libro_gradara_solo_ieri_ma_cosi_lontana - BCC Gradara

Transcript

libro_gradara_solo_ieri_ma_cosi_lontana - BCC Gradara
Leonardo Moretti
con la collaborazione di
Mario Gennari,
Francesco Giusini,
Giuseppe Moretti.
GRADARA
SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA
Personaggi, aneddoti e momenti di vita
prima e dopo la Seconda guerra mondiale.
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
Progetto grafico: Leonardo Moretti e “La Grafica” Cattolica
Stampa: Tipolito “La Grafica” Cattolica
Per la foto dell’antico stemma di Gradara è stata concessa l’autorizzazione n° 167 dalla Direzione dell’Archivio di Stato di Pesaro il 15 gennaio 2007
Si ringraziano:
la Banca di Credito Cooperativo di Gradara, Dirce Baldelli, Maria Angela Del Monte, Terenzio Gennari,
Giorgio Giorgi, Gabriella Giorgi, Maria Giorgi, Giorgio Massaccesi, Alvaro Pantucci, Anna Tangocci,
Carlo Foschi, Cristina Foschi, Adele Bischi, Sergio Mina, Marco Giusini, Piero Andreani,
Gioconda Serafini, Maria Tamburini, Adele Magi, Dina Garavelli, Marinella Molari, Mery Bertozzi,
Stefania Guagneli, Pasqualina Serafini, Claudio Bertozzi, Claudia De Biagi, Delfina Moretti,
Antonio Patrignani, Vasco Patrignani, Osvaldo Fabbri, Luigi Magi, Rosalba Magi, Monica Magi,
Gianfranco Magi, Graziella Gennari, Anna Gennari, Maria Ida Bischi, Gianfranco Betti,
Amleto Moroni, Franca Antonioli, Giuditta Antonioli, Anna Antonioli, Francesco Moretti,
Anna Maria Moretti, Sesto Vichi, Ezio Tecchi, Francesco Bevilacqua, Loredana Liera, Gina Galli,
Valentino Lisotti, Luigi Pierleoni, Maria Baffioni, Mario Magi, Giuseppe Andreatini, Luisa Grati,
Marta Alessandri, eredi Ettore Vichi.
La foto di copertina è di Leandro Finotto
LEONARDO MORETTI
INDICE
Indice
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Prefazione
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Presentazione
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Introduzione
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Gradara nella terza a quarta decade del Novecento
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Fatti ed eventi
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I turisti
Il primo taxista
Il primo albergo
La caduta del torrione a Borgo Mancini
Il teatro
1950, anno giubilare
La squadra di calcio
La televisione
Il circolo ACLI
L’Hostaria del Castello
La voglia di fumare
Personaggi, famiglie, medici, insegnanti
Giuseppina Moretti
Giuseppe Vichi
Giuseppe Zanni
Augusto Vichi
Antonio Patrignani
Modesto Gennari
Ernesto Gennari
Giovanni Macchini
Giuseppe Baldelli
Ciro Tamburini
Luigi Andreatini
Amato Molari
Carlo Andreatini
Aldo Magi
Dott. Palazzetti
Don Pietro Marcelli
Bruno Morotti
Gilberto Panicali
Giuseppe De Biagi
Pietro Gennari
Francesco Patrignani
Giuseppe Giorgi
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
Giovanni Magi
Pietro Gennari (Ghighia)
Angelo Patrignani
Giovanni Gennari
Luigi Moretti
Ulisse Moretti
Vincenzo Generali
Luigi Foschi
Aurelia Cibelli
Lorenzo Zanni
Giustina della Santa
Salvatore Fabbri
Emiliano Tamburini
Arturo Baldelli
Guglielmo Foschi
Valentino Lisotti
Giancarlo Grati
Famiglia Antonioli
Famiglia Del Monte
Famiglia Tausani-Ceccarelli
Famiglia Bartoli
I medici condotti
Insegnanti elementari
Le istituzioni
L’asilo infantile
Cassa Rurale ed Artigiana
Il Concerto Bandistico
Il Mulino a olio
Il Mulino a grano
I racconti di Mario
La crescia (piadina) al cane
Il vestito nuovo
Azione da commando
Caldo, maleodorante, segnale
I cavoli dei suoceri
Appendice - Immagini gradaresi edite e inedite
La Stazione Ferroviaria
Istantanee degli anni Cinquanta
Altre immagini di calcio
I camminamenti di ronda
Feste
Scene da... Film
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Curiosità
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Indice dei nomi
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LEONARDO MORETTI
PREFAZIONE
L
a pubblicazione di questo libro “Gradara solo ieri ma già così lontana”, è particolarmente significativa ed importante, per i contenuti, per l’amplia documentazione fotografica, per la sua originalità, per la semplicità di linguaggio,
per il valore testimoniale che riesce a trasmettere, per i riferimenti estremamente
familiari.
Si tratta di un percorso a ritroso nel tempo, di un ritorno al passato, per riscoprire le
radici e le tradizioni di una comunità in frenetica espansione, dove tutto cambia con
impressionante velocità, e la cui sopravvivenza è affidata ad antiche memorie.
Ricordi mai cancellati, di una giovinezza ormai perduta, che ritrova improvvisamente nuovi valori e nuovi stimoli, ma soprattutto la possibilità di rivivere sensazioni particolari; di ripensare ad episodi che sembravano per sempre dimenticati; di
rivedere nella memoria, personaggi caratteristici e sotto certi aspetti, ricchi di fascino
e di avventura.
Personaggi che hanno caratterizzato un epoca, umili nelle origini e nei comportamenti, ma orgogliosi e forti nelle loro convinzioni, nei loro principi; a volte anche nei
loro ideali.
Personaggi legati ad avvenimenti, a fatti ed episodi dell’immaginario collettivo,
di un antico Borgo murato, ancora quasi incontaminato dalle improvvisate trasformazioni urbanistiche ed edilizie, che sulla spinta dello sviluppo turistico del dopo
guerra, poco più tardi, avrebbero interessato profondamente, anche l’antico borgo di
Gradara.
Racconti inediti che evidenziano la miseria, prima e dopo la seconda guerra mondiale.
Che indicano la ripresa economica favorita dall’apparire dei primi turisti.
Che ricordano le serate al circolo per vedere la televisione; e l’entusiasmo per il
primo locale da ballo.
Racconti che hanno il sapore della giovinezza, e la speranza di un futuro migliore.
Episodi di un paese diverso, difficile da riconoscere, molto lontano nel tempo.
Testimonianze importanti del passato, che è bene non dimenticare.
Questa è una storia scritta a più mani, da alcuni amici, che hanno deciso di ricostruire con riferimenti puntuali, la situazione anagrafica del vecchio Borgo, prima e
dopo la Seconda Guerra Mondiale, indicando con precisione, la collocazione planimetrica di alcune attività, l’indirizzo di vecchie famiglie Gradaresi e di personaggi
che hanno caratterizzato periodi distinti e successivi della vita pubblica del paese,
influenzandone lo sviluppo economico, sociale e culturale.
Più che un lavoro di ricerca di composizione e di trascrizione delle notizie, sembra
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
di assistere ad una chiacchierata al bar o meglio, in una vecchia osteria di Gradara,
quando ancora la televisione non c’era, e si trascorreva il tempo libero giocando a
carte, bevendo vino, cantando, o raccontando le proprie avventure o le proprie disavventure.
Ognuno, aprendo il suo libro di ricordi, ripensa alla vita passata, racconta vecchie
storie, rivede certi personaggi, rivive episodi importanti che hanno caratterizzato i
suoi comportamenti o quelli di persone a lui vicine.
Sembra di assistere a frammenti di memorie che faticosamente si ricompongono, e
riappaiono improvvisamente davanti agli occhi.
Un mosaico di avventure, di episodi, di immagini, di aneddoti e momenti di vita,
di volti che ritornano tutto d’un tratto a rioccupare spazi, fino all’ora dimenticati,
creando emozioni straordinarie.
Il vecchio Centro Storico che torna a rivivere, e a rianimarsi;
Le strade, si riempiono di giovani, di ragazzi, di anziani, di gente operosa.
Una moltitudine di voci, di suoni, di rumori riecheggiano fra le strette vie del Paese, e le caratteristiche piazze in ciottolato e in mattoni.
I bambini giocano correndo e strillando, ed in alcuni casi anche prendendosi cura
degli animali domestici; le mamme li chiamano; gli uomini sono occupati negli antichi mestieri, le donne, fanno rifornimento di acqua, in fila alla fontana pubblica, con
grandi recipienti in cotto, raccontandosi le novità del giorno.
Tutto procede come in un sogno; il tempo sembra essersi fermato.
Quei personaggi che fino ad allora avevano occupato solo la memoria; diventano
reali, attivi, veri; hanno un nome, ed un cognome, ma spesso sono più conosciuti
con nomignoli e soprannomi tramandati nel tempo, caratteristici ed un po’ buffi, ma
sempre riferiti ad un particolare personale, ad un fatto, ad un avvenimento, ad un
comportamento, ad un’idea; nomignoli ampliamente diffusi che facilitavano la loro
individuazione.
Quei nomi caratteristici e distintivi si rincorrono nei ricordi, negli episodi, nelle
storie, nei racconti di quegli amici che hanno deciso di rivivere e far rivivere, vecchie
storie di un passato non molto lontano; di riscoprire le loro radici, di descrivere un
paese che non c’è più, ma che ancora esiste nella loro mente.
E’ una vecchia fotografia un po’ sfuocata le cui immagini sbiadite, ci offrono sensazioni particolari, con un po’ di rammarico, un po’ di tristezza, ma senza eccessivi
rimpianti.
Davanti agli occhi, sfilano personaggi particolari e assai caratteristici; riaffiorano
le memorie, si materializzano i volti, si ricordano nomi e cognomi, nomignoli e professioni;
Eccone alcuni dei più curiosi:
- Cianciaiola (pescivendolo)
- Tugnaren d’Bindulon (ateo – anarchico)
- Ciron d’Ziben (pastore)
- Cilisten D’Pavlon (macellaio)
- Parantonie (barbiere)
- Tori d’Capocia (fabbro)
- Tori d’Tigamen (oste)
LEONARDO MORETTI
Tanti altri ne incontreremo sfogliando il volume che risulta piacevole nei contenuti e nelle immagini, accanto ad episodi ed aneddoti assai curiosi ed inediti.
Ringrazio i protagonisti forse improvvisati, ma molto efficaci, di questa particolare esperienza letteraria, gli sono riconoscente e molto vicino.
Ho apprezzato questo lavoro ed ho aderito subito con entusiasmo;
Un lavoro iniziato quasi per caso, poi cresciuto progressivamente fino a diventare
una cosa seria, uno spaccato di vita, raccontato con semplicità, spontaneità e tanta
partecipazione.
Voglio aggiungere con un po’ di orgoglio, che le origini della BCC di Gradara,
la nostra banca, sono storicamente riferibili a quell’ambiente, a quelle circostanze,
a qualcuno di quei personaggi come Gradari Francesco e Giuseppe Moretti, che
furono soci fondatori nonché presidenti della cassa rurale.
Nel nostro racconto, si parla di una vita difficile, di miseria, di povertà, di mancanza di lavoro, di necessità di emigrare; si parla di malattie, di rinunce, di stenti,
di soprusi; si parla di gente semplice, di ignoranza, di situazioni culturali precarie,
di momenti politici difficili, di famiglie numerose, di bambini affamati.
Ed è proprio questa situazione, di sofferenza, queste circostanze di estrema precarietà, insieme alla volontà di non rassegnarsi, che hanno determinato e favorito,
le condizioni morali e sociali per la nascita, la crescita e lo sviluppo della Cassa
Rurale ora BCC di Gradara.
Penso allora a quel lontano otto dicembre 1910 quando Don Raffaele Ceccarelli
ed altri 19 soci fondatori, sottoscrissero di nascosto, nella cucina parrocchiale della
chiesa di S. Sofia dentro le mura, dopo essere entrati alla chetichella attraverso la
porticina del coro, l’impegno di costituzione della BCC di Gradara.
Dopo aver superato tante difficoltà, il regolare atto verrà sottoscritto di fronte al
notaio, il 25 Marzo 1911.
Tutto questo credo sia sufficiente per capire che l’ambientazione relativamente
alle origini della ex Cassa Rurale di Gradara è la stessa, indicata nel nostro racconto.
Possono variare di poco i periodi temporali degli avvenimenti, ma il contesto
storico e sociale, rimane invariato.
Gli autori, Leonardo Moretti, Giuseppe Moretti, Mario Gennari, Francesco Giusini, ai quali va la nostra ammirazione e il nostro riconoscimento per aver riscoperto
testimonianze storiche che si sarebbero altrimenti perdute, ci hanno riprodotto un
ambiente familiare dove la ex Cassa Rurale è cresciuta, si è sviluppata, riproducendosi nel tempo fino ad arrivare alle attuali 13 filiali dislocate su dieci comuni,
operanti a vantaggio di una popolazione composta da circa 420.000 abitanti.
Partendo appunto da quella situazione, di inizio secolo e dall’interno delle mura,
la BCC è diventata una delle realtà economiche più importanti della zona.
Questo libro dal titolo “Gradara –solo ieri ma così lontana” (personaggi, aneddoti e momenti di vita, prima e dopo la seconda Guerra Mondiale), comincia con
la descrizione del centro storico di Gradara e dei suoi abitanti, ma sfiora con i suoi
racconti seppur in modo indiretto, anche la storia recente e meno recente, della
BCC di Gradara.
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
Una banca, più che mai impegnata nell’attività imprenditoriale, che le consente la
promozione e l’incentivazione economica della zona di competenza, ma che è molto
sensibile nel favorire la crescita sociale e culturale della propria comunità.
Una banca, che giustifica con fatti concreti, il proprio radicamento sul territorio,
che fa della mutualità della sussidiarietà, della cultura, della cura e prevenzione della salute, del vantaggio al socio e della promozione sociale, la ragione essenziale del
suo essere.
Una banca, nata all’interno del centro storico, per combattere l’usura; cresciuta nel
Borgo, poi sviluppatasi fino ad assumere l’attuale valenza interprovinciale.
Questa pubblicazione la ritengo particolarmente significativa ed attuale perchè nel
riscoprire le proprie radici, i propri valori, le proprie tradizioni, riscopriamo intatti,
anche i valori della Banca di Credito Cooperativo di Gradara.
Proprio parlando di valori, vorrei ricordare alcuni personaggi importanti ma fuori
dai libri di storia che hanno caratterizzato un periodo relativamente recente della
storia di Gradara, ed una famiglia molto legata a questo territorio.
Intendo riferirmi al dott. Delio Bischi, al dott. Raul Tausani, alla famiglia Antonioli
che hanno saputo creare un valore aggiunto per questo Paese.
Delio Bischi dottore veterinario, ed imprenditore;
è stato un uomo di grandi vedute, un personaggio lungimirante, di cultura, e raffinata abilità promozionale.
A volte impulsivo, non sempre compreso, ma che ha saputo, curando e lavorando
ai propri progetti, affermare le proprie idee, e promuovere lo sviluppo di un intera
città.
Gradara by night, è stato il risultato di una sua grande intuizione legata inizialmente all’Hostaria del Castello, ed alla Casaccia, ma che poi, ha interessato e coinvolto
l’attività turistica dell’intero Paese.
Il ripristino dei camminamenti di ronda è conseguenza diretta, di una sua idea e
del suo interessamento.
Anche le sue ricerche storiche sulla Rocca, sono risultate determinanti per far conoscere Gradara in Italia ed in Europa. La BCC ha finanziato diverse sue pubblicazioni
di ricerca storica e di valorizzazione della memoria
Il dott. Raul Tausani, veterinario, insegnate, uomo di mondo, è stato un personaggio eccezionale molto legato a Gradara ed ai Gradaresi.
Non esisteva iniziativa pubblica su Gradara, che non lo vedesse fra i protagonisti.
Una figura straordinaria, pronto alla battuta, allo scherzo, di una disponibilità fuori
dal comune; una personalità inimitabile, un grande amico di tutti.
E’ difficile raccontare i suoi stati d’animo, i suoi comportamenti, la sua vivacità, le
sue invenzioni, interpretare i suoi gesti, il suo modo di conversare e comunicare con
gli altri.
Un grande uomo di sport, e come tale, un uomo giovane, che familiarizzava coi
giovani, un appassionato, un’entusiasta.
Sapeva trasmettere il suo umor, la sua vitalità, la sua esperienza di vita; un comunicatore, un trascinatore, ma soprattutto un maestro di vita, un uomo di grande
umanità.
LEONARDO MORETTI
Un inguaribile goliardico.
Mi piace ricordare la sua inesauribile voglia di divertirsi, di scherzare, di stare in
compagnia, di raccontare aneddoti, di inventare storie fantasiose, ma tanto verosimili, da essere poi il primo a crederci, fino a confondersi, a smarrire il confine fra
invenzione e verità, fra realtà e fantasia.
Oggi, parlare del dottor Tausani, mi suscita grande emozione, mi sembra di vederlo sorridere mentre racconta le ultime storie, le sue ultime fantasie ad un altro
personaggio scomparso di Gradara, il suo Grande Amico, Gino Bastianelli.
Fu grazie soprattutto a questi due personaggi indimenticabili, che il Gradara calcio,
negli anni ’70 poté militare nel campionato regionale di promozione, e competere
sportivamente con città come Pesaro, Urbino, Urbania, Cagli, Falconara, Senigallia,
Talentino, Jesi ecc.
Gradara, allora aveva poco più di duemila abitanti.
Anche questo è un bel pezzo di storia.
Il dottor Tausani fu amico di tutti, ma soprattutto di Gradara, e dei Gradaresi, con
un debole particolare per Gino Bastianelli, per Mario Urbinati che chiamava affettuosamente Mario ad Cagnon, per Augusto Serafini Tino Lisotti ed altri.
Raul Tausani era nato il 3 Giugno 1913 ma mi piace ricordarlo come il più giovane
di tutti noi, una persona semplice, instancabile, dinamica, sincera, imprevedibile,
sempre pronta a rendersi utile, sempre al centro dell’attenzione, un protagonista di
questo periodo storico, generoso ed assolutamente disinteressato.
Quando poteva, scappava da Pesaro, e lo trovavi quassù a Gradara, nel Centro
Storico, al Campo sportivo, al bar da Tori, da Gino Bastianelli, da Mario d’Cagnon,
da qualche agricoltore della zona.
La famiglia Antonioli, è stata una famiglia importante molto legata a Gradara, benefattrice della città, coinvolta negli eventi più importanti che hanno contribuito alla
sua crescita.
I Gradari, avi degli Antonioli hanno ricoperto, in periodi storici diversi, la carica di
Sindaco, del Comune di Gradara, e di Presidente della Cassa Rurale
L’attuale sede municipale, è un loro lasciato.
Sono numerosi i rapporti di collaborazione, con le varie Amministrazioni succedutosi, fino ad arrivare ai tempi di oggi, quando Antonioli Piero fra le varie proposte per
la vendita dei fabbricati posti all’inizio del Centro Storico, scelse quella della BCC di
Gradara che ebbe appunto un suo avo, Gradari Francesco come primo presidente.
Ritroviamo un Gradari, anche fra i fondatori della banda cittadina.
A proposito della Banda musicale di Gradara, vorrei ricordare che è nata nel 1887,
e dopo il Comune, è la più vecchia istituzione del Paese.
Quest’anno compie 120 anni dalla fondazione.
Ha attraversato momenti più o meno difficili, fondata e sostenuta dal Comune di
Gradara, finanziata in base alle prestazioni offerte, e col contributo e sacrificio dei
suoi componenti; ha mantenuto sempre la sua autonomia.
Il complesso bandistico di Gradara, così come tutti gli altri corpi bandistici centenari dei piccoli paesi, è depositario di un inestimabile patrimonio culturale e popolare,
di memorie e di costumi, tramandati di generazione in generazione.
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
Dobbiamo essere orgogliosi del nostro corpo bandistico, per i suoi valori, per le sue
tradizioni, per la funzione sociale ed educativa svolta in tutti questi anni.
La nostra banca continuerà ad essergli vicino, ed a sostenerlo per quanto possibile.
Prima di concludere, vorrei ricordare un episodio curioso, raccontato dal dott. Delio Bischi nel volume pubblicato dalla nostra banca in occasione del centenario della
Banda musicale.
“La domenica del 28 novembre 1976, racconta Bischi, era stata scelta, per i festeggiamenti a Santa Cecilia.
Nel tardo pomeriggio di quel giorno di festa, mentre il corpo bandistico in divisa
al completo, rompeva le righe, giunge telefonicamente la notizia della vittoria della
squadra del Gradara in trasferta a Cagli”.
Quell’anno, la locale squadra calcistica militava in 1° categoria e sempre nelle posizioni di testa.
“La banda ricompone le fila, e riprende a suonare. Dopo un’euforica attesa, ecco
arrivare le auto dei fedelissimi e dei giocatori, mentre la banda in mezzo alla strada,
attacca la marcia trionfale dell’Aida.
Sembrava di assistere al ritorno del argonauti dopo la conquista del Vello d’oro.
Il presidente Bastianelli novello Giasone, incredulo e particolarmente commosso,
mormorava: Tutta la Banda; è troppo; che sorpresa!
Non sapeva, e nessuno ebbe poi il coraggio di dirglielo, che si stava concludendo
nel migliore dei modi, la festa di Santa Cecilia”.
Voglio completare questo mio intervento proprio col ricordo di quel ritmo magico
ed un po’ antico della Banda musicale di Gradara che ci accompagna nelle manifestazioni importanti, e che è parte della nostra cultura, della nostra storia, componente
essenziale del nostro territorio.
