrivere mai. Non smette durante le pause all’autogrill o durante la notte di
soggiorno in un alberghetto lungo l’autostrada. Scrive e pensa.
Quando finalmente arriva ad Avignone, durante la presentazione, si arrabbia col proprio pubblico, che
reputa inadatto alle sue opere, avendo celebrato “il canzoniere” opera del tutto personale, scritta usando
un linguaggio basso e sincero, piuttosto che dare il giusto riconoscimento ai suoi lavori precedenti,
cervellotici omaggi ai classici. Lo vediamo infuriarsi dunque alla conferenza finchè non crede di vedere,
tra il pubblico, Laura. A questo punto molla tutto, e la insegue, nelle campagne, fino a trovarsi sulle
sponde di un fiume, immersi nella natura. Ma la voce del suo editore si sovrappone al sogno, facendoci
rendere conto che, l’invettiva contro il pubblico e la realizzazione del suo amore con Laura, non sono
stati altro che un viaggio della mente di Francesco, che è rimasto lì, seduto a parlare del proprio libro
tutto il tempo.
Fine
Francesco Petrarca
Sceneggiatura
Tav. 1
Francesco è nel letto che dorme un sonno molto agitato.
Si sveglia di soprassalto e si ritrova nel nulla, con il letto. Uno sfondo bianco, assenza di spazio.
Sente una voce che gli richiama l’attenzione: “Francesco…”
Francesco: “LAURA!”
Petrarca inizia a correre verso dove crede di aver sentito la voce ma fatto poco più di un passo cade
nel vuoto.
Tav. 2
Francesco precipita per metri e metri in un luogo indistinto, quasi un inferno dantesco moderno. Si
schianta a terra battendo una gran culata. Di nuovo una voce parla, senza vedere da dove viene.
Voce: “che fai, omuncolo? Che sogni? Che t’aspetti? Ti sei tanto dimenticato delle tue miserie? O non
ricordi di essere mortale?”
Tav. 3 e 4
Francesco: “A… Agostino?”
Dante: “no, ma hai colto la citazione”
Francesco si rimette gli occhiali, caduti nel volo e cerca di riconoscere la figura che ha davanti. È
Dante. Francesco sorride accondiscendente, un po’ rassicurato dal trovarsi insieme al poeta, un po’
scombussolato per l’estraneità della situazione.
Dante: “insomma, perché non riesci a dormire, cos’hai?”
F:” Io… Non riesco a smettere di pensare a lei. Laura.”
D: “HAHAHA! Sempre così romantico, tu! guarda che sei tra colleghi qua, non devi vergognarti!”
Intorno a Dante compaiono altri autori importanti, di ogni era, dai classici ai moderni e contemporanei
(Eco, Miller, il solito Virgilio, Cicerone ecc)
F: “vergognarmi?”
D: “tu non insegui Laura, mio giovane allievo, tu segui la POESIA. Laura è l’immagine di questa poesia.”
F: “Laura è reale! La poesia che sento intorno a lei è reale!”
D: “ su questo non ho dubbi. Ma noi non siamo soltanto quello che scriviamo, quello che rielaboriamo
con la coscienza e la letteratura, noi siamo prima di tutto corpi, chimici, che vivono e provano emozioni.
Le emozioni possiamo solo cercare di rappresentarle, ma non ne ricreeremo mai l’interezza.” (mentre
Dante parla, Francesco si ritrova nudo, con gli altri letterati che cercano di studiarlo tipo cavia e lui che
cerca di evitarli.)
F: ”…”
D: “come un’alchimista tu forgi la materia ad immagine delle tue idee. Ma la materia che usi è naturale,
esiste al di là delle tue intenzioni.”
F: “ma noi siamo imperfetti! Le idee invece, lì è la perfezione!”
D: “la perfezione non esiste, Francesco. Esiste piuttosto l’equilibrio, dell’uno e dell’altro aspetto della
realtà. Vai, vivi, sogna, pensa. Poi scrivi.”
Tav. 5
Detto questo, Francesco cerca di replicare qualcosa ma non gli escono le parole. Dante e il resto dei
personaggi e lo sfondo spariscono, lasciando Francesco di nuovo nel nulla. Di nuovo si sente una voce
che lo chiama. “Francesco…”
F: “LAURA!”
E si ripete la scena dell’inizio, fino a quando non cade dentro al vuoto.
Nella scena dopo si sveglia di soprassalto.
Francesco Guicciardini
Soggetto
Premessa:
Firenze, Novembre 2011. Siamo alle soglie dell’ultimo Inverno... Il Giudizio dell’uomo è prossimo.
Presto l’Umanità conoscerà il Verdetto del Cielo sul suo operato.
Come in tutti i processi, anche in questo sono necessari una Difesa e un’Accusa. Ed ecco i nostri
Sfidanti: Nell’angolo Rosso: Azazel, ‫לאנשמר‬, ‫لزازع‬, Il Corruttore, Il Grigori, il Caduto. Uno dei Venti
Signori dei 200 Angeli che si unirono alle figlie dell’uomo e sparsero il proprio seme Nephelin, portatore
di Conoscenza, Inventore di metallurgia, cosmesi, Artista e molto altro ancora...
Nell’Angolo Blu: Francesco Guicciardini. Unanimamente riconosciuto come il Primo vero Storico
Moderno, redattore de “La Storia d’Italia”, Principe del foro Fiorentino a cavallo tra il 1400 e il 1500,
Consigliere del Duca Alessandro de Medici e già ambasciatore per il Pontefice e il G. Duca presso il
Re di Spagna, profondo conoscitore della cagione Umana...
La giuria si prepara per udire L’arringa finale dei nostri contendenti. Certo, un processo Divino all’umanità
non può essere deciso in una singola seduta. Questo è L’epiteto, l’ultimo di una lunga serie di Appelli!
Ma un momento; “Chi Difende e Chi Accusa?”
Si penserebbe che un Demone sia l’accusatore ideale e che il suo antagonista incarni Il difensore
per eccellenza... Ma non stiamo forse parlando di un “Giudizio Universale dell’Umanità tutta?” E non
saranno forse gli Araldi del Signore a fungere da Carnefici in questo nefasto evento?
Per capire meglio l’intenti dei nostri anfitrioni, usciamo da questa Aula ultraterrena e andiamo a conoscer
meglio il Loro operato...
Dove eravamo...
Come tutte le storie, anche questa, non inizia dal suo principio.
Dicevamo:
Firenze, Martedì 1° Novembre 2011. E’ sera ed Elisa, una giovane studentessa di Pittura dell’Accademia
delle belle Arti, si appresta a riprodurre le fattezze della statua di xxxxx arabescata dalle ombre
crepuscolari. Mentre siede su gli scalini all’ombra del Loggiato nota una figura che si avvicina furtiva a
una delle statue distanti. La figura è malvestita, sembra un barbone, ma di qui, Elisa non può scorgerne
il volto, anche perché coperto parzialmente da un cappuccio. Il nuovo arrivato, si arrampica sulla nicchia
di uno dei celebri personaggi, armeggiando poi per pochi istanti con qualcosa che tiene in mano ed
infine, saltare giù con sorprendente agilità. Mentre questi si appresta ad allontanarsi lungo i loggiati in
direzione di Ponte Vecchio, Elisa, Incuriosita da quella scena inaspettata, si avvicina alla nicchia della
statua interessata. Il Piedistallo, reca la targa con su scritto il nome del nobile Toscano: Francesco
Guicciardini. La giovane studentessa scorge un luccichio sul petto marmoreo del Personaggio. Si gira
a guardare il barbone ma l’uomo si è dileguato. E’ di nuovo sola. Per un attimo esita, poi, vinta dalla
curiosità, si arrampica a sua volta sulla statua del letterato. Sul petto della statua, pende un piccolo
amuleto di metallo inciso. Un Medaglione.
Il nostro presunto barbone, osserva la scena dall’ombra dei loggiati, sul lato opposto dove poco fa
Elisa sedeva con il suo blocco schizzi. L’uomo è decisamente malmesso e indossa abiti sporchi e
consunti, tuttavia nei suoi occhi stanchi, traspare un’insolita lucidità. Per un lungo istante osserva
un’immagine ritratta sul blocco. Poi, prima che l’autrice possa scorgerlo, si allontana furtivo e silenzioso
scomparendo nelle ombre da cui era emerso. Un silenzioso e abbozzato Guicciardini in grafite, osserva
da varie prospettive l’uomo allontanarsi. Forse è stato un vezzo dell’artista oppure un’ombra ha
involontariamente giocato un piccolo scherzo ottico, ma la figura del nobile Fiorentino sembra sorridere
amaramente...
Dal ritratto a matita di Guicciardini, ci catapultiamo ad un ritratto di un ben più autorevole artista che
sta ritraendo a sua volta il medesimo soggetto. Il soggetto del ritratto è seduto con aria pensierosa e
autorevole ad un tavolo, nell’intento di scrivere, e indossa un medaglione che ci è familiare. “Ecco! Ho
ultimato, se vostra signoria vuole onorare un umile artista con la sua autorevole opinione...”; “In verità,
Mastro Bugiardini...”
Con queste parole dei due famosi personaggi, cominceremo il nostro viaggio nella storia e nella fantasia.
La vicenda, intervallata da flashback salterà dal presente al passato, guidandoci sulle tracce dell’ultimo
portatore del Medaglione. Questi, ripercorrerà per noi le vicissitudini di Guicciardini, raccontandoci di
come a più riprese, Lui ed Azazel, si addentreranno nell’animo umano dando luogo ad un dibattito il cui
esito decreterà il Giudizio Finale.
Vedremo e leggeremo di Fabian, detto l’Ombre, sedicente ladro internazionale ingaggiato per rubare il
celebre ritratto di FG dipinto dal Bugiardni da un misterioso committente Italiano, Edoardo Malatesta,
collezionista di “Articoli particolari dell’Occulto”. Durante il furto, Fabian rinverrà casualmente il
Medaglione...
E’ appunto grazie al medaglione, realizzato da un artista Bolognese di origine russa Grigori, che Fabian,
rivivrà la vita di Francesco, le cui memorie sono state assorbite magicamente nel monile coniato da
Grigori (che in realtà è Azazel). Lo scopo del demone è quello di imbrogliare, falsando così il processo
e mettendo in guardia gli uomini dall’opera a cui è chiamato nell’aldilà Guicciardini. Scopriremo che il
ruolo di questi, fu designato sin dai tempi dei suoi trascorsi al servizio del clero, dallo stesso Pontefice
Leone X e molto altro ancora. Una storia di fantasia che mira a portare all’attenzione del lettore il
pensiero, gli episodi salienti e gli interessi dell’esimio Autore della Storia d’Italia.
I protagonisti della vicenda:
Azaziel: Che dire? Non c’è chi non lo conosce?. Sempre indaffarato per rendere, o meglio, mantenere
gli uomini ciò che sono...
Elisa: (lo sapevate che Elisa è l’anagramma di Asiel che è uno dei nomi di Azazel? Ma guarda un po’!)
Sarà L’ALfa e L’Omega della nostra storia...
Fabian L’Ombre: Sedicente ladro gentiluomo. Il nostro tramite e protagonista, ingaggiato da Malatesta
per prendere il Dipinto troverà il Medaglione di Azazel...
Il Barbone: Alterego di Fabian dopo aver vissuto i ricordi di Guicciardini. Compirà il percorso ponendo
il Medaglione al collo della statua.
Malatesta: Questo personaggio è il discendente di Quel Malatesta che fece l’oroscopo a F. Guicciardini.
Egli in possesso degli archivi di famiglia ha scoperto il segreto del medaglione e vuole ottenerlo per sé,
ingaggiando così L’Ombre per recuperare il dipinto dove si cela l’artefatto demoniaco... Non sa che ha
manovrare i fili c’è il buon Az...
Leone X°: Preposto ad instradare Guicciardini perché inizi in vita il percorso che compirà nell’Aldilà.
E molti altri ancora...
Gli argomenti di Francesco G. su cui sono incentrate le mini-storie sono principalmente legati alle
opere conosciute come “Ricordi”. Da alcune celebri frasi ed episodi dell’Autore, prenderanno vita le
tavole della Graphic Novel. Questa sarà suddivisa in capitoli che alterneranno le vicende di Fabian nei
tempi moderni e quelle del celebre personaggio storico nel passato. I capitoli saranno presentati dalle
sessioni di dibattito dei due legali: Azazell e Guicciardini. Lo scopo di Azazell è di impedire il verdetto
rinviando a giudizio la seduta per poter disporre a piacimento di suoi balocchi. Guicciardini deve,
come nella sua natura, discernere le azioni umane e il loro operato per emettere un giudizio obiettivo
e dare luogo alla sentenza... Lo scopo del medaglione di Azi è quello di immagazzinarne i ricordi e
le esperienze e di mettere così sul chi vive gli umani che ne entrano in possesso così che possano
dimostrare di avere imparato dai propri errori... ma si sa : “Il Diavolo fa le pentole ma non i coperchi!”
Fine
Francesco Guicciardini
Sceneggiatura
Premessa:
Le tavole sono equamente divise in due per ciascuno dei periodi in cui ci sposteremo durante tutto
il viaggio nella nostra storia: Due ambientate nell’abitazione di Fabian il nostro ladro; Due invece
nella residenza Fiorentina del nobile Toscano. La scelta delle abitazioni dei rispettivi detentori del
Medaglione come background di questa presentazione, mi è sembrata la più adatta per fare le
presentazioni del caso e rompere così il ghiaccio con i nostri Ospiti...
Riassumendo: Avremo Tavola Uno e Due che ci presentano l’abitazione/rifugio di Fabian che come
un moderno Diabolik, vive qui con una falsa identità assieme ad una splendida giovane donna.
Attraverso l’assonnata ragazza seminuda, visiteremo l’interno della residenza, guidati da una voce
che sembra sostenere una conversazione con un muto interlocutore, fino ad arrivare allo studio di
Fabian nel seminterrato, qui, al quadro di Guicciardini che ci catapulterà nella Firenze rinascimentale
(1538), dove un già maturo Giuliano Bugiardini stà ultimando il ritratto di Guicciardini. Nella tavola tre,
passeremo da un PP del ritratto al vero Guicciardini il quale, si affaccerà ad osservare Firenze. Con
un controcampo, entreremo nella Tav 4 dove lasceremo a volo Firenze mentre Francesco e Giuliano
parlano del medaglione con cui l’artista ha appena ritratto il suo committente...
Sceneggiatura:
*Darò dettagli su inquadrature e posizione delle vignette la dove riterrò necessario, omettendone
posizione precisa e dimensione dove invece riterrò che una maggiore liberta del disegnatore giovi
alla tavola...
Tavola 1
V1 un totale a mo di panoramica della campagna circostante una villa Toscana immersa nelle
Colline Senesi... Vignetta grande che prende un terzo dell’intera tavola. Mostra l’abitazione da circa
tre quarti. E’ il crepuscolo e il sole già calato, getta ombre cremisi che si allungano sugli edifici.
Dettagli:
La villa apparentemente non ha mura ed è circondata da un misto di campi ed alberi (cipressi) che
tuttavia ne lasciano scorgere il profilo anche da lontano. Il Rustico è costituita da un edificio principale
tipo grande cascinale a due piani, con rampicanti sulla facciata. Ci sono poi altre due strutture, una
ad elle, tipo ex fienile soppalcato con grande vetrata da cui al suo interno si scorge una sorta di
palestra con saccone da box in PP. Di li appresso, un’altro edificio basso, una stalla. Ci sono almeno
quattro box ma s’intuisce che la struttura, in legno e muratura, ospita diversi animali...
Due macchine parcheggiate nel piazzale/corte antistante l’entrata. Una Porsche Carrera di ultima
generazione blu metallizzato e una Audi R8 Spider di colore rosso ferrari.
“Onomatopea di un basso nitrito di cavalli”
Didascalia in alto a sinistra in ballon rettangolare: “Colline Senesi, Toscana, ore: 01:45”
V2 : Stretta e lunga in basso a sinistra. Ci siamo avvicinati ai veicoli con vista altezza uomo.
Inquadriamo una finestra del piano superiore da cui proviene una flebile luce tremolante come di un
fuoco da camino.
V3 . Dimensioni gemelle alla vignetta due. Entriamo nella finestra attraverso un movimento di
macchina zoom dritti all’interno.
“Onomatopea di un basso nitrito di cavalli”
V4 : bassa e larga. Inquadratura dell’interno della camera vista in controcampo rispetto alla finestra.
In PPP un letto su cui giace addormentata una giovane donna nuda, semicoperta da un piumino.
Abbraccia il guanciale, i capelli scuri le coprono parzialmente il volto. Da sopra la spalla si intravede
sulla parete esterna della stanza, la stessa della finestra, un camino con le braci accese e una porta
aperta che affaccia su un corridoio.
“ ballon che viene dal corridoio: ...imprevisto. No, non c’è motivo di... “
“Onomatopea: gemito della ragazza”
V5 Vignetta cinque: Particolare degli occhi della ragazza che si aprono
V6 Vignetta sei: bassa e larga come la cinque.
Altezza rasoterra. I piedi scalzi della ragazza scendono dal letto vista da sotto il letto. Il pavimento in
legno.
“Onomatopea: frush prodotto dalla vestaglia/lenzuola”
Le fonti di luce sono quella della braci proveniente dal camino e una lampada proveniente dal
corridoio esterno.
Tavola 2
V1 : Punto macchina in soggettiva della ragazza che si è destata e sta sulla porta di camera. Ci
aiutiamo con uno specchio che la inquadra a mezzo busto con la testa inclinata a guardare nella
direzione delle scale e i capelli sugli occhi. Lo specchio è posto sulla parete di fronte alla porta della
camera, a sinistra dello specchio un mobiletto d’epoca fa da piedistallo alla lampada che illumina
flebilmente il piccolo disimpegno/pianerottolo. A destra dello specchio e dirimpetto alla lampada il
vano scale con corrimano in legno.
“Baloon che viene dalle scale che scendono: ...non è ritrattare, piuttosto direi...”
V2 :Vignetta stretta e alta che inquadra dal punto di vista nostro (della ragazza) le scale in ombra, ci
sono due rampe e e noi ci troviamo a metà della prima.
“Onomatopea: scricchiolio del legno degli scalini”
L’ombra della ragazza si proietta lungo li scalini e il corridoio antistante la prima rampa. Dall’ombra
della seconda rampa che scende chiaramente oltre il piano terra proviene un altro ballon: “...Oui,
généralement, non faccio mai un colpo se prima...
”
V3 : Scorcio del piede della donna che indossa ciabatta chiusa e si accinge a scendere ancora uno
scalino di fattura differente rispetto quelli della rampa precedente.
“Onomatopea: Tup”.
V4: Siamo in fondo alle scale in un ambiente molto più spoglio. Di fronte a noi una parete di pietra
con al centro una porta blindata socchiusa da cui proviene una luce artificiale come di un faretto
basso.
“Baloon che proviene da oltre la porta: Si, certo. Lo sto guardando proprio adesso”
V5 , All’interno, in una sorta di cavò dal soffitto basso c’è Fabian che parla al telefono. E’ a
torso nudo, con in dosso solo un paio di pantaloni neri di seta tipo pigiama. È di profilo, e sta
giocherellando con il medaglione che ha al collo mentre fissa una parete con sguardo vitreo.
Porta all’orecchio un’auricolare con led a luce azzurra e risponde in modo distrato a Malatesta.
L’illuminazione generale è artificiale e viene dalla nostra sinistra, Fabian ne viene investito
frontalmente ma è una luce di riflesso perché puntata nella direzione opposta.
V6: Piccola. Mezzo busto della donna che scostandosi i capelli dal volto dice:
“Ballon: Fabian
”
V7 : Piccola. PP del profilo di Fabian che rimane assente e fissa nella solita direzione
“Ballon: Ho capito, non si preoccupi Malatesta, avrà quello per cui ha pagato...”
V8 Vignetta sette: Su una parete (quella fissata da Fabian ) c’è il dipinto di Guicciardini semicoperto
da un telo. È su di un cavalletto appoggiato al muro e illuminato da alcuni faretti alogeni sul soffitto.
V8 : PP del ritratto.
Tavola 3:
V1 : PPP di un particolare del volto del ritratto, la luce è luce differente, diurna e più calda. L’intera
atmosfera della tavola ha toni più caldi.
V2 : PP ad allargare l’inquadratura precedente fino ad avere la figura intera del dipinto. I colori sono
molto più vividi. Si intravede in basso a destra una mano che regge un pennello.
“Ballon: Ecco fatto...”
V3 : controcampo . Da dietro il dipinto un uomo di mezza età con aria soddisfatta osserva il suo
lavoro. Si intravede l’ambiente circostante. Una stanza elegante e molto ampia, con pareti affrescate.
“Ballon: Se Vossignoria volesse onorarmi di un suo giudizio...”
V4 : Inquadratura di un uomo del 1500 riccamente vestito, seduto ad un tavolo con in mano una
penna d’oca. L’inquadratura è bloccata tra il mento e la pancia con al centro un medaglione...
“Onomatopea della sedia che si sposta strusciando su di un tappeto...”
V 5 : ci troviamo dal punto di vista del quadro. E osserviamo un torreggiante Guicciardini che
giocherella con il medaglione con fare distratto mentre ci osserva dall’alto.
“Ballon: Invero Giuliano, devo riconoscere ancora una volta l’esattezza della Vostra maestria”
V 5: Mezzo busto di Bugiardini (il pittore) che accenna ad un inchino gettando un’occhio malizioso al
medaglione.
“Ballon: Mi onorate” ; “Ballon: Se posso permettermi... a che si deve la scelta dell’Impresa così
gradevolmente raffigurato sulla medaglia di Vossignoria”.
V6: Un Guicciardini raffigurato su piano americano si avvia verso una grande finestra incorniciata da
pesanti tendaggi arabescati, seguito dalla sagoma del pittore.
“Ballon: Vedete maestro Bugiardini, prudenzia e ragione impongon d’esser saldo all’impegno come lo
scoglio lo è nel suo. Diversamente ...”
Tavola quattro
Vignetta uno: Grande almeno mezza tavola: è giorno e dal basso osserviamo un imponente edificio
da cui si affacciano Bugiardini e Guicciardini. Sotto di essi proprio di fronte a noi, un’affaccendata
Fiorentina umanità del 1530 circa (per l’esattezza corre l’anno 1538), si muove freneticamente
Carretti dame con dietro giovani partigiani imbellettati, un mendicante in PP di tre quarti... ecc
Onomatopee: Bla Bla Bla
“In alto a destra didascalia: Firenze Ad 1538 palazzo Mediceo”
Vignette da 2 a 6 di vari scorci di Firenze e dei suoi abitanti...
Ballon a:“ ...Non senza cagione è assomigliata la moltitudine alle onde del mare...”
Ballon b:” ...la quale secondo e venti che tirano vanno ora qua ora là...”
Ballon c:“...senza alcuna regola...”
Ballon d: “...senza alcuna fermezza.”
FINE
Pier Antonio Micheli
Soggetto
Firenze, Anno 2010.
Stefano e Luca, due giovani scrittori, hanno vinto un concorso indetto dal comune di Firenze; il premio
consiste nello scrivere, dietro lauto compenso, la biografia di uno delle più note personalità fiorentine
di sempre: Pier Antonio Micheli, studioso, botanico e padre della micologia italiana.
I due ragazzi sono alla prese con vecchi libri e pagine web, nel tentativo di reperire materiale sufficiente. Il compito si rivela arduo, le notizie sono poche e molto simili fra loro. Luca si siede davanti al PC e
inizia a rileggere quello che fino a quel momento i due ragazzi sono riusciti a completare.
Riviviamo la vita del botanico attraverso la ricerca di Stefano e Luca.
Firenze, anno 1695.
Un giovanissimo Pier Antonio Micheli sta finendo di ordinare diversi tipi di erbe da lui raccolte e catalogate con cura.
Antonio è appassionato di botanica, e trascorre le sue giornate in mezzo alla natura, cercando di scovare e studiare nuove specie.
Il maestro Bruno Tozzi osserva le ultime piante trovate da Antonio e si complimenta con lui. La sua
conoscenza aumenta ogni giorno che passa. Tozzi ha scoperto una nuova erba e vuole condividere
questa notizia con Antonio. Il ragazzo è pronto per lo stadio successivo.
Stefano e Luca sono a colloquio con il responsabile del progetto Micheli, l’assessore alla cultura Beniamino Gigli.
Gigli non è soddisfatto del lavoro. Il volume non deve essere un mero resoconto, deve far appassionare il lettore alla figura di Micheli. Serve maggiore pathos.
Dopo qualche anno passato alle dipendenze del maestro, Antonio capisce che l’unico modo per ampliare la sua conoscenza è quello di viaggiare molto, per vedere luoghi diversi e aumentare le possibilità di scoprire qualcosa di straordinario. Grazie al suo peregrinare, Micheli scopre e cataloga migliaia
di specie, fino a diventare il prefetto dell’orto Botanico di Firenze e a scrivere, nel 1729, il suo libro
più famoso, il Nova Plantarum Genera, una sorta di raccolta di tutte le specie botaniche da lui studiate.
Stefano getta dietro di sé con forza il libro che stava leggendo. Sarebbe stato meglio non vincere quel
concorso. Va bene essere pagati, ma scrivere la storia di un invasato che ha passato la vita a raccogliere piante è davvero frustrante. Luca esorta l’amico a continuare il lavoro. La data della consegna
è vicina.
Grazie alla sue conoscenze e alla sua grande reputazione, Micheli riesce a sperimentare un attrezzo
da poco inventato, che potrebbe rivelarsi utile per studiare la natura in futuro, il microscopio. Utilizzando il microscopio, Antonio riesce a scoprire che i funghi si riproducono tramite spore e non in base
a generazioni spontanee, come si era creduto fino a quel momento. È il risultato inseguito per una vita
intera, una scoperta destinata a rimanere nella storia e a far ricordare il suo nome in futuro. Tutto
quello che Antonio Micheli ha sempre desiderato.
Stefano e Luca hanno consegnato il lavoro. Ripensando ai mesi passati a studiare Micheli, devono
ammettere che hanno avuto modo di studiare un personaggio unico, dotato di intelligenza ed intuito
decisamente fuori dalla norma, e che i moderni intellettuali non sarebbero probabilmente in grado di
raggiungere i suoi risultati.
Stefano e Luca sono all’interno della basilica di Santa Croce, a Firenze. I due ragazzi osservano in
silenzio la tomba di Micheli. Il mezzobusto del botanico, all’interno della Galleria degli Uffizi, conclude
il volume, come una sorta di punto di sospensione.
Fine
Pier Antonio Micheli
Sceneggiatura
TAV 1
1.1
INT. NOTTE. Siamo all’interno di un appartamento condiviso fra due giovani trentenni, Luca e Stefano,
due personaggi fondamentali della nostra storia. Vediamo una mano chiudere con forza un grosso
libro, simile ad un volume di enciclopedia, appoggiato su un tavolino di legno scuro.
STEFANO(FC)
NO, NO, NO…COSÌ NON VA!
1.2
Spostiamo la camera. Stefano ha scagliato con forza il libro che ha chiuso nella 1.1. il libro sta letteralmente volando verso la camera. Favorito al centro dell’inq., Stefano guarda da un’altra parte, con
espressione fortemente contrariata.
STEFANO FANCULO QUESTI LIBRI DEL CAZZO!
1.3
STRISCIA. Ravvicinata di Stefano che si arrabbia considerevolmente, sfogando tutta la frustrazione
precedentemente accumulata.
STEFANO COME SI FA A SCRIVERE UNA BIOGRAFIA SU QUALCUNO CHE NON È CITATO DA
NESSUNA PARTE!? È UNA SETTIMANA CHE SIAMO QUI E NON ABBIAMO NEMMENO L’INTRODUZIONE!
1.4
Cambiamo personaggio. Luca, seduto su un divanetto chiaro, sta guardando lo schermo di un pc portatile appoggiato sopra un tavolino di vetro. Luca è abituato agli scatti d’ira di Stefano, e non sembra
dargli troppo peso. Di fianco al PC ci sono alcuni fogli sparsi, è importante che si notino, ci serviranno
nella prossima tavola.
LUCA
TECNICAMENTE, NON CI SERVE L’INTRODUZIONE. E COMUNQUE, QUALCOSA
ABBIAMO TROVATO.
1.5
Stefano, inq da dietro, si è alzato e sta parlando all’indirizzo di Luca.
STEFANO CERTO, COME NO. DATA DI NASCITA E DI MORTE, L’UNICO LIBRO CHE HA SCRITTO NELLA SUA VITA, E UNA SENSAZIONALE SCOPERTA SULLA RIPRODUZIONE DEI FUNGHI!
1.6
STRISCIA. Ravvicinata di Stefano che osserva Luca in maniera divertita. Luca non è inq.
LUCA
E TI PARE POCO?
TAV 2
Griglia all’inglese, due strisce, tre vignette per ogni striscia.
2.1
STRISCIA. ESTABLISHING SHOT. Allarghiamo l’inq in modo tale da capire con chiarezza l’ambiente
in cui si svolge questa prima sequenza. Ci troviamo all’interno di un comunissimo appartamento abitato
da due giovani maschi creativi. Il disordine è certamente la componente principale: carte, lattine, fogli,
libri, e chi più ne ha più ne metta. Al centro c’è un tavolo quadrato (quello su cui sedeva Stefano), e
in BG, il divanetto dove è ancora seduto Luca, con davanti tavolino e televisione. Sulla sx, un piccolo
angolo cottura. Si tratta del classico bilocale da studenti. Aggiungi pure quello che ritieni opportuno.
Stefano è ancora in piedi, mentre Luca non sembra aver alcuna intenzione di alzarsi dal divano.
STEFANO SI, LUCA, MI PARE ESTREMAMENTE POCO. SE NON TE LO RICORDI DOBBIAMO
SCRIVERE UN LIBRO SULLA VITA DI UNO DEI PIÙ FAMOSI PERSONAGGI FIORENTINI DI SEMPRE, IL PADRE DELLA MICOLOGIA ITALIANA. CI PAGANO, E PURE BENE. NON POSSIAMO
PRESENTARGLI UN LAVORO DI MILLE BATTUTE.
LUCARILASSATI, STEFANO. CE LA FAREMO, IN QUALCHE MODO.
2.2
Stefano si getta sul divano, sconfortato.
STEFANO SAREBBE STATO MEGLIO NON VINCERLO, QUEL CONCORSO.
2.3
Luca, voltandosi verso Stefano, gli sta passando i fogli che erano accanto al PC.
LUCA
TI SBAGLI DI GROSSO. È LA PRIMA VOLTA, E FORSE SARÀ L’UNICA, IN CUI SIAMO
PAGATI PER SCRIVERE. AVANTI, PRENDI QUESTI FOGLI E RILEGGIAMO QUELLO CHE ABBIAMO FATTO FINO AD ORA.
2.4
Luca, seppure non troppo convinto, tiene in mano i fogli ed inizia a leggera a voce alta.
STEFANO OK, OK. DUNQUE, VEDIAMO…PIER ANTONIO MICHELI, NATO A FIRENZE L’11 DICEMBRE 1679, È CONSIDERATO DA TUTTI IL MIGLIOR BOTANICO E MICOLOGO ITALIANO…
TAV 3
3.1
STRISCIA. Sulla sx vediamo Stefano, in PP o MB, intento a leggere i fogli. Sulla dx, la scena lentamente sfuma in un FB. Siamo sempre a Firenze, ma decisamente torniamo indietro di qualche anno.
STACCO. INT GIORNO. Vediamo una mano (sx) che sta trattenendo fra il pollice e l’indice un piccolo
rametto di una pianta da colore verdastro. La mano è una mano che appartiene ad una persona adolescente.
STEFANO …A LUI SI DEVE LA SCOPERTA E LA CLASSIFICAZIONE DI TANTISSIME SPECIE DI
PIANTE ED ERBE OGGI COMUNEMENTE USATE E CONOSCIUTE…
DIDA FIRENZE, 1694.
3.2
La stessa mano della 3.1 sta appoggiando il ramoscello di pianta su un tavolo rudimentale, di quelli che
venivano fatti a mano nelle case di campagna.
3.3
La mano dx, appartenente alla stessa persona introdotta in precedenza, ha afferrato una lente di ingrandimento, dal manico scuro e la lente leggermente sporca.
3.4
La mano porta la lente di ingrandimento sopra il rametto. Vediamo una parte del rametto attraverso la
lente, quindi di conseguenza di dimensioni maggiorate.
3.5
CONTROCAMPO. Vediamo, sempre attraverso la lente, un occhio di colore scuro che osserva con
attenzione. È come se la camera fosse sotto la lente di ingrandimento.
3.6
PPP di un giovane ragazzo adolescente. Gli occhi trasmettono una forte sorpresa.
3.7
La lente che il ragazzo teneva in mano è caduta sul tavolo.
3.8
STRISCIA. Allarghiamo la camera. Inquadriamo un giovane Pier Antonio Micheli (circa quindici anni),
che sta correndo verso la camera in maniera trafelata. Il ragazzo è vestito con una camicia bianca e
un paio di pantaloni chiari lunghi fin sotto il ginocchio. Pier Antonio tiene nella mano sx il rametto che
stava osservando in precedenza.
