Kant, perché leggerlo ancora

Transcript

Kant, perché leggerlo ancora
Boiler | ReS | Golem | Emporion | Cinema | Rock | Moda | Teatro | Astroluce | Inpoesia |
92 31.03.2004, 31
Canali Enel
Ricerca e Storia - la rivista delle due culture
Articoli
Homepage
Recensioni
Primo piano
Kant, perché leggerlo ancora
Attualità
di Luciano Floridi
Le discipline
La scienza, l'illuminismo e il soggetto
Il trascendentale e la piscina
Musei e mostre
I libri di res
I numeri precedenti
versione stampa
invia questo articolo
Forum
Newsletter
Chi siamo
I nostri autori
L'autore insegna Logica e Filosofia della Scienza all'Università di Bari ed
è Markle Foundation Fellow in Information Policy all'Università di Oxford
CHI HA fatto il liceo, di Kant ricorda di solito tre cose: l’imperativo
categorico, la conoscenza a priori e la puntualità maniacale. La
Leggi anche su ReS
Quante seccature per la
conoscenza
Un labirinto senza uscita?
puntualità può anche essere spiegata come una cosa normale. In fin dei
conti Kant era un teutone prussiano d’altri tempi. Il resto invece è robba da genio di prima classe.
L’etica e l’epistemologia kantiane rappresentano ancora oggi dei punti di riferimento fondamentali, non
solo di interesse storico-archeologico, per pochi specialisti, ma soprattutto di interesse teorico, per chi
fa filosofia con l’intenzione di risolvere problemi attuali. Si può essere kantiani (o neo-kantiani,
questione di sfumature) senza doversene vergognare, essere anacronistici o dogmatici. Non è facile
dire la stessa cosa per molte altre scuole filosofiche, soprattuto in epistemologia, dove le idee
invecchiano molto più facilmente che in etica.
Oggi non solo si studia Kant a scuola ma lo si assorbe, anche implicitamente, lavorando sulla più
recente produzione teorica del pensiero contemporaneo americano (spesso etichettato genericamente
come “analitico”). È come se il kantismo avesse giocato di sponda e, rimbalzando sull’altro lato del lago
atlantico, rientrasse oggi in Europa dalla finestra, purificato di elementi datati e arricchito sia da un
nuovo vocabolario concettuale sia da una serie di distinzioni e dibattiti che ne hanno eliminato la patina
storica.
In Italia, un paese ancora oggi largamente dominato dalla filosofia tedesca, per lungo tempo Kant è
stato uno dei pochi, grandi antidoti all’idealismo (quello non trascendentale), allo storicismo,
all’ermeneutica e all’esistenzialismo. In effeti, ll kantismo ha potuto abbassare leggermente la guardia
verso altre filosofie made in Germany solo con l’arrivo di Wittgenstein e Frege.
Che cos’è che rende il pensiero di Kant così robusto e interessante, classico come una vecchia Jaguar o
i tre moschettieri? La domanda è facile a porsi, ma è decisamente difficile fornirle una risposta
adeguata. È un po’ come chiedersi qual è il segreto della Coca Cola. Nel resto di questo articolo
azzarderò una serie di ipotesi sulla longevità dell’epistemologia kantiana, ma sono personali e
purtroppo fallibili.
La scienza, l'illuminismo e il soggetto
Iniziamo con il dire che, nella filastrocca degli “ismi”,
kantismo fa rima con illuminismo e illuminismo significa
fiducia nella ragione e nella dialettica del dare e ricevere
argomenti pro e contra una determinata tesi. È chiaro
che quando la filosofia anglosassone, di matrice
analitica, riscopre la filosofia della conoscenza, un
filosofo pur sempre difficile e lontano dall’empirismo
inglese come Kant viene rivalutato proprio per le sue
capacità argomentative. Quello che viene colto poco
dalla filosofia analitica è la distinzione tra la realtà in sé
(che Kant chiama noumenica) e quella fenomenica, che
è il risultato della nostra attività conoscititointerpretativa. Piace il kantismo, ma non troppo il trascendentalismo.
La coppia kantismo-illuminismo getta luce su un secondo aspetto della fortuna del pensiero kantiano:
la sua conoscenza profonda delle teorie scientifiche e di conseguenza il suo grande rispetto per esse.
