Il ruolo della traduzione nelle campagne

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Il ruolo della traduzione nelle campagne
SCUOLA SUPERIORE PER MEDIATORI LINGUISTICI
(Decreto Ministero dell’Università 31/07/2003)
Via P. S. Mancini, 2 – 00196 - Roma
TESI DI DIPLOMA
DI
MEDIATORE LINGUISTICO
(Curriculum Interprete e Traduttore)
Equipollente ai Diplomi di Laurea rilasciati dalle Università al termine dei Corsi afferenti alla classe delle
LAUREE UNIVERSITARIE
IN
SCIENZE DELLA MEDIAZIONE LINGUISTICA
Il ruolo della traduzione nelle campagne
pubblicitarie internazionali: un’analisi
dell’influenza culturale in pubblicità
RELATORI:
CORRELATORI:
Prof.ssa Adriana Bisirri
Prof.ssa Marilyn Scopes
Prof.ssa Luciana Banegas
Prof.ssa Claudia Piemonte
CANDIDATO:
Ilaria Capponi
ANNO ACCADEMICO 2014/15
“E con il tempo impari che puoi davvero sopportare,
che sei forte, e che vali davvero
E impari, impari, impari”
INDICE
INTRODUZIONE ............................................................................................ 1
CAPITOLO I: LA COMUNICAZIONE PUBBLICITARIA ...................... 5
1.1. La pubblicità: definizione e analisi del fenomeno ................................... 5
1.2. Struttura e funzioni del messaggio pubblicitario ................................... 13
1.3. Analisi semiotica del linguaggio pubblicitario ...................................... 20
CAPITOLO II: LA PUBBLICITÀ GLOBALE .......................................... 25
2.1. La pubblicità nell’era globale ................................................................ 25
2.2. L’evoluzione della pubblicità: la comunicazione tra mezzi di
comunicazione tradizionali e digitali .................................................... 26
2.3. Strategie di comunicazione aziendale ................................................... 28
2.3.1. La standardizzazione ....................................................................... 29
2.3.2. L’utilizzo delle lingue in pubblicità ................................................ 30
2.3.3. L’ adattamento ................................................................................ 32
2.3.4. La glocalizzazione........................................................................... 35
CAPITOLO III: LA TRDUZIONE PUBBLICITARIA............................. 37
3.1. Tradurre pubblicità: un problema di approccio ..................................... 37
3.2. Il traduttore-adattatore pubblicitario ...................................................... 41
3.3. Il traduttore e il testo ............................................................................... 42
3.4. Competenze del traduttore ..................................................................... 43
CAPITOLO IV: CASE HISTORY ............................................................... 47
CONCLUSIONI ............................................................................................. 69
TABLE OF CONTENTS
INTRODUCTION .......................................................................................... CHAPTER I: THE ADVERTISING COMMUNICATION ..................... 7
1.1. The advertising: Definition and analysis of the phenomenon .............. 77
1.2. Structure and functions of the advertisement ........................................ 80
CHAPTER II: GLOBAL ADVERTISING.................................................. 8
2.1. Advertising in the global era.................................................................. 87
2.2. Business communication strategies: Standardization, adaptation,
globalization .......................................................................................... 88
2.3. The use of language in advertising ....................................................... 90
CHAPTER III: ADVERTISING TRANSLATION ................................... 3.1. Translating advertising: A problem of approach .................................. 93
3.2. The advertising translator-adapter ........................................................ 94
3.3. Skills and tools of the translator ........................................................... 96
CHAPTER IV: CASE HISTORY ............................................................... 9
CONCLUSION ............................................................................................. 10
ÍNDICE
INTRODUCCIÓN ........................................................................................ 111
CAPITULO I: LA COMUNICACIÓN PUBLICITARIA ...................... 113
1.1. La publicidad: definición y análisis del fenómeno .............................. 113
1.2. Estructura y funciones del mensaje publicitario .................................. 115
CAPÍTULO II: PUBLICIDAD GLOBAL ................................................. 123
2.1. La publicidad en la era global: estrategias de las empresas................. 123
2.1.1. La estandarización......................................................................... 125
2.1.2. La adaptación ................................................................................ 126
2.1.3. La glocalización ............................................................................ 127
CAPITÚLO III: LA TRADUCCIÓN PUBLICITARIA .......................... 129
3.1. Traducir publicidad: un problema de enfoque ..................................... 129
CAPITÚLO IV: CASOS PRÁCTICOS ..................................................... 131
CONCLUSIÓN ............................................................................................. 135
BIBLIOGRAFIA .......................................................................................... 139
SITOGRAFIA ............................................................................................... 141
SEZIONE LINGUA I
INTRODUZIONE
«La pubblicità è il fiore della vita contemporanea; è un’affermazione di
ottimismo e di gioia; distrae l’occhio e l’animo. E’ la più calorosa manifestazione
della vitalità degli uomini d’oggi, della loro forza, della loro puerilità, della loro
inventiva e della loro fantasia, è il più bel risultato della loro volontà di
modernizzare il mondo in tutti i suoi aspetti e in tutti i campi […]»
(Maximilien, 1959)
Comunicare è un bisogno e una priorità crescente nel mondo globalizzato
contemporaneo: l’informazione e la sua trasmissione stanno alla base di ogni società,
così come della moderna economia.
Coerentemente con il percorso di studi affrontato, il presente elaborato
costituisce il tassello finale di un’analisi comparativa tra il lavoro di traduzione e un
aspetto della comunicazione a livello globale: la pubblicità. Cercherò in queste
pagine di trovare un punto di unione tra gli elementi sopracitati e la società odierna
in modo tale da mostrare la loro inestricabile connessione e interrelazione.
La comunicazione è un sistema complesso e diversi fattori ne determinano il
suo successo o il suo fallimento; i manuali di linguistica (Austin, 1974; Chomsky,
1989; Grice, 1975; Jakobson, 1966; Saussure, 1916; Halliday, 1973; Searle, 1973)
sono ricchi di teorie e modelli per una comunicazione corretta ed efficace e tutti sono
d’accordo nell’affermare che, in qualsiasi atto comunicativo, il contesto è una
componente fondamentale per decifrare il significato dei messaggi scambiati.
Quando si parla di contesto, nella dimensione più ampia in cui il messaggio
può essere inviato e ricostruito, ci si riferisce al contesto sociale, costituito da norme,
convenzioni e aspettative comunicative, linguistiche e comportamentali. Fintanto che
un messaggio viene trasmesso all’interno di una società che conosce e condivide tali
norme, non dovrebbero esserci problemi per una sua corretta ed esaustiva
comprensione; ma quando uno stesso messaggio deve essere veicolato al di fuori
1
della società che lo ha generato, tutto si complica poiché ogni società ha costruito le
proprie regole e comportamenti sociali.
Si è soliti credere che basta tradurre da un codice linguistico ad un altro per far
sì che avvenga una comunicazione interculturale, in realtà quello che avviene è
semplicemente uno scambio tra codici linguistici, ciò che viene comunemente
chiamata traduzione interlinguistica. Questo tipo di traduzione però non basta a
garantire una comunicazione efficace e di successo.
Rispetto a quanto detto finora, sembra evidente che la maggior parte delle
aziende contemporanee si trovi di fronte ad una sfida complessa per adempiere alla
sua funzione principale, ossia comunicare uno stesso messaggio e veicolarlo con i
mezzi e le modalità proprie di un determinato target e cultura. La comunicazione
quindi sarà efficace solo se saprà, da un lato, essere coerente con i messaggi lanciati,
dall’altro rispettare e adeguarsi ai bisogni linguistici e culturali della società cui si
rivolge.
Al giorno d’oggi, questa sfida è stata resa più complicata da una nuova
tendenza: le aziende non devono saper comunicare e trasmettere un’informazione,
ma devono essere in grado di parlare di sé, veicolare valori più profondi e sottili
riguardo la marca e il mondo che le ruota attorno. Apple non si limita a vendere
oggetti elettronici ma innovazione (Think Different); Nokia non si promuove come
l’azienda che costruisce solo telefonini ma come quella che è in grado di unire le
persone (Connecting People); Benetton non vende solo vestiti ma un modo diverso di
concepire la convivenza tra i popoli, serena e pacifica (United Colors of Benetton).
Si comprende bene che i messaggi pubblicitari che le aziende sono chiamate a
creare devono essere estremamente sofisticati e raffinati, nonché coerenti e specifici
per ogni cultura.
Saranno quindi esaminate le strategie di comunicazione di varie multinazionali
e i loro approcci di mercato all’estero, con lo scopo di individuare il ruolo della
traduzione nell’ambito delle campagne pubblicitarie internazionali ed approfondire
quelli che sono gli aspetti linguistici, traduttivi ed interculturali, dimostrando
l’impossibilità di tradurre uno stesso messaggio senza riadattare il testo, tenendo in
considerazione gli aspetti culturali e sociali di un determinato Paese. Dunque si
presterà particolare attenzione alla lingua attraverso cui la pubblicità si esprime e alle
2
strategie comunicative che soggiacciono alle scelte linguistiche in ambito
pubblicitario.
Più dettagliatamente, l’elaborato si compone di quattro capitoli di cui i primi
tre costituiscono l’impianto teorico per analizzare gli esempi presenti nel capitolo
finale.
Il primo capitolo è un’introduzione generale sulla comunicazione pubblicitaria
col fine di delineare i confini entro i quali il presente lavoro si muove, analizzando
gli aspetti sociologici e psicologici del fenomeno pubblicitario, nonché gli aspetti
semiotici.
Il
secondo
capitolo,
cuore
pulsante
del
lavoro,
pone
l’attenzione
sull’evoluzione della pubblicità nell’era globale, tenendo conto di aspetti linguistici
importanti quali: standardizzazione, adattamento e glocalizzazione.
Nel terzo capitolo verrà esaminato il mondo della traduzione pubblicitaria, le
sue caratteristiche principali, le difficoltà traduttive e le strategie attuate nei diversi
paesi, soffermandoci dunque sulla differenza tra mera traduzione e adattamento.
Si analizza poi la figura professionale del traduttore-adattatore pubblicitario,
sulle competenze linguistico-culturali e gli strumenti che dovrebbe possedere per
svolgere adeguatamente il proprio mestiere.
L’ultimo capitolo è quello in cui si analizzano i case history per esemplificare
l’approccio alla comunicazione pubblicitaria a livello internazionale e le strategie
attuate da ogni azienda per soddisfare al meglio le esigenze del mercato.
3
CAPITOLO I
LA COMUNICAZIONE PUBBLICITARIA
1.1. La pubblicità: definizione e analisi del fenomeno
«Succede per molti oggetti materiali o immateriali che, se li osserviamo da
lontano, ci pare di coglierne la forma e di essere in grado di descriverli e che,
invece, se ci apprestiamo per guardarli più in dettaglio, non diventano per questo
più comprensibili, ma al contrario i contorni e i particolari non si precisano ma
vanno sempre più sfumando, finché non percepiamo null’altro che colori e luci, privi
di qualsiasi struttura e di qualsiasi significato. Così è per la pubblicità: attività
umana ben nota a chiunque abiti il mondo capitalista (e non solo capitalista […]);
un’attività che si esplica con forza pervasiva nella nostra vita quotidiana […]; un
fenomeno di cui tutti si sentono così esperti da ritenersi autorizzati a parlarne e a
criticarlo, quasi come avviene per il calcio. Sennonché, al momento di provare a
darne una definizione, la questione si rivela estremamente più complessa e, per
quanto si cerchi, è difficile se non impossibile incontrare una formulazione che sia
veramente soddisfacente»
(Vecchia, 2003)
Il fenomeno pubblicitario è da molto tempo al centro di studi di numerosi
settori disciplinari: dalla retorica alla semiotica, dalla storia all’economia, dalla
psicologia all’antropologia. Si tratta di un concetto complesso, particolarmente
ampio e articolato e proprio per tale motivo risulta arduo delinearne una specifica
funzione.
Il termine pubblicità deriva dal francese publicité, che proviene, a sua volta, dal
latino publicare, il cui significato originario era “rendere di proprietà o di uso
pubblico”, “svelare”, “rendere noto”. Anche i termini in lingua straniera, come il
francese réclame o l’inglese advertising hanno un’origine latina, rispettivamente
5
reclamare (“reclamare”, “chiamare ad alta voce”) e advertere (“guardare verso”,
“volgere lo sguardo”, “fare attenzione”).1
Oggigiorno, la definizione di pubblicità fornitA dal vocabolario della lingua
italiana Zingarelli è: “attività aziendale diretta a far conoscere l’esistenza di un bene
o di un servizio e a incrementarne l’uso e il consumo”, “qualsiasi forma di annuncio
diretto al pubblico per scopi commerciali”.2 Tuttavia, negli ultimi decenni, il termine
ha acquisito ruoli e funzioni molto diversi a seconda del target cui la pubblicità era
destinata e della funzione che le si assegnava di volta in volta. Ognuno di noi
conosce la pubblicità e saprebbe darne, senza alcuna difficoltà, seppure in modo
superficiale, una propria definizione, in realtà si tratta di una forma di comunicazione
complessa. Molto spesso, infatti, si pensa alla pubblicità come ad un annuncio
commerciale ed effettivamente la maggior parte degli investimenti pubblicitari sono
destinati proprio a tali scopi, ma, in realtà, essa può avere altri fini.
Per prima cosa è possibile distinguere tra pubblicità commerciale, destinata alla
commercializzazione di beni e pubblicità non commerciale o sociale, come quella
promossa dai governi per toccare temi importanti per tutta la comunità (quali l’abuso
di droghe e alcool o come l’attenzione verso l’ambiente).
Il concetto di pubblicità, dunque, sembra estremamente semplice eppure risulta
piuttosto complesso. Decantata e disprezzata, giustificata ed accusata nel corso degli
anni, la pubblicità, lo si voglia o no, è oggi parte integrante della nostra vita.
Si parla di un fenomeno composto da molteplici aspetti, modificati, trasformati
ed evoluti dal momento della sua nascita fino ad arrivare ai nostri giorni; insieme ai
suoi significati sono cresciuti e moltiplicati gli usi che se ne sono fatti, gli studi sui
contenuti, le rilevazioni sulla diffusione e, come ovvia conseguenza, si sono
diversificate le percezioni che i soggetti hanno di essa.
La pubblicità si è evoluta, si è adattata ai bisogni del tempo, si è modellata
rispetto al mezzo attraverso cui veniva veicolata, si è fatta portavoce di una cultura,
di modi di vivere e di concepire le cose. E’ diventata molto più di una fotografia su
un giornale o di un video in televisione. Si è elevata a strumento privilegiato della
comunicazione, non solo commerciale e politica ma anche e soprattutto sociale.
1
M. Cortelazzo e P. Zolli, Dizionario etimologico della lingua italiana, 5 vol., Zanichelli,
Bologna, 1978.
2
N. Zingarelli, Lo Zingarelli: vocabolario della lingua italiana, Zanichelli, Bologna, 2004.
6
Tra gli anni Sessanta e Settanta il linguaggio della pubblicità è stato al centro
di intense ricerche e accese polemiche che hanno infervorato gli animi di linguisti ed
esperti in comunicazione di massa. Sono fiorite così, sino a tutta la prima metà del
decennio successivo ricerche ed analisi che hanno analizzato le più minute
caratteristiche e strutture di fondo del linguaggio pubblicitario.
In verità Bruno Migliorini già negli anni Trenta, in alcune note, aveva studiato
tale linguaggio (definendolo come una fonte importante di innovazioni linguistiche3)
e, del resto, anche oggi l’interesse per la lingua pubblicitaria è ben vivo tra i linguisti
(basti pensare al bel volume di Mario Medici La parola pubblicitaria4).
Ciò si verifica e si è verificato poiché negli ultimi decenni, il suddetto
fenomeno, sta acquisendo un’importanza sempre maggiore, tanto che il consumo di
linguaggio pubblicitario da parte dei parlanti è aumentato progressivamente e anche
gli individui meno interessati, nell’arco della giornata, vengono ormai colpiti da
numerosi messaggi di questo tipo. Le formule coniate dai pubblicitari finiscono,
anche se in maniera inavvertita, con lo scivolare nelle produzioni verbali di molti se
non di tutti.
Pertanto, risulta lecito ripercorrere alcune riflessioni di autorevoli linguisti e
studiosi che hanno saputo cogliere aspetti importanti del linguaggio della pubblicità,
da questo breve esame avremo dunque una visione d’insieme certamente più
adeguata.
La caratteristica primaria del linguaggio pubblicitario è, per Tullio De Mauro5,
la subalternità. In primo luogo i segni linguistici sono subalterni alle immagini,
infatti ogni qualvolta il mezzo di comunicazione lo consente, l’immagine domina
sulla parola, talora addirittura marginalizzandola, perché, come l’autore spiega:
La pubblicità ha un obiettivo: orientare in modo inequivoco le linee direttive di
condotta dei membri di un gruppo. […] Il carattere istituzionalmente polisenso dei
segni linguistici fa sì che essi siano inadeguati, da soli, alle esigenze della
pubblicità. Per formare un testo pubblicitario atto ad eliminare incertezze e a
B. Migliorini, Lingua contemporanea, Sansoni, Firenze 1963, 4 ed., p.1.
M. Medici, La parola pubblicitaria, Marsilio, Venezia,1986.
5
T. De Mauro (Torre Annunziata 1932) linguista e filosofo del linguaggio, si è occupato
soprattutto di linguistica generale, con attenzione al rapporto tra lingua e società.
3
4
7
prevenire dubbi e discriminazioni, la formula figurativa, semplice e inequivoca, è
assai più opportuna.6
È ben comprensibile che, ogni qual volta il mezzo di comunicazione lo
consenta, l’immagine domini sulla parola. In secondo luogo, si può parlare di una
subalternità del linguaggio pubblicitario, in quanto non è una fonte autonoma di
innovazioni linguistiche, bensì riprende e asseconda usi linguistici già affermati.
Dunque non è altro che la sedimentazione di tutte le banalità linguistiche più
largamente sperimentate in altri e più attivi settori della vita sociale7. Il linguista
non nega l’apporto che la lingua della pubblicità può dare alla lingua comune ma
sottolinea il fatto che le innovazioni non sono autonome ma piuttosto mediate da
strutture e fenomeni già in uso nella comunità linguistica di cui il mezzo
pubblicitario si limita solo a diffonderne l’utilizzo.
Infine la lingua della pubblicità è subalterna a fenomeni strutturali della
società, come ad esempio al processo di industrializzazione del nostro Paese, in
quanto è stato quest’ultimo ad unificare linguisticamente gli italiani, creando un
mercato di consumatori a cui indirizzare i messaggi.
Se in De Mauro la lingua della pubblicità sembra essere sopraffatta da altri
elementi, nelle parole di Maria Luisa Altieri Biagi8 essa appare come un’entità senza
scrupoli, disposta a qualsiasi cosa pur di raggiungere il proprio obiettivo, ovvero
persuadere il potenziale acquirente.
Per assolvere alla funzione conativa la lingua della pubblicità si serve di esche
linguistiche allettanti. Secondo la linguista:
Il pubblicitario non esita a catturare la terminologia prestigiosa della scienza
e della tecnica, a riprodurre le manipolazioni tipiche della lingua letteraria, talvolta
a sfruttare i moduli della lingua colloquiale con le sue ridondanze, le sue
approssimazioni lessicali, la sua sintassi zoppicante.9
6
M. L. Altieri Biagi, Massimo Baldini, Il linguaggio della pubblicità: le fantaparole, Armando
Editore, Milano, 1996, p. 52.
7
IVI, p. 35.
8
M.L. Altieri Biagi (Venezia 1930) famosa linguista italiana, studiosa di grammatica e
didattica, è inoltre emerita accademica dell’Accademia della Crusca e dell’Accademia delle Scienze di
Bologna.
9
IVI, p.36.
8
L’utilizzo di termini tecnici e scientifici è funzionale al conferimento di un
aspetto informativo e referenziale a un messaggio la cui funzione è prevalentemente
conativa. Quanti consumatori conoscono il significato dei termini bifidus
actiregularis, prokeratina, lactifless e ceramide? (Figura 1) E quanti di loro si sono
preoccupati di informarsi? Tuttavia i vocaboli ignoti divengono ancora più
convincenti se pronunciati con tono autorevole e posato da un uomo in camice che
spiega al proprio pubblico le eccezionali proprietà del prodotto reclamizzato che, a
garanzia di efficacia, è venduto esclusivamente in farmacia.10
Figura 1: Yogurt Activia con Bifidus Actiregularis della Danone
Se l’uso del linguaggio della scienza rassicura il consumatore riguardo la
serietà dell’azienda, lo scopo dell’utilizzo in pubblicità di tecniche tipiche del
linguaggio letterario, invece, è quello di sfruttarne il prestigio.
Pertanto, gli spot possono contenere composizioni in versi volutamente create
o riferimenti a opere celebri e facilmente riconoscibili dal pubblico: M’illumino di
meno (Figura 2), ad esempio, è la riscrittura del celeberrimo componimento di
Giuseppe Ungaretti utilizzato per la campagna radiofonica di sensibilizzazione sul
risparmio energetico.
10
G. R. Cardona, La lingua della pubblicità, Longo Editore, Ravenna, 1974, pp. 34-38.
9
Figura 2: Spot per la più grande campagna sul risparmio energetico in Italia
Infine la lingua della pubblicità è sensibile alle novità, se ne appropria
immediatamente, le ripete, le impone, le diffonde; talvolta provoca, per nausea la
loro caduta. Ecco che la pubblicità si appropria del fenomeno e lo esaspera (vestire
giovane, comprate sicuro, bevi facile, ecc.). In ogni caso, sia che si presentino con le
vesti smesse della lingua usuale, sia che facciano leva sul prestigio verbale posseduto
dai termini scientifici, secondo l’autrice, i messaggi pubblicitari sono un esempio di
lingua “venduta”.11
In ogni caso, la lingua della pubblicità si vende al migliore acquirente (lingua
della scienza, della letteratura, comune) per raggiungere il proprio obiettivo:
concretamente il messaggio è venduto dal copywriter al produttore, in realtà dal
produttore all’acquirente in quanto esso compra la suggestione associata dal
pubblicitario al prodotto.
L’attenzione di Mario Medici12 si concentra sulla ludicità creata dalla lingua
pubblicitaria. Egli ritiene che in essa si sia manifestata una tendenza d’uso che si
potrebbe definire il fantalinguaggio, in quanto forza al massimo le possibilità formali
di un’iperproiezione rarefatta della concretezza semantica. Si tratta di composti
M. L. Altieri Biagi, OP. CIT., p. 62.
M. Medici (Mendrisio 1908-1984) docente storico svizzero italiano, illustre linguista, si è
occupato soprattutto del fenomeno pubblicitario.
11
12
10
quali ad esempio: pestotondo, polivetro, puliziotto, boccasana che il pubblicitario
crea attraverso la fusione dei termini più disparati.
Il consumatore si lascia cullare da questa musica, da questa lingua
destrutturata, ancora una volta lo scopo della parola non è di comunicare bensì di
catturare. Il linguaggio pubblicitario è dunque oltre che subalterno e venduto anche
un fantalinguaggio ed è tale poiché il pubblico gioca con le parole così come i
fanciulli giocano con il corpo della madre.13
Possiamo
immediatamente
renderci
conto
di
tali
caratteristiche
immediatamente quando ci imbattiamo in parole senza senso (è il caso
dell’esclamazione vavavuma lanciata in uno spot della Citroen e subito ripreso da
molti giovani).
A conclusioni simili era già giunto, nel 1954, Marcel Gulliot, studioso di
comunicazione pubblicitaria, secondo il quale le parole delle pubblicità hanno un
solo scopo, non quello di se faire comprendre ma piuttosto quello di faire de l’effet.