TAV 4
4.1
STACCO. SPLASH PAGE. EST GIORNO. Vediamo la campagna fiorentina in tutto il suo splendore. È
una bella giornata di primavera. In basso vediamo una piccola casa da cui Pier Antonio, inq di spalle, è
appena uscito. Il ragazza sta correndo all’interno di un sentiero in terra battuta che si protrae per tutta
la tavola e che conduce verso quello che sembra un piccolo bosco.
Guido Aretino
Soggetto
SOGGETTO BREVE
1049 d.C.
Eleysia di Albororo, discepola di Guido Aretino, si mette in viaggio per recuperare la nipote Mathelda
del Borgo, ragazzina con il dono della Voce Divina, e consegnarla al suo vecchio magister (del quale non si hanno più notizie da molti anni). Viaggiando in un’Italia frammentata e seguendo le tracce
dell’Aretino, Eleysia e Mathelda ripercorrono la sua vita di spirito libero e innovatore. Trovano Guido
un anno dopo, in un monastero camaldolese, ed Eleysia fa appena in tempo a vedere il monaco e a
consegnargli la nipote prima che il carro su cui viaggiano sparisca nella neve.
DETTAGLI
La storia si articola in sette capitoli durante i quali Eleysia e Mathelda raggiungono località diverse e
incontrano uno o più testimoni diretti dell’opera e della vita di Guido Monaco.
Voce narrante è quella, in prima persona, di Eleysia.
Graficamente: la storia sarà resa in layout francese (quattro strisce modulabili) in un volume unico di
48 pagine, a colori.
SOGGETTO ESTESO
1011 d.C.
Il giovane maestro guarda la distesa della campagna toscana e parla di Severino Boezio, delle arti
liberali. La piccola Eleysia studia le pergamene dei canti all’ombra di un albero. “Non posso farcela,
magister. Li dimenticherò di sicuro. Sono troppi, troppo lunghi. È troppo difficile.”. Il giovane maestro
sorride “Non è difficile, piccola. È impossibile.” Il maestro indica un passero. Il passero cinguetta, Guido
fischia nello stesso tono guardando il palmo della sua mano, poi sorride.“C’è differenza tra ricordare
e non dimenticare”. Eleysia fissa la mano di Guido Monaco, ventunenne, e già con la saggezza negli
occhi. (pagg 1-2)
I - Ut queant laxis
1049 d.C.
La mano di Eleysia di Albororo, ormai cinquantenne, impugna il bastone. Si trova in Francia, a St Maur
de Fosses, in mezzo alla neve. L’ultima guardia cade, altre cinque o sei stordite intorno a lei. Entra
nella piccola abbazia, apre una porta. Mathelda del Borgo, undici anni, è sdraiata nel letto, in preda
alla febbre. “Portatela via”, dice una voce dal buio. È un benedettino scontroso: “Porta solo sventure.
Da quando è qui le campane non suonano, per quanto sbatacchiate, e le candele non si accendono,
per quanto arse.” “Succede, quando non apre bocca”, dice Eleysia, ricordando il giuramento fatto alla
madre di Mathelda. “Cerco l’Aretino”, dice Eleysia. Il monaco si infervora: ricorda come il piccolo Guido,
appena presi i voti da benedettino, si prendesse gioco dei vecchi monaci con trucchetti musicali. “Non
si hanno sue notizie da cinque anni. Dicono sia priore a Pomposa.” Eleysia sorride. “E’ nato qui, vero?”
“Forse”, risponde il monaco, “o forse no.”
Eleysia prende la bambina e se ne va. “Grazie, zia”, dice Mathelda con un sospiro mentre passa accanto alla statua della madonna. “Copriti e armati di pazienza. Ci aspetta un lungo viaggio”, dice Eleysia salendo sul cavallo. La statua della Madonna versa una lacrima. (pagg 3-6)
II - Resonare fibris
Racconto di Eleysia, di come Mathelda sia riuscita ad arrivare in Francia. Passano le settimane. Viaggio per boschi e montagne.
Eleysia e Matelda intorno al fuoco, silenziose. Eleysia parla di Guido, il suo maestro, di quello che le
ha insegnato. Eleysia prende un monocordo, comincia a cantare. Matelda sta per cantare, Eleysia le
mette un dito sulla bocca.
Mattina, Pomposa in vista: poco più in là, il mare. All’abbazia, Eleysia chiede di Guido Aretino, priore.
“Ti hanno informata male” dicono due monaci. “Ma ricordo bene Guido. Una testa dura. Sempre la
battuta pronta. Un rustico.” I monaci raccontano, torniamo nel 1025, alla sera in cui il priore Guido degli
Strambiati minaccia l’Aretino, che difende con forza le proprie opinioni (metodo didattico obsoleto, va
cambiato, la notazione alfabetica è la risposta). Guido se ne va, offeso, di fronte alla tavolata di monaci.
Eleysia ascolta attenta, riferisce quello che le ha detto il monaco di St Maur. “I francesi mentono”, dicono i monaci. “E’ nato ad Arezzo, anche se Dio è la sua casa. Forse puoi trovarlo là, ma ti conviene
sbrigarti: è molto malato, non c’è molto tempo.”
[PRIMO COLPO DI SCENA] Eleysia e Mathelda lasciano Pomposa, una figura incappucciata le attacca.
Una freccia ferisce Eleysia alla schiena. Matelda, una volta in salvo, fischia sulla ferita della donna,
guarendola all’istante. La figura continua ad osservarle da lontano. (pagg 7-14)
III - Mira gestorum
Dalla finestra entra una lama di luce primaverile. Il preposto Pietro copre il corpo dell’abate Grunwaldo
con il sudario e comincia a parlare. Eleysia e Mathelda lo ascoltano.
Racconto dal 1025 al 1028: Guido torna ad Arezzo; il Vescovo Teodaldo gli dà protezione; invenzione
di un nuovo modo di insegnare; Papa Giovanni XIX manda tre differenti messaggeri ad Arezzo per
invitare Guido a Roma; scritti di Guido; [PINZA UNO] Guido, prima dubbioso poi felice, parte per Roma
con Pietro e Grunwaldo una mattina di Primavera, proprio come questa.
Pietro e gli altri monaci finiscono di seppellire Grunwaldo. Pregano. Pietro dice ad Eleysia che il monaco potrebbe essere a Roma. Eleysia e Mathelda decidono di fermarsi nei paraggi per qualche settimana: c’è bisogno di riposo. Pietro si rimette al lavoro. (pagg 15-20)
IV - Famuli quorum
Estate.
Eleysia si sveglia. È nella casa della sorella Alberta, madre di Mathelda, a Borgo San Sepolcro. Eleysia
e Alberta guardano Mathelda cantare: fiori e piante crescono intorno a lei, Eleysia la accompagna con
il monocordo. Eleysia va a trovare il vecchio Sigizio, maestro di Guido, a Talla. Ricordi di Sigizio: Guido
nasce nel 990; la madre, Rosa, era bellissima, ed era orfano di padre; Guido è un giovane promettente, già a diciotto anni diventa subdiaconus e cantor, ma ha idee troppo progressiste, non è visto di
buon occhio, guai con la legge (disputa sui beni fra Sigizio e Pietro), Guido gli volta le spalle e decide
di partire per Roma senza Sigizio: Guido sapeva cosa doveva fare, e per farlo non guardava in faccia
nessuno.
Sigizio scatena in Eleysia i suoi ricordi di bambina: la violenza dell’Arcidiacono Guglielmo, protettore di
Guido, che le ha tolto la purezza e che porta Guido ad andarsene a Pomposa. Eleysia trema. [PUNTO
CENTRALE] Eleysia dice a Sigizio che il giono dopo partiranno per Roma: la bambina ha bisogno di
Guido. Sigizio sta per rivelare qualcosa ad Eleysia: una freccia lo colpisce all’occhio. Eleysia fugge, si
salva a malapena. Partono per Roma il giorno stesso. (pagg 21-26)
V - Solve polluti
Autunno.
Eleysia fra scaffali giganteschi e migliaia di pergamene: cerca qualcosa. Armati vescovili le danno
la caccia. Eleysia trova le pergamene: Guido è priore a Fonte Avellana. Eleysia combatte i vescovili,
prende un prelato in ostaggio, esce dall’archivio segreto del Vaticano e scappa per le vie di Roma. Il
prelato sembra sapere cosa lei stia cercando: le racconta dell’incontro del 1028 di Guido con il Papa,
della rivoluzione che quelle poche ore hanno portato in tutto il mondo; permanenza di Guido a Roma,
lo colpiscono le febbri romane, è sempre più malato. [PINZA DUE] Guido se ne va appena esposte le
sue innovazioni ai colleghi. “Non era messo bene”, dice il prelato. Eleysia recupera Mathelda, nascosta
in un campo di grano fuori Roma, e continuano il loro viaggio. È l’alba. (pagg 27-31)
VI - Labii reatum
Notte. Tetto del Monastero di Fonte Avellana (Pesaro). Eleysia combatte con la figura che le segue da
un anno, la testa di Mathelda sanguina. Eleysia rivive le ultime ore: arrivo al monastero, Pier Damiani,
amico storico di Guido, le accoglie. “Mi ha parlato spesso di te”, dice Damiani ad Eleysia. “Ha sempre
sperato di rivederti”. Damiani racconta del carattere solitario di Guido, dei suoi ultimi scritti, delle lettere.
Guido è stato priore del monastero di Fonte Avellana fino a poche settimane fa, poi quando ha saputo
che Damiani stava progettando un dramma liturgico sulla vita del Monaco, ha deciso di andare a morire
da un’altra parte: nel monastero camaldolese di San Giovanni, nascosto fra le cime dell’Appennino.
Eleysia scorge un riflesso, scansa Damiani e lo salva dalla freccia. Damiani prende Mathelda e scappa. Eleysia cerca il suo assalitore nel buio: trova il corpo di Damiani, senza testa, e vede la figura salire
sul tetto. Eleysia li segue, la figura dà un colpo in testa alla bambina ed Eleysia attacca. [SECONDO
COLPO DI SCENA] Eleysia sfila il cappuccio dalla testa del suo avversario. L’oscura figura che vuole
Eleysia morta è il monaco francese di St Maur: ha visto la lacrima della madonna, era miele, e non
può rischiare che quel pazzo di Guido metta le mani su quel perfetto artificio di Dio. Eleysia spezza il
monocordo e strangola il monaco con la corda, poi getta il corpo di sotto, nella valle. Mathelda è ancora
incosciente, ancora pura. (pagg 32-39)
VII - Sancte Iohannes
Inverno.
È passato un anno da St Maur. Eleysia e Mathelda sono stanche, spossate, stanno valicando gli Appennini, e il freddo è glaciale. Arrivano al monastero camaldolese durante una tempesta di neve.
Eleysia e Mathelda di fronte alla tomba di Guido, con incisa l’iscrizione di Paolo Diacono, in latino,
dalla quale Guido ha preso la denominazione delle note: “Affinché possano cantare con voci libere le
meraviglie delle tue azioni i tuoi servi, cancella il peccato del loro labbro contaminato, o San Giovanni”.
La tomba è vuota, scavata di fresco. Un giovane monaco si avvicina, le vuole scacciare con una scopa.
“Cerchiamo Guido e nient’altro” dice Eleysia. “E’ partito da pochi minuti”, dice il monaco. “Ha l’animo
troppo inquieto per morire in un posto solo.” Guido ed i suoi giovani discepoli sono in viaggio, dietro
un carro di legname. Eleysia e Mathelda al galoppo, si lanciano all’inseguimento. Il carro non può fermarsi: troppo pericoloso per un vecchio morente. Le lacrime di Eleysia si congelano, il suo sguardo si
incrocia con quello del monaco. Eleysia e Mathelda si dicono addio. Eleysia lancia Mathelda sul carro,
la affida al vecchio monaco. Il cavallo rallenta, il carro del monaco continua la sua corsa fino a sparire
nella tempesta.
[EPILOGO] Eleysia si accampa, accende un fuoco, si addormenta cantando. Il monocordo rotto alimenta il fuoco.
Le quattro strisce si assottigliano, pagina dopo pagina, fino a diventare i quattro righi del tetragramma.
(pagg 40-48)
Fine
Guido Aretino
Sceneggiatura
TAV 1
Quattro strisce.
Campagna toscana. Primavera del 1011 d.C., prima mattina.
1.1
Campo lungo. Una ragazzina di otto/nove anni, seduta all’ombra di un grosso albero, è china su una
pergamena srotolata sulle sue ginocchia. Altre decine di pergamene, ancora arrotolate, la circondano e sono appoggiate al tronco dell’albero. A qualche metro, vediamo un giovane monaco che dà le
spalle alla bambina e tiene le dita incrociate dietro la schiena, a contemplare la campagna verde e
incontaminata. In lontananza: la piccola città fortificata di Arezzo. La bambina si chiama ELEYSIA DI
ALBORORO, il giovane monaco è GUIDO D’AREZZO.
ELEYSIA: Magister…
1.2
Inq in diagonale dall’alto di Eleysia che si rivolge a Guido sbuffando, il visino stanco, indispettito, innervosito. In EXT FG qualche foglia scura trema per il vento sottile.
ELEYSIA: …magister, ve ne prego…non ce la faccio…sono troppi…ho pregato la Madonna, la prego
da sedici notti, come ha detto mio papà, così che almeno lei mi dia un po’ d’aiuto…
LEGATO ELEYSIA: Io…io non riesco a ricordarmi tutti questi canti, non posso, sono troppi, troppo
lunghi…ho fatto anche due fioretti, così Lei mi ascolterà! Magister…
1.3
Camera dietro Guido, preso in MB, quasi una soggettiva zoomata di Eleysia. Guido guarda il cielo con
qualche piccola nuvola strappata e qualche rondine che lo attraversa. Silenzio.
1.4
In FG Guido in PP largo, tagliato sotto gli occhi, che, nella stessa posizione di 1.2, parla dando le spalle
ad Eleysia, quasi sorridendo. In BG: Eleysia si appoggia con i gomiti alle ginocchia, piegando tutta la
pergamena.
GUIDO: Quindi la Santa Madre ci ascolterebbe solo dopo una magica ritualità, quasi come se la luna
brillasse su di noi perché il sole le lascia il posto con riluttante gentilezza?
TAV 2
Sei vignette.
2.1
Striscia. Controcampo. Eleysia in FG e silhouette, Guido si avvicina all’albero, sta per entrare nel cono
d’ombra. Più oltre, in BG, le rondini continuano a volare.
GUIDO: No, piccola. La luna prende il posto che le spetta, e lo prende ingannando il sole, il quale crede di rincorrere il bianco lume ed invece viene inseguito. La luna inganna il sole per illuminarci, e lo fa
perché sceglie di farlo.
LEGATO: Così ha voluto Nostro Signore. Così come ha voluto tuo padre un sudicio bifolco, Eleysia di
Albororo, e la mia pazienza ancor più limitata della tua mente. Credimi. E tanto il primo limite quanto il
secondo dovranno essere superati, o meglio ancora…
2.2
Stretta. PP di Eleysia, a testa bassa.
ELEYSIA: …ingannati?
2.3
Camera su una piccola rondine che cinguetta appollaiata su un ramo dell’albero, ad un paio di metri da
Eleysia e Guido. La rondine cinguetta (graficamente) in scrittura neumatica (notazione pre-guidoniana).
2.4
PPP della bocca di Guido, che fischietta, ripetendo il verso della rondine.
2.5
Striscia. Inq in diagonale dall’alto. Guido si siede accanto ad Eleysia, si appoggia al tronco, prende la
pergamena dalle ginocchia della bambina e comincia ad arrotolarla.
GUIDO: Come la luna inganna il sole, brava.
ELEYSIA: Ma…io non capisco, magister…
LEGATO GUIDO: Non capisci ma non dimenticherai, piccola. La strada percorsa non è più importante
dell’obbiettivo raggiunto. O ricordare mille canti non è più improbabile di ricordarne cento. Non c’è limite, in questo, né differenza. Neanche un po’.
2.6
Striscia. Soggettiva di Eleysia: profilo di Guido che, un po’ curvo e pensieroso, un po’ rivolto verso la
campagna e verso Arezzo (che scorgiamo in lontananza, come in 1.1), stringe forte la pergamena,
quasi la voglia spezzare. Ombre pesanti sopra di lui.
(L’immagine dà l’impressione di un ricordo fulmineo, un flash dalla memoria di Eleysia, e al contempo
è simbolica, rispetto all’intera vita di Guido, ed è di aggancio con 3.1)
GUIDO: L’unica differenza che conta è quella fra ricordare e non dimenticare.
DIDA: Dimenticare è facile, magister.
TAV 3
Sette vignette. Fra le strisce 3.1+3.2 e 3.3 lasceremo più spazio per scrivere il titolo del capitolo: “I - Ut
queant laxis”
St. Maur de Fosses (nei pressi di Parigi). Inverno del 1049 d.C.
3.1
Stretta. Una mano di donna impugna un bastone intarsiato, grosso e minaccioso. Il bastone si sta muovendo nell’aria, fendendo i piccoli fiocchi di neve che cadono.
DIDA: Tanto quanto lasciare che Dio scivoli via dal mio cuore fin sulla punta delle dita.
3.2
Zoom out. Il bastone colpisce il volto di una guardia, incappucciata e armata di spada, che si rigira a
favore di camera. Il sangue si sparge tutt’intorno.
DIDA: Dita vecchie come rami secchi, che in questi attimi stringono una penna nera d’inchiostro.
DIDA: Dita che in passato hanno stretto ben più oscuri arnesi…
3.3
Striscia. Inq in diagonale dall’alto: la donna, incappucciata, sta in piedi in mezzo a sei guardie armate,
svenute, affondate nella neve. La donna ripone il bastone dentro la cintura, sotto il mantello, mentre i
fiocchi di neve cadono sulle guardie e cominciano a ricoprirli.
DIDA: …e sparso ben più dolorose gocce.
3.4
Striscia. Campo lungo, camera dietro la figura che si sta togliendo il cappuccio. In BG l’abbazia di St.
Maur des Fosses si erge oscura, enorme e fredda in mezzo al bianco: da un paio di comignoli esce
fumo.
DIDA: Dita che hanno teso corde e indicato meraviglie.
3.5
Larga. PP di Eleysia, cinquant’anni, presa un po’ dal basso. Ha la pelle di cuoio di chi ha vissuto una
vita dura, la vita dei campi, e lo sguardo determinato. Ha trovato ciò che cerca, ma non per questo si
dà pace: un po’ la storia della sua vita.
DIDA: Dita che hanno contato attimi veloci come serpi e saggiato corpi fiaccati dalla vita e dall’amore.
3.6
Stretta. FI di Eleysia, presa di spalle, che cammina per un corridoio buio dell’abbazia: ha appena salito
qualche rampa di una scala a
chiocciola. In BG, oltre Eleysia, dopo alcune porte chiuse, vediamo una porta semiaperta da cui filtra
la luce di una candela.
DIDA: Dita che hanno distribuito morte e musica, tali che nessuno potesse ignorarle.
3.7
Stretta. PA di Eleysia che apre la porta con la punta del bastone e sbircia all’interno con sguardo interrogativo. Una lama di luce le illumina parte del volto.
DIDA: Dita stanche, che hanno aperto porte chiuse dalle lacrime…
TAV 4
Otto vignette.
4.1
Camera sul piccolo letto di legno della cella. MATHELDA DEL BORGO, bambina di undici anni, è
raggomitolata su se stessa: trema, suda, ha la febbre alta. Su di lei un giusto le vesti e un cencio striminzito, neanche una coperta o un cuscino. I capelli, rossi, lunghissimi e ricci, sparsi intorno a lei. La
piccola cella è illuminata da un paio di candele poste sopra un ripiano, accanto al letto: una folata di
riscontro spegne una delle candele. Sopra il ripiano: un piccola finestrella sbarrata, dietro la quale la
neve continua a cadere.
DIDA:…e riaperte dal vento.
4.2
La mano di Eleysia si avvicina e scosta i capelli appiccicati al volto sudato di Mathelda.
4.3
Zoom out. In FG vediamo la figura massiccia, in ombra, di un anziano e oscuro MONACO benedettino,
seminascosto in una piccola cupola. In BG, Eleysia punta rapidamente il bastone verso l’anfratto buio
da cui viene la voce.
MONACO: Portala via o la uccidiamo. Diavolessa.
4.4
Controcampo. In FG vediamo Mathelda di profilo che soffre per la febbre. Dietro di lei, Eleysia si avvicina al monaco, bastone pronto a scattare. In BG il monaco si agita e si ritrae, come se volesse fare
qualcosa ma il terrore cieco lo bloccasse.
ELEYSIA: Come dici, monaco?
MONACO: Diavolessa. Demone. Portala via o la smembriamo. Diavolessa. Due cavalli, quattro funi e
via. Bambina o no, il guscio è l’involucro del Male. Diavolessa maledetta di Dio. Sgualdrina del Demonio.
4.5
Eleysia si avventa sul monaco, lo spinge al muro e gli preme la punta del bastone sulla gola. Entrambi
si urlano in faccia.
ELEYSIA: Avresti il coraggio di smembrare una bambina, vecchio mucchio di sterco! Lo faresti, vero?
MONACO: Diavolessa infame pure te! Meretrice di merda! Da quando ella è giunta le campane non
suonano più, per quanto forte vengano sbattute! E le candele non illuminano, per quanto a lungo le si
facciano ardere!
4.6
PPp di Mathelda che soffre per la febbre, si morde il labbro inferiore con i denti.
FC: Ci sono i denti del demonio su questo pane!
4.7
Eleysia, sempre tenendo il bastone sulla gola del monaco, si avvicina a lui. Sguardo incazzato, non ci
metterebbe niente e lacerargli la carotide, ma si trattiene.
ELEYSIA: Invece che sputare idiozie, schifoso mangiarane, vedi di ascoltarmi: ti porto via la piccola
indemoniata, bene, ma in cambio dammi qualcosa. Cerco l’Aretino.
4.8
PP del monaco, furioso, lo sguardo stralunato e perso nel passato.
MONACO: Chi l’avrebbe detto, diavoli che cercano diavoli! Che tu possa bruciare pezzo per pezzo,
scrofa!
Benvenuto Cellini
Soggetto
Firenze, 13 Febbraio 1571.
Benvenuto Cellini, anziano e malato, disteso sul suo letto. Nascosti dalla semioscurità della stanza
illuminata dalle candele, i pochi parenti che lo assistono. Benvenuto non parla con loro, è come se non
li vedesse e sentisse neppure.
Davanti a lui, poco alla volta, i suoi pensieri, le sue paure ed i suoi ricordi, prendono forma.
“Appaiono”, sotto forma di allucinazioni, le persone a cui Benvenuto, durante la sua vita da arrogante
e violento, ha causato sofferenza.
Vede, in un crescendo di spaventose visioni, le sue statue che lo rimproverano e lo accusano, gli riportano alla mente episodi della sua vita che lo hanno segnato, come gli omicidi commessi, gli anni di
prigionia e le varie risse. Ma lo chiamano anche a loro, lo seducono con la loro mai mutata bellezza.
C’è anche Cecchino, suo fratello e compagno di risse.
È lui, in particolare, a porgli le domande che più affliggono una persona in punto di morte: se crede di
essere stato felice e se è pentito della sofferenza che ha causato.
Benvenuto agonizza, soffre terribilmente, sul suo volto si legge quello che agli occhi dei parenti appare
come il dolore causato dalla malattia, ma che solo noi sappiamo essere altro.
Infine la sua espressione si distende, quasi sorride. Davanti ai suoi occhi si è manifestata la sua opera
più grande, in tutta la sua bellezza e perfezione: il Perseo.
Estasiato da tanta magnificenza ricorda la sua estenuante creazione (fu il lavoro più duro e lungo da
realizzare, che gli causò diverse febbri). L’incontro con il Perseo in carne ed ossa: un ragazzo la cui
bellezza, a cui non seppe resistere, gli costò infamia, vergogna e l’esilio.
Poi Perseo alza la spada su di lui, fissandolo freddamente.
Benvenuto ha soltanto un attimo per chiedere perdono, prima che la spada si abbatta su di lui, trafiggendolo a morte.
Percorriamo adesso le strade di Firenze fino alla piazza dove riposa il Perseo, fiero sul suo piedistallo,
custode di ciò che Benvenuto ha donato per espiare le sue colpe, l’unica cosa che possedeva, ancora:
l’ultimo respiro.
(Sulla nuca del Perseo è scolpito un autoritratto del Cellini)
Fine
Benvenuto Cellini
Sceneggiatura
Benvenuto Cellini
Sceneggiatura
-
Tav. da 1 a 9
Sintassi
Siamo nella camera del Cellini.
Lui è disteso sul letto, vecchio e morente.
Intorno a lui i parenti sembrano solo sagome di un teatro, atmosfera aiutata anche dalle molte
candele.
Sul letto cominciano a cadere monete, quelle che Cellini incideva da ragazzo.
Dall’oscurità dietro i parenti sbuca fuori il vecchio Maestro Orafo, che si avvicina al letto
rimproverando il Cellini per un lavoro mal riuscito, chiamandolo “ragazzo”.
Poi si volta, come a parlare a qualcuno che si sta allontanando, ed infatti, nel buio, è spuntata dal
niente una porta, sulla cui soglia sta un giovane, e dietro la quale si vede la strada di oreficerie del
Ponte Vecchio, illuminata dal sole ed affollata di persone.
Il giovane è il Cellini ragazzo, che si allontana nella strada, ignorando i rimproveri del Maestro.
Seguiamo il giovane, che poco dopo incontra il fratello maggiore, Cecchino.
Per consolarlo dalla brutta giornata lo porta in un’osteria, per bere e mangiare del buon
“companatico”.
Una volta lì e una volta seduti, i due vengono raggiunti da tre loschi individui, uno dei quali si
presenta come Guido Giandonati, un Signore evidentemente irritato con Cecchino, per non si sa
quali affari.
Cecchino lo riconosce, poco felice della cosa. I due si “insultano” e Cecchino aggredisce Giandonati,
versandogli la zuppa bollente in viso.
Uno degli amici dell’aggredito si scaglia contro Cecchino e Benvenuto lo atterra con un pugno.
Sullo sfondo di una Siena deserta ed avvolta nella nebbia, si odono le parole dell’editto che impone a
Benvenuto di allontanarsi fino a nuovo ordine dalla città di Firenze.
Per le strade intravediamo una sagoma. È un cervo, che avanza verso la camera fino ad essere
tanto vicino da annusarla.
È a questo punto che torniamo nella camera del Cellini vecchio. Il cervo è vicino a lui e lo annusa
curioso. Lui è evidentemente atterrito.
Dall’oscurità della stanza si affaccia un’altra figura, la Ninfa di Fontainbleau, un’opera del Cellini
stesso, con il suo vaso in braccio.
Si avvicina a lui, carezza il cervo e poi versa il contenuto del vaso sul letto del vecchio: è sangue.
(in seguito faremo capire che è tutto il sangue di cui il Cellini si è macchiato nella sua vita.)
Tavola 1
1.1
Striscia grande.
Esterno tramonto – Firenze vista dall’alto.
Qualche piccione vola basso.
1.2
Striscia.
Strade di Firenze – pochissime persone per la strada.
Piccioni che volano.
1.3
Striscia di due vignette.
Questa è la più grande.
Strada di Firenze, da cui si vede bene un edificio.
Piccione che vola in quella direzione.
1.4
Vignetta più piccola.
Finestra dell’edificio, su cui il piccione si posa.
Tavola 2
2.1
Striscia di tre vignette.
Interno – luce fioca delle candele.
PP due o tre candele (poggiano su un candelabro) (enfatizzale molto
con belle colate di cera)
Poco più indietro la finestra con le tende tirate. (se riesci fai
uno spiraglio da cui si vede il piccione)
2.2
Queste due vignette hanno quasi le stesse dimensioni.
Forse la 2.3 può essere quella leggermente più piccola.
PP una o due candele.
Sullo sfondo, vicino alla fiestra, ci sono alcuni parenti seduti col capo chino.
Sono seminascosti dal buio, si distinguono solo le sagome.
Non si vedono i volti e soprattutto dietro di loro non si deve distinguere alcun muro, sembra che
spuntino dal buio.
Deve essere una scena molto teatrale, come se le candele fossero vere, mentre i parenti sono dipinti
sulla scenografia.
2.3
PP candele.
Subito dietro Cellini sdraiato sul letto di profilo.
Dietro di lui ancora candele.
Sullo sfondo la finestra.
2.4
Striscia di quattro vignette.
Questa è la più grande.
PP profilo di Cellini col volto sofferente dalla malattia.
Sullo sfondo sempre le candele.
2.5
Sulla mano del Cellini cade una vecchia moneta.
2.6
PP mano del Cellini che prende la moneta.
2.7
PPP testa del Cellini (come se la camera fosse al centro della
testata)
Si avvicina la moneta al viso per vederla.
Tavola 3
3.1
Striscia di due vignette.
Questa è la più piccola.
PP cellini spaventato.
PPP davanti a lui mano che regge la moneta.
3.2
PA Cellini steso sul letto con aria terrorizzata.
In mano regge ancora la moneta.
Sopra di lui una pioggia di monete.
Intorno a lui le candele
3.3
Striscia.
Camera idealmente poggiata sul comodino.
FI del Cellini.
Sul letto tutte le monete.
Intorno sempre le candele.
Sullo sfondo i soliti parenti nella stessa identica posizione.
VFC “BENVENUTO!”
VFC “BENVENUTO!”
(la VFC proviene dall’oscurità dietro i parenti)
3.4
Striscia di tre vignette.
PPP piedi del Cellini (sul letto sempre le monete)
Sullo sfondo, dietro ai parenti, si intravede una figura uscire dall’oscurità (è il Maestro Orafo).
MAESTRO “RAGAZZO! DOVE DIAMINE SEI?”
3.5
PPP la mano del Maestro che mostra una moneta.
Sotto di essa il volto terrorizzato del Cellini, circondato da monete.
MAESTRO “GUARDA QUESTE MONETE!”
3.5
PDV del Cellini.
MB Maestro, arrabbiato, proteso verso di lui prende una manciata di monete dal letto.
MAESTRO “SONO TUTTE SBAGLIATE! TUTTE! GUARDA QESTE INCISIONI!
DOVRAI RIFARLE DOMANI!”
Tavola 4
4.1
Striscia di tre vignette.
MB Maesro girato verso la camera (dà le spalle al Cellini).
Stringe ancora le monete nel pugno.
MAESTRO “…”
Dietro di lui il Cellini con la faccia atterrita.
4.2
PDV del Cellini.
PPP candele
Dietro, poco distante dal letto, il Maestro di spalle con un pugno alzato, grida.
MAESTRO “VAI, VAI!”
Sullo sfondo i parenti in ombra e, dietro di loro, in mezzo all’oscurità (da dove era spuntato prima il
Maestro) una porta affacciata sul Ponte Vecchio e, di profilo, in procinto di uscire, la siluette di un
ragazzo giovane e magro (è il Cellini 16enne).
4.3
MB Cellini ragazzo sulla porta.
“subisce” l’effetto delle luci, quindi avrà la faccia più in ombra, visto che la luce arriva dalla porta.
Fuori dalla porta è giorno, si vede il Ponte Vecchio, con persone e negozi.
MAESTRO VFC
“MA DOMANI DOVRAI ESSERE QUI PRIMA DELL’ALBA!”
4.4
Striscia.
Esterno giorno.
Ponte Vecchio.
Da un lato la porta da cui si intravede, molto in ombra, la stanza del Cellini morente.
Ne esce il giovane Cellini, con aria superiore, che si allontana dal negozio.
Intorno a lui si vedono varie persone che passeggiano e parlano.
MAESTRO VFC
“E TI CONVIENE FARE UN BUON LAVORO STAVOLTA!”
4.5
Striscia.
Ponte Vecchio molto affollato, botteghe aperte.
MB Cellini giovane sempre con la sua aria superiore che cammina in direzione della camera.
Andrea Orcagna
Soggetto
PREMESSA
Come per altri personaggi dell’epoca, anche su Orcagna ci sono poche informazioni biografiche. Sappiamo che era il più famoso di una famiglia di artisti – aveva altri quattro fratelli, di cui tre erano rinomati
pittori, scultori e architetti – sappiamo che per qualche anno ha vissuto a Urbino, che ha lavorato a Pisa
e che è nato e morto a Firenze: oltre a questo, poco altro. Le sue opere parlano per lui insomma, se
non fosse che le opere stesse non sono state tanto fortunate: alcune divorate dall’usura dei materiali,
altre sostituite da affreschi più recenti, altre falsamente attribuite, fatto sta che l’unico grande lavoro di
Orcagna tuttora intatto (escluso un polittico a Santa Maria Novella) è il tabernacolo di Orsanmichele.