Ringrazio i maestri e i dirigenti che si sono succeduti, nonché tutti i componenti
della Banda musicale,
Complimenti ed Auguri per i suoi primi 120 anni di vita.
Ringrazio Mario Gennari, Giuseppe Moretti, Francesco Giusini che con le loro
memorie, e le loro ricerche documentali e fotografiche, hanno consentito la pubblicazione di una pagina bella ed interessante della storia di Gradara,
Sono particolarmente grato a Leonardo Moretti per l’attenzione, la cura dei particolari, la scrupolosa verifica storica del racconto; per la capacità professionale di
sintesi e di coordinamento del gruppo di lavoro, per la chiarezza e semplicità di
esposizione dei ricordi.
Un pensiero di profondo riconoscimento, va a Don Raffaele Ceccarelli, ideatore e
fondatore della Cassa Rurale di Gradara.
A 4 anni dal centenario della sua fondazione, quella che lui chiamava un sogno da
matti è diventata una bella realtà, vanto della nostra comunità, e motivo di orgoglio
dei soci, dei collaboratori, degli amministratori,
una delle realtà economiche più importanti del nostro territorio.
Caldari Fausto
(Presidente BCC di Gradara)
LEONARDO MORETTI
PRESENTAZIONE
A
lla storia ufficiale, quella con la “S” maiuscola, degli eventi importanti,
dei personaggi famosi, che si studia sui libri, si accompagna sempre una
storia “minore”, che così definiamo solo perché vissuta allo stesso modo,
da migliaia di uomini e donne “comuni”, nei diversi luoghi del mondo.
Ogni paese, ogni borgo, ogni strada quindi ha la sua storia, legata a persone e
fatti, che solo chi ha vissuto o vive in quel posto può ricordare, collegare, cercare
di immaginare, interiorizzare, farne tesoro.
Questo libro ci permette di conoscere meglio la Gradara degli anni prima e
dopo la seconda guerra mondiale, la sua struttura urbanistica ed architettonica,
la gente che vi abitava, le abitudini quotidiane, le “gesta” di quelli che per motivi
diversi o per il loro carattere particolare o bizzarro, sono rimasti impressi nella
mente dei narratori.
La descrizione della miseria che imperversava nel dopoguerra, della ripresa
economica accompagnata dai primi turisti, del ritrovarsi al circolo “ACLI” per
guardare la televisione, che solo in pochi possedevano, della prima squadra di
calcio gradarese, del primo locale da ballo, ci presenta un quadro dettagliato di
un paese, difficile oggi da riconoscere in molte sue parti e che sembra appartenere
ad un periodo lontanissimo.
Ricco di aneddoti, personaggi e bellissime fotografie, questo volume ci offre
una piacevole lettura e una testimonianza importante del nostro passato.
Ciò che si coglie fra le pagine è che Mario, Francesco, Giuseppe e Leonardo si
sono divertiti a scrivere le “loro” storie e sicuramente attraverso il racconto, molti
episodi hanno perso la crudezza, la drammaticità, la sofferenza della realtà di
allora ed hanno guadagnato quella leggerezza e quella bonomia che la patina del
tempo ed il piacere del ricordo spesso donano alle cose lontane e passate.
Con immensa gratitudine accogliamo questo prezioso contributo che i nostri
concittadini hanno voluto dare alla storia e alla cultura locale.
IL SINDACO DI GRADARA
Franca Foronchi
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
LEONARDO MORETTI
INTRODUZIONE
È
trascorso ormai un anno da quando mio fratello Giuseppe mi chiese se
ero disposto a sistemare degli scritti riguardanti alcuni personaggi gradaresi vissuti prima e dopo la Seconda guerra mondiale. Scritti che aveva
steso in collaborazione con Mario Gennari e Francesco Giusini.
Inizialmente fui titubante e presi tempo: stavo ultimando una monografia su
Talacchio, inoltre non avevo voglia di nulla poiché da poco ero al corrente di
essere affetto da sclerosi (SLA) i cui effetti cominciavano a manifestarsi in tutta
la loro drammaticità. Ma non volevo scontentarlo, in fin dei conti mi chiedeva
solo delle dritte. Così quando ebbi in mano quegli scritti provai sentimenti struggenti che mi fecero sprofondare nella mia fanciullezza, ridestandomi ricordi
ormai persi nei meandri della memoria. Ero entusiasta e capivo che attraverso
quei racconti era possibile aprire una finestra sulla Gradara di quaranta, cinquant’anni fa. Una finestra importante, perché leggendo quelle storie, semplici
e divertenti, si poteva vedere l’evolversi della vita di un paese.
Tutto questo, però, non era sufficiente, ci voleva qualcosa in più, doveva
essere un’opera leggibile anche da coloro che non erano nati a Gradara. Quei
personaggi, così com’erano stati presentati, a persone forestiere e alle giovani
generazioni non avrebbero comunicato molto e, temevo, che non avrebbero
neppure suscitato interesse. Partendo da queste premesse, ho ritenuto indispensabile descrivere la Gradara di fine anni Quaranta, dei suoi esercizi, delle
attività artigianali, dei suoi palazzi, delle chiese, delle istituzioni.
Non ho mancato di mettere in evidenza le difficili condizioni di vita delle
classi più umili e la promiscuità igienica in cui vivevano. Nelle abitazioni l’acqua corrente era arrivata negli anni Trenta, ma nella stagione estiva i rubinetti
rimanevano asciutti perché non era sufficiente. Non tutte le case avevano il
cesso, e il bagno (così come l’intendiamo oggi) era prerogativa di pochissime
famiglie.
Si trovavano ancora stalle e porcili all’interno delle mura, spesso in promiscuità con gli uomini. La discarica pubblica era sul Monte delle Bugie: “El Mont
dli Bugì” (Il Monte delle Buche – Buca in dialetto gradarese si pronuncia bugia)
proprio perché da tempo infinito i gradaresi vi portavano le immondizie e vi
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
depositavano lo stallatico. Ognuno nella propria buca, per servirsene, successivamente, come concime. Fu, poi, il compianto amico Delio Bischi, con le sue
vulcaniche intuizioni, a “trasformare” le buche in bugie ad uso e consumo dei
romantici turisti che venivano a visitare la rocca, presi dalla vicenda di Paolo e
Francesca da Rimini.
Il luogo si addiceva agli incontri romantici, magari seduti al tavolo del bar
che nel frattempo era stato aperto al posto della discarica. Indotti da un così
ameno luogo, con un fresco spumante nei bicchieri, si potevano ammirare stupendi cieli stellati, ancor più scintillanti sotto l’effetto delle bollicine alcoliche.
In questi casi, si sa, le bugie escono... spontanee.
Fu il turismo che cambiò il volto a Gradara. Il turismo di massa che già negli anni Cinquanta si manifestava in tutto il suo potenziale. Potenziale che fu
capito e colto da Delio Bischi con la realizzazione dell’Hostaria del Castello, un
night dancing che all’epoca aveva pochi eguali. L’apertura dell’Hostaria cambiò la vita notturna di Gradara: arrivavano personalità dello spettacolo e gente
sfavillante nei vestiti da sera, con auto lussuosissime. I gradaresi, a tarda notte,
andavano a dormire accompagnati dal suono della musica dell’Hostaria e, per
loro, l’estate finiva quando il locale chiudeva per il sopravanzare della stagione
fredda.
Anni Cinquanta: l’avvento della televisione, prima nei bar, poi nel circolo
ACLI della Scuciarela. TV che avrebbe cambiato il mondo delle relazioni sociali
e dei costumi. Molti giovani ancora emigravano in cerca di un lavoro che da
noi si stentava a trovare. Ma molte cose, comunque, stavano cambiando. Con
il turismo crescevano le attività imprenditoriali e si realizzavano nuove opportunità di lavoro che negli anni Sessanta si concretizzarono determinando un
ritorno di molti emigranti.
Al fine di rendere ancor più coinvolgente il libro, sono state realizzate una
serie di interessanti immagini che mettono a confronto la Gradara di ieri con
quella di oggi, ripercorrendo più di mezzo secolo di storia.
Ringrazio Giuseppe, Mario e Francesco, per avermi dato la grande opportunità di realizzare una pubblicazione per Gradara e per i gradaresi, perché a loro va
il merito dell’input e della costanza con cui hanno raccolto testimonianze e foto.
Finora ho scritto tanti articoli di storia locale, ma per Gradara, se si esclude una
breve storia sulle sue chiese, non avevo fatto nulla di particolare. Questo libro, in
parte, chiude una lacuna. Rimane la speranza di poter affrontare nuovi temi in
un prossimo futuro.
Ringrazio il Presidente Fausto Caldari e tutto il Consiglio della Banca di
Credito Cooperativo di Gradara che sempre sensibili alle tematiche di storia e
tradizioni locali, hanno permesso la presente pubblicazione.
LEONARDO MORETTI
Ringrazio, inoltre, tutti coloro che con immagini o altro hanno dato il proprio
contributo per la realizzazione dell’opera.
Per sdebitarmi ho pensato di fare un omaggio alla comunità gradarese, riproducendo, sul retro copertina, lo stemma originale del Comune di Gradara
risalente al XVII secolo: al posto dei tre gradini sotto la “G” e le spighe di grano,
campeggiano tre monti.
Leonardo Moretti
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1 – Torre e Porta dell’orologio – Ingresso principale
2 – Mattatoio comunale
3 – Osteria dell’Olga e Palazzo del Fascio
4 – Palazzo Molari - Macelleria
5 – Fontana delle piazza
6 – Palazzo Maffei detto anche Scuciarèla
7 – Abitazione trasformata in albergo nel 1950
8 – Torre del campanone e ingresso di Porta nuova
9 – Chiesa del SS. Sacramento
10 – Farmacia
11 – Alimentari di Lidia Tamburini
12 – Canonica dell’arciprete di S. Sofia
13 – Chiesa di S. Sofia
14 – Palazzo Ceccarelli-Tausani
15 – Antico Palazzo municipale fino al 1862
16 – Palazzo Rubini-Vesin, ex sede municipale fino al 1986
17 – Scuola elementare - Teatro
18 – Trattoria della Nina
19 – Canonica parrocchiale
20 – Chiesa parrocchiale di S. Giovanni Battista
21 – Palazzina demaniale detta dei custodi
22 – Palazzo del Monte
23 – Rocca
24 – Osteria della Ida Tausani Moretti
25 – Torre caduta durante i restauri del 1949
26 – Spaccio e alimentari di Giuseppina Moretti Giorgi
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GRADARA NELLA TERZA A QUARTA DECADE
DEL NOVECENTO
I
l Secondo conflitto mondiale, per buona parte della Nazione italiana, ma soprattutto per le nostre zone, ha segnato un confine tra un mondo rurale, quasi
immobile nel suo essere e una società dinamica che velocemente tendeva ad
uscire dall’immobilismo, puntando al nuovo. L’evoluzione fu possibile grazie alla
grande crescita industriale e turistica. In quegli anni che fecero da spartiacque tra
l’antico e il moderno (un paio di lustri o poco più), a Gradara, personaggi alle
volte pittoreschi, alle volte più che rispettabili, hanno convissuto o si sono alternati, caratterizzando un’epoca con le loro azioni. Proprio di questi personaggi
vogliamo parlare e attraverso loro raccontarvi della vita e dei momenti che hanno
segnato quel periodo.
Prima di addentrarci nei particolari pensiamo sia necessario aprire una finestra sulla società gradarese del tempo, divisa fra lavoratori giornalieri, artigiani
e pochi possidenti (abitanti, per lo più, all’interno delle mura castellane). I giornalieri risiedevano in maggioranza a Borgo Mercato (agglomerato di povere
case che si stendevano ai piedi dell’erta salita che portava alla cinta castellana)
non vedevano di “buon occhio” i castellani, perché all’interno della mura vi
abitavano impiegati, signori e gente che se la poteva passare abbastanza bene.
Inoltre, tutte le istituzioni erano ubicate nel castello: municipio, chiesa, uffici
amministrativi, scuole e anche questo contribuiva a creare una specie di differenza fra gli abitanti di Borgo Mercato e i castellani. Ma anche tra i castellani
c’era chi aveva poco o niente e viveva d’espedienti cercando, come si dice, di
sbarcare il lunario.
I fatti che andremo a raccontare si svilupparono in questo contesto e così, semplicemente, vogliono mettere l’accento su un mondo che ormai non ci appartiene
più, ma che nel bene e nel male è stato un aspetto del nostro mondo, il mondo
gradarese di metà secolo ventesimo e della nostra fanciullezza.
Prima di proseguire è il caso di vedere come si presentava il centro castellano
e i borghi: Mancini e Mercato. Il primo si trova fuori, ai piedi della mura, sotto la
torre dell’orologio, il secondo poche centinaia di metri, in linea retta, più a valle.
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
3 - L’inizio di Via Umberto I con la Porta dell’Orologio ingresso principale al centro fortificato. Sulla destra l’ez Palazzo Antonioli, in fase di restauro, oggi proprietà della Banca di
Credito Cooperativo di Gradara (ex Cassa Rurale).
GRADARA NELLA TERZA A QUARTA DECADE DEL NOVECENTO
4 - Via Umberto I e la Torre dell’Orologio in un’immagine di fine Ottocento. Sulla destra
Casa Antonioli e l’ingresso alla farmacia. In primo piano i greppi privi di sostegno.
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
Borgo Mancini era formato da poche abitazioni che si affacciavano su un
vasto piazzale. In questi edifici trovavano sede esercizi commerciali e artigianali
come lo spaccio dei sali e tabacchi di Giuseppina Moretti detta la Pipena d’Chichèn,
moglie di Francesco Giorgi (Chichèn non è altro che il diminutivo di Francesco);
l’osteria della Ida Tausani (oggi pizzeria da Berto); l’officina da fabbro ferraio di
Oreste Giorgi. Vi era pure la casa detta delle suore, sede dell’asilo infantile, gestito, appunto, dalle religiose cattoliche. L’edificio più imponente per la sua vastità
era ed è ancor oggi, il palazzotto che fu della famiglia Antonioli (oggi del Credito
Cooperativo di Gradara), che, facendo angolo, si affaccia sia sullo spiazzo del
Borgo che lungo la ripida via Umberto I, andandosi a chiudere sotto le mura castellane. Inglobata sul lato est del palazzotto Antonioli, vi era la casa dei mezzadri
che coltivavano i terreni della stessa famiglia. Attiguo a questo edificio, sotto le
5 - Borgo Mancini e la Torre dell’Orologio nel 1915. Si notino le nuove strutture: sulla
sinistra il muro di contenimento del terrapieno e a destra la pompa che prendeva acqua
dalla sottostante cisterna (deposito piovano). Alle persone elegantemente vestite vicino ad
un automobile si contrappone l’uomo con le pecore che pensieroso e incurante degli astanti
cammina per la sua strada.
GRADARA NELLA TERZA A QUARTA DECADE DEL NOVECENTO
mura castellane del versante sud-est, si stendeva il campo della fiera del bestiame,
trasformato, all’occorrenza, in gioco del pallone (oggi vi è il parcheggio auto).
Imboccando via Umberto I da Borgo Mancini e salendo, a sinistra, di facciata
al Palazzo Antonioli, troviamo una variegata tipologia edile che richiama ad antiche strutture abitative e commerciali. Superata la porta dell’orologio, si entra
dentro il borgo castellano.
6 - La Torre e la Porta dell’Orologio nei primi
anni Cinquanta.
7 - La stessa immagine nel 2006.
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
Qui non possiamo a fare a meno di un inciso: la
porta così come la vediamo oggi è stata deturpata
da un restauro inappropriato (1998) che non si è
limitato alle sole ante in legno (aggiunta di pezzi
inesistenti alla base), ma anche alla variazione
dell’inclinazione dell’asse viario. Nell’occasione la
porta fu “ribattezzata”, in maniera ingiustificata
“Porta Firau”. Prima di tale restauro, le ante della
porta erano, nella parte inferiore, tagliate a sbieco e
assecondavano, quando erano aperte, l’inclinazione
della via, mentre, quando erano chiuse, presentavano alla base, un pertugio a triangolo isoscele con
il vertice al centro della porta stessa, posto a circa
40/50 centimetri dal suolo. L’apertura triangolare,
aveva una precisa ragione di essere: serviva per lasciare passare le acque che scendevano dalla piazza
durante la pioggia, soprattutto durante i nubifragi
e i violenti temporali estivi. Ancor oggi, nonostante
le captazioni fognarie, quando piove con veemenza,
l’acqua si riversa a valle passando sotto l’arco della
porta dell’Orologio. Così, come è stata restaurata,
se oggi chiudessimo il massiccio portone durante
un temporale, creeremmo una vera e propria diga.
Inoltre, non possiamo non esternare lo sconcerto
che ci ha preso quando abbiamo visto la targa rossa
posta sul suo montante destro (lato Borgo Mancini)
con l’intestazione: “Porta Firau”. Firau? Chi era costui? E poi, quanto mai i gradaresi hanno indicato la
8 - Elaborazione fotografica
di come si presentava la porta
chiusa prima del recente restauro. Si noti il taglio alla base
dei battenti che consentiva lo
scorrere dell’acqua durante la
pioggia.
9 - L’iscrizione come appare nei battenti della Porta dell’Orologio.
GRADARA NELLA TERZA A QUARTA DECADE DEL NOVECENTO
porta principale d’ingresso al loro paese come Porta Firau? Per capire come è nata
questa falsa attribuzione bisogna rifarsi all’iscrizione incisa sui due battenti della
porta stessa. Questi, una volta chiusi, sulla parte che guarda fuori le mura si legge:
“PORTA/FIRAV 1697”. Nella riga sotto: “GIOSEPPe/VICHI * F * H * P *”. Prima
di questa data, la porta in parola era munita di ponte levatoio che scavalcava un
profondo fossato. Venuti a meno i presupposti (difesa contro attacchi di eserciti
nemici) si smantellò il ponte che necessitava di costosa e complessa manutenzione, si riempì il fossato e si chiuse l’ingresso con un portone munito di due ante,
più che sufficiente per ripararsi dai pericoli che potevano derivare, ormai, solo
da atti criminosi. Per ricordare l’evento, eseguito sotto l’egida di Giuseppe Firrao
(calabrese), vicelegato di Urbino e Pesaro, il falegname che fece il portone, incise il
suo nome, l’anno dell’esecuzione e, probabilmente dietro volontà dei maggiorenti locali, il cognome del vicelegato, quale segno di gratitudine e piaggeria, sempre
comune, allora come oggi. Ecco
il perché di quel cognome inciso
sulla porta (fra l’altro storpiato
da Firrao a Firau).
Non sono mai stati trovati
documenti storici che citano
l’ingresso castellano come Porta Firau, perché il “caso” non
è mai esistito: per tutti gli abitanti di Gradara la Porta, era la
Porta principale d’ingresso al
paese, successivamente chiamata Porta dell’Orologio (per
l’orologio pubblico posto sopra
di essa) per distinguerla da
Porta Nuova, aperta sul lato di
ponente delle mura castellane.
Con un po’ di buona volontà,
si potrebbe riportare il tutto al
suo primitivo aspetto, ma una
cosa ci auspichiamo che venga
presa subito: la collocazione di
una targa con la dicitura “Torre
10 - Nella foto sono ben visibili la variazione deldell’Orologio”, in sostituzione
l’inclinazione dell’asse viario, eseguita durante il
della presente.
restauro del 1998 e la base dell’anta della porta non
più tagliata a triangolo ma parallela al piano.
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
11 - L’arco dell’Orologio ripreso dall’interno delle mura – Sarebbe impossibile chiudere il
portone durante un temporale: l’acqua piovana non riuscirebbe a defluire.
GRADARA NELLA TERZA A QUARTA DECADE DEL NOVECENTO
12 - La Piazza fotografata dalla
Porta dell’Orologio alla fine degli
anni Quaranta.In primo piano,
sulla sinistra, l’edificio che sarà
trasformato in albergo.
13 - La stessa immagine della foto
sopra ripresa nel 2006.
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
14 - La sede del Partito Fascista gradarese.
Si notino i fasci littori appesi sulla facciata.
Sotto i portici trovavano spazio i tavoli dell’Osteria dell’Olga.
15 - Una foto acquerellata degli anni Trenta
con la Torre dell’Orologio e la sede del Fascio
GRADARA NELLA TERZA A QUARTA DECADE DEL NOVECENTO
16 - La Piazza, la
Torre, la Porta e il
bar “Ristoro all’ex
Corpo di Guardia”
(una volta Osteria
dell’Olga) nell’estate del 2006.
17 - I tavoli del
bar “Ristoro all’ex
Corpo di Guardia”
nell’estate del 2006.
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
18 - Via Umberto I alla fine degli anni Cinquanta: c’era solo la trattoria della Nina. Dove
oggi sfavillano le vetrine dei negozi, allora si aprivano gli ingressi delle abitazioni. Sulla
sinistra il Palazzo Rubini-Vesin con l’ingresso al Municipio e la sede dell’Ufficio Postale.
Ritornando sul giro, dopo l’ingresso all’interno delle mura castellane, al visitatore si presenta una ampia, erta e rettilinea via, che si chiude in cima sotto
due torri. Ai lati della via si diramano dei vicoli, quasi tutti paralleli fra loro, più
o meno larghi, sui quali stringono le abitazioni. Sulla piazza, come chiamano i
gradaresi via Umberto I, da sempre si affacciano case e palazzine che in passato
ospitavano negozi, istituzioni e famiglie benestanti gradaresi. Oggi, il progresso e
l’attività commerciale hanno stravolto l’antico assetto socio-abitativo, riducendo
l’antico centro castellano in un bazar, privo di uffici istituzionali, dove risiedono
stabilmente poche decine di famiglie (circa 50 persone). Anche l’antica parrocchiale di S. Giovanni Battista è stata esautorata, a favore della più recente chiesa
di S. Giuseppe sorta a Borgo Mercato.