A tal fine il pubblicitario inventa parole macedonia, ruba vocaboli alla scienza,
parla mille lingue, imita lo stile dei grandi poeti per stupire, ammaliare, catturare il
consumatore. Il modo di operare del copywriter è riassunto da Gulliot
nell’espressione lingua patchwork, le parole più amate dal pubblicitario sono quelle
che spiazzano il consumatore per mezzo dell’effetto sorpresa.
Dai suddetti studi, realizzati da illustri studiosi e linguisti che si sono immersi
all’interno
del
mondo
della
pubblicità,
delineandone
ciascuno
differenti
caratteristiche, si può capire che la pubblicità è lo strumento di comunicazione più
persuasivo, in quanto si basa principalmente su linguaggio e immagini; proprio per
questo motivo è utilizzata soprattutto nei mercati dei beni di consumo.
Questa è la ragione per cui le decisioni riguardanti la comunicazione
pubblicitaria sono le più influenzate dalle differenze culturali dei vari paesi. I
consumatori rispondono agli stimoli pubblicitari a secondo della propria cultura, del
proprio sistema di valori, della propria percezione. Dato che la funzione della
pubblicità è quella di comunicare ai consumatori la capacità di un prodotto, di
soddisfare un loro bisogno o desiderio, affinché sia efficace le sue caratteristiche
13
A. Biagi, OP. CIT., p.37.
11
devono per forza coincidere con il contesto culturale cui gli stessi consumatori
appartengono.14
La cultura incide in primo luogo sull’efficacia dello stile comunicativo
utilizzato. Ad esempio, si è rilevato che in paesi come Canada e Svezia, in cui la
maggior parte dei consumatori ha un elevato livello di istruzione, la comunicazione
adotta prevalentemente uno stile informativo (le pubblicità abbondano di contenuti
tecnici). Al contrario, in paesi come la Turchia, in cui gran parte della popolazione
possiede un grado di istruzione assai modesto, la persuasione e gli slogan giocano un
ruolo centrale. Ancora, in Europa occidentale la pubblicità delle bevande alcoliche è
vietata in Austria, Danimarca, Finlandia, Francia, Norvegia e Svizzera; è soggetta a
limitazioni di legge in Irlanda, Italia, Lussemburgo, Portogallo e Spagna; è limitata
volontariamente in Germania e Olanda ed è consentita senza limitazioni in Belgio e
in Grecia. Inoltre, il contesto culturale influenza anche l’atteggiamento da parte del
destinatario della pubblicità nei confronti della stessa. Vi sono zone, come la Francia
e i paesi dell’Europa Settentrionale, nei quali esiste una vera e propria publifobia, un
rifiuto verso ogni forma di pubblicità;15 questi timori sono dovuti agli effetti negativi
che la pubblicità è in grado di esercitare: ad esempio, la stimolazione smodata dei
bisogni e dunque l’incoraggiamento al consumismo. Dove tale fobia è diffusa
maggiormente, i governi sono soliti sottoporre la comunicazione pubblicitaria a
regimi più severi.
Proprio la regolamentazione in materia di pubblicità è una delle maggiori
influenze che l’ambiente di appartenenza dei destinatari esercita sulla definizione
della politica pubblicitaria.
Le normative assumono notevoli differenze di Paese in Paese, per quanto
riguarda l’utilizzo di linguaggi e immagini, la pubblicità ingannevole e comparativa,
i limiti relativi alla frequenza e alla quantità dei messaggi televisivi nonché alle
pubblicità di determinati beni e servizi.
14
15
www.hoeplieditore.it/cateora (consultato il 10 luglio 2015).
S. Silvestrelli, International Marketing Mix, Esculapio, Bologna, 2008.
12
1.2. Struttura e funzioni del messaggio pubblicitario
Definito
l’obiettivo
dell’azione
promozionale,
il
responsabile
della
comunicazione deve ideare e sviluppare un messaggio efficace. Il messaggio
dovrebbe attirare l’interesse dei destinatari, catturarne l’attenzione, far crescere il
desiderio e stimolare l’acquisto. Questa dinamica è conosciuta come il modello
“AIDA” (attenzione, interesse, desiderio, acquisto), acronimo che riassume i quattro
punti fondamentali ai quali una réclame deve far fronte per essere efficace. L’AIDA,
presentato per la prima volta da Elmo Lewis,16 nel 1898, che studiando il processo
pubblicitario al livello di comportamento, rappresenta uno dei primi modelli messi a
punto per implementare una campagna pubblicitaria e analizza le quattro fasi che il
consumatore attraversa e che lo portano a decidere di acquistare un determinato
prodotto (Figura 3):
• Attenzione: una pubblicità deve innanzitutto catturare l'attenzione del potenziale
consumatore. A tal proposito vi sono tre tipi di elementi di richiamo: razionale,
emozionale o morale. Il richiamo razionale fa leva sugli interessi personali del
pubblico; quello emozionale ha l’intento di suscitare emozioni tali da spingere
all’acquisto; quello morale fa appello al senso di correttezza e di giustizia del
pubblico e, principalmente, viene utilizzato per promuovere campagne sociali.
• Interesse: una volta catturata l’attenzione, bisogna mantenere vivo l’interesse del
consumatore, dando un motivo per continuare a leggere e approfondire, ad esempio
comunicando benefici e vantaggi reali.
16
E. Lewis (1872-1948) è stato un pubblicitario americano, il quale si soffermò a lungo
sull’importanza e la potenza delle campagne pubblicitarie al fine di educare il pubblico. I suoi studi e
il modello AIDA, da esso ideato, vengono tutt’ora presi in considerazione dagli esperti in materia.
13
• Desiderio: in questa fase il messaggio dovrebbe innescare un desiderio per il
prodotto o servizio pubblicizzato. Il lettore dovrebbe essere coinvolto
emotivamente, riconoscere un bisogno e vedere nel prodotto/servizio descritto la
soluzione alle sue necessità.
• Azione: portare i consumatori ad agire e acquistare.
Figura 3: Grafico sul modello AIDA
14
Sebbene il modello AIDA abbia continuato ad essere un punto di riferimento
per molti studi realizzati in ambito pubblicitario, esso, oggi, è ritenuto un modello
eccessivamente semplice e ingenuo e che risente molto della cultura nella quale è
stato formulato. Negli anni quaranta è stata adottata dalle agenzie pubblicitarie una
variazione del modello AIDA. Rosser Reeves, 17 della Ted Bates & Company, ha
ideato infatti la formula dell’USP (Unique Selling Proposition), una delle migliori
proposte al mondo a livello pubblicitario. Secondo tale principio una pubblicità,
affinché possa essere efficace, deve puntare su un unico argomento di vendita che sia
forte e significativo.
Facendo leva su un'unica ragione logica per la quale converrebbe acquistare un
prodotto, sarebbe possibile eliminare rischi di dispersione e concentrare lo sforzo
persuasivo su una sola proposta di vendita che il destinatario della pubblicità
finirebbe per ricordare e fare propria nel tempo. La pubblicità deve quindi cercare un
messaggio unico che offra benefici al consumatore, sintetizzato nei seguenti punti:18
• il messaggio deve contenere una promessa facile da ricordare;
• il messaggio deve inglobare un concetto unico riguardante le qualità del prodotto e
dissuadere il consumatore ad acquistare prodotti simili;
• il messaggio deve essere convincente e verosimile.
La struttura del messaggio deve essere definita rispetto a tre questioni. La
prima riguarda le conclusioni del messaggio, ovvero la scelta tra comunicarle in
modo esplicito oppure lasciarle al pubblico. La seconda riguarda la scelta tra
presentare il contenuto da un solo punto di vista oppure proporre prospettive diverse.
La terza riguarda l’opportunità di presentare gli argomenti più forti all’inizio o alla
fine del messaggio.
17
R. Reeves (1919-1984) è stato un pubblicitario statunitense, egli ritiene che ogni messaggio
pubblicitario deve presentare un'offerta esclusiva e non realizzabile da altri promotori; l'offerta deve
apparire così efficace ed incisiva da attirare nuovi acquirenti al prodotto. Tra i suoi annunci più celebri
(nonché tra i più esemplificativi dell'USP) c'è quello delle caramelle M&M's: “Si sciolgono in bocca,
non in mano” usato ancora oggi.
18
R. Reeves, Reality in Advertising, Alfred A. Knopf Inc., New York, 1960, trad. It. I miti di
Madison Avenue, Lupetti, Milano, 1988, p.33.
15
Il linguaggio pubblicitario
molto vario per essere compreso dalla maggior
parte dei consumatori. Esiste uno schema ben preciso che le agenzie pubblicitarie
devono tenere sempre presente, una struttura costituita da elementi ben definiti che
svolgono specifiche funzioni, quali:
• l’headline, il titolo dell’annuncio, la frase primaria che apre la pagina pubblicitaria
avente l’obiettivo di incuriosire il destinatario; generalmente si tratta di una stringa di
testa chiara e sintetica, stimolando il processo di memorizzazione;
• il visual, l’immagine necessaria per calamitare l’attenzione del destinatario ed
esprimere sinteticamente un concetto complesso nella decodifica del messaggio
verbale;
• la bodycorp, il testo che chiarisce e rivela il vero significato del titolo e che può
avere una funzione informativa delle caratteristiche del prodotto o puntare a temi
astratti che suggestionino emotivamente il destinatario;
• il packshot, ovvero la rappresentazione grafica del prodotto in vendita;
• il logotipo, il marchio dell’azienda produttrice;
• il payoff o baseline, la frase conclusiva della pagina pubblicitaria che comunica
l’identità del brand.
Tali elementi descritti non solo devono essere necessariamente co-presenti
all’interno del messaggio stesso, ma a volte si può decidere di valorizzarne
maggiormente alcuni a discapito di altri. Ad esempio diversi studi hanno riscontrato
che spesso i consumatori tralasciano la lettura della bodycorp, dando quindi
maggiormente importanza all’headline.
Il messaggio pubblicitario, in quanto atto di comunicazione, presenta tutti e sei
gli elementi che il linguista Roman Jakobson19 ha delineato come costitutivi di un
atto comunicativo, ovvero:
19
R. Jakobson (1896-1982) linguista e semiologo russo, considerato uno dei principali
iniziatori della scuola del formalismo e dello strutturalismo, a lui si deve lo studio della teoria della
comunicazione linguistica. La sua teoria si basa sulle sei funzioni comunicative che si associano alla
dimensione dei processi comunicativi.
16
• mittente, colui che invia il messaggio;
• messaggio, il testo di una comunicazione diretta che i partecipanti si scambiano;
• destinatario (o interlocutore), colui che riceve il messaggio;
• contesto, l'insieme degli elementi di un testo ma anche l’insieme delle circostanze
particolari che fanno da sfondo all’evento comunicativo;
• codice, l’insieme di segni condiviso da mittente e destinatario che permette loro di
codificare e decodificare i messaggi;
• canale, lo strumento che consente al messaggio di passare dal mittente al
destinatario.
Nel suo celebre studio di linguistica e poetica20 Jakobson associa ad ognuna
delle componenti dell’atto comunicativo una specifica funzione, uno schema che può
essere molto utile per comprendere i meccanismi del discorso pubblicitario:
1. funzione espressiva, incentrata sul mittente dell’atto di comunicazione e sul suo
mondo interiore che egli esterna attraverso il messaggio (Non è senza un motivo che
un profumo diventa un giorno un successo mondiale e lo rimane per sempre.
Sensibile, giovane, romantico e insieme sensuale);
2. funzione poetica, legata al messaggio e alla sua formulazione durante la quale si
presta grande attenzione alla costruzione formale, all’aspetto fonico nella scelta dei
vocaboli, all’evocazione di immagini e, più in generale, all’estetica (Alt chi va là? Il
buon detersivo Olà);
3. funzione conativa, riferita al destinatario del messaggio nel quale si cerca di
scatenare una reazione nel modo di agire o pensare (Non desiderare la Mini d'altri);
4. funzione referenziale, s’incentra sul contesto in cui l’atto comunicativo ha luogo e
a cui i partecipanti alla comunicazione fanno riferimento (Il dentifricio Colgate
contiene Gardol);
5. funzione metalinguistica, è legata al codice condiviso dagli interlocutori al quale
essi fanno esplicito riferimento durante l’atto comunicativo (Il suono del carrillon vi
ricorda che la Manetti e Roberts...21);
20
R. Jakobson, Essais de linguistique générale, Paris 1963; trad. It. Saggi di linguistica
generale, Feltrinelli, Milano, 1963.
21
M. L. Altieri Biagi, OP. CIT., p.41.
17
6. funzione fàtica, fa riferimento al canale che veicola il messaggio e al controllo
della sua efficienza per mantenere vivo il contatto con l’interlocutore (Figura 4).
Figura 4: Illustrazione sulla teoria delle sei funzioni di Roman Jakobson
Anche in questo caso è bene precisare che le funzioni non sono mai isolate
nell’atto comunicativo, bensì sono co-presenti. Numerosi linguisti ritengono che, in
ambito pubblicitario siano la funzione estetica e quella conativa a svolgere il ruolo
principale.
La prima è utilizzata per creare messaggi d’effetto che catturino l’attenzione
del consumatore, sfruttando la forza evocatrice della parola e gli effetti sonori che
nascono dalla combinazione di termini. Secondo Francesco Sabatini22 la pubblicità
ricalca i moduli espressivi e ritmici della poesia italiana contemporanea da autori
come Giuseppe Ungaretti e Salvatore Quasimodo fino alle tecniche del futurismo.
22
F. Sabatini (Pescocostanzo 1931) linguista e filologo italiano, professore dell’Università
degli Studi Roma Tre, attualmente Presidente Onorario dell’Accademia della Crusca.
18
La funzione conativa, impiegata per stabilire un contatto diretto con il
destinatario, si realizza attraverso il ricorso all'imperativo e al vocativo o per mezzo
dell’uso di verbi (come lo slogan della Coca-Cola Bevi Coca-Cola o a quello della
Vodafone Passa a Vodafone!), aggettivi possessivi e pronomi personali alla seconda
persona singolare e plurale. In particolare si può affermare che quella sia la funzione
sottesa a ogni tipo di messaggio pubblicitario il cui scopo primario non è informare,
bensì stabilire un contatto con il consumatore per poi persuaderlo ad acquistare il
prodotto.
Tuttavia, la funzione emotiva della lingua
sicuramente una delle pi presenti
nell’ambito del linguaggio pubblicitario e riguarda la capacità che ogni emittente ha
di esprimere se stesso, le sue emozioni, i suoi sentimenti, la sua identità nel
messaggio. La pubblicità infatti, sebbene sia nata a scopi prettamente informativi,
con il tempo ha dato maggior spazio alla funzione persuasiva della sua natura,
ricorrendo sempre pi spesso a fattori emozionali.
Dunque, molto spesso, nelle pubblicità troviamo elementi emozionali, pi che
informativi, che inducono a scegliere un determinato prodotto e che mostrano
modelli di comportamento da seguire. A tal proposito, non possiamo non ricordare la
campagna pubblicitaria della Procter & Gamble (Figura 5) che, nel 2012 in
occasione delle Olimpiadi di Londra ha realizzato un emozionante video che mostra
come dietro ogni atleta ci sia l'amore e l'incoraggiamento di una madre. Grazie
Mamma è il nome dell'iniziativa portata avanti dalla compagnia statunitense sul suo
canale YouTube, la quale mette in scena quattro madri che in quattro diverse città del
Pianeta (Londra, Rio De Janeiro, Los Angeles, Pechino) accompagnano i propri figli
al successo olimpico. Il video ha fatto il giro del web e ha commosso migliaia di
persone; lo stupore, la meraviglia e le emozioni suscitate da questo spot pubblicitario
sono rimaste a tutti impresse nei cuori.
19
Figura 5: Campagna pubblicitaria della Procter & Gamble per le Olimpiadi di
Londra (2012)
Si pu quindi concludere sostenendo che non esiste una funzione prevalente
nell’ambito del discorso pubblicitario, le funzioni del linguaggio possono quindi
essere compresenti e manifestarsi a tutti i livelli. Ogni pubblicità contiene almeno in
potenza tutti i fattori della comunicazione e ne comprende anche tutte le funzioni; lo
stesso Jakobson afferma:
In ogni messaggio possono coesistere e sovrapporsi tutte queste sei funzioni, o
comunque molte di esse, anche se generalmente una soltanto diventa predominante
nella struttura gerarchica che viene a formarsi e sulla quale si fonda l’unicità di
ciascun messaggio.23
1.3. Analisi semiotica del linguaggio pubblicitario
Per comprendere i significati espressi dalla comunicazione pubblicitaria, oggi è
possibile ricorrere a numerosi strumenti d’analisi. Strumenti che sono rintracciabili
nei contributi elaborati dalle diverse discipline che hanno studiato i linguaggi delle
principali forme espressive: psicologia, sociologia, antropologia, semiotica.
Quest’ultima però, essendo la disciplina che studia tutti i processi di produzione di
senso che si svolgono nella società, è quella che ha fornito la maggior quantità di
strumenti utilizzabili per capire il meccanismo della pubblicità e smontarne il motore
per vedere come funziona.
23
p. 30.
V. Codeluppi, La pubblicità. Guida alla lettura dei messaggi, Franco Angeli, Milano, 2002,
20
Tuttavia la semiotica non può analizzare i risultati della pubblicità, non misura
le reazioni del suo pubblico, né pretende di possedere una conoscenza della mente
del consumatore; la sua vocazione, piuttosto, è quella di un’analisi in profondità del
testo, nei suoi diversi aspetti, articolazioni e livelli. Essa insegna a vedere “sotto” la
superficie colorata e luccicante della comunicazione, le forme sintattiche e i modelli
semantici che sono messi in gioco in maniera più o meno efficace; ci permette di
capire che la pubblicità, per ottenere i suoi effetti persuasivi, si appoggia a sistemi di
senso già dati, afferma modelli sociali precisi, ha insomma un forte carattere
ideologico.24
La pubblicità dal punto di vista semiotico è un oggetto complesso e
problematico. Il rapido consumo dei messaggi, la necessità di cercare il nuovo per
colpire il pubblico e attrarre l’attenzione, la molteplicità degli oggetti pubblicizzati
rendono difficile un’analisi uniforme per tutti i casi. Ogni caratterizzazione semplice
della pubblicità, che la definisca nei termini dei meccanismi testuali costanti, si
presterebbe facilmente a controesempi.
Infatti, affermare che la pubblicità sia costituita da testi che hanno una funzione
di persuasione sembrerebbe plausibile, ma è facile mostrare che molti messaggi
pubblicitari non manifestano, perlomeno sulla superficie testuale, nessun
meccanismo di persuasione (come ad esempio le immagini di abiti e profumi diffuse
sui settimanali, che non contengono alcuna forma di comunicazione verbale).
Spesso, come si può vedere, nella pubblicità di marca non si tratta di
convincere lo spettatore a fare qualcosa, bensì di cambiare il suo punto di vista, di
alterare il suo sistema di valori. D’altro canto è evidente che la pubblicità agisce sul
piano della comunicazione in maniera ben determinata: un testo pubblicitario, pur
anomalo che sia, ha bisogno di farsi riconoscere come tale, se non altro per assegnare
un grado sufficiente di legittimità alle proprie trasgressioni linguistiche. L’analisi
semiotica dunque non può essere puramente classificatoria, né basarsi sulla presenza
di contenuti caratteristici o fondarsi sull’identificazione tecnica o linguistica di un
mezzo di comunicazione specifico.
24
U. Volli, La Semiotica della Pubblcità. GLF Editori LaTerza, Roma, 2003, introduzione.
21
Per analizzare il funzionamento del testo pubblicitario è opportuno prestare
attenzione a diversi livelli di analisi, quali il segno pubblicitario, l’enunciazione, le
strutture narrative e le immagini.
La prima funzione di un testo pubblicitario quella segnica, ossia la capacità di
rimandare, per mezzo della sua presenza fisica (il significante) a qualcosa d’altro (il
significato). In quanto significativi, capaci cio di dire altro e di pi rispetto alla loro
semplice presenza, tutti i testi hanno natura segnica. Specialmente nell’ambito delle
pubblicità di moda e di profumi, si trovano spesso testi cos poco articolati
narrativamente da poter essere trattati come semplici segni. Esso ha comunque una
natura articolata, dalla sua definizione si pu intendere che si tratti di qualche cosa
che ha a che fare con la marca o il prodotto pubblicizzati; la tigre utilizzata dalla
Esso, nota marca di benzina, o ancora il grafismo curvo come un apostrofo, che
simbolo da sempre della Nike, uno dei più celebri produttori di abbigliamento
sportivo. Frequentemente accade che l’immagine utilizzata raffiguri l’atto del
consumo e le sue conseguenze. In questo caso la dimensione dominante della
pubblicità non sarà più per noi quella puramente segnica, perché entreranno in gioco
modalità più complesse di narrazioni e di coinvolgimento del destinatario. In molti
altri casi, il segno si può individuare anche senza un riferimento alla dimensione
narrativa; come nel caso della mela multicolore simbolo della Macintosh, alla stella
della Mercedes o al cowboy della Marlboro. In questi casi la dimensione segnica ha
una sua propria autonomia. Nei segni pubblicitari, vincolati soprattutto dall’efficacia,
vi
una continua ricerca di buona motivazione,25 una forma che aiuti ad identificare
il prodotto o la marca e che soprattutto contribuisca a valorizzarli.
Per ragioni di salienza percettiva e di interesse quasi tutti i testi pubblicitari
contengono immagini (salvo quelli radiofonici).
Si tratta di solito di testi sintetici, che comprendono parti scritte e/o verbali.
Come abbiamo visto parlando del segno, l’immagine ha un’importanza
fondamentale, poiché spesso non si tratta solamente di illustrare il prodotto, ma
anche di renderne visibile il valore. Un testo pubblicitario visivo induce nel lettore,
prima ancora che entrino in gioco i contenuti precisi dell’immagine, certe posizioni
di senso come allegria, serenità, ritmo.
25
U. Volli, OP. CIT., p. 56.
22
L’enunciazione, invece, coinvolge molti livelli della teoria semiotica: dai suoi
aspetti sintattici, semantici e pragmatici, alle sue implicazioni socioculturali. Si tratta
dell'atto attraverso il quale si realizza il concreto impiego della lingua in un contesto
comunicativo. Essa, pertanto, ha la funzione di analizzare il ruolo del testo
pubblicitario all’interno della comunicazione, tenendo conto del modo in cui il
rapporto comunicativo viene riflesso, simulato o deformato nei testi.
Il
testo
pubblicitario
presenta,
nell’analisi
semiotica,
una
natura
prevalentemente narrativa. Affermare la natura narrativa del testo pubblicitario vuol
dire attribuirgli una struttura analoga a quella dei racconti. Sempre secondo U. Volli,
le forme narrative sono notevolmente diversificate e individua tra le pi tipiche:
• contratto-sanzione: la marca propone in maniera esplicita un contratto al cliente.
Raramente per , propone se stessa come ci che fa venire l’azione. In testi come
questo, il prodotto viene offerto come soggetto passivo del contratto, impegnando
con ci il cliente nella sua funzione di destinante;
• competenza: spesso accade che l’annuncio non serva a stabilire le principali
proprietà del prodotto, piuttosto la competenza, in particolare della marca;
• sanzione pura: spesso accade che quel che viene esibito nel testo pubblicitario, sia
semplicemente la soddisfazione del consumatore, la quale spesso si esprime sotto la
forma dell’acquisto. Non si mostra tanto la capacità del prodotto di compiere la
propria performance, quanto la soddisfazione del consumatore al momento del
consumo del prodotto.
Alla luce di tutto ciò, si comprende che l’approccio semiotico consiste nel
sottolineare l’autonomia del testo e il carattere simulacre dei soggetti che compaiono
nella comunicazione.