Nonostante questo, a metà ‘300 era il più celebre artista fiorentino; certo, subito dopo di lui sono arrivati Donatello, Michelangelo e tutta la schiera dei fenomeni rinascimentali, ma che ci si sia scordati
così presto di Orcagna – praticamente conosciuto solo dagli esperti del settore, e della cui vita ormai
non si sa quasi nulla – è motivo di riflessione: quanto tempo passerà prima che anche Michelangelo
trovi il “suo” Michelangelo (l’artista che lo metterà in ombra), quanti secoli o millenni passeranno prima
che l’unico a essere ricordato sarà Leonardo? Che senso ha vivere per l’immortalità, se smettiamo di
analizzare gli eventi da una prospettiva temporale strettamente umana? E soprattutto, se il più famoso
pittore fiorentino di metà ‘300 è stato quasi dimenticato, le vite di tutti gli sconosciuti che muoiono ogni
giorno, che valore hanno?
Attraverso l’incontro con le opere di Orcagna quindi, senza fantasticare troppo su episodi biografici
diversi dai pochi conosciuti, i protagonisti della storia si rapportano col valore della vita, della memoria
e, soprattutto, del tempo.
PROTAGONISTI
Persefone
Studentessa fiorentina all’Accademia di Belle Arti, sta scrivendo una relazione su Orcagna. Non dipinge bene, la sua ambizione è insegnare. La sera lavora come cameriera in un pub per finanziarsi gli
studi.
Si chiama così perché sua madre è appassionata di storia greca, oltre a essere docente universitaria.
Suo padre vive lontano, si è risposato con un’altra donna perché non accettava le ambizioni professionali della moglie: tutti questi avvenimenti, uniti alla sua intelligenza, hanno fatto di Persefone una
ragazza femminista, curiosa, colta e indipendente.
Raffaele
È in viaggio a Firenze per ammirare i capolavori del rinascimento. Talentuoso illustratore/pittore, non
ha alcuna preparazione accademica o coscienza artistica: accetta qualsiasi lavoro che gli permetta
di vivere disegnando o dipingendo. Non ha alcun “rispetto” per la storia, il suo giudizio sui pittori del
passato è basato sul semplice istinto, quindi le sue opinioni appaiono spesso ingenue – e a volte lo
sono. Nella sua famiglia sono tutti operai, e anche lui lo è stato per qualche anno; anche per questo i
suoi modi sono semplici, tutt’altro che borghesi, è una persona genuina. Beve molto spesso, ma non è
alcolizzato, ed è abbastanza esibizionista – gli piace disegnare in pubblico, ad esempio.
SOGGETTO
La storia si apre con la tradizionale figura della morte: un teschio coperto da un manto nero, incappucciato e con la falce in mano. In un contesto medievale, plana da una valle all’altra a rescindere vite:
contadini, nobili, artisti, re. Mentre tiene per il bavero un pittore, pronta a tagliargli la testa, la morte si
accorge che qualcuno sta osservando, e si dirige a grandi passi verso la “macchina da presa”: quando
sta per colpire, Raffaele (in viaggio a Firenze, epoca contemporanea) si sveglia in preda al panico. È
stato un incubo, ma ormai è agitato: non sono ancora le due, la birra nel frigobar è finita (dorme in al-
bergo), quindi esce in cerca di un pub nella solitudine della notte fiorentina. Trova un locale aperto poco
dopo: la gente non è molta, si mette seduto in un angolino. Quando vengono a prendere l’ordinazione
chiede una Guinness e delle patatine, ma la sua attenzione è catturata soprattutto dalla cameriera:
bionda, alta e molta carina, non può esimersi dal ritrarla utilizzando la tovaglietta di carta paglia come
foglio.
Lei si accorge e, visto che i clienti sono pochi, ha il tempo di sedersi di fronte a lui: i due fanno una breve chiacchierata e, alla fine del dialogo, dopo essersi presentati, si danno appuntamento per il giorno
dopo. Quando Raffaele esce, la nostra attenzione resta su Persefone, la cameriera. Spazza, pulisce il
locale e torna al suo appartamento, dove l’aspetta una relazione universitaria su Orcagna; è abituata
a scrivere durante la notte, e sta approntando gli ultimi ritocchi al saggio. Mentre rilegge il testo, che
tratta la figura del pittore in modo sintetico ma completo, le immagini del fumetto rendono vive le varie
scene: Orcagna capomastro a Urbino e Orsanmichele (dove ha realizzato rispettivamente mosaici e
tabernacolo), primo tra tanti fratelli, quasi tutti artisti (da qui varie incomprensioni sull’attribuzione delle
opere, ad esempio le Logge della Signoria); Orcagna a Firenze dopo aver realizzato alcune opere
(Cristo in Trono e Santi e gli affreschi a Santa Maria Novella, il Trionfo della Morte a Santa Croce); lo
stesso artista, considerato un anticipatore del rinascimento per la sua interdisciplinarità, che scrive una
poesia. Una volta finito di rileggere, dà un’ultima occhiata al ritratto che le ha fatto Raffaele e va a letto.
Il giorno dopo i due si incontrano per pranzare insieme, in una pizzeria in centro. Al contrario della sera
precedente, in cui era stato soprattutto Raffaele a parlare (tipica logorrea da Guinness), questa volta si
fanno vicendevolmente domande sulle loro vite, così scopriamo che Persefone è appassionata d’arte
e punta a diventare una professoressa, se possibile universitaria (come la madre); Raffaele invece le
racconta del suo viaggio in Umbria e Toscana alla scoperta degli artisti rinascimentali. Lei dopo pranzo
deve andare a Santa Croce a guardare un affresco, così lo invita a seguirla. L’opera che Persefone
vuole ammirare è l’ultimo frammento intatto del Trionfo della Morte di Orcagna; a Raffaele sembra di
averlo già visto da qualche parte (è l’incubo che ha fatto la sera prima, ci sono dei personaggi in comune, ma non riesce a effettuare il collegamento). Quando lei lo informa che è di Orcagna, lui risponde
senza vergogna di non conoscerlo. A questo punto, mentre Persefone parla dell’artista, le immagini
del fumetto seguono il suo discorso, utilizzandolo come didascalia. Lei inizia sostenendo che mentre
era in vita, cioè a metà ‘300, Orcagna era il più importante e famoso autore fiorentino, e questo lavoro è quello che, oggi, lo rappresenta meglio. Il Trionfo della Morte è una tipologia di affresco, in voga
soprattutto durante il medioevo (a causa della peste), volta a sottolineare la caducità della vita umana
– di qualsiasi vita umana: in queste opere la morte trancia tutti, senza distinzioni sociali o economiche,
tantomeno artistiche. Era un invito a mantenere una ferrea condotta morale, perché la morte era (è)
dietro l’angolo, e l’aldilà, al contrario della vita terrena, sarebbe durato per sempre. L’alluvione che ha
danneggiato l’affresco di Orcagna sembra un commento postmoderno all’opera stessa: avendo già distrutto tutto, persone e cose, la morte annienta anche se stessa... e la fama del pittore. E pensare che
questo lavoro aveva anche ispirato – pare - il sublime Totentanz di Liszt: quanto tempo passerà prima
che tutta la nostra società faccia la fine di Orcagna e del suo affresco? Tra qualche millennio forse sarà
ricordato solo Leonardo, e spostandoci ancora di più in là, allontanandoci da uno spettro temporale a
misura d’uomo, probabilmente sarà scordato anche lui.
Persefone adesso cita Faulkner, mentre le immagini, sempre accompagnate dalle didascalie, tornano
di nuovo su loro due che, baciandosi, entrano nella stanza d’albergo di Raffaele: “il passato non è morto e sepolto. In realtà non è neppure passato”. Esiste soltanto il presente, che senza sosta sovrascrive
se stesso. Il Trionfo della Morte è perfetto nel mostrare la realtà, ma errato nelle finalità: data la brevità
dell’esistenza, poco senso ha affrontarla pensando all’immortalità, artistica o religiosa: meglio godersela appieno. E così, mentre i due si divertono in camera, la pagina finale è per Orcagna: sorridente e
felice, circondato da un folla entusiasta all’inaugurazione del suo più recente lavoro, uno splendente,
intatto e superbo Trionfo della Morte.
Fine
Andrea Orcagna
Sceneggiatura
TAVOLA 1
La pagina è composta da quattro strisce della stessa dimensione.
1
Panoramica di un piccolo villaggio medievale che sorge alle estremità di un bosco; distante, sulle
colline, troneggia un castello.
Sulla sinistra, di quinta, un’oscura figura avvolta in un mantello – a cavallo – si dirige verso il villaggio.
Sta sorgendo la luna.
2
L’inquadratura si avvicina al villaggio: le case sono rurali, dei contadini stanno ancora lavorando sui
campi fuori dalle abitazioni.
3
Campo medio: uno dei contadini (sguardo rivolto a sinistra) si poggia a perso morto sulla sua pala,
esausto. Sullo sfondo, gli altri continuano a lavorare.
4
Primo piano dello stesso contadino di prima, che ha visto qualcosa e ora guarda fisso verso la
macchina da presa, spaventato e stupito.
TAVOLA 2
Pagina divisa in tre strisce di egual misura. La seconda striscia è composta da quattro colonne.
1
Sulla sinistra, inquadrato da dietro, il contadino lascia cadere la pala, sorpreso: di fronte a lui,
attorniata dalle nubi, si presenta (a figura intera, ancora un po’ distante) la morte, a cavallo. La
rappresentazione classica: teschio, mantello nero e falce. L’equino è scuro e privo d’espressione, gli
occhi completamente bianchi.
2
Primo piano della morte: anche il teschio, come il suo cavallo, non esprime alcuna emozione.
3
Inquadratura ravvicinata del braccio destro della morte, che impugna la falce: si solleva, pronto a
colpire.
4
Mezzo busto frontale del contadino, la cui testa viene recisa (l’espressione del volto è ancora stupita).
La morte, di quinta, porta il colpo da sinistra verso destra.
5
Il cavallo riprende la corsa, verso la prossima vittima: inquadratura frontale, la morte galoppa verso la
macchina da presa.
6
Inquadratura laterale, l’effetto è quasi di bidimensionalità: sulla sinistra tre corpi cadenti (uno di
donna), le cui teste sono state appena mozzate; sulla destra, in corsa, col sangue che schizza via
dalla falce, la morte prosegue il suo cammino verso il castello.
DIDA1 (a sinistra, sopra i corpi decapitati): Danzano
DIDA2 (a destra, sopra il cavallo): Sulle fievoli colline
PAGINA 3
Pagina suddivisa in quattro strisce della stessa altezza.
La seconda striscia è composta da due vignette, di cui quella a sinistra (la vignetta numero 2, quindi)
occupa tre quarti dello spazio a disposizione.
La terza striscia è divisa anch’essa in due parti, in questo caso della stessa dimensione.
La quarta invece è composta da tre vignette della stessa larghezza.
1
In primo piano, sulla sinistra, due visi guardano preoccupati la morte, che si sta avvicinando (seppur
ancora abbastanza lontana: si vede, a figura intera, sullo sfondo; sta decapitando un cavaliere).
Questi due visi sono tratti dal “Trionfo della Morte” di Orcagna, un affresco a Santa Croce: sono
facilmente individuabili perché fanno parte di una delle ultime sezioni intatte dell’opera.
Oltre al cavaliere che viene decapitato in questa vignetta, a terra, più distanti, ci sono i corpi di altre
persone appena uccise. Il manto erboso di prima è stato sostituito da uno stradello di pietra, e dagli
abiti si intuisce che le vittime non sono più contadini, ma nobili e cavalieri: la morte si sta avvicinando
al castello.
DIDA1: Elettrici effluvi di nubi dorate
2
Inquadratura dall’alto: il pavimento – ormai siamo dentro al castello – è ricoperto da cadaveri.
Ce ne sono una decina, senza distinzioni: uomini, donne e bambini, cavalieri, servi e ballerine.
Prevedibilmente, il suolo ospita diverse pozze di sangue (e teste divelte dai corpi).
DIDA1 (in basso a destra): Dormi, sonno
3
Dettaglio: qualcuno sta bevendo vino da un calice dorato. L’inquadratura comprende bocca e parte
del naso, nient’altro.
4
Campo medio: è la persona di prima, lo capiamo perché sta posando sul tavolo il calice. Si tratta
del re, seduto e chiuso nella propria stanza, pensieroso: ha un mantello rosso molto elegante, e la
corona in testa.
L’aspetto è identico a quello di Raffaele, il protagonista della storia.
Sullo sfondo c’è una porta e, a lato, una torcia appesa alla parete.
5
Stessa inquadratura di prima, ma più vicina alla porta... porta che, nel frattempo, si è aperta: sulla
soglia (mezzo busto) c’è la morte, con la falce stabile sulla mano destra. Il cavallo, invece, non è
presente.
DIDA1: Arrivano i ballerini d’ebano.
6
Di quinta si vede ondeggiare il mantello della morte. In lontananza il re si è alzato, e si sta ritraendo,
spaventato.
7
Primo piano della morte, il capo è leggermente abbassato, dalla postura della spalla intuiamo che ha
alzato il braccio destro (quello che regge la falce).
8
Primo piano del re, lo sguardo rivolto verso l’alto: fissa la morte intimorito e sconcertato al contempo.
Sul suo corpo intravediamo l’ombra della falce - proiettata dal fuoco della torcia - sollevata e pronta a
colpire.
PAGINA 4
La tavola è divisa in quattro strisce: la più alta è la terza, le altre tre invece sono della stessa misura.
La seconda è composta da due vignette, con quella a sinistra più larga dell’altra.
1
Primo piano di Raffaele, la testa poggiata sul cuscino: è identico al re.
L’espressione è spaventata, gli occhi spalancati: l’incubo è stato così pauroso e realistico che l’ha
svegliato.
2
Campo medio, si vede tutto il letto: Raffaele è ripiegato su sé stesso, le mani sul volto.
Si trova in una stanza d’albergo che, a giudicare dall’arredamento, sembra di buona qualità.
DIDA1: Merda.
3
Inquadratura ravvicinata, si vede il profilo di Raffaele. Si sta alzando, ma è ancora assonnato.
Sullo sfondo, una finestra da cui si intravede la luna.
DIDA1: Birra.
4
Establishing shot della stanza. Mentre Raffaele, accovacciato, cerca qualcosa dentro il frigobar,
vediamo (oltre al letto, al comodino, una poltrona e altri classici oggetti che possiamo trovare in un
buon albergo) cinque o sei bottiglie vuote (di liquori) lasciate a terra, sulla moquette. Sul cestino –
pieno – ce ne sono altre tre (birra, in questo caso).
DIDA1: Non c’è più niente. Frigobar del cazzo.
5
Dettaglio dell’orologio: Raffaele controlla l’ora.
DIDA1 (sulla sinistra): I liquoretti per fighetti ricchi. Fanculo. La prossima volta ostello e Vodka.
DIDA2 (in basso a destra): Le 2... magari trovo ancora un pub aperto.
Giovanni delle Bande Nere
Soggetto
Mantova, 27 novembre 1526. Siamo nel palazzo di Luigi Gonzaga detto “Rodomonte”, quello che verrà
conosciuto in tempi moderni come “Palazzo Ducale”. Due soldati che indossano le famose insegne a
lutto delle bande di Giovanni De’ Medici sono in una stanza visivamente nervosi, come se qualcosa
di greve pesasse su di loro. Due giorni prima, il 25 novembre 1526, nei pressi di Governolo, un colpo
di Falconetto colpisce Giovanni De’ Medici allo stinco frantumandogli l’osso della gamba. Trasportato
dapprima a San Niccolò Po e poi a Mantova, il medico Abramo, lo stesso che lo aveva curato anni
prima, sta tentando di salvarlo... La situazione non sta migliorando. I due soldati di prima, Liuprando
da Contefreda e Ottone, sono rispettivamente un veterano di tante battaglie che ha accompagnato
Giovanni in tantissime delle sue fulminee azioni e una giovane recluta che proprio con la battaglia di
Governolo aveva avuto il suo battesimo di fuoco. Ottone è atterrito, quello che aveva sempre considerato un capitano di ventura invincibile era stato ferito in maniera gravissima, proprio durante il suo primo giorno di combattimento. Liuprando da Contefreda, cerca di consolare Ottone dicendogli che non
è colpa sua e che Giovanni sta affrontando le normali avversità del campo di battaglia, come tutti gli
uomini d’arme. Ottone si infiamma perché sente sminuita l’enorme figura di Giovanni. Liuprando però
non si scompone, dice che dovrebbe essere invece grato della situazione perché sarà considerato un
veterano senza aver vissuto sul campo di battaglia quello che ha affrontato e di Giovanni si ricorderà
solo le sue imprese attraverso le canzoni dei cantastorie. Ottone però è curioso e chiede spiegazioni.
Liuprando, essendo stato uno dei primi ad unirsi alle “bande “ di Giovanni quando ancora non erano
listate a lutto, inizia a raccontare alcuni dettagli sulla vita di Giovanni, sulle battaglie a cui hanno preso
parte e su tutte le volte che hanno cambiato fazione. In questa sezione la narrazione viene “spezzettata” in tanti piccoli flashback, dipingendo un affresco abbastanza singolare di Giovanni. Ad un certo punto però, il racconto di Liuprando viene interrotto da Abramo, il medico, che entra nella stanza e chiede a
Liuprando e Ottone di andare a chiamare altri otto soldati perché purtroppo deve amputare la gamba di
Giovanni, i salassi non hanno avuto effetto. Improvvisamente entra nella stanza anche Pietro Aretino,
quello che viene considerato il miglior amico di Giovanni, che riferisce ad Abramo di non far chiamare i
soldati perché Giovanni ha detto che “neanco venti mi terrebbero”. Abramo torna indietro mormorando
il nome di Giovanni, quasi in moto di rassegnazione, mentre Pietro Aretino rimane li con loro seduto in
un angolo con le orecchie coperte. La tensione è enorme. In tutta la stanza si sente il silenzio, interrotto
per solo due volte da un grido di Giovanni. Alla fine Abramo entra nella stanza e dice che l’amputazione è andata bene e che Giovanni abbia detto sorridendo “Io sono guarito”. Abramo non condivide la
contentezza di Giovanni e dispensando i due soldati dai loro doveri, aggiunge che adesso la sua sorte
è in mano a Dio. I due soldati escono dal palazzo e si dirigono fuori dalle mura, dove è accampato il
resto delle bande di Giovanni. Liuprando viene immediatamente accerchiato dagli altri soldati che gli
chiedono delle condizioni del loro comandante. Liuprando afferma che Giovanni ha subito l’amputazione della gamba, ma che è sicuro che ce la farà perché di fibra forte e perché è Giovanni De’ Medici.
La sera Ottone, prende in disparte Liuprando e gli chiede perché abbia mentito. Il veterano gli risponde
con quale cuore gli ha chiesto di togliere quel poco di speranza che gli rimane a questi uomini che hanno condiviso così tanto con lui. Nel nebbioso pomeriggio successivo una delle guardie di palazzo viene
a chiedere uno dei loro lettini perché così desidera Giovanni. Liuprando racconta agli altri che Giovanni
ha voluto così per sentirsi vicino a loro. La sera però Ottone trova Liuprando da solo, brillo e con la
bottiglia in mano. Liuprando spiega che Giovanni ha chiesto il lettino perché vuole morire da soldato.
Semplicemente sta perdendo la sua battaglia. Ottone si mette a maledire la stramaledetta arma che
spuntata a sorpresa ha centrato lo stinco di Giovanni e che le armi da fuoco stanno cambiando le cose
troppo velocemente e che alla fine i soldati saranno come i ragazzini che si nascondano dietro i muri
tirandosi le pietre. Liuprando però gli dice che la guerra con qualunque mezzo e modo la si combatte.
Giovanni non ha mai rifiutato le armi da fuoco e i loro archibugi lo provano. Liuprando conclude che
se Giovanni avesse avuto a disposizione qualche altro infernale marchingegno l’avrebbe impiegato
immediatamente e magari avrebbe schiantato lo stinco di qualcun altro. Senza contare le sue tattiche
di guerriglia, così efficaci da essere paragonate a quelle del miglior brigante. Ottone non ci vede più
e salta addosso a Liuprando incominciando una zuffa. Ottone chiede a Liuprando perché gli racconta
quelle cose su Giovanni De’ Medici. Liuprando gli spiega che se stanotte Giovanni muore, le bande
nere moriranno con lui. Che quelle insegne a lutto che tutti indossano in realtà per gli altri soldati non
hanno alcun significato, perché l’unico motivo per cui tutti sono qui sono i soldi e Giovanni stesso. Per
cui preferisce che Ottone, che ha combattuto un solo giorno con Giovanni, conosca anche il Giovanni
visto da chi ci ha combattuto insieme per anni. Perché, secondo il veterano, adesso stanno arrivando i
tempi delle serpi e dei bardi. Liuprando, riprende la sua bottiglia caduta durante la zuffa e se ne va via.
Stacco. Mattina. Liuprando si sveglia un po’ stravolto, appoggiato ad una cassa nell’accampamento.
Ottone piange davanti a lui. Giovanni è morto nella notte, l’amputazione non è servita a nulla. Siamo
nella chiesa di San Francesco, sempre a Mantova, e si sta svolgendo la sepoltura di Giovanni. Tra le
fila dei soldati vediamo Liuprando e Ottone i quali parlottano tra di loro. Ottone ammette che è divertente che uno che si è guadagnato sul campo di battaglia il nome di “Gran Diavolo” sia sepolto in una chiesa. Liuprando però gli dice che quello che si sta svolgendo non è solo il funerale ad un grande Capitano
di Ventura, non solo quello delle sue stesse bande, ma anche quello degli eserciti degli “irregolari”.
Ottone allora si chiede come sarà ricordato in futuro Giovanni De’ Medici. L’immagine si ferma sulla
spada che giace insieme a lui, si trasforma in marmo e appare su, la scritta “Non mi snudare senza
ragione. Non mi impugnare senza valore.”. Vediamo la statua di Giovanni De’ Medici agli Uffizi con i
turisti davanti, vediamo l’armatura di Giovanni De’ Medici allo Stibbert, vediamo una targa di una via di
Firenze che si chiama “Giovanni dalle Bande nere”, vediamo la copertina del DVD del “Mestiere delle
Armi”. Ritorniamo sulla statua di Giovanni De’ Medici agli Uffizi, vediamo gli stessi turisti di prima.
Uno di loro chiede all’altro di chi sia la statua, l’altro risponde consultando una guida turistica che si
tratta di un famoso capitano di ventura. Il turista annuisce ed esorta ad andare a vedere la statua di
Dante Alighieri. La scena si chiude sullo sguardo fiero della statua.
Fine
Giovanni delle Bande Nere
Sceneggiatura
PRESENTAZIONE PERSONAGGI
Liuprando da Contefreda
Liuprando da Contefreda è nella prima metà dei suoi 40 anni. Nel medioevo è considerato un “vecchio”.
E’ un veterano delle Bande Nere e combatte con Giovanni da ancora prima che listasse a lutto le sue
insegne. Ha i capelli brizzolati corti, ma ordinati. Ha una corta barba bianca che dovrebbe nascondere
le cicatrici che ha sulla faccia, le quali in realtà si vedono benissimo visto che su di esse non cresce
barba. Ha il classico aspetto del veterano che la guerra l’ha vissuta fin troppo. Fa parte della fanteria
normale, non degli archibugieri a cavallo.
Ottone
Ottone è poco più di un ragazzino. Non conosciamo bene la sua provenienza, se si tratta di un nobile
rampollo o uno scapestrato che ha avuto la fortuna di potersi unire alle Bande di Giovanni De’ Medici.
Non ho una descrizione precisa da fornirti, ma comunque mi immaginavo che avesse i capelli corti
disordinati e che avesse l’armatura sporca visto la fretta con cui hanno portato Giovanni a Mantova.
Lui rappresenta la mitizzazione della guerra da parte di chi non l’ha realmente vissuta. Fa parte della
fanteria normale, non degli archibugieri a cavallo.
Pietro Aretino
Pietro è il primo personaggio storico che appare in questa storia (Giovanni in Faccia non lo vediamo
mai). Aveva 34 anni quando presenziò al capezzale di Giovanni. Ho deciso di seguire per la sua
descrizione una stampa che lo raffigura. Allego tale stampa al presente file.
Abramo
Altra figura storica realmente esistita. Abramo era il medico che guarì la precedente ferita di Giovanni
delle Bande Nere e che fu richiamato per guarire la ferita allo stinco che gli mandò in cancrena la gamba,
facendolo poi morire di setticemia. Qui dobbiamo stabilire con la ricerca se è stato mai raffigurato,
descritto. E nel caso non lo fosse, com’era agghindato un tipico medico medievale del 16° secolo.
Soldati di una delle bande di Giovanni
Sono i soldati delle Bande di Giovanni De’ Medici. Sulla loro caratterizzazione grafica ti do carta bianca,
basta solo che seguiamo la tipica caratterizzazione dei soldati delle famose “bande”. Sono accampati
fuori dalle mura di Mantova.
SCENEGGIATURA
TAVOLA 1
Questa tavola è composta da 5 strisce. Le strisce sono di altezza variabile, decidi pure te in rapporto
a quanti dettagli vuoi mostrare. Si tratta di una sequenza d’introduzione sul luogo ed il tempo in cui si
svolge la nostra storia, una sorta di soggettiva dove “vaghiamo” nel palazzo fino a che non raggiungiamo
la porta dove risiedono i nostri due personaggi, ovvero Liuprando e Ottone.
Vignetta 1.1
Striscia. Mantova, 1526. Notte. Vediamo una ripresa frontale ¾ dal basso dell’entrata del palazzo
di Luigi Gonzaga, quello che attualmente viene chiamato comunemente “Palazzo Ducale”. Inoltre,
nonostante sia sera, c’è uno strano via vai di truppe e persone e di fiaccole accese per illuminare.
DIDASCALIA 1: MANTOVA, 27 NOVEMBRE 1526.
DIDASCALIA 2: PALAZZO DI LUIGI GONZAGA, DETTO “RODOMONTE”.
Vignetta 1.2
Striscia. Siamo dentro al Palazzo Ducale di Mantova, vediamo alcune truppe a fare la guardia alle
porte oppure di ronda. I dialoghi che stiamo ascoltando non hanno il “braccio” della direzione come se
ci fossero persone fuori inquadratura che parlano, come se fosse chiacchericcio.
DISCORSO 1: MA... ERA DAVVERO...?
DISCORSO 2: CAPRA! NON HAI VEDUTO LE SUE INSEGNE?
Vignetta 1.3
Striscia. Il nostro viaggio dentro il Palazzo Ducale di Mantova prosegue. Saliamo su alcune scale dove
ci sono alcune serve che stanno portando dei cesti pieni di panni puliti. Come prima i dialoghi che
stiamo ascoltando non hanno il “braccio” della direzione come se ci fossero persone fuori inquadratura
che parlano, come se fosse chiacchericcio.
DISCORSO 1: UN MEDICO FORESTO?
DISCORSO 2: SI, SI! ABRAMO SI CHIAMA!
Vignetta 1.4
Striscia. Il nostro viaggio all’interno del Palazzo Ducale di Mantova prosegue in un corridoio molto
lungo e molto ben lavorato, sembra di essere in una parte molto importante del palazzo. (Nota: Si tratta
del corridoio dove nel film “Il mestiere delle armi” Luigi Gonzaga insegue il cane, uscito dalla stanza
dove si trova Giovanni De’ Medici).
DISCORSO 1: OTTONE... QUESTA VOLTA È DAVVERO GRAMA.
DISCORSO 2: MA COSA MAI DITE, MESSER LIUPRANDO?
Vignetta 1.5
Striscia. Il nostro viaggio all’interno del palazzo ducale di Mantova si interrompe davanti ad una porta.
E’ una porta abbastanza logora e non ha alcun segno distintivo. Il corridoio a cui appartiene è quello
della vignetta 1.4.
DISCORSO 1: DICO CHE QUEL MARCHINGEGNO DELLO DIABOLO HA FATTO FIN TROPPO
BENE LO SUO LAVORO.
TAVOLA 2
Questa è una tavola composta di dialoghi. Non c’è molta azione per cui dobbiamo giocare il più possibile
sulla posizione della “telecamera” e della “regia”. Io ti darò delle indicazioni, ma se ritieni di avere delle
soluzioni che ti sembrano più valide, proponi pure. La composizione delle vignette che mi immaginavo
era la seguente. Striscia (Vignetta 2.1), tre vignette su una unica striscia (Vignetta 2.2, 2.3 e 2.4) e una
terza striscia composta di due vignette (Vignetta 2.5 e 2.6).
Vignetta 2.1
Striscia. Siamo dentro la stanza di cui avevamo visto solo la porta nella Vignetta 1.5. Si tratta di una
stanza abbastanza spoglia del Palazzo Ducale di Mantova. E’ una stanza con una porta di ingresso
(quella della vignetta 1.5), una porta di lato che dà alla stanza dove riposa Giovanni Dè Medici. La
stanza ha un camino acceso, un tavolo e due sedie e difronte alla porta di ingresso due finestre chiuse.
E’ buio fuori e non vediamo dove danno. Sul tavolo ci sono alcune cose. Una braccoa con del vino,
due coppe e un vassoio con alcuna frutta secca ed altre cose. Il perché di questo rifocillamento sarà
spiegato più in là nella storia. Liuprando ed Ottone sono nella stanza. L’illuminazione nella stanza è
data da alcune candele, già con il moccolo, accese per la stanza. Liuprando seduto su una sedia, l’altro
in piedi palesemente nervoso. L’inquadratura è un po’ allargata in modo da mostrare i due soldati e
parte della stanza.
OTTONE: MESSER LIUPRANDO, CODESTI DISCORSI...
Vignetta 2.2
Vignetta stretta. Qui inquadriamo Liuprando che si batte la mano sul petto, come a dire “amico, dai
retta a me”. Dato che guarda verso Ottone, mi immaginavo un’inquadratura stile ¾.
LIUPRANDO: OTTONE, FA PARLARE UN VECCHIO CHE HA VISTO PIÙ PUGNE CHE SAGRE DE
PAESE.
Vignetta 2.3
Vignetta stretta. Controcampo della vignetta precedente, in primo piano c’è parte di Liuprando, in
secondo piano vediamo Ottone sempre in piedi.
LIUPRANDO: L’OMO È FATTO DI CARNE E SANGUE, E QUANDO LO SANGUE DEVENTA
CATTIVO...
Vignetta 2.4
Vignetta stretta. Adesso siamo su Ottone, che ha interrotto Liuprando e continuato il suo discorso con
il proprio.
OTTONE: ...PER QUESTO ESISTONO LI MEDICI, NO?
Vignetta 2.5
Vignetta normale. Ottone continua a parlare a Liuprando, parla della cosa che sta dicendo in modo
naturale. L’uso dei salassi e delle sanguisughe / mignatte era una pratica comune all’epoca.
OTTONE: SE LO SANGUE DEVENTA CATTIVO SI FA UN SALASSO.
Vignetta 2.6
Vignetta normale. Liuprando seduto sulla sedia, flette il braccio destro con il pugno chiuso e lo guarda,
come se stesse parlando a se stesso più che a Ottone.
LIUPRANDO: MIO GIOVINE, DAREI ANCHE UN BRACCIO DE LI MIEI PUR D’AVER LO TUO
STESSO FOCO...
TAVOLA 3
Questa è una tavola prettamente discorsiva. Non c’è molta azione per cui dobbiamo giocare il più
possibile sulla posizione della “telecamera” e sulla “regia”. Io di darò delle indicazioni, ma se ritieni di
avere delle soluzioni che ti sembrano più valide, proponi proponi e ancora proponi. La composizione
delle vignette che mi immaginavo era la seguente. Due vignette su una unica striscia (Vignetta 3.1 e
3.2), una seconda striscia composta da due vignette normali (Vignetta 3.3 e 3.4) e una terza striscia
composta da una striscia (Vignetta 3.5).
Vignetta 3.1
Vignetta stretta. L’inquadratura è quasi la stessa della Vignetta 2.6, questa volta però Liuprando non
flette più il braccio, l’ha rimesso sulla gamba e guarda in basso come se adesso la consapevolezza di
essere soltanto un mercenario spento l’abbia assalito.
LIUPRANDO: ...MA DENTRO DI ME C’È SOLAMENTE LA CENERE.
Vignetta 3.2
Vignetta più larga. Ottone sta tentanto di tirare su il morale di Liuprando, che sembra davvero molto
demoralizzato.
OTTONE: ORSÙ! SON SICURO CHE LA PROVVIDENZA LÌ SARÀ ANCORA AMICA. GRAZIE
ALL’AIUTO DI DIO E DE LO MEDICO CE LA FARÀ.
Vignetta 3.3
Vignetta normale. Liuprando indica Ottone con il dito, come se stesse tentando di insegnarli qualcosa.
LIUPRANDO: CONFIDAR NELLA PROVVIDENZA È PERICOLOSO. ESSA È ANCOR PIÙ BEFFARDA
DELLA TRISTA MIETITRICE.
Vignetta 3.4
Vignetta normale. Ottone è abbastanza risentito di quello che ha detto Liuprando, ha le braccia quasi
incrociate.