Bisogna ricordare che Kant è anche lo studioso di Newton, l’insegnante di geografia e di antropologia,
l’autore della così detta ipotesi Kant-Laplace sulla formazione del sistema solare. I filosofi kantiani
conoscono e amano la scienza. Ora il Novecento, si sa, è un secolo di grandi risultati scientifici, ma
anche di crisi dei fondamenti (in matematica prima, in fisica dopo) e di filosofie non tanto scettiche
verso il sapere scientifico in modo competente e critico, quanto insipienti, sospettose e irriverenti nei
suoi confronti. Si passa da un Husserl, profondo conoscitore della matematica, ad un Heidegger, che
con i numeri ha scarsa dimestichezza; ad un Peano, che è tra i padri fondatori della logica matematica
contemporanea, si può anteporre un Croce, che di matematica non sa un acca e purtroppo se ne vanta
pure. Intimorita dalla scienza, che ormai parla il linguaggio della matematica, la filosofia del bello stile
si rintana in una tradizione puramente storiografico-letteraria, a caccia di minori e di temi marginali. In
un simile contesto, la filosofia kantiana brilla per la sua capacità sia di comprendere lo sviluppo delle
nuove teorie scientifiche sia di dialogare con esse alla pari, con piena cognizione di causa, sebbene pur
sempre da un punto di vista concettuale e critico.
Kant è il filosofo della responsabilità individuale, non solo in etica, ma anche in epistemologia. Come
Cartesio, egli pone al centro della riflessione sulla natura della conoscenza il soggetto conoscitore. Ma
molto più di Cartesio, egli mette in luce come la conoscenza non sia solo una questione di assenso
giustificato ad un menu di contenuti prefissati, rispetto ai quali il soggetto è meramente passivo. Il
soggettore conoscitore cartesiano è come un cliente, che sceglie il negozio, i beni che vuole acquistare
e le forme di pagamento con molta cautela, soppesando ragioni pro e contra, facendosi i conti in tasca
e considerando le varie alternative più ragionevoli. È un agente razionale come quello che piace
all’economia classica. Non sta a lui determinare quello che è disponibile ma solo quello che si porta a
casa, cioè il genere di credenze alle quali dare il proprio assenso. Il soggetto kantiano è invece un
artigiano, che opera nei confronti delle risorse disponibili con esperienza e in vista di un progetto. Il
risultato finale, quello che si trova sul suo banco, è in larga parte dovuto al suo operato, anche se nei
limiti delle risorse disponibili. Egli non sceglie, ma costruisce i prodotti di cui è poi il possessore. Ora
questa visione della conoscenza come costruzione porta Kant a investigare il modo in cui opera la
mente umana, e quando la filosofia della mente, sulla scia delle nuove scienze cognitive, riporta
l’attenzione dei filosofi sulla soggettività delle varie operazioni mentali, è naturale che Kant torni ad
essere anche in questo contesto un importante punto di riferimento.
Il trascendentale e la piscina
Veniamo così all’ultimo punto nella lista: il
trascendentalismo. Trascendentale è una parola tecnica,
utilizzata da Kant in poi per fare riferimento alle
condizioni di possibilità di un qualcosa. L’idea è un po’
complicata ma, per intenderci, si pensi alle regole del
calcio come alle condizioni trascendentali del gioco
stesso, cioé l’insieme delle condizioni che rendono
possibile il gioco del calcio in quanto lo costituiscono per
quello che è (per capire la differenza con le condizioni
necessarie, si pensi che per giocare a calcio c’è bisogno
anche del giusto livello di forza di gravità, ma questo
non costituisce il gioco del calcio per quello che esso è e
per come differisce dal gioco del rugby). In un contesto in cui la mente umana si scopre essere
perlomeno co-responsabile per il genere di conoscenza del mondo che possiamo acquisire, considerare
quali sono le condizioni trascendentali della conoscenza stessa diventa essenziale. Soprattutto in vista
del fatto che una buona comprensione delle regole del gioco conoscitivo ci permette di evitare mosse
illegali o nulle. Vediamo meglio questo punto. Kant è uno dei primi filosofi che, pur non abbracciando lo
scetticismo, traccia un chiaro limite a quello che può essere soggetto all’indagine conoscitiva. È del
tutto inutile stare a lambiccarsi il cervello su quetioni che, di principio, proprio per la loro natura, non
permettono il rinvenimento di alcuna risposta. Si finisce solo per fare metafisica nel senso peggiore di
aria fritta. Al contrario, cerchiamo di stabilire anzitutto quale genere di gioco stiamo giocando, le regole
da seguire, e vediamo poi se certe operazioni sono realmente possibili e hanno senso o se invece
superano i limiti stabiliti.
Hegel, criticando Kant, ironizzava che la filosofia trascendentale era come cercare di imparare a
nuotare stando sul bordo della piscina. Molti gli hanno dato retta. Ma la realtà e che Kant suggerisce di
controllare la profondità del mare prima di tuffarsi, tanto per mantenere la stessa metafora. Ancora
oggi, sembra la cosa più ragionevole del mondo, eppure i filosofi sono degli scavezzacolli incoscenti,
che continuano a sfracellarsi sulle rocce metafisiche sottostanti. Una buona dose di Critica della Ragion
Pura eviterebbe tanti massacri concettuali.
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti da fare? Scriveteci
| Portale Enel | Portale Enel Imprese | Portale Acquisti
--- Portali Enel ---