Forse non sarà la vera arte del nostro tempo; ma certamente la pubblicità è
uno dei principali motori dell’economia e un potere ricchissimo che condiziona la
vita di tutti i mezzi di comunicazione di massa. Ed è anche il più diffuso e il più
capillare canale di comunicazione, quello che impone al mondo, con la forza delle
idee e soprattutto dei grandi numeri, immagini, parole, pensieri, gusti, oltre che
merci e prodotti. Insomma la pubblicità è uno strumento estetico e ideologico di
massa, il serbatoio a cui attingiamo il nostro modo di guardare le cose, di scoprire il
bello, di divertirci.26
26
U. Volli, OP. CIT., introduzione.
23
CAPITOLO II
PUBBLICITÀ GLOBALE
2.1. La pubblicità nell’era globale
Dopo aver introdotto il fenomeno e trattato il tema della comunicazione
pubblicitaria da diversi punti di vista, partendo da una definizione generale del tema
per poi trattare le funzioni e le peculiarità insite nel messaggio, fino all’analisi del
linguaggio pubblicitario nei suoi molteplici aspetti (linguistici, psicologici e sociali),
si passa ora alla trattazione del tema centrale del presente elaborato, ovvero
l’approccio transnazionale alla pubblicità nell’era globale e il nuovo ruolo del
traduttore all’interno di questa attuale realtà.
Innanzitutto si contestualizza il fenomeno pubblicitario nella moderna era
globalizzata, l’evoluzione che essa ha avuto e in seguito si studierà la comunicazione
pubblicitaria in relazione alle strategie di marketing aziendale di cui è parte
integrante e infine, alla luce di tutto ciò, ci si impegnerà a individuare le strategie
comunicative che l’azienda dovrà necessariamente mettere in atto per poter essere
competitiva in ambito internazionale.
Con la celebre espressione global village, nel 1964 Marshall McLhuan 27 ha
stravolto il modo di intendere il mondo e le relazioni internazionali. Difatti tutto il
Novecento è stato caratterizzato dall'internazionalizzazione delle attività produttive e
degli scambi commerciali che hanno portato ad un’inarrestabile evoluzione
socioeconomica. Grazie alle innovazioni tecnologiche e delle telecomunicazioni si è
verificata un’intensificazione delle relazioni ed interconnessioni tra le diverse aree
del mondo. Proprio quest’evoluzione ha preso il nome di globalizzazione, termine
M. McLhuan (1911-1980) è stato un sociologo canadese, la cui fama è legata alla sua
interpretazione innovativa degli effetti prodotti dalla comunicazione sia sulla società nel suo
complesso sia sui comportamenti dei singoli. La sua riflessione ruota intorno all'ipotesi secondo cui il
mezzo tecnologico che determina i caratteri strutturali della comunicazione produce effetti pervasivi
sull'immaginario collettivo, indipendentemente dai contenuti dell'informazione di volta in volta
veicolata. Di qui la sua celebre tesi secondo cui "il medium è il messaggio".
27
25
coniato nel 1981 da Theodore Levit indicare un insieme ampio di fenomeni connessi
con la crescita dell’integrazione economica, sociale e culturale tra le diverse aree del
mondo28.
La globalizzazione dell’economia, infatti, è solo la tappa iniziale della
creazione del global village di McLhuan, un mondo paragonabile ad un villaggio
grazie all’affermarsi delle multinazionali e alla diffusione internazionale dei loro
prodotti, allo sviluppo tecnologico dei mezzi di comunicazione, alla creazione di
organizzazioni internazionali, all’evoluzione dei mezzi di comunicazione di massa.
Questi cambiamenti hanno portato all’abbattimento delle frontiere fisiche e mentali
tra Paesi e alla realizzazione dell’ossimoro di McLhuan: un intero pianeta delle
dimensioni di un villaggio in cui domina una sorta di cultura globale in una
condivisione di miti, desideri e stili di vita.29
La nuova teoria di McLuhan è stata interpretata e letta come una profezia:
un’interessante fonte di guadagno da parte delle multinazionali che hanno captato la
possibilità di dar vita a target transnazionali a cui rivolgersi e a cui vendere i propri
prodotti.
Dopo questa breve e necessaria premessa si può avviare l’analisi del linguaggio
della pubblicità in un’epoca globalizzata dominata da grandi aziende il cui obiettivo
primario è l’espansione in un numero crescente di mercati attraverso i propri
prodotti.
2.2. L’evoluzione della pubblicità: la comunicazione tra mezzi di
comunicazione tradizionali e digitali
La pubblicità ha saputo adattarsi all’evoluzione dei mezzi di comunicazione,
mostrandosi sempre aperta all’avvento delle nuove tecnologie che ha saputo sfruttare
a proprio vantaggio. I messaggi pubblicitari, infatti, sono presenti su qualsiasi tipo di
mezzo di comunicazione, dalla carta stampata a Internet, ma invadono sempre più
anche la sfera privata attraverso la posta elettronica e i social network. La scelta del
mezzo da utilizzare per la diffusione del proprio messaggio è di particolare
importanza per l’azienda in quanto a seconda di quello impiegato il messaggio dovrà
28
29
www.treccani.it/enciclopedia (consultato il 10 luglio 2015).
IBIDEM.
26
possedere talune peculiarità. È celebre e valido anche per i new media, l’assioma di
McLuhan il medium è il messaggio30, che conferma il rapporto di interdipendenza tra
mezzo e caratteristiche stilistiche del messaggio. Si passano ora in rassegna i
principali veicoli di comunicazione utilizzati per la diffusione dei messaggi
pubblicitari descrivendo sinteticamente i vantaggi e gli svantaggi che ognuno di essi
presenta.
L’excursus inizia dalla stampa in quanto è proprio sui quotidiani che il
fenomeno pubblicitario moderno ha fatto la sua prima apparizione. Quest’ultima è,
infatti, il mezzo che consente di raggiungere un considerevole numero di potenziali
acquirenti a un prezzo relativamente contenuto per il committente, attraverso un
messaggio che coniuga il codice verbale e quello visivo e che può essere letto e
riletto dal destinatario, al contrario di quanto succede con i messaggi trasmessi via
radio o televisione.
Altro metodo oggetto di analisi è la radio, considerato come il primo mezzo di
comunicazione di massa per la sua capacità di penetrazione anche di fasce di
popolazione dal basso livello di scolarizzazione che all’epoca della nascita del nuovo
medium erano tagliate fuori dall’informazione della stampa. La radio, indicata
oggigiorno soprattutto per reclamizzare prodotti di largo consumo e per la pubblicità
locale, ha introdotto due importantissime novità che sono state ereditate dalla
televisione: il jingle e lo slogan. Il jingle è il motivetto, originariamente ispirato a
canzoni celebri, che accompagna il messaggio pubblicitario e ne facilita la
memorizzazione. Lo slogan è la frase d’effetto del massaggio che ha la capacità di
esprimerne in maniera sintetica e originale il contenuto. La televisione ha modificato
profondamente il modo di fare pubblicità con l’introduzione di un nuovo format, lo
spot, che coniuga diverse modalità espressive: le immagini in movimento, la musica,
la lingua scritta e parlata. Si tratta di un messaggio promozionale breve che permette
di presentare il prodotto in modo più completo rispetto agli altri media. Ultimo nato
tra i mezzi di comunicazione di massa, Internet, è senza dubbio uno dei più pervasivi
e rivoluzionari.
30
Q. Fiore- M. McLuhan, Il medium è il messaggio, Feltrinelli, Milano 1981.
27
Le innovazioni che il Web ha introdotto sono così sintetizzate da Santini 31
l’interattività, la personalizzazione, la bidirezionalità dei flussi comunicativi, lo
stimolo all’azione immediata e il valore aggiunto per il navigatore sotto forma di
intrattenimento, informazione o gioco.
Questi aspetti dei new media trasformano il ruolo del consumatore che da
ricettore passivo della comunicazione pubblicitaria, si trasforma in attore attivo e
dinamico del processo comunicativo, ad esempio attraverso chat e forum per
comunicare direttamente con l’azienda. D’altro canto il ricorso esclusivo ai new
media impedirebbe all’azienda di raggiungere un vasto pubblico. Fa capo al Web
anche il cosiddetto social media marketing: si tratta della comunicazione
pubblicitaria che si insinua anche nei social network attraverso inserzioni che
appaiono nelle pagine delle svariate communities, nonché della creazione di pagine
aziendali su network quali MySpace, Facebook e Twitter a cui il consumatore fa
ricorso per un approccio più diretto e informale con l’azienda.
In conclusione l’evoluzione tecnologica ha profondamente innovato il modo di
fare pubblicità, confermando l’assioma di McLuhan sull’interdipendenza e
inscindibilità di medium e messaggio.
2.3. Strategie di comunicazione aziendale
In questa nuova era globalizzata, le multinazionali che operano su scala globale
hanno dovuto affrontare il problema di come comunicare con consumatori diversi
anche per lingua, abitudini comunicative, usi e costumi. L’azienda che opera in
ambito internazionale analizza i bisogni comunicativi del target che intende
conquistare e persuadere e, in virtù di questi bisogni, predilige le strategie
comunicative che ritiene siano maggiormente efficaci per il successo della propria
campagna.
Generalmente un’azienda che opera su diversi mercati può servirsi di almeno
tre tipi di strategie quali: standardizzazione, adattamento e glocalizzazione. Si
analizza ora nello specifico in che consiste ciascuna delle tre.
31
P. A. Herbig, Il marketing interculturale, Apogeo Editore, Milano, 2003.
28
2.3.1. La standardizzazione
La standardizzazione pubblicitaria, meglio conosciuta con il nome di global
advertising o international advertising, ha come caratteristica principale quella di
ideare e divulgare lo stesso identico messaggio nei paesi in cui l’azienda è presente
attraverso i propri prodotti.
Come McLuhan anche Levitt
32
descrive la globalizzazione come una
convergenza di tante culture verso un’unica cultura globale, poiché tutti hanno
bisogni e desideri simili. Alla luce di tale considerazione, anche Levitt ritiene che le
aziende debbano vendere lo stesso identico prodotto in tutto il mondo (marketing
globale) servendosi di strategie che si basino su tutti quegli elementi condivisi a
livello internazionale trasformando i consumatori in un gruppo omogeneo di
individui con gusti e necessità uguali. Pertanto, standardizzare significa offrire un
determinato prodotto con i medesimi canali e lo stesso prezzo in tutti i paesi
interessati.
Ovviamente una campagna globale di successo rappresenta per l’azienda un
evidente risparmio in termini di denaro e di tempo, offrendo maggiore consistenza
dell’immagine, maggiore controllo sul brand e la possibilità di promuovere i propri
prodotti e il proprio know-how 33 tra diversi mercati. D’altra parte, un insuccesso
potrebbe invece seriamente danneggiare l’immagine del brand a livello globale,
determinando il fallimento del brand stesso e della sua credibilità. La sfida più
difficile sta nelle diversità culturali: oltre alle differenze di gusti per le immagini, è
da tenere in conto anche l’efficacia del messaggio. Spesso le campagne sono basate
su semplicistiche somiglianze tra i consumatori come, ad esempio, tutto ciò che
riguarda le emozioni quali la felicità, la rabbia o la paura, ritenute universali. In
realtà anche gli aspetti della vita che potrebbero sembrare universali, come le
emozioni e i sentimenti, assumono forme diverse all’interno di ogni cultura. Attuare
strategie di standardizzazione è davvero molto complesso per un’azienda: in caso di
successo si otterranno vantaggi economici e di immagine aziendale che
32
T. Levitt, famoso sociologo americano e direttore della Harvad Businnes Review, il quale ha
approfondito le teorie dell’omologazione sul villaggio globale già precedentemente espresse da M.
McLuhan.
33
I. Alon, E. D. Jaffe, Global Marketing: Contemporary Theory, Practice, and Cases,
McGrawhill, New York, 2012.
29
aumenteranno la competitività, ma d’altro canto un tentativo mal riuscito potrebbe
essere deleterio per l’intera campagna e, addirittura, per lo stesso brand.
2.3.2. L’utilizzo delle lingue in pubblicità
L’uso delle lingue straniere in pubblicità risulta essere un fenomeno ormai
diffuso da molto tempo. La presenza di messaggi pubblicitari multilingui rappresenta
una delle maggiori tendenze della pubblicità contemporanea anche a livello
trasnazionale: nello schema compositivo del messaggio si alternano, a segmenti
testuali redatti nella lingua base, forestierismi e, ancor più di frequente interi
sintagmi o frasi in lingua straniera; in tale contesto l’inglese diviene un modello di
riferimento e assume un ruolo predominante rispetto alle singole lingue nazionali.34
Molte aziende, indipendentemente dall’origine geografica, scelgono l’inglese come
lingua esclusiva delle proprie campagne proprio per promuovere una nuova identità
bilingue e cosmopolita di un consumatore inserito nel mercato globale, che si sposta
con disinvoltura nel mondo.
Negli sterminati territori della globalizzazione, marchi prestigiosi di diffusione
internazionale, si rivolgono ai consumatori dei vari contesti geografici, adottando i
medesimi slogan.
Nokia. Connecting People (Nokia)
No Martini, no Party (Martini& Rossi)
Don’t touch my Breil (Breil)
Pupa. Non conventional Beauty (Pupa)
You can. Canon (Canon Inc.)
Sony. Make. Believe (Sony)
M. R. Capozzi, La comunicazione pubblicitaria. Aspetti linguistici, sociali e culturali,
Franco Angeli, Milano, 2008, p.110.
34
30
Secondo molti studiosi, i punti deboli di quest’approccio sono sostanzialmente
due: l’inesistenza del target globale sopra descritto e la sopravvalutazione della
conoscenza dell’inglese a livello globale. Milioni di persone in tutto il mondo
parlano inglese ma i livelli di competenza sono molto variabili e la capacità di
comprendere un parlante nativo è generalmente scarsa e può essere frutto di
incomprensioni o fraintendimenti.
Tuttavia, l’inglese non è l’unica lingua usata, si possono riscontrare espressioni
in spagnolo, tedesco e francese. La lingua spagnola è normalmente impiegata per
evocare uno stile di vita improntato al divertimento, alla gioia di vivere e alla
ludicità. Esempi sono:
Seat. Auto emoción (Seat)
Desigual. La vida es chula (Desigual)
Oppure il celebre spot degli anni Novanta, incentrato sulla conversazione tra
due messicani:
José: Pedro, ¡esto es Estathé!
Pedro: Seguro, ¡es Estathé! (Ferrero)
O nella più recente pubblicità dell’acqua Lete, dove un peperoncino con un
sombrero messicano canta in spagnolo elogiando l’acqua in questione. In altri casi la
lingua spagnola è utilizzata semplicemente per evocare il Paese d’origine del
prodotto:
No hay nada come el Havana (Havana Club)
El ron más bebido en los peores bares de Caracas (Pampero)
Decisamente meno presente nelle campagne pubblicitarie è il tedesco,
utilizzato principalmente per richiamare il Paese d’origine, famoso soprattutto per la
propria industria automobilistica, come per:
31
Volkswagen. Das Auto (Volkswagen AG.)
Opel. Wir leben Autos (Adam Opel AG.)
Più ricorrente è il francese, cui sono tradizionalmente associati lo charme e la
raffinatezza. Il campo della moda e della cosmesi soprattutto sono ambiti ricchi da
tempo di francesismi ed espressioni quali parfum, maquillage, couture, ad esempio:
J’Adore. Le nouveau parfum de Dior (Dior)
Estremamente più rare sono le lingue extraeuropee. Gli esempi di utilizzo di
lingue straniere in pubblicità sono numerosissimi e riguardano i più svariati settori
merceologici di prodotti e servizi offerti nel mercato globale.
In conclusione, si può sostenere che la lingua inglese è ormai onnipresente in
ambito pubblicitario e si rivolge al consumatore globale, mentre le altre lingue
europee svolgono principalmente una funzione evocatrice del Paese in cui sono
parlate e degli stereotipi ad esso associati.
2.3.3. L’ adattamento
La strategia opposta alla standardizzazione è l’adattamento. Spesso alcune
aziende preferiscono rendere più familiari le stesse attraverso la traduzione dall’
inglese alla lingua del Paese di trasmissione del messaggio in quanto, come si è visto,
il significato del messaggio potrebbe sfuggire a un consumatore di diversa lingua
madre. La pubblicità però è composta da più che semplici parole. I concetti e le idee
trasmessi con la pubblicità sono radicati nella cultura da cui hanno origine, le parole
e le frasi creati per una cultura non necessariamente hanno significato per un’altra.
Come sostiene anche Simon Anholt35 tradurre un annuncio mantenendolo pari
all’originale sarebbe come dipingere di rosso la punta di un iceberg sperando poi
che l’intera massa di ghiaccio diventi rossa: l’aspetto linguistico è solo la parte
esterna e visibile del messaggio, al quale vanno aggiunti elementi culturali
impossibili da trascurare. È necessario tenere conto della funzione principale della
S. Anholt, Another one bites the grass: making sense of international advertising, John
Wiley & Sons Inc., New York, 2000.
35
32
lingua della pubblicità, adeguando i testi in modo che risultino comprensibili e
attraenti per i consumatori.
Dunque al fine di evitare clamorosi errori e fraintendimenti è fondamentale
tenere conto degli elementi culturali del Paese cui le campagne sono destinate.
Secondo i teorici dell’adattamento vi sono due importanti aspetti appartenenti alla
sfera culturale di un Paese da prendere in considerazione: la componente
socioculturale, riguardante usi e costumi, religione, abitudini sociali e commerciali
del Paese destinatario della campagna pubblicitaria e quella politico-legale, che
riguarda la legislazione del Paese in materia di comunicazione e, in particolare, di
pubblicità36
L’adattatore deve dunque avere ottime competenze interculturali e una
conoscenza approfondita della lingua, della cultura e delle norme vigenti nel Paese
cui il messaggio è destinato, oltre che di quelle del Paese in cui la campagna è stata
ideata.
In termini pratici l’adattamento riguarda a livello socioculturale sia competenze
di tipo tecnico facilmente acquisibili, come pesi e misure, date, orari, indirizzi,
valute, taglie e via discorrendo, sia competenze che richiedono una più approfondita
conoscenza culturale, come il simbolismo legato a colori, forme e oggetti di varia
natura, stereotipi e tabù radicati nel Paese o ad esso associati. L’aspetto politicolegale è anch’esso da tenere in considerazione poiché si tratta di un ambito molto
complesso e in continua evoluzione.
Alcuni esempi esemplificativi delle diverse legislazioni sono riportati di
seguito:
• in Italia, Francia e Regno Unito è vietata la pubblicità di sigarette e tabacco;
• in Germania non si pubblicizzano giocattoli con equipaggiamento militare, a causa
del loro richiamo alla tragica esperienza della Seconda Guerra mondiale;
• in Svezia ed Austria non è permesso mostrare bambini nelle pubblicità;
• una serie di tabù riguardanti il corpo e l’abbigliamento sono in vigore nei paesi
asiatici. I capelli lunghi, i cappelli da baseball portati rovesciati, i jeans blu vengono
considerati simboli della corruzione dei costumi portata dall’Occidente;
36
www.translationdirectory.com/article60, (consultato il 1 luglio 2015).
33
• altri divieti di origine morale e religiosa vigono nei paesi islamici o arabi: le donne
devono sempre apparire vestite e col capo coperto, gli uomini non possono essere
mostrati a torso nudo, il cibo non può essere toccato con la mano sinistra, ecc.37
Da questi esempi si può comprendere come sia difficile far fronte a normative
così diverse fra loro. La fondamentale importanza di tutte queste componenti fa sì
che l’adattamento della comunicazione divenga sempre più spesso una necessità più
che una possibilità.
Un caso emblematico è quello della Kellog Co., la multinazionale ha provato
ad inserirsi nel mercato europeo con lo stesso tipo di cereali per tutti i Paesi, ma
mentre in Finlandia si prediligevano cereali con un alto apporto di Vitamina D, la
Danimarca non voleva affatto aggiunta di vitamine nei cereali temendo per la salute
dei connazionali mentre i Paesi Bassi ritenevano inutili le vitamine aggiunte.
L’azienda pertanto ha dovuto creare diversi stabilimenti dove produrre cereali che
soddisfacessero le diverse esigenze dei consumatori europei.
Da questo esempio è possibile individuare le differenze esistenti tra la
standardizzazione e l’adattamento. L’azienda che opta per la standardizzazione si
concentra sulle analogie esistenti tra consumatori al fine di creare un prodotto che
possa soddisfare questo presunto target globale; l’azienda che sceglie la strada
dell’adattamento presta maggiore attenzione alle differenze esistenti tra consumatori
ritenendo che nell’attenzione al locale risieda il successo di un’azienda. In altre
parole la standardizzazione è guidata dai bisogni dell’azienda, ovvero dalla volontà
di imporre un brand globale e di ridurre i costi di produzione. Al contrario il motore
dell’adattamento è il mercato o meglio i singoli mercati e le peculiarità di ognuno di
essi a cui si dedicano studi approfonditi.
In conclusione l’adattamento risulta preferibile alla standardizzazione nel caso
esistano variazioni in termini di esigenze dei consumatori, condizioni di utilizzo,
capacità di acquisto, abitudini culturali.
37
M. Lombardi, Il nuovo manuale di tecniche pubblicitarie. Il senso e il valore della
pubblicità, Franco Angeli, Milano, 3° ristampa, 2012, p. 335.
34
2.3.4. La glocalizzazione
Alcune multinazionali, tuttavia, sono restie a seguire un’unica linea strategica;
esse preferiscono piuttosto associare insieme le due strategie sopra riportate, dando
vita alla già citata glocalizzazione. Si tratta di un neologismo dell’epoca digitale, una
parola “macedonia” derivata dalla fusione dei termini globale e locale ed indica la
con-fusione (nel senso di integrazione reciproca) tra realtà territoriali diverse (e
quindi i soggetti e i linguaggi che le esprimono 38 ). Da questo punto di vista la
glocalizzazione offre le migliori garanzie, poiché si configura come un approccio
integrato che permette alla marca di adattarsi pur mantenendo i benefici di una global
brand (Think Global, Act Local39). Ad esempio, lo yogurt Danone Vitasnella è noto
come Taillefine in Francia, Finewaist in Inghilterra, Vitalinea in Spagna; il detersivo
Mastrolindo in Francia si chiama Monsieur propre e in Germania Meister Propers.
In altri casi, a seconda dei mercati di esportazione, si possono avere differenti
declinazioni di uno stesso marchio. Un esempio di questo tipo ci viene offerto dal
caso Algida: l’azienda, avendo proceduto all’acquisizione di nuovi marchi verso i
mercati esteri, ha scelto un approccio multinazionale verso questi ultimi,
conservando le denominazioni originali. Pertanto i gelati Algida, pur identificandosi,
a livello visivo, con un packaging uniforme, in Francia sono denominati Miko, in
Portogallo Olà, Frigo in Spagna, Langnese in Germania.
Alla base dei processi di sostituzione del brand name possono talora agire
fattori di ordine culturale e linguistico, anche collegati agli stereotipi del Paese di
esportazione. Si pensi, ad esempio, al caso dell’automobile Jetta, prodotta dalla
Volkswagen. Il nome, in italiano, richiama la mala sorte (jettatura) e ciò sicuramente
non rappresenta un elemento a favore del prodotto che lo porta.40
Un altro esempio riguardo questo approccio intermedio è quello del caso
McDonald’s, spesso erroneamente proposto come emblema di standardizzazione. In
realtà McDonald’s, come molte altre compagnie, si è accorta dell’inefficacia di un
A. Abruzzese, Lessico della comunicazione, Meltemi Editore Srl, Roma, 2003, p. 244.
Think Global, Act Local: sintesi tra il pensiero globale, che tiene conto delle dinamiche
planetarie di interrelazione tra i popoli, le loro culture ed i loro mercati e l'agire locale, che tiene conto
delle peculiarità e delle particolarità storiche dell'ambito in cui si vuole operare.