OTTONE: DITE QUINDI CHE NON C’È SPERANZA ALCUNA? A TAL PUNTO IL VOSTRO CUORE
È COSÌ GREVE DA ESSER FUORI DA OGNI GRAZIA DI DIO?
Vignetta 3.5
Striscia. Liuprando sta versando del vino in una delle coppe e sta tentanto di sdrammatizzare la
situazione.
LIUPRANDO: AH... NON BADATE ALLE MIE PAROLE COMPAGNO D’ARME. È LA MANCANZA
DELLO VINO CHE MI FA QUESTO EFFETTO.
LEGATO: MA DITEMI, OTTONE...
TAVOLA 4
Questa è una tavola prettamente discorsiva. Non c’è molta azione per cui dobbiamo giocare il più
possibile sulla posizione della “telecamera” e sulla “regia”. Io di darò delle indicazioni, ma se ritieni di
avere delle soluzioni che ti sembrano più valide, proponi proponi e ancora proponi. La composizione
delle vignette che mi immaginavo era la seguente. La prima è una striscia (Vignetta 4.1), una seconda
striscia composta da due vignette normali (Vignetta 4.2 e 4.3) e una terza striscia composta da due
vignette una più stretta e una più larga (Vignetta 4.4 e 4.5).
Vignetta 4.1
Striscia. Liuprando e Ottone adesso sono seduti entrambi e Liuprando sta versando del vino anche a
Ottone.
LIUPRANDO: ...DA QUANTO TEMPO VI SIETE UNITO ALLE BANDE? NON HO RICORDANZA
DELLO VISO VOSTRO.
Vignetta 4.2
Vignetta normale. Ottone ha una coppa in mano e sta per bene. Quello che dice però lo afferma con
imbarazzo.
OTTONE: AD ESSER SINCERO, LA SCARAMUCCIA A GOVERNOLO FU LA MIA PRIMA PUGNA.
Vignetta 4.3
Vignetta normale. Liuprando sorride, Ottone ha avuto sfortuna di avere il battesimo di fuoco in una
sconfitta che, ancora non sanno, costerà anche la vita a Giovanni.
LIUPRANDO: LA PROVVIDENZA INVERO VI HA GIOCATO UN BRUTTO SCHERZO.
Vignetta 4.4
Vignetta più stretta. Ottone ha una espressione seria, come se la domanda di Liuprando non fosse
così banale come si pensa. Anche perché quel giorno, e lo scopriremo solo nel piccolo flashback che
segue, è proprio il giorno in cui il colpo di falconetto ha preso alla gamba Giovanni De’ Medici.
LIUPRANDO (FC) : CHE RICORDANZA AVETE DI COTAL GIORNO?
Vignetta 4.5
Vignetta più larga.. Stacco. Qui inizia il flashback di quel giorno, ovvero il giorno in cui Giovanni De’
Medici fu colpito alla gamba. Ottone è nel mezzo di una linea di fanteria con le lance, l’espressione
e l’inquadratura è molto simile a quella della Vignetta 4.4. Quasi da dare un senso di continuità.
L’atmosfera è nebbiosa, siamo all’alba.
DIDASCALIA: NEBBIA. RIMEMBRO LA NEBBIA.
Nicola Pisano
Soggetto
Premessa
Prima di partire con l’esposizione del progetto, vorrei porre attenzione su un paio di considerazioni
preliminari.
La prima riguarda la carenza di informazioni sulla vita di Nicola Pisano, incertezza non solo su data
di nascita ed effettiva provenienza, ma anche problemi di paternità su opere attribuitegli, riguardo
alle quali la discussione è tuttora aperta. La seconda considerazione verte sul fatto che nonostante
l’indiscussa fama dell’artista, i non addetti ai lavori per lo più ignorano quali capolavori Nicola ci abbia
lasciato, e soprattutto quale sia stato il suo effettivo apporto all’evoluzione artistica del tempo.
Detto questo, credo che il tipo di approccio più idoneo per affrontare un personaggio storico di questo
tipo, sia un fumetto che riesca a divulgarne la poetica scultorea e architettonica, proprio utilizzando
le opere da egli stesso firmate. L’intento, in poche parole, sarà quello di far parlare direttamente le
sculture-architetture del maestro, animandone i personaggi in rilievo e assecondando così l’istanza
naturalistica insita nel suo percorso artistico. Tale scelta dunque, si giustifica sia per una mancanza di
informazioni personali sull’uomo, che per una voluta valorizzazione del lascito monumentale. Questo
approccio inoltre non fa altro che riprendere la volontà vivificatrice dell’autore, la cui scultura sembra
capace di irrompere nello spazio quasi a pretendere un’illusoria quarta dimensione.
I lavori che avranno maggior spazio nel fumetto saranno il pulpito di san Giovanni (Pisa), quello del
Duomo di Siena e la fontana maggiore di Perugia; scelta che ripropone il percorso evolutivo dell’artista e
dei suoi discepoli. Tali opere diverranno protagoniste grazie ad un punto di vista privilegiato e incantato,
ruolo interpretato dal figlio del maestro, Giovanni. Sarà infatti la sua giovane e acuta sensibilità a
guidarci nella scultura paterna, le cui suggestioni e fantasie daranno voce e vita ai capolavori del padre.
Personaggi principali
Nicola Pisano (1215?-1284)
Presenza non invasiva, di caratterizzazione più fisica. Nicola è un personaggio deciso, sicuro, maestro
di grande autorità e dalle indiscusse doti organizzative, ma che sotto l’apparente severità, maschera
un marcato animo poetico e un forte amore filiale.
Giovanni Pisano (1248-1315)
Giovanni presterà i suoi occhi sognanti al fumetto, attraverso i quali l’opera del padre prenderà forma
e vita propria. Ragazzetto curioso e dotato, nel crescere seguirà con fervore le orme paterne, stregato
dall’arte scultorea che negli anni prediligerà rispetto all’architettura.
Capo Mastro
Personaggio di invenzione ma più che verosimile. Capo Mastro è un artista-artigiano alle dipendenze
del Pisano. Esperto in materiali e nel taglio dei marmi, conosce tutti i segreti della bottega del nostro.
Egli inoltre nutre una grande simpatia per il giovane Giovanni, e sarà quindi una voce in più per spiegarci
i segreti dell’arte nicoliana e sulla sua bottega.
Arcivescovo Federico Visconti di Ricoveranza (1200?- 1277)
Committente di tutti i lavori pisani di Nicola, può essere considerato come una specie di illuminato
mecenate che sfruttò il momento favorevole della revoca della scomunica papale imposta alla città
dal 1241 fino al 1257. Avrà un ruolo attivo nella scelta e composizione delle scene rappresentate sul
pulpito, un vero e proprio tutore teologico per il federciano Nicola.
Figura taciturna, austera, asciutta, tratti in contrasto con il suo spiccato gusto artistico.
Arnolfo di Cambio (1240-1302)
Insieme a Giovanni è il più valente tra gli allievi del Pisano maggiore. I due lavoreranno insieme al
pulpito senese e alla fontana di Perugia. Arnolfo avrà solamente un ruolo marginale di compagno,
questo per evitare il rischio di spostare eccessivamente il polo narrativo.
Giovane e valente artista, più portato all’architettura, valido compagno di Giovanni.
Sculture viventi del Pisano
I personaggi scolpiti dal Pisano avranno un ruolo speciale nel fumetto, ci forniranno informazioni di
tecnica e stile esecutorio, e allo stesso tempo innescheranno alcuni siparietti divertenti.
Predominanti saranno le figure animali, che avranno maggior presa suggestiva sul piccolo Giovanni
(non a caso nell’opera matura di Giovanni troviamo una predilezione per fauna ed elementi naturalistici).
L’ariete presente nella scena della Natività (pulpito san Giovanni) sarà la simpatica guida onirica di
Giovanni, mentre i cavalli scolpiti nell’Adorazione dei Magi sveleranno le peculiarità d’insieme dell’opera.
In definitiva si animeranno tutte le figure o quasi, assecondando così il dinamismo impresso dalla mano
del Pisano maggiore.
Soggetto
Ho pensato di dividere questa sintesi in gli otto scene primarie. La prima e l’ultima parte (il sogno di
Giovanni Pisano), di carattere maggiormente evocativo, avranno maggior peso nell’economia generale
del fumetto.
1
Il fumetto inizia con un sogno (scopriremo che trattasi di attività onirica solo successivamente) di
Giovanni Pisano, fatto all’età di circa dieci anni. Siamo nel 1257 anno di inizio lavori del pulpito pisano
e il bambino-sognatore si trova in piazza dei miracoli immerso in un’atmosfera sospesa e misteriosa.
Qui scorgerà non solo il battistero ultimato (ricordiamo che negli anni settanta sarà Nicola insieme al
figlio ad occuparsi della facciata), ma all’interno dell’edificio subirà in anteprima il fascino del pulpito di
San Giovanni, che il padre finirà nel 1260.
Tale visione rivelatrice si animerà con la fuoriuscita dei personaggi scolpiti dalla balaustra marmorea,
che una volta liberi si daranno ad una folle e rocambolesca fuga. Il piccolo Giovanni cercherà invano
di impedire l’esodo di santi, madonne e angeli, che imperterriti e agili si dirigono tutti verso un’incognita
meta.
Il giovane dovrà attendere anni prima di sognare il celato punto di fuga, e concludere così il fumetto.
2
La scena seguente si svolge all’interno della bottega del Pisano, dove si respira un grande fermento.
Nicola sta per tornare da Lucca dove è in procinto di ultimare una Deposizione da apporre al portone
sinistro del duomo.
Giovanni come al suo solito, si intrufola tra le mestieranze per curiosare tra gli strumenti di lavoro e
le sculture ancora da finire. Scoperto dal Capo Mastro tempesterà quest’ultimo di domande inerenti
l’opera da poco commissionata, l’uomo che non ha neanche il tempo di rimproverarlo, si troverà invece
a fornire al giovane qualche input sul progetto.
Nel mentre Nicola torna in bottega con la buona notizia della revoca della scomunica cittadina e
il conseguente arrivo dei fondi necessari per l’avvio del cantiere. Il Capo Mastro tenta di celare il
figlio alla vista del maestro temendo che venga sgridato per la sua irruzione, ma il ragazzo gli sfugge
per raccontare lo strano sogno premonitore al padre. Quest’ultimo invece di adirarsi, come tutti si
aspettavano, pare invece divertito e rallegrato dal racconto, parendogli di buon auspicio per la delicata
commissione.
3
Nella bottega del Pisano, nel vivo dei lavori per il pulpito, vedremo Nicola mentre ritocca un cavallo
presente nella formella dell’Adorazione dei Magi. Il figlio lo spia di nascosto ma il padre è da tempo che
lo ha scorto. Giovani confesserà che voleva vedere come precedeva la scultura degli animali che tanto
amava. (Punto di raccordo).
4
Qualche anno dopo, siamo al giorno della presentazione del pulpito terminato (1260). Una grande
folla si è radunata in Piazza dei Miracoli, e un nutrito gruppo pastorale capitanato dall’arcivescovo
Federico Visconti si trova insieme agli artigiani e artisti all’interno del battistero per la scenica scopertura
dell’opera. Quando il drappo è calato, l’arcivescovo rimane come impietrito, solo l’acuto Giovanni
coglie l’espressione di stupita ammirazione dell’uomo, ma il resto degli uomini è preoccupato del fatto
che il lavoro possa non essere apprezzato dall’influente predicatore. Giovanni, ancora inesperto, si
chiede cosa abbia colpito così l’alto prelato, poi socchiusi gli occhi entra in una specie di trance in cui
i personaggi tornano a prendere vita parlandogli e spiegandogli alcune caratteristiche che rendono il
pulpito del Pisano un autentico capolavoro per potenza espressiva, originalità dinamica e plasticità
delle figure.
L’arcivescovo intanto non si è espresso, e addirittura volta le spalle a Nicola e ai suoi. Cresce la
preoccupazione. L’artista decide di chiedere direttamente spiegazioni al vescovo; egli invece di
esprimersi direttamente sul pulpito, gli comunica seduta stante che la commissione dei futuri lavori di
recupero del battistero e della cappella del Duomo saranno affidati proprio alla sua bottega.
La gioia pervade i presenti.
5
Subito dopo questa scena, fuori dal Duomo, Giovanni in preda ad un’incontenibile euforia esclama che
anch’egli un giorno farà un pulpito tutto suo, lo vorrà con figure più ricche e più aggettanti e inserendo
un maggior numero di animali. Una dichiarazione di intenti che avrà effettivo seguito pensando ai lavori
della sua maturità come il pulpito pistoiese.
Nicola compiaciuto e colpito dell’entusiasmo declamato, considerando che i lavori del battistero
inizieranno tra qualche anno, annuncia al figlio che presto gli sarebbe tornata utile una mano in più …
ovviamente riferendosi a lui.
6
Siamo tra il 1265 e il 1269, anni in cui verrà realizzato il pulpito senese. Troviamo adesso un Giovanni
quasi ventenne che sta dormendo insieme ad una fascinosa cortigiana. Si agita nel sonno svegliando
la compagna, esclama qualche parola che rimanda al sogno ricorrente di cui sopra. Sarà il Capo
Mastro a svegliarlo bruscamente per riportarlo a lavoro dopo avergli fatto una bella strigliata. (Punto di
raccordo)
7
Scena che prosegue con un assonnato Giovanni intento nel lavoro di rifinitura su un terrificante
demonio presente nel Giudizio Universale (pulpito senese), qui verrà catturato da una nuova visione,
dove il satanico figuro esorterà l’artista ad ottenere maggiore espressività naturalistica nell’intarsio,
per proseguire l’impronta realistica voluta da Nicola e poi amplificata dallo stesso Giovanni nelle opere
della maturità. (In questo modo seguiremo la sempre maggior modernità della scultura nicoliana che ha
precorso di diversi anni l’evoluzione pittorica apportata dal Giotto, e vedrà nel figlio un’ancor maggiore
“liberazione” ed emergenza dello scolpito).
Sarà in questo frangente che vedremo al lavoro anche Arnolfo di Cambio.
8
Un Nicola Pisano ormai sulla sessantina, insieme all’architetto Fra Bevignate, propone ai suoi più
valenti allievi (Arnolfo e Giovanni) i nuovi progetti di quella che è considerata una delle ultime opere
nicoliane: la fontana maggiore di Perugia (siamo nel 1275). Alla vista delle piante Giovanni ha come
un sussulto, ha già sognato quel monumento, e i disegni del padre riaccendono la memoria facendo
riaffiorare un sogno assopito, conclusione naturale del primo e ricorrente.
Ecco che il giovane si appresta al racconto.
9
Il fumetto quindi si conclude con la parte finale del sogno iniziato nel 1257. La visione onirica riparte
da dove l’avevamo l’asciata, stavolta però il bambino-sognatore riesce a seguire l’orda di statuette
fuggitive fino ad una piazza immaginaria, che raccoglie elementi architettonici di tutte le città in cui
Nicola e Giovanni hanno operato e opereranno nel corso degli anni. Il nucleo centrale è quello della
Fontana Maggiore a Perugia (Piazza IV Novembre), intorno alla quale si radunano i fuggitivi, con
l’unico scopo … di farsi un tuffo in vasca sotto lo sguardo allibito e poi divertito di Giovanni.
Sull’immaginifica piazza si affacciano il Duomo di Pisa, Lucca, Siena, e la pieve di Sant’Andrea (Pistoia).
Giovanni sempre seguendo l’ariete-guida entrerà proprio in quest’ultima e più modesta chiesa, trovandovi
all’interno un pulpito sproporzionatamente gigantesco, con le facce di marmo ancora intonse. (Questo
rappresenta il pulpito di sant’Andrea che Giovanni Pisano realizzerà nel 1301). Armato di piccozza e
martello il Pisano minore che progressivamente inizierà a crescere di età, con la progressione delle
vignette, tenta l’annosa arrampicata verso il loggiato per poter scavare la pietra. Una volta raggiunto
l’enorme specchio avverrà l’intrusione della sua persona nel marmo, trasformandosi in alto rilievo.
Giovanni si ritroverà inserito in una scena scultorea insieme a tutti i protagonisti del fumetto, opere,
luoghi e personaggi inclusi per un finale-saluto.
Bibliografia
• Maestri della scultura italiana: Nicola Pisano, Jacopo della Querce, Donatello. - Milano: Electa,
1959.
• Testi Cristiani, Maria Luisa, Nicola Pisano architetto scultore: dalle origini al pulpito del Battistero
di Pisa. - Pisa: Pacini, 1987.
• Vitolo Giovanni, Medioevo: i caratteri originali di un’età di transizione. - Rist. - Firenze: Sansoni,
2000.
• Romanico e gotico / direzione di Carlo Bertelli, Giuliano Briganti, Antonio Giuliano. - Milano :
Electa : Bruno Mondadori, 1997.
• Itinerario nell’arte : dalla preistoria all’età gotica / Giorgio Cricco ; Francesco Paolo Di Teodoro.
. Vol.1. - Bologna : Zanichelli, 1996.
• Giorgio Vasari, Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori italiani, da Cimabue insino a’
tempi nostri, 1550
• Enrico Castelnuovo, Nicola Pisano. - Milano : Fabbri, c1966.
Fine
Nicola Pisano
Sceneggiatura
Le prime sei pagine rappresentano il sogno di Giovanni Pisano.
PAGINA 1
Striscia 1
La striscia stretta è formata da un’unica vignetta al vivo nella parte superiore.
Campo lunghissimo, vista aerea di piazza dei miracoli, sono visibili i principali monumenti della piazza
(vedi figura). È notte, il cielo è stellato, atmosfera di sospensione, mistero e silenzio.
Striscia 2
Vignetta 1
Campo lungo. La visuale sta scendendo-cadendo sul battistero di San Giovanni inquadrato dall’alto.
Largo spazio alla cupola, sono visibili anche elementi del vicino Duomo, il battistero non è ancora
l’unico monumento inquadrato.
Vignetta 2
La visuale adesso si concentra solo sul battistero, in particolare sul corpo centrale. Si riesce ad
intravedere sulla facciata, aggrappato ad una colonna del secondo ordine, la figura ancora indistinta
di un bambino di circa 8-10 anni (Giovanni Pisano). Rispetto alla precedente vignetta si noteranno più
particolari architettonici, sempre tenendo conto della matrice onirica dell’esperienza che non rende
necessaria una minuziosa e fedele riproduzione di particolari (questo vale per tutte queste sei pagine).
Striscia 3
Unica vignetta in campo medio che pone centrale la figura di Giovanni mentre si sta sporgendo dal
colonnato del secondo ordine (opera che sarà realizzata insieme al padre), vicino a lui una delle
finestre. La vignetta si stende sul ricamo architettonico che cinge l’edificio, lasciando sulla destra un
po’ di spazio per un pezzo di cielo stellato. Un cielo di sogno.
Striscia 4
Vignetta 1
La visuale si avvicina ulteriormente, siamo quasi ad un piano medio di Giovanni ripreso dal basso.
L’inquadratura così inclinata segue lo sguardo del bambino che adesso guarda in alto ammirando
l’architettura.
Le seguenti quattro vignette sono più piccole rispetto alla 1, la 2 andrà sopra la 3 e la 4 sopra la 5.
Vignetta 2
Giovanni si avvinca alla finestra e fa per entrarvi, sta scavalcando il parapetto. Figura intera centrale.
La finestra è un varco oscuro.
Vignetta 3
Collocata direttamente sotto la vignetta 2.
Stessa scena precedente, adesso Giovanni è quasi completamente entrato, prosegue l’azione.
Vignetta 4
L’inquadratura si allarga mentendo come punto focale quello delle vignette precedenti. Vediamo il
battistero dalla fine del primo ordine fino ad un terzo della cupola. Visibile ai lati il cielo.
Vignetta 5
Subito sotto la precedente. Qui abbiamo l’intero battistero, essenziale che non sia inquadrato dal
basso cioè da altezza del normale spettatore, ma da un punto di vista centrale, freddo. Adesso l’edificio
rappresenta un contenitore chiuso.
Alcune foto extra:
PAGINA 2
La divisone della pagina è scandita dalla stessa architettura interna dell’edificio. Le arcate del piano
terra insieme a quelle del primo piano formeranno le 6 vignette di questa pagina.
Le colonne ne saranno i margini laterali.
Vedi figura:
Striscia 1
La striscia è formata da tre vignette attigue (gli spazi 1, 2 e 3 come da figura sopra), Giovanni vi si
sposta camminando dall’una all’altra, da sinistra verso destra.
Al primo piano le vignette avranno come ambientazione lo sfondo originale dell’architettura interna,
mentre le altre tre in basso saranno spazi visivi a se stanti, con profondità propria.
Vignetta 1
Giovanni cammina da sinistra verso destra guardando in camera, si trova vicino al parapetto.
Vignetta 2
Adesso Giovanni è fermo in una posizione più centrale e si sporge dal parapetto. Sta guardando giù.
Vignetta 3
Improvvisamente si volta verso destra, qualcosa ha colpito la sua attenzione.
Strisca 2
Le colonne-cornice di questo ordine vanno a sfumarsi sul fondo, avvolte da uno sciame di stelle che
bagna la pagina dal basso. Come detto, questi tre spazi sono vere e proprie vignette le dimensioni dei
personaggi iscritti non dovranno mantenere le proporzioni prospettiche imposte dalle arcate-cornici.
Vignetta 1
Sulla sinistra Giovanni è appoggiato alla colonna-divisorio, vi si accosta spiando la scena rappresentata
nella vignetta vera e propria. Il bambino quindi, sarà fuori dallo spazio 4 con il corpo addossato alla
colonna-margine. All’interno dello spazio 4: spoglio pavimento con in lontananza la piccola figura
dell’ariete marmoreo (scultura presente nel pulpito, massimo 20 cm di lunghezza).
La scena deve avere un impatto straniante. Giovanni è perplesso, l’ariete apparentemente immobile
lo sta fissando.
Vignetta 2
L’inquadratura bassa riprende le due figure intere adesso entrambe contenute nello spazio 5. Il punto
di vista è invertito rispetto alla vignetta precedente, e rimane subito dietro l’ariete che è in primo piano.
In profondità avremo Giovanni che, sempre interdetto, si avvinca alla statuetta.
Vignetta 3
I due soggetti sono presi di profilo, adesso sono molto vicini e parzialmente tagliati dalle colonne
separatorie. Giovanni è in ginocchio e sta per protendere una mano verso la bestiola. Sullo sfondo una
parete con al centro una stretta finestra con mosaico.
Alcune foto extra:
PAGINA 3
Striscia 1
Le prime tre vignette sono incolonnate. Le vignette 1 e 3 sono uguali di grandezza, la 2 centrale invece
è più stretta, schiacciata tra le due.
Vignetta 1
Dettaglio su occhi e muso dell’ariete. Lo sguardo non tradisce emozioni.
Vignetta 2
Inquadratura sull’ariete sempre molto stretta. La piccola scultura adesso si volta di scatto, il profilo
mostrerà il movimento cinetico.
Vignetta 3
Dettaglio su occhi e bocca di Giovani stupito e deluso.
Vignetta 4
Con un’inquadratura leggermente rialzata, vediamo la fuga dell’ariete in direzione di una porta al cui
interno scuro scorgiamo delle scale che scendono (siamo ancora al primo piano, le scale portano a
pian terreno dove si trova il pulpito). In angolo a destra, parzialmente tagliato dalla cornice, Giovanni
protende un braccio in direzione dell’animale scolpito.
Giovanni <<Aspetta>> (opterei per un taglio del ballon non del tutto compreso in vignetta, con
conseguente taglio di battuta in <<Aspet>>, questo per evocare la voce spezzata o vuota tipica del
sogno).
Vignetta 5
Giovanni ha raggiunto la porta che da subito sulle scale. L’inquadratura è davanti a lui, stretta e
obliqua, quasi al livello delle scale. Il vano della porta gli fa da cornice alle spalle. Sta affrontando il
primo scalino, ma compie un passo falso, per questo è spaventato e si guarda in basso. È come se si
apprestasse ad un grande balzo.
Striscia 2
Vignetta 1
Vediamo da mezzo busto in giù Giovani che cade, sotto i suoi piedi i gradini che non riesce a toccare.
Deve essere una caduta-galleggiamento.
Vignetta 2
Vignetta centrale, più grande di tutte le altre in questa pagina, soprattutto in larghezza. Inquadratura
leggermente bassa, siamo nella tromba delle scale (vedi figura in basso). Giovanni sta sorvolando i
gradini, il movimento è dato da tre o quattro figure del bambino in altrettanti punti della discesa. Dall’alto
verso il basso, la sua espressione cambia dallo spavento al determinato. In fondo alla vignetta l’ariete
in fuga, anch’esso pare non toccare mai la superficie. Sulla parete sinistra qualche stretta feritoia.
Vignetta 3
La vignetta è costituita dalla porta stessa che si trova alla fine della scalinata. L’ariete è arrivato a
toccare terra a pian terreno, si guarda indietro come se aspettasse il bambino. La visuale è rialzata
come se guardassimo con gli occhi di Giovanni mentre sta raggiungendo l’animale. In basso scorgiamo
anche gli scalini finali che risalgono verso lo spettatore sforando i confini della vignetta.
Striscia 3
Le prime tre piccole vignette sono incolonnate, tutte della stessa grandezza.
Vignetta 1
Ariete di profilo che guarda con attenzione qualcosa in alto a destra. Alla sinistra dell’ariete vediamo i
piedi di Giovanni ancora sospesi che stanno per posarsi al suolo proprio accanto alla piccola scultura.
Vignetta 2
Stessa scena, i piedi di Giovanni ora toccano terra, proseguo azione.
Vignetta 3
Stessa scena, Giovanni si china a raccogliere l’ariete.
Vignetta 4
Vignetta priva di cornice, per definire lo spazio ci sono due colonne ai lati. Nel centro Giovanni a figura
intera che tiene in braccio l’ariete appena raccolto. La scultura guarda sempre nella stessa direzione e
Giovanni rivolge lo sguardo all’ariete (si chiede cosa stia fissando).
Dall’ariete proverrà un ballon stretto e lungo ma vuoto che asseconda lo sguardo nella direzione di
emissione.
Vignetta 5 e 6
In pratica è la stessa figura divisa da due cornici.
La 5 racchiude il primissimo piano di Giovanni che adesso rivolge anch’egli lo sguardo preoccupato in
alto a destra, quasi a presagire la prossima pagina.
Nella 6 che sta immediatamente sotto, ci sarà il primissimo piano dell’ariete in braccio, sempre
concentrato su quel punto fuori campo. Una’esigua porzione di ballon vuoto proviene ancora dal piccolo
muso.
Alcune foto extra:
PAGINA 4
Questa pagina è costituta da due macro vignette, entrambe hanno una cornice netta dalla quale
sbalzeranno fuori alcuni elementi. La macro vignetta che occupa la parte superiore della pagina sarà
leggermente più piccola e avrà il fondo inclinato con il vertice più acuto in basso a sinistra, l’altra
sottostante avrà il margine superiore obliquo assecondando l’inclinazione della prima.
Macro Vignetta 1
Oltre all’immagine principale si sovrapporranno a questo spazio altre due piccole vignette sfruttando il
lato sinistro.
Immagine principale: all’estremo angolo sinistro in basso (angolo più acuto), troviamo Giovanni
impietrito di fronte al pulpito di San Giovanni (all’epoca dell’ambientazione quest’opera è ancora in
fase di costruzione). Davanti al bambino l’ariete è caduto ed emette ancora il suo ballon vuoto verso
la struttura.
È il pulpito a dominare la vignetta, trasborda i confini sia con la cassa esagonale che con una colonnazampa, questo per dare maggior senso di spinta. L’architettura protende dinamicamente verso il
bambino, ha una forma trasfigurata che inquieta, quasi ragnesca, imponete, scura. Non si distinguono
ancora le sculture delle formelle ma si deve comunque capire che ve ne sono. Invece, le statuette agli
spigoli tra gli archetti triboli, essendo più grandi sono visibili e protendono le loro estremità indicando
minacciosamente Giovanni. Le colonne del pulpito poggiano tutte su leoni stilofori per un maggiore
effetto intimidatorio e di movimento (in realtà le colonne sono alternativamente posate su leoni, ma
essendo questo un sogno possiamo permetterci di giocare con alcuni elementi).
Risalto all’aquila-leggio in alto, una sorta di testa del pulpito.
Come detto, sul lato sinistro si aprono 2 piccole finestre.
Micro vignetta 1
Primissimo piano di Giovanni tra lo spaventato e lo stupito.
Didascalia <<Ma questo…>>
Micro vignetta 2
Particolare: l’ariete salta giù dalle braccia di Giovanni.
Didascalia << È il pulpito che sta costruendo mio padre.>>
Macro vignetta 2
Giovanni è ormai circondato da colonne posate su leoni. Il pulpito è come se si abbassasse su di lui
per ghermirlo, essendo molto vicino non sarà inquadrato completamente e occuperà con la cassa il
margine superiore destro. In alto all’estremo angolo destro, l’aquila-leggio domina la scena sfuggendo
dalla cornice. Adesso sono più visibili alcune porzioni degli specchi scolpiti, riusciamo a scorgere
qualche figura, in particolare braccia e teste che si sporgono.
L’aquila si staccherà in volo dalla sua posizione, la vedremo calarsi verso il bambino compiendo una
S, il movimento sarà reso da varie figure intermedie.
In basso un Giovanni atterrito ripreso di schiena.
Alcune foto extra:
Leon Battista Alberti
Soggetto
Un Pianeta Terra ormai desolato dall’inquinamento e dalla mano dell’uomo, costringe l’Unione SalvaMemoria, a impacchettare e trasferire tutti i monumenti storici scampati allo scempio, sulle nuove
stazioni orbitanti e i pianeti recentemente “addomesticati” e resi abitabili.
Purtroppo durante un viaggio, il centro storico di Firenze, inglobato in una sfera speciale e trainato da
un cargo, viene centrato da un meteorite e distrutto.
Panico nella società intellettuale e mondiale universale: come si può restituire un patrimonio simile
all’umanità?
Dopo un primo tentativo di ricostruzione che non convince, si aprono le camere di contenimento che
archiviano i geni dei Notabili di sempre.
Il piano è semplice: clonare a velocità doppia coloro che resero grande, con le loro opere, la città di
Firenze.
E tra i tanti c’è anche Leon Battista Alberti, architetto, matematico e scrittore.
Perché è risaputo che la genialità risiede nei cromosomi … o forse no?
Fine
Leon Battista Alberti
Sceneggiatura
Pagina 01
Vignetta 1
Il mio nome è Matisyahu. Sono arrivato su Venere nel 2221 come assistente del professor Kramatz
nel progetto “Rivive la memoria”. Il mio compito? Seguire gli artisti affinchè il loro reinserimento nella
nuova Firenze non sia traumatico…
Ecco Matisyahu. È vestito con abiti rinascimentali e si sta muovendo nelle vie affollate della Nuova
Firenze. È alto, secco, con un filo di barba. Deve assomigliare ad un seminarista che è piovuto dal
nulla sul campo: tanta teoria poca pratica.
Vignetta 2
…è chiaro che un clone, sebbene sia stato istruito, tramite l’acceleratore di conoscenza, durante la
sua permanenza nella vasca di crescita…
Vediamo una vasca di contenimento, ovvero una specie di cilindro con liquido di vario genere
(amniotico? Acqua? Liquido insomma…). Inutile dire che ci sono respiratori, tubi e elettrodi collegati.
Per la persona nel cilindro metti un generico corpo nudo, maschile e possibilmente pelato …sta
crescendo velocemente
Vignetta 3
...non può non stupirsi della sua “nuova vita” in questa città che deve rinascere.
Leonardo in piedi davanti a due ragazzi. Uno ha le mani nei capelli, l’altro è in ginocchio. È palese
che non lo tollerano già più.
Leonardo: Quello cos’è? Quello? E quello? E questo?
Addetto: Messer Da Vinci, la prego! La smetta!
Vignetta 4
Il progetto è semplice: dobbiamo farli riambientare velocemente e dirottare il loro genio.
Loro sono stati programmati con tutti i ricordi giusti e sono, in tutto e per tutto, uguali agli originali…
Matisyahu saluta qualcuno per strada
“Ciao Odos!”
Vignetta 5
…e secondo l’USM, la loro presenza nella nuova Firenze può far rinascere quel favoloso momento
storico del 1400. Indi per cui, loro ripercorreranno sicuramente le loro gesta.
“Dove vai, Matis?”
Ecco Odos, un altro assistente, dislocato su nuova Firenze. È ovviamente, in contrapposizione
all’amico, basso, grassoccio e rubicondo in volto.
Vignetta 6
Ovviamente tutti noi dobbiamo vivere come se fosse quel periodo. La tecnologia deve essere
nascosta agli occhi di tutti e dobbiamo adattarci a vivere in modo “primitivo”.
I due si incrociano per strada ma non si fermano.
“Vado a conoscere il mio nuovo artista.”
Vignetta 7
“Ah sì? Chi ti tocca questa volta?”