Tralasciando considerazioni che hanno un sapore nostalgico, frutto dei ricordi della fanciullezza, che, forse, mal si addicono con l’ineluttabile evolversi del
tempo, continuiamo la nostra retrospettiva visita al borgo castellano. Il primo
palazzetto sulla destra presenta due ampi archi gotici che ne identificano la vetu-
GRADARA NELLA TERZA A QUARTA DECADE DEL NOVECENTO
19 - Via Umberto I, con la serie ininterrotta di negozi.
stà (secolo XIV), sotto il porticato trovavano spazio i tavoli dell’osteria dell’Olga
Moretti, mentre sul fronte opposto c’era la macelleria di Amato Molari, conosciuto con il nome di Celestino.
Continuando il cammino e superando, a destra il vicolo Della Rovere e a sinistra
quello Della Fiera, si trovava e si trova Palazzo Maffei, donato, sul finire dell’Ottocento, dal conte Bonacossi di Lugo alla parrocchia al fine di creare un centro per
le associazioni cattoliche. Il palazzo era più conosciuto con il nome di Scuchiarèla,
al cui interno vi erano anche gli uffici della Cassa Rurale ed Artigiana di Gradara,
mentre di fronte c’era un fatiscente palazzo che pochi anni dopo sarebbe stato
trasformato in albergo. Tra i due edifici la piazza si allargava e si allarga al centro
presentando tutt’ora una fontana di metallo, munita di rubinetto, al tempo meta
costante delle donne gradaresi che andavano ad approvvigionarsi d’acqua con
gli orci. Per gli abitanti di Gradara l’approvvigionamento idrico è stato sempre
un problema. Il paese era privo di fonti, nei tempi che furono, la gente si serviva
di acqua piovana raccolta in tre cisterne: una di queste era collocata proprio in
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
20 - La Scuciarèla in una foto degli anni Settanta - Sede delle Associazioni Cattoliche, per
diversi anni ospitò gli uffici della Cassa Rurale ed
Artigiana di Gradara, nonché il Circolo Cittadino.
Al centro l’antica fontana di acciaio e ghisa.
21 - 1956, la ragazzina Edel Moretti aiutata da
Dea Sanini (Cici), moglie di Libero Molari, con gli
orci preleva l’acqua dalla fontana. Sullo sfondo
l’ingresso alla Farmacia.
GRADARA NELLA TERZA A QUARTA DECADE DEL NOVECENTO
22 - La Scuciarèla nel settembre 2006.
mezzo alla piazza, sotto la fontana (le altre due erano collocate: una nel cortile
della rocca e l’altra nel piazzale di Borgo Mancini, davanti all’ingresso dell’attuale Palazzo del Municipio). Ad onor del vero, già dagli anni Trenta, le case dei
gradaresi erano servite da acqua potabile dell’acquedotto comunale, ma questa,
spesso, non aveva la pressione sufficiente per arrivare all’interno delle abitazioni,
mentre usciva dalle fontane pubbliche (filava) perché poste più in basso. Non
era infrequente, alla mattina presto, trovare vocianti file di donne in coda con gli
orci alla fontana della piazza, all’apparenza tutte spazientite, ma, probabilmente,
anche contente di perder tempo ad ascoltare e partecipare ai pettegolezzi.
Salendo ancora, sulla destra, nel locale ove oggi c’è il Museo Storico, nel giro
di pochi anni si sono alternati: un generi alimentari, condotto da Luigi Benvenuti,
un bar, gestito da Terenzio Bertozzi, e, infine, la farmacia della dottoressa Feliciani (nei primi anni Sessanta la farmacia fu trasferita a Borgo Mercato). Di fronte a
questo edificio si trova ancora la settecentesca chiesa del Santissimo Sacramento.
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
23 - La chiesa del
SS. Sacramento.
Questa fu costruita nel 1750 sulle fondamenta di una precedente chiesa, voluta,
sul finire del XVI secolo, dalla duchessa di Urbino Vittoria Farnese (moglie di
Guidubaldo II Della Rovere) per essere destinata ad ospitare le funzioni e le celebrazioni della neonata (1577) Compagnia SS. Sacramento. Infatti, dietro il fervore
religioso promosso dalla Controriforma principiata dal Concilio di Trento, prese
auge l’adorazione del Corpo di Cristo, promuovendo, in tutt’Italia, compagnie
religiose legate al suo nome. La duchessa Vittoria, al tempo governatrice della
Terra di Gradara, volle fortemente e sostenne l’istituzione della confraternita che
GRADARA NELLA TERZA A QUARTA DECADE DEL NOVECENTO
24 - L’interno della
chiesa del SS. Sacramento con la tela di Antonio
Cimatori datata 1595.
Il quadro è stato recentemente restaurato con
il contributo della Banca
di Credito Cooperativo
di Gradara.
trovò “ospitalità”, in un primo momento, nella chiesa di S. Sofia e, vent’anni dopo
(1597), in un proprio oratorio edificato ex novo al centro del paese. L’attuale tempio, costruito, come si è detto nell’anno 1750, risente già dell’influsso neoclassico
presentando una gentile facciata (con lesene e nicchie a motivi geometrici) culminante con un timpano aggettante, sormontato da una croce in ferro collocata su
un grande basamento di travertino. Al suo interno, posta dietro l’altare maggiore,
vi è una tela (recentemente restaurata a cura della Banca di Credito Cooperativo di Gradara) rappresentante l’Ultima Cena di Cristo con gli apostoli, opera
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
25 - La piazza in una bella immagine dei primi anni del Novecento. Si noti, sullo sfondo, la
mancanza della torre a fianco del campanile
della chiesa di S. Giovanni. Torre ricostruita
nel 1923.
26 - La nuova torre e la porta che dà accesso all’interno del primo girone di mura
castellane ricostruite nel 1923.
GRADARA NELLA TERZA A QUARTA DECADE DEL NOVECENTO
del pittore urbinate Antonio Cimatori
(1550/1623) datata 1591. L’opera è una
copia (di maggiori dimensioni) dello
stendardo eseguito da Tiziano Veccelio
per la Compagnia del Corpus Domini
della città di Urbino. La chiesa è dotata
di un organo settecentesco, opera del
veneziano Calido.
Proseguendo, superate le vie Dante e via XI Settembre, a destra c’era la
bottega di generi alimentari della Lidia
Tamburini moglie di Tullio De Biagi
detto Bagion (vendevano anche legna,
bombole di gas e carbone). Di fronte
al loro negozio e abitazione si ergeva,
come oggi, il Palazzo dei Tausani-Ceccarelli, nelle cui cantine si entrava dalla
piazza. Nel periodo della vendemmia, i
contadini di Casa Ceccarelli - Tausani,
27 - La stessa immagine della foto a lato in dai campi, con carri trainati dai buoi,
un disegno del 1788 (Archivio parrocchiale trasportavano l’uva fino alla cantina del
di S. Giovanni Battista) – Si noti che il cam- “padrone”: le povere bestie, a volte atpanile trovava collocazione nella torre di
taccate a stròppa (due, tre o quattro paia,
sinistra.
poste una davanti all’altra concatenate
fra loro), arrivavano alla cantina, trascinando il pesante biroccio carico di casse
stracolme di uva, passando da Porta Nuova. Arrivavano con la bava alla bocca,
tanta era la fatica che dovevano fare su per gli erti volti che conducevano all’abitato castellano. Per giorni, poi, passando per la piazza, si sentiva l’inebriante
odore del mosto che usciva dall’inferriata della cantina.
Salendo ancora, dopo la casa dei De Biagi, vi era e vi è il palazzo che dall’età rinascimentale all’Unità d’Italia fu sede comunale. Ospitava la caserma dei
Carabinieri, il Monte di Pietà e vi era anche il centralino dell’azienda telefonica
nazionale TIMO gestito dalla Famiglia Bertozzi. Negli anni Cinquanta tutto il
palazzo fu occupato da alcune famiglie a pigione. Proseguendo, superando Via
Roma e Via Rubini, a destra vi erano abitazioni di modesta costruzione, piccole,
addossate l’una all’altra, sviluppate in altezza, in una specie di sovrapposizione
di locali (oggi esteriormente e internamente rimaneggiate). In cima a questa fila di
edifici c’era la Trattoria della Nina, moglie di Terenzio Bertozzi. A sinistra, invece,
si affacciava e si affaccia sulla piazza il Palazzo Rubini-Vesin dal basso ma discre-
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
28 - Anni Venti: sulla destra il palazzetto dei Tausani, a sinistra l’antichissimo Palazzo comunale (l’ingresso ripreso a metà) allora sede della Caserma dei Carabinieri, poi del centralino
dell’azienda telefonica TIMO.
29 - La stessa immagine della foto precedente nell’agosto 2006.
GRADARA NELLA TERZA A QUARTA DECADE DEL NOVECENTO
30 - Via Zanvettori. A sinistra, dopo
l’auto, con il tetto rialzato, il teatro
comunale, prima e dopo gli edifici che
ospitavano le scuole elementari.
31 - Via Zanvettori. Sullo sfondo la
palazzina di proprietà demaniale detta
dei Custodi.
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
32 - La Riviera romagnola
vista da Porta Nuova nei primi
decenni del Novecento. Nell’immagine, per quanto non
nitidissima, si scorge una lingua di terra che divide il mare
in “due golfi”.
33 - L’odierno profilo della riviera
GRADARA NELLA TERZA A QUARTA DECADE DEL NOVECENTO
to profilo settecentesco, sede
comunale dal 1862 al 1986. Palazzo Rubini-Vesin si prolunga
a forma di U, sia per via Rubini,
sia per via Zanvettori e proprio
in quest’ultima si aprivano gli
ingressi delle scuole elementari. Dopo la Trattoria della Nina,
superata via Parrocchiale, si
trovava e si trova la vecchia
canonica della chiesa di S. Giovanni, in quel periodo meta di
tutti i ragazzi del paese, non
solo per le lezioni di catechismo,
ma anche per i giochi che vi si
potevano praticare. La canonica
si appoggiava e si appoggia alla
prima cinta di mura castellane.
Di fronte alla canonica, sul lato
opposto della piazza, al tempo,
una piccola casa con il cortile
finiva contro le stesse mura. Tra
i due edifici, come si è detto, si
trova la piazza, che terminava e
34 - La stessa foto della pagina precedente circa ottermina
sotto la porta castellana
tant’anni dopo: il profilo della riviera sembra cambiato.
che immette nello spiazzo davanti alla chiesa di S. Giovanni Battista.
Sui diversi vicoli si affacciavano case di modeste dimensioni, con stalle e stallette. Non mancavano eccezioni, come il Palazzo Del Monte in Via Roma, o il
Palazzo così detto dei custodi (perché ospitava le famiglie dei custodi della rocca)
in fondo via Zanvettori. Ecco come si presentava il centro castellano gradarese a
metà del secolo XX. Non era certamente lindo, almeno nelle vie laterali, tenendo
conto delle pecore, dei maiali e degli animali da cortile che circolavano (nonostante i divieti). Inoltre, la mancanza dei servizi igienici all’interno di molte abitazioni, faceva modo, da antichissima data, che lo spazio formato dalle apertura
delle torri poste lungo il perimetro delle mura di cinta fosse trasformato in latrina
pubblica. Per la verità vi era un cesso pubblico, posto dietro la casa dei Molari,
in via Malatestiana, recentemente abbattuto. Per i bisogni notturni, quasi tutti
usavano il pitale che veniva poi vuotato in grandi vasi e questi, a sua volta, erano
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
35 - Una suggestiva immagine del paese e della campagna nel gelo della galaverna nei
primi anni Sessanta.
GRADARA NELLA TERZA A QUARTA DECADE DEL NOVECENTO
scaricati, ogni mattina, al Monte delle Bugie, dove esisteva la discarica pubblica.
Vi lasciamo immaginare lo spettacolo!
Da Borgo Mancini si scendeva per una scoscesa e dritta via, a Borgo Mercato.
La strada è ancor oggi denominata “la Costa”, nome che delinea la sua tipologia.
La Costa sprofondava tra due alte scarpate alberate e a fianco della carreggiata,
sulla sinistra, scorreva un fossato che portava a valle le acque piovane.
36 - I coniugi Bertozzi,
Terenzio e Nina, sulla
porta dell’antico Palazzo
Comunale che ospitava
la centrale della TIMO.
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
37 - La foto scattata negli anni Venti - Trenta, è colorata. Si noti in bella
evidenza la strada detta di Bagarén o
Sotto il Bosco, scorciatoia per arrivare al
castello salendo dalla stazione ferroviaria
di Gradara. Dietro le mura si scorge la
mole della chiesa di S. Sofia demolita alla
fine degli anni Trenta per i postumi del
terremoto che colpì la zona nel 1930.
38 - L’attuale stato della strada Sotto il
Bosco all’innesto con la provinciale Gradara – Colombarone.
GRADARA NELLA TERZA A QUARTA DECADE DEL NOVECENTO
39 - Ragazzini a Borgo Mercato nel 1953.
1
19
2
9
4
3
1.
2.
3.
4.
5.
Gaudenzi Iole
Gaudenzi Bruno
Gennari Terenzio “Pali”
Gaudenzi Romolo
Del Magna Daniele
6
6.
7.
8.
9.
10.
13
15
16
7
5
11
10
8
Del Magna Otello
Baldelli Dirce
Baldelli Igino
Giusini Marco
Del Magna Vanda
14
17
18
12
11.
12.
13.
14.
15.
Gaudenzi Anna
Del Magna Mara
Gaudenzi Maria
Del Magna Learco
Gaudenzi Libera
16.
17.
18.
19.
Lisotti Giulio
Gaudenzi Fabio
Cesaroni Alvaro
Balestrieri Argia
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44
GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
Oggi, l’antico percorso non è cambiato; ha subito soltanto piccole variazioni:
il fosso è stato chiuso con dei tubi e, di conseguenza, è stata ampliata la sede
stradale, completata, a sua volta, con l’asfaltatura. Sul lato destro, scendendo,
sono sorte alcune abitazioni, che di fatto, hanno saldato Gradara a Borgo Mercato
in un unico centro.
Nel periodo da noi preso in considerazione, la prima casa che si incontrava
scendendo per la Costa, era la casa della Iósta (Giustina Della Santa) che, con i
familiari, gestiva il forno. Nei giorni di scirocco, su, a Gradara, dal forno della
Iósta arrivavano soavi profumi che mettevano l’acquolina in bocca: il profumo
del pane appena sfornato era qualcosa d’inebriante. Scendendo ancora si arrivava nel centro di Borgo Mercato, formato da case di modeste dimensioni collocate
sul bordo delle strade che si dipartivano per Colombarone e Pesaro, per Tavullia
e per Cattolica. Qui si trovavano diverse botteghe di artigiani: falegnami, bottai, fabbri ferrai, sarti, calzolai. Nel cuore di Borgo Mercato, vi era anche una
antichissima chiesa dedicata alla Madonna (XIV secolo), appartenente alle confraternite del Gonfalone e del Rosario, con un bello stemma malatestiano sopra
il portale. La chiesa fu abbattuta in conseguenza dei danni subiti dal terremoto
del 1930. Durante la demolizione furono trovati degli scheletri umani posizionati
40 - L’osteria di Borgo Mercato alla fine degli anni Cinquanta.
GRADARA NELLA TERZA A QUARTA DECADE DEL NOVECENTO
41 - Panoramica di Gradara vista da sud, con la strada che conduce a Pieve Vecchia – Monteluro. Sulla destra, in primo piano, a ridosso della carreggiata, la piccola cappella dedicata
a S. Giorgio. A sinistra, dopo il pagliaio, il mulino a grano della famiglia Betti.
42 - Ottobre 2006.
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
in maniera verticale, in nicchie ricavate nello spessore dei muri. Sopra un cranio
di quei poveri resti, si trovò una specie di bacile metallico, probabilmente un
elmo di semplice fattura. Oggi, dove sorgeva la chiesa, vi è uno spiazzo adibito
a parcheggio.
Poco fuori da Borgo Mercato, sulla destra, andando verso La Pieve VecchiaMonteluro, vi era, fino a qualche decennio fa, una palazzina comunemente chiamata Mulino dell’Olio, perché in un locale vi era il frantoio delle olive. Oggi,
sull’area della palazzina, sorge un centro commerciale che all’ingresso ha, in bella
mostra, l’antico frantoio a testimonianza dei tempi andati. Subito dopo lo stabile
del mulino a olio, vi era l’edificio del mulino a grano dei signori Betti. Sul lato
opposto della strada, di fronte al mulino dei Betti, vi era una piccola cappella
dedicata a S. Giorgio: qui, a grandi linee, possiamo affermare che, a quei tempi,
finiva l’agglomerato urbano gradarese.
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FATTI ED EVENTI
I turisti
Già negli anni Trenta sulla Riviera Romagnola si era sviluppato un turismo
balneare di notevole portata, spinto anche dal fatto che l’allora capo del governo
italiano, Benito Mussolini, aveva fatto di Riccione la sua stazione abituale per
i bagni estivi. Da Riccione, ma anche da Cattolica e da Gabicce Mare, diversi
turisti arrivavano a Gradara per visitare la rocca, da poco restaurata e portata al
primitivo splendore per opera dell’ingegner Zanvettori. Tanti arrivavano a piedi
passando per i sentieri di campagna, altri si servivano di biciclette e tandem.
43 - Gradara vista da sud-est. Oltre le mura si notano le chiese di S. Sofia e di S. Giovanni
Battista, quest’ultima priva di abside che fu costruita nei rimaneggiamenti del 1936. Ben
visibile la strada detta di Bagarén.
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
Alla fine degli anni Quaranta, sapendo dell’arrivo dei turisti con i velocipedi,
noi ragazzi gradaresi andavamo ad attenderli all’inizio della salita, in fondo alla
strada di Bagarén (oggi De Nicolò) detta anche Sotto il Bosco, offrendoci di portare la bici fino al paese per prendere qualche lira di mancia.
La maggior parte dei ciclisti sfruttava l’unica strada asfaltata che dalla Statale
Adriatica saliva a Gradara, cioè il tratto Colombarone - Borgo Mercato - Gradara
che, nel suo tragitto, toccava anche la stazione ferroviaria gradarese. Tutte le altre
strade erano imbrecciate. La strada di Bagarén permetteva di accorciare il percorso per arrivare al castello, sebbene fosse bianca, per cui, i già stanchi vacanzieri,
acconsentivano volentieri a farsi aiutare. Alle volte si riceveva solo un grazie
e si faceva buon viso a cattivo gioco, mugugnando un: “Prego!” Non privo di
delusione.
Il primo taxista
Il via vai di turisti a piedi e in bici, non era
sfuggito ad un intraprendente giovane: Marino Magi detto Balà che, deciso a sfruttare la
situazione, acquistò una vecchia automobile
(una Lancia), acquisì la licenza di taxista e
iniziò a fare la spola tra la stazione ferroviaria
di Cattolica e Gradara, facendo buoni affari.
Buoni affari li facevano anche le tre osterie del
posto che si adeguarono ai tempi: cambiarono il nome all’insegna (da osteria a bar) e si
misero a vendere, oltre alle tagliatelle, panini,
torta margherita e vino moscato, definito, con
eufemismo, “Moscato di Gradara”. Per i gitanti andava bene tutto, anche quel moscato
che di vino aveva poco o nulla: le sue fresche
bollicine, il suo dolce sapore, nella calura
44 - Marino Magi (Balà).
estiva costituivano un piacevole sollievo alla
sete. Più tardi, alla fine degli anni Cinquanta,
si capì, più per intuito che per scienza, il valore del vero prodotto locale e venne
lanciata la piadina (a Gradara chiamata crescia – gli ingredienti non differiscono
dalla piadina) che, con il prosciutto o il salame o il formaggio, costituiva e costituisce un piacevole “diversivo” alla tradizionale merenda.
FATTI ED EVENTI
Il primo albergo
Il crescente turismo attirò investitori forestieri così agli inizi degli anni Cinquanta Giuseppe Virgili originario di Fermo, acquistò un vecchio e fatiscente
palazzo al centro di Gradara, sulla via Umberto I (definita dai gradaresi genericamente piazza) lo fece abbattere e vi costruì un moderno edificio ad uso di albergo
e ristorante.
Il dopo guerra trovò Gradara, non solo Gradara, ma tutt’Italia piegata dall’immane catastrofe bellica: bisognava ricostruire tutto. Iniziarono, così, interventi
pubblici con il doppio intento di creare lavoro per il gran numero di disoccupati
e per ristrutturare le principali opere funzionali indispensabili a ogni società
moderna.
45 - Estate del 1953, alcuni turisti fotografati davanti all’Albergo Virgilio (sulla destra con i
tavoli in piazza). Si noti la fatiscente vela del campanile dell’orologio priva di campane e di
cuspide. A sinistra si vede la “vetrina” della farmacia e la fontana pubblica.
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
La caduta del torrione a Borgo Mancini
Nel 1946 iniziarono i lavori di restauro delle mura castellane che avevano subìto numerosi oltraggi nel corso dei secoli, sia da eventi naturali come i terremoti
del 1916 e del 1930, sia dai bombardamenti. L’intervento prevedeva anche il rafforzamento del torrione ovest di Borgo Mancini, torrione d’angolo (il secondo a
sinistra guardando la Torre dell’Orologio dall’esterno). L’intervento prevedeva
46 - Il torrione di Borgo Mancini caduto durante i lavori di restauro del 1946. Nella foto
l’attuale torre ricostruita ex novo.