40
M.R. Capozzi, OP. CIT., p. 118.
38
39
35
approccio standardizzato e proprio per questo ha adattato i propri menu ai gusti
locali.
Alcuni esempi: il menu dei fast food McDonald’s in Brasile comprende una
bevanda ai frutti di bosco, mentre in Asia un frullato di frutta; in Giappone è
possibile gustare il McChao, simile al riso alla cantonese, mentre nelle Filippine il
McSpaghetti e in Australia il tipico pasticcio di carne di montone. Nonostante
McDonald’s abbia deciso di operare un adattamento di prodotto, a livello di
comunicazione si opta per una strategia standardizzata: chi sceglie un fast-food della
catena più famosa del mondo non lo fa semplicemente per il gusto dei suoi
hamburger, ma soprattutto perché si tratta di una scelta veloce ed economica. Nel
marketing la glocalizzazione consiste dunque nell’utilizzo da parte dell’azienda di un
modello globale con i dovuti adattamenti alle varie parti del mondo al fine di venire
incontro ai gusti e alle esigenze locali.
36
CAPITOLO III
LA TRADUZIONE PUBBLICITARIA
3.1. Tradurre pubblicità: un problema di approccio
Qual è oggi il significato di pubblicità internazionale? Siete ad esempio sicuri
che l’espressione inglese a cup of coffee sia ovunque la stessa cosa?
Per indirizzare un messaggio pubblicitario a consumatori di lingue diverse è
necessario adattare il testo in funzione degli usi e costumi e al contesto socioculturale a cui è rivolto. Con la globalizzazione e la necessità di esportare i prodotti
di ogni Paese a livello mondiale, ha assunto un’importanza fondamentale la
traduzione degli annunci promozionali finalizzata alla localizzazione dei messaggi
pubblicitari, in contrasto alla tendenza alla globalizzazione linguistica. Simon
Anholt, nel suo già citato libro, sostiene che le agenzie di pubblicità dovrebbero
abbandonare la cosiddetta “struttura centralizzata”, dove i messaggi vengono creati
nella sede centrale e dove alle sedi degli altri paesi è affidato semplicemente il
compito di traduzione e adattamento. Le agenzie dovrebbero oggi essere in grado di
avere un approccio locale a livello di ogni singolo mercato, anche se il concetto alla
base della campagna viene sviluppato a livello globale.
Difatti, il problema generale che si riscontra all’interno della traduzione
pubblicitaria risiede nel fatto che ancora oggi, sebbene in misura ridotta, le traduzioni
dei vari annunci vengono sottoposte a dipendenti delle stesse agenzie pubblicitarie.
Solamente in casi d’urgenza o di campagne piuttosto impegnative, viene richiesto
l’intervento di un traduttore professionista. Richard Welts,41 menziona la complessità
di tradurre annunci pubblicitari e gli errori più frequenti. Egli ritiene che le cause
principali di tali errori dipendono dalla mancanza di competenza del traduttore, che
spesso non è un esperto linguista, bensì un impiegato della stessa agenzia
pubblicitaria.
R. Welts, fondatore di una delle agenzie di comunicazione e traduzione pubblicitaria più
importanti negli Stati Uniti.
41
37
Cause di natura economica possono altresì essere le responsabili di una cattiva
traduzione, in quanto spesso i pubblicitari tendono a soffermarsi di più sul numero
delle parole utilizzate negli annunci direttamente proporzionali al costo della
campagna, piuttosto che sul contenuto dei messaggi. Dunque, la causa principale di
una scarsa traduzione, dipende in gran parte dall’ignoranza delle imprese che
sottovalutano l’importanza di disporre di un’adeguata competenza traduttiva.
Tuttavia, negli ultimi anni, si sta diffondendo una maggior consapevolezza nei
riguardi di questa disciplina e, sebbene nell’organizzazione delle imprese la
traduzione sia ancora piuttosto relegata, ha conquistato una funziona importante
all’interno del processo di comunicazione pubblicitaria in ambito internazionale, in
quanto la maggior parte dei professionisti del settore ha compreso la necessità di
adattare gli annunci alle necessità culturali richieste dal contesto target e alle
aspettative del pubblico del mercato d’arrivo.42
La traduzione rappresenta un processo di comunicazione tra culture differenti,
è un atto comunicativo che si stabilisce tra un mittente complesso (l’impresa,
l’agenzia, il traduttore) e un destinatario eterogeneo e molteplice (i consumatori
potenziali di un prodotto, appartenenti a differenti contesti) e si diffonde attraverso
un canale. Un messaggio tradotto è sempre il prodotto di un contesto determinato, il
contesto d’arrivo43. Nello specifico, la traduzione pubblicitaria, indispensabile nel
processo
di
internazionalizzazione
delle
imprese,
dipende
sempre
dalle
caratteristiche del mercato d’arrivo. Un annuncio pubblicitario persegue uno scopo
principale, quello di attirare l’attenzione del pubblico sul prodotto oggetto della
promozione e persuaderlo al consumo. Nel tradurre tale annuncio si dovrà
necessariamente considerare tale obiettivo e mantenerlo identico anche nel testo
meta, per adeguare il più possibile la ricezione del messaggio. È necessario, però,
conoscere i criteri di accettabilità di un annuncio da parte del pubblico d’arrivo, per
poter creare un testo dalle caratteristiche riconoscibili ed accettabili.
Come si è già più volte riscontrato, infatti, le reazioni del pubblico nei
confronti dei messaggi pubblicitari non sono le stesse in tutti i mercati, ogni cultura
di riferimento ha le proprie caratteristiche e recepisce un messaggio sulla base di
valori e idee a sé proprie, che non sono condivise in tutte le società. La funzione
42
43
U. Volli, op. cit.
IBIDEM.
38
testuale è assegnata dalla cultura d’arrivo per la quale il traduttore produce il suo
testo e, pertanto, anche le strategie impiegate dipendono dalle caratteristiche imposte
dal contesto di riferimento.
La traduzione degli annunci pubblicitari è soggetta alle idiosincrasie di
ciascuna lingua e del pubblico a cui si rivolge, pertanto il traduttore deve tenere
conto del contesto socio-culturale del pubblico a cui si destina il prodotto, un
pubblico che ovviamente varia da un Paese all’altro. Il ruolo del traduttore è quello
di tradurre pensieri ed idee, piuttosto che parole. Sarà pertanto necessario conoscere
in anticipo le lingue che verranno utilizzate nella traduzione di tale annuncio. Come
si è già osservato, ogni mezzo di comunicazione possiede determinate caratteristiche
e la traduzione deve adattarsi alle eventuali restrizioni che queste comportano. Nel
caso delle riviste, ad esempio, è necessario rispettare i limiti di formato, in cui lo
spazio a disposizione è piuttosto esiguo, o le caratteristiche del layout. Per quanto
riguarda la traduzione, ciò si rivela essere spesso un problema, in quanto le lingue
non hanno le stesse caratteristiche morfo-sintattiche e alcune si caratterizzano per
essere più prolisse di altre.
Pertanto, nel momento in cui il traduttore dovrà tradurre un annuncio, dovrà
prestare molta attenzione a tale aspetto. In alcuni casi, inoltre, si può verificare che
una rivista sia destinata ad un pubblico internazionale, come ad esempio negli aerei.
In questo contesto si opterà per una “non traduzione” dei testi pubblicitari, oppure
verrà utilizzata la lingua inglese.
Nell’ambito del marketing internazionale, la traduzione costituisce un aspetto
fondamentale nelle campagne pubblicitarie adottate dalle aziende che, come abbiamo
già avuto modo di analizzare, compiono le proprie scelte sulla base di fattori di
natura socio-economica. Tradurre una campagna pubblicitaria è un’esigenza che le
imprese più competitive prima o poi si trovano ad affrontare. I benefici che derivano
dal tradurre una campagna pubblicitaria in diverse lingue, rendendola fruibile anche
all’estero, sono numerosi e riguardano la possibilità concreta di aumentare profitti e
clientela.
Per tale motivo, la traduzione sta acquisendo una posizione di primaria
importanza e viene considerata uno strumento di lavoro necessario nell’ambito della
39
comunicazione internazionale, sebbene sia ancora vista semplicemente quale un
trasferimento di elementi linguistici da una lingua ad un’altra.
D’altro canto, però, nonostante la traduzione occupi un ruolo fondamentale
nelle campagne pubblicitarie, la sua funzione sta subendo delle battute d’arresto a
causa della crescente egemonia dell’immagine utilizzata negli annunci e della
predominanza dell’inglese a livello globale.
Un altro ostacolo comune nella realtà pubblicitaria con cui la traduzione deve
confrontarsi è quello della scarsa conoscenza di tale disciplina e della sua particolare
rilevanza in ambito linguistico, elemento fondamentale nella progettazione di una
campagna pubblicitaria. Ancora troppo spesso, all’interno del mondo del marketing e
delle agenzie di pubblicità, il ruolo della traduzione è estremamente sottovalutato.
Ad esempio, gli specialisti di marketing tendono a differenziare il ruolo della
traduzione da quello dell’adattamento. Nella loro concezione, la traduzione si limita
solamente ad una trasposizione linguistica del testo scritto, mentre l’adattamento
coincide con la “traduzione del senso”. Purtroppo, questo riflette il luogo comune
diffuso ed erroneo che persiste nei confronti di questa disciplina, ancora troppo poco
conosciuta e rispettata. In realtà traduzione e adattamento sono due concetti che si
fondono tra loro.
La traduzione fedele non esiste, afferma Anholt, i testi pubblicitari non devono
essere tradotti: devono essere scritti. La pubblicità non è fatta di parole, ma di
cultura. Tuttavia, al contrario della letteratura, la pubblicità ha prima di tutto un
aspetto funzionale: nasce da una preciso obiettivo commerciale, che è quello di
comunicare i valori del marchio e di vendere i prodotti. Preoccuparsi di rimanere
fedeli al testo originale è un errore di comunicazione: lo scopo è quello di mantenere
la funzione, non di riprodurre la forma.
Le barriere interculturali possono sussistere anche in presenza di espressioni
che sembrano estremamente facili da tradurre. Ad esempio, pur trovando un
equivalente in tutte le lingue, la frase a cup of coffee, non significa esattamente la
stessa cosa in tutti i paesi. In Gran Bretagna, indica un tazzone da un quarto di litro
riempito con acqua calda, caffè istantaneo e zucchero. La traduzione italiana “una
tazza di caff ” è tutt’altra cosa: si riferisce a una tazzina riempita, in quantità più
ridotta, di caffè espresso e con un gusto totalmente diverso. Va inoltre rilevato che
40
una tazza di caffè sono parole usate raramente nel comune linguaggio italiano, dove
abitualmente si dice un caffè.
In questo capitolo si analizza il ruolo della figura professionale del traduttore
pubblicitario partendo dalla relazione che si instaura con il testo da tradurre, per
passare poi in rassegna le competenze che deve possedere e potenziare per meglio
svolgere il proprio mestiere, per finire con un breve accenno agli strumenti
indispensabili per svolgere il proprio lavoro.
3.2. Il traduttore-adattatore pubblicitario
La globalizzazione non solo ha portato le aziende a riscrivere completamente il
loro approccio alla comunicazione, bensì ha riscritto anche il ruolo del traduttoreadattatore, figura decisamente importante in questo contesto.
È innanzitutto necessario sottolineare che i termini adattatore e traduttore sono
in questo caso dei sinonimi, partendo dalla tesi secondo cui la mera traduzione del
messaggio sia una pratica controproducente in ambito pubblicitario. Il traduttore
professionista che si occupa di adattare una campagna per un nuovo mercato
nazionale, si servirà delle proprie capacità traduttive, ma soprattutto delle proprie
abilità linguistiche e delle conoscenze relative agli aspetti culturali e sociali per le
quali il messaggio va “culturalmente” tradotto. Compito del traduttore è quello di
immergersi nell’altra cultura e di capire la visione del mondo dell’altro popolo. Per
poter rendere il testo tradotto in modo adeguato, il traduttore deve prima
comprendere il messaggio originario, altrimenti i destinatari del testo tradotto
avrebbero difficoltà interpretative.
Questo talvolta prevede l’aggiunta di parti esplicative per colmare e sanare le
divergenze tra culture di partenza e di arrivo, evitando una mera traduzione letterale
che può risultare insufficiente alla comprensione del messaggio. Un buon traduttore
deve saper adattare il testo al lettore e scoprire le regole per mantenere il significato
dell’originale ottenendo lo stesso effetto.
41
Secondo Eugene Nida44 è il significato che deve essere chiaro, mentre parole e
suoni sono semplici etichette. Molti altri studiosi, però, ritengono che il traduttore
debba comprendere non solo l’ovvio contenuto del messaggio, ma anche le sottili
sfumature di significato, i valori emotivi importanti delle parole e le caratteristiche
stilistiche che determinano il sapore e la sensazione del messaggio.
3.3. Il traduttore e il testo
Se redigere un testo pubblicitario, significa scrivere un messaggio destinato a
persuadere un determinato pubblico al fine d’indurlo al comportamento voluto, allora
tradurre questo stesso testo vuol dire riprodurne il medesimo meccanismo in un’altra
lingua, in modo da ottenere effetti analoghi sul target del Paese cui è destinata la
traduzione, utilizzando gli stessi mezzi dell’originale o adottandone di nuovi qualora
la prima via sia impraticabile. Il professionista deve rielaborare il materiale di cui
dispone per produrre una combinazione originale.
Rispetto al copywriter, il traduttore ha in più il vincolo di un testo già
confezionato, composto da elementi predefiniti dei quali alcuni immodificabili e altri
da adattare nella lingua di arrivo. Tra il traduttore e il testo da tradurre si crea così un
rapporto basato, secondo Andrew Chesterman,45 su una serie di norme derivanti da
alti principi morali che non dovrebbero mai essere traditi. Si tratta di principi, noti
come universali traduttivi, quali: chiarezza, verità, comprensione e fiducia,
universalmente validi in ambito traduttivo e di somma importanza.
Di conseguenza, queste norme sono valide anche per i traduttori che si
occupano di comunicazione pubblicitaria, sebbene sia opportuno notare come esse
debbano essere reinterpretate a seconda dello specifico ambito traduttivo; la lealtà
che il traduttore letterario e specializzato dimostra nei confronti del source text è
diversa da quella che l’adattatore pubblicitario è tenuto a dimostrare.
E. Nida (1914- 2011) è stato un linguista e traduttore statunitense, ha sviluppato la teoria
delle equivalenze dinamiche nella traduzione della Bibbia, è considerato uno dei fondatori della
moderna Scienza della Traduzione.
45
A. Chesterman (London 1946) professore di Comunicazione Multilingue presso l’Università
di Helsinki fino al 2010, membro di Executive Board of the European Society for Translation Studies
dal 1998 al 2004 e membro di Scientific Advisory Board of the Center of Translation Studies dal 2007
al 2010.
44
42
Il traduttore letterario deve mantenersi il più fedele possibile allo stile
dell’autore del testo originale in quanto è proprio lo stile che costituisce l’identità
unica e irripetibile dell’opera e di chi l’ha scritta; il traduttore specializzato, deve
innanzitutto essere fedele alle informazioni contenute, veicolandole con la maggiore
accuratezza e chiarezza possibili; il traduttore pubblicitario, invece, deve mantenersi
fedele innanzitutto alla funzione del testo, anche a costo di una totale riscrittura dello
stesso.
Dunque la qualità traduttiva in ambito pubblicitario va letta in termini di
fedeltà alla specifica funzione del messaggio che il committente persegue e sulla
quale informa dettagliatamente il traduttore che dovrà affrontare tale lavoro.
3.4. Competenze del traduttore
La competenza traduttiva, ossia generalmente tutto quello che il traduttore ha
bisogno di sapere e/o apprendere per svolgere la sua professione è un concetto
fondamentale della traduzione che è diventato uno specifico oggetto di studio a
partire dagli anni Novanta.46 Si tratta di tutte quelle abilità utili per lo svolgimento
ottimale di tale professione che, per essere svolta adeguatamente, necessita
l’acquisizione di competenze specifiche e relative all’ambito in cui opera. Le
competenze traduttive, rilevanti per tutti i profili professionali della traduzione sono:
la competenza comunicativa in almeno due lingue/culture, la competenza produttiva,
la competenza disciplinare, la competenza teorica e metodologica e infine la
competenza professionale.
Ira Torresi sostiene che, oltre alle ovvie competenze linguistico-culturali,
l’adattatore dovrebbe essere in grado di individuare quelle strategie traduttive che
permettano di mantenere le funzioni del source text anche nel target text; la capacità
di utilizzare uno stile evocativo ed emozionale, proprio della lingua della pubblicità;
dovrebbe possedere capacità creative, in quanto il linguaggio pubblicitario si
contraddistingue per la deviazione della norma rispetto alla lingua comune,
46
F. Scarpa, La traduzione specializzata. Un approccio didattico professionale, Hoepli,
Milano, 2008, 2° edizione, pp. 249-254.
43
conoscere le
norme che esistono in ambito pubblicitario e che ne regolano la
comunicazione a livello internazionale e nei singoli mercati nazionali; infine un’
altra dote importante è quella della flessibilità che il traduttore pubblicitario deve
possedere nei rapporti con l’agenzia, il committente e tutti gli altri soggetti coinvolti
nel processo della traduzione.47
Uno degli strumenti più importanti alla base di una buona campagna
pubblicitaria è senza dubbio il brief: un documento prodotto dal committente in cui
sono descritte le caratteristiche che la stessa campagna pubblicitaria deve possedere.
Un brief dettagliato generalmente contiene: lo scopo della campagna; il target
a cui la campagna pubblicitaria è destinata ed è generalmente descritto in termini di
età, area geografica, posizione sociale, abitudini di consumo; il canale di
distribuzione attraverso il quale il prodotto è commercializzato; il prodotto o servizio
a cui la campagna è dedicata; l’azienda committente di cui si descrivono le
caratteristiche anche in termini di immagine e di percezione del brand da parte del
target di riferimento; i mezzi di comunicazione attraverso i quali la campagna
pubblicitaria è diffusa per raggiungere il pubblico.
Tutte queste informazioni contenute nel brief sono di vitale importanza al fine
di creare un messaggio che soddisfi le aspettative del committente e raggiunga
l’obiettivo che questi si è prefissato. È vero che il traduttore ha il compito di adattare
una campagna già creata, ma nei casi in cui si presentino difficoltà di adattamento il
brief si rivela una fonte preziosissima da cui acquisire informazioni. Si pensi ad
esempio a quanto possiamo rilevare dall’analisi della target audience: se il target
privilegiato è composto da bambini si potrà ricorrere al baby talk mentre nel caso ci
si rivolga a un pubblico di donne si potranno utilizzare tutte quelle forme
grammaticali e lessicali generalmente associate al sesso femminile. Altrettanto
importante è la possibilità di conoscere il mezzo attraverso il quale il messaggio sarà
diffuso: se la radio permette di sfruttare la forza evocatrice della parola, la
cartellonistica stradale impone concisione e frasi d’effetto, mentre il Web permette di
sfruttare l’interattività per un approccio più diretto con il consumatore.
È evidente come, più di ogni altro, il brief è uno strumento di grande
importanza che consente al traduttore pubblicitario di individuare tempestivamente
47
I. Torresi, Translating promotional and advertising texts, St. Jerome Publishing, Manchester,
2010, p. 75.
44
gli elementi fondamentali che la campagna non può non contenere. A tal fine, inoltre,
tutti i traduttori professionisti ormai lavorano in un ambiente digitale che prevede un
qualche tipo di piattaforma informatica per rispondere alle esigenze di un mercato
che impone di tradurre grandi quantità di testi in molteplici formati, il più
velocemente e al minor costo possibile e di produrre al tempo stesso traduzioni di
alta qualità.
In un mercato dove bisogna sempre essere pronti ad adattarsi a nuove richieste
e ad imparare a padroneggiare i nuovi strumenti che vengono creati per soddisfarle,
le nuove tecnologie sono ormai diventate strumenti indispensabili al traduttore e
sono destinate a diventarlo sempre di più negli anni a venire. 48 Poi attraverso gli
strumenti linguistici ed extralinguistici a sua disposizione e soprattutto per mezzo
della propria competenza traduttiva, sarà in grado di produrre un testo che si adegui
alle necessità del committente e del pubblico a cui la campagna è indirizzata.
48
F. Scarpa, OP. CIT., pp. 298-300.
45
CAPITOLO IV
CASE HISTORY
Dopo aver esposto e compreso teoricamente le diverse strategie di approccio
alla comunicazione propagandistica ed aver esaminato il mondo della traduzione
pubblicitaria, le sue principali caratteristiche e le difficoltà traduttive, analizziamo
ora le strategie attuate dai diversi brand, con alcuni esempi concreti, esemplificando
così quanto detto finora.
Nella prima parte sono forniti esempi di campagne pubblicitarie internazionali
che prediligono gli strumenti della standardizzazione e casi in cui invece una mera
traduzione è stata alla base di clamorosi fraintendimenti. Nella seconda parte, invece,
sono analizzati esempi di messaggi pubblicitari che sono stati adattati alle necessità
comunicative dei consumatori locali. Infine si propongono esempi di campagne
pubblicitarie che hanno saputo operare una commistione tra le due strategie
sopracitate.
CAMPAGNE PRODUCT-ORIENTED
RAYBAN
Il primo esempio di pubblicità standardizzata è quello dello storico brand
americano RayBan, leader globale nel mercato degli occhiali di alta gamma e di gran
lunga il marchio di occhiali più venduto al mondo.
Riportiamo in analisi l’ultima campagna di comunicazione Never Hide,
realizzata per la collezione primavera-estate 2011 (Figure 6-7-8), nata da una
collaborazione tra l’azienda Luxottica Group
49
e i suoi consumatori, grazie
Luxottica Group, proprietaria del marchio RayBan è un'azienda italiana che produce e
commercializza occhiali. È la più grande produttrice mondiale di lenti e montature. Luxottica risulta
anche la prima azienda italiana nel campo della moda per fatturato e ottava nella classifica dei brand
in Italia.
49
47
all’attivazione di una piattaforma web sulla quale caricare le proprie foto e video.
Cosicché il ruolo del consumatore evolve da semplice osservatore a protagonista
della campagna pubblicitaria. I volti di ragazzi in tutto il mondo sono stati
incorniciati da un frame bianco con la scritta Never Hide, il cui concetto richiama un
messaggio chiaro: avere il coraggio di essere se stessi, di esprimere con genuinità il
proprio pensiero e la propria personalità.
Figura 6: Inghilterra. Campagna pubblicitaria Never Hide 2011
48
Figura 7: Spagna. Campagna pubblicitaria Never Hide 2011
Figura 8: Italia. Campagna pubblicitaria Never Hide 2011
49
Si può chiaramente osservare che il linguaggio utilizzato per rivolgersi al
target è immediato ed emozionale, il claim è l’unico elemento verbale presente nella
campagna a conferma della tesi di Tullio De Mauro, secondo il quale nel messaggio
pubblicitario la dimensione linguistica è sempre più subalterna a quella figurativa.
La voglia di mantenere un brand dall’immagine globale ha portato la RayBan a
diffondere un messaggio a livello internazionale, senza operare però alcun tipo di
adattamento nei mercati in cui è stata diffusa, dunque rappresenta un perfetto
esempio di pubblicità product-oriented.
.
LEVI’S
Anche la seconda campagna scelta presenta un’unica strategia globalizzata, si
parla di una delle più note aziende americane di abbigliamento Levi Strauss & Co.
(Figura 9).