“Leon Battista Alberti.”
“Ah bene. Se non ricordo male ha fatto poco a Firenze indi non ti dovrei affaticare più di tanto.”
Vignetta 8
Affaticare! Come si può dire che ricreare un sogno sia una fatica? È un piacere…
Matisyahu alza la mano per salutare e accelera il passo allontanandosi ancor di più.
“Speriamo!”
Vignetta 9
…come entrare ogni volta qua dentro.
Campo medio. Vediamo Matisyahu entrare a Palazzo Vecchio.
Pagina 02
Vignetta 1
La stanza è nella penombra. La luce arriva principalmente dal cilindro di contenimento dove galleggia
Leon Battista Alberti. Il suo corpo è quello di un trentenne. Galleggia tranquillo nel cilindro. Intorno a
lui si muovono scienziati vestiti in abiti normali (camice, pantaloni etc).
Il professor Kramatz annuncia il countdown.
Com’è il professor Kramatz? Sembra un punto interrogativo. Non è vecchio, di più. È calvo, sdentato
ed ha quel sorriso da pensionato furbo alla fermata dell’autobus (quello che ti ciula l’ingresso con
scatto felino e poi dice “AH QUESTI GIOVANI CHE CORRONO SEMPRE”)
Professore “Pronti, signori? Procedo con lo svuotamento.”
Vignetta 2
Primo piano sulla mano del professore (ovviamente scheletrica, rugosa) che tira una leva verso il
basso.
Onomatopea: ?
Vignetta 3
Quinta. Sulla sinistra vediamo il cilindro intento a svuotarsi e il volto di Alberti. Sul fondo arriva
Matisyahu.
Matisyahu
“Eccomi professore!”
Vignetta 4
Il professore si volta
Professore “Ah Matisyahu. Sempre in orario vedo eh? Vieni a prendere il pacco che sta per
risvegliarsi.”
Vignetta 5
Il tubo si apre e Alberti casca per terra.
Gli scienziati sono sulla destra e saltano per lo spavento.
BONG (corpo a terra)
Vignetta 6
Matisyahu accanto al corpo di Alberti. Dietro di lui spunta il professore.
Professore “Ecco lo sapevo! Forza, veloce. Vestilo e portalo fuori!”
Vignetta 7
Matisyahu si muove verso l’uscita della sala portando sulle spalle il povero Alberti.
Dietro il professore non la smette di urlargli
Professore “Mi raccomando! Ricordati la procedura esatta!”
Matisyahu “Sì sì”
Pagina 03
Vignetta 01
Due ore dopo…
Vignetta nera. Voce fuoricampo.
Matisyahu “Messer Alberti? Messer Alberti?”
Vignetta 02
Vediamo uno sfuocato e sorridente Matisyahu attraverso gli occhi di Alberti.
Matisyahu “Messere, non regge più il vino speziato eh?”
Vignetta 03
Controcampo. Alberti è su uno scranno all’interno di una bettola. Intorno abbiamo gente intenta a
gozzovigliare, cameriere che vanno e vengono. Alberti ha lo sguardo ovviamente sorpreso.
Vignetta 04
Matisyahu lo prende per un braccio e lo tira a sé
Matisyahu “Su messere. Arriviamo tardi all’appuntamento.”
Vignetta 05
Alberti spinge via Matisyahu.
Alberti “UN MOMENTO!”
Qualche avventore si gira al grido.
Vignetta 06
Parecchi guardano il duo.
Alberti “Chi sei tu? Dove mi trovo? Non mi ricordo di aver bevuto fino ad addormentarmi…”
Vignetta 07
Inquadratura su Matisyahu intento a prodigarsi in una sottospecie di inchino.
Matisyahu “Matis di Borgo, vostro devoto servo e tuttofare. Ci troviamo in una bettola a due passi
dal Duomo e vostra signoria ha voluto prendere una pausa dalla calura e dal lavoro con
troppi bicchieri di speziato.”
Vignetta 08
Inquadratura sulla mano di Matisyahu che afferra la mano di Alberti. Voce fuori campo.
Matisyahu “Mi segua messere: un po’ d’aria le farà bene fuori da codesta calca.”
Vignetta 09
Vediamo Matisyahu che tira per la mano Alberti. Alberti è piuttosto restio ad uscire con lui.
Matisyahu “Suvvia messere, andiamo a rivedere la nostra…”
Pagina 04
SPLASH PAGE (olè)
È una panoramica sul duomo di Firenze vista da Borgo San Lorenzo. Praticamente intuiamo la
maestosità del monumento, le vie affollate, i ponteggi sparsi ovunque. Il cielo è terso (simulato dalla
cupola ovviamente). In basso sulla sinistra abbiamo il duo (Matisyahu/Alberti).
Matisyahu “…Firenze!”
Pier Capponi
Soggetto
NOTA: E’ la voce di un “ospite eccellente”, che al momento ci rimane oscuro, a narrarci quanto segue.
Prologo: Pier Capponi viene inviato dalla neonata Repubblica Fiorentina a negoziare con Carlo VIII
nei primi giorni di novembre dell’anno 1494. Il monarca ha intenzione, dopo la città marinara, di dirigersi a occupare anche la città medicea.
L’incontro ha luogo a Pisa, città che il monarca ha appena occupato col favore di Piero Dé Medici, recentemente deposto e cacciato da Firenze.
Il francese liquida con poche sprezzanti parole Capponi e la sua delegazione, rimandando ogni trattativa al momento in cui entrerà in Firenze. Sulla via del ritorno, gli ambasciatori fiorentini discutono la
possibilità di preparare una risposta militare contro questo nuovo nemico.
Il Re di Francia,Carlo VIII, arriva in Firenze con le sue truppe in una fredda mattina di fine novembre.
Dalla Porta di San Frediano fa il suo ingresso l’imponente armata del sovrano straniero; è composta
principalmente di cavalleria, ma in coda alla colonna di cavalieri avanzano, anch’essi trainati da equini,
numerosi pezzi d’artiglieria, l’arma forse più temuta del periodo.
La città, stremata dalle guerre contro gli stati vicini, non oppone inizialmente alcuna resistenza all’occupazione da parte degli invasori.
Un esercito composto in gran parte di mercenari è stato assoldato a difesa delle mura, ma si tratta di
poca cosa rispetto al numero dei francesi. Capponi ordina ai capitani di non attaccare.
Nessuna arma viene per il momento levata, ma una volta entrato in città il grosso delle truppe, la campana del Palazzo della Signoria, il cui suono avrebbe chiamato a raccolta i cittadini in caso di invasione, suona una volta, scatenando alcuni scontri di poca importanza nelle strette vie della città.
Non si arriva mai alla guerra aperta contro i francesi, ma qui e là si ergono barricate, e il Re francese
ha comunque modo di vedere da vicino l’odio negli occhi di un popolo che gli era stato descritto come
giocoso e spensierato.
Carlo VIII si stabilisce a Palazzo Dei Medici, esautorandone i legittimi occupanti, e da quel momento
autorizza il la confisca di tutti i beni e i tesori della nobiltà locale.
Gli scontri vengono intanto sedati, ma le richieste degli arroganti invasori si fanno sempre più gravose.
Carlo VIII esige un tributo di 200.000 fiorini minacciando in caso di rifiuto di far suonare le trombe che
ordinano al suo esercito di ricorrere alle armi.
E’ allora che Pier Capponi straccia le richieste del francese e pronuncia la celebre frase “ Voi suonerete
le vostre trombe, e noi suoneremo le nostre campane!”, lasciando furioso la stanza.
Il Re Carlo resta per un attimo immobile, colto da una sinistra visione.
Vede i propri capitani ordinare ai suoi uomini di mettere a ferro e fuoco Firenze, e vede quell’ordine
morire nelle loro gole trafitte dalle frecce. Vede la sua cavalleria e la sua artiglieria intrappolate, private dell’opportuno spazio di manovra dalle anguste vie della città. I suoi cavalieri uccisi, i suoi cannoni
rivolti contro il suo stesso esercito. Il popolo occupato ribalta in breve la situazione, grazie al vantaggio
di un campo di battaglia favorevole.
E’ il suo segretario a scuoterlo dalla visione che lo aveva paralizzato nel terrore.
Nessun ordine d’attacco viene proferito da Carlo VIII, che acconsente a lasciare Firenze con richieste
ben più miti.
Il 28 novembre i francesi lasciano la città. I rappresentanti del popolo chiedono a Capponi di capeggiare la riforma della Repubblica di Firenze, ma egli è un uomo forgiato sul campo di battaglia, e per lui ci
sono conti da chiudere con Pisa e altri stati vicini.
E’ così che muore, da generale, nella battaglia di Soiana, il 25 settembre del 1496.
Il racconto finisce, il narratore svela la sua identità; è la stessa Firenze che ci ha raccontato la storia di
uno dei suoi figli più valorosi, e sono stati la determinazione e il coraggio di uomini come Pier Capponi
a fare di lei la grande città che ancora oggi vediamo.
Fine
Pier Capponi
Sceneggiatura
PROLOGO:
PAGINA 1
una splash page iconica.
Vignetta 1: Un mezzobusto di Carlo VIII (v. documentazione) campeggia su gran parte della pagina. I
suoi occhi brillano d’avidità mentre dietro di lui avanza il suo esercito di cavalieri (vedi documentazione). Ovunque fiamme e rovine. Sotto di lui una panoramica di Firenze com’era nel 1494 (vedi file con
immagini di documentazione). Puoi farne un collage, o stilizzare, macchiare, graffiare l’immagine come
più ti aggrada, in modo da far capire al lettore che questa è solo una rappresentazione di quel che andremo a raccontare. Usa colori accesi qui, come se il bagliore delle fiamme sul fondo pervadesse tutto.
Dida: 1494.
Dida 2: IL CUORE DI UN’EPOCA DI RINASCITA E DI SPERANZA. UN’EPOCA IN CUI CI SI RISCATTAVA DAI SECOLI BUI DEL MISTICISMO E DELL’OPPRESSIONE.
Dida 3: FULCRO DI TUTTO CIO’ FU UNA GRANDE CITTA’, NELLE MIRE, IN QUEI GIORNI, DI UN
RE INVASORE, AVIDO E POTENTE.
Dida 4: ERO LI’ A QUEL TEMPO, COME LO SONO OGGI. PER CUI LASCIATE ALLE MIE PAROLE
IL COMPITO DI DIPINGERE GLI ATTI DI EROISMO E UMANITA’ DI CUI FUI TESTIMONE.
PAGINA 2
3 vignette orizzontali a tutta larghezza
Vignetta 1 (orizzontale, più grande delle successive) (nota: si tratta di un prologo per cui, per differenziarlo, le pagine fino alla 8 compresa dovrebbero essere dipinte con colori morti, molti grigi, marroni,
molte ombre):
Alle prime luci dell’alba. Panoramica a volo d’uccello su una zona di campagna. Tutto è ridotto a sterpaglie, ingrigite dal primo freddo di novembre. Un accidentato sentiero taglia in due la distesa d’erba e
cespugli risecchiti. 5 figure ammantate, a cavallo, percorrono il sentiero.
Titolo: PIER CAPPONI
credits
Sottotitolo: PROLOGO:
Dida: UN FREDDO MATTINO DI NOVEMBRE.
Dida 2: E’ UN MARE D’ERBE MORTE QUELLO CHE SEPARA FIRENZE DA PISA.
Dida 3: POCHI CENTRI ABITATI LA CUI GENTE E’ RINCHIUSA IN CASA, SPAVENTATA DAL TERRORE CHE VERRA’.
Vignetta 2 (orizzontale): Campo lungo. Il nostro pdv è adesso al livello del terreno. I 5 cavalcano verso
di noi.
Dida: MA NELL’ANIMO DEI CINQUE AMBASCIATORI ANCORA BRILLA UNA LUCE DI SPERANZA.
Vignetta 3 (orizzontale): Stessa inquadratura, ma i 5 cavalieri sono adesso più vicini a noi e riusciamo
a distinguerli. In testa cavalca Pier Capponi, seguito da Frate Girolamo Savonarola, Tanai dé Nerli,
Pandolfo Rucellai e Giovanni Cavalcanti.
Dida: SONO UOMINI DI GUERRA, DI STATO E DI FEDE. FONDATORI DELLA NASCENTE REPUBBLICA FIORENTINA...
Dida 2: ED E’ DALLA LORO MISSIONE CHE DIPENDE FORSE IL FUTURO DEL SOGNO CHE HANNO CONTRIBUITO A CREARE.
PAGINA 3
5 vignette
2 sulla prima striscia
2 sulla seconda
1orizzontale sulla terza
Vignetta 1: Piano americano su Giovanni Cavalcanti. (non esiste documentazione iconografica su di
lui, per cui dovremo inventarcelo).
Dida: GIOVANNI CAVALCANTI, POETA E LETTERATO.
Vignetta 2: Mezzobusto di Pandolfo Rucellai (come sopra, nessun documento visivo).
Dida: PANDOLFO RUCELLAI, ECONOMISTA.
Vignetta 3: Mezzobusto ravvicinato di Tanai dé Nerli (idem).
Dida: TANAI DE’ NERLI, NOBILE E FILANTROPO D’ANTICA FAMIGLIA.
Vignetta 4: Primo piano di Frate Girolamo Savonarola. Vedi file documentazione.
Dida: FRATE GIROLAMO SAVONAROLA, UOMO DI CHIESA E MENTE ILLUMINATA.
Vignetta 5: Dalle spalle di Savonarola, vediamo, di quinta, Pier Capponi, alla guida del gruppetto.
Dida: ALLA GUIDA DELL’ETEROGENEA DELEGAZIONE UN UOMO IL CUI VALORE SI E’ GIA’
PROVATO NEL LIBERARE DI FIRENZE DAL GIOGO DEI MEDICI...
Savonarola: A QUANTO PARE CI SIAMO, CAPITANO.
PAGINA 4
2 vignette. occupano circa la metà della tavola ciascuna. La prima è solo un pò più piccola, ed è inserita
all’interno della seconda, grande e aperta.
Vignetta 1 (inserita nella successiva): Piano americano di Pier Capponi (vedi documentazione), che ci
guarda, cupo. Le redini in pugno, ha appena fermato il cavallo. Dietro di lui le sagome degli altri cavalieri (puoi anche disegnarli in silouette, vedi te). Falla il più “epica” possibile; quest’immagine è quel che
gli americani chiamano il “Money Shot”.
Dida: PIERO CAPPONI, SOLDATO E CAPITANO DEL POPOLO.
Capponi: DIREI DI SI’, PADRE.
Vignetta 2 (grande): Panoramica. I cinque, di spalle, davanti alle mura della Fortezza di Pisa. Vediamo
delle guardie in armatura sugli spalti, armate di lancia.
Capponi: PISA CI ACCOGLIE A BRACCIA APERTE, ANCHE SE TALI BRACCIA APPAIONO ARMATE E PIUTTOSTO MINACCIOSE.
Francesco Redi
Soggetto
La storia inizia con una zecca che, passata a miglior vita, arriva nell’aldilà degli insetti. E’ confusa al
punto di non avere cognizione della propria identità.
Arriva in suo soccorso un pidocchio che, capito il problema, dopo averla squadrata per qualche secondo,
le sciorina tutte le nozioni in merito, compreso il nome scientifico.
Veniamo così a scoprire che si tratta di uno dei pidocchi che albergavano nella parrucca di Francesco
Redi.
Il pidocchio inizia a raccontare della vita dello scienziato-letterato e, pian piano, a lui e alla zecca
si uniscono un bel po’ di insetti, ognuno ansioso di narrare la sua parte di storia legata a Redi e, in
parte, agli avvenimenti scientifici/artistici/politici e alle curiosità degli anni in cui ha vissuto il nostro
personaggio illustre (1626 - 1697).
Alcuni esempi:
1) due mosche (maschio e femmina) illustreranno la celebre teoria sulla riproduzione “non spontanea”
delle mosche, dipingendo Redi come una sorta di guardone;
2) una zanzara racconterà di come lo scienziato, nello spiegare ad un ospite il funzionamento del suo
laboratorio, lo farà trasformandosi in stato gassoso e liquido, passando per contenitori, alambicchi e
altri ammennicoli vari. Dopo un momento di imbarazzato silenzio, da parte degli ascoltatori, scopriremo
che la zanzara era reduce da una ricca “colazione” presso l’osteria posta accanto al laboratorio;
3) una cimice snob con un forte accento francese, ci racconterà del Re Sole, di Mazzarino e della corte
di Francia, etc.
E così via... citando, tra le altre cose, curiosità come l’Archivio delle Riformagioni, la fondazione
dell’Accademia Sperimentale Medicea, la creazione dell’Accademia del Cimento, la nomina di Redi ad
Archiatra di Ferdinando II.
La storia avrà questo finale:
la zecca, nonostante la sequenza di interessantissimi aneddoti, è malinconica, in quanto sta pensando
ad una sua carissima amica, chiedendosi dove possa trovarsi in quel momento.
Ci troveremo, così, al cospetto proprio della sua amica zecca, nel folto del pelo di un cane che...
facendo uno zoom-out a salire... vedremo nei pressi di un gruppo di turisti che stazionano, fuori dal
Palazzo degli Uffizi, sotto la statua di Redi.
Mentre continueremo a sentire la voce della guida che racconta della vita dello scienziato, ci avviciniamo
al volto della statua, dove troveremo, proprio sul naso, una mosca.
Seguiremo la mosca volare in alto, sopra i tetti di Firenze e…
Fine
Francesco Redi
Sceneggiatura
PERSONAGGI:
a parte Redi e l’ospite a cui illustra il funzionamento del suo laboratorio (potrebbe essere Cosimo II dei
Medici), abbiamo una schiera di insetti (tra cui la zecca “smemorata” e il pidocchio che gli fa da guida).
AMBIENTAZIONI:
il laboratorio di Redi, per le prime due tavole. L’aldilà degli insetti nelle successive due.
TAVV. 1 e 2
Ho immaginato queste due tavole come un’unica splash-page doppia.
Con “effetto psichedelico” vedremo Redi e il suo ospite, Cosimo II de’ Medici, che, trasformandosi
di volta in volta in stato liquido e gassoso, passano da uno strumento all’altro del laboratorio dello
scienziato.
Il tutto, chiaramente, è un episodio che il “zanzaro” che incontreremo nelle tavole successive,
racconta agli altri insetti nell’aldilà.
TAV. 3
1. CI TROVIAMO NELL’ALDILA’ DEGLI INSETTI, DOVE, IN UN LUOGO SENZA RIFERIMENTI
PRECISI, UN GRUPPO DI LORO E’ SEDUTO IN CIRCOLO. PER IL MOMENTO VEDIAMO
IL “ZANZARO” (IN QUANTO ACCOMPAGNATO DALLA MOGLIE ZANZARA) IN P.P. CHE
SORRIDE AL RICORDO DI QUELLO CHE HA APPENA RACCONTATO NELLE DUE TAVOLE
PRECEDENTI.
ZANZARO-
E’ stata un’esperienza incredibile, insomma!
2. ALLARGHIAMO L’INQUADRATURA A FAR VEDERE TUTTO IL GRUPPO DI INSETTI, I QUALI
GUARDANO IN SILENZIO IL ZANZARO, IL QUALE SI RENDE CONTO CHE C’E’ QUALCOSA
CHE NON VA. ACCANTO AL ZANZARO VEDIAMO LA MOGLIE, CON TANTO DI BORSETTA.
ZANZARO-
Che c’è?
3. UN INSETTO (FAI TU) SI RIVOLGE AL ZANZARO.
INSETTO 1-
Permetti una domanda?
INSETTO 2-
Dov’eri stato prima?
TAV. 4
1. IL ZANZARO E’ PENSIEROSO.
ZANZARO- Dov’ero stato, dici?... mmm... A fare colazione all’Osteria del Cecco. Perché?
2. IL GRUPPO DI INSETTI GUARDA IN SILENZIO IL ZANZARO.
(muta)
3. GLI INSETTI SCOPPIANO A RIDERE. LA ZANZARA, NON POCO INCAZZATA, DA’ UNA
BORSETTATA SULLA TESTA DEL MARITO.
INSETTI-
Ah! Ah! Ah! Ah! Ah!
EFFETTO
STUD!
ZANZARO-
Ouch!
ZANZARA-
Sei proprio un deficiente! Mi fai fare certe figure...!
Farinata degli Uberti
Soggetto
Empoli, 1260. La scena si apre con Farinata che, visibilmente accalorato, si scontra con i rappresentanti dei pisani e dei senesi e rivendica la sua appartenenza alla città di Firenze che gli altri vincitori di
Montaperti vorrebbero radere al suolo.
Farinata è davvero determinato a far sopravvivere l’amata città natale (e ci riuscirà - nota) e tiene fieramente testa a tutti gli interlocutori.
La scena si blocca e “come in una moviola del Processo di Biscardi” entra l’inchiostratore Gigi Baldassini che elogia l’idea dell’impostazione dell’inizio della storia, ma mette in guardia il narratore sui
pericoli che questa partenza così smaccatamente “pro-personaggio” potrebbe creare per una biografia
il cui intento è quello di essere principalmente (per quanto possibile) obiettiva ed equidistante.
Alla discussione si aggiunge anche il disegnatore nel voler dire la sua ed il narratore, spaesato, telefona al curatore Alessio D’Uva per chiedere lumi su una situazione che si sta complicando a dismisura.
La telefonata è ovviamente un invito a dare il meglio di sé facendo leva, anzitutto, sulla propria onestà
intellettuale.
La cosa non sembra però calmare le acque e la dialettica degli autori diventa idealmente la dialettica
del processo postumo del 1283 in cui, dalla Chiesa di Santa Reparata, le ossa di Farinata e della moglie furono riesumate e disperse con l’accusa di eresia catara (eresia che si rifaceva ad un ideale di
povertà e castità, a suo dire, più vicina alla fede degli albori e che rifiutava addirittura ciascuna forma
di proprietà privata; classificata poi quasi come “eresia socialista”).
La verità, come emergerà, sarà piuttosto una meschina vendetta attuata dai guelfi nei confronti di un
avversario che (come si noterà, punto di vista del narratore) non erano stati capaci di sconfiggere definitivamente quando era in vita.
Il narratore, però, è in chiara difficoltà. Rimugina sulla mole dei dati che ha a disposizione, dati interessanti quanto contrastanti. Sceglie di far passare un po’ di tempo e “staccarsi” per un po’ dalla sua opera
e rientra nel suo tran tran quotidiano.
Un pomeriggio, in palestra arriva un suo amico, Daniele, sveglio e cazzone, a svolgere un allenamento
giornaliero. In doccia, parlando del più e del meno l’argomento cade sulla biografia scelta da Giacomo
al che l’amico, come suo solito, sbologna la soluzione più sveglia e furba possibile: “Questa partita è
già stata giocata da un fuoriclasse, chi sei tu per dire il contrario?” Giacomo cerca di negare, di difendere la sua idea di non cadere nel solito e trito clichè del Dante/Farinata nel Decimo canto dell’Inferno.
“Dai retta a me... ti piacciono i fumetti di supereroi? Qui è come inventarsi una storia di supereroi ed
avere in aiuto Spider Man oppure Wolverine! Sfrutta la chance, fatti furbo!”
La scena si sposta nell’Inferno dantesco con il narratore che interrompe i due giganti della storia per
chiedere lumi sulla questione (fantastico come ci rimane Dante che presumeva si volesse parlare di
lui), ma viene duramente rimbrottato da Virgilio a “lasciarli lavorare”.
Forse proprio il Vate ha fornito l’idea giusta: LAVORARE.
E’ finito il momento dei discorsi e delle elucubrazioni. E’ bene che si cominci a far vedere quello che
definisce veramente una persona: LA SCELTA, l’azione nella sua forma più alta e pura.
E Giacomo deve scegliere di NARRARE.
Si, proprio con la maiuscola, di “far parlare gli eventi” anche a costo di dover sacrificare una parte di sé.
Anche a costo di dover rivedere delle certezze su dei personaggi sulla cui idealizzazione aveva fondato
una grossa parte della propria formazione umana e culturale.
Siamo nel 1248 ed a Firenze è in scena la “cacciata dei Ghibellini” rei di aver tramato al fine di spodestare il potere guelfo nella città.
Fu un anno violento e sanguinario, espressione di una tensione e di un dualismo che, solo con la totale
sconfitta dell’avversario, sarebbero terminati.
La “naturale evoluzione” (!!!) degli eventi fu la Battaglia di Montaperti in cui, nelle didascalie, si vedono
Dante, Salvemini, Ottokar, ed altri autorevoli storici esprimere in sintesi il loro pensiero con Giacomo
attento, ma anche risoluto a trovare finalmente una propria voce all’interno del contesto.
Una voce che non ha la pretesa di essere finale e\o esaustiva, ma quella di testimoniare la possibilità
dell’esistenza di un’altra interpretazione del personaggio. Anche e soprattutto alla luce dei giorni nostri.
Molti temi vengono toccati, dal rapporto tra gruppi di potere ed istituzioni al valore delle cose e di quanto siamo disposti a sacrificare per un fine più alto (e, importante, se questo “gioco” vale davvero la candela) oltre all’eterna dicotomia potere spirituale/potere temporale e quanto è o potrebbe essere nobile
combattere per una causa, magari anche dalla parte del giusto, ma latori di forti “conflitti di interesse”
come nel caso dell’appartenenza del protagonista all’eresia catara.
Il lavoro volge al termine e, proprio su quest’ultimo tema, sul dubbio “dantesco” che il narratore ancora
mantiene sulla militante appartenenza di Farinata al’eresia catara, viene provvidenzialmente in aiuto
un altro grandissimo artista, decisamente più contemporaneo: Bob de Niro nell’interpretazione di Al
Capone nel film “Gli Intoccabili” che sentenzia: “Se io vedo uno che ruba gli dico “Hey, tu rubi!” non lo
punisco perché ha sputato sul marciapiede!”
Ultima pagina. Esterno giorno davanti al loggiato degli Uffizi. E’ giusto che il protagonista abbia l’ultima
scena anche se non può più dire la sua.
Fine
Farinata degli Uberti
Sceneggiatura
SCENEGGIATURA
Nota 1: Molte delle indicazioni specifiche al disegnatore, al colorista ed al letterista ed i riferimenti agli
ambienti, alle luci, ai costumi ed a tutto il materiale allegato vengono omesse per non appesantire la
lettura.
Nota 2: I credits verranno inseriti come da specifiche che ci verranno indicate.
PAGINA 1
Tavola a quattro strisce.
Striscia 1: CM in cui si vede l’esterno di Palazzo Conti Guidi ad Empoli.
Didascalia: Empoli.
Didascalia: 1260, verso la fine di Settembre.
Striscia 2 - Vignetta 1: Scorcio dell’interno del palazzo in cui si vede la corte interna. La sequenza
di immagini segue una macchina da presa il cui operatore è attirato dalle voci che si odono nell’aula
principale.
Voce FC: ... Abbattimento delle mura allo scopo di eliminare qualsiasi pericolo.
Striscia 2 - Vignetta 2: CM del corridoio esterno sotto il loggiato. In fondo si nota un portone
socchiuso da cui proviene la voce.
Voce FC: La popolazione sarebbe fatta ricoverare nelle zone immediatamente vicine alla citta’.
Striscia 3 - Vignetta 1: Un androne con una grande scalinata. Si nota sul muro, in fondo, lo stemma
ghibellino. Sia la MDP che l’oratore stanno per arrivare al punto.
Voce FC: il passo successivo prevede la demolizione degli edifici perche’ Firenze...
Striscia 3 - Vignetta 2: Dettaglio dello stemma ghibellino sul muro. Ci fermiamo un attimo per
introdurre poi quella che è la vignetta principale della pagina.
Voce FC: La piu’ forte delle citta’ guelfe...
Striscia 4: CM visto a volo d’uccello della grande aula con l’oratore al centro che, visibilmente
accalorato, punta il dito per rafforzare la propria affermazione.
Oratore: FIRENZE DEVE MORIRE!!!
PAGINA 2-3 (doppia pagina)
Questa è la pagina (e la scena madre) che introduce il protagonista. La sua composizione è volta a
restituire a Farinata tutto il suo carisma, la sua passione e la sua presenza scenica.
Entrambe le pagine sarebbero strutturate a quattro strisce ed otto vignette, ma le vignette 1-2-3-4-5-6
di pagina 2 e le vignette 3-4 di pagina 3 costituiscono lo sfondo della doppia splash.
PAGINA 2
Vignette 1-2-3-4-5-6 + Pagina 2 – Vignette 3-4-5-6: Di fatto, la figura di Farinata in FI, ripresa
leggermente dal basso, riempie quasi tutta la doppia splash. Con una mano sembra, idealmente,
tenere a bada i suoi che fremono per intervenire. La sua espressione è decisa. Il suo portamento
esprime, prima di tutto, determinazione.
Vignetta 7-8: PM del Conte Giordano d’Anglano seduto su una grossa sedia/trono in legno. Si deve
capire, con l’espressione del suo volto e la posizione comoda sulla sedia, che è lui che prenderà la
decisione (anche se, ovviamente, la prenderà il Principe Manfredi).
Conte Giordano: Che cosa replichi Manente degli Uberti?
PAGINA 3
Vignette 1-2: PPP di Farinata. Inquadratura lievemente dal basso; come fosse un dettaglio della FI
principale.
Farinata: Com’asino sape, sí va capra zoppa, così minuzza rape, se’ lupo non la ‘ntoppa.
−
Nota: Qui ci sarà, doverosamente, una nota che spiega “l’ingresso dialettico” di Farinata. Egli
fuse due proverbi del tempo al fine di rafforzare “visivamente” la metafora.
Le parole del ghibellino, oggi, suonerebbero così: “Potreste anche fare quello che dite se solo non ci fossi io (il lupo) che sono più forte perché siete stupidi (asino) (1) e deboli (capra zoppa)
(2).”
1)
Era stata di Farinata e dei Ghibellini fiorentini la strategia vincente nella Battaglia di
Montaperti;
2)
Siena e Pisa, le due città più determinate a distruggere Firenze, dopo le perdite
riportate nella Battaglia di Montaperti, non avevano forza militare sufficiente a contrastare l’esercito
agli ordini di Farinata.
Striscia 4 in tre vignette.
Vignetta 1:CM dei presenti immobili ed ammutoliti. Imposta l’inquadratura in modo da far vedere, al
centro, il Conte Giordano. L’aria, da gaia esaltazione, è ora grave.
Vignetta 2: Avvicinati al Conte che si vede chiaramente che sta cambiando posizione sulla sedia. E’
in FI, ma si nota bene che il suo sguardo si è fatto estremamente attento.
Vignetta 3: PM del Conte che ha reclinato la testa da un lato ed ha indurito la sua espressione. Una
mano stringe il bracciolo della poltrona su cui siede.
Conte Giordano: Adesso sono curioso.
Conte Giordano: Chi sono gli asini e le capre di cui parli?
PAGINA 4
Vignetta 1-2-3-4: Farinata in FI verso il lettore, ma idealmente verso il Conte Giordano. Stavolta
è ripreso leggermente dall’alto (come se la differenza di rango si traducesse in miglior posizione di
osservazione). Il suo linguaggio del corpo indica che, adesso, dopo il colpo ad effetto, è il momento
della spiegazione. Anche lo sfondo in cui si muove si fa più definito.
Farinata: Conte Giordano, illustre e riconosciuto comandante, come hai potuto osservare visto che eri
insieme a me quando sono entrato da vincitore il giorno 12 di questo mese nella mia città finalmente
liberata dai guelfi e risollevata da un nuovo governo il 17...
Farinata: Firenze è, oggi, ghibellina tutta.
Vignetta 5: Stringi su Farinata in PM. Il suo sguardo è deciso, ma non duro. Adesso è quasi sereno;
sta esponendo un’incontestabile fatto. E, mi raccomando, il linguaggio del corpo deve seguire.
Magari ha un braccio alzato e la mano aperta, quasi come un imbonitore.
Farinata FC: E saldamente presidiata dai miei uomini.
Vignetta 6: Dettaglio del braccio del Conte Giordano con la mano, adesso, aperta sul bracciolo della
poltrona. Come se questo gesto seguisse idealmente quello di Farinata nella vignetta precedente.
Vignetta 7: Dettaglio della mano (meglio un dettaglio più spinto del precedente) di Farinata che si
stringe a pugno sul suo petto. Per un attimo, cambia il linguaggio del corpo: Farinata sta giungendo
alla prima delle sue conclusioni.
Farinata: Forti, decisi e pronti a tutto...
Vignetta 8: PP del Conte Giordano con sguardo, adesso, genuinamente interessato. Quasi incerto
sul da farsi dato che, a causa dell’esposizione dei fatti di Farinata, sta mutando la sua convinzione (e
la farà cambiare anche a Re Manfredi di Svevia). Magari rendi più teatrale la sua posa disegnandolo
con la mano che regge il mento.
Farinata FC: ...come mai prima d’ora.
Michelangelo
Soggetto
Firenze 2010. Galleria dell’Accademia.