FATTI ED EVENTI
47 - Gradara anni Trenta. Benito Mussolini all’uscita dal municipio (Palazzo Rubini-Vesin)
dopo una visita informale. Il Duce, durante le sue vacanze a Riccione, visitava spesso la rocca,
ospite della signora Alberta Porta. Testimoni oculari ci riferirono che si trattava di visite di
pura cortesia. Probabilmente fu durante queste incontri che venne delineato e successivamente perfezionato il passaggio di proprietà della rocca allo Stato italiano.
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
un rinforzo delle fondamenta, messe a nudo dai naturali smottamenti del terreno, per cui si dovevano eseguire piccoli scavi sotto di esse e prolungarne la
profondità con materiale adatto.
Iniziati i lavori, un giorno, durante la pausa di mezzogiorno, mentre tutto il
paese si era fermato per il pranzo, il torrione cascò giù con un rombante tonfo:
la terra tremò, la gente uscì fuori dalle case impaurita e vide la grande nube di
polvere che si alzava da Borgo Mancini. Non ci volle molto a capire cosa fosse
successo. Per pura fortuna, nessuno rimase coinvolto, solo la casa dei Tamburini
(detti Bachièn) sottostante alla torre (al momento disabitata) subì gravi lesioni.
I lavori d’ammodernamento del paese proseguirono e nel 1949 venne realizzata la nuova pavimentazione, con il selciato di sampietrini. In uno di questi, in
Piazzale Venturi, a pochi metri da Porta Nuova vi era scritto, con una scalpellata
stentorea, non ben visibile: “W IL DUCE”. Ce ne accorgemmo, di quella pietra
posta a terra, durante i nostri giochi infantili: nessuno l’aveva fatta rimuovere,
evidentemente non si notava e solo noi bambini, che con i nostri giochi controllavamo tutto il territorio, potevamo accorgersi di una così tenue scritta. Oggi non
c’è più, è stata rimossa recentemente dietro lavori per la posa di tubazioni.
Il teatro
La fine degli anni Quaranta, vide anche la ripresa delle attività ricreative promosse dalla chiesa: fu don Bruno Diamantini, parroco della comunità gradarese,
coadiuvato da don Armando Paci, rettore della chiesa di Fanano, ad insegnarci
recitazione. Si allestivano tre o quattro commedie all’anno. Gli attori erano reclutati tra i frequentatori dell’oratorio: Mario Gennari detto Mela, Enrico De Biagi
detto Elmo, Sandro Gennari detto Sciani e altri.
L’oratorio era il punto di ritrovo per i minorenni, perché non potevano entrare,
causa l’età, nelle osterie. Si andava dal prete, come si diceva allora, dove si poteva
giocare a Ping-pong, a dama, a tombola e a calcio balilla. Si dovevano frequentare anche le funzioni: se non si andava a messa le tirate di orecchie arrivavano
implacabili.
Don Bruno Diamantini fu sostituito da don Guido Moretti, sacerdote di morigeratissimi costumi, con una bellissima voce e la passione per il canto. Don
Guido era riuscito a formare un coro composto da ragazzi e ragazze che si esibiva
non solo nella chiesa di Gradara, ma anche in altre parrocchie del circondario in
occasione delle feste patronali.
FATTI ED EVENTI
48 - Sandro Gennari (Sciani) e Mario Gennari (Mela) comparse nel film Vanina Vanini, diretto da Roberto Rossellini nel 1961.
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1950, anno giubilare
Il 1950 fu anno di Giubileo. In una sera di settembre, l’immagine della Madonna delle Grazie di Pesaro venne portata a Gradara, poi, in processione nelle
frazioni. Fu un avvenimento. La Madonna fu accolta con grande entusiasmo:
bambini vestiti da angeli e ragazzini da paggetti, accompagnarono l’immagine
nel suo percorso lungo le vie paesane infiorate, mentre dalle finestre pendevano
vari addobbi che abbellivano le facciate delle case. Grandi falò punteggiavano la
campagna in segno di giubilo.
49 - Metà anni Cinquanta,
Leandro Finotto in piazza
con la sua bella Moto B. E’
una Gradara che cambia: i
veicoli motorizzati, le insegne e le piattaforme dei bar
fanno intuire un’economia
in crescita.
FATTI ED EVENTI
Erano anni di forte mutazione, sia economica, sia sociale. Si percepiva che qualcosa stava cambiando e si era pieni di speranza. Si attendeva un miglioramento
economico, qualcosa, insomma, che ci facesse uscire dalla penuria che gravava
senza darci respiro. Molti giovani non aspettarono e preferirono emigrare, in
Svizzera, in Francia, in Germania, in Belgio, al nord d’Italia, proprio alla ricerca
di quel benessere economico che da noi ancora stentava a decollare. Quando ritornavano per le ferie raccontavano delle meraviglie di quelle nazioni, ostentavano vestiti nuovi ed anche auto, ma non era tutto oro quello che luccicava: la vita
dell’emigrante era dura, bastava pensare ai minatori che erano andati ad estrarre
carbone in Belgio. Comunque, l’onda lunga del benessere era partita e si sentiva
anche a Gradara: i turisti erano sempre più numerosi, gli alberghi e le pensioni, in
riviera sorgevano a buon ritmo, aumentavano le piccole imprese artigianali.
50 - La Riviera romagnola nei prima anni Cinquanta vista dalla Rocca di Gradara. In primo
piano, sulla collinetta, Casa Curzi. Sullo sfondo, in riva al mare, Gabicce e Cattolica.
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51 - Maria Giorgi nello spiazzo del “Gioco del pallone” (nel quale si svolgevano
anche le fiere del bestiame) situato sotto le mura di levante del castello, nell’inverno del 1956. Sullo sfondo si nota il lavatoio pubblico, demolito nel 1959
per allargare la zona da destinarsi a parcheggio. Sulla destra si vedono pagliai
innalzati sul Monte delle Bugie ancora privo dei chioschi-bar.
52 - L’immagine, ritratta durante le riprese del film Vanina Vanini, mostra lo
stesso scorcio della foto sopra a cinque anni di distanza (1961) - Si noti la mancanza del lavatoio.
FATTI ED EVENTI
La squadra di calcio
In quegli anni del dopoguerra c’era anche tanta voglia di sport, di calcio soprattutto, anche perché il calcio si poteva praticare con poco: uno spiazzo con
due porte posizionate ai lati opposti, magari formate da due bastoni con una
corda per traversa. Fu Piero Andreani, coadiuvato da alcuni amici, che nei primi
anni Cinquanta acquistò delle maglie per giocare a calcio: erano rosse e blu, quadripartite a strisce verticali (come quelle del Genoa). Si giocava sotto le mura di
levante, nell’attuale parcheggio. Allora, a monte, c’era un muretto che delimitava
il campo dal greppo, mentre a valle una scarpata era il limite del campo di gioco.
Nella scarpata si apriva un fossato formato da degli scoli delle fogne del paese,
comunemente chiamato dai gradaresi: “butrigón”.
Nel piccolo rettangolo di gioco avvenivano sfide infinite e molto combattute
con le compagini dei paesi vicini. Erano gare combinate tra i ragazzi, per cui non
soggette a regole federali. Dietro l’entusiasmo di questi giovani, nel 1953 l’amministrazione comunale individuò a Borgo Mercato il luogo per realizzare il nuovo
campo da gioco, su un terreno che apparteneva all’Ente Comunale di Assistenza
(E.C.A.), dove oggi ci sono i campi da bocce, i giochi per bambini e parte della
53 - Sul nuovo campo di calcio di Borgo Mercato, intitolato a Giuseppe Molari, la foto
ricordo prima di un’amichevole.
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54 - Fasi di gioco. Si notino i calciatori con la bandana che veniva indossata non per tenersi
i capelli, ma per non subire lacerazioni nei colpi di testa, dalla cordicella che legava la sfera
di cuoio. Il pallone veniva tenuto gonfio da una camera d’aria inserita al suo interno per il
tramite di una fessura che veniva serrata con stringhe o piccole cordicelle. Da notare che
l’area non è recintata e c’era chi assisteva alla partita, con tanto di bicicletta, sul limite della
riga che delimitava il campo di gioco: situazioni oggi impensabili.
strada provinciale Gabicce Mare - Tavullia. Il campo misurava cento metri per
quaranta: un poco stretto per le regole del gioco, ma sufficiente per poter giocare
a undici. Fra l’altro, un campo da undici ce l’avevano in pochi nei paraggi e ciò
non era da sottovalutare. Il campo fu intitolato a Giuseppe Molari, ottimo portiere, ucciso da un bombardamento alleato a Livorno, durante il periodo bellico.
Dietro l’entusiasmo e l’infaticabile opera di Piero Andreani, Lamberto Macchini
detto Lilo, Aldo Tamburini, Raoul Tausani e Antonio Russo, si diede vita ad una
società sportiva vera e propria che fu chiamata: “Malatestiana”.
La partita inaugurale si svolse in un pomeriggio domenicale del mese di maggio, contro il Riccione. La formazione romagnola si presentava come squadra
forte, militando nel campionato di promozione della sua regione. Da parte gra-
FATTI ED EVENTI
55 - Una formazione composta da nove calciatori.
In piedi: Paolo Palmieri, Libero Molari, Antonio Russo, Mario Tamburini, Lamberto (Lilo)
Macchini (dirigente).
Accosciati: Dino Michelini, Giuseppe Moretti, Domenico (Gigi) Galli, Francesco (Schén) Lombardi, Piero Andreani.
darese si mise in campo un’eccellente compagine rinforzata da cinque elementi
di Acqualagna (Promozione Marche), tra i quali il portiere Ottavianelli, il centrale
Ottavi e il centravanti Silvio Massani. Quest’ultimo ricopriva l’incarico di geometra nel comune gradarese. Ecco la spiegazione dei tanti ragazzi di Acqualagna
nella nostra formazione. La partita fu combattuta e alla fine la Malatestiana la
spuntò per due gol a uno. I gol della squadra locale furono segnati da due gradaresi doc: Armando De Biagi e Libero Molari.
Negli anni successivi sul campo di Borgo Mercato venivano ad allenarsi squadre, allora, blasonate, come la Vis Pesaro e il Cattolica. Per sette, otto anni, la Malatestiana partecipò a diversi campionati con risultati altalenanti. Nel frattempo le
norme federali e di sicurezza cambiarono: si dovevano realizzare degli spogliatoi
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56 - Una formazione della Malatestiana nel 1953.
In piedi: Alberto Moretti, Armando De Biagi, (?), Ottavi, Antonio Russo, Libero Molari.
Accosciati: Silvio Massani, (?), Ottavianelli, Lenadro Finotto, Ettore Vichi.
muniti di doccia (fino a quel momento le squadre si andavano a cambiare nella
falegnameria di Aldo Tamburini) e, soprattutto, bisognava fare la recinzione per
motivi di sicurezza. La non realizzazione di tali strutture comportò la mancata
autorizzazione, da parte delle Forze dell’Ordine, allo svolgimento delle gare.
L’empasse decretò la fine della Società Calcistica Malatestiana. Bisognerà aspettare una quindicina d’anni per vedere un’altra compagine gradarese giocare e,
soprattutto, giocare in un nuovo campo comunale: correva l’anno 1973.
FATTI ED EVENTI
La televisione
Nel 1954 la RAI iniziò a trasmettere via etere immagini che si ricevevano con l’uso di un apparecchio
chiamato televisione: fu una vera
e propria rivoluzione che cambiò,
nel tempo, profondamente, gli usi
e i costumi degli italiani. Già nel
1954 stravolse le abitudini di molti
cittadini, soprattutto degli sportivi:
poter vedere i propri beniamini
in diretta, mentre gareggiavano o
combattevano significava provare
emozioni nuove, mai immaginate,
perché le gare e gli incontri di pugilato non si vedevano, tutto al più
si ascoltavano per radio, in attesa di
poter leggere il giornale. La prima
TV in un locale pubblico fu sistemata nel Bar di Amedeo Serafini
(Palota), a Borgo Mercato, poi anche
al Bar Centrale, sempre a Borgo
Mercato. I locali pubblici, allora,
avevano un orario rigido e se non
volevano incorrere nei rigori della
legge dovevano rispettarlo con
puntigliosità. Nei mesi invernali, la
57 - Amedeo Serafini (Palota), fu il primo a
chiusura era prevista per le 23, 30. collocare un televisore in un locale pubblico.
Sovente gli incontri di pugilato più
importanti e le trasmissioni sportive, iniziavano proprio a quell’ora. C’era rammarico di non poter vedere campioni come Duilio Loi, Mitri, Festucci, oppure i
filmati delle gesta del campione italo americano Roky Marciano. Allora, Amedeo
Serafini raggirò l’ostacolo ponendo il video sulla finestra, con lo schermo rivolto
all’esterno. Faceva freddo, alle volte pungente, magari scendeva la nebbia o piovigginava, ma c’era sempre tanta gente a vedere quegli eventi. Salivano anche da
Cattolica e Gabicce, perché il segnale TV nelle due cittadine rivierasche arrivava
debolmente e non era ben captato, compromettendo le immagini. In mezzo alla
strada si faceva, letteralmente, tarda notte, per seguire i nostri beniamini.
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
Il circolo ACLI
La grande “voglia” di TV fece costituire un circolo A.C.L.I. (presidente fu il
ragioniere Antonio Ceccarelli, con sede
nel Palazzo delle Associazioni Cattoliche
(la Scociaréla). Ci fu un’adesione in massa: con 150 lire si poteva avere la tessera
che dava l’opportunità di vedere la televisione ogni giorno. Nella grande sala
posta al piano superiore della Scociaréla,
su una parete, fu collocato l’apparecchio
televisivo e, innanzi, tante panche con
schienale che potevano ospitare un centinaio e più di persone. Fu un boom: la sala
alla sera si riempiva e la Pèpa (Giusep58 - Antonio Ceccarelli.
pina Angelini), moglie della Ghighia,
vendeva i brustolini, le noccioline, le
carrube, i lupini.
Essendoci un unico canale di visione, non sorgevano conflitti di “interesse”: si vedeva solo un programma RAI
e basta. Favoriti dalla penombra della
grande sala TV, tanti giovani hanno
trovato l’amore; molti di questi incontri sono, poi, sfociati nel matrimonio,
altri, sono rimasti, comunque, un’esperienza di vita.
Con il progresso economico, negli
anni Sessanta, la TV cominciò ad entrare nelle case e conseguentemente, calò
il numero di persone che frequentava la
Scociaréla. Fu così che il circolo A.C.L.I.
chiuse definitivamente.
59 - Giuseppina Angelina (La
Pèpa d’Brignén) .
FATTI ED EVENTI
L’Hostaria del Castello
Il primo grande evento che fece capire che la società stava profondamente
cambiando avvenne a metà degli anni Cinquanta. Lungo la Riviera Adriatica impazzavano i locali notturni, balere, dancing e night. I più famosi avevano nomi
esotici: Eden Rok, La Perla Azzurra ecc.. Delio Bischi (più avanti vedremo come
arrivò a Gradara nell’anno 1954) veterinario del paese, con la lungimiranza che
lo distingueva, acquistò un terreno scosceso fuori dell’abitato castellano, vicino a
Borgo Mancini, con il preciso intento di realizzarvi un night. Il luogo, fino a quel
momento, fungeva da discarica pubblica e per poterci vedere lo sviluppo di un
locale notturno, francamente, bisognava avere una bella fantasia. Una bellissima
immaginazione l’ebbe l’architetto Arnaldo Tausani (cugino di Raoul Tausani),
incaricato dal Bischi di progettare il luogo di ritrovo: ideò un locale unico nel suo
genere che venne definito il più bel dancing della riviera.
L’Hostaria del Castello (così fu chiamato) venne inaugurato nell’estate del
1956. Da quel momento, per i castellani, il susseguirsi delle stagioni non fu più
60 - L’Hostaria del Castello nei primi anni Sessanta.
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
61 - Altra immagine dell’Hostaria del Castello nei primi anni Sessanta. Sullo sfondo le luci
delle Riviera romagnola.
dettato dalle variazioni climatiche, ma dalla musica: tutte le notti estive la musica
dell’Hostaria del Castello cullava il sonno dei gradaresi fino a tardi, le due, le
tre, le quattro di notte. Nelle serate in cui non si sentiva suonare, il paese era
vuoto, ogni sera più vuoto, le vie solitarie con le porte dei negozi e dei bar chiuse.
Eravamo già nel buio dell’inverno, in attesa della prossima estate e della musica
dell’Hostaria. Hostaria che nel frattempo era diventata metà del Jet set che frequentava la Riviera Adriatica: non c’era personaggio famoso, sia mondano, sia
dello spettacolo, che non facesse una visita al locale.
Questi personaggi, la musica, gli spettacoli d’attrazione che si svolgevano nel
night richiamavano i gradaresi che si appostavano, fino a tarda notte, nell’uliveto
posto sopra il dancing, per vederli ed ascoltarli. I più giovani si arrampicavano
sopra gli ulivi per avere una miglior visione dell’insieme.
FATTI ED EVENTI
62 - Delio Bischi con la moglie
Adele. Piobbichesi, sono arrivati a
Gradara nel 1954.
La voglia di fumare
Chiuse le scuole per le vacanze, i ragazzini gradaresi si trovavano “a spasso”
e quando non erano occupati nei piccoli lavoretti commissionati dalle madri, si
riunivano per andare a zonzo nel paese o nella campagna: c’era sempre qualche
frutto da sgraffignare, una lucertola da cacciare e, se si uccideva una biscia, si girovagava per le vie del paese con il povero rettile attaccato ad una funicella, tra le
urla isteriche delle ragazzine e i rimproveri delle donne anziane. Con l’apertura
dell’Hostaria del Castello avevamo imparato ad andare a rovistare nelle cose che
venivano gettate nella sottostante scarpata: tra bottiglie vuote, cartoni e scatole
varie si trovavano diversi pacchetti di sigarette, per lo più vuoti, ma accadeva di
trovarne di semipieni, oppure con due, tre, quattro o cinque sigarette. Quando
si trovavano, era come se avessimo trovato un tesoro da tener celato, soprattutto
per non fare arrivare la notizie alle orecchie dei nostri genitori. Per questo motivo
cercavamo di porle in nascondigli “segreti”, nei buchi delle mura castellane o in
qualche incavo di pianta posta nel bosco dietro la rocca. Ricordiamo le fumate
collettive, di nascosto, che univano, al senso di colpa, quell’orgoglio di essere
grandi: colpi di tosse, conati di vomito, ma imperterriti fumavamo per imitare gli
adulti. Erano variopinti e accattivanti quei pacchi di sigarette dai variegati colori:
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
Turmak, Stuivesant, Astor, Kent, Dunil, Pall Mall, HB, Peer, Newport (al mentolo), erano le sigarette che si trovavano più facilmente nella discarica, ma non si
trovavano sempre, allora c’era anche chi raccoglieva i mozziconi per strada, in
mezzo al selciato, magari facendo concorrenza ad alcuni vecchi gradaresi che
passavano al mattino presto per avere una maggior possibilità di raccolta.
Era tanta la voglia di fumare che in un giorno di penuria (non si era trovata
una cicca in tutto il paese) vedemmo un turista accendersi una sigaretta proprio
sotto la porta dell’orologio e dirigersi a piedi verso valle. Allora uno di noi cominciò a seguirlo, tanto, pensava, ad un certo punto la getterà via. Arrivato nella
stradina sotto l’attuale Municipio, detta Sotto il Bosco o di Bagarén, la sigaretta
del turista era ridotta ai minimi termini e il ragazzo già stava pregustando di fare
delle voluttuose tirate, quando capitò l’imprevisto: l’uomo spense il mozzicone
e se lo mise in tasca. Fu tanta e tale la delusione che il nostro amico, sedutosi sul
ciglio della strada, si mise a piangere, inconsolabile.
Arrivarono gli anni Sessanta, Gradara e i gradaresi crescevano economicamente: gli ovili venivano trasformati in negozi e i cortili dove si allevavano
animali domestici furono trasformati in spiazzi per bar e ristoranti. Oggi non c’è
più un edificio che non abbia un’attività commerciale, tutto è stato trasformato
in business cancellando la miseria, ma anche quella vita paesana fatta di tanti
personaggi... particolari.
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PERSONAGGI, FAMIGLIE, MEDICI, INSEGNANTI
Giuseppina Moretti detta la “Pipéna d’Chichén”
Gestiva lo spaccio di sali e tabacchi assieme ad un negozio di generi alimentari.
Sposata a Francesco Giorgi ebbe 19 figli, molti morirono in tenera età. Tra i viventi citiamo Oreste, detto Frulla e Mario, detto Malo. Oreste, fin da giovanissima
età, andò a bottega a Pesaro per imparare il mestiere del fabbro ferraio. Nella sua
vita fece anche il commerciante, venditore di moto, di macchine da cucire e altro,
ma fu, soprattutto, un eclettico artista del ferro battuto. Contribuì da par suo,
con i suoi lavori, al restauro della rocca e lavorò anche per l’abbellimento di Villa
Matarazzo situata a Fanano di Gradara.
Malo, meccanico di biciclette, era un
cattolico praticante: mai una bestemmia,
quando si inquietava la sua imprecazione
più forte era: “Boia té e èl prém d’mag” (Boia
te e il primo di maggio). Questa espressione aveva una sua ragione in quanto Malo
faceva parte della locale Banda musicale.
Con l’avvento della Repubblica il primo di
maggio si solennizzò come Festa dei lavoratori. Nell’occasione, la Banda musicale
gradarese usciva in piazza per eseguire il
suo repertorio in omaggio alla classe operaia. Tra i brani da eseguire oltre all’Inno
dei lavoratori c’era anche “Bandiera rossa”
e la cosa a Malo non andava proprio a genio.