Ancora oggi, nonostante i suoi numerosi concorrenti, rappresenta un marchio
di eccellenza grazie alla qualità dei prodotti, alla capacità di anticipare le tendenze e
ad una comunicazione aziendale sempre efficace.
La foto qui riportata fa parte di una campagna a stampa globale, la quale si
serve di un visual decisamente efficace ed immediato: un giovane a torso nudo che
indossa un paio di jeans Levi’s. Nella sua strategia di standardizzazione, la Levi’s fa
uso unicamente di elementi paralinguistici, mirati a mettere in risalto le qualità dei
suoi jeans associati ad un’immagine di virilità tutta americana. 50 Attraverso la
creazione di questi spot consistenti unicamente di musica e immagini, senza alcun
tipo di riferimento linguistico l’azienda, non solo è riuscita a superare il problema del
plurilinguismo in Europa ma ha inoltre diffuso un prodotto che per la sua stessa
natura viene percepito pressoché allo stesso modo in quasi tutti i mercati.
50
P. A. Herbig, OP. CIT., p.62.
50
Figura 9: Campagna pubblicitaria Levi Strauss & Co 1984
Tale processo permette all’azienda di mantenere un’immagine coerente a
livello mondiale, a conferma del fatto che le aziende di lunga storia preferiscono
sempre più una comunicazione pubblicitaria product- oriented.
MAX MARA
Ci offre un ulteriore esempio di comunicazione pubblicitaria standardizzata la
campagna pubblicitaria dell’azienda italiana Max Mara (Figura 10), uno dei
principali marchi internazionali del lusso. La campagna oggetto d’analisi è quella
diffusa per la collezione autunno-inverno 2014/2015.
Max Mara, come altri famosi brand internazionali (Tiffany, Gucci, Chanel,
Moschino, ecc.) predilige campagne a stampa in cui l’immagine e il brand name
hanno un ruolo di primo piano relegando in un angolo il claim che molto spesso è
addirittura assente, assorbito dalla forza evocatrice e comunicativa dell’immagine.
Nella campagna il claim recita: Timeless is now, anche in questo caso la lingua
scelta è l’inglese per una campagna di diffusione internazionale indirizzata ad un
target elitario. Anche il visual risulta importante nella determinazione del
51
destinatario del messaggio: la modella, nonché celebre attrice Amy Adams
rappresenta una bellezza semplice e raffinata che, allo stesso tempo rispecchi le
caratteristiche fisiche di ogni potenziale consumatore a cui la campagna si rivolge.
Figura 10: campagna pubblicitaria Max Mara 2014/15
Max Mara è uno dei brand che Herbig cita per esemplificare la categoria
dettaglianti elitari globali nel suo tentativo di identificare le categorie merceologiche
che meglio si adattano alla comunicazione standardizzata.
52
ILLY
Vi sono poi quei messaggi pubblicitari che, nonostante il ricorso alla
standardizzazione, traducono alcuni degli elementi verbali che compongono il
messaggio stesso. Si è visto come sia una scelta azzeccata per assicurarsi una corretta
comprensione del contenuto che si vuole veicolare, in quanto la comprensione della
lingua inglese è spesso sopravvalutata.
Prendiamo il caso del marchio Illy (Figure 11, 12), famoso a livello
internazionale per la produzione di caffè di alta qualità, anch’essa rappresenta un
esempio di strategia product oriented, in cui si pone l’attenzione sul prodotto da
commercializzare, tanto che la comunicazione rimane invariata, sebbene sia rivolto a
mercati appartenenti a diverse realtà nazionali. Come possiamo notare nelle
immagini sotto riportate, il sito web della suddetta campagna si presenta in tutte le
sue traduzioni con la stessa struttura, le stesse promozioni e le medesime immagini
pubblicitarie.
In questo caso, dunque, le traduzioni rappresentano una semplice trasposizione
linguistica dei contenuti del sito, senza alcun ricorso ad adattamenti di tipo culturale
o sociale. Benché presente in numerosi mercati diversi tra loro, il messaggio è
pressoché identico dal punto di vista linguistico e grafico.
Sicuramente la campagna è stata originariamente creata in lingua inglese,
subendo poi dei minimi adattamenti linguistici prima di essere esportata nei paesi
non anglofoni per assicurare la corretta comprensione del messaggio.
53
Figura 11: Versione francese del sito internet Illy
Figura 12: Versione spagnola del sito internet Illy
54
In realtà, nella storia della comunicazione pubblicitaria, si possono rintracciare
numerosi esempi che dimostrano come la traduzione, alle volte, sia stata alla base di
clamorosi fraintendimenti. Ci si riferisce, ovviamente, ai casi in cui la traduzione
della campagna è stata affidata a professionisti poco competenti che, ricorrendo a
una traduzione letterale di claim e payoff hanno concorso al fallimento di campagne
milionarie. Di seguito si propongono tre esempi che sono entrati nella storia per la
notorietà delle aziende e per il negativo ritorno di immagine che la campagna
pubblicitaria ha procurato.
EXPO
Il primo di cui si parla è un errore che ha fatto il giro del web, scatenando
l’indignazione di numerosi insegnanti di lingua, traduttori, interpreti, nonché di tutti
coloro che conoscono un minimo la lingua inglese. Difatti non c’ bisogno di essere
madrelingua per riconoscere il madornale errore di traduzione, firmato Expo 2015 a
Milano (Figura 13).
Sui totem situati alle uscite della metropolitana che invitano ad acquistare il
biglietto d'ingresso per l'Esposizione, accanto al messaggio in italiano "Acquistate il
vostro biglietto" campeggia un imbarazzante But your ticket (tradotto: ma il tuo
ticket) al posto del corretto Buy your ticket. Un errore che per un evento "universale"
non è sembrato essere esattamente di buon auspicio. Le ironie in rete, dove lo scatto
è diventato virale, hanno portato fortunatamente alla correzione del manifesto,
mentre Expo precisa di non essere responsabile della sua realizzazione. I totem,
infatti, sono stati allestiti dalla fiera dell'edilizia Made in Expo, che rientra nel
"circuito" di eventi legati all'esposizione.51
51
http://www.liberoquotidiano.it, (consultato il 5 luglio 2015).
55
Figura 13: Expo 2015, il totem della Fiera bocciato in inglese
PARKER
Quando la nota azienda statunitense, Parker Pen (Figura 14), famosa
produttrice di penne, ha deciso di pubblicizzare un nuovo tipo di penna a sfera in
Messico, si è imbattuta in un clamoroso errore di traduzione dello slogan
pubblicitario. La campagna in esame, nonché la più famosa, è quella il cui claim
recita: It won't leak in your pocket and embarrass you (in italiano Non gocciolerà
nella tua tasca e causerà imbarazzo).
56
Figura 14: Parker Pen, mancata verifica di compatibilità della traduzione.
Il claim tradotto in spagnolo recita: No te embarazará chorreándose en tu
bolsillo. Il verbo inglese to embarass (“mettere in imbarazzo”), è erroneamente
tradotto con lo spagnolo embarazar (“mettere incinta”). Inutile dire che il risultato
della campagna è stato disastroso e che Parker è stata costretta a ritirare in tutta fretta
tutte le apparizioni della pubblicità su quotidiani, settimanali e manifesti.52
BRANIFF AIRLINES
La campagna della compagnia aerea americana Braniff Airlines (Figura 15) ci
offre l’ultimo esempio, anch’esso molto celebre come i due precedenti. Nel 1987 la
compagnia lancia una massiccia campagna pubblicitaria su tv, radio e quotidiani
locali illustrando le comodità dei propri aerei che avevano sedili in cuoio; lo slogan
recita: Fly in leather (tradotto Vola nel cuoio) molto apprezzato dal pubblico.
Quando la stessa è stata proposta nella versione in lingua spagnola, la traduzione è
stata Vuela en cuero (Viaggia nudo) in quanto en cuero significa piuttosto senza
vestiti, nudo. Viaggia nudo non è sembrato uno slogan molto efficace ai passeggeri
di madrelingua spagnola, tanto che la compagnia ha dovuto sospendere in tutta fretta
la campagna.
www.traduzione-localizzazione.com/servizi-webmarketing/cattive-traduzioni, (consultato il
5 luglio 2015).
52
57
Figura 16: American Airlines, mancata verifica di compatibilità e adattamento
In tutti e tre gli esempi analizzati, a causa della mancata verifica di
compatibilità della traduzione sul mercato di destinazione, la campagna pubblicitaria
è risultata inefficace e addirittura controproducente.53
MARKED-ORIENTED
Si passa ora all’analisi di esempi pratici della strategia dell’adattamento che,
come si è visto, consiste nell’adeguare la comunicazione pubblicitaria alle necessità
comunicative e ai vincoli culturali di un certo pubblico nazionale. Attraverso questi
esempi si avrà modo di osservare la messa in atto della strategia dell’adattamento in
ambito pubblicitario e, più nello specifico, di come questi marchi hanno affrontato la
scelta di comunicare con il mercato internazionale e con quello italiano.
www.traduzione-localizzazione.com/servizi-webmarketing/cattive-traduzioni, (consultato il
5 luglio 2015).
53
58
SCHICK
È un marchio di rasoi di sicurezza, la cui azienda è stata fondata nel 1926.
Sebbene sia secondo nelle vendite a livello globale rispetto a Gillette, Schick è il
marchio di rasoi più venduto in Giappone. Proprio da qui ricaviamo un perfetto
esempio di strategia di adattamento. In Giappone, infatti, la Gillette ha una quota di
mercato del 10% (nel mondo è del 65-70%) mentre la Schick ha una quota del 62%.
Quest’ultima mette in risalto le proprie strategie di marketing “alla
giapponese” (adattamento) mentre la Gillette pone l’accento sulle proprie radici
americane (standardizzazione), utilizzando le stesse confezioni che utilizza negli
Stati Uniti e inoltre, lo stesso spot pubblicitario. La Schick, dal canto suo, in dieci
anni non ha mai utilizzato uno straniero nei propri messaggi propagandistici: lo spot
delle lamette Tracer mostra un giovane attore giapponese che si rade e poi porta il
proprio cane a spasso in spiaggia. Il prodotto inoltre è stato battezzato FX, che
secondo la Schick è più facile da pronunciare per i giapponesi.54
PHILADELFIA
Il secondo esempio di campagna adattata in analisi è quello dell’azienda
alimentare americana Kraft Foods Inc., la seconda più grande al mondo dopo la
Nestlé. In particolare ci si sofferma al 2011, anno in cui è stato lanciato un nuovo
prodotto, nato dall’incontro del famoso formaggio spalmabile Philadelphia, marca
propria della Kraft Foods, con il cioccolato Milka, altro storico marchio della
multinazionale statunitense (Figura 16).
Il prodotto è stato presentato come unione di Philadelphia e Milka in Italia,
Germania, Spagna e altri mercati europei, mentre nel Regno Unito si è utilizzata
un’altra marca di cioccolato: Cadbury, poiché nel mercato britannico, quest’ultima
gode di maggior popolarità.
54
P. A. Herbig, OP. CIT., p. 34.
59
Analizziamo dunque le campagne diffuse in Italia e nel Regno Unito,
delineandone le caratteristiche di strategia marked-oriented.
Il titolo della campagna lancio per il Regno Unito è Choccy Philly? Don’t be
Silly, uno slogan che sembra banale ma offre invece diversi spunti di riflessione. Si
tratta innanzitutto di un linguaggio informale: choccy è un termine colloquiale che si
utilizza al posto di chocolate, mentre Philly è il diminutivo di Philadelphia. Il
messaggio è diretto e vuole scatenare un senso di stupore nei confronti del nuovo
prodotto nato dallo strano accostamento di cioccolato Cadbury e Philadelphia, che
viene definito come silly, cioè sciocco, senza senso. L’umorismo, lo stile diretto e
verbale sono tutti elementi riconducibili alla cultura anglosassone.
Figura 16: Pubblicità Philadelphia con Cadbury, Regno Unito, 2011
60
Vediamo come la stessa campagna si presenti differentemente in Italia. Il
titolo in questo caso è Esiste davvero? un’espressione meno creativa e piuttosto
semplice rispetto a quella realizzata per il mercato britannico, come si può vedere
dall’esempio.
Il claim che recita Philadelphia con Milka. Esiste davvero? si basa sullo
stesso concetto di stupore e incredulità mostrato nella versione britannica. Nello spot
televisivo si vede uno yeti avvicinarsi a una casa dove dei bambini stanno facendo
merenda con il nuovo Philadelphia con Milka, sono così impegnati a gustare la loro
fetta di pane da non interessarsi minimamente alla creatura alle loro spalle (Figura
17). L’utilizzo della famiglia e di persone comuni, non famose, riflettono il
collettivismo delle cultura italiana.
Figura 18: Pubblicità Philadelphia con Milka, Italia
Dunque, se l’effetto di stupore è un punto di comunanza tra le due campagne,
un punto di divergenza rilevante è il target cui la campagna si riferisce. Per il
mercato britannico non è evidente un target specifico: non ci sono immagini di
persone nella pubblicità a stampa, il linguaggio è informale ma non marcato. Al
61
contrario la campagna pubblicitaria italiana è immediatamente associata a un target
giovanissimo, di bambini.
L’adattamento culturale è inoltre ben riconoscibile nell’adattamento di
prodotto, strettamente legato alla cultura nazionale: nel mercato italiano è
commercializzata Philadelphia con Milka, in quello britannico Philadelphia con
Cadbury.
THINK GLOBAL, ACT LOCAL
Finora sono stati analizzati numerosi esempi di campagne pubblicitarie che
esemplificano le strategie della standardizzazione e dell’adattamento. Ora si propone
un’analisi della comunicazione pubblicitaria di alcuni marchi che, oltre alle celebri
campagne in lingua inglese hanno saputo adattare il loro format a livello locale.
BARILLA
Barilla (Figura 18), nata nel 1877, rappresenta uno dei principali leader
mondiali nella produzione della pasta infatti, essa oggi è presente in oltre 125 paesi.
Per diventare internazionale l’azienda ha compreso che era necessario adottare un
approccio più strategico, cambiare il modo in cui affrontare i mercati, comprendere
quale fosse la modalità adeguata per entrarvi e inoltre capire quanto adattare i
prodotti ai gusti locali.
Una strategia multinazionale richiede difatti risposte differenziate alle pressioni
di adattamento locale. Tuttavia, in tutti i mercati in cui è presente, l’azienda offre lo
stesso prodotto. Barilla ha infatti preferito esportare la cultura della pasta authentic
italian, implementando, nei paesi in cui è presente, una strategia di valorizzazione
della gastronomia italiana. Grazie alle efficaci politiche promozionali, la pasta
Barilla è riuscita ad affermarsi come prodotto di qualità e “genuinamente italiano”.
La Francia è il Paese europeo in cui il marchio gode della maggiore notorietà e
dell’immagine più elevata sia in termini di qualità percepita, sia di posizionamento di
62
prezzo; in Giappone, Paese caratterizzato da un’elevatissima attenzione alla qualità,
Barilla è leader nel segmento della ristorazione. Il posizionamento è invece
controverso per quanto riguarda gli Stati Uniti: da un lato compete nei supermercati
con la fascia bassa della pasta americana, dall’altro sta conquistando una fetta
sempre maggiore nella fascia premium del mercato. Significative sono inoltre la
leadership a Hong Kong ed il secondo posto sul mercato australiano; affermata la
propria presenza anche in Brasile, nella penisola iberica, in Olanda e in Belgio, i
mercati con le più importanti prospettive di crescita per l’azienda sono ora l’India e
la Cina. Per la realizzazione degli spot, Barilla si affida ad agenzie pubblicitarie
locali, con le quali lavora fianco a fianco. Questo approccio consente da una parte
l’adattamento delle pubblicità alle specificità locali, dall’altro il mantenimento di un
marchio e di un’immagine coerenti a livello sovranazionale. Le pubblicità mandate
in onda risultano dunque differenti di paese in paese, pur avendo degli elementi in
comune. Emblematico di questo approccio glocal è il confronto tra gli spot che
spianarono la strada alla conquista dei mercati europei da parte di Barilla, nella prima
metà degli anni Novanta. La strategia è stata quella di scegliere registi e testimonial
d’eccezione, in grado di condurre la marca nel “paradiso affettivo” dei
consumatori.55
Nonostante le vicende messe in scena siano completamente differenti, l’origine
italiana viene costantemente richiamata sia con gli slogan (anch’essi scelti a livello
locale), sia con elementi secondari.
M. Lombardi, Il dolce tuono. Marca e pubblicità nel terzo millennio, Franco Angeli, Milano,
2000, parte prima.
55
63
Figura 18: Appeal italiano, pasta Barilla
FERRERO
Il processo di internazionalizzazione intrapreso dall’azienda Ferrero, attiva nel
settore dolciario, ha avuto inizio nel 1956, con una politica di marketing volta, in un
primo tempo, all’espansione verso i mercati europei e particolarmente verso i paesi
della regione centro-settentrionale del continente, dove il clima freddo favoriva il
consumo di cioccolata. La filosofia di Ferrero prevede una segmentazione del
marchio: in base al settore produttivo (praline, merendine, creme spalmabili, ecc.),
vengono attuate iniziative di comunicazione autonome commisurate alle esigenze dei
singoli mercati e dei loro consumatori. Un caso esemplare è rappresentato dalla
Supercrema che, in quanto prodotto di punta del gruppo Ferrero, doveva assumere le
caratteristiche di un brand che parlasse una lingua universale. A tal fine, nel 1964, è
stato creato il nome Nutella su una base inglese nut (“nocciola”), completata dal
suffisso diminutivo italiano –ella, che conferisce al termine una coloritura affettiva.56
È interessante, a questo punto, passare in rassegna le tecniche di
glocalizzazione adottate sui mercati esteri per promuovere il marchio Nutella
Il marchionimo Nutella dà origine a una serie di derivati: nel 1999 si inaugura al Motor
Show di Bologna la prima Nutelleria; nel 2003, nasce sul web una comunità virtuale di nutellari
(www.mynutella.it).
56
64
divenuto, al pari della pizza e degli spaghetti, uno degli alimenti più rappresentativi
dell’italianità nel mondo.
L’analisi comparativa di alcune campagne pubblicitarie diffuse dai siti
internazionali Ferrero (Ferrero Francia, Ferrero Germania, Ferrero Australia) rivela
una sensibile variazione nelle modalità di campagna pubblicitaria, a seconda del
posizionamento del prodotto nell’ambito degli specifici paesi di esportazione. Nel
contesto italiano si pone l’accento più che sul suo apporto nutritivo, sui suoi valori
emozionali per insaldare il legame tra il consumatore e il “mondo Nutella”. Il claim
ideato nel 1984 dal creativo Fulvio Nardi Che mondo sarebbe senza Nutella,
sintetizza efficacemente questa strategia comunicativa (Figura 19).
Al contrario, sui mercati stranieri, la campagna pubblicitaria di Nutella, assume
un tono più informativo e la funzione referenziale prevale su quella emotiva. In
Germania, ad esempio, si tende a sottolineare il valore nutritivo del prodotto che
viene presentato come un alimento indispensabile per affrontare una giornata
operosa. Non a caso, nel sito www.nutella.it sono ritratti campioni della nazionale di
calcio che, prima degli allenamenti, fanno una ricca colazione a base di Nutella.
Anche nella campagna pubblicitaria francese si tende a mettere in evidenza, come
benefit principale del prodotto, il suo valore nutritivo: appare emblematico il titolo
della campagna televisiva Une vie d’energie.57
57
M. R. Capozzi, OP. CIT., pp. 126-128.
65
Figura 19: Campagna pubblicitaria Nutella (Ferrero)
MARS INC.
Un ulteriore e recente esempio di strategia glocale è quella commissionata per
lo snack Mars della Incorporated e Masterfoods Corporation, marchio alimentare
che opera a livello globale esportando verso i mercati di oltre cento paesi in cinque
continenti. La campagna è stata diffusa a Napoli nei giorni precedenti la festa
dell’Epifania nel 2004/2005 (Figure 21-22).
Gli elementi di glocalizzazione sono rappresentati innanzitutto dal mezzo
scelto, il manifesto, la cui fondamentale prerogativa è quella di essere capillarmente
presente e facilmente fruibile a livello locale. A ciò si aggiunge la scelta
dell’occasione comunicativa: la “Befana”, una festa tradizionale italiana, amata
nell’Italia meridionale e a Napoli in special modo. Per catturare immediatamente
l’attenzione e mantenere una forte relazione emotiva tra il marchio e il pubblico, il
testo del messaggio è formulato in dialetto napoletano, conseguendo così un “effettosorpresa”, visto che il pubblico è abituato a vedere Mars come un prodotto del
“mercato globale”, reclamizzato in inglese o, al limite, in italiano. I temi del
messaggio si adeguano alle scelte del codice facendosi giocose e confidenziali; i testi
66
sono costruiti come rielaborazioni scherzose, di proverbi e modi di dire che
appartengono alla saggezza popolare napoletana
Figura 20: Campagna pubblicitaria glocalizzata Mars 2004/2005
Figura 21: Campagna pubblicitaria glocalizzata Mars 2004/2005
67
Attraverso modalità comunicative appropriate, dunque, con una campagna di
questo tipo, un marchio straniero e internazionale si presenta ad una comunità locale
come elemento nuovo che non intende deridere, né usurpare il ruolo della tradizione,
ma che al contrario, si propone come arricchimento e prosecuzione di essa.58
58
M. R. Capozzi, OP. CIT., p. 122.
68
CONCLUSIONI
«Le aziende sono come le persone: diverse per carattere, attitudini, fortuna,
stile. Ciascuna esprime se stessa attraverso le cose che produce: è un discorso fatto
di merci. Ma ciascuna esprime se stessa anche scegliendo uno specifico modo di
discorrere. Questo modo, anzi, modi di discorrere sono in parte pubblicità. »
(Testa, 2000)
Il presente elaborato è stato un percorso nell’affascinante e complesso mondo
della pubblicità del quale si sono analizzati numerosi aspetti interessanti e degni di
approfondimento: dalla creatività e persuasività del suo linguaggio, alla sua
evoluzione storico-sociale, all’influenza culturale con la quale deve necessariamente
scontrarsi sino alla sua fondamentale importanza in questa nuova era globalizzata.
La pubblicità risulta quindi il mezzo più efficace per coinvolgere un pubblico
sempre più ampio e internazionale.
A tal proposito, risulta evidente che per penetrare in maniera efficace un
mercato straniero, la decisione di tradurre/adattare o meno un messaggio
pubblicitario diventa strategico da un punto di vista di marketing.
Se per molti decenni quello delle campagne pubblicitarie internazionali è stato
un settore trascurato dai linguisti, oggi è invece oggetto di sempre maggiore
interesse.
La traduzione sta acquisendo una posizione primaria nell’ambito delle strategie
di marketing internazionale e viene quindi considerato uno strumento di lavoro
necessario per una vincente comunicazione tra diverse culture.
Di fatto, non considerare il contesto socio-culturale può creare spiacevoli
malintesi, scarsa comprensibilità e, perfino, un fallimento della commercializzazione
all’estero. Consapevoli di tali possibili problematiche, il ricorso alla localizzazione,
rispetto alla standardizzazione (seppur sia sempre acclamata) sta progressivamente
guadagnando terreno.
69
Il traduttore in questo ambito è, pertanto, una figura professionale che non deve
essere sottovalutata. La sua importanza è rilevante giacché da lui dipende la riuscita
della campagna. Egli deve essere in grado di emozionare il pubblico trovando
soluzioni che funzionino nella lingua di arrivo e non tradurre alla lettera il messaggio
originale: la traduzione fedele non esiste, i testi pubblicitari non devono essere
tradotti, devono essere scritti. La pubblicità non è fatta di parole ma di cultura.