Scolaresche rumorose e distratte ascoltano le voci annoiate degli insegnanti che, meccanicamente,
parlano di Michelangelo e le sue statue.
La storia si focalizza su Vittoria e Tommaso, due sedicenni inquieti e annoiati, che si nascondono dalla
vista dell’insegnante dividendosi una cuffia ciascuno e ascoltando la loro musica preferita.
Vittoria, mentre sta ascoltando ancora le sue canzoni, rimane incuriosita dal marmo non scolpito e
senza forma della statua chiamata “Schiavo che si ridesta”. La ragazza, rapita dall’opera, comincia a
fissare la torsione dei muscoli tesi e la pietra informe che ne avvolge il corpo.
Tommy incuriosito dall’atteggiamento della sua amica si avvicina, ed entrambi hanno un tuffo al cuore
perché dalle loro cuffie, oltre alla loro canzone, sentono parlare una voce:
-Fra tre giorni...qui...alle tre del mattino... entrate dal passaggio dell’Accademia accanto... alle tre del
mattino...fra tre giorni. I ragazzi si guardano scossi e meravigliati e dal pomeriggio stesso cercano di sapere come entrare
nella Galleria dal passaggio suggerito. Dopo mille peripezie, finalmente, riescono a presentarsi allo
straordinario appuntamento.
Galleria dell’Accademia, 3 giorni dopo, ore 3.00
I ragazzi si ritrovano davanti allo “Schiavo che si ridesta”. La statua si presenta e cerca di muoversi,
ma è imprigionata dalla pietra. Essa afferma che tutti e quattro i Prigioni aspettano ormai da più 500
anni di liberarsi dalla pietra senza forma che li avvolge e sono arrabbiate con Michelangelo per averle
lasciate non finite.
I Prigioni dicono di essere esasperate dal dover vivere la continua lotta con la pietra informe che ostacola la loro libertà di muoversi e affermano che il loro artista le ha lasciate nella stessa sensazione
di costrizione che viveva lui, imprigionato dai limiti della realtà del suo corpo e della sua condizionata
esistenza.
Cominciano i loro ricordi su Michelangelo in flashback.
Cava di Carrara, 1505
Michelangelo sceglie i marmi che le “contengono”: i Prigioni descrivono l’energia che corre tra il marmo
e le sue mani. Vediamo le speranze e le ambizioni del giovane artista che immagina la grande opera
che gli è stata affidata: la tomba di papa Giulio II.
Laboratorio dell’artista, 1520 ca
Michelangelo “vede” le sue statue dentro al blocco e deve solo “levare” pietra per tirarle fuori. Vediamo con gli occhi dell’artista l’immagine dello “schiavo che si ridesta” completa dentro il marmo bianco.
Michelangelo, poi, scolpisce con forza e senza esitazione, spinto da un carica violenta dettata anche
dalle sue inquietudini e i suoi malcontenti.
L’artista sta ripensando alle parole di papa Giulio II che gli ha comunicato di essere più interessato ad
altri progetti e la rabbia per l’annuncio della riduzione del numero delle statue della tomba si mescola
all’energia riversata sullo “schiavo ribelle”.
Il viso e il corpo di Michelangelo sono ispirati, ma allo stesso tempo, sono mossi da mille passioni che
si accavallano: rabbia, amore, risentimento e grande piacere creativo.
Michelangelo, poi, si ferma davanti alla statua non finita, ansima e dalla sua espressione non si capisce
se è soddisfatto di ciò che ha fatto.
Ritorno al presente:
espressione rabbiosa dello “schiavo ribelle” che guarda se stesso dicendo che da quel giorno Michelangelo non lo ha più considerato.
I Prigioni si lamentano e si chiedono perché sono stati lasciati non finiti, inoltre, invidiano il David che
completo vive libero di muoversi.
Lo sguardo dei ragazzi va al David e si accorgono meravigliati che il gigante non è più al suo posto!
I Prigioni rivelano poi, lo scopo del loro appuntamento: chiedono di essere completate da Tommaso e
Vittoria, che verranno guidati dalle loro stesse indicazioni.
La ragazza è molto perplessa, non osa toccare ciò che le mani di Michelangelo hanno creato.
Tommy invece è contentissimo e desideroso di liberare i Prigioni e le statue gli chiedono di prendere
gli attrezzi che si trovano nell’Accademia accanto. Il ragazzo entusiasta, si lancia con la sua torcia
elettrica verso le aule buie dell’Accademia, nel mentre, i Prigioni cercano di convincere anche Vittoria.
Parte l’altro flashback.
Laboratorio di Michelangelo 1501
Le statue raccontano di come è nato David e le vicende ad esso collegate: del marmo rovinato visto
anni prima, il tocco delle dita sul marmo bianco, il sorriso meravigliato del giovane, la promessa
dell’amico che lo avviserà nel caso in cui il marmo fosse messo in vendita.
I Prigioni riferiscono, poi, dei ricordi del David, delle scintille prodotte dallo scalpello e dell’energia che
lo percorre e si irradia in tutto il marmo. Essa viene descritta come una carica creatrice che impregna
per sempre la statua delle stesse emozioni del suo artista.
Vediamo, poi, nei pensieri di Michelangelo la persona di Tommaso de’ Cavaleri del quale è innamorato
non corrisposto. Questi ricordi accompagnano i colpi di scalpello sulla statua ed essi sanno di ansia
spasmodica per qualsiasi e qualunque possibile contatto con l’amato.
Vittoria ascolta ammirata, poi, espone le sue perplessità dicendo che anche loro sono state create in
queste circostanze e possiedono in loro stesse l’energia creatrice di Michelangelo.
La ragazza sottolinea che lei è rimasta ipnotizzata proprio dal loro fascino e non da quello del David,
anche se non sa spiegare il perché.
I Prigioni rimangono un po’ spiazzati, ma, in quel momento arriva Tom che li riporta al loro scopo iniziale: liberarsi dalla massa della pietra e diventare libere.
Tom contento sale con una scala vicino allo “schiavo che si ridesta” ed è pronto a colpire, ma, un sasso colpisce e scaglia lontano il martello del ragazzo: è stato il David che con la sua fionda ha salvato
l’opera del suo creatore.
Il gigante arrabbiatissimo urla contro Tommy che si giustifica dicendo di avere seguito le richieste dei
Prigioni. David, così, sottolinea alle statue che loro sono ancora in contatto con la materia che li avvolge ed essa esalta la forza della loro bellezza. I Prigioni, invece, insistono affermando che vogliono
essere completati.
David risponde che essere finiti significa anche essere “abbandonati” dal proprio artista perché tutto
quello che c’era da “levare” l’ha “levato”. I Prigioni possono, invece, vivere la sensazione che non è
ancora finita e che tutto può ancora accadere...
David continua il discorso rivelando loro un segreto che, ancora una volta, sorprende i ragazzi:
egli afferma che è grazie ai Prigioni che Michelangelo può ancora alzarsi dalla sua tomba!
L’artista, infatti, vive attraverso la loro incompletezza perché è nella loro energia del non ancora finito
che lui ritrova la forza per alzarsi ogni notte!
I ragazzi rimangono ancora una volta sorpresi dagli eventi e Tom accenna a Vittoria della leggenda
sull’apertura della tomba di Michelangelo che, a duecento anni dalla sua morte, venne trovato intatto!
Dal fondo della galleria si sente un rumore di porta che si apre e dei passi. Le statue dicono che è
Michelangelo venuto per fare il suo solito saluto mattutino, prima di andare a coricarsi sulla tomba di
Santa Croce.
Il grande artista entra nella stanza e conosce i due ragazzi un po’ spaventati. Michelangelo osserva
che loro si chiamano proprio come le due persone che ha amato e stimato maggiormente durante la
sua vita: Tommaso de’ Cavalieri e Vittoria Colonna.
Parte l’ultimo flashback raccontato proprio da Michelangelo.
Casa di Michelangelo 1501 ca e 1550ca
L’artista compone i suoi sonetti e le sue rime piene d’amore per Tommaso, poi dopo molti anni, scrive
le lettere alla sua amica Vittoria, nelle quali afferma di sentirsi afflitto dal corpo che imprigiona la mente
e dall’infelicità per la sua condizione umana: una forzata dualità in lotta tra le grandi aspirazioni dello
spirito e la limitatezza materiale della realtà.
Il flashback viene interrotto dalla fragorosa risata di Michelangelo che afferma quanto fosse sciocco
mentre era in vita, perché vedeva corpo e mente come espressione di due entità diverse e separate.
L’artista, poi, indica i Prigioni affermando che loro invece sono un tutt’uno con la materia che li accoglie
e da essa traggono la Vita.
Pietra compiuta e pietra incompiuta, pietra finita e pietra infinita, quindi, sono la stessa cosa e nella loro
compresenza accade qualcosa di meraviglioso e ignoto...
I Prigioni, ascoltano affascinate senza replicare e memori anche del segreto svelato dal David, si
rendono conto che, forse, devono capire ancora meglio la loro condizione, infatti, le nuove rivelazioni
hanno spiazzato i loro malcontenti troppo certi.
Comincia l’aurora, è tempo di tornare tutti alle proprie esistenze...
I ragazzi sono felici e grati di aver vissuto la splendida esperienza con Michelangelo e le sue statue
“vive”. Tutti si salutano soddisfatti, poi, David e i Prigioni ritornano ai loro posti.
I ragazzi, invece, si avviano verso Piazza Santa Croce insieme a Michelangelo.
I tre, arrivati davanti agli scalini della Basilica si scambiano le ultime battute e gli ultimi saluti.
Michelangelo, così, entra nella Basilica dall’entrata principale, apre le grandi porte e le chiude dietro di
sé donando ai ragazzi l’ultimo complice sorriso.
Fine
Michelangelo
Sceneggiatura
TAV. 27
1
FB. Striscia. Panoramica dall’alto del laboratorio di Michelangelo. La stanza è illuminata dalla luce
aranciata delle candele. I rumori dello scalpello sulla statua scandiscono i tempi del legame tra
l’artista e la sua creazione...
.
Dida : MI VEDEVA DENTRO LA PIETRA...I SUOI OCCHI FIAMMEGGIAVANO...
Rumori: STUNK … STUNK …. STUNK
2
PA dell’artista con in mano martello e scalpello. Ombre pesanti accentuate dalla luce delle candele
che stanno sullo sfondo dietro di lui. Michelangelo appare sudato e agitato da mille pensieri ed
emozioni (Scena molto fisica). Egli prova rabbia per il contratto rescisso con il Papa e passioni
irrisolte si alternano senza tregua...
Dida: PARTECIPAVO A CIÒ CHE PROVAVA!
MI ARRABBIAVO QUANDO LUI SI ARRABBIAVA!
3
PP della mano di Michelangelo che stringe con forza il martello e impreca
Michelangelo FC : MALEDIZIONE!!! PERCHE’???
4
Cambiamento repentino dell’attegiamento di Michelangelo che, preso dalla sua creazione, ha già
trasformato la sua rabbia in piacere creativo. MB a ¾ dell’artista, mentre soddisfatto dà il suo colpo
di martello.
Dida: ...MI ECCITAVO QUANDO LUI SI ECCITAVA...
56
Piano sequenza tra volto dello schiavo e volto di Michelangelo rapito da ciò che sta creando.
La statua appare come se fosse viva...
Dida: ERA BELLO ESSERE PLASMATO DA LUI! MI RICONOSCEVA,
OLTRE LO STRATO DELLA MATERIA DALLA QUALE ERO AVVOLTO!
7
Striscia. PV dal basso frontale. Michelangelo si è fermato all’improvviso, ansimando ancora con lo
sguardo indecifrabile. Scena drammatica: sembra che stia per succedere qualcosa di brutto.
Vediamo la sua sagoma quasi tutta in ombra. Ombre pesanti. Lo sguardo di Michelangelo si
intravede a malapena indecifrabile...
TAV. 28
12
Striscia grande. Profilo di entrambi. Vediamo le sagome in ombra dello “schiavo che si ridesta” con
la sua testa inclinata e quella di Michelangelo che tiene ancora martello e scalpello in mano. Egli
ansima ancora. La luce dorata delle candele sullo sfondo. Intenso.
DIDA: ...ERO COMPLETAMENTE SCOSSO DALLA SUA ENERGIA SU DI ME...
3
PP sulla mano di Michelangelo che lascia cadere lo scalpello
Rumore della caduta dello scalpello: STUMP!!!
4
PP del viso della statua che sembra inespressiva, ma, qualcosa di impercettibile c’è e si vede...
E’ un leggero bagliore negli occhi che testimonia il suo dispiacere.
5
Striscia. Stessa inquadratura di prima, ma più larga. L’ambiente intorno alla statua è cambiato.
Siamo nella galleria dell’Accademia, lo vediamo dalle luci diverse che illuminano il volto dello
schiavo. Questa volta appare molto espressivo: ha lo sguardo eccitato di Michelangelo, ma
l’espressione è furiosa.
Schiavo: ED ECCOMI QUA! MALEDIZIONE!!! INCOMPLETO!!! NON FINITO!!!
6
Striscia. PV dall’alto. Inquadratura che si è allargata sulla Galleria dell’Accademia.
Camera sulla spalla dello schiavo. Vediamo Tommaso e Vittoria che guardano la statua con occhi
sgranati
7
PP di Tommy che lo guarda con empatia e condivide la stessa rabbia
Voce FC dello schiavo: VOLEVO CHE MI LIBERASSE DA QUESTA
MALEDETTA PIETRA CHE MI OPPRIME!
8
PV dal basso. Vediamo Atlante con il viso nascosto dalla pietra non finita
Voce FC di Tom: MA PERCHÉ? PERCHÉ VI HA LASCIATI INCOMPLETI?
1
PP dello sguardo dispiaciuto di Vittoria
TAV 29
Atlante voce FC: AVREI VOLUTO ESSERE LASCIATO LIBERO DI ESPRIMERMI...
FUORI DA QUESTO CARCERE DI PIETRA!
2
MB di Vittoria pensierosa
Vittoria: MI DISPIACE!....FORSE.....
C’È UN MOTIVO ...FORSE MICHELANGELO...
34
Striscia. PV dal basso. MF dello schiavo che si dimena tra la pietra non finita
Schiavo: CI HA LASCIATI BLOCCATI QUI!!!
INVECE LUI È LIBERO DI MUOVERSI!!!
5
Viso sorpreso dei ragazzi di profilo
Coro dei ragazzi: LUI CHI???
6
I ragazzi si sono girati verso di noi, stanno guardando la statua del David sbigottiti
Vittoria: NON CI POSSO CREDERE!!!
Tom: CACCHIO!!!
TAV. 30
1
Striscia. Prospettiva dal basso. Camera un po’ storta. Effetto disorientante...sul piedistallo la statua
del David non c’è.
2
PV centrale. Vediamo la Galleria dalle spalle di Vittoria. Tommy è corso verso il piedistallo vuoto
Vittoria: MA?!...WOW!!!
Tommy: FIGO!!! SARÀ IN GIRO PER FIRENZE!
3
PV dall’alto. PA dello “schiavo che si ridesta” agitandosi per quello che può...
Schiavo: E NOI QUI A DIMENARCI CONTRO LA PIETRA!
DA 500 ANNI!!! 500 ANNI!!!
4
Striscia. Pv dal basso. Camera allargata in cui vediamo tutte le 4 statue dei Prigioni.
Atlante prende la parola protendendosi per quanto gli è possibile verso i ragazzi
Atlante: VI ABBIAMO VOLUTO QUI PER UNA RAGIONE PRECISA...
VI SARETE RESI CONTO DELLA NOSTRA SITUAZIONE....
5
MB dello schiavo arrabbiato che continua ad agitarsi dentro il masso che lo avvolge
S: SIAMO STUFI! BASTA!!!
NOI VOGLIAMO ESSERE LIBERI COME IL DAVID!
6
PV dall’alto, un po’ storta. Vediamo entrambi i ragazzi che ascoltano concentrati. L’espressione di
Tommy è eccitata, Vittoria invece appare perplessa. Essi cominciano ad intuire cosa vogliono da
loro i Prigioni.
Atlante FC: ...MA DA SOLI, NON CE LA FACCIAMO....
7
Striscia. Pv dal basso. La camera è alle spalle dei ragazzi che vediamo in ombra. Al centro della
vignetta, intravediamo lo schiavo con lo sguardo eccitato e poco rassicurante...
S: NOI VOGLIAMO CHIUDERE IL NOSTRO CONTO IN SOSPESO CON MICHELANGELO...
Accursio
Soggetto
L’intera storia viene “vista” in soggettiva dalla statua di Accursio che dà sulla piazza degli Uffizi.
In effetti quindi la storia riguarda più la piazza stessa, e Firenze, anche se introdurrà delle note biografiche su Accursio, spiegando quello che è stato il suo lavoro, il motivo per cui si trova tra i 28 personaggi
illustri.
La storia che racconteremo inizierà nel dopoguerra, quando Firenze viene liberata dall’oppressione
nazifascista.
Alcuni dei fatti più importanti che han riguardato la città scorreranno davanti agli occhi di marmo della
statua:
•
l’11 agosto 1944 (Alle 6.45 un vigile del fuoco fa suonare la Martinella di Palazzo Vecchio dando
il segnale dell’insurrezione. Fino al 13 agosto i partigiani sostengono da soli lo scontro con le truppe
tedesche in ritirata);
•
1 Maggio 1945 - Grande comizio, agli Uffizi, per celebrare la festa dei lavoratori;
•
Il 21 giugno 1945 viene abolito il coprifuoco;
•
22 luglio 1945 - Con una cerimonia ufficiale in piazza della Signoria il gen. Hume riconsegna al
sindaco Pieraccini e a tutti i fiorentini le opere d’arte sequestrate dalle truppe tedesche in fuga e recuperate grazie alla collaborazione degli alleati e degli italiani nelle regioni settentrionali;
•
1945 (gli uffizi sono un cantiere, vengono iniziati i lavori per ristrutturarli dopo i danni della guerra);
•
27 ottobre 1954 - L’avvistamento degli UFO;
•
23 dicembre 1959 - Nell’ambito delle manifestazioni di “Natale a Firenze” speciale illuminazione
del Forte Belvedere, di San Miniato e degli Uffizi;
•
15 febbraio 1961 - I fiorentini assistono all’eclissi di sole;
•
9 gennaio 1966 - La città è ricoperta dalla nevicata più abbondante verificatasi dal 1946;
•
4 novembre 1966 - L’Arno straripa a Firenze alle sei del mattino allagando gran parte della città;
•
7 novembre 1966 - Un reggimento dell’esercito arriva in soccorso della popolazione. Gruppi di
studenti iniziano a lavorare al recupero delle opere d’arte;
•
16 febbraio 1968 - Nel piazzale degli Uffizi manifestazione del Comitato fiorentino per la pace e
la libertà del Vietnam presieduto da Enriques Agnoletti. Prende vita un corteo non autorizzato che ben
presto si scioglie; un gruppo dà vita a manifestazioni antiamericane inneggiando a Mao. Un manifestante è arrestato per oltraggio alla bandiera nazionale;
•
27 maggio 1993 - Cinque vittime per l’esplosione di una bomba che danneggia gli Uffizi e distrugge la sede dell’Accademia dei Georgofili.
Il passaggio degli anni viene segnato dalla costante presenza di una donna, nata nel 1930, che vediamo inizialmente bambina, fino a ritrovarla, infine, vecchia, ottantenne.
Mentre le note biografiche riguardanti Accorsio verranno affidate ai turisti, e ai passanti che racconteranno un po’ della sua vita.
Fine
Accursio
Sceneggiatura
Pag 1
Vignetta 1
Striscia orizzontale (1 di 3)
L’inquadratura è la soggettiva della statua di Accursio, in piazza degli uffizi. È l’una di notte del 27
maggio 1993, quindi la piazza è ancora un po’ affollata di persone che passeggiano tranquille per la
piazza visto il clima mite.
Ovviamente è buio e la piazza è illuminata da luci artificiali.
DIDA: 27 maggio 1993, ore 1.03
Vignetta 2
Striscia orizzontale (2 di 3)
Stessa inquadratura della vignetta precedente (in effetti sarà sempre la stessa :P). diciamo che
siamo qualche fotogramma avanti, con quasi gli stessi interpreti della vignetta 1 che si muovono
nell’inquadratura, inconsapevoli di quel che sta per accadere.
Vignetta 3-4-5
L’esplosione di Via dei Georgofili, (nella via alle spalle della statua, quindi) “spezza” in tre parti
l’inquadratura. L’effetto potrebbe essere qualcosa in stile vignette Image degli anni 90, in cui
contavano più le forme delle vignette che le storie narrate.
Diciamo che la vignettona unica, come un vetro spezzato, è divisa in tre pezzi principali più grandi
(storti, soprammessi anche un po’ tra di loro) e alcune schegge che comunque contengono parte
dell’immagine.
Sulla parte sinistra, del fumo arriva ad accompagnare l’esplosione
ONOMATOPEA: BOOOM!
Pag 2
Vignetta 1
Striscia orizzontale
L’inquadratura è tornata fissa, tutta unita. Ma il fumo riempie tutta la vignetta, impedendo di capire
bene cosa accade dietro, dove comunque si intravedono persone a terra e gente che corre via
urlando. Se l’inquadratura include i vetri dei piani alti degli uffizi, questi sono rotti e le porte al piano
terra (sempre se se ne vedono) sono scardinate.
FOLLA: ahhhh!!!
Aiutoooo!
Via, via!!!
Vignetta 2
Striscia orizzontale
Il fumo si dirada un po’ adesso e si vedono persone, anche in vestaglia, che scappano in strada,
persone ancora a terra che tentano di rialzarsi (una si trova sulla destra della vignetta, in basso.
Davanti a lui, un cumulo di detriti) e i dettagli dei danni riportati anche nella vignetta precedente sono
ora più visibili.
Sotto una strana luce, creata dalle fiamme e dal fumo, si vedono in terra detriti come tegole lanciate
via dai tetti dall’onda d’urto, vetri, pietre.
PERSONE TRA LA FOLLA: il gas, esce il gas!
Scappiamo!
Allontanatevi!
Oddioooo!
ONOMATOPEA (in lontananza si sente la sirena dei Vigili del Fuoco): EEEeeEEeeEEEee!
Vignetta 3
Questa vignetta, insieme alla 4 e alla 5, taglia in tre parti verticalmente l’inquadratura soggettiva della
statua.
In questa vediamo entrare in scena, dalla sinistra, un camion dei pompieri.
ONOMATOPEA (che sborda anche nella vignetta successiva): EEEeeEEeeEEEee!
Vignetta 4
Il camion dei pompieri si ferma al centro della vignetta.
ONOMATOPEA (frenata): Skreek!
Vignetta 5
Vediamo inquadrata in basso della vignetta la stessa persona di cui si parla in vignetta 2. Sta
cercando di alzarsi. A lui si sta avvicinando a corsa un pompiere sceso dal camion.
POMPIERE: Aspetti, lasci che la aiuti...
Pagina 3
Vignetta 1
Striscia orizzontale.
In primo piano sulla destra il pompiere che sta sollevando la persona di cui si parlava nella pagina
precedente. Tra queste due persone e la statua, un piccolo cumulo di macerie. Mentre lo fa è voltato
verso i suoi colleghi che son scesi anch’essi dall’automezzo. Col braccio destro gli sta indicando il
lato sinistro della vignetta.
Costoro si stanno muovendo verso la statua, ma in realtà stanno andando ad imboccare la via che si
trova alla sinistra della stessa per poter raggiungere il punto dell’esplosione.
POMPIERE IN PRIMO PIANO: Forza, ragazzi, forza!!! Di là!
Vignetta 2
Striscia orizzontale
Il fumo è quasi completamente andato e si comincia a vedere il tutto più nitidamente.
nell’inquadratura si possono vedere: in primo piano, sulla destra un cumulo di detriti un po’ più alto
con un pompiere che ci sta poggiando un masso; al centro dell’inquadratura il camion dei pompieri,
in alto sulla sinistra, vicino al loggiato dalla parte opposta della piazza, il sovrintendente Antonio
Paolucci sta poggiando la bicicletta a una transenna.
ONOMATOPEA (masso poggiato dal pompiere): Toc!
Vignetta 3
Stesso gioco della pagina precedente con la striscia orizzontale divisa, anche se stavolta in 4 parti.
In questa vignetta vediamo entrare in campo, sempre da sinistra un pompiere che porta con le mani
un enorme pezzo di specchio rotto, ma capace di riflettere la nicchia dove è contenuta la statua
di Accursio (ancora non si deve vedere Accursio). Il pompiere lo porta da solo e ancora non è
completamente in campo. Sullo sfondo il Paolucci che si gratta la testa :D
Vignetta 4
Il pompiere è al centro della vignetta, “nascosto” dietro il pezzo di specchio. Sta camminando verso il
margine destro. Lo specchio riflette la statua di Accursio.
Vignetta 5
Il pompiere getta il vetro sul cumulo dietro al quale si trova il suo collega di vignetta 2.
Il collega si sta asciugando il sudore della fronte con una manica mentre nell’altra mano regge
l’elmetto di ordinanza.
Sullo sfondo una troupe televisiva si sta dirigendo verso il sovrintendente che è fermo in vignetta 3 :)
COLLEGA: Che tragedia…
Vignetta 6
Lo specchio si frantuma sul cumulo di macerie.
ONOMATOPEA (specchio): Crash!!
POMPIERE CHE HA LANCIATO IL VETRO (Fuori Campo): Già…
Pagina 4
Vignetta 1
Striscia orizzontale
Intorno al sovrintendente (con lui c’è Franco Scaramuzzi, presidente dell’Accademia dei Georgofili e
magari il questore Mario Iovine) si forma un piccolo capannello di giornalisti e cittadini. Tra di loro si
può notare la nostra protagonista, sulla sinistra del gruppo.
Al centro della piazza ancora il camion dei pompieri, quindi il gruppo è sulla sinistra della vignetta.
In primo piano ancora i pompieri che stanno lavorando. Direi che nella piazza c’è ancora più luce.
SCARAMUZZI: Purtroppo l’esplosione ha distrutto la Torre dei Pulci, l’Accademia dei Georgofili non
esiste più. Ma altrettanto triste è la scoperta dei corpi delle due bambine…
Vignetta 2
Striscia orizzontale
Adesso parla il sovrintendente, mentre tra il pubblico possiamo notare che la vecchietta si è voltata e
sta guardando verso la statua di Accursio.
Intorno, lo stesso tran tran della vignetta precedente.
PAOLUCCI: Il Corridoio Vasariano è stato danneggiato dalla spinta della bomba. I detriti hanno
squarciato alcuni quadri, sfregiato le statue e distrutto volte e lucernari… la galleria rimarrà chiusa
per mesi…
Vignetta 3
La vecchietta si muove verso la statua di Accursio.
PAOLUCCI: Ci saranno molti miliardi di danni, lassù…
Vignetta 4
La vecchietta è davanti alla statua, la guarda.
VECCHIETTA: stavolta te la sei vista veramente brutta…
Vignetta 5
La vecchietta si incammina verso il margine deterso di quest’ultima vignetta.
FINE
Sant’Antonino Pierozzi
Soggetto
Metà ‘800: il giovane scultore libertino Giovanni Duprè è all’apice della sua carriera e gli viene commissionata dalla sua mecenate, la granduchessa Maria Antonietta, la statua di Giotto per la Loggia degli
Uffizi. Lo scultore riesce facilmente a trovare abbondante materiale sul pittore e confeziona la statua in
poco tempo, ricevendo onori e fama ancora più grandi.
Cavalcando questo successo la duchessa gli commissionerà anche la statua di Sant’Antonino, convinta dell’abilità e affidabilità del suo pupillo. Duprè, accecato dalla fama, accetta, certo che il lavoro sarà
facile quanto quello precedente. L’impresa si rivelerà, però, tutt’altro che semplice, in quanto lo scultore fatica tremendamente a trovare materiale sul soggetto e, dopo averle provate tutte e preso dalla
disperazione, decide di andare in chiesa, sperando in un’illuminazione. Qui troverà un rosario, reliquia
appartenuta a Sant’Antonino, che deciderà di rubare per poterne ricavare una qualche ispirazione.
Dopo una notte insonne passata davanti al rosario, il Santo inizierà a parlare a Duprè attraverso il crocifisso e deciderà di aiutarlo a finire la sua opera. La convivenza non sarà pacifica, con i vari scontri e
discussioni fra il serio e austero Antonino e il libertino scultore, che insieme gireranno per la Toscana
nei luoghi importanti del presente e del passato. Dopo l’ennesimo litigio e la delusione per essere stato
rifiutato da Caterina, la donna di cui è innamorato, lo sconfortato Dupré abbandonerà il rosario.
Dopo aver a lungo riflettuto, ritornerà, deciso a finire il lavoro, per scoprire che il Santo dopotutto non
è solo il “campione della serietà”. Alla fine lo scultore riuscirà a terminare la sua opera, sposandosi nel
frattempo con la sua amata, alla quale si dichiarerà solo dopo un aiuto “celestiale”.
Fine
Sant’Antonino Pierozzi
Sceneggiatura
Pagina 1: Intro
Descrizione
Dialogo
Primo piano di una
bottiglia di champagne
che viene aperta col
botto.
Allarga la visuale su
la loggia degli Uffizi
gremita di gente,
tutti o quasi di buone
condizioni economiche,
che festeggiano e
applaudono.
Allarga ancora su veduta
di Firenze ottocentesca
con qualche fuoco
d’artificio che viene da
piazza della Signoria
DIDASCALIA ALTO SX:
Firenze, Granducato di
Toscana, anno del signore
1844
Pagina 2: La festa
Descrizione
Dialogo
Visuale in soggettiva.
Vediamo come
se fossimo il
protagonista. Una
calca di persone gli
si è stretta intorno
facendo complimenti
e stringendogli la
mano.
Sempre in soggettiva.
La folla fa spazio
a una nobildonna
vestita in maniera
pomposa, che guarda
chiunque dall’alto in
basso. Dietro di lei
c’è un uomo enorme
e trucissimo, che
si guarda attorno
sospettoso, che
sembra la sua
guardia del corpo.
Sempre soggettiva.
Fra la gente una
bellissima ragazza
ammicca al
protagonista.
FOLLA: Complimenti!
Sempre soggettiva.
Il protagonista
cerca di andare
verso la ragazzza
ma un uomo sui
25 anni si avvicina
con una bottiglia di
champagne in mano,
che gli porge.
Sempre soggettiva,
con il protagonista
che si scola la
bottiglia a canna. I
bordi della vignetta si
fanno sfuocati.
UOMO: Tieni
grand’uomo, che oggi la
festa è tutta per te!
Quale eleganza!
Grandissimo, sublime!
Un’opera meravigliosa!
DIDASCALIA ALTO SX:
Ma chi è tutta questa
gente? Sono in un
sogno?
NOBLIDONNA: Caro
Giovanni, lei è in grado
di stupirmi ogni volta di
più con la sua arte.
DIDASCALIA BASSO
DX: E questa racchia?
DID. BASSO DX: Oh,
adesso si ragiona! Vieni
un po’ qui mia musa!
DID. BASSO DX: Ma
guarda. C’è anche
Matteo.
DID. ALTO SX: Evvai!
Pagina 3: Il risveglio
Descrizione
Sempre soggettiva.
La vista è annebbiata
e vediamo una figura
indistinta che pare una
vecchina.
Dialogo
VECCHINA: Signorino?
Cambio inquadratura.
Vecchina di spalle e il
protagonista, Giovanni
Duprè, sfatto e disteso su
un divano nel suo studio,
che quasi gli viene
un infarto per il grido.
Regna il disordine, fra
scalpelli, bottiglie d’alcool
e biancheria intima
femminile dimenticati
chissà quando.
Primo piano della faccia
di Duprè, con una faccia
distrutta dai bagordi della
sera prima, che guarda
la vecchina, la balia
Matilde, sconsolato.
Matilde, un energica
vecchina con la cuffia
in testa, sta mettendo
freneticamente ordine nel
caos dello studio.
VECCHINA(gridando):
SIGNORINO DUPRE’!!!!
Duprè di spalle che fa
i gargarismi con una
bottiglia di gin, mentre la
sconsolata Matilde cerca
di mettere ordine più in
fretta che può.
DUPRE’: Mi sciacquo un
attimo e sono di nuovo
fresco come una rosa.
DID. BASSO DX: Eh?
DUPRE’: ARGH!!!!!
DUPRE’: Buongiorno anche
a lei Matilde. Un giorno di
questi i tuoi dolci risvegli mi
faranno morire.
MATILDE: Mi scuso per
l’intrusione signorino,
ma alla porta chiedono
insistentemente di lei.
MATILDE: Mi raccomando,
signorino. Pare sia un
personalità importante.
Pagina 4: l’incontro con la duchessa
Descrizione
Dialogo
Vediamo il portone
d’entrata. Bussano
insistentemente e
Matilde corre ad aprire,
sempre più trafelata.
MATILDE: Arrivo! Arrivo! Il
signorino Duprè è pronto.
La porta si apre di
schianto e Matilde per la
botta quasi cade a terra,
se non fosse per Duprè
che riesce a prenderla al
volo.