A mo’ di compensazione, per contrapposi63 - L’ingresso dello spaccio di sali e tabacchi
della Pipéna d’Chichén nel 1954. Sulla soglia:
Ulisse Moretti, Maria Giorgi e il cane Black.
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
64 - Mario Giorgi (Malo).
65 - Oreste Giorgi con la figlia Maria. Dietro di loro
Dorina Giusini.
zione ai brani che lui riteneva non degni di essere eseguiti, pretese e ottenne di
eseguire anche “Bianco fiore”.
Anche da queste piccole cose, si può capire dove si spingeva la contrapposizione politica subito dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Giuseppe Vichi
In fondo a via Zanvettori (così chiamata in memoria dell’ingegnere Umberto,
grande mecenate e podestà di Gradara, che restaurò la rocca a cavallo degli anni
Venti del Novecento) c’è una piccola piazzetta detta dai locali: “Piazza Padella”.
PERSONAGGI, FAMIGLIE, MEDICI, INSEGNANTI
Su Piazza Padella si affaccia il Palazzo demaniale detto dei Custodi, perché fino a
poco tempo fa era occupato dalle famiglie dei custodi della rocca. In questa casa
abitava Giuseppe Vichi con la moglie Maria Fabbri. I due ebbero quattro figli.
Ettore, detto Cocco, secondogenito, era pieno d’inventiva. Appena finita la Guerra, per sopperire alla grande carenza di lavoro, iniziò a fare dei piccoli manufatti
artigianali: con le foglie del granturco attorcigliate faceva delle borse da spesa e
oggetti simili. Si mise poi a girare con una vespa per rappresentare un marchio
di vernici. Successivamente, inventò e brevettò una macchina per carteggiare il
legno, dando vita a una fiorente industria che oggi è condotta dai figli. Vogliamo
ricordare anche la moglie di Ettore, Maria Ballimei, insegnante a Gradara negli
anni del dopoguerra.
66 - Ettore Vichi e la moglie Maria.
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
Giuseppe Zanni
Di fronte al Palazzo dei Custodi, al termine di via Zanvettori, in una bassa
casetta abitava l’arrotino Giuseppe Zanni detto Fagna. Di piccola statura, Fagna
si era lasciato crescere un “modesto” paio di baffi. Aveva gli occhi sempre rossi,
come il fuoco, malcelati da un piccolo paio di occhiali dalle lenti rotonde che
portava sulla punta del naso. Nei mesi freddi, sulle spalle si poneva una specie
di poncho. Percorreva le contrade con una carretto munito di due stanghe a mo’
di carriola. Quando doveva eseguire qualche affilatura fermava il suo carretto, lo
capovolgeva, attaccava una cinghia alla mola e azionando un pedale la faceva girare. Per cercare il lavoro, Fagna partiva presto alla mattina portando sempre con
sé un vecchio organetto che suonava nei momenti di pausa: preso lo strumento,
alzatosi il poncho su di una spalla, eseguiva quasi sempre lo stesso motivo: “Le
galline tutte matte per la perdita del Gallo...”, filastrocca che nelle regioni del centro
nord viene cantata in diverse versioni.
Augusto Vichi
In fondo a Via Rubini, dove la stessa si innesta sulla strada che affianca le mura
di ponente c’era la casa di Augusto Vichi detto Cinciaiola. Augusto faceva il
pescivendolo e tutte le mattine, tempo permettendo, andava a piedi a prendere il
pesce al porto di Cattolica: scendeva verso la cittadina romagnola camminando
su sentieri di campagna, fangosi nei mesi invernali e polverosi nelle calde estati.
Il pesce lo caricava su di una carriola piatta munita di ruota di ferro che poi
spingeva attraverso gli stessi sentieri per arrivare, puntuale, in paese alle 10,30.
Allora con voce possente si sentiva l’urlo: “Pesce e poveracce!!!!” (con la voce poveracce veniva italianizzato il termine dialettale purac, corrispondente all’italiano
vongole) ripetuto più volte finché non arrivava un piccolo crocchio di donne a
vedere la mercanzia. Con l’invenduto, nel pomeriggio girovagava per la campagna, cercando di smerciare tutto il pesce: tra una casa e l’altra, da famiglia a
famiglia offriva, a volte sottocosto, il prodotto (molto deperibile) cercando di non
fare rimanenze. Nel suo girovagare i contadini gli offrivano da bere. Un bere che
era difficile rifiutare, così bicchiere su bicchiere, alla sera tornava mezzo sbronzo,
cantando... come un merlo.
PERSONAGGI, FAMIGLIE, MEDICI, INSEGNANTI
Antonio Patrignani
Vicino a Cinciaiola abitava Antonio Patrignani detto Tugnarén d’Bindulón.
Ateo e anarchico, Tugnarén aveva cercato fortuna in Brasile, ma visto che le cose
non erano molto diverse dall’Italia, era ritornato nel paese natio. Nel periodo
prebellico, in pieno regime fascista, a Gradara non si trovava lavoro facilmente,
Antonio, allora, si diede alla pastorizia e riuscì a formare un discreto gregge di
67 - Antonio Patrignani (Tugnarén d’Bindulón).
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
pecore con due montoni. Ai montoni aveva posto il nome di Peggio e Semprepeggio, in sintonia con il suo stato d’animo. Naturalmente i nomi non erano casuali
e nascondevano un dissenso verso il regime fascista. Per provocarlo la gente gli
faceva sempre la stessa domanda, specialmente quando vicino c’erano persone
del regime: “Tugnarén come va oggi?” Antonio rispondeva sempre allo stesso
modo: “Peggio di ieri e domani sempre peggio!”
Modesto Gennari
Accanto all’abitazione di Tugnarén d’Bindulón c’era quella di Modesto Gennari. Modesto vendeva brustolini, mentre la moglie gestiva un piccolo gregge
di pecore. Con i proventi della vendita del formaggio, della lana e degli agnelli
riusciva a governare la famiglia. A Modesto gli avevano affibbiato il soprannome
di Brutén che a lui non piaceva affatto, per cui, ogni qualvolta si sentiva chiamato
con quel soprannome, si offendeva e se per caso eravamo noi ragazzini a chiamarlo Brutén, ci rincorreva per bastonarci.
Ernesto Gennari
Poco lontano dalla casa di Modesto Gennari, davanti alla porta di Porta Nuova,
sul piazzale Venturi, prima della Guerra, vi era una casa di piccole proporzioni,
quasi una capanna. Ci abitava una donna sola, in compagnia di un asino. La
donna si chiamava Moróna e, anch’essa, vendeva brustolini. Il modesto edificio
fu acquistato da Ernesto Gennari detto Mela che di mestiere faceva il muratore. Ernesto, con i tre figli, anch’essi muratori, trasformò la capanna in una bella
palazzina. La moglie di Ernesto, Angela Bertozzi, era una provetta ricamatrice e
cuciva camicie da uomo.
In quel tempo, a Gradara, si svolgeva una volta al mese, lungo via Cappuccini
(via posta sotto le mura di Ponente, che porta da Borgo Mancini al convento che
fu dei Cappuccini) la Fiera di Merci e Bestiame. Per ovviare alle penurie del tempo e per provvedere al sostentamento dei figli, ogni famiglia teneva degli animali
da cortile da allevare. Una volta ingrassati, venivano macellati per uso proprio o
venduti per racimolare qualche lira per le spese contingenti. Alla fiera successiva
la macellazione o vendita di detti animali, se ne ricompravano degli altri, piccoli
e si iniziava di nuovo l’iter “dell’ingrasso”. Anche Ernesto e l’Angiola avevano di
questi animali e i figli dovevano occuparsi della loro sorveglianza. Per un periodo
allevarono anche il maiale, che veniva fatto pascolare nel querceto posto dietro la
PERSONAGGI, FAMIGLIE, MEDICI, INSEGNANTI
rocca. Mario, figlio maggiore di Ernesto e Angela, racconta che alla sera, quando
era ora di rientrare a casa, abitualmente, saliva in groppa al maiale e, afferrandolo
per le orecchie, lo cavalcava fino davanti casa.
68 - Angela Bertozzi e Ernesto Gennari (Mela).
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
Giovanni Macchini
Giovanni Macchini era un uomo tuttofare.
Segaligno, di modi spicci, appariva più alto del
reale. Veniva comunemente chiamato Tano, ma
anche Lingua Tagliente, per la sua sagacia. Fattorino e sagrestano, faceva anche il bidello alla Cassa
Rurale. Era immediato e le cose, come si dice, non
le mandava a dire, le diceva in faccia, difettando,
magari, di diplomazia.
Di Tano vogliamo ricordare un piccolo episodio, ma significativo della persona e del tempo.
Giocavamo a carte tra bambini (rubamazzo o
briscola o qualcos’altro) intorno ad un alto tavolo.
Tano era presente e osservandoci ci forniva qualche consiglio tra una partita e l’altra. Quando fu il
69 - Giovanni Macchini (Tano).
momento di mischiare le carte, siccome il mazzo
era grande rispetto alle mani, uno dei giocatori, per riuscire meglio nell’operazione e non farsi sfuggire nessuna carta, appoggiò le braccia sulle cosce continuando
a mischiare, nascondendo, di fatto, le carte sotto il tavolo. Notato da Tano, questo,
con tono perentorio disse: “Tira só li chèrt sóra el tavlén. Sol i disonest i mésta sotta el
tèvlè!” (Tira su le carte sopra il tavolino, solo i disonesti mischiano sotto il tavolo).
Ricordo l’imbarazzo del bambino, accusato di un’azione molto lontana dal suo
pensiero e lo sguardo duro di Tano che non ammetteva scuse.
Giuseppe Baldelli
In fondo a via Della Fiera, sotto piazzale Venturi, vi era l’edificio dove si svolgevano le prove
della Banda Musicale di Gradara. Il maestro della
banda, in quei tempi, era Giuseppe Baldelli
(Piro). Di mestiere Giuseppe faceva il falegname,
ma la grande passione per la musica lo portò anche ad insegnarla e tanti giovani appresero da lui
i primi rudimenti del solfeggio e degli strumenti.
70 - Giuseppe Baldelli (Pìro).
PERSONAGGI, FAMIGLIE, MEDICI, INSEGNANTI
Ciro Tamburini
Su via Della Fiera si apriva
l’ingresso della casa di Ciro
Tamburini detto Cirón d’Zibén. Ciro, persona sempliciotta,
possedeva due pecore, Zeba e
Bilona (così le aveva chiamate),
che portava tutte le mattine
al pascolo. Con le due bestie
faceva ritorno a casa sul mezzogiorno e nutriva tanto amore
per le due pecore che non mancava di parlare e dar loro dei
baci. Se queste, però, facevano
dei “capricci”, Ciro montava
su tutte le furie, imprecando
furiosamente colpiva le povere
bestie con pugni ai fianchi di
inaudita violenza.
Nei mesi estivi, subito dopo
pranzo, per mitigare l’effetto
del caldo, Cirón si portava
sotto la torre dell’orologio e si
accomodava in uno dei sedili
di pietra collocati a destra e a
sinistra della Porta detta, appunto, dell’Orologio. Il posto
71 - Ciro Tamburini (Cirón d’Zibén).
è arioso e nell’aria fresca Ciro
si addormentava schiacciando la pennichella pomeridiana. Siccome camminava
quasi sempre scalzo o munito di sandali, i suoi piedi si presentavano callosi e
pieni di duroni. Erano tanto callosi i piedi di Ciro che una volta addormentato,
i ragazzi più discoli riuscivano ad infilargli fra le dita un mozzicone di sigaretta
accesa, senza che lui se ne accorgesse, poi aspettavano l’effetto: la cicca si consumava bruciando lentamente e quando il fuoco arrivava sulla pelle delle dita, il
dormiente non aveva che un minimo movimento delle gambe poi continuava il
suo sonno.
Era tradizione la mattina di Pasqua (in alcune famiglie viene ancora rispettata) fare colazione con le uva sode benedette che si facevano benedire quando,
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
72 - Gelse e Anna Tamburini, figlia e moglie di Ciro. In secondo piano Rosa Corbelli detta la Muléccia.
PERSONAGGI, FAMIGLIE, MEDICI, INSEGNANTI
nei giorni di Quaresima, passava il parroco “a dare l’acqua santa”. Si mettevano
sul tavolo in numero sempre superiore agli abitanti della casa per mangiarne
qualcuna in più. Ciro, una mattina di Pasqua, del periodo della sua fanciullezza,
approfittando dell’assenza dei genitori che si erano recati a messa, uno dopo l’altro mangiò quindici delle venticinque uova che sua madre aveva preparato per
l’occasione. Al ritorno da messa, il padre, una volta accortosi della sparizione di
buona parte delle uova, non tardò molto a capire l’accaduto. Allora, prese una
cordicella e portò Ciro nella stalla iniziando a picchiarlo. Mentre lo picchiava gli
chiedeva: “La vuoi la cordicella Ciro?” “No!! Babbo, non la voglio!” A ogni risposta negativa corrispondeva una frustata e così Ciro fu sonoramente bastonato per
la sua ingordigia.
Luigi Andreatini
Luigi Andreatini era lo spazzino del paese soprannominato Gigén Civicardi. Viaggiava sempre
con una carriola di legno, un badile e una scopa,
portandosi in tasca un pezzo di pane. Il pane gli
serviva per bere il vino, quando ne sentiva la necessità. La moglie Pia faceva la bidella nella scuola elementare e tutte le mattine faceva suonare la
campana dell’orologio per l’inizio delle lezioni.
73 - Luigi Andreatini.
Amato Molari
Ad angolo tra via Umberto I (piazza) e via
Della Fiera è posta la casa Molari, un palazzetto
di discrete dimensioni probabilmente risalente al
XVI secolo. La famiglia Molari gestiva l’unica macelleria del paese, commerciando carne di animali
che comprava direttamente dai contadini. I Molari macellavano loro stessi le bestie che acquistavano, nel mattatoio posto all’interno delle mura
castellane, di fianco all’Osteria dell’Olga. Era un
mattatoio antichissimo e Amato Molari detto Cilistén d’Pavlón (nato nel 1874, morto nel 1966),
sosteneva che già suo bisnonno si serviva di quel
74 - Libero Molari.
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
mattatoio. Oggi al posto del mattatoio c’è uno spiazzo di alcune decine di metri
quadri. Nel periodo surriferito gli animali arrivavano al macello, condotti dai
contadini, passando per la piazza. Quando noi ragazzini vedevamo arrivare le
bestie, spesso nervose, sbuffanti e recalcitranti, come se già sapessero la fine a cui
andavano incontro, ci precipitavano verso il macello. Nella sua attività Cilistén
veniva affiancato dal nipote Libero, recentemente scomparso. I Molari, spesso,
inveivano e ci urlavano ripetutamente: “Andèd via burdèi!!! Andèd a chèsa che è
pericolos!!” (Andate via bambini!!! Andate a casa che è pericoloso!!) Ma a volte
tolleravano la nostra presenza e a qualcuno consentivano di entrare nel locale a
tenere la bestia per una gamba o la coda, in attesa della sua morte che avveniva
per dissanguamento. La moglie di Cilistén, Palmira Fabbroni, ricoprì un ruolo
importante all’interno della comunità gradarese: per anni fu ostetrica comunale.
75 - Il piccolo spiazzo in calcestruzzo (non pavimentato) corrisponde all’area
occupata dall’antico macello rimasto in funzione fino ai primi anni Sessanta.
Sul muro a sinistra si può ancora riscontrare, dalla stuccatura, qual era l’altezza
dell’edificio. La superficie di calpestio si trovava ad una profondità pari all’altezza massima del muretto che delimita l’attuale piazzola. La piccola apertura che si
vede sulla sinistra fungeva da finestra nell’antico locale.
PERSONAGGI, FAMIGLIE, MEDICI, INSEGNANTI
76 - Macelleria Molari – Amato Molari (Cilistén) con la nuora Francesca Magi. Da notare,
oltre alla carne appesa ai ganci, il cartello: “E’ vietato sputare per terra”: erano veramente
altri tempi!
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
Carlo Andreatini
Negli anni Cinquanta a Borgo Mancini fu installato un distributore di benzina. Fu ubicato all’inizio di via Cappuccini, proprio sotto il torrione caduto nel
1946. Era gestito da Carlén e da sua moglie Adele. Carlén (così era conosciuto da
tutti in paese) era il diminutivo di Carlo Andreatini figlio di Gigén Civicardi. Di
mestiere faceva il calzolaio ed era dell’arte un vero maestro. Vicino alle pompe
Carlino e l’Adele avevano la loro piccola abitazione. La porta della la bottega di
Carlino si apriva sullo spiazzo del distributore, ma era da una finestra collocata
in un angolo della piccola casa che controllava chi arrivava per rifornirsi: alzava
77 - Carlén (Carlo
Andreatini) all’opera
nella sua bottega.
PERSONAGGI, FAMIGLIE, MEDICI, INSEGNANTI
la testa dal piccolo desco da calzolaio e pronto accorreva per servire il cliente,
oppure chiamava la moglie che usciva lesta, seguita sempre dal cane: Lilli.
Carlino era un uomo gentilissimo e garbato, sempre pronto e servizievole e
non disdiceva di trattenersi con i clienti in qualche chiacchiera di circostanza. Fin
da giovane suonò nella Banda musicale gradarese e, in età avanzata, ne ricoprì
anche la carica di presidente.
Carlino e l’Adele non avevano figli ed erano legati tantissimo agli animali.
Davanti alla loro casa stazionavano sempre numerosi gatti e non mancava il
cane. Lilli era un cane nero, meticcio, di taglia medio piccola. Veniva trattato con
tutti i riguardi dai proprietari. Riguardi e attenzioni, che non sfuggivano all’osservazione dei tanti clienti di Carlino. Carlo e l’Adele, parlavano e trattavano
Lilli come un figlio. Quando morì, all’età di ventuno anni, grandissimo fu il loro
dispiacere.
Aldo Magi
Come abbiamo già visto l’osteria
dell’Olga era collocata sulla piazza,
subito sulla destra di chi saliva,
dopo la porta dell’Orologio. L’Olga
Moretti era moglie di Aldo Magi
ottimo muratore. Gradara, in quei
tempi, presentava dei superlativi
capomastri e vogliamo citarli perché
non passino dimenticati. Con Aldo
Magi vi era Terenzio Magi detto
Barén, oggi ultranovantenne, i fratelli Giovanni e Gaetano Alessandri e
Alfredo Gennari detto Chitara, che
si fecero onore non solo in Italia ma
anche all’estero. Aldo Magi assieme
a Gino Finotto, Tullio De Biagi e un
certo Irno carabiniere, furono protagonisti di una spassosa vicenda:
un’afosa e calda estate di domenica
pomeriggio, decisero di fare una
partita a carte. I tavoli dell’osteria
78 - Aldo Magi in una foto scattata nel desererano tutti occupati, allora Aldo, es- to libico.
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
sendo padrone di casa, invitò i tre a seguirlo e li condusse in cantina. Presero un
Tavolo e lo posero sotto una damigiana di vino alla quale infilarono un tubo con
una cannella. A sera tarda, i quattro non avevano dato segni della loro presenza
in famiglia e i congiunti, preoccupati, iniziarono le ricerche: li trovarono seduti,
con la faccia sul tavolo, ubriachi fradici, con il bicchiere ancora in mano.
79 - Alfredo Gennari (Chitara).
80 - Tullio De Biagi (Bagión).
81 - La chiesa di S. Sofia in una bella immagine dei primi
decenni del Novecento.
PERSONAGGI, FAMIGLIE, MEDICI, INSEGNANTI
Dott. Palazzetti
Sopra i locali dell’Osteria dell’Olga si trovava l’appartamento del veterinario,
dott. Palazzetti che occupava gli ambienti con la moglie Virginia che esercitava
la professione di medico. Dipartito il dott. Palazzetti, Il locale, di proprietà comunale, fu occupato per un periodo dalla sede del Partito Comunista Italiano, poi fu
concesso al dott. Delio Bischi quale nuovo veterinario condotto.
Don Pietro Marcelli
In via Dante si trovava fin dal Medio Evo la chiesa di S. Sofìa (facente
funzione di pieve), succursale della
chiesa madre (Pieve di S. Sofìa) ubicata in località, per l’appunto, detta
Pieve Vecchia, posta a circa tre km dal
castello. La chiesa castellana fu abbattuta negli anni Trenta in conseguenza
dei danni riportati dopo il terremoto
del 1930. Fu abbattuta la chiesa, ma
non la canonica, per cui l’arciprete,
don Pietro Marcelli, continuò ad abitare in loco (oggi i locali della canonica e lo spiazzo ove sorgeva la chiesa
ospitano il ristorante Mastin Vecchio).
Don Pietro, oltre agli impegni del suo
ministero sacerdotale, attendeva al
lavoro amministrativo della Cassa
Rurale aprendo il banco tre volte alla
82 - Don Pietro Marcelli, arciprete di S. Sofia
settimana. Al sabato, però, lasciava
nonché segretario-cassiere della Cassa Rurale
la sua casa di via Dante e, a piedi,
per oltre 32 anni.
accompagnato dalla nipote Marcella
che lo assisteva come perpetua, si
recava alla chiesa madre di Pieve Vecchia per celebrare le funzioni domenicali.
Ritornava il lunedì. Non mancava, don Pietro, di manifestare il suo benvolere
verso i fanciulli: quando lo vedevamo a passeggio per la strada gli correvamo
incontro perché sapevamo che aveva pronta una caramella per tutti.