70
SEZIONE LINGUA II
71
INTRODUCTION
«Advertisement is the flower of contemporary life; it is an assertion of optimism and
cheerfulness; it entertains the eye and the spirit. It is the most cordial manifestation
of the vitality of today's men, of their power, puerility, gift of invention and
imagination; it is the most beautiful success of their will to modernize the world in
all its aspects and fields […] »
(Maximilien 1959)
Communication has become an increasing priority and necessity in the
contemporary globalized world: information and its transmission are at the base of
all societies, as well as today’s modern economy.
Consistently with the course of my studies, the present work is the final step of
a comparative analysis between translation and an aspect of global communication:
advertising. In these pages, I will try to find a point of union between the elements
mentioned above and today’s society, in order to show their inextricable connection
and interrelationship. Communication is a complex system and it has several factors
determining its success or failure; language manuals (Austin, 1974; Chomsky, 1989;
Grice, 1975; Jakobson, 1966; Saussure, 1916; Halliday, 1973; Searle, 1973) are full
of theories and models for proper effective communication. They declare that, in any
communicative act, the context, made of rules and specific conventions, is a critical
component in deciphering the meaning of exchanged messages.
As long as a message is transmitted in a society that knows and agrees with
these rules, there should be no problems for a correct and comprehensive
understanding. However, when that same message has to be conveyed in a different
society, everything becomes complicated because each nation has built its own rules
and social manners.
It is customary to believe that simply translating from one language to another
is sufficient to understand intercultural communication; in reality, what happens is
simply an exchange between linguistic codes, what is commonly called inter-
73
linguistic translation. This type of translation is not enough to ensure effective
communication and success.
In fact, companies that communicate with consumers from different cultures
should not only be able to transmit information, but they should also be able to talk
about themselves, convey more profound and subtle values about their brand and the
world which revolves around them. Apple does not just sell electronic items, but true
innovations (Think Different); Nokia does not just promote itself as a telephone
company, but as one that can unite people (Connecting People); Benetton does not
sell only clothes, but a different way of conceiving coexistence among people
(United Colors of Benetton).
It is well understood that the advertisements that are required to create the
company have to be extremely sophisticated and refined, as well as consistent and
specific to each culture.
The aim of this dissertation is to study and to delve into the communication
strategies of various multinationals and their approach to markets abroad, identifying
the role of translation as part of their international advertising campaigns and
demonstrating the impossibility of translating the same message into other languages
without taking into account the country, the culture and the consumer society.
In more detail, this dissertation consists of four chapters of which the first three
constitute the theoretical system to analyse the examples discussed in the final one.
Chapter one is a general introduction with the aim of underlining the
boundaries within which this study moves and analysing the definition, structure and
sociological aspects of this phenomenon.
Chapter two is the core of the work, it describes the evolution of advertising in
the global era, taking into account the important strategies adopted by international
companies that are: standardization, adaptation and localization.
Chapter three explores the world of advertising translation, its main features,
the translation difficulties and the strategies adopted in different countries, focusing
on the difference between mere translation and adaptation. It analyses the profession
of advertising translators-adapters and the linguistic and cultural skills and tools that
they should have to properly perform their job.
74
Finally, the last chapter delineates case histories in order to exemplify the
approach to advertising at international level and the strategies adopted by each
company to better meet the needs of the market.
75
CHAPTER I
COMMUNICATION IN ADVERTISING
1.1. Advertising: definition and analysis of the phenomenon
"Advertising in our world now exceeds art and fashion not only for its
development and its number of channels and the media, but also for its rapid
expansion. […] advertising has become more mobile, more capricious and more
able to follow the subtle nuances of the collective mood, continuously influenced by
waves of a constant and seemingly unstoppable change. If an artistic movement can
last a few years and a fashion season lasts for one season only, the life of a
commercial, a campaign of billboards or newspaper ads is measured in weeks, if not
days. These are very intense weeks in which the same message is hammered
thousands of times on television broadcasts, stands all over the walls of the cities,
can be heard on the radio and fills the pages of newspapers. It can’t be missed.
(Ugo Volli, 2003)59
The advertising phenomenon has long been at the center of studies of
numerous disciplines: from rhetoric to semiotics, history, economics, psychology and
anthropology.
It is a complex concept and for that reason, it is difficult to establish a specific
function. The term “advertise” is the verb form of the English word “advertising”. It
has its origin in a classical Latin word “advertere”, made of “ad” and “vertere” where
ad means “to or toward”, and vertere means, “to turn”. Thus, the word together
means “to turn (one's attention) to or towards (something)”. The English word
“advertise” is also linked to the Old French word “advertir”, which means “to (take)
notice (of something).”60
59
60
N.d.T.
www.etymonline.com.
77
Today, the Encyclopaedia Britannica defines advertising as “The techniques
and practices used to bring products, services, opinions, or causes to public notice
for persuading the public to respond in a certain way toward what is advertised”.61
However, in recent decades, the term has acquired very different roles,
depending on the target to which the advertising is addressed and what function it is
assigned.
Very often, we think of advertising as a commercial announcement and
actually most of the advertising investments are intended precisely for such purposes
but, in reality, it could have other purposes. Firstly, it is possible to distinguish
between commercial advertising, used to generate revenue, and non-commercial or
social advertising, promoted by governments to touch on important issues (such as
drug abuse and alcohol) and educate consumers.
Therefore, the concept of advertising seems very simple but it is rather
complex. Praised and scorned, justified and accused over the years, advertising, like
it or not, is now an integral part of our lives. We can find it on television, on the
radio, in newspapers, on the web, at the cinema, on buses and on billboards in the
streets. Every day in our world, we are inundated with advertising messages.
It may not be the true art of our time, but certainly advertising is one of the
main engines of the economy and has a great power that affects all means of mass
communication. […] Advertising is therefore the tank from which we draw our way
of looking at things, to discover beauty, to have fun"62.
Advertising has evolved, it has adapted to the needs of our time, it has been
modeled with respect to the means by which it has been conveyed, it has been at the
forefront of a culture, of ways of living and of conceiving things. It has become so
much more than a photograph in a newspaper or a video on television. It has been
elevated to a privileged instrument of communication, not only commercial but also
political and social.
Thanks to several studies by distinguished scholars and linguists, it is possible
to understand that advertising has become the most persuasive of all communication
61
62
www.britannica.com.
U. Volli, La semiotica della pubblicità, GLF Editori La Terza, Roma, 2003, introduction. N.d.T.
78
tools. It is based mainly on language and images; for this reason, it is used mainly in
the markets for consumer goods.
This is why decisions about advertising have become influenced mainly by
cultural differences in various countries. Consumers respond to advertising stimuli
according to their own culture, their own value system and their own perception.
Given that the function of advertising is to communicate the ability of a product to
the consumer and to satisfy their need or desire, to be effective its features must
necessarily coincide with the cultural context to which the consumers themselves
belong.
Culture primarily affects the effectiveness of the style of communication used.
For instance, it was noted that in countries such as Canada and Sweden, in which the
majority of consumers have a high level of education, communication mainly adopts
an information style (advertisements abound with technical content). In contrast, in
countries like Turkey, where much of the population has a very low level of
education, persuasion and slogans play a central role. Furthermore, in Western
Europe, alcohol advertising has been banned in Austria, Denmark, Finland, France,
Norway and Switzerland; it is subject to legal restrictions in Ireland, Italy,
Luxembourg, Portugal and Spain; it is voluntarily limited in Germany and Holland
and is allowed without restrictions in Belgium and Greece.
In addition, the cultural context influences purchasers’ attitudes to advertising.
There are areas, such as France and the countries of Northern Europe, where there is
a real "publiphobia", a rejection of all forms of advertising; this fear is due to the
negative effects that publicity has been able to exercise, for example, excessive
stimulation of needs and therefore the encouragement of consumerism. Where this
phobia is more widespread, governments attempt to subject advertising to the
strictest regimes. This regulation of advertising is one of the major influences that the
environment to which customers belong exercises over the definition of political
advertising. The regulations assume significant differences from country to country,
as regards the use of language and images, misleading and comparative advertising,
the limits on the frequency and quantity of television messages and the advertising of
certain goods and services.
79
1.2. Structure and functions of the advertisement
Once the objectives of the promotion have been defined, the communications
manager must create and develop an effective message. The message should attract
the interest of consumers, capture their attention and stimulate their desire to
purchase. This dynamic model is known as the "AIDA" (Attention, Interest, Desire,
Action) acronym that is considered the basis of advertising messages (Figure 1).
The AIDA concept, created by Elmo Lewis 63 in 1898 while studying the
advertising process at behavioral level, is one of the first models designed to
implement an advertising campaign by analyzing the four stages consumers go
through which could persuade them to buy a particular product:
• Attention: Attracting the consumer's attention
• Interest: Raising the consumer’s interest by focusing on and demonstrating
the benefits and advantages of the product (instead of showing its features, as in
traditional advertising)
•Desire: Convincing the customer that they want the product or the service and
that this will meet their needs
• Action: Making consumers take action and buy the product.
E. St. Elmo Lewis (1872-1948) was a successful advertising pioneer and founder of the AIDA
model. He wrote and spoke prolifically about the opportunities of advertising to inform the
public. Lewis was a well-known phenomenon in the advertising world and he was posthumously
inducted in the Advertising Hall of Fame in 1951.
63
80
Figure 1: AIDA model graphic
The AIDA model continued to be a point of reference and inspired many tests
carried out to control the effectiveness of ads. Today, Lewis’s model is considered
too simple and rather naive, especially when it comes to the last point, action,
because nowadays an advertisement may evoke desire or convince the consumer that
the product is a valid and desirable solution, thus stimulating the propensity to buy,
but it certainly will lead to a direct purchase.
In 1940, a variation of the AIDA model was adopted by advertising agencies.
Rosser Reeves64 of Ted Bates & Company created the USP formula (Unique Selling
Proposition), one of the best suggestions in the world of advertising. This formula
uses the concept of the power of conviction and persuasion of the ad, based on the
sale argument used. It tries to identify a unique feature of the product and connects it
to the minds of customers through the brand name.
The USP formula is based on the national idea of the human personality, which
is induced to search for a concrete benefit when purchasing products. Advertising
must therefore look for a unique message that offers benefits to the consumer and
R. Reeves (1910-1984) was an American advertising executive and pioneer of television
advertising. Ads were focused around what he called the USP, the one reason the product needed to
be bought or was better than its competitors. These often took the form of slogans; Reeves oversaw
the introduction of dozens of slogans, some which still exist to this day, such as M&M's "Melts in
your mouth, not in your hand."
64
81
base it on concrete features. The three peculiarities of this unique message, for those
who follow this model, are:
• It has to contain a promise that is easy to remember.
• The message has to incorporate a unique concept regarding the quality of the
product or a topic according to which they should not use other similar products.
• The message has to be based on a convincing and believable reason.
This formula is still used today, not only in advertising, but in political ads as
well. The advertising language is characterized by an abundance of variations
because it is, or should be, understood by most buyers. There is a definite pattern that
advertising agencies should always keep in mind, a structure consisting of welldefined elements that perform specific functions, such as:
• The headline, the title of the ad. An advertising headline is designed to be the
first copy the potential customer reads. Bold, large font size and various colors are
some of the methods used to make the headline stand out from copy.65
• The visual that is the main image/picture, which consists of a setting, props
and person.66
• The body, the advertising message, which is often divided into various
sections under subheads.
• The packshot, namely the image of the product itself.
• The logo, which is the name of the firm/manufacturer.
• The payoff, which is the conclusive sentence that communicates the brand's
identity.
Clearly, each component has a different function. For example, the visual and
the headline are meant to draw readers’ attention, giving them something
unexpected, interesting and pleasing. The body-copy explains and develops what is
65
www.advertising.about.com.
The setting can be either interior or exterior, and in both instances, it can be familiar and real,
nostalgic and/or imaginary, fantastic or exotic. Within the setting, the props can be functional (when
the object is part of the scene); functional and metaphorical (when the object is part of the scene but
also has other meanings); or metaphorical (when the object simply creates a particular association and
suggests further meanings).
66
82
presented in the headline and the visual, in an attempt to be credible and convincing.
The packshot, the logo and the payoff all “put a signature” to the advert and solicit a
response on the part of the potential buyer.67 However, they are all important and
they have to be co-present in every message.
The advertisement, as an act of communication, presents all six elements that
the linguist Roman Jakobson68 has outlined as factors necessary for communication
to occur, namely:
• Sender: the one who sends the message.
• Message: the information that you want to communicate.
• Receiver: the one who receives the message.
• Context: the situation in which the message is delivered.
• Code: a system of signals shared by the sender and receiver that allows them
to encode and decode messages;
• Channel: the instrument that allows the message to move from sender to
receiver. Verbal channels include face-to-face meetings and telephone and
videoconferencing; while written channels include letters, emails, memos and
reports.
Jakobson associated a specific function to each of the components of the
communicative act, a pattern that can be very useful for understanding the
mechanisms of advertising discourse (Figure 2).
His best-known theory - that of the six communicative functions associated
with the dimension of the communication processes - puts forward the division of the
functions of language in:
• The referential function (attention is focused on the context- The Earth is
round).
• The expressive function (attention is focused on the issuer- Yuck!)
M. Canepari, An Introduction to Discourse Analysis and Translation Studies, EDUCatt, Milano, p.
215.
68
R. Jakobson (1896-1982) a Russian linguist and semiologist, considered one of the main initiators of
the school of formalism and structuralism. He was the first to study and elaborate the theory of
linguistic communication.
67
83
• The phatic function (to establish, maintain or break contact with another
person- Hello?).
• The conative function (the focus is on the destination- Come here).
• The poetic function (affects the structure of the communicative act- Smurf).
• The metalingual function (used by the language to reflect on language itselfWhat do you mean by “krill”?).
Advertising can be analyzed by applying this classification to ads because it
covers all the functions of language, which are more or less frequently used.
Each advertisement potentially contains at least all communication factors and
it includes all its functions, as Jakobson declared.
Obviously all six functions can coexist in a single message; in the greater part
of everyday language (as well as in aesthetic messages) they are constantly
interrelating and overlapping, although one of the functions usually predominates,
thereby characterizing the message69.
Figure 2: graphic of Roman Jakobson’s theory
69
U. Eco, A Theory of Semiotics, Indiana University Press, USA, 1976, p. 262.
84
The expressive function of language is certainly one of the most common in
the language of publicity; it applies to the ability that all issuers have to express
themselves, their emotions, their feelings and their identity in the message. In fact,
even though advertising was born with purely informative functions, over time it
began giving more space to the persuasive function of its nature, increasingly
resorting to emotional factors. Therefore, it is not rare to find emotional elements in
ads, rather than informative ones, that persuade us to choose a specific product and
show us role models to follow.
In this regard, we should not forget the hype that surrounded Procter &
Gamble (Figure 3) in 2012 during the London Olympics, which created an exciting
video showing how behind every athlete there is love and an encouraging mother.
Thank you Mom was the name of the initiative carried out by the US company on its
YouTube channel, which showed four mothers in four different cities of the planet
(London, Rio de Janeiro, Los Angeles, Beijing) accompanying their children to
Olympic success. The video was viewed many times online and touched thousands
of people; the amazement, wonder and emotions evoked by this commercial were all
imprinted in our hearts.
Figure 3: Hype of Procter & Gamble 2012
85
We can therefore conclude by arguing that there is no prevalent function in
advertising message, even though it is clear that the only function always present is
the conative one that persuades the consumer to purchase or use a product or a
service. There is no purely phatic communication, or purely referential or poetic
communication.
In order to effectively achieve one of these purposes, the other ones must also
be pursued. The functions of language can then be present simultaneously and
manifest themselves at all levels of communication.
86
CHAPTER II
GLOBAL ADVERTISING
2.1. Advertising in the global era
«Today, after more than a century of electric technology, we have extended our
central nervous system itself in a global embrace, abolishing both space and time as
far as our planet is concerned. »
(Marshall McLuhan, 1964)
After introducing the phenomenon, this dissertation will now move on to the
central theme of the study, namely the transnational approach to advertising in the
global era and the role of the translator in this new reality. Firstly, it will
contextualize the advertising phenomenon in this modern era of globalization, and
then identify the communication strategies that a company has necessarily to put in
place, in order to be competitive in the international market.
With the famous and revolutionary expression “global village”, in 1964
Marshall McLuhan70 fundamentally changed how everyone has thought about media,
technology and communications ever since; he radically changed the way of
understanding the world and international relations. In fact, the twentieth century
was characterized by the internationalization of productive activities and trade,
which led to an inexorable socio-economic evolution. This evolution is known as
globalization, a term coined in 1981 by Theodore Levitt71 to denote a situation in
M. McLuhan (1911-1980) was the first person to popularize the concept of a “global village” and to
consider its social effects. His insights were revolutionary at the time. McLuhan chose the insightful
phrase "global village" to highlight his observation that an electronic nervous system (the media) was
rapidly integrating the Planet, events in one part of the world could be experienced from other parts in
real-time, which is what human experience was like when we lived in small villages. McLuhan's
second best known insight is summarized in the expression "the medium is the message", which
means that the qualities of a medium have as much effect as the information it transmits.
70
T. Levitt (1925-2006), a former professor at the Harvard Business School credited with coining the
term "globalization" and with championing the undervalued role of marketing in defining what
businesses should make and sell.
71
87
which available goods and services, or social and cultural influences, gradually
become similar in all parts of the world72.
Globalization has brought down physical and mental borders between countries
and led to the creation of McLuhan’s oxymoron: a planet the size of a village, which
is considered the home of all nations and people living interdependently73.
McLuhan’s new theory was interpreted and read as a prophecy by
multinationals. They considered it as a great opportunity to go international and sell
their products abroad.
2.2.
Business
communication
strategies:
standardization,
adaptation, globalization
In this new era of globalization, multinationals operating on a global scale have
faced the problem of how to communicate with consumers in different languages,
habits, customs and traditions. Usually a company that operates at more than one of
these levels may use three different types of strategies that are standardization,
adaptation and globalization.
The standardization of international advertising strategies is defined as utilizing
the same, or common, advertising messages on an international basis, since the
worldwide marketplace has become increasingly homogeneous. To standardize
means to offer the same product all over the world through the same distribution
channels, at the same price, using the same promotional methods. The rationale
behind this position is that purchasers in different countries or areas share the same,
or very similar, wants and needs; therefore, they can be persuaded by universal
advertising appeals. Such an international advertising strategy may result in saving
substantial time and media and production costs, because a multinational company
only needs to develop a common advertising campaign across world markets. On the
other hand, a failure might seriously damage the image of the brand globally.
Often, companies prefer to make their brands more familiar by using an
alternative strategy to standardization i.e. adaptation. This international advertising
72
73
dictionary.cambridge.org.
dictionary.reference.com.
88
strategy suggests that each market has to be considered, for the most part, as a
distinctly separate unit and adaptations must be made accordingly due to differences
in culture, economic status, legal conditions, and foreign market media. 74 An
adaptation strategy is particularly important for companies that export their products
because it ensures that the product meets local cultural and regulatory requirements.
As claimed by Simon Anholt75, translating advertising copy is like painting the
tip of an iceberg and hoping the whole thing will turn red: what makes copy work is
not the words themselves, but subtle combination of those words, and most of all the
echoes and repercussion of those words within the mind of the reader. The linguistic
aspect is only the outward and visible message to which cultural elements that are
impossible to overlook must be added in order to avoid errors and sensational
misunderstandings. Of course, there is more to the matter than just culture and style:
advertising is intimately linked to social fabric, laws, advertising conventions,
buying habits, the mentality of a people and, above all, the constantly evolving
political-legal system:
• Italy, France and the United Kingdom have banned the advertising of
cigarettes and tobacco.
• In Germany, military toys are not advertised because they recall the tragic
experience of World War II.
• In Sweden and Austria, children cannot be used in advertising.
• There is a series of taboos regarding the body and clothing in Asian countries:
long hair, baseball caps worn backwards and blue jeans are considered a symbol of
corruption. Women must always be completely covered, including their heads, while
men must not show their “bare-chests” and food must not be touched by the left
hand.
The fundamental importance of all these components ensures that the adaption
practice becomes a necessity rather than a possibility and/or option.
E. E. Pratt, Building export sales-advertising in modern international commerce, Allyn and Bacon,
New York, 1956, p.172.
75
S. Anholt is the founder and Chairman of World Writers Ltd., an advertising consultancy that
provides international creative and strategic services to other advertising agencies as well as directly
to clients such as DuPont, Time-Warner, Sara Lee, Sony Corporation and IBM.
74
89
The company that opts for standardization focuses on the similarities between
consumers while those who choose the path of adaptation pay more attention to the
differences between customers.
However, some multinationals prefer to associate the two above-mentioned
strategies, which gives rise to glocalization. This is the practice of conducting
business according to both local and global considerations (Think Global, Act Local).
For example, the Italian yoghurt Danone (Vitasnella) is known as Taillefine in
France, Finewaist in England, and Vitalinea in Spain.
Another example is that of McDonalds, one of the biggest fast food chains in
the world. Like many other famous companies, it became aware of the
ineffectiveness of a standardized approach and, for this reason, it has adapted its
menus to local tastes.
2.3. The use of language in advertising
The use of foreign languages in advertising has been a widespread
phenomenon for a long time now. The presence of multilingual advertising is one of
the major trends of contemporary advertising; in this context, English becomes a
reference model and it takes a leading role with respect to the individual national
languages. Many companies choose English as the exclusive language of their
campaigns, just to promote a new bilingual and cosmopolitan identity. In globalized
areas, prestigious international brands, which are aimed at consumers of different
geographical contexts, use the same slogan.
Nokia. Connecting People (Nokia)
No Martini, no Party (Martini& Rossi)
Don’t touch my Breil (Breil)
Pupa. Non conventional Beauty (Pupa)
You can. Canon (Canon Inc.)
Sony. Make. Believe (Sony)
90
The weakest point of this approach is the overestimation of the world’s level of
knowledge of the English language. Millions of people all over the world speak
English but their real level of competence is very variable and their level of
understanding is generally poor, which can result in misunderstandings and
misinterpretations.
However, English is not the only language used; we can to find expressions in
Spanish, German and French. The Spanish language is normally used to evoke a
lifestyle of fun and the joy of life, examples are:
Seat. Auto emoción (Seat)
Desigual. La vida es chula (Desigual)
José: Pedro, ¡esto es Estathé!
Pedro: Seguro, ¡es Estathé! (Ferrero)
No hay nada come el Havana (Havana Club)
El ron más bebido en los peores bares de Caracas (Pampero)
Less present in advertising campaigns is German, used mainly as a reminder of
the country of origin and in particular the German automobile industry, like:
Volkswagen. Das Auto (Volkswagen AG.)
Opel. Wir leben Autos (Adam Opel AG.)
The most common is French, which is traditionally associated with charm and
sophistication. The fields of fashion and cosmetics are especially rich in French style
and phrases such as parfum, maquillage, couture:
J’Adore. Le nouveau parfum de Dior (Dior)
91
Non-European languages are extremely rare. In conclusion, it can be argued
that the English language is now everywhere in advertising and will appeal to buyers
worldwide, while the other European languages have functions that evoke the
country in which they are spoken and the stereotypes associated with it.
92
CHAPTER III
ADVERTISING TRANSLATION
3.1. Translating advertisements: a problem of approach.
What is the meaning of international publicity today? Are you sure that the
expression “a cup of coffee” has the same meaning everywhere? To address an
advertising message to consumers of different languages, it is necessary to adapt the
text according to the customs and the socio-cultural context at which it is aimed,
especially in countries where the local culture is still an influential element.
With globalization and the need to export a company's product into another
location, it has become essential for promotional ads to be translated with the aim of
localizing advertising messages, and on occasions, rewriting them.