DUPRE’: Attenzione
Matilde!
L’inquadratura è di fronte
la porta.
Dalla porta
completamente
illuminata entra un uomo
enorme e trucissimo, che
si deve abbassare per
passare dallo stipite, che
si guarda attorno con
aria schifata.
L’uomo guarda i due, che
loro guardano con aria
perplessa.
Uomo impettito a fianco
alla porta spalancata e i
due di fronte sempre più
perplessi.
DUPRE’: Mi scusi, stanotte
ho dormito poco, ma mi
farebbe la cortesia di
dirmi…
UOMO (interrompendo): Lei
è il signor Giovanni Duprè,
lo scultore?
DUPRE’: Sì, sono io, ma
ripeto Lei chi…
UOMO (ancora
interrompendo e
quasi gridando): Sua
magnificenza illustrissima,
la granduchessa di
Toscana, Maria Antonia
Anna di Borbone – Due
Sicilie!
Francesco Ferrucci
Soggetto
È notte, e un uomo gravemente ferito, coperto di sangue e dai vestiti laceri, si trascina nel mezzo di un
campo di battaglia tra sagome di cadaveri in cerca di un riparo.
Trova rifugio all’interno di un edificio con una torre. Accasciatosi sul pavimento, una figura corpulenta
gli si fa incontro dall’oscurità brandendo un coltello. L’uomo ferito vedendolo esclama: “Vile tu uccidi
un uomo morto!”
Flash back. 1530 Volterra. Dei notabili della città discutono sugli ultimi avvenimenti: Cacciati i Medici,
Firenze ha proclamato la Repubblica. Ma il Papa Clemente VII, guarda caso anch’esso un Medici, ha
convinto l’Imperatore Carlo V a reinsediarli sul trono ducale. I notabili Volterrani attendono timorosi
d’essere ricevuti dal Comandante Francesco Ferrucci che pochi giorni fa è entrato in Volterra e ne ha
preso il controllo per conto della Repubblica, accompagnato già da un alone di leggenda. Vengono
ricevuti e si trovano davanti il celeberrimo Comandante.
Una mano pulisce il volto dell’uomo ferito dal sangue che riprende i sensi, e vediamo che è un ragazzo
sulla ventina. Chi lo sta curando è un vecchio, molto grasso, avvolto in quello che sembra un pesante tabarro. Il vecchio, dopo aver premesso che non intendeva fargli del male, si dice sorpreso che il
ragazzo conosca la celebre frase del Ferrucci. Il giovane dice di ammirarlo, ed il vecchio sostiene di
conoscere molto bene quella storia. La vicenda proseguirà alternando i flash back ai brevi dialoghi fra
il vecchio ed il giovane al quale sta cercando di salvare la vita.
Volterra ormai è nelle mani dei fiorentini quando le truppe imperiali al comando del famoso soldato di
ventura Fabrizio Maramaldo cingono d’assedio la città.
Il Maramaldo è personaggio tronfio e vanesio, vestito con splendide armature dai cimieri riccamente
piumati, ma dal passato più simile a quello di un efferato brigante.
Per contrasto invece il Ferrucci appare come un soldato di ventura, con l’armatura ammaccata da mille
battaglie, d’indole caustica tipicamente toscana, ma profondamente fedele alla causa repubblicana ed
alla sua Firenze.
Maramaldo vista la sua superiorità numerica pensa di avere facile vittoria ma il Ferrucci gli tiene testa
con astute strategie e scherzi terribili (un po’ alla “Amici Miei”). Il Maramaldo è umiliato ed esasperato,
dando così vita al classico binomio della commedia: vittima e carnefice.
Tra i compagni fedeli di Ferrucci spicca il suo braccio destro, il corpulento Orsino, la cui fisicità indurrà
il lettore a credere che il vecchio sia probabilmente l’anziano Orsino.
Lo smacco finale avviene quando a Maramaldo viene dato l’ordine abbandonare l’assedio, ed il Ferrucci ed i suoi cantano vittoria. Intanto a Firenze Malatesta Baglioni, il comandante in capo della difesa
della città, perora il suo ritorno davanti al consiglio dei Dieci, che regge le sorti della Repubblica. Alcuni
del consiglio, invidiosi ed intimoriti dalla sua fama ormai leggendaria, lo vorrebbe mantenere lontano
dalla città. Ma l’ordine non tarda ad arrivare: Firenze è pesantemente assediata e non può esimersi dal
richiamare il suo comandante più illustre che non ha mai conosciuto la sconfitta. Ed a questo punto il
clima da commedia sprezzante prende lentamente i toni della tragedia. Il Ferrucci è a Pisa, e le ferite
subite a Volterra, e minimizzate nell’ebbrezza della vittoria, iniziano a fiaccare la sua salute. Ma non
può non rispondere alla chiamata della sua Firenze e della Repubblica, ai cui ideali ha votato la propria
vita. Decide per un altro dei suoi famosi colpi d’azzardo, al limite della follia: raggiungere Firenze passando per le lande montuose a nord del Ducato di Toscana con soli 3000 soldati, con poca artiglieria
leggera e con viveri per soli tre giorni.
Il suo piano sembra riuscito, e nonostante sia ormai preda di forti febbri, arriva in prossimità di Pistoia.
Ma vediamo che altrove qualcuno sta parlando di fronte al Maramaldo ed al Principe d’Orange, che è
il comandante delle truppe Imperiali. Si mercanteggia: su di un piatto sta Ferrucci e Firenze e sull’altro
c’è la Signoria di Perugia. L’accordo è fatto e l’uomo misterioso rivela dove si trova Ferrucci. Quell’uomo è Malatesta Baglioni.
L’inevitabile scontro avviene a Gavinana, dove i pochi e stanchi uomini della Repubblica si trovano
contro i quasi 10.000 imperiali. Fra i quali non manca Maramaldo. Il Ferrucci gli si lancia contro come
una furia seguito dai suoi. Gli ideali della Repubblica contro la cieca sete di vendetta di Maramaldo.
La battaglia sembra incredibilmente volgere a favore di Ferrucci tanto che per qualche ora a Firenze si
crede in una vittoria, ma dopo poco la situazione precipita e Ferrucci più morto che vivo viene sopraffatto dalla moltitudine dei nemici. Firenze cadrà dopo pochi giorni.
Condotto moribondo dinnanzi a Maramaldo, mentre egli gli sta per affondare il pugnale nel petto il Ferrucci con le sue ultime forze gli rivolge la famosa frase.
Il giovane ferito si sveglia di soprassalto mentre sta albeggiando. Due figure appaiono sulla soglia della
stanza. Sono due soldati dalla divisa inconfondibile: sono due garibaldini! L’anziano è scomparso ed i
due aiutano il giovane che si capisce essere un loro compagno. Oramai è fuori pericolo e lo aiutano ad
alzarsi e ad uscire da quelli che ora vediamo essere i ruderi di un antico castello. Sono in Campania
con Garibaldi alla volta di Napoli. Uno dei garibaldini è campano, e il giovane gli chiede se conosce
quel castello. Pare che fosse appartenuto al famigerato Maramaldo, che era probabilmente originario
di quelle parti. Si racconta che nonostante vittorie e ricchezze Maramaldo sia stato isolato dai suoi
contemporanei per l’infamia del suo gesto, morto vecchio e disfatto nel disprezzo di chi lo circondava;
tanto che il suo nome ha attraversato i secoli identificando una persona vile, un traditore che infierisce
sui deboli.
La storia ha emesso il suo insindacabile giudizio: Maramaldo, il vittorioso, condannato ad eterno biasimo, ed il Ferrucci, il perdente, i cui ideali oggi son più vivi che mai.
Il fantasma di Maramaldo osserva dalla torre, ormai tristemente consapevole, l’esercito Garibaldino
marciare per costruzione di una nuova Repubblica.
Fine
Francesco Ferrucci
Sceneggiatura
TAVOLA 1
1) Campo lungo. Esterno giorno. Visuale della Volterra cinquecentesca (quasi identica all’attuale)
arroccata sulle balze.
DIDA in alto: VOLTERRA, FINE APRILE DEL 1530…
Notabile 1 da fc : LO SAPETE BENISSIMO CHE QUEL DEMONIO FIORENTINO NON CI
LIBERERA’ FINCHE’ NON AVRA’ AVUTO CIO’ CHE VUOLE…
2) Visuale dall’alto di una strada di Volterra. La strada è deserta ma sul selciato si distinguono ancora
i segni della battaglia che si è svolta pochi giorni prima: una barricata fatta da carri e barili sfondata e
bruciata, frecce, scudi spezzati, ecc…
Notabile 1 da fc: E’ ENTRATO IN CITTA’ COME UNA FURIA E NON CI PENSERA’ DUE
VOLTE A FARCI IMPICCARE!
3) Campo lungo dell’interno di palazzo medioevale(tendenzialmente potrebbe essere il Palazzo dei
Priori, ma siccome non lo vediamo mai bene dall’esterno può essere un palazzo generico). Vediamo
un’ampia stanza con volte crociera, con colonne e con bifore sullo sfondo. Al centro di questo ambiente
ad una certa distanza c’è un capannello di otto personaggi. Si tratta dei notabili di Volterra, escluso uno
che è un mercante, (ma ne parlerò in seguito) ovvero le persone più ricche ed influenti della città, perciò
in gran parte anziani e con abiti ricchi (non eccessivamente agghindati, visto che hanno trascorso una
notte in cella). Il mercante è appoggiato ad una colonna (ma in questa vignetta non è indispensabile
che si veda). Stanno aspettando d’essere ricevuti dal Commissario della Repubblica fiorentina Francesco
Ferrucci, che al comando delle sue truppe ha da pochi giorni conquistato la città. Infatti sullo sfondo a
destra intravediamo un portale con davanti due soldati di guardia (magari ne vediamo solo uno).
Notabile 2: MA DI CHE TI PREOCCUPI? RICORDATI CHE LE GUERRE COSTANO!
Notabile 3: ALIBRANDO DICE BENE! DIPENDE DAI NOSTRI DENARI PER PAGARE LE
TRUPPE. E FIRENZE E’ TROPPO LONTANA PER INVIARGLI AIUTI.
4) Controcampo a mezzobusto. Nell’inquadratura ci avviciniamo ad alcuni dei notabili che parlano fra
loro. Sulla sin, dalla colonna a cui è appoggiato, sporge il mercante di tre quarti di spalle, del quale
ancora non distinguiamo bene il volto.
Notabile 2: ED UCCIDERCI SIGNIFICA NON RIUSCIRE A SCOPRIRE DOVE SONO
NASCOSTI IL NOSTRO PATRIMONI.
Notabile 1: GIA’!
Mercante: VOI VOLTERRANI RAGIONATE BENE…
5) Controcampo e PP del mercante. Il mercante è un uomo di all’incirca quarant’anni è preoccupato
ma con un’espressione fortemente determinata. Ha i capelli ed occhi scuri è magro ed alto, con naso
dritto e lungo e dai tratti decisi. Di tre quarti, quasi fuori scena, scorgiamo uno dei notabili a cui si sta
rivolgendo.
Mercante: … MA IL MIO CARRO CARICO D’ARGENTI SICURAMENTE NON E’ COSI’
BEN NASCOSTO COME I BENI DELLE VOSTRE FAMIGLIE
6) Controcampo. Vediamo a figura intera il mercante di spalle e di fronte a alcuni dei notabili. In fondo
a sinistra c’è il portale aperto con il soldato repubblicano che gli sta chiamando.
Notabile 1: NON TEMERE MERCANTE, LA SORTE NON TI E’ STATA AMICA NEL FARTI
TROVARE DENTRO LE MURA DURANTE L’ASSALTO DI QUEL SATANASSO,
MA VEDRAI CHE…
Soldato: VENITE AVANTI! IL COMMISSARIO FERRUCCI VI ATTENDE!
TAVOLA 2
1) Il gruppo entra accompagnato da due soldati in un ampio ambiente, più decorato del precedente, con arazzi e
con ampie quadrifore su una parete. In primo piano sulla sinistra abbiamo di spalle un uomo molto robusto con una
chioma chiara e leonina, seduto su di uno scranno, e che fa un breve cenno con la mano per invitate ad entrare.
Sulla destra della vignetta, sempre in pp di spalle, un altro soldato (che chiamerò guardia). L’entrata dei notabili la
scorgiamo nello spazio fra i due personaggi.
Ferrucci : AH, ECCO QUA I MIEI CARI OSPITI…
2) Vediamo a figura intera seduto su di uno scranno colui che viene identificato con Francesco Ferrucci (sveleremo
la questione in seguito). Ha una ampia barba che gli incornicia un volto largo, corrucciato e imperioso. E’ molto
robusto (tendente un po’ al sovrappeso) vestito con abiti del tempo non particolarmente ricchi ma con alcune parti
d’armatura (cotta di maglia sotto gli abiti, e avambraccere). Dietro di lui attaccata alla parete campeggia una bandiera
con lo stemma della repubblica: una croce bianca in campo rosso.
Ferrucci: NON VOGLIO PERDER TEMPO! SPERO CHE LA NOTTE NELLE SEGRETE VI
ABBIA BEN CONSIGLIATO!
3) Inquadratura a mezzobusto che comprende tutti i notabili visti di fronte. Alcuni hanno un’espressione più
determinata di altri (valuta le caratterizzazioni anche in base ai dialoghi dei tre di loro che parlano), ma sembrano
comunque tutti intenzionati a non cedere.
Notabile 2: COMANDANTE COME VI ABBIAMO GIA’ DETTO NON INTENDIAMO
ESSERVI COMLPICI!
Notabile 1: LE VOSTRE TRUPPE HANNO GIA’ RAZIATO A PIACIMENTO LA CITTA’!
Notabile 3: IL NOSTRO POPOLO NON PUO’ ACCETTARE CHE L’ESERCITO
OCCUPANTE SIA FORAGGIATO DAI SUOI CONCITTADINI!
4) “Ferrucci”sulla destra della vignetta adirato punta il dito verso i notabili che scorgiamo sulla sinistra, in particolare
il mercante.
Ferrucci : IL POPOLO VOLTERRANO E’ PIU’ VICINO ALLE ISTANZE DELLA
REPUBBLICA DI QUANTO NON PENSIATE VOI PUTRIDE SANGUISUGHE!
Mercante : ALLORA LASCIATE CHE SIA IL POPOLO A FINANZIARE LE VOSTRE
TRUPPE!
5) mercante in PP con dietro alcuni notabili.
Mercante: LE VOSTRE MINACCE NON CI IMPRESSIONANO! L’UNICA COSA CHE
POTETE FARE E’ CONTINUARE TENERCI RINCHIUSI!
6) Esterno, Campo Lungo. Vediamo quello che sembra un cortile in cui si affaccia il palazzo nel quale sono
“Ferrucci” ed i notabili. E’ pieno di soldati accampati: c’è chi si riposa dalle fatiche della battaglia,(ci sono
diversi feriti) chi striglia i cavalli, chi mangia vicino ad un fuoco, ecc… Il baloon proviene da una quadrifora
al piano alto del grande palazzo di cui scorgiamo solo una parte. Tra i soldati si distinguono i simboli della
repubblica.
Mercante: I VOSTRI UOMINI PRESTO RECLAMERANNO LE PAGHE! NOI VI SIAMO
INDISPENSABILI!
7) PP di “Ferrucci” che sfoggia un sorrisetto ironico e maligno.
Ferrucci: NE SEI SICURO?
TAVOLA 3
1) Dettaglio di profilo delle gambe della guardia che si trova a fianco del “Ferrucci” che si muovono dando
la chiara impressine di uno scatto in avanti
2) Dettaglio della mano della guardia che sta estraendo la lama della spada.
3) Dettaglio della lama insanguinata che trapassa un manto (quello del mercante)
4) Piano americano della guardia di spalle in corpo a corpo con il mercante al qual, si intuisce, ha
conficcato tutta la lama nel petto. Il volto disperato del mercante è ben visibile da sopra la spalla della
guardia.
Mercante : AAAGGH!
5) Scena ripresa dall’alto a perpendicolo. Al centro riverso sul pavimento c’è il corpo del mercante
disteso in una pozza di sangue Intorno a semicerchio ci sono i notabili inorriditi: c’è chi si mette le mani
nei capelli, chi si volta sull’orlo di uno svenimento, e cosi via. Intravediamo il soldato che ringuaina la
spada.
Notabile 1: OH MIO DIO!
Notabile 2: MA… MA… NON POTETE…
6) PPP di “Ferrucci” con un’ espressione ghignante e malvagia.
Ferrucci: OH, SI CHE POSSO!
7) Campo Lungo visto quasi a livello del pavimento. Sulla destra in PP c’è “Ferrucci” di spalle e a figura
intera che si è alzato in piedi a fianco del cadavere del mercante. In fondo alla stanza i notabili ancora
frastornati vengono spintonati fuori dai 2 soldati e dalla guardia personale.
Ferrucci: E DA DOMANI UN ALTRO DI VOI LO RAGGIUNGERA’ DAVANTI
ALL’ONNIPOTENTE, FINCHE’ NON METTERETE LE VOSTRE RICCHEZZE
A MIA DISPOSIZIONE!
TAVOLA 4
1) PP di “Ferrucci” che guarda davanti a se con aria sorniona, la voce proviene da dietro le sue spalle.
Voce da fc: PUTRIDE SANGUISUGHE ?
2) “Ferrucci” in primo piano si volta indietro e scorgiamo che dalla pozza di sangue il mercante, di
spalle si sta sollevando da terra. A questo punto iniziamo a comprendere la verità: quello che si è fatto
passare per Ferrucci è in realtà Orsino l’amico e braccio destro del comandante fiorentino mentre il
finto mercante è Francesco Ferrucci. Ha passato la notte in cella con i notabili per ricavare preziose
informazioni sull’atteggiamento nei suoi confronti e soprattutto sperando di carpire dove hanno nascosto
le loro ricchezze. A questo punto ridiamo ad ognuno il proprio nome.
Orsino: BE’, MI SON LASCIATO TRASPORTARE …
Ferrucci : ORSINO, NON CONOSCEVO QUESTA TUA VENA POETICA!
3) Ferrucci a figura intera sta cercando di pulire con un panno l’abito quasi completamente inzuppato
di sangue. anche il volto è in parte sporco. Dietro scorgiamo Orsino.
Orsino: FRANCESCO MI SEMBRA CHE TU ABBIA BISOGNO DI UN BAGNO.
Ferrucci : EFFETTIVAMENTE AVETE UN PO’ ESAGERATO CON QUESTO SANGUE DI
MAIALE.
4) Dettaglio del volto di Ferrucci che si sta pulendo il volto con il panno sulla sinistra della vignetta
mentre sulla destra c’e il volto di Orsino.
Orsino: SI SONO TRADITI IN CELLA?
Ferrucci : NO. MA DOPO QUESTA SCENETTA VEDRAI CHE DOMATTINA SARANNO
PIU’ COLLABORATIVI.
5) Campo Lungo di Ferrucci, seguito da Orsino, visti di profilo che camminano verso la quadrifora.
Ferrucci: IN COMPENSO HO SENTITO UN SACCO DI STORIELLE SU DI ME. LO
SAPEVI CHE FERRUCCI E’ FIGLIO Di BELZEBU’ E DI UNA NOBILDONNA
FIORENTINA?
Orsino: MA CHE ASSURDITA’! E’ RISAPUTO CHE TUA MADRE NON HA UNA
STILLA DI SANGUE NOBILE!
6) Vediamo Ferrucci e Orsino di spalle che guardano fuori dall’ampia quadrifora dalla quale possiamo
ammirare il paesaggio collinare intorno a Volterra.
Ferrucci: ALLORA AUGURIAMOCI CHE BABBO CI DIA UNA MANO. LE TRUPPE
IMPERIALI A BREVE CI CINGERANNO D’ASSEDIO, E SARANNO MOLTI
PIU’ DI NOI…
7) Dettagio della mano del Ferrucci che stringe in mano il panno intriso di sangue.
Ferrucci: … ED A SCORRERE STAVOLTA SARA’ SANGUE D’UOMINI.
Leonardo da Vinci
Soggetto
Leonardo Da Vinci è stato oggetto di centinaia di studi e le sue biografie sono innumerevoli.
Un periodo della vita del genio toscano che però rimane poco noto è quello che va dalla nascita, continua per l’infanzia e arriva fino all’adolescenza, in particolare fino al momento del trasferimento della
sua famiglia a Firenze e dell’ingresso del giovane Leonardo nella bottega del Verrocchio.
Mi è sembrato interessante raccontare quel periodo basandomi sulle poche notizie certe/verosimili
giunte fino a noi e provando a colmare i vuoti sia per deduzione in base agli stessi documenti sia
permettendomi delle licenze poetiche che - pur non contraddicendo alcuna notizia e riferimento storicamente verificabile - possono consentire alla storia di essere letta come tale: la formazione emotiva,
personale, delle inclinazioni di un ragazzino che per tutta la sua infanzia è stato soprattutto molto solo,
ma che ha trovato nella solitudine non solo una condizione da subire, ma anche la dimensione in cui
sviluppare le proprie aspirazioni.
Più precisamente, l’arco temporale in cui si svolgerà la storia va dal 1452, anno in cui Leonardo nacque, fino al 1470, anno in cui le cronache lo indicano come nuovo allievo del Verrocchio.
La storia sarà divisa idealmente in tre capitoli.
I capitolo
Si svolge dalla nascita di Leonardo fino alla fine dell’allattamento avvenuto da parte della madre biologica, Caterina. Sarà il capitolo dedicato prevalentemente a delineare i personaggi che compongono il
nucleo familiare di Leonardo (in particolare il padre ser Piero, il nonno Antonio, la madre Caterina) e i
luoghi (il borgo di Vinci e il casolare di Anchiano).
II capitolo
E’ il capitolo più lungo, copre circa dodici anni della vita di Leonardo, dai 4 fino alla morte del nonno
paterno, avvenuta nel 1468. E’ il capitolo in cui si sviluppa maggiormente la storia, in cui Leonardo
cresce senza una figura paterna di riferimento solida (il padre era spesso assente per i viaggi di lavoro
a Firenze), vive la condizione di figlio illegittimo e inizia la sua formazione/educazione, avvenuta in
maniera irregolare per mano del nonno e del parroco di Vinci (l’abaco, la lira, ma si tratta di un percorso disordinato e discontinuo), ma - soprattutto - grazie al fratello del padre, lo zio Francesco, che
trasmette al nipote una teoria sulla natura fatta di osservazioni, prove, verifiche e amore per il creato,
approccio che Leonardo farà proprio in maniera massima negli anni della maturità. Sono gli anni della
grande solitudine immersa nella natura, che diventa rifugio di chi vuole sentirsi o si sente solo. Ma sono
anche gli anni in cui la natura diventa un enorme stimolo alla conoscenza.
Sono gli anni in cui Leonardo sviluppa le principali caratteristiche della sua personalità: l’insaziabile
curiosità di cui si è detto, l’esasperante lentezza e inconcludenza (il Vasari a riguardo commenterà:
(“egli si mise a imparare molte cose e, cominciate, poi l’abbandonava”) e il freddo rifiuto della sessualità.
Essendo l’argomento più che delicato e non avendo nè gli strumenti nè l’interesse per riuscire a svilupparlo al meglio, lo lascerò in sottofondo e deducibile, affidandolo a un sogno ricorrente che lo stesso
Leonardo dichiarò di fare e che corrisponde anche all’unico ricordo della propria infanzia che Leonardo
ci ha trasmesso: “Ne la prima ricordazione de la mia infanzia mi parea che, essendo io in culla, che un
nibbio venissi a me, e mi aprissi la bocca colla sua coda, e molte volte mi percotessi con tal coda dentro
alle labbra”. Sigmund Freud ha realizzato un’analisi e uno studio piuttosto articolato su questo ricordo/
sogno di Leonardo, trovando conferma dell’omosessualità del genio di Vinci.
Oltre al sogno ricorrente, che si comporrà progressivamente nell’arco del volume, fino a disvelarsi
chiaramente solo prima della partenza per Firenze, le “immagini” che sosterranno strutturalmente il
secondo capitolo saranno:
- la figura severa del nonno, che non sarà il vero e proprio “antagonista” della storia, ma che incarnerà
tutto ciò che per Leonardo rappresenta il senso di alienità (la condizione di figlio illegittimo, l’educazione irregolare).
- la presenza silenziosa e fisicamente distante della madre biologica, Caterina, e l’importanza di quel
misterioso sorriso che - pare - abbia suggestionato Leonardo tanto da rincorrerlo costantemente nelle
proprie opere, Gioconda compresa e soprattutto.
- la figura presente/assente del padre, raccontata in particolar modo attraverso il noto aneddoto della
rotella: uno dei contadini che lavoravano nel podere di proprietà della famiglia di Leonardo si intagliò
uno scudo di legno i fico e chiese a ser Piero di farlo decorare da qualcuno dei pittori di Firenze che
lui conosceva. Pietro, invece chiese a Leonardo di farlo. Il ragazzino prima lo lucidò, poi - per creare
un’immagine terrificante con cui decorarlo - trasse ispirazione da un sacco di lucertole morte, pipistrelli,
grilli, serpenti, che tagliuzzò e con i cui resti compose un mostro da incubo, che poi riportò sullo scudo.
Il padre ne fu tanto colpito che anziché darlo al contadino, lo sostituì con uno di poco valore comprato
a Firenze e vendette a buon prezzo a un mercante quello realizzato dal figlio.
- l’educazione da parte dello zio Francesco, le lunghe e solitarie digressioni in mezzo alla natura a rimirar animali, insetti, le nuvole, le lucertole, il lento incedere dell’acqua, il volo degli uccelli. - la grotta.
Durante una passeggiata nei dintorni di Vinci, Leonardo arriva all’ingresso di una grande grotta. Rimane lì per qualche tempo, insieme meravigliato e infastidito all’idea di non sapere che cosa nasconda. A
un certo punto piega la schiena, poggia la mano sinistra sul ginocchio e con la destra fa ombra tenendo
anche le sopracciglia aggrottate. Ripetutamente si china ora qui, ora là per vedere se riesce a ravvisare
qualcosa all’interno; ma non c’è verso di vedere alcunché a causa della grande oscurità che regna nella caverna. Dopo essere rimasto un poco così, sente “salire in me” due cose: paura e desiderio; paura
dell’oscurità minacciosa della grotta e desiderio di vedere se non ci fosse per caso nascosto qualcosa
di meraviglioso. Questa immagine esprime alla perfezione la tensione continua di Leonardo verso la
conoscenza e si concluderà con Leonardo che sceglie di entrare nella grotta. E’ una delle ultime immagini del secondo capitolo, che si chiude con il trasferimento della famiglia di Leonardo a Firenze: un
mondo nuovo da conoscere e indagare.
III Capitolo
Morto il padre Antonio, morta la moglie Albiera e risposatosi con la quindicenne Francesca di ser Giuliano Manfredini, Piero decide di portare la famiglia a Firenze. Il mondo “orizzontale” della campagna
e del borgo di Vinci, fatto di vastità e silenzi interrotti solo dall’incedere della natura, lascia spazio al
mondo “verticale” di una città non solo in netta trasformazione edilizia: le case-torri di famiglia simili a
fortezze vengono demolite e si costruiscono strade larghe e grandi palazzi. Le vie e i vicoli della città
sono un tripudio di suoni e rumori dovuto non solo al lavoro nei cantieri, ma anche alle botteghe e al
numero di abitanti (circa 60.000) che ha Firenze, non certo una metropoli, ma un ambiente immensamente diverso rispetto al borgo di Vinci cui era abituato Leonardo. E’ il pieno del Rinascimento e
Leonardo diventa a tutti gli effetti figlio (e motore...) del proprio tempo, simbolicamente, quando - nel
finale - viene accettato nella bottega del Verrocchio, che sarà l’ultima immagine della storia.
Fine
Leonardo da Vinci
Sceneggiatura
TAVOLA 1
NOTA: in arancione la traduzione delle dida (il lettore leggerà solo il testo latino)
1/2 – STRISCIA. Esterno della chiesa di Santa Croce in Vinci (vedi documentazione).
Si sta svolgendo il battesimo di Leonardo. Come vedremo meglio poi, all’interno della
chiesa troveremo poco più di dieci persone, tranne Ser Piero e Caterina, poiché non erano
sposati. Al battesimo presenziò il nonno di Leonardo, Antonio.
DIDA: “Pater noster, qui es in cælis, sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum.
Fiat volúntas tua, sicut in cælo, et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis
hódie.”
Padre nostro, che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua
volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano
3/4 - STRISCIA. Totale dall’interno. In fondo alla vignetta, presso il fonte battesimale, poco
più di una decina di persone.
PRETE
Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne
nos indúcas in tentatiónem: sed líbera nos a malo. Amen.
e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non ci indurre in
tentazione, ma liberaci dal male. Amen. 5 - Stringiamo sul prete e le persone attorno al fonte battesimale, anche se fra queste
riconosciamo in particolare nonno Antonio. Una indistinta figura femminile tiene in braccio in prossimità del fonte - il piccolo Leonardo.
PRETE
Credo in Deum, Patrem omnipoténtem, Creatórem cæli et terræ. Et in Jesum
Christum, Fílium ejus únicum, Dóminum nostrum: qui concéptus est de Spíritu
Sancto, natus ex María Vírgine, passus sub Póntio Piláto, crucifíxus, mórtuus, et
sepúltus: descéndit ad ínferos;
Io credo in Dio Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra; e in Gesù Cristo,
suo unico Figlio, nostro Signore, il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria
Vergine, patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese all’inferni;
6 - Laterale di Nonno Antonio, dal basso. Sguardo pacato, ma impenetrabile. Guarda il nipote.
PRETE (da FC)
tértia die resurréxit a mórtuis; ascéndit ad cælos; sedet ad déxteram Dei Patris
omnipoténtis: inde ventúrus est judicáre vivos et mórtuos.
il terzo giorno risuscitò da morte; salì al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente; di
là verrà a giudicare i vivi e i morti.
5 e 6 sulla stessa striscia
7/8 - STRISCIA. Dal basso, come fosse una soggettiva di Leonardo. PP su nonno Antonio che ci
guarda fisso. Ci scruta.
PRETE (da FC)
Credo in Spíritum Sanctum, sanctam Ecclésiam cathólicam, Sanctórum
communiónem, remissiónem peccatórum, carnis resurrectiónem, vitam ætérnam.
Amen.
Credo nello Spirito Santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei Santi, la remissione
dei peccati, la risurrezione della carne, la vita eterna. Amen.
TAVOLA 2
NOTA: in arancione la traduzione delle dida (il lettore leggerà solo il testo latino)
1/2 – STRISCIA. Stacchiamo sull’esterno della casa di Anchiano (vedi documentazione)
in cui sta Ser Piero, padre di Leonardo. Né lui né Caterina, la madre biologica del bimbo,
possono presenziare al battesimo in quanto non regolarmente sposati. Leonardo è figlio
illegittimo.
DIDA PRETE
“Apud te. Dómine, est fons vitæ.”
Presso di te, Signore, è la fonte della vita.
DIDA PRESENTI
“Et in lúmine tuo vidébimus lumen.”
Nella tua luce vedremo la luce.
3/4 - STRISCIA. Totale dall’interno. Ser Piero è intento a redigere qualche documento
notarile di lavoro.
DIDA PRETE
“Dómine, exáudi oratiónem meam.”
Signore, ascolta la mia preghiera.
DIDA PRESENTI
“Et clamor meus ad te véniat.”
E il mio grido giunga a te.
5 - Stringiamo su Ser Piero. Apprezziamo maggiormente la concentrazione con cui svolge
il suo lavoro.
DIDA PRETE
“Dóminus vobiscum.”
Il Signore sia con voi.
DIDA PRESENTI
“Et cum spirito tuo.”
E con il tuo spirito.
6 - Laterale a mezzo busto di Ser Piero. Ha sempre lo sguardo basso, intento a scrivere.
DIDA PRETE
“Orèmus.”
Preghiamo.
DIDA PRETE
“Omnipotens sempitèrne Deus, adésto magnæ pietátis tuæ mystériis,
adésto sacramentis: et ad recreandos novos pópulos, quos tibi fons
Baptismatis párturit, spiritum adoptiónis emitte;”
O Dio onnipotente ed eterno, sii presente ai grandi misteri del tuo amore, sii presente a
questi riti sacramentali; effondi lo spirito di adozione per crearti nuovi popoli, generati dal
fonte battesimale
5 e 6 sulla stessa striscia
7/8 - STRISCIA. Primo Piano intenso e metanarrativo di Ser Piero, che alza lo sguardo
verso di noi.
DIDA PRETE
“ut, quod nostræ humilitátis geréndum est ministério, virtútis tuæ
impleátur efféctu. Per Dóminum nostrum Jesum Christum Filium tuum,
qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia sǽcula
sæculórum.”
e ciò che noi nella nostra insufficienza celebriamo con questo ministero, raggiunga la sua
piena efficacia per il tuo intervento. Per Cristo nostro Signore. DIDA PRESENTI
“amen.”