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
Bruno Morotti
In via Roma, nella casa appartenente alla Parrocchia, che fa angolo con la Piazza, abitava a pigione
la Famiglia Morotti. Bruno Morotti detto Bucci, di
origini romagnole, aveva quattro figlie. Uomo mite
e buono, quasi introverso, Bruno era un operaio
infaticabile e con il suo lavoro cercava di mantenere dignitosamente la sua famiglia. Al sabato, però,
si lasciava andare a bere qualche bicchiere in più,
come tanti in quel tempo. Il vino aveva il potere di
trasformarlo: diventava loquace ed estremamente
estroverso. Il suo desiderio principale era quello di
cantare e nessuno lo poteva fermare, però, purtrop83 - Bruno Morotti (Bucci).
po, era stonato “come una campana”. Cominciava
a urlare strofe, se poi sentiva qualcuno intonare dei versi all’osteria, lui si inseriva con motivi non pertinenti e senza nessun nesso. Gli avventori del locale,
84 - Mario Gennari, Bruno Morotti, Armando De Biagi in un bar di Milano negli anni Cinquanta. Nella città lombarda era iniziata una fervente ripresa economica e i tre andarono a
Milano per trovare un lavoro meno precario.
PERSONAGGI, FAMIGLIE, MEDICI, INSEGNANTI
offrendogli da bere, lo provocavano: “Bucci senti questa!” Iniziavano ad intonare
una strofa e a quel punto, Bruno, irrefrenabilmente, pretendeva il palcoscenico e
iniziava una serie di strampalate strofe urlate, provocando le risate generali, non
senza ovazione finale.
Morì tragicamente lasciando tanta amarezza in quanti lo conoscevano.
Gilberto Panicali
Esercitava la professione di falegname, ma più che falegname era un vero e
proprio ebanista, un artista del legno. Gilberto detto Zégrè, si dilettava di musica
e, oltre a suonare il quartino nella Banda comunale, suonava l’organo in chiesa.
Aveva sposato una Ceccarelli ed aveva avuto quattro figlie: Nella, Rina, Silvia e
Maria. La Silvia morì giovane, di
tubercolosi. Allora la Rina, che era
entrata in convento, quando prese
i voti volle chiamarsi Silvia: suor
Silvia. Senza dubbio, delle quat-
85 - Gilberto Panicali (Zégrè).
86 - Maria Panicali direttrice dell’Ufficio postale
di Gradara negli anni Sessanta.
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
tro sorelle, la più nota fu la Maria che per diversi anni diresse l’Ufficio Postale di
Gradara. Ufficio posto in piazza, in un locale a pian terreno del Palazzo RubiniVesin. Maria Panicali era singola. Di bassa statura, minuta, era sempre allegra e
disponibile, accoglieva gli avventori dell’Ufficio Postale sempre con il sorriso e
con cordialità e professionalità.
In seconde nozze, Gilberto Panicali sposò Giovanna Giorgi figlia di Francesco
Giorgi.
Giuseppe De Biagi
Sopra via Roma, in via Parrocchiale c’era la casa di Giuseppe De Biagi, di
mestiere carpentiere. Nei mesi invernali i lavori edili si fermavano e gli addetti
si trovavano forzatamente in ferie. In questi mesi Giuseppe De Biagi si dava all’attività di norcino, prestando la sua opera presso le case di quei contadini che lo
chiamavano a “fare le carni” dopo aver ucciso il maiale.
87 - Giuseppe De Biagi
(Pagnetti).
PERSONAGGI, FAMIGLIE, MEDICI, INSEGNANTI
Pietro Gennari
Pietro Gennari abitava in via Zanvettori poco lungi dalla piazza (di fronte al
teatro che trovava e trova spazio all’interno di Palazzo Rubini-Vesin), ambienti
che furono poi di Adele Del Fattore, più conosciuta con il soprannome di Tiolà.
Pietro Gennari, scapolo, era piccolo di statura. Una malformazione dorsale lo
faceva incurvare nella classica gobba. Vendeva biglietti della lotteria di Merano
in cui apparivano sei cavalli: “Sei cavalli per dodici lire!!!” Urlava Pietro. La gente
li comperava perché approfittando del suo stato, una volta acquistati, gli chiedevano di strofinarli per scaramanzia sulla sua gobba e Pietro non si negava.
Francesco Patrignani
Percorrendo via Zanvettori dalla
piazza verso il Palazzo dei Custodi,
sulla destra, dopo la casa di Pietro Gennari, vi era l’abitazione di
Francesco Patrignani, anch’egli di
soprannome Bindulón. Di mestiere
faceva il bracciante e nella tarda età,
prima di arrivare alla pensione, ebbe
il posto di custode cimiteriale, per
questo fu detto anche Bichén (becchino). Una mattina Francesco era stato
al mulino, fuori Borgo Mercato, sulla
strada che conduce verso Tavullia,
a macinar grano. Al ritorno aveva
posto la farina (circa mezzo quintale)
in una carriola avviandosi poi verso
casa. Dopo poche centinaia di metri
arrivò a Borgo Mercato e si fermò
nell’osteria di Augusto Serafini detto
Palota. Bindulon, preso dalla sete, e
calcolando mentalmente le lire che
aveva in tasca, pose un quesito all’oste: “Augusto quanto vuoi per una
bevuta di vino?” Palota ci pensò un
88 - Francesco Patrignani nel 1960, con Maattimo e costatando che erano le ore riagina e Gianfranco Bertozzi.
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
undici della mattina calcolò che il vino che poteva bere Francesco non poteva superare il mezzo o al massimo il litro, per cui gli chiese 5 lire. Bindulón, lesto pose
le 5 lire sulla pietra del banco e altrettanto pronto l’oste gli pose vino e bicchiere.
Quarto su quarto, con pacata costanza, Bindulón ne bevette dodici, ossia tre litri,
lasciando esterrefatto il Serafini non solo per la gran quantità di vino ingerita
dal Patrignani, ma anche perché quest’ultimo lasciò il locale e proseguì il suo
cammino con la pesante carriola senza accusare gli effetti dell’alcol.
Giuseppe Giorgi
In via Zanvettori, sulla sinistra, subito dopo Palazzo Rubini-Vesin, c’era l’abitazione di Giuseppe
Giorgi detto Pilà (oggi trasformata in museo d’armi). Tra Palazzo Rubini-Vesin e la casa dei Giorgi
vi è un piccolo vicolo dal selciato antico (fatto con
pietre di mare sistemate a coltello in una sorta di
mosaico a spina di pesce), ultima testimonianza
del lastricato delle vie di Gradara nell’anteguerra. I
Giorgi, non avendo figli maschi, avevano adottato
un bimbo lasciato nell’ospedale di Pesaro di nome
Amilcare Concordia, chiamato volgarmente Mìcre.
Si diceva che ad Amilcare il nome fu dato dai frati
cappellani dell’ospedale: padre Amilcare e padre
Concordia. Era abbastanza comune in passato che
le famiglie accogliessero questi bimbi (sopratutto
le famiglie contadine) perché ricevevano subito
un contributo (per Amilcare fu di lire 500) e perché
crescendo i bambini creavano forza lavoro, indispensabile nelle campagne. Mìcre fin da piccolo
dimostrò di essere un sempliciotto, ma, in qualche
modo, pieno d’inventiva e ingegno: fece il rigattiere, l’impagliatore di sedie, lo scultore di pietre dalla
quali ricavava teste di fattura primitiva. Più tardi,
senza nessuna scuola o conoscenza in merito, si
inventò massaggiatore-guaritore e sulla piazza di
Gradara, davanti alla propria abitazione, dove nel
89 - Amilcare Concordia (Mìcre),
frattempo si era trasferito, aveva posto un banco e fotografato in occasione di una
una sedia con un cartello che promuoveva la sua rappresentazione storica.
PERSONAGGI, FAMIGLIE, MEDICI, INSEGNANTI
attività. Curava i turisti (solo loro potevano andare a farsi massaggiare da Mìcre)
con l’imposizioni delle mani o massaggi di sua invenzione. Per un periodo, sopra
la sua postazione apparve un cartello in cui si leggeva i vari malanni che Amilcare
poteva curare, tra i quali anche le emorroidi, ma qui specificava bene: “Solo alle
donne!” Delle emorroidi degli uomini Mìcre non né voleva sapere. L’interessante
sta nel fatto che molti “pazienti” di Amilcare ritornavano giorni dopo e anche mesi
dopo per farsi sottoporre di nuovo ai suoi massaggi, perché, a loro parere, ne avevano ricevuto benefici effetti. Misteri della vita!
Per capire come era Amilcare vogliamo ancora raccontare di quando si trovò,
un sabato santo, a S. Stefano. Il parroco del luogo avendolo riconosciuto, gli chiese
se gli faceva il favore di andare in giro per le strade del paese a suonare la battola
(batracla) per annunciare l’inizio delle funzioni (prima del Concilio Vaticano II° le
campane non venivano più suonate -si diceva che erano legate-, dalle funzioni mattutine del Giovedì Santo alle funzioni del Sabato Santo che, al tempo, si svolgevano
sempre al mattino): Mìcre accettò, ma vista la fatica che occorreva fare nel suonare
la batracla, senza chiedere, di propria iniziativa, andò a suonare le campane.
Sentendo quel suono, qualcuno si precipitò in chiesa e gli disse: “Cosa fai? Non
sai che oggi le campane sono legate?” Questo, in maniera innocente gli rispose:
“Come legate? Non senti come suonano!”
A volte, soprattutto negli ultimi anni della sua esistenza, si mostrava spesso in
maniera plateale, grossolana, movimentando la tranquillità del paese, ma questa è
storia troppo recente.
Giovanni Magi
Sul piccolo vicolo sopra accennato, frapposto tra Palazzo
Rubini-Vesin e la casa di Pilà,
si affacciava anche l’abitazione di Giovanni Magi detto
Murot. Giovanni occupava la
casa con la propria famiglia
composta da moglie e quattro figlie. Il 2 settembre 1944,
Gradara fu bombardata per
un giorno intero dalle truppe
alleate. Una cannonata colpì
la casa dei Murot e la fece
90 - Pia, Alberta e Adele Magi, figlie di Giovanni (Murot)
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90
GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
crollare. Dalle macerie uscirono tutti vivi anche se, per la figlia Berta, i soccorritori
dovettero impiegare tante ore di lavoro per estrarla da sotto il cumulo di detriti.
Pietro Gennari
Pietro Gennari detto Ghighia, abitava sulla piazza,
a fianco della chiesa del SS. Sacramento. Non molto
alto, sottile, aveva partecipato alla Seconda Guerra
Mondiale. Al suo ritorno in patria, dopo il conflitto,
si adattò a fare i mestieri più disparati per mandare
avanti la famiglia composta dalla moglie Giuseppina Angelini, detta Pèpa, e da cinque figli (tre maschi
e due femmine). Per un periodo, l’amministrazione
comunale gradarese gli aveva dato l’incarico di
andare a disinfettare le stalle nelle campagne. La
Ghighia, al mattino presto, si metteva la pompa sulle
91 - Pietro Gennari (Ghighia).
spalle e partiva con la sua bicicletta,
alla quale aveva agganciata una borsa di paglia con dentro delle bottiglie
di disinfettante. Iniziava, così, il suo
giro che terminava alla sera tardi. Il
ritorno era sempre difficile: Pietro,
non portava con sé nulla da mangiare
per lasciarlo ai figli e se non riusciva
a rimediare qualcosa dai contadini, il
suo stomaco rimaneva vuoto di cibo,
ma non di vino perché il vino, in campagna, si rimediava sempre. Allora, il
suo ritorno alla sera era sempre malfermo e problematico, per gli effetti
dell’alcol.
Socialista convinto, durante le
campagne elettorali del 1948 e del
1953, andava ad attaccare i manifesti del proprio partito. Fu in una di
queste circostanze, racconta la figlia
Anna, che non potendo attaccare dei
92 - da sinistra: Sandro (Sciani), Benito e Romanifesti per mancanza di colla (la mano Gennari, figli di Pietro (Ghighia).
PERSONAGGI, FAMIGLIE, MEDICI, INSEGNANTI
colla si faceva con la farina), sottrasse di nascosto della farina dalla dispensa di
famiglia. Quella farina era un bene mandato da Dio e doveva servire per sfamare
i cinque figli. Infatti, la Pèpa, era riuscita a procurarsene un po’ con l’intento di
fare, all’indomani, delle cresce (piadine) per la famiglia. Vista la farina, la Ghighia
non pronunciò parola pensando ai manifesti che doveva attaccare. Il giorno dopo,
approfittando dell’assenza della moglie, sottrasse la farina dalla madia e ne fece
colla. Alla scoperta del furto la Pèpa non ci mise molto a trovare l’autore: infuriò
la lite e Pietro dovette saltare alcuni pasti per espiazione.
Quando Pietro Nenni e i socialisti entrarono al Governo con i democristiani
(1963), la Ghighia andò su tutte le furie: per lui fu un vero e proprio tradimento.
Pietro Gennari possedeva un animo sensibile, un tempo, aveva raccolto un
piccolo passero caduto dal nido. Lo allevò amorevolmente e l’addestrò: libero di
volare in cielo, l’uccellino rispondeva ad ogni suo richiamo e, ad un suo fischio,
gli si posava sulla spalla. Non avendo paura degli uomini, il passero viveva in
mezzo alla gente, beccando spesso a terra, vicino ai piedi delle persone. Fu così
che inavvertitamente venne schiacciato, con grande dispiacere, non solo della
Ghighia, ma anche dei vicini e dei bambini che si erano affezionati al piccolo pennuto.
Angelo Patrignani
Subito fuori il borgo castellano, dopo la porta dell’orologio, scendendo a destra, dove oggi si trova il Bar
Ducale, al tempo vi era l’abitazione di Angelo Patrignani detto Bighèn. Angelo lavorava alla fornace di Cattolica, dove, siccome il ciclo produttivo era continuo, si
facevano i turni. Una mattina presto, dopo aver finito il
proprio turno, Bighèn si avviò verso casa passando per
il centro storico di Cattolica (Cattolica Vecchia). Sulla
via si apriva il negozio di un fornaio. Questi, mentre
Angelo passava, era intento a togliere pagnotte di pane
appena cotto dal forno. Alla vista di quelle pagnotte e
al profumo che emanavano, Bighèn entrò nel negozio
e chiese al fornaio quanto volesse per una mangiata di
93 - Angelo Patrignani
pane. Il fornaio, senza pensarci troppo, gli disse: “Dam- (Bighén).
mi due soldi (10 centesimi di lira) e prendi quello che
ti va da quella cesta, indicando il contenitore posto in un angolo. Angelo iniziò a
mangiare con avidità, in maniera quasi frenetica ed era tanto veloce che il fornaio
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
preoccupato soprattutto per il mancato guadagno gli disse: “Ma voi, buon uomo,
non bevete mai?” Al ché, Angelo, alzando gli occhi, con fare spiccio gli rispose:
“Alla prossima infornata!”
Giovanni Gennari
Scendendo ancora, dopo il Bar Ducale oggi si trova una gelateria, mentre al
tempo vi era la barbieria, con il pavimento di legno, di Giovanni Gennari detto
Parantoniè: un mattacchione che aveva fatto fortuna in America, negli Stati Uniti, dove impazzava il ballo del Tip-Tap. Giovanni apriva la barbieria il sabato e la
domenica. Capitava che alle volte non ci fossero clienti, allora, la passione per il
ballo, lo spingeva a chiamare i ragazzini che giocavano nella piazza per insegnar
loro, all’interno della bottega, a ballare il Tip-Tap, tra la polvere che si alzava dal
pavimento.
94 - Giovanni Gennari al lavoro nella sua barbieria.
PERSONAGGI, FAMIGLIE, MEDICI, INSEGNANTI
Luigi Moretti
Luigi Moretti abitava a Borgo Mancini,
sopra l’osteria gestita dalla moglie Ida Tausani. La Ida era la sua terza moglie. In quei
tempi molte donne morivano per infezioni
post parto e a Luigi di mogli gliene erano
morte due. Luigi era soprannominato Pustión (postiglione) perché, per un certo periodo della sua vita, aveva fatto il postiglione
(mestiere ereditato dal padre), per poi entrare
come vigile urbano e messo alle dipendenze
dell’amministrazione comunale gradarese.
Persona integerrima e di bell’aspetto, era un
cattolico poco praticante per non dire ateo.
95 - Luigi Moretti (Pustión).
Dalle tre mogli ebbe cinque figli (due maschi
e tre femmine).
Il lavoro lo portava a viaggiare per le contrade comunali: consegnava avvisi,
notifiche e ogni quant’altro legato al suo mestiere. Girava per il paese e le frazioni
senza divisa (non la possedeva) e come riconoscimento della sua autorità portava il solo cappello. Camminare fa venire sete e Luigi beveva più del necessario.
Aveva l’abitudine di alzare il gomito e spesso alla sera ritornava a casa mezzo
sbronzo andando a dormire senza cenare. Se per caso si fermava in cucina e la
moglie gli chiedeva se voleva mangiare, lui rispondeva che aveva sete, se gli
porgeva da bere, voleva mangiare. Andava a letto, come usava allora, completamente nudo. Una sera tardi, quando già era coricato da tempo, gli venne sete e
senza preoccuparsi di vestirsi si alzò dal letto e scese giù nell’osteria, così, nudo,
come la madre lo aveva generato. Tra lo stupore dei pochi avventori, si portò
dietro il banco, prese un bicchiere di vino e senza proferire parola riprese la via
da cui era arrivato, lasciando i presenti esterrefatti.
Agli stravaganti comportamenti “casalinghi” contrapponeva una rigida
disciplina e senso del dovere, tanto che non esitò più di una volta a fare delle
multe ai familiari: alla figlia Olga la multò perché delle galline uscite dal pollaio
razzolavano per le vie del paese. Per lo stesso motivo multò la moglie. Al figlio
Ulisse, una sera che gli si presentò davanti in bicicletta, sulla strada del ritorno
che faceva da Cattolica, lo voleva multare per il fanale mal funzionante: il figlio
faticò non poco per farlo desistere. Passava per grande don Giovanni. Si narra
che ebbe molte amanti. Una donna gradarese, quando parlava dei Moretti, tenendo il braccio disteso lungo la vita, con movimento ampio sbatteva la mano sulla
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
96 - Olga Moretti con i figli Giuseppe (in basso) e Luigi Magi.
PERSONAGGI, FAMIGLIE, MEDICI, INSEGNANTI
gamba e gesticolando visibilmente diceva: “I Moretti? Gran putaniér!! Nén, nén.
Gran putaniér!!” (I Moretti? Gran donnaioli!! Caro mio, caro mio. Gran donnaioli!!) Sembra che i fatti stessero veramente così.
Nell’agosto del 1944, nell’avvicinarsi del fronte della guerra, la gente sfollò
dai paesi per trovare rifugio nelle campagne: mancava di tutto ed il cibo razionato era sempre più scarso. Non si trovava neppure il vino. In quei momenti
drammatici, con poco cibo, senza neppure un goccio di vino per consolazione,
all’età di 79 anni, Luigi si abbandonò ad uno stato di languore: si mise a letto
senza nessuna malattia, lasciandosi letteralmente andare. Poco prima della fine,
lo convinsero a confessarsi (era più di quarant’anni che non lo faceva), ma pretese
come confessore il prete di Monteluro, don Bonaparte, suo amico, che ottemperò
alla richiesta. Si spense pochi giorni prima del passaggio del fronte, quando si
sentivano già rombare i cannoni e il volo dei bombardieri alleati, sopra Gradara,
si era fatto incessante: dalle loro pace, sulla verticale del paese, uscivano centinaia
e centinaia di bombe che, tracciando una traiettoria obliqua, andavano a colpire
la città di Rimini.
Non sappiamo se al momento della sua morte Luigi Moretti sapeva che Giuseppe, suo secondogenito fuggito in Francia nel 1924 per non sottostare ai fascisti,
combatteva contro i suoi connazionali e paesani, arruolato nell’esercito francese,
tanto era in lui lo spirito antifascista.
Ulisse Moretti
Terzogenito di Luigi, ricoprì l’incarico
di guardia municipale e messo comunale
per oltre trent’anni (subentrò al padre).
Uomo mite, estremamente disponibile
con tutti, aveva fatto della comprensione
una sua filosofia di vita: mai una multa,
se non costretto e spesso capitava che se
qualche turista parcheggiava l’auto in
divieto di sosta, prima di riempire il bollettario delle multe, aspettasse dei buoni
quarti d’ora. Le poche volte che gli accadeva di stilare una multa, se al ritorno, il
turista, preso atto della contravvenzione,
andava da lui educatamente, per spiegazioni e per scusarsi di non aver visto il
97 - Ulisse Moretti negli anni Quaranta.
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
98 - Ulisse Moretti
nel 1963, alle sue
spalle
Gianfranco
Bertozzi.
segnale, non era insolito strappare tutto. Possedeva un forte senso dell’ospitalità,
cosciente, anche, che il turismo portava denaro e faceva prosperare il paese. Ulisse sapeva e credeva che niente fosse meglio di una buona pubblicità fatta direttamente dalla gente che veniva a visitare Gradara. Di questa sua convinzione ne
dava inconsciamente testimonianza Delio Bischi, veterinario a Gradara dal 1954
fino a metà degli anni Ottanta. Questi raccontava che avendo vinto il concorso
per la condotta veterinaria sia a S. Costanzo, sia a Gradara, per scegliere la nuova
sede di lavoro aveva deciso di fare una visita ai due paesi e prendere contatto
PERSONAGGI, FAMIGLIE, MEDICI, INSEGNANTI
99 - Anni Quaranta. Da sinistra: Carlo Andreatini (Carlén), (?), Ulisse Moretti, Amedeo Gennari.
con le autorità del posto. Partito da Piobbico, suo paese natio, andò prima a S.