In fact, the general problem is that, even today, translations of various ads are
submitted to the employees of those agencies who are academic linguists and know
nothing about the art of persuasion or the science of marketing. Only in urgent cases
has it prompted the intervention of a professional translator.
However, in recent years, translation has gained a prominent importance as a
process of communication between different cultures. It is something you do when a
valuable text needs to be made comprehensible for speakers of another language. It is
a process that aims above all at respecting the sanctity of that original text, so poets
translate poetry and novelists translate novels, but when translating, their first duty is
to preserve the integrity of the original author’s words as much as possible. But
advertising, unlike literature, is a primarily functional form as it has a definite
commercial purpose, which is to communicate brand values and sell products. So
attempting to preserve the text that was used to achieve this function in one culture
93
defeats the point of the exercise: the point is to re-enact the functions, not to
reproduce the form76.
The benefits arising from translating an advertising campaign in various
languages are numerous and include the real possibility of increasing profits and
customers, so it is a demand that more competitive companies, sooner or later, have
to face.
Simon Anholt says that a faithful translation does not exist and that the
advertising copy can never and should never be translated: advertising copy can only
be written77.
Take even the most basic of concepts: a cup of coffee. Surely you might think
this can be simply translated from one language to another. A dictionary will confirm
that this expression can be directly translated into its precise equivalent in any
language of the planet, for example “una tazza di caff ” in Italian. What could be
simpler? Nothing, except that it is not the same thing at all: “a cup of coffee”, if you
are British, means a half-pint mug filled with equal quantities of lukewarm
dishwater, instant coffee granules and sugar.
“Una tazza di caff ” is a different thing altogether: a tiny cup with a couple of
spoonfuls of espresso. It is something that Italians seldom say in normal speech and
a more natural translation would be “un caff ” in other words, “a coffee”. This
depends on the culture, words are just the way to say them, and fixing the language
without fixing the culture is a very dangerous game to play - it is merely scratching
the surface of a deep mystery.78
This chapter analyses the role and the skills of the professional advertising
translator.
3.2. The advertising translator-adapter
Globalization has not only led companies to completely rewrite their approach
to communication, but it has also re-written the role of the translator-adapter, a very
S. Anholt, Another one bites the grass. Making sense of international advertising, John Wiley &
Sons, New York, 2000, p. 10
77
S. Anholt, OP.CIT, p. 8.
78
S. Anholt, OP.CIT, p. 7.
76
94
important figure in this context. Firstly, it is necessary to point out that the terms
“adapter” and “translator” are, in this case, synonyms starting from the assumption
that just a simple translation of the message is self-defeating in advertising.
If we understand translation in the above-mentioned broad sense, no translator
can really make it in the professional world by relying on verbal transfer skills alone.
In each specialized field, a number of abilities, that are not necessarily
linguistic in nature, are required or, at the very least, are extremely useful. No
professional translator, therefore, is just a translator and the skills that one acquires in
translation courses are seldom sufficient for survival when working in a highly
diversified, constantly evolving market.
Promotional translation is a broad category and it is impossible to list here all
the non-linguistic abilities it requires. According to Ira Torresi,79some of these skills
are very general and apply to all translation types, such as a familiarity with specific
terminology and concepts concerning the field to which the object of promotion
belongs. Agility is the ability to recognize different embedded functions and purposes
in the source text, and approach them appropriately without losing sight of the
overall function of the text, its coherence and cohesion.
Persuasiveness is the mastery of an emotional or evocative style that helps to
lure the addressee into the desired course of action. When talking about Creativity,
even translation agencies specializing in the localization of advertising campaigns
maintain that to ensure this quality advertising should not be translated by
professional translators but by copywriters and/or creative people who are proficient
in foreign languages (or who, in any case, get to revise/recreate the translations,
whether at the agency or client company).
A fourth quality which is perhaps less vital for freelance translators, but
crucial for agencies and the company’s staff, is the knowledge of relevant laws and
restrictions about advertising and publicly distributed material in the countries where
the translated text will be circulated.
I. Torresi teaches translation and interpreting from English into Italian at the University of Forlì.
She is a researcher at the University of Bologna. She is the author and editor of several publications
on advertising translation.
79
95
Finally, perhaps even more important for promotional texts than in other fields
of translation, is the ability to be flexible in the relationships one has with agencies,
editors and the end client.
3.3. Skills and tools of the translator
After having examined some of the skills that are useful for promotional
translators, we can move on to looking at some of the practical tools that can be
particularly handy for them.
The first and perhaps most important of these tools is the brief, which includes
the following detailed information about:
 the purpose
 the intended readership/audience
 the channel of distribution for which the target text is intended
 the values and brand corporate image that should come out in the
target text
 the product/service/institution/behaviour that is being promoted
 the producer/provider/promoting organization
 when possible, the authors of the source text if they are the end
clients,
and if not, the position of the end clients regarding the text.
The brief is of vital importance to our target text to ensure it keeps its
promotional function. At verbal level, it gives us information, which allows us to
make decisions about lexis, register, and personal and social deixis too (e.g.
feminine/masculine, singular/plural, degrees of social distance and respect)80.
Other fundamental tools, which sometimes contain much of the information
conveyed, are the visual and any other non-verbal elements that accompany the
I. Torresi, Translating promotional and advertising texts, St. Jerome Publishing, Manchester, 2010,
p. 10.
80
96
verbal text. Apart from pictures and photographs, which give translators significant
input about the target group, the nature of a product, and the image attached to it,
there are other elements, such as the typography and layout or the navigation
structure of a website, which offer opportunities and pose restraints in the transcreation process. Another tool that can, and sometimes must, be used in promotional
translation, but never with other types of translation, is the possibility of providing
multiple versions. This is a tool and not just a waste of time and effort, for two very
practical reasons: first, it is the client, not the translator, who takes responsibility for
the final choice, and second, a translation with multiple versions is quite obviously
better paid than a single version (assuming that the offer has been cleared with the
client). It is important that all versions are valid in their own right, i.e., they comply
with the brief and are freestanding, complete, and accurate.
97
CHAPTER IV
CASE HISTORY
After examining the world of advertising translation, its main characteristics
and difficulties, now we shall analyze the strategies actually used by different brands,
with a few concrete examples of product-oriented, marked-oriented and glocalized
campaigns, and a series of examples taken from ads and commercials with serious
translation mistakes.
PRODUCT-ORIENTED
LEVI’S
Levi Strauss & Co. is one of the most important American clothing companies,
even today, despite its many competitors. It is the brand par excellence, thanks to the
quality of its products.
The photo chosen (Figure 4) belongs to a global press campaign, which uses a
very effective and immediate visual: a young shirtless man wearing a pair of Levi's
jeans. In its strategy of standardization, Levi's uses only paralinguistic elements in
order to highlight the quality of the jeans associated with an image of American
manhood. Through the creation of these commercials, which consist only of music
and images without any kind of linguistic reference, the agency not only overcomes
the problem of multilingualism in Europe, but it also publicizes a product, which is
perceived in almost all markets in the same way.
This process permits the company to maintain the same image worldwide, thus
confirming the fact that companies with a long history increasingly prefer brandoriented advertising.
99
Figure 4: Levi’s advertising campaign 1984
EXPO
The first error we will talk about is found on the website. It is not necessary to
be mother tongue to recognize the obvious mistake made recently at the Milan Expo.
At the underground exits there is a notice, which invites you to buy the Expo
entrance tickets, first in Italian then translated in English. Embarrassingly, the
translation “buy your ticket” was.0 translated into “but your ticket”. After many
people saw this notice on the web sites, it has now been changed (Figure 5).
100
Figure 5: Expo totem 2015
PARKER
When an important American company, Parker Pen (Figure 6), marketed a
new type of ballpoint pen in Mexico, the company searched for a literal translation of
the slogan “It will not leak in your pocket and embarrass you”. It decided that the
Spanish translation would have been “No te embarazera chorreandose en tu bolsillo”,
which in Spanish means: “It won’t leak in your pocket and make you pregnant.”
In Spanish, the verb “embarazar” means, “to make pregnant”. In these
cases, there is a clear lack of verification of the translation’s compatibility to a geolinguistic market that is different from the original one.
101
Figure 6: English Parker Pen slogan
MARKET-ORIENTED
TUSCANY
The example of an adapted campaign is that of Estee Lauder’s Tuscany
perfume (Figures 7-8).
Observing the pictures, we can note that the iconography has the same
graphical elements in both the European and the Arab versions. The perfume bottle is
at the bottom of the page, to the right; the woman protagonist of the ad is at the
center of the picture and she moves while speaking; the background actors are
gathered on the right side of the picture. However, the background image was
adapted to the social and cultural environment of the destination country. The
replacement of a typical Mediterranean street scene with a typical Italian family
scene is particularly significant. The purpose of this change is to adapt the semiotic
elements of the original iconography to the imagination of the consumers,
particularly to Arabs, to whom the ad is targeted; this is why in the Arabic version of
the advertisement, there are scenes of everyday life in cafes or on terraces that are
very common in their society.
102
Figure 7: Italian version of the Tuscany campaign
Figure 8: Arab version of the Tuscany campaign
103
THINK GLOBAL, ACT LOCAL
We have heard a lot about globalism against localism over the years. In order
to succeed globally, even the biggest multinationals must think locally. Here is the
case of McDonald’s.
MCDONALD’S
McDonald's is one of the oldest chains of quick service restaurants in the
world.
This worldwide fast food chain is not only a symbol of globalization, as
explained before; actually, McDonald’s is “thinking globally and acting locally”. It
has progressed from national (United States of America) to multinational (opening
restaurants in 121 different countries), and thus has become a global business that
has established itself all over the world, working with local cultures and needs.
McDonald’s adapts its products and advertising to the wants, values and
traditions of the country where its restaurants are opened. The way it advertises its
products differs from one country to another and this is obviously because of the
differences in culture, ideals, customs, religions, and needs of local consumers.
From McDonald's point of view, the Big Mac is a standard product that is sold
around the world; it fits with Levitt's concept of a standardized product in a global
market. In contrast, the customers’ judgments of what McDonald’s means to them
can vary significantly. In other words, even as a symbol of global standardization,
McDonald’s can be read differently by different people in different contexts.81
McDonald’s strategy is to listen more to local consumers and then act on it.
The company strives to do this around the world. Some of its local favorites around
the world include the McItaly burger in Italy, Maharaja Mac in India, the McLobster
in Canada, and the Ebi Filit-O in Japan (Figure 9).
81
Tony Ma, Professional Marketing and Advertising Essays and Assignments, Tony Ma, 2014.
104
Figure 9: McDonald’s international menu items
105
CONCLUSION
«Advertising is one of the most fundamental ways to sort out information. And
that’s the gift of advertising - to connect with people in a human way - to make the
kind of emotional connections that are at the core of story telling »
(Eric Schmidt)
This dissertation is a journey through the fascinating and complex world of
advertising through the analysis of aspects not only interesting but worthy of indepth study, from the creativity and persuasiveness of its language to its evolution
and historical, social and cultural influence and its fundamental importance in this
new era of globalization. Advertising is, therefore, the most effective means of
engaging an increasingly wider and more international audience. In this regard, it is
apparent that to penetrate a foreign market effectively, the decision to translate/adapt
an advertising message becomes strategic from a marketing point of view. Although
the field of international advertising campaigns has been neglected for many
decades, today it is the subject of growing interest. Translation is acquiring a leading
position in the international marketing strategies area and is therefore considered as a
necessary working tool for successful communication between different cultures.
In fact, not taking the socio-cultural context into consideration can create
unpleasant misunderstandings, poor comprehension and even marketing failure
abroad. An awareness of these potential problems means that the use of localization
as opposed to standardization is gradually gaining ground.
Translators in this field are, consequently, professionals who should not be
underestimated. Their importance is significant because the campaign’s success
depends on them. They should be able to move and persuade consumers by finding
solutions that work in the target language and not translate the original message
literally. In advertising there is no such thing as a faithful translation, the copy cannot
and should not be simply translated; it can only be re-written. Advertising is not
made of words, but of culture.
107
SEZIONE LINGUA III
109
INTRODUCCIÓN
«Hacer anuncios ya no significa hacer publicidad»
(Un lector)
Comunicar es una necesidad y una creciente prioridad en el mundo globalizado
contemporáneo: la información y su transformación están a la base de cada sociedad
así como de la economía moderna.
Este trabajo representa el objeto final de un análisis de comparación entre la
traducción y un aspecto de la comunicación a nivel global: la publicidad.
Mi objetivo es buscar un punto de unión entre los elementos antedichos y
nuestra sociedad y, al mismo tiempo, mostrar su inextricable conexión e
interrelación. La comunicación es un sistema complejo y diversos factores
determinan su éxito o su fallecimiento, los manuales de lingüística (Austin, 1974;
Chomsky, 1989; Grice, 1975; Jakobson, 1966; Saussure, 1916; Halliday, 1973;
Searle, 1973) están llenos de teoría y modelos para una comunicación correcta y
eficaz y todos están de acuerdo en decir que, en cualquier acto comunicativo, el
contexto es una componente fundamental para descifrar el significado de los
mensajes. Si hablamos de contexto, nos referimos al contexto social, hecho de
normas, convenciones y expectativas comunicativas, lingüísticas y conductuales. Si
un mensaje se transmite en una sociedad que conoce y comparte estas normas, no
existen problemas para su correcta y exhaustiva comprensión, pero cuando el mismo
mensaje tiene que ser vehiculado fuera de la sociedad que lo ha generado, todo se
complica, porque cada sociedad ha construido sus propias reglas y comportamientos
sociales. Generalmente se cree que es suficiente traducir de un código lingüístico a
otro para que se realice una comunicación intercultural, en realidad lo que se verifica
es solamente un cambio entre códigos lingüísticos. Por lo tanto, es evidente que la
mayoría de las empresas contemporáneas tienen que enfrentarse con dos desafíos:
por un lado cumplir su función principal, o sea comunicar el mismo mensaje, por el
otro relacionarlo con los medios y las modalidades propias de un determinado target
y cultura. Por lo tanto, la comunicación será eficaz sólo si será coherente con los
111
mensajes lanzados y respetará las necesidades lingüísticas y culturales de la sociedad
a la que se refiere. Hoy en día, este desafío se ha vuelto más complicado porque las
empresas no sólo tienen que comunicar y transmitir una información, sino también
tienen que hablar de sí mismas y transmitir valores más profundos. Apple no vende
únicamente artículos electrónicos, sino verdaderas innovaciones (Think Different);
Nokia no se promueve como la compañía que fabrica los teléfonos móviles, sino
como una que es capaz de unir a la gente (Connecting People); Benetton no vende
simple ropa, sino una forma diferente de concebir la convivencia entre los pueblos
(United Colors of Benetton).
De consecuencia, está claro que los mensajes publicitarios que las compañías
crean, tienen que ser extremamente sofisticados y refinados, así como coherentes con
los parámetros propios de cada cultura.
Este elaborado examinará las estrategias de comunicación de diversas
multinacionales y sus enfoques en mercados extranjeros, con el objetivo de
identificar el papel de la traducción como parte de las campañas publicitarias
internacionales, demostrando la imposibilidad de traducir el mismo mensaje sin
adaptar el texto según los aspectos culturales y sociales de un determinado país.
La tesis se divide en cuatro capítulos; los tres primeros constituyen la parte
teórica que será útil para analizar los ejemplos descritos en el último.
El capítulo uno está dedicado a establecer los presupuestos teóricos y
operativos en los que se sustenta el trabajo de investigación. Describe la definición,
la estructura y los aspectos sociológicos del fenómeno.
El capítulo dos constituye el núcleo central de la investigación, con una
particular atención a la evolución de la publicidad en la nueva era global y a las
estrategias de las empresas internacionales. El capítulo tres analiza el mundo de la
traducción publicitaria, sus características y dificultades y también la figura
profesional del traductor-adaptador publicitario.
Finalmente, el capítulo cuatro se compone de algunos ejemplos explicativos de
algunas campañas publicitarias con graves errores de traducción cometidos por haber
saltado la fase de adaptación del texto.
112
CAPÍTULO I
LA COMUNICACIÓN PUBLICITARIA
1.1 La publicidad: definición y análisis del fenómeno
“La publicidad en nuestro mundo ya supera el arte y la moda no sólo por su
difusión y riqueza de medios y canales, sino que también por su velocidad. […] la
publicidad ahora se ha vuelto mucho más móvil, más caprichosa o más capaz de
seguir los sutiles matices del estado de ánimo colectivo, sin embargo, cubierto por
olas de cambio constante y aparentemente imparable. Si un movimiento artístico
dura pocos años y una temporada de la moda vive una temporada solamente, la vida
de un anuncio, de una campaña de fijaciones publicitarias o de anuncios en los
periódicos ahora se mide en semanas, incluso en días. Son semanas muy intensas en
las que se martilla el mismo mensaje miles de veces en la televisión, se encuentra en
todas las paredes, se escucha por la radio y llena las páginas de los periódicos. No
se puede evitar.”82
(Ugo Volli, 2003)
Desde hace mucho tiempo, el fenómeno de la publicidad interesa un gran
número de disciplinas: de la retórica a la semiótica, la historia, economía, psicología
y antropología.
Según la Real Academia de la Lengua Española, la publicidad es la
divulgación de noticias o anuncios de carácter comercial para atraer futuros clientes.
Es un medio importante que con el paso de los años, se ha consolidado a través de la
creación de nuevos productos y la invención y rápida difusión de la imprenta para
darlos a conocer. Esta herramienta se ha ido consolidando entre las primeras
prioridades para empresas que aporten recursos o servicios en el mercado global, ya
82
U. Volli, La semiotica della pubblicità, GLF Editori La Terza, Roma, 2003, introducción. N.d.T.
113
que afloran siempre nuevos conocimientos y tácticas en el sector de la comunicación
y ciencias sociales83.
Cada uno de nosotros conoce la publicidad y sabría dar, aunque sea con
superficialidad, una definición. Nos resulta un fenómeno tan cotidiano que raramente
reflexionamos sobre ella.
De hecho, muchas veces se piensa en la publicidad como un simple anuncio
comercial, sin embargo, ésta puede tener también otras finalidades. Por ejemplo,
podemos distinguir entre publicidad comercial, destinada a la comercialización de
productos o servicios y social, que toca temas importantes para la sociedad y apunta
al bienestar colectivo. Se trata de un concepto que parece extremamente simple, pero
en realidad es más complejo de lo que se suele imaginar y por eso está siempre en el
centro de los debates de numerosos lingüistas y expertos de comunicación.
Decantada y despreciada, acusada y justificada en el curso del tiempo, la
publicidad, actualmente, está tan presente en nuestras vidas que forma parte de
nosotros mismos, ejerce una gran influencia sobre nosotros no solamente
modificando nuestros hábitos de consumo sino en nuestra manera de concebir y ver
la realidad.
Puede ser que no sea el verdadero arte de nuestro tiempo, pero sin
duda la publicidad es uno de los principales motores de la riqueza y del
poder que afecta la vida de todos, los medios de comunicación de masas.
Es también el más común y el más difundido medio de comunicación.
[…] la publicidad es una herramienta de masas estética e ideológica, el
tanque en el que nos sacamos nuestra forma de ver las cosas, de
descubrir la belleza, de divertirse84.
La publicidad ha ido evolucionando, se ha adaptado a las necesidades de cada
época y ha estado a la vanguardia de cada cultura. Se ha convertido en mucho más
que una fotografía en un periódico o un vídeo en la televisión, se ha transformado en
un medio privilegiado de comunicación, no sólo comercial y político sino, sobre
todo, social.
Gracias a numerosos estudios, realizados por distinguidos académicos y
lingüistas,
83
84
que
han
analizado profundamente
y descrito
sus
principales
http://www.rae.es/recursos/diccionarios/drae (Agosto 2015).
U. Volli, La semiotica della pubblicità, GLF Editori La Terza, Roma, 2003, introducción. N.d.T.
114
características, se puede entender que la publicidad es el medio de comunicación más
persuasivo y por lo tanto, se utiliza principalmente en el mercado de los bienes de
consumo. Esta es la razón por la cual las decisiones acerca de la publicidad son las
más influenciadas por las diferencias culturales de los varios países. Los
consumidores responden a los estímulos publicitarios de acuerdo con su cultura y su
sistema de valores. Como consecuencia, un anuncio o campaña funciona si coincide
con el contexto cultural de los consumidores.
La cultura incide principalmente en la eficacia del estilo comunicativo usado.
Por ejemplo, en países como Canadá y Suecia, donde la mayoría de los
consumidores/clientes tiene un alto nivel de educación, la comunicación adopta
principalmente un estilo informativo (la publicidad está llena de contenidos
técnicos). En Europa occidental la publicidad de bebidas alcohólicas está prohibida
en Austria, Dinamarca, Finlandia, Francia, Noruega y Suiza, tiene restricciones en
Irlanda, Italia, Luxemburgo, Portugal y España, está limitada voluntariamente en
Alemania y Holanda y está consentida en Bélgica y Grecia.
Además, el contexto cultural influye también en el comportamiento y en la
actitud de los destinatarios con respecto a la publicidad. En zonas como Francia y los
países de Europa septentrional, existe una forma de “publifobia”, un rechazo hacia
cada forma de anuncio, debido a los efectos negativos de este fenómeno, como el
excesivo estímulo al consumismo. Donde ésta fobia está difundida, los gobiernos
suelen someter la publicidad a regímenes más estrictos.
Las normativas tienen diferencias significativas de un país a otro, en cuanto al
uso del lenguaje, las imágenes, los límites en la frecuencia y la calidad de los
mensajes televisivos, así como la publicidad de determinados bienes y servicios.
1.2.
Estructura y funciones del mensaje publicitario
Definido el objetivo de la promoción, el responsable de la comunicación debe
desarrollar un mensaje eficiente, que llame la atención de los destinatarios y anime a
la compra. Este proceso de creación se puede resumir en el acrónimo AIDA, que se
compone de las siglas de los siguientes conceptos en inglés: Atención (Attention),
Interés (Interest), Deseo (Desire) y Acción (Action).
115
El modelo AIDA, ideado por Elmo Lewis85 en 1898, estudiando el proceso de
publicidad a nivel del comportamiento, describe los efectos que produce de manera
secuencial un mensaje publicitario y analiza las cuatro etapas por las que pasa el
consumidor medio y que lo lleva a decidirse a comprar un producto en particular
(Figura 1):
• ATENCIÓN: atraer la atención del consumidor;
• INTERÉS: aumentar el interés del consumidor, demostrando los beneficios y
las ventajas del producto (en lugar de mostrar sus características, como en la
publicidad tradicional);
• DESEO: convencer a los clientes que quieren el producto o servicio y que
eso
responde a sus necesidades;
• ACCIÓN: convencer a los consumidores para que actúen y compren.
Figura 1: Gráfico del modelo AIDA
Aunque el modelo AIDA ha sido un punto de referencia para muchos estudios,
en la actualidad, se considera demasiado simple e ingenuo. De hecho, en 1940 fue
adoptada por las agencias de publicidad una variación del modelo AIDA. Rosser
E. St. Elmo Lewis (1872-1948) fue un importante publicitario estadounidense, fijó su atención en la
importancia de las campañas publicitarias al fin de educar al público. Fue el inventor del modelo
Aida, que los expertos del campo, todavía toman en consideración.
85
116
Reeves86 de Ted Bates & Company, idea la formula USP (Unique Selling Proposition
– Propuesta Única de Venta), una de las mejores propuestas en el mundo de la
publicidad. Esta fórmula utiliza el concepto del poder de convicción y persuasión del
anuncio publicitario basado en el argumento utilizado. Trata identificar una
característica única en el producto y la relaciona con la mente de los consumidores
con el nombre de la marca. La publicidad, por tanto, debe encontrar un mensaje
único que ofrezca beneficios a los consumidores, basado en características concretas.