TAVOLA 3
NOTA: in arancione la traduzione delle dida (il lettore leggerà solo il testo latino)
1/2 – STRISCIA. Stacchiamo di nuovo, questa volta sulla casa dove sta Caterina, la madre
biologica di Leonardo. Notiamo in particolare una finestra.
DIDA PRETE
“Exorcizo te, creatúra aquæ, per Deum vivum, per Deum verum, per
Deum sanctum, per Deum, qui te in principio verbo separávit ab árida:
cujus Spiritus super te ferebátur, qui te de paradiso manáre jussit.
Ti esorcizzo, o acqua creata, per il Dio vivo, per il Dio vero, + per il Dio santo: per quel
Dio che fin dall’inizio ti ha separato dalla terra con una sola parola, e il cui spirito su di te
aleggiava, e ti ha fatto scaturire dalla sorgente del Paradiso.
3/4 - STRISCIA. Totale dall’interno. Caterina E’ seduta su una sedia nei pressi della
finestra che abbiamo notato nella vignetta precedente. Ha lo sguardo basso ed è intenta
nel rammendare qualcosa, anche se - quando ci avvicineremo - percepiremo chiaramente
lo sguardo malinconico e assorto, oltre alla meccanicità dei gesti.
DIDA PRETE
Et in quátuor flumínibus totam terram rigáre præcépit: qui te in desérto
amáram, per lignum, dulcem fecit atque potábilem; qui te de petra
prodúxit, ut pópulum, quem ex Ægýpto liberáverat, siti fatigátum recreáret.
E a te, divisa in quattro fiumi, ha comandato di irrigare tutta la terra. Dio che, nel deserto,
ti rese dolce e potabile, per mezzo del legno, e ti fece sgorgare dalla rupe per far rivivere il
popolo assetato che aveva liberato dall’Egitto.
DIDA PRETE
Exorcízo te per Jesum Christum, Filium ejus únicum, Dóminum nostrum:
qui te in Cana Galilǽæ signo admirábili, sua poténtia convértit in vinum: qui
super te pédibus ambulávit, et a Joánne in Jordáne in te baptizátus est.
Ti esorcizzo per Gesù Cristo, suo Figlio unico, nostro Signore: Egli in Cana di Galilea quale
miracolo stupendo con la sua potenza ti ha cambiato in vino; Egli ha camminato su di te
senza affondare, e immerso in te al Giordano è stato battezzato da Giovanni.
DIDA PRETE
Qui te una cum sanguine de látere suo prodúxit: et discipulis suis jussit, ut
credéntes baptizárent in te, dicens: Ite, docéte omnes gentes, baptizántes
eos in nómine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti;
Egli insieme col suo Sangue ha versato te dal suo petto; Egli ha comandato ai suoi
discepoli che in te fossero battezzati i credenti, col dire : « Andate, rendete fedeli tutte le
nazioni battezzandole nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo ».
DIDA PRETE
ut efficiáris aqua sancta, aqua benedícta, aqua, quæ lavat sordes, et
mundat peccata. Tibi ígitur præcípio, omnis spiritus immúnde, omne
phantásma, omne mendácium, eradicare, et effugáre ab hac creatúra
aquæ, ut qui in ipsa baptizándi erunt, fiat eis fons aquæ saliéntis in vitam
ætérnam, regénerans eos Deo Patri, et Fílio, et Spiritui Sancto, in nómine
ejúsdem Dómini nostri Jesu Christi, qui venturus est judicáre vivos et
mórtuos, et séculum per ignem.
Possa tu diventare un’acqua santa, un’acqua benedetta, per lavare le colpe e purificare
dai peccati. Perciò ti comando, spirito immondo, spirito di vanità e di menzogna, allontanati
da quest’acqua creata, perché divenga una sorgente di acqua che zampilla fino alla vita
eterna, rigenerando i battezzati a Dio Padre e al Figlio e allo Spirito Santo: nel nome di
Gesù Cristo, nostro Signore, che verrà a giudicare i vivi e i morti e il mondo, col fuoco.
DIDA PRESENTI
“Amen.”
5 - Stringiamo su Caterina. Percepiamo chiaramente lo sguardo malinconico e assorto,
oltre alla meccanicità dei gesti.
DIDA PRETE
“Orèmus.”
DIDA PRETE
“Dómine sancte, Pater omnipotens, ætèrne Deus, aquárum spirituálium
sanctificátor, te suppliciter deprecámur: ut ad hoc ministérium humilitátis
nostræ respícere dignéris, et super has aquas, abluéndis et purificándis
hominibus præparátas, Angelum sanctitátis emittas, quo, peccátis vitæ
prióris ablútis, reatúque detèrso, purum Sancto Spiritui habitáculum
regeneráti éffici mereántu.”
Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, che santifichi le acque con il tuo spirito,
ti supplichiamo di guardare al nostro umile ministero : manda il tuo Angelo santo su
quest’acqua, destinata a lavare e purificare gli uomini, perché i rigenerati lavino i loro
peccati, cancellino ogni colpa della vita passata, e divengano abitazione degna dello Spirito
Santo.
6 - Laterale. Caterina smette di rammendare e alza lo sguardo fuori dalla finestra, verso il cielo.
DIDA PRETE
“Per Dóminum nostrum Jesum Christum Filium tuum, qui tecum vivit et
regnat in unitáte Spiritus Sancti Deus, per omnia saècula sæculórum.”
5 e 6 sulla stessa striscia
7/8 - STRISCIA. PP lievemente dall’alto verso il basso, sul viso di Caterina completamente assorta e
malinconica.
DIDA PRESENTI
“Amen.”
TAVOLA 4
NOTA: in arancione la traduzione delle dida (il lettore leggerà solo il testo latino)
1/2 – STRISCIA. Torniamo nella chiesa. Totale dall’interno, molto simile a quello della
vig.3/4 di tav.1, solo più ravvicinato. Vediamo abbastanza distintamente tutti i presenti. Se
vediamo il prete, sta incensando il fonte battesimale.
PRETE
Sanctificétur, et fecundétur fons iste Oleo salútis renascéntibus ex eo in
vitam ætérnam. in nómine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.
Sia purificato e fecondato dall’olio questo fonte, che dà la salvezza a quelli che da esso
rinascono alla vita eterna, nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo
3 - Il prete versa nell’acqua, a forma di croce, l’olio dei catecumeni.
PRETE
In nómine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.
PRESENTI
Amen.
4 - Il prete versa ora il crisma.
PRETE
Infúsio Chrismatis Dómini nostri Jesu Christi, et Spiritus Sancti Parácliti,
fiat in nómine sanctæ Trinitátis.
L’infusione del crisma di nostro Signore Gesù Cristo e dello Spirito Santo Consolatore sia
fatta nel nome della santa Trinità. PRESENTIAmen.
3 e 4 sulla stessa striscia
5 - Il prete prende l’ampolla dell’olio santo e quella del crisma.
PRETE
Commíxtio Chrísmatis sanctificatiónis, et Olei unctiónis, et aquæ
Baptismatis páriter fiat. in nómine Patris, et Filii, et Spíritus Sancti.
Il Crisma della santificazione, e l’olio dell’unzione e l’acqua del Battesimo, si mescolino
ugualmente nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
6 - Il prete mescola quest’olio nell’acqua con la mano.
PRETE
In nómine Patris, et Filii, et Spíritus Sancti.
5 e 6 sulla stessa striscia
7/8 - STRISCIA. Il prete battezza Leonardo. Ravvicinata su Leonardo.
PRESENTI
Amen.
Niccolò Machiavelli
Soggetto
La vita di Machiavelli è molto più interessante e intrigante di quel che si pensa comunemente: personaggio poco conosciuto dalla maggior parte delle persone se non per il suo capolavoro letterario e
politico, “Il Principe”, è tutto tranne che ‘machiavellico’: salace, puttaniere, ruffiano, di intelligenza acuta
e con una cultura, come si direbbe oggi, ‘a macchia di leopardo’, è stato uno dei personaggi centrali
della Repubblica Fiorentina dei primi anni del ‘500, a volte influenzandone direttamente la politica, a
volte assecondandola controvoglia.
La vita di Machiavelli viene ripercorsa sfruttando l’escamotage di un misterioso individuo intabarrato
e mascherato sempre presente nel corso dei momenti più importanti dell’esistenza del Segretario
Fiorentino. Mentre il protagonista stesso si chiederà, insieme al lettore, chi possa essere questo personaggio misterioso, passeremo dalle prime missioni durante la guerra contro Pisa (in cui inizia a teorizzare quali siano i mali delle repubbliche e la necessità di milizie governative e non mercenarie), a
quelle presso Cesare Borgia (che avrà modo di conoscere bene e di rappresentare nel “Principe” come
il modello di condottiero e governatore da seguire) e altre ancora, fino ad arrivare agli anni della caduta
in disgrazia, col ritorno dei Medici al potere, l’allontanamento di Machiavelli e il periodo di esilio in cui
si dedica alla realizzazione delle sue maggiori opere politiche (“Il Principe” e i “Discorsi”) e al tentativo
di entrare nelle grazie dei Medici attraverso richieste di favori personali ad amici come Francesco Vettori e la scrittura di opere teatrali e narrative che potessero essere apprezzate dai rappresentanti della
famiglia fiorentina.
Il misterioso personaggio mascherato (che si fa chiamare ‘Belfagor’, nome che Machiavelli riutilizzerà
per il protagonista di un suo racconto satirico) cercherà in tutti i modi di mettere in difficoltà Niccolò
durante tutta la sua vita, fino a farlo credere coinvolto in un complotto anti-mediceo e farlo torturar, mettendo in giro false voci di un suo sogno “blasfemo” sul letto di morte. Alla fine scopriremo che l’individuo
mascherato era in realtà Francesco Vettori, che Machiavelli aveva sempre considerato un amico, ma
che in realtà, roso dall’invidia, ha cercato per decenni di far cadere in disgrazia il Segretario per minare
la Repubblica Fiorentina e permettere ai Medici di ritornare al potere.
Fine
Niccolò Machiavelli
Sceneggiatura
Paolo Mascagni
Soggetto
Una giovane coppia di turisti americani, è in giro per la Toscana.
Giunti nella provincia senese, alloggiano nella piccola frazione di Chiusdino, in un piccolo borgo
denominato Castelletto Mascagni. Jim, totalmente dipendente dal suo iphone, ha scelto tramite
internet, un grazioso b&b, che per il modico prezzo e la posizione strategica, gli sembra un ottimo
punto di appoggio per visitare le meraviglie toscane.
Sarà proprio l’affidabilità della tecnologia e delle ricerche su internet, a creare un equivoco da omonimia.
E sarà proprio Jim a doversi ricredere.
La coppia è convinta di trovarsi per un caso fortuito e fortunato, nel borgo in cui riposa il grande
compositore Pietro Mascagni, e Cindy appassionata di musica e dei grandi compositori di ogni tempo,
decide di visitare subito il cimitero rurale in cui riposa il musicista; qui spicca una lapide tombale
consumata dal tempo, con su scritto: qui giace Paolo Mascagni, inventore dei vasi linfatici.
Dopo due secoli, del nome Paolo scritto su pietra, resiste la lettera P, e questo non fa che confermare
alla coppia che trattasi del grande musicista di cavalleria rusticana. Quell’iscrizione tombale poi,
tradotta grossolanamente da un traduttore online li porta a pensare che Mascagni abbia inventato
qualche organo da chiesa le cui canne miscelano i suoni attraverso un sapiente percorso della musica
intesa come linfa vitale.
Durante la notte trascorsa nel b&B di Chiusdino, il giovane sogna Paolo Mascagni, fortemente risentito
e amareggiato di essere perennemente oscurato dal suo più celebre omonimo; invita quindi Jim a
documentarsi meglio e cercare in una sorta di caccia al tesoro ciò che di importante il grande scienziato
ha prodotto nella sua vita terrena…; aggiunge inoltre che lo accompagnerà durante le sue escursioni
alla ricerca della verità, ma lui non lo vedrà. Lo ammonisce infine per essere schiavo della tecnologia,
e gli garantisce che toccare la storia con mano è molto più istruttivo di una ricerca su quell’affare che
si porta sempre appresso, generatore spesso di equivoci e informazioni errate.
L’indomani, Jim, appena sveglio, puntuale all’appuntamento, si ritrova seduto ai piedi del letto Paolo
Mascagni che lo sollecita a vestirsi, svegliare la sua ragazza e prepararsi ad una lunga uscita didattica.
Il ragazzo, non crede ai suoi occhi, pensa di essere ancora sotto l’effetto del jet lag e chiede alla ragazza
se anch’ella vede ciò che vede lui, un distinto uomo di mezza età, seduto ai piedi del letto. La ragazza
lo invita a dormire ancora un po’, e lui capisce che la visione di Paolo Mascagni è esclusivamente sua.
Intimorito e incuriosito allo stesso tempo, decide di seguire pedissequamente le istruzioni di questa
impalpabile guida turistica che gli impone però di lasciare in stanza l’iphone e di fidarsi solo di quanto
vedrà con i suoi occhi e toccherà con le sue mani.
Mascagni si volatilizza. In realtà è accanto alla coppia e ha un fardello di appunti che si porta dietro, in
una ingombrante valigia da dottore, li tirerà fuori ogniqualvolta vorrà testimoniare la sua storia, e così
si materializzeranno i fogli, gli appunti, i volumi di anatomia, e il tutto finirà magicamente tra le mani del
ragazzo; fogli che sembreranno portati dal vento; improvvisati commercianti di souvenir che davanti
al cimitero rurale venderanno spillette dell’Accademia scientifica dei Fisiocritici, del quale Mascagni fu
presidente; un estemporaneo mercatino dell’usato in cui spiccheranno i suoi “Prodromi della grande
anatomia” e il suo “ Vasorum lymphaticorum corporis humani historia et iconographia”. Il
ragazzo acquisterà tutto, la ragazza non capirà il perché di cotanto interesse medico-scientifico.
Giunti davanti ad uno storico negozio di abbigliamento della cittadina, il ragazzo si sofferma su una
commessa che allestendo una vetrina, sta vestendo un insolito manichino anatomico, non ha il solito
color carne omogeneo, bensì è ricco di venature e son delineati perfettamente gli organi interni. Il
ragazzo, sa che anche quello è un indizio per lui, entra e chiede alla commessa da dove proviene quel
manichino. La commessa, spiega che è un pezzo raro costruito da un vecchio scultore che si avvalse
degli studi anatomici di Mascagni e fornisce un altro pezzetto della vita di Paolo M.
Dopo vari incontri “fortuiti” nel borgo di Castelletto, che offriranno nuove informazioni sulla vita dello
scienziato, compreso il periodo della detenzione perché sorvegliato politico; una corriera si ferma
davanti alla coppia, è diretta a Firenze, porta un gruppo di turisti a visitare la galleria degli Uffizi. I
ragazzi salgono senza farsi troppe domande, quel bus li stava aspettando.
Si ritroveranno davanti al busto di Mascagni.
Accanto a loro, il fantasma di Paolo li guarda soddisfatti.
Fine
Paolo Mascagni
Sceneggiatura
PAGINA 2
Vignetta 1:striscia orizzontale
•
Jim e Cindy escono dall’aeroporto Amerigo Vespucci di Firenze, bagagli in mano.
• Jim, un bagaglio in mano e l’altro braccio teso declama: “ in the center of the walk of our
life, i found me in Tuscan.”
Vignetta 2:mezzo busto (inserita in vignetta1)
• Jim accende subito l’iphone mentre Cindy lo guarda in cagnesco e pensa fra sé “tra un po’
gli spunta il marchio della Apple in fronte!!!”
Vignetta 3:figura intera
• Jim, iphone in mano: “Cosa c’è baby, siamo appena atterrati nel bel paese…spaghetti,
pizza, mandolino, arte, storia…”
• Cindy lo guarda indispettita borbottando: “spaghetti, pizza, mandolino, arte, iphone”;
Vignetta 4: può essere + grande la vignetta
• Salgono sul bus che li porterà alla stazione di Firenze, si vede la scritta FIRENZE-STAZIONE
• Vignetta 4 bis, sulla stessa striscia della 3 e 4, particolare del bus che parte
Vignetta 5:
• Inquadratura sulla stazione di Firenze col bus che arriva alla staz. Di Fi.
Vignetta 6:interno stazione, sullo sfondo si vede il bus con le portiere aperte, e loro
corrono verso il treno.
Voce fuori campo dell’altoparlante: “è in arrivo sul binario 2 l’espresso 852, ferma a
Chiusi-Chianciano Terme; Siena…”
Vignetta 7: mezzo busto visto da dietro,
Jim e Cindy si accingono a salire sul treno; lui è appoggiato alla porta del vagone
e guardando Cindy, le sussurra: “sweetheart, questa sarà una vacanza
indimenticabile…”
Vignetta 8:
• Panoramica dall’alto del treno che lascia la stazione.
PAGINA 3
Vignetta 1:
panoramica uscita stazione Siena.(non riesco a trovare foto, basta uno spiazzo e una
comune stazione)
figure intere - Jim e Cindy son davanti la stazione.
Jim: the sun’s shining…. what a beautiful day!
In lontananza un taxi sta per arrivare. Cindy alza il braccio per farsi notare.
Vignetta 2:
il tassista carica i bagagli in macchina, lanciando qualche occhiata di apprezzamento a
Cindy.
jim e cindy intanto salgono in macchina.
Vignetta 3:
interno macchina. Jim: “Chiusdino-Castelletto Mascagni,please”
vignetta 4: orizzontale, grande
inquadratura del taxi che si dirige verso il borgo
nel frattempo il tassista dice: è un borgo caruccio, non c’è molto ma è la patria del grande
ser Mascagni che dà lustro a questo paesello di poche anime, ora passeremo davanti al
cimitero rurale, riposa lì.
Non c’è bisogno di disegnare i personaggi, pensavo solo al taxi che va e la voce del
tassista racchiusa in un balloon esterno al taxi.
Vignetta 5:
interno taxi; dettaglio del sito web che Jim sta leggendo ad alta voce dal suo iphone, tipo
questo:
Jim legge guardando il display: “Pietro Mascagni is the one of the most important italian
composer, his first masterpiece was Cavalleria rusticana…”
vignetta 6:
L’inquadratura coincide con lo sguardo del tassista che assiste alla conversazione dei due
dietro, guardandoli dallo specchietto retrovisore; credo si possa disegnare il tutto visto da
dietro, tutti e 3 son presi di spalle, ma si vedono gli occhi del tassista sullo specchietto.
parla Cindy, rivolta a Jim : Oh my God! Pietro Mascagni…wonderful…se il cimitero è di
strada, voglio vedere subito la sua lapide…
Vignetta 7:
l’inqudratura qui è molto ravvicinata su jim e cindy per catturare l’entusiasmo di lei, e
l’espressione compiaciuta di Jim che pensa di aver fatto felice Cindy per pura coincidenza.
Cindy continua a parlare eccitata: oh darling questa volta hai fatto la scelta giusta, ed io
che pensavo mi portassi in un anonimo paesino sperduto solo per risparmiare qualche
soldo.
Jim si sfrega le unghie sulla spalla come a dire…hai visto baby dove ti ho portato?
Vignetta 8:
L’inquadratura è di nuovo sugli occhi del tassista che guardano dallo specchietto; è solo
Jim che parla, quindi puoi anche nascondere cindy o far intravedere solo i suoi capelli.
Jim dice al tassista: ho controllato sul mio iphone, il cimitero dista 500 metri dal nostro b&b,
ci lasci lì, proseguiremo a piedi.
Vignetta 9:
Inquadratura dall’alto, il taxi si vede molto rimpicciolito che percorre le stradine del borgo, in
esterno il balloon del tassista che riflette tra sé: certo che st’americani so’ strani, dopo tutto
sto viaggio vanno subito a vede’ dove dorme il “dottore”.
PAGINA 4
Vignetta 1:
Inquadratura orizzontale grande del cimitero rurale;
il taxi si ferma là davanti
Vignetta 2:
interno cimitero: in figura intera tutti e tre; Jim si guarda intorno, curioso, tirandosi dietro il
trolley lungo questo viale. Cindy ferma il custode (immagino un uomo anziano e un po’
curvo) e gli dice: hallo, stiamo cercando la tomba di Mascagni.
vignetta 3:
il custode indica la direzione da seguire; Jim e Cindy seguono con lo sguardo il braccio del
custode che punta verso la direzione da prendere.
Vignetta 4:
jim e Cindy sono di fronte alla lapide, ma non si vedono; inquadratura solo della lapide
consumata dal tempo, in mezzo, più grande, al centro della lapide si vede il ritratto tondo
di Mascagni scolpito su pietra (chiaramente bisogna scolpirci la faccia di Mascagni :-p);
sotto il ritratto un’iscrizione P….o Mascagni inventore dei vasi linfatici;
del nome Pietro dev’esser visibile solo la P e la O, le 3 lettere centrali si sono rovinate, un
po’ come in questa immagine,una sorta di crepa sulla pietra cancella le lettere centrali del
nome Pietro.
vignetta 5:
controcampo di jim e cindy, quindi frontali a noi, come se la telecamera fosse sulla lapide;
Cindy guarda verso la telecamera, piegata sulla tomba, toglie qualche foglia secca, cerca
di ripulirla un po’ e dice: vediamo cosa c’è scritto qui… “vasi”and “linfa”;
jim col telefono in mano cerca le parole.
All’interno della stessa vignetta un altro riquadro con il dettaglio della pagina web con la
traduzione; vasi=vases ; linfa= sap tra parentesi (sap of plants).
Voce fuoricampo di Jim: ihihih, mi sa che il compositore era soprattutto un giardiniere…
Vignetta 7:
Jim e Cindy, a mezzobusto, in mezzo a loro la lapide.
Cindy intenta a scattare una foto al ritratto, dice: il fatto che amasse le piante denota la
sensibilità di questo musicista…;magari riusciamo anche a trovare la sua casa natale…
Vignetta 8:
jim esce dal campo sulla sx e dice: si, magari troviamo ancora le rose che ha piantato in
giardino; bye bye Mascagni;
in dettaglio lo zoom del ritratto scolpito cambia espressione, alza il sopracciglio a mò di
disappunto verso Jim…
*5-6-7-8- stessa inquadratura girati di spalle a mezzo busto, con al centro sempre il ritratto
impassibile (per evidenziare come cambia espressione dopo)
Vignetta 9
Inquadratura del viale che porta all’uscita del cimitero.
Jim e Cindy sullo sfondo,sono inquadrati da dietro mentre si avviano verso l’uscita, Cindy
alza una mano e saluta il custode; ma dietro loro il fantasma di Mascagni a figura intera li
guarda andar via, inquadratura sempre da dietro di Mascagni, con le code della sua giacca
svolazzante…folata di vento…*
*se non c’è spazio, invece della figura intera, Mascagni può apparire a mezzo busto
sempre da dietro, alla dx della lapide.
PAGINA 5
Vignetta 1:
jim e Cindy davanti al b&b (pensavo ad una struttura del genere)
Fare un’insegna con il logo tipo questo:
(cambiandolo un po’, si chiama “Il castel-letto”
Vignetta 2:
primo piano o mezzobusto di Jim e Cindy che si abbracciano in camera;
dietro di loro la luce che arriva da una finestra, luce filtrata da una tenda bianca.
Cindy lo ringrazia per questo viaggio…
Vignetta 3: Cindy seduta sul letto fa scorrere le immagini della fotocamera e dice: pensa
quando le mie amiche del Berklee College of Music vedranno questa foto…
Jim ridacchiando e prendendola un po’ in giro: sì, ti invidieranno per aver visto la lapide
dell’illustre giardiniere…
Vignetta 4: Jim si sta mettendo il pigiama e Cindy gli dice: ormai sei assuefatto alla
tecnologia, dovresti apprezzare maggiormente le cose reali, non quelle virtuali!
Vignetta 5: Scende la sera sul b&b (panoramica notturna)
Vignetta 6: Camera dei due, inquadratura dall’alto del letto matrimoniale
jim e Cindy a letto, dormono.
Ultimo pensiero di Jim con occhi già chiusi: domani entreremo nel cuore di Siena, Fortezza
Medicea, voglio respirare la storia d’Italia, la cavalleria vera, non quella “rusticana” ih ih ih
(sghignazza)…
Vignetta 7: zoom su Jim
Voce fuori campo: Figliuolo, il mio nome è Paolo Mascagni, non Pietro.
Continui a beffarti in casa mia di colui che visse altrove;
non fui compositore, né giardiniere, ma medico-scienziato…
il mio ingegno grandi cose rese alla scienza, ma fui oscurato da chi il mio stesso nome
portò e componendo musica entrò nell’Olimpo degli dei…;
Vignetta 8: Jim apre gli occhi e si gira verso il lettore, sorpreso, ma in realtà sta ancora
dormendo
vignetta 9: Inquadratura sul fantasma di Mascagni che punta il dito verso l’iPhone di Jim e
dice:
…tu, giovane distratto, che cerchi la verità in quella scatola ingannevole,
hai creato l’ennesimo equivoco che da secoli mi disturba, ma rimedierai.
Vedrai con i tuoi occhi, toccherai con le tue mani ciò ch’io feci in vita!!! ’
Andrea Cesalpino
Soggetto
Se ignori i nomi perdi anche la cognizione delle cose
Linneo
PREMESSA:
Mia intenzione è far emergere il valore formativo dell’educazione scientifica alla classificazione, sia nei
bambini che negli adulti, evidenziando come contribuisca a promuovere il pensiero riflessivo, laddove
imparare a pensare in modo riflessivo si configura come capacità di affrontare i problemi che si presentano nel corso dell’esperienza.
Quella di classificare è un’esigenza naturale dell’uomo che vuole fare ordine all’interno di un insieme
eterogeneo, raggruppando gli elementi in categorie più o meno omogenee al loro interno: il risultato
dell’azione dell’intelletto sulla materia, nel tentativo di identificare le diverse categorie già stabilite dalla
natura, o d’imporle dall’esterno.
Osservare, descrivere, confrontare.
LA STORIA
Siamo a Ginevra nel 1936.
Personaggi della storia sono Jean Piaget (psicologo e pedagogista svizzero. Fondatore dell’epistemologia genetica, ovvero dello studio sperimentale delle strutture e dei processi cognitivi legati alla
costruzione della conoscenza nel corso dello sviluppo) e i sui tre figli Jacqueline, Lucienne e Laurent,
rispettivamente di otto, sei e quattro anni, circa, sui quali effettuava i suoi “esperimenti” di studio sullo
sviluppo intellettuale e linguistico.
Siamo nel giardino della casa di Piaget, e lui sta osservando i tre figli che selezionano e “classificano” oggetti di diverse forme, dimensioni e colori, con metodologie sempre più complesse a seconda
dell’età.
Con la moglie Valentine discute della rilevanza del ruolo della classificazione nel dare ordine e significato al mondo delle esperienze.
Piaget indica i tre figli, a seconda del caso, esponendo la sua teoria delle categorie e sottocategorie,
in cui il processo cognitivo del bambino si imbatte: collezioni figurative, collezioni non figurative, comprensione dei rapporti di inclusione.
La moglie gli chiede il senso di tutto ciò, Piaget risponde spiegandole l’importanza della classificazione
come concetto della nostra conoscenza e del rapporto col mondo che ci circonda, portando ad esempio la passione della stessa per le piante.
In questo modo le spiegherà di quanto sia stata importante l’opera di Andrea Cesalpino, fondatore
della botanica sistematica moderna e della sua classificazione basata non più (grazie a lui) sull’origine
della radice del nome delle piante, ma su caratteri differenziali ricavati prevalentemente dal frutto e dal
seme, dell’importanza dell’introduzione dei caratteri distintivi di affinità e di differenza, e di come abbia
riunito le piante simili in gruppi sistematici di famiglie già conosciute e non (appunto collezioni figurative, collezioni non figurative, comprensione dei rapporti di inclusione).
Piaget spiega meglio alla moglie, con esempi pratici, di come è grazie al lavoro fatto più di trecento
anni prima dal Cesalpino, e da chi è venuto dopo di lui, che adesso lei è in grado di distinguere i semi
e le foglie di molte delle piante che lei coltiva in giardino e di come Linneo, in suo onore diede i nomi
a molte di esse. Il tutto avviene mentre i due passano proprio attraverso le piante in giardino, alcune
delle quali proprio delle cesalpinee.
Inoltre il racconto di Piaget sarà alternato da brevi flashback del minuzioso lavoro del Cesalpino.
Il racconto porterà a riflettere sull’importanza di quanto ragione ed esperienza camminino di pari passo
nell’evoluzione dell’uomo (pensiero che accomuna proprio sia gli studi di Piaget che quelli di Cesalpino, anche se in ambiti diversi).
La moglie rimane affascinata dal racconto, puntualizzando su quanto il marito ci metta il cuore in quello
che fa; così come ce lo mise Cesalpino, puntualizzerà Piaget, dicendole che era anche medico, e a lui
si deve anche la scoperta che sia il cuore e non il fegato a pompare il sangue nel corpo umano.
Sul finire del discorso, i due si avvicinano ai figli, dicendogli che si è fatto tardi e di andare a letto, avrebbero messo loro ordine ai “giochi”.
EPILOGO
Siamo nella stanzetta dei tre bambini, a lume di candela, accennano al fatto che non capiscano perché
il padre gli faccia fare quei giochi stupidi, se non che il più grande dei tre prende un barattolo di colla
e il medio apre un albo che ha preso dal cassetto del comodino, dicendo “io preferisco collezionare
le mie figurine”. L’immagine inquadra le dita del bimbo che incollano la figurina del “feroce saladino”
introvabile figurina di quella che è stata la prima collezione di figurine, disegnata dal fumettista Angelo
Bioletto ed uscita proprio nel 1936.
Fine
Andrea Cesalpino
Sceneggiatura
Giovanni Boccaccio
Soggetto
Siamo a Milano, negli studi di una casa di produzione. Un impomatato e serissimo produttore milanese,
Walter, sta ascoltando un giovane (sui 30-35 anni) autore, Rino. Entrambi sembrano più interessati
all’audience e a solleticare certi istinti piuttosto che alla qualità del prodotto di cui stanno discutendo.
Hanno ricevuto l’ordine della rete di alzare il target culturale (cosa per cui sembrano molto inadatti) con
delle biopic su dei personaggi storici. Il produttore si è fissato con Boccaccio, e all’autore ha chiesto
un punto di vista interessante. Quest’ultimo, ignorante, ha portato con sé una studiosa, una giovane
ricercatrice (ovviamente precaria) di lettere, che è stata scelta principalmente perché molto avvenente,
nonostante sia effettivamente preparata. La donna accenna alcuni momenti della vita di Boccaccio,
raccontandoci i primi anni di vita, le pressioni del padre sugli studi, i primi successi letterari. Scene che
vediamo in rapidi flashback con una voce narrante (quella della dottoressa) che ci permette di compiere balzi narrativi di anni. I due uomini sono annoiati dal racconto della donna, e si dicono alla ricerca di
qualcosa di più intrigante per il pubblico moderno. La donna dunque propone il Decamerone. Gli occhi
dell’autore si illuminano: ha già in mente una lunga serie televisiva che gli frutterà milioni di euro.
L’autore dunque chiama a sé un regista, un giovane stagista, sei attrici e l’esperta di cui sopra. I dieci
si ritirano in una villa sui colli toscani, vicino Firenze, grazie anche a dei finanziamenti pubblici. Restano
lì per dieci giorni.
Si ricrea una situazione simile al Decamerone: i dieci si sono riuniti per cercare una “sinergia” nel gruppo di lavoro, ispirati a un fantomatico metodo tedesco proposto dal regista. Le persone raccontano vari
episodi della vita di Boccaccio, e anche alcune novelle del Decamerone, nei loro periodici confronti. Ma
quello che deve emergere di più, sono le storie che si intrecciano, la tensione sessuale o sentimentale
tra alcuni protagonisti, i dissapori e gli amori. Proprio come il Decameron, l’impianto narrativo a episodi
è collegato dunque dal filo degli eventi, una storia che scorre in parallelo come sovrastruttura.
Scopriremo il gioco di raccomandazioni alla base della scelta del cast, le frustrazioni dello stagista e i
vezzi del regista, e soprattutto quanto l’autore sia senza scrupoli. Tutto ciò per suggerire un continuo
parallelismo tra l’Italia dell’epoca di Boccaccio e l’Italia di oggi.
Quando la tensione è ormai alta tra i protagonisti, giunge sul posto il direttore di rete, con la notizia che
la prima bozza della sceneggiatura è arrivata negli uffici della rete e il progetto è stato bocciato. Pare
che fosse fin troppo piccante per i politici che appoggiano la casa di produzione, vicini al Vaticano per
chiari e banali interessi.
Quindi il Decamerone torna ad essere censurato, come nel ‘500.
I protagonisti si separano: ognuno prende la propria strada, senza avere appreso nulla dall’esperienza,
anche se solo apparentemente. Una pagina con una vignetta per ogni personaggio ci svela le loro sorti
(proprio come al termine di un film).
Fine
Giovanni Boccaccio
Sceneggiatura