Costanzo, parcheggiò l’auto e una volta sbrigate le formalità, ritornò verso il suo
mezzo. Qui vide che sotto il tergicristallo vi era una bella multa. Cercò il vigile
per spiegare la situazione, ma questo non volle sentire ragioni e la multa la dovette pagare. Da S. Costanzo si avviò verso Gradara. Arrivato nel nostro paese,
fresco di multa, quando vide il divieto di transito a Borgo Mancini non si azzardò
a contravvenire al segnale e visto il vigile (Ulisse) si presentò e gli chiese come
si poteva arrivare in municipio. Ulisse gli diede il permesso di proseguire con
l’auto spiegandogli anche dove parcheggiare. Dopo i giri di rito, il dottor Bischi
si fermò a comprare alcune cartoline, recandosi poi ad acquistare i francobolli all’Ufficio postale. La Maria Panicali, direttrice dell’Ufficio, saputo chi era il Bischi
e i motivi della sua visita, gli regalò i francobolli come omaggio personale. A quel
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
punto, Delio Bischi fece una piccola
riflessione e un veloce paragone di
come era stato accolto nei due paesi.
Alla luce di questi piccoli fatti, non
ebbe più dubbi e scelse la condotta di
Gradara.
Ulisse Moretti era molto generoso
e disponibile con tutti. La sua casa
fu per anni meta di tanta gente: chi
chiedeva un certificato, chi un consiglio, chi l’interessamento o l’esito
di una pratica, ma ancor di più era
generoso con le tante persone che di
sera frequentavano la sua abitazione:
andavano a vègghia (veglia) come si
diceva e per gli ospiti c’era sempre
qualcosa: castagne, ceci, vino, fusaia
(lupini), ecc.. Alle volte, oltre a quelle
100 - Raimondo Moretti (Mundén).
di famiglia, si contavano dieci, dodici
persone e più. In dette serate teneva
la regia la moglie, Ida Ceccolini, cuoca sopraffina, religiosa al punto da sfiorare
il bigottismo. Nel mese di novembre, dopo cena, si aspettava l’arrivo degli ospiti
per dare inizio al rosario. Finite le preghiere le donne cominciavano a sferruzzare:
chi faceva la maglia, chi la calza, chi un pizzo. I più giovani giocavano a carte, ma
ben presto erano rapiti dai racconti, soprattutto della Ruséna d’Mundén (Rosa
Andreatini - una vera macchietta per le sue imitazioni e gag), moglie di Raimondo Moretti detto Mundén.
Tra un racconto e l’altro, tra un bicchiere di brulè e qualche castagna si veniva
a conoscenza di fatti più o meno recenti, come l’omicidio del Re Bel, un certo
Badioli, avvenuto per gelosia nei pressi della località detta Pirano (Tavullia),
oppure dell’uccisione del prete di Monteluro con tanto di taglio dei genitali per
mano di una banda non ben definita. Erano soprattutto le donne anziane che
raccontavano. Raccontavano di tutto: vicissitudini d’amore, tradimenti, omicidi e
mancati omicidi, apparizioni di anime, di malati e malattie creando una suspense
che neppure i film dell’orrore a volte riescono a trasmettere. Non mancavano i
racconti di avventure spassose che muovevano al ridere tutta la brigata. Le vicende di amori piccanti, invece, erano sussurrate: noi bambini stavamo attenti
per carpire qualche frase, qualche parola, ma la Ida era inflessibile e se capiva che
potevamo udire qualcosa vietava al narratore di continuare.
PERSONAGGI, FAMIGLIE, MEDICI, INSEGNANTI
Vincenzo Generali
Feranda Tausani, moglie di Vincenzo Generali, raccontava di quando andava
a prendere il marito, cantoniere municipale, che, quasi sempre, all’osteria teneva
banco leggendo Il Resto del Carlino (giornale che acquistava ogni giorno) agli
astanti, per la maggior parte analfabeti. Un tempo, si sa, quasi tutti bevevano e
alla sera erano un poco brilli. Tra un articolo e l’altro anche Generali beveva e
quando la moglie lo andava a chiamare, perché tardava a rientrare a casa per la
cena, spesso era allegro. Allora, per scusarsi, di fronte a tutti le chiedeva venia in
italiano usando il Voi: “Feranda, se ho sbagliato perdonatemi!” La moglie, paziente, lo prendeva e lo conduceva a casa.
Luigi Foschi
Il portone del Palazzo comunale si apriva al
mattino presto. La prima ad arrivare era la Marietta Palazzi (la Marzona) vedova Tamburini, madre
di Luciano, custode alla rocca e Stefano (Nino)
barbiere con bottega a Borgo Mercato. La Marietta
aveva appena iniziato a pulire gli uffici comunali
che subito arrivava Luigi Foschi (Luig del Turc) con
il suo sacco di posta da consegnare alla Maria Panicali, direttrice dell’Ufficio Postale gradarese. Luigi
ricopriva l’incarico di procaccia postale ed era suo
il compito, ogni mattina, di prelevare i sacchi postali alla stazione ferroviaria di Gradara e portarli
in paese. Quasi sempre arrivava prima dell’apertura dell’Ufficio Postale, allora, soprattutto nelle
101 - Carlo Foschi (Carlén
fredde mattine invernali, si rifugiava nel corridoio del Turc).
d’ingresso del Palazzo Comunale, attendendo
l’arrivo della Maria Panicali, magari facendo due
chiacchiere con Ulisse Moretti che lì aveva la sua abitazione.
Luigi aveva “ereditato” il mestiere dal padre Carlo (Carlén del Turc) morto nel
novembre del 1944, due mesi dopo che la moglie Cristina era stata colpita a morte
sul sagrato della chiesa del SS. Sacramento, dal bombardamento alleato avvenuto
il 2 settembre di quell’anno (quel giorno morirono sotto le bombe cinque persone).
Carlén del Turc, classe 1886, era uno dei pochi gradaresi della sua generazione che
sapeva leggere e scrivere e spesso metteva a disposizione degli analfabeti la sua
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
“penna”, per una lettera da
inviare al figlio militare o ai
parenti emigrati nelle Americhe. Ricoprì per vent’anni
anche l’incarico di Vice Presidente della Cassa Rurale
di Gradara (1925 – 1945) fino
alla soglia della sua morte.
Sincero ed onesto, gli bastava
la parola per mantenere fede
agli impegni che prendeva.
Proprio per la sua rettitudine, ricoprì anche l’incarico
di Giudice conciliatore del
Comune di Gradara. Le sue
virtù riuscì a trasmetterle
al figlio Luigi. Questi non
ebbe modo di vedere i genitori nel momento della loro
morte, in quanto prigioniero
in Germania. Infatti, Luigi
appartenne a quella innume102 - Luigi Foschi (Luig del Turc).
revole e “sciagurata” schiera
di giovani italiani, nati tra il
1910/15, che tra un conflitto e l’altro si sobbarcarono anche dieci anni di guerra
e alla fine quelli che tornarono a casa si poterono considerare fortunati: diversi
centinaia di migliaia di commilitoni non ebbero modo di rivedere più i loro cari.
A quei tempi certi incarichi statali o parastatali si potevano tramandare da
padre in figlio e quando Carlo Foschi lasciò l’incarico di procaccia lo passò al
figlio, ma essendo questo militare, la moglie di Luigi (Annita Andreatini) supplì
alla mancanza del marito fino al suo ritorno, avvenuto nell’ agosto del 1945. Nel
periodo bellico la posta si andava a prelevare a Pesaro, per cui l’Annita, ogni
giorno, a piedi (non possedeva mezzi di locomozione), si recava nel capoluogo
provinciale a prelevare la posta per poi portarla a Gradara.
Nei duri anni del dopoguerra, Luigi oltre all’incarico di procaccia, che lo impegnava per poche ore alla mattina, si dedicava ai lavori campestri nel suo piccolo
appezzamento di terreno, in via Tombe (oggi Tre Ulivi), luogo dove aveva anche
la sua abitazione. Nei mesi estivi, oltre alle solite incombenze, per conto di alcune
ditte romagnole e locali, come i Serafini e gli Antonioli, che possedevano macchi-
PERSONAGGI, FAMIGLIE, MEDICI, INSEGNANTI
ne trebbiatrici, procacciava clienti per la trebbiatura, stabilendo il giorno d’intervento, le precedenze e l’importo della prestazione. In sostanza, oggi si direbbe
che svolgeva il lavoro di rappresentante, allora veniva detto ministro. Essendo
un uomo attivo e probo, Luigi, tra gli anni Quaranta e Cinquanta, ricoprì sia
l’incarico di amministratore della Congregazione di Carità gradarese sia quello
della Cassa Rurale.
Il grande incremento turistico che si ebbe nella Riviera Romagnola negli anni
Cinquanta – Sessanta, portò un numero crescente di persone a visitare la Rocca
di Gradara. Il grande afflusso di auto che arrivava in paese, fu regolato con il
parcheggio a pagamento. Parcheggio che veniva concesso ogni anno, dall’amministrazione comunale, al migliore offerente. Nel 1960 Luigi riuscì ad aggiudicarsi
l’asta e con l’aiuto dei familiari a gestire il parcheggio per quell’anno. Nello stesso
anno fu assunto come postino: destinazione Pergola e dopo quattro anni fu trasferito a Gabicce, incarico che tenne fino al pensionamento.
103 - Estate 1960, piazzale di Borgo Mancini – I parcheggiatori Luigi Foschi (secondo da
sinistra) e Giuseppe (Pepi) Andreatini (quinto da sinistra), fotografati con dei turisti. Sulla
sinistra, in secondo piano, Angelo Patrignani (Bighén) seduto sul muretto e Amato Molari
(Cilistén).
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
Aurelia Cibelli
Aurelia si perdeva nel raccontare la sua gioventù, di quando andava a servizio in alcune famiglie di Pesaro, raggiungendo la città a piedi, costeggiando la
ferrovia. Alle volte nel suo viaggiare si imbatteva in Giovanni Moretti (Pustion)
che faceva il servizio postale da Gradara al capoluogo di provincia e viceversa.
Allora otteneva un passaggio sul carro trainato, il più delle volte, da un malandato ronzino. La malavita, forse più di oggi, si faceva sentire alla fine dell’Ottocento
e l’Aurelia si soffermava sulle paure che provava nel passare per il passo della
Siligata, strada che al tempo si infossava sotto alti greppi dando modo a facili
assalti (non erano infrequenti le rapine). Spesso l’Aurelia canticchiava canzoni
della sua gioventù (era nata nel 1875) e, se pur vagamente, ricordiamo una canzoncina a sfondo patriottico, relativa alla campagna d’Africa di fine Ottocento,
con accenni al Negus e al Re d’Italia. Abitava, l’Aurelia, in un piccolo edificio di
sua proprietà che si affacciava sulla piazza davanti al municipio, quasi di fronte
a via Zanvettori.
La sua casa, ristrutturata nel 1966, poteva essere presa come prototipo d’abitazione della classi basse: operai, braccianti, piccoli artigiani e nullatenenti. La
porta d’ingresso (priva di chiave, si apriva e chiudeva tramite un saliscendi
azionato da una leva metallica <<saltarel>>, asportabile, modellata a cucchiaio)
immetteva direttamente in cucina: si scendeva per due gradini su un pavimento
di mattoni posti direttamente sul terreno, senza nessun sottofondo. L’ambiente
era basso, con le travi principali di sostegno del piano superiore collocate ad una
altezza non superiore ai due metri. Sulla destra, in muratura, vi erano i fornelli
per le pentole (fornelli alimentati a carbone), con vicino un grande camino dalla
soglia (iola) bassa, sulla quale c’era sempre qualche pentola di coccio che sobbolliva. Nella parete di fronte al portone, si aprivano due porte per accedere sia al
fondo retrostante privo di pavimentazione, dove un buco posto su di un rialzo in
muratura fungeva da latrina, sia alle scale per salire al piano superiore. In mezzo,
fra le due aperture, era collocata la madia. Sulla sinistra, sempre dopo il portone
d’ingresso trovava collocazione il tavolo e, sopra di esso, attaccata al muro, vi era
la tacaréma (assi di legno che formavano un rettangolo con tanti ganci infissi per
agganciarci le pentole e vari attrezzi da cucina). Una meschina vetrinetta completava l’arredo. L’ambiente, piuttosto buio, era illuminato da una piccola finestrella
posta, sulla destra, di lato al portone. All’interno, sotto questa finestrella, trovavano posto gli orci per l’acqua e il lavandino. La stanza sopra la cucina fungeva da
camera da letto. Anche qui il pavimento era in mattoni cotti (pianelle), sostenute
da dei travicelli (mez murel) che a loro volta erano sostenuti da travi più grandi
(muralon), il tutto appoggiato su grandi travi infisse nel muro. Tra i mattoni del
PERSONAGGI, FAMIGLIE, MEDICI, INSEGNANTI
104 - Aurelia Cibelli, fotografata da dei turisti nel 1955 all’età di 80 anni.
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
105 - L’abitazione dell’Aurelia Cibelli
in via Umberto I, nel 1954. Sotto la finestra della cucina è parcheggiata una
lambretta.
pavimento non c’era stuccatura, per cui,
se sopra si rovesciava qualche liquido,
tutto passava di sotto in cucina. Il letto
dell’Aurelia aveva il materasso o saccone
pieno di foglie di granturco, che quando
si coricava frusciavano infastidendo.
Era abitudine dell’Aurelia cantare
forte gli inni sacri, mentre svolgeva le
faccende di casa: Noi vogliam Dio, Tadoriam ostia divina, ecc.. Poco distante,
in via Zanvettori, abitava il Tiolà, come
già detto (non sappiamo perché venisse
indicata con l’articolo al maschile). Tra le
due donne, per motivi futili, vi era sempre stato un poco di frizione. Frizione
che si manifestava in sfottò più o meno
velati: una urlava forte, per farsi sentire:
“Io sono pulita! Io mi lavo!” Oppure: “A
me, la gente mi vuole bene, mi regala la
roba e mi fa la carità. Qualcuno, invece,
va a rubare!!” Era la sfida della miseria!!
Comunque, quando una sentiva cantare
l’altra, iniziava pure lei a intonare l’inno
più forte per cercare di coprire la voce
della rivale. Così, andavano avanti delle
ore finché non si stancavano, alle volte
ascoltate da turisti di passaggio divertiti
dall’inaspettato siparietto.
Lorenzo Zanni
Abitava sotto Borgo Mancini, in una casa che si affacciava sulla strada che
scendeva diretta a Borgo Mercato. Lorenzo Zanni faceva cesti e altri oggetti con
vinco e canna come i crén (manufatti a cono tronco, a base larga, piuttosto bassi
[40 - 50 cm] a intreccio largo. Aperti in fondo e in cima. Servivano per tenere la
chioccia in mezzo all’aia, mentre i pulcini potevano entrare e uscire a loro piacimento dai fori dell’intreccio). Le massaie e i contadini non potevano far a meno
dei suoi contenitori: per il bucato, per il fieno, per l’uso di casa e di campagna.
PERSONAGGI, FAMIGLIE, MEDICI, INSEGNANTI
Giustina della Santa
Scendendo giù verso Borgo Mercato, come abbiamo visto, si arrivava al forno della Giustina Della
Santa, chiamata da tutti Iósta. Al
profumo del pane che ancora ci
illudiamo di sentire quando tira il
vento di scirocco, ci ritornano in
mente le immagini delle donne che
facevano la fila per infornare i dolci
e le cresce pasquali nel forno della
Iósta. Che festa si faceva quando la
mamma tornava con i cesti pieni di
quelle leccornie: la casa veniva invasa dai dolci odori, l’acquolina in
bocca saliva di tono, ma guai a toccarle, si potevano mangiare solo dal
giorno di Pasqua in poi, altrimenti
si buscava non solo scappellotti, ma
106 - La Iósta (Giustina della Santa) gestiva
anche cinghiate.
l’unico forno del paese.
Salvatore Fabbri
Al centro di Borgo Mercato, davanti alla strada che portava verso Cattolica,
c’era l’officina da fabbro ferraio di Salvatore Fabbri detto Tóri d’Capocia. Un
vero e proprio guascone che irradiava simpatia. Viaggiava con un sidecar BSA
che ad ogni chiusura di gas emetteva dei forti scoppi: sul cassone gli immancabili
attrezzi da lavoro e il fido cane Franco, così chiamato in “onore” del dittatore
di Spagna. Franco, un bracco dalle lunghe orecchie, non sopportava il suono
delle campane e immancabilmente ululava quando le sentiva, ma provava fastidio anche agli scoppi del BSA e ululava regolarmente ad ogni boom, boom, del
motore. Ne usciva cosi un esilarante siparietto: ai boom, boom, inevitabilmente,
corrispondevano altrettanti Ouu!!!! Ouu!!!! del cane, mentre Tóri era intento alla
guida del mezzo. Il pezzo forte di Capocia erano i suoi racconti di caccia (tradizione di famiglia) che superavano ampiamente la fantasia. E’ rimasta ancora in
circolazione la storia di quando, il padre di Tóri, Adamo, trovandosi in campagna
ebbe necessità di fermarsi per un bisogno corporale (a quei tempi non esisteva
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
107 - Magnifica immagine di Salvatore Fabbri (Tori d’Capocia), davanti alla sua officina a
Borgo Mercato. La foto riesce a mettere in evidenzia tutta la sua esuberanza.
la carta igienica e ci si serviva di ciuffi d’erba o di foglie), quando Adamo, cercò
di prendere dell’erba per pulirsi, s’accorse di aver afferrato le orecchie di una
lepre. Questa, divincolandosi, urtò il fucile da caccia che l’uomo portava sempre
appresso: partì un colpo che colpì un fagiano che cadde ai suoi piedi. Versioni di
storie simili girano un po’ in tutt’Italia, tra i cacciatori, ma abbastanza originale
è la storiella legata agli storni. Questi uccelli emigrano in stormi composti da
migliaia e migliaia d’individui, oscurando alle volte il cielo, come le cavallette.
PERSONAGGI, FAMIGLIE, MEDICI, INSEGNANTI
Una mattina Tóri, si fermò con alcuni conoscenti e il discorso cadde sul “passo”
e sulla voracità di questi uccelli capaci di pulire vigne e oliveti. Al che, Tóri, con
estrema semplicità e naturalezza, disse che alcuni giorni prima si era appostato
in mezzo all’uliveto del proprio podere e al sopraggiungere degli storni aveva
esploso due colpi: riempì due balle di uccelli e, aggiunse, che il suo colono per
raccoglierli tutti ci impiegò due giorni.
Al di là delle storielle, Salvatore svolgeva il suo mestiere in giro per le campagne eseguendo lavori propri del suo mestiere tra i quali c’era anche la ferratura e
il taglio delle unghie delle bestie bovine. Era sempre disposto al dialogo che non
mancava di colorire con frammezzi di moccoli. Diede il via con il figlio Osvaldo
ad una attività di carpenteria metallica che si espanse fino a consolidarsi, a tutt’oggi, in una realtà industriale di prim’ordine .
108 - Sulla destra, Tóri d’Capocia vicino al suo sidecar BSA nell’aia di una casa di campagna
nella a degli anni Sessanta.
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
Emiliano Tamburini
Anche Emiliano, meglio conosciuto come Miliano d’la Carólla, abitava a Borgo Mercato ed esercitava il mestiere di fabbro ferraio. Per l’affilatura degli attrezzi
adoperati nei lavori di campagna dai contadini, si serviva di una mola azionata,
per il tramite di alcuni meccanismi, dal moto circolare di un asino (il motore
elettrico era un lusso). Lo stesso asino, Miliano lo adoperava al pomeriggio come
animale da trasporto, per recarsi nelle campagne a consegnare il lavoro eseguito
e per procurarsene del nuovo. Con il suo carro Miliano non disdegnava di portare delle merci per conto terzi. Fu così che una domenica mattina, trasportando
delle damigiane di vino da Fanano verso Gradara, all’altezza del luogo chiamato
Frangiolata, prima di prendere la salita che porta a Borgo Mercato, l’asino odorò degli escrementi di un’asina ricettiva (in calore come volgarmente si dice),
al che iniziò con veemenza a salire. A Borgo Mercato, in genere, si faceva una
pausa per fare riprendere gli animali, ma l’asino di Miliano non ne volle sapere
e tirò dritto verso il castello. Una volta giunti a Porta Nuova non ci fu più modo
di fermare l’equino e, nonostante gli sforzi di Miliano, l’animale si precipitò in
piazza e nello slargo sopra l’osteria dell’Olga trovò l’oggetto del suo desiderio:
un’asina caricata a soma. Il vederla il salirci sopra fu un tutt’uno. I proprietari
dei due somari si davano un gran daffare per staccarli, sia per paura di perdere il
carico, sia per riparare a quell’ “increscioso” spettacolo, proprio nel momento in
cui tanta gente uscita dalla funzione domenicale e affollava la piazza. Si scatenò
una comica baraonda: c’era chi correva con secchi d’acqua da rovesciare sugli
animali che, però, nel frattempo erano sempre più presi nel loro amplesso, chi
cercava di staccarli con puntate di bastone e di frusta, chi urlava per lo scandalo e,
contemporaneamente, osservava compiaciuto, chi copriva gli occhi ai figli perché
non guardassero quella inconveniente scena, chi rideva divertito dall’imprevisto
spettacolo, insomma ci fu di tutto. Alla fine, quando l’asino scese giù dalla groppa “dell’amante” (non prima di aver concluso il suo “lavoro”), i proprietari degli
animali si apprestarono a fare un conto dei danni subiti e con loro estrema meraviglia constatarono che non c’era nulla di rotto, né una damigiana di vino, né le
uova che trasportava la somara nelle bisacce. Non c’è che dire; la forza dell’amore
era stata determinata ma lieve, nonostante il trambusto degli uomini.
PERSONAGGI, FAMIGLIE, MEDICI, INSEGNANTI
109 - Emiliano Tamburini (Miliano d’la Carólla) con la nipote Simonetta.
109
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
Arturo Baldelli
La sartoria di Arturo Baldelli, posta a Borgo Mercato, in uno stabile che faceva angolo
tra la strada per Cattolica e quella che saliva
a Gradara, era meta di numerosi clienti per la
professionalità e la cordialità di Arturo. Piccolo,
minuto, pesava sì e no cinquanta chilogrammi
con scarpe e vestito. Nella sua sartoria (oggi le
chiamano atelier) sono passate decine e decine
di ragazze gradaresi per imparare il mestiere
del taglio e del cucito che Arturo esercitava con
bravura e perizia. Oltre al mestiere di sarto, gratuitamente, svolgeva la mansione di campanaro, ma non era un campanaro qualsiasi: aveva il
compito di suonare il campanone.
111 - Porta Nuova con la torre
del campanone nei primi anni
Cinquanta. Si noti la strada
non asfaltata e priva di cordoli
di delimitazione.
110 - Arturo Baldelli (Arturo d’Lìén)
il sarto-campanaro.
PERSONAGGI, FAMIGLIE, MEDICI, INSEGNANTI
Il suono del campanone, fin dalla sua messa in opera (1823), avvisava i gradaresi che erano accaduti eventi particolari, oppure che si cercava di prevenire
cataclismi che alla campagna avrebbero portato notevoli danni. Avete letto bene:
con il suono del campanone si cercava di evitare le brevi e intense tempeste estive che tanti danni facevano nei campi. Infatti, nei tempi passati si credeva che
il suono di una grossa campana avesse il potere di rompere il fronte nuvoloso
carico di pioggia. All’avvicinarsi della tempesta, che si preannunciava con lampi
e tuoni, Arturo lasciava il suo lavoro e da Borgo Mercato saliva, per più di un
chilometro, fino a Gradara per portarsi in cima alla torre del campanone, posta
sopra Porta Nuova. Una volta giunto in cima, si collocava a fianco della grossa
campana e attaccandosi a una corta corda, iniziava a muovere il pesante bronzo.
Come facesse e dove trovasse tutta quella forza, lui così mingherlino, per smuovere quei quintali di peso rimane un piccolo mistero. Suonava a distesa, durante
l’avanzare dei temporali, mandando veloce la campana: don, don, don, con quel
cupo suono che si sentiva nel raggio di diversi chilometri di distanza. Suonava
instancabilmente, fino a quando il temporale non si dissolveva, oppure girava
lontano dal paese.
Oltre che per prevenire le tempeste,
il campanone veniva suonato per avvisare dell’agonia, della morte, o del
funerale di un paesano. In queste circostanze Arturo, mandava piano la “sua”
campana: un don, don, lento e cupo
si propagava nell’aere richiamando la
gente alla preghiera. La grande campana veniva azionata anche in occasione
della processione delle Rogazioni (benedizione delle campagne che si faceva
nel mese di maggio) e durante le feste
religiose che si celebravano nella chiesa
del Santissimo Sacramento.
Tutto questo Arturo lo faceva gratis.
I contadini, però, gli erano riconoscenti
e non mancavano di ricompensarlo
con beni di natura, portandogli a casa i
frutti di stagione.
112 - Il campanone collocato nella torre
sopra Porta Nuova nel 1823.
111
112
GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
Guglielmo Foschi
Via Fratte è la via che inizia proprio a fianco dell’ingresso dell’Hostaria del
Castello e porta ad un gruppetto di case poste più a valle, per proseguire, poi,
fino alla ferrovia. Dopo poche decine di metri, proprio dietro l’Hostaria del Castello, vi è ancora una casa, allora abitata da Guglielmo Foschi detto Guglièlme
del Turc e da sua moglie Elvira. I due non avevano figli e vivevano con i proventi
derivanti dalla coltivazione di un piccolo appezzamento di terreno contiguo alla
propria abitazione. Nel terreno di Guglielmo vi erano diversi alberi da frutta.
Frutta che era sempre sotto la nostra osservazione per essere raccolta nel tempo
migliore.
Per i ragazzi di Gradara l’abitudine di girovagare per i campi, nei mesi estivi,
a rubacchiare frutta aveva radici antiche. Si partiva a piccoli gruppi, nel primo
pomeriggio, approfittando del momento di riposo dei contadini e si raccoglieva
di tutto: ciliege, susine, albicocche, pere, cocomeri, meloni e altro. Si era coscienti
del pericolo, nel senso che se ti prendevano, qualche cinghiata non te la toglieva
nessuno e a casa non si sarebbe stati capiti, anzi, avrebbero raddoppiato la dose.
Capitava che qualche volta Guglielmo e l’Elvira beccassero qualcuno, allora non
lesinavano percosse. Tra i gruppi che periodicamente visitavano il frutteto di Guglielmo vi era un ragazzino meno veloce degli altri per problemi fisici e questo,
sovente veniva preso e pagava per tutti.
Un giorno, questo ragazzino, avendo fame, si avviò verso il terreno di Guglielmo e si mise a mangiare della frutta. Vistolo, il contadino, si precipitò verso di lui
per suonargliene di santa ragione: il ragazzino non si mosse e quando Guglielmo
gli fu vicino alzò la mano facendo ben vedere che stringeva nel palmo una bomba
a mano. Guglielmo si fermò e preso dallo spavento cambiò atteggiamento. Al
che, il ragazzino dettò le sue condizione: “Adesso mangio in pace e tu non mi
bastoni, quando sarò sazio andrò via.” Guglielmo non replicò anzi, terrorizzato,
gli disse che poteva mangiare tutti i frutti che voleva ogni volta che lo desiderava
e che non l’avrebbe più percosso.
Per la cronaca, la bomba a mano era un residuo bellico privo di polvere.
Valentino Lisotti
Negli anni Cinquanta, in una casa colonica posta lungo la carrabile che da Gradara scende a Borgo Mercato, abitava Giovanni Lisotti con la moglie Giuseppina e i figli Maria e Valentino. I Lisotti, oltre a svolgere i soliti lavori campestri,
tenevano in stalla delle mucche da latte. Latte che al mattino presto portavano
PERSONAGGI, FAMIGLIE, MEDICI, INSEGNANTI
113 - Valentino Lisotti
fotografato con la moglie Felicia (metà anni
Cinquanta).
113
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
a vendere in paese, passando casa per casa. L’incombenza era compito di Valentino, il quale, per non svegliare la gente di soprassalto battendo alla porta e
per accelerare la distribuzione, aveva escogitato un metodo semplice ed efficace:
essendo dotato di una bellissima voce ed avendo passione per il canto, saliva
in paese e una volta superata la Porta dell’Orologio, iniziava a cantare i più bei
motivi del festival di Sanremo. Le donne, sentendo il canto, si affrettavano con i
recipienti alle porte di casa.
Appassionato di calcio, Valentino è stato ed è un dirigente di riferimento della
società sportiva calcistica gradarese.
Giancarlo Grati
Era nato durante il Secondo Conflitto
mondiale. I primi anni della sua fanciullezza
li trascorse a Borgo Mercato. La famiglia si
trasferì poi a Gradara castello, in via Zanvettori, dove Giancarlo in età ormai adulta aprì
una bottega da ciabattino.
Da ragazzo tentò anche la “strada” del
ciclismo: corse un paio di anni a livello dilettantistico, senza ottenere particolari successi.
Per tutti, Giancarlo era Babatiè, calzolaio
je, je. Simpatico ed estroverso, Giancarlo
era dotato di un grande senso del humour e
sapeva ridere anche di sé stesso. Viaggiava
in motocarrozzetta (Ape Piaggio 50) per portare, una volta riparate, scarpe e ciabatte ai
suoi clienti sparsi nel circondario gradarese.
114 - Giancarlo Grati (Babatiè).
E’ rimasto nella memoria di tutti coloro
che l’hanno conosciuto, il cartello che appendeva fuori la bottega quando si assentava per lavoro o per altre incombenze: “Qui
Babatiè calzolaio je, je, sempre presente quando c’è”. La sua innata “ironica bonomia”
la manifestava in qualsiasi occasione, come quando andava al bar e ordinava
doppia razione del suo amaro preferito (18 Isolabella): “Dammi un 36” tra lo stupore di chi non lo conosceva e il sorriso degli amici per la “strana” richiesta.
Giancarlo è mancato, presto, troppo presto.
PERSONAGGI, FAMIGLIE, MEDICI, INSEGNANTI
115 - Iole Moretti con Delfina
Moretti sulle ginocchia, Maria
Antonioli, Piero Antonioli e
Ada Betti, in una bella immagine scattata in via Cappuccini
nel 1932.
116 - Luigi Antonioli.
117 - Piero Antonioli.
115
116
GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
Famiglia Antonioli
Era, senza dubbio, la famiglia economicamente più dotata di Gradara e nel
dott. Gigi e nel sig. Piero trovava i suoi rappresentanti di maggior rilievo.
Abitavano, come già abbiamo detto, nel palazzetto posto all’esterno delle mura
castellane, sotto la torre dell’orologio, a destra, salendo via Umberto I. Un tempo
gestivano la farmacia a Gradara, posta proprio nel loro palazzo, poi si trasferirono
a Pesaro, ma non mancavano di fare sempre una capatina nella loro casa gradarese e spesso si fermavano nei mesi estivi. Il dottor Gigi, per anni, fu titolare della
farmacia Antonioli di Pesaro, posta nel Trebbio, in fondo a via Branca, mentre
il sig. Piero si dedicava all’amministrazione dell’azienda agricola. Gli Antonioli
possedevano diversi terreni a Gradara, divisi in alcuni poderi coltivati da famiglie di coloni. Negli anni Sessanta,
con la “fuga” dei contadini dalle
campagne, attirati da più facili guadagni nell’industria o nel turismo,
gli Antonioli riunirono le proprietà
terriere in un’unica grande azienda
che veniva gestita dal sig. Piero.
Gli Antonioli furono sempre persone molto disponibili, tanto che,
dopo la guerra, avevano messo a
disposizione la loro auto per coloro
che dovevano recarsi all’ospedale
di Pesaro per farsi curare.
Famiglia Del Monte
Il Palazzo del Monte, è posto
al centro di via Roma. Nei tempi
passati si presentava con una sobria
facciata dalle grandi finestre. Oggi,
riadattato a ristorante, presenta un
forte rimaneggiamento che ne svilisce l’antica semplice bellezza. Il
palazzo apparteneva alla Famiglia
Del Monte capeggiata dal dottore
in veterinaria Agostino. Tra i figli di
118 - Francesco Del Monte.
PERSONAGGI, FAMIGLIE, MEDICI, INSEGNANTI
Agostino (tutti laureati) vi era il dott. Francesco
laureato in agraria. Per effettuare le sue visite,
nella campagna gradarese, il dott. Agostino
usava un calesse trainato da un cavallo. Il calesse, si può paragonare alle automobili spider
di oggi: era munito di una copertura a soffietto
(veniva aperta o chiusa secondo le condizioni
atmosferiche) che quando era aperta conferiva
al veicolo il singolare aspetto da chiocciola.
Famiglia Tausani-Ceccarelli
Altra famiglia benestante gradarese, i Tausani-Ceccarelli, avevano la propria abitazione
al centro di Gradara, come già detto. Virgilio
Tausani e la moglie Elisa avevano due figli
Raoul, laureato in veterinaria e Miriam. Virgilio, impiegato all’Ufficio di Stato Civile del Comune di Gradara, abbracciava idee socialiste e
non mancava di esternare le sue avversioni ai
fascisti e ai clericali. Nello stesso palazzo abitava anche Enrichetta Tausani ammogliata ad
Antonio Ceccarelli, ragioniere alle dipendenze della Banca Popolare di Pesaro. I due non
ebbero figli. Il Ceccarelli ricoprì l’incarico di
presidente della Cassa Rurale ed Artigiana di
Gradara per diversi anni.
La loro abitazione, oggi è vuota. Si prova tristezza nel guardare quel palazzo dalle persiane
sempre chiuse che testimoniano la mancanza di
vita al suo interno. Quanti ricordi, nel passare
davanti al palazzo Tausani-Ceccarelli: il grappolo d’uva sottratto di soppiatto dalle casse,
eludendo l’attenzione dei contadini che stavano portando il frutto nella cantina del padrone,
poi, l’odore del mosto che invadeva la piazza.
Com’era dolce quell’uva! Che profumo “dal
ribollir dei tini!”
119 - Raoul Tausani in una foto dei
primi anni Cinquanta.
117
118
GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
Famiglia Bartoli
Via Gaggera è la strada che staccandosi dalla
provinciale per Cattolica, all’altezza del ristorante La Gradarina, porta a Pieve Vecchia. Sul
finire della salita, dopo circa un chilometro da
detto bivio, esiste un grande casolare, una volta
appartenuto a Giacomo Bartoli. Si tratta di una
vecchia casa padronale (un tempo, vi era anche
il frantoio per le olive), con scala posizionata sul
lato anteriore per salire al piano residenziale,
il tutto, almeno esteriormente, ancor oggi non
rimaneggiato.
Giacomo Bartoli ricoprì la carica di sindaco
di Gradara per diversi anni e fu un fautore
dell’intervento armato dell’Italia nel Primo
Conflitto Mondiale. Finita la Guerra del 15-18,
la notte del 7 settembre 1919, la sua abitazione
fu circondata da diversi individui armati che
iniziarono una nutrita fucileria contro le finestre e la porta della casa, bruciando ciò che c’era
all’esterno. Mentre agivano urlavano: “Volevi la
guerra? E guerra sia!!” Proprio quell’anno Giacomo Bartoli aveva perso la capacità visiva e non
poteva rispondere all’aggressione armata. Allo120 - Lo spazio e le righe dedira le cinque figlie che erano con lui rinchiuse
cate dalla Domenica del Corriere
in casa, non si persero d’animo e imbracciato il all’impresa di Anna Maria (Anita)
fucile iniziarono a rispondere al fuoco. L’Anna Bartoli.
Maria, più conosciuta con il nome di Anita, fu
la principale sostenitrice della difesa: organizzò
la controffensiva e incoraggiando le sorelle, impartiva ordini per non lasciare
sguarnite le finestre, andando a sparare contro gli assalitori da ogni pertugio
dell’abitazione. Al servitore (garzone) di casa che aveva manifestato l’intenzione
di aprire il portone d’ingresso per fuggire, gl’intimò di non farlo se non voleva
buscarsi una pallottola in corpo. Le donne sostennero il combattimento fino al far
dell’alba, quando i malviventi si dileguarono nella campagna.
L’episodio non passò in silenzio, tanto che ne parlarono i maggiori quotidiani
nazionali. La Domenica del Corriere, dedicò una foto “all’eroina” con breve articolo: “INTREPIDEZZA FEMMINILE – La signorina Anita Bartoli, che come hanno
PERSONAGGI, FAMIGLIE, MEDICI, INSEGNANTI
121 - Giacomo Bartoli (Gustnón).
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
122 - La casa dei Bartoli che fu assediata nel
1919, come si presenta oggi (2006).
123 - Giuseppe Moretti, marito di Anita Bartoli.
Fu sindaco di Gradara, socio fondatore poi presidente della Cassa Rurale gradarese.
124 - 1910 circa - Militari ciclisti e motociclisti in posa a Borgo Mancini. Sulla destra è ben
visibile l’emporio di Francesco Moretti (affacciato alla finestra - padre di Giuseppe) e la
chiesetta del Sacro Cuore, oggi trasformata in negozio.
PERSONAGGI, FAMIGLIE, MEDICI, INSEGNANTI
pubblicato tutti i quotidiani, si difese a colpi di fucile contro una dozzina di malfattori a
Gradara (presso Cattolica) che tentarono armati di dar l’assalto alla sua casa di campagna
e al suo cascinale.”
All’Anita, dopo tanto palcoscenico, arrivarono numerose lettere di congratulazioni e stima da diverse parti d’Italia.
Per la cronaca, l’Anita sposò Giuseppe Moretti, che ricoprì anche la carica di
sindaco di Gradara e fu tra i fondatori della Cassa Rurale ed Artigiana gradarese
nel 1911.
I medici condotti
Non è possibile non parlare dei medici che si sono succeduti alla condotta del
nostro paese, perché, bravi o negligenti, hanno avuto la responsabilità della salute della gente. Alcuni di questi medici, poi, si sono impegnati anche in attività di
promozione sociale.
Gli anni Quaranta segnarono un susseguirsi di dottori. Il dott. Pagliari, di origine napoletana, sostituì la dott.sa Palazzetti. Il medico viveva a pigione in un
appartamento dello stabile che ospitava il mulino a olio, dove oggi c’è il supermercato Conad. L’ambulatorio, invece, si trovava in un’ala dell’Asilo Comunale,
dove oggi c’è il municipio.
Al dottor Pagliari subentrò il dottor Caverni di Pergola. Fresco di laurea, il
dottor Caverni era una persona estremamente disponibile e simpatica. Viveva
presso la Famiglia Paletti e dopo poco tempo, per i suoi spostamenti, acquistò
una balilla tre marce che andò a sostituire una Guzzi munita di sidecar. Come
tutti i medici del tempo, il dottore andava a visitare le persone a domicilio nel
pomeriggio: prendeva la sua Balilla e via per le contrade della condotta. Nell’inverno, causa le male strade, il più delle volte rimaneva impantanato e doveva
abbandonare l’auto per raggiungere l’abitazione del malato a piedi.
Il dottor Caverni fu sostituito dal dottor Ferrone di origine molisana. Quest’ultimo rimase per poco tempo, anche a causa di un incidente di caccia che coinvolse
uno del posto. Eravamo agli inizi degli anni Cinquanta, quando arrivò un giovane medico dalla Provincia di Messina: dottor Russo. Il dottore si integrò subito
nel nostro paese, tanto che fu tra i fondatori della società calcistica Malatestiana e
vestì pure la divisa della società come calciatore, ricoprendo il ruolo di difensore.
Dopo pochi anni il dottor Russo si trasferì a Gabicce Mare, per ricoprire la locale
condotta. Non lasciò più la vicina cittadina rivierasca fino alla morte, avvenuta
nel 2005.
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
125 - Il dott. Russo con la
maglia della Malatestiana di
Gradara negli anni Cinquanta.
126 - Il dott. Luigi Bevilacqua.
PERSONAGGI, FAMIGLIE, MEDICI, INSEGNANTI
Al dottor Russo subentrò il dottor Luigi Bevilacqua, padovano, con diversi
anni di condotta all’interno delle Provincia di Pesaro e Urbino. Sposato, aveva
dei figli nostri coetanei, avuti da due matrimoni. Il dottor Bevilacqua era piuttosto taciturno e di poche parole. Nel suo ambulatorio aveva una piccola radio
sempre sintonizzata su stazioni che trasmettevano musica classica: teneva il
volume bassissimo e non la spegneva mai, neppure quando visitava. Alle volte
sembrava assente, quasi abulico, dando l’impressione di non curarsi dei presenti,
ma, in realtà, era più che presente e difficilmente sbagliava diagnosi. Redigeva
la prescrizione medica con la stessa aria, congedando il paziente con pochissime
parole. Per questo suo modo di essere, alla gente, soprattutto di campagna, era
leggermente inviso, ma di fronte alla sua esperienza e professionalità, nessuno
osava contestare e, ancor oggi, i gradaresi più anziani lo ricordano come ottimo
medico.
Insegnanti elementari
Non possiamo ricordare tutti gli insegnanti elementari, ma qualcuno a Gradara ha lasciato il segno, sia per il lungo periodo d’insegnamento, oppure per
alcune particolarità. Non c’è gradarese nato nei primi quarant’anni del Novecento che non abbia imparato a leggere e a scrivere dalla maestra Garavelli. Il nome
proprio era Elisa Gennari, più conosciuta
con il cognome assunto dopo il matrimonio
con un Garavelli. Era una donna severa, e
teneva con sé, durante le lezioni, una canna
che serviva per colpire nelle mani coloro che
disturbavano o non erano attenti. Quando
morì, nei primi anni Sessanta, tutti gli alunni
della scuola elementare gradarese, vestiti di
grembiule, colletto e fiocco, parteciparono
al suo funerale.
Per la maggior parte gli insegnanti arrivavano da Pesaro, in treno fino alla stazione,
per poi salire a Gradara a piedi. Tra questi
ci fu una certa maestra Zaira Torre, che si
portava dietro la colazione per consumarla durante le ore di lezioni: ogni mattina,
mentre i suoi alunni erano impegnati negli
esercizi, la Torre, dalla borsa, estraeva un
127 - Elisa Gennari Garavelli.
123
124
GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
pezzo di ciambella e il termos con il caffèlatte, ponendo il tutto sulla cattedra.
Una mattina, un suo alunno, gli chiese se poteva avere un pezzetto di dolce. La
maestra per risposta gli disse che doveva stare zitto e lavorare. Al ragazzino la
risposta non piacque, la prese come un umiliazione e pensò di vendicarsi: prese
un pezzetto di carta, ne fece una pallina e l’imbevette nell’inchiostro, poi la tirò
verso la cattedra. La piccola palla centrò la ciambella e, rimbalzando, schizzò sul
vestito della maestra: la vendetta era compiuta.
Altro insegnante rimasto nei cuori di molti gradaresi rispondeva al nome di
Aldo Tecchi. Il maestro Tecchi viveva a Pesaro e arrivava a Gradara tutte le mattine con il treno. Era dotato di grande capacità educativa senza ricorrere