Las peculiaridades de este mensaje único, para los que siguen este modelo, son
tres:
• Debe contener una promesa clara y fácil de recordar;
• La oferta debe incorporar un concepto único (que no haya competencia);
• El mensaje debe basarse en una razón convincente y creíble.
El mensaje lingüístico en los anuncios es un texto breve, conciso e innovador;
ya que su finalidad práctica exige que sea fácil de comprender y de recordar. Lo
innovador se da en el uso de un lenguaje heterogéneo con un amplio margen de
libertad. Se combinan registros variados, del formal al coloquial.
Existe una estructura precisa que las agencias publicitarias deben siempre
considerar, una estructura hecha de elementos bien definidos con funciones
específicas, como:
 El titular- llamado también encabezado, entrada o lead- tiene la
función de estimular la atención por medio de caracteres o palabras de
distintos tamaños y formas;
 La imagen, es una ilustración situada en la mente del consumidor por
medio de palabras o gráficos que tiene la función de contextualizar o crear el
entorno del mensaje;
R. Reeves (1919-1984) fue un publicitario estadounidense, fundó la agencia Ted Bates en 1940.
Periodista y redactor, fue él quien elaboró la “filosofía” de Bates: la proposición única de ventas,
conocida como USP. Esta idea no es otra cosa que aplicar la razón a la publicidad para conseguir que
venda. Algunas de las campañas de publicidad de Reeves son las de los chocolates M&M’s, M&M se
disuelve en tu boca, no en tus manos, que expone claramente la promesa del producto, beneficio que
ninguna otra compañía de chocolates anunciaba, lo que les daba una clara ventaja competitiva.
86
117
 El texto, desarrollado en forma descriptiva, expositiva, narrativa, o
bien, una combinación de todas las anteriores- es el conjunto de oraciones
aseveraciones que forman el hilo conductor del mensaje y está provisto de
entrada, cuerpo y cierre;
 El eslogan, lema o leyenda- sintetiza en una oración completa la idea
principal del anuncio;
 El logotipo- o simplemente logo- es la versión grafica estable del
nombre de marca;
 La frase de cierre, enunciado lingüístico final. Frase de asiento del
discurso donde se sintetiza la identidad atribuida a la marca.87
El lenguaje publicitario, como acto comunicativo, presenta también todos los
seis elementos que el lingüista Roman Jakobson, 88 ha delineado como factores
constitutivos que lo configuran o estructuran como tal, o sea:

El emisor, corresponde al que emite el mensaje;

El receptor, recibe el mensaje, es el destinatario;

El mensaje, es la experiencia que se recibe y transmite con la
comunicación.
Pero para que el mensaje llegue del emisor al receptor se necesita además de:
 El código lingüístico, que consiste en "un conjunto organizado de
unidades y reglas de combinación propias de cada lengua natural";
 El canal, que permite establecer y mantener la comunicación entre
emisor y receptor.89
R. A. Figueroa Bermúde, Cómo hacer publicidad: un enfoque teórico-práctico, Pearson Educación,
México, 1999, p.98.
88
R. Jakobson (1896-1982), fue un lingüista, fonólogo, y teórico literario ruso. Su obra toca
simultáneamente las disciplinas de la antropología, la patología del lenguaje, la estilística, el folclore y
la teoría de la información. Fue el primero que elaboró la teoría lingüística de la información, una
síntesis tan operativa que ha sido muy utilizada en el curso de la historia.
89
http://aprendelenguaje.blogspot.it/2007/03/las-funciones-del-lenguaje-segn-roman.html. (Agosto
2015).
87
118
Jakobson plantea el modelo de la teoría de la comunicación. Este modelo
permite establecer seis funciones esenciales del lenguaje inherentes a todo proceso
de comunicación lingüística y relacionada directamente con los seis factores
mencionados en el modelo anterior (Figura 2):
Función emotiva: centrada en el emisor. Esta función le
1.
permite al emisor la exteriorización de sus actitudes, de sus sentimientos y
estados de ánimo, así como la de sus deseos, voluntades y el grado de
interés
o
de
apasionamiento
con
que
realiza
una
determinada
comunicación.
2.
Función conativa: centrada en el receptor o destinatario. Es la
función de mandato y pregunta. El emisor intenta influir en la conducta del
receptor.
3.
Función referencial: centrada en el contenido o “contexto”
entendiendo este último “en sentido de referente y no de situación”. Es
decir, cualquier cosa exterior al propio acto comunicativo. Es la función del
lenguaje más evidente a primera vista.
4.
Función metalingüística: centrada en el propio código de la
lengua. Se utiliza para hablar del propio lenguaje, aclara el mensaje y se
manifiesta en declaraciones y definiciones.
5.
Función fática: centrada en el canal y trata de todos aquellos
recursos que pretenden mantener la interacción. La finalidad de esta
función no es principalmente informar, sino facilitar el contacto social para
poder transmitir y optimizar posteriormente mensajes de mayor contenido.
6.
Función poética: centrada en el mensaje. Se pone en
manifiesto cuando la construcción lingüística elegida intenta producir un
efecto especial en el destinatario. Sus recursos son variados, por ejemplo,
las figuras estilísticas y los juegos de palabras. Esta función se encuentra
especialmente, aunque no exclusivamente, en los textos literarios.
119
Figura 2: Modelo de comunicación de Roma Jakobson
El mensaje publicitario puede ser analizado mediante la aplicación de esta
clasificación a la publicidad, puesto que, con mayor o menor frecuencia, cubre
todas las funciones del lenguaje. Cada anuncio contiene, por lo menos
potencialmente, todos los factores de la comunicación, y también incluye todas las
funciones como declara el mismo Jakobson: en un solo mensaje pueden coexistir
todas estas funciones, y de hecho, en el lenguaje cotidiano, se producen continuas
interrelaciones y superposiciones, aun en el caso de que predomine alguna de las
funciones.90
Por consiguiente, se puede concluir afirmando que no hay una función
principal en el discurso publicitario. No hay comunicación puramente fática o
puramente referencial, poética, etcétera. Para conseguir con eficacia uno de estos
U. Eco, La estructura ausente introducción a la semiótica, Penguin Random House Grupo
Editorial, España, 2011, p.23.
90
120
fines, deben llevarse a cabo, en cierta medida, también los otros. Las funciones de la
lengua pueden entonces estar simultáneamente presentes y manifestarse a todos los
niveles.
121
CAPÍTULO II
PUBLICIDAD GLOBAL
2.1. La publicidad en la era global: estrategias de las empresas
« El futuro está en las marcas mundiales pero con mucho más sabor local.
Porque el público va a exigir productos más locales. Lo mismo va a suceder con la
publicidad. Las grandes multinacionales van a acabar teniendo una sola imagen de
marca en todo el mundo, pero con guiños que faciliten la integración local. »
(Miguel Duro, 2001)
Después de haber presentado el fenómeno de la publicidad, pasamos ahora al
tema central del presente estudio, o sea, el enfoque trasnacional de la publicidad en la
era global y el nuevo papel del traductor en esta realidad.
Hoy en día, hacer publicidad implica relacionarse. No consiste sólo en
comunicar los beneficios o utilidades de un producto, sino establecer lazos
emocionales con el público target.
El concepto de globalización,
91
introducido por Theodor Levitt,
92
ha
revolucionado la manera de entender las relaciones internacionales y los negocios.
En 1983 con el artículo La globalización de los mercados, Levitt hizo popular este
concepto, que definía como el conjunto de factores económicos, tecnológicos y
sociales que permitían que las empresas multinacionales pudieran vender sus
productos casi sin diferencias en diversos países. Desde entonces el fenómeno se ha
La globalización es un concepto que pretende definir la realidad de nuestro planeta como un todo
conectado, que se va pareciendo más a una sola sociedad, más allá de fronteras nacionales, diferencias
étnicas y religiosas, ideologías políticas y condiciones socio-económicas o culturales. Ésta consiste
en la ampliación de la dependencia económica, cultural y política de los países del mundo, la cual es
originada por el aumento de la actividad internacional, el comercio mundial de bienes y servicios,
el flujo de capitales, así como el avance de los medios de transporte, y el uso de las nuevas tecnolgías
de información y comunicación.
92
T. Levitt (1925-2006) fue economista americano y profesor de la prestigiosa escuela de
negocios Harvard Business School. Fue también editor de la revista económica Harvard Business
Review donde publicó sus célebres artículos. Fue el primer teórico economista en acuñar el
término globalización desde un punto de vista económico.
91
123
extendido progresivamente. Las empresas extienden sus brazos a mercados
internacionales por las expectativas de crecimiento y expansión, pero también por
una necesidad intrínseca de supervivencia. Muchas se ven obligadas a comercializar
sus productos en un mercado cada vez más global. La existencia de competencia y
demanda a ese nivel las lleva a enfocar sus estrategias de comercialización desde una
visión internacional, porque los mercados extranjeros pueden representar una gran
fuente de productos de bajo coste, tecnología y capital. Las marcas y los productos
necesariamente tuvieron que empezar a comunicar con otros países y mercados con
todas las dificultades que ello supone, principalmente a nivel lingüístico y cultural
por no hablar de cuestiones socioeconómicas y de patrones de consumo.
Al hablar de globalización e internacionalización, el concepto de mensaje
publicitario denominado como un todo, cambia. Esto se debe a que productos
universales o que se exportan a un gran número de países, cambian de manera que se
adaptan a una cultura y a unos índices propios del país, es en este aspecto donde
cobra vital importancia la traducción.
Los profesionales dentro del ámbito de la publicidad se encuentran con el
dilema de cómo poder exportar sus productos en un ámbito y cultura diferente y
satisfacer, de igual manera, a los consumidores. La publicidad no deja de ser una
estrategia de
mercadotecnia, lo que pretende es vender y hacer negocio, por este
motivo la traducción en muchos casos se convierte en una verdadera arma de doble
filo.
Los profesionales, tanto publicitarios como traductores, se encuentran con una
serie de cuestiones que deben solventar como: ¿Se debe hacer una homogeneización
internacional? O, por el contrario ¿La mejor técnica es adaptar el lenguaje
publicitario a su cultura meta?
Generalmente una multinacional puede elegir entre tres diferentes estrategias:
estandarización, adaptación o globalización.
Ahora tratamos de presentar, teóricamente, el estado de la cuestión, para poder
comprobar si existe una clara preferencia por una estrategia u otra.
124
2.1.1. La estandarización
La estandarización, o publicidad internacional, consiste en no cambiar la
campaña publicitaria creada para un producto en ninguno de los ámbitos de
actuación, indistintamente del país de llegada.
Samuel Watson Dunn define la publicidad estandarizada como aquella que al
menos mantiene una de las partes básicas de una campaña internacional, estrategia,
ejecución y lenguaje.93
El objetivo principal de una campaña global es ofrecer una imagen idéntica a
los consumidores de los distintos países al imponer en todos ellos un
posicionamiento idéntico del producto. Es lo que ha entendido McCann Erikson al
hacer de Martini un producto único que se puede beber “donde estés y a la hora que
estés”.94
La aplicación de una estrategia de estandarización a la publicidad se encuentra
favorecida por unas indiscutibles ventajas. Una de las mayores es seguramente la
mejor rentabilidad de las inversiones en publicidad vinculadas al desarrollo, creación
y producción de los medios publicitarios. Una estrategia centralizada y globalizada
permite evitar la repetición de las tareas idénticas, necesarias para la ejecución de
una campaña; en este mismo sentido, otra ventaja se refiere a la posibilidad de
reducir el número de colaboradores agregados al servicio de la mercadotecnia y
publicidad. Además de las ventajas meramente financieras señalamos que un
mensaje homogéneo evita la confusión en el consumidor.
Sin embargo, aunque estas ventajas en costes y psicológicas son innegables, no
podemos olvidar que existen una serie de límites importantes a la implantación de un
enfoque de estandarización en la publicidad.
En primer lugar hemos de recordar que cada país tiene su propia idiosincrasia.
Así, la publicidad en Inglaterra se supone basada en el humor, en Francia en su
carácter sexy, en Alemania en la seriedad y en las ventajas del producto. En este
sentido, la principal crítica que se le hace estriba en que la búsqueda de un mínimo
S.W. Dunn, Effect of Nacional Identity on Multinacional Promotional Strategy in Europe,
Journal of Marketing, 1996, p. 52.
93
94
R. Garcìa Cruz, Marketing Internacional, Esic Editorial, 4- ed., 2002, p. 305.
125
en
común denominador puede dar lugar a mensajes mediocres de persuasión. Es decir,
la búsqueda de un mensaje universal, erosiona la creatividad del mensaje. La
influencia de la cultura local todavía está muy enraizada en numerosos países y una
internacionalización puede conllevar numerosos riesgos. Debido a esto, la
localización está ganando terreno de manera progresiva.
2.1.2. La adaptación
En los últimos años la globalización de mercados ha convencido a los
publicistas de la necesidad de considerar las diferencias culturales y lingüísticas entre
ellos como un obstáculo para comunicar sus mensajes de forma eficaz. Por esta
razón, muchas multinacionales prefieren seguir la estrategia de la adaptación.
La adaptación o localización, involucra el tomar un producto y hacerlo
apropiado para el país al que va dirigido. Los conceptos y las ideas transmitidas
tienen sus raíces en la cultura de la que proceden, las frases creadas por una cultura
no necesariamente tienen un significado igual para otra.
Como declama Simon Anholt, fundador de la agencia de publicidad
internacional Cave Anholt Johnson, traducir un anuncio y mantenerlo igual al
original, sería como pintar de rojo la punta de un iceberg, con la esperanza de que
toda la masa de hielo enrojezca: el aspecto lingüístico es sólo la parte externa y
visible, a la que hay que añadir elementos culturales fundamentales.95
Es aquí donde entra en juego el traductor/adaptador que debe tener en cuenta
una serie de componentes, con el fin de evitar errores y malentendidos flagrantes:

Componente socio-cultural: tiene en cuenta las características
principales de la sociedad meta, ya sean, las religiosas, las
costumbres o las normas éticas;

Componente jurídico-político: aquí se incluye el grado de apertura
del país al exterior, posibles restricciones impuestas al campo de la
publicidad, etc.
95
S. Anholt, Another one bites the grass: making sense of international advertising, John Wiley &
Sons Inc., New York, 2000. N.d.T.
126
Así bien, el traductor aparte de traducir debe ser un mediador cultural, y debe
saber apreciar las características de la sociedad meta. El hecho de que el traductor no
cumpla alguno de estos factores, supondrá el fracaso de la campaña publicitaria. Por
ello, a la hora de traspasar un mismo mensaje de una comunidad a otra, según el
canal del que se trate, se traducirá de diferentes maneras, y se puede llegar a omitir o
agregar palabras al texto, traducirlo literalmente a la lengua de llegada o
simplemente cambiar completamente el texto o el eslogan y adecuarlo al estilo
propio del país meta.96
2.1.3. La glocalización
Sin embargo, numerosas multinacionales prefieren asociar las dos estrategias
antes mencionadas, dando lugar a la famosa glocalización. De hecho, este término
proviene de la fusión de las palabras: globalización y localización.
Esta estrategia empresarial busca adaptar estándares globales a condiciones
locales (Pensar globalmente y actuar localmente).
Buen ejemplo de ello es la trasnacional McDonald’s, quien a pesar de
caracterizarse por su uniformidad a nivel mundial, ha tenido que hacer pequeñas
concesiones en su modelo, adaptando sus menús a los gustos locales. Por ejemplo, en
ofrecer vino en sus restaurantes en Francia o cerveza en los españoles.
Incluso Coca-Cola Co., siendo una empresa globalizada que ha sabido penetrar
y entrar en todo mercado mundial posible, no tuvo la acogida esperada en el mercado
peruano, lo que obligó a Coca-Cola a comprar acciones de Inka Cola, bebida
predominante en Perú para así entrar de manera camuflada en el mercado peruano
con una imagen local.
96
http://myslide.es/documents/la-traduccion-publicitaria.html. (Agosto 2015).
127
CAPÍTULO III
LA TRADUCCIÓN PUBLICITARIA
3.1. Traducir publicidad: un problema de enfoque
¿Cuál es, hoy en día, el significado de publicidad internacional? ¿Están
seguros, por ejemplo, de que la expresión a cup of coffee es igual en todo el mundo?
Para dirigir un mensaje publicitario a consumidores de diferentes idiomas, es
necesario adaptar el texto de acuerdo con las costumbres y el contexto socio-cultural
del país destinatario.
De hecho, el problema general es que, aún hoy, las traducciones de varios
anuncios son sometidas a los empleados de las mismas agencias; lingüistas y
académicos que no saben nada sobre el arte de la persuasión o la ciencia de la
comercialización. Sólo en caso de urgencia, se requiere la intervención de un
traductor profesional. Según Richard Welts97 las principales causas de los errores que
se encuentran en los anuncios publicitarios, dependen propio de la falta de
competencia del traductor.
Sin embargo, en los últimos años, gracias a la globalización, la traducción está
ganando importancia en el proceso de la comunicación internacional, ya que la
mayoría de los profesionales se ha dado cuenta de la necesidad de adaptar los
anuncios a las necesidades culturales, sociales y legales de los diversos
destinatarios.98
Según Simon Anholt, lo que hace eficaz un mensaje comercial no son las
palabras en sí, sino la combinación de estas palabras, que la traducción no siempre
puede transmitir. Un texto publicitario no tiene sólo palabras también se basa en los
aspectos culturales, lo importante es entender mejor el sentido para transmitirlo de
una cultura a otra ya que los consumidores dependen fuertemente de los valores
R. Welts es el fundador de una de las agencias de comunicación y la traducción publicitaria
importante en los EE.UU.
98
U. Volli, La semiotica della pubblicità, GLF Editori La Terza, Roma, 2003, introducción. N.d.T.
97
129
culturales.99 Por lo tanto el traductor-adaptador tendrá que traducir ideas y funciones
más que palabras.
A diferencia de la literatura, la publicidad tiene un objetivo comercial
específico, por tanto, preocuparse por ser fiel al texto original es un error de
comunicación: el objetivo es mantener la función, no reproducir la forma.
Se pueden encontrar obstáculos interculturales también cuando hay
expresiones fáciles de traducir. Si tomamos, por ejemplo, las palabras inglesas a cup
of coffee (una pequeña taza de café), cualquier diccionario nos confirma que vamos a
encontrar el equivalente de dichas palabras en todos los idiomas. Sin embargo a cup
of coffee no tiene el mismo sentido en todos los países. En Gran Bretaña se refiere a
un tazón lleno de un cuarto de litro de agua caliente, café instantáneo y azúcar. De
hecho, la traducción italiana “una tazza di caff ” es otra cosa: indica una taza
pequeña, con una cantidad más reducida, de caffè espresso, con sabor diferente al
que toman los británicos. Es importante observar también que normalmente no se
suele decir una tazza di caffè en Italia, sino sólo un caffè.
Por tanto, hay que escribir el texto publicitario en un idioma extranjero para
crear en el público el mismo impacto del mensaje publicitario del idioma original.
Estamos hablando, entonces, de un proceso creativo que crea un texto casi nuevo,
donde es necesario garantizar los objetivos y la eficacia del mensaje en cada
mercado.
https://tradurrelimpossibileilmessaggiopubblicitario.wordpress.com/2012/06/27/la-traduccionpublicitaria-2/. (Agosto 2015).
99
130
CAPÍTULO IV
CASOS PRÁCTICOS
Una mala traducción, o una no traducción de un eslogan o lema publicitario
puede arruinar toda una campaña de publicidad. Algunas empresas han abusado al
recurrir a cierto lema que un día tuvieron un cierto éxito en un país en concreto. La
traducción literal de una frase no es una idea demasiado acertada, debería buscarse
una expresión equivalente que represente un mensaje similar al original, en el idioma
del mercado al que va dirigido el producto.
Después de haber analizado teóricamente el mundo de la traducción
publicitaria, sus principales características y sus dificultades, analizaremos ahora
algunos de los ejemplos más clamorosos de malas traducciones en las campañas
publicitarias.
AMERICA AIRLINES
Para anunciar la utilización del cuero en sus asientos de primera clase, la
America Airlines, tradujo en México su eslogan inglés Fly in leather literalmente
convirtiéndolo en Vuela en cuero, peligrosamente próximo a “vuela desnudo” en
español (Figura 3). No fue un lema muy eficaz para los pasajeros españoles, por lo
que la empresa tuvo que suspender toda la campaña rápidamente.
131
Figura 3: Eslogan publicitario America Airlines en México
PARKER PEN
Cuando la compañía de bolígrafos Parker Pen (Figura 4) promocionó su nuevo
tipo de bolígrafo en México, hizo un clamoroso error de traducción. De hecho, la
sociedad tradujo el lema inglés “It won’t leak in your pocket and embarass you” con
“No goteará en tu bolsillo ni te embarazará” en vez de “No goteará en tu bolsillo ni
te avergonzará”.
La compañía pensó que la palabra embarazar (del inglés embarrass) era
equivalente a avergonzar. El resultado de la campaña fue desastroso y Parker Pen se
vio obligado a retirar todas las publicaciones en las revistas y la transmisión de los
comerciales en estaciones de televisión mexicanas.
132
Figura 4: Anuncio publicitario Parker Pen en México
DAIRY ASSOCIATION
El gran éxito de la campaña publicitaria con el lema inglés “Got Milk?” de la
Dairy Association (Asociación de Productos Lácteos de los Estados Unidos) llevó a
la empresa a presentarla en México también. Sin embargo, al poco tiempo del
lanzamiento la asociación de lecheros de los E.E.U.U., informó que la traducción del
anuncio en español ¿Tienes leche? (Figura 5) hacía referencia al período de
amamantamiento de una madre.
133
Figura 5: Campaña publicitaria Diary Association en México
En los tres ejemplos analizados, debido a una falta de verificación de
traducción y compatibilidad del eslogan, la campaña publicitaria resultó ineficaz y
hasta contraproducente.100
100
www.traduzione-localizzazione.com/servizi-webmarketing/cattive-traduzioni, N.d.T.
134
CONCLUSIÓN
« […] la publicidad no solo tiene una grande fuerza económica, sino que
también tiene una profunda influencia en la cultura, los valores y la calidad de
vida.»
(Leo Bogart, 1990)
Gracias al presente análisis hemos entendido cuáles son los principales
aspectos de la publicidad, sus características, su evolución social, la creatividad y
fuerza persuasiva de su mensaje, así como su influencia cultural y su fundamental
importancia en esta nueva era globalizada.
La publicidad constituye el medio de comunicación más eficaz para llegar a un
público cada vez más internacional. Por lo tanto, es evidente que, para penetrar de
manera eficaz en un mercado extranjero, la decisión de traducir-adaptar un anuncio
publicitario es estratégico desde un punto de vista de la mercadotecnia. Si, por
muchos años, el ámbito de las campañas publicitarias ha sido un área descuidada por
los lingüistas, hoy se ha convertido en objeto de gran interés. La traducción está
adquiriendo una posición de liderazgo y por lo tanto se considera una herramienta de
trabajo necesaria para una óptima comunicación entre diferentes culturas.
Por lo tanto, el traductor es una figura que no debe ser subestimada. Su
importancia es significativa, porque de él depende el éxito de la campaña. Tiene que
ser capaz de mover a los consumidores, buscando soluciones que funcionen en el
idioma de destino y evitando traducir literalmente el mensaje original: la traducción
fiel no existe, los textos publicitarios no deben ser traducidos, sino escritos. La
publicidad no está hecha de palabras, sino de cultura.
135
Desidero ringraziare tutti coloro che mi hanno sempre sostenuta e aiutata
nella stesura della mia tesi con suggerimenti, critiche ed osservazioni.
Infine, un ultimo ringraziamento va a me stessa, perché se sono arrivata a
questo punto, in fondo è anche un po’ merito mio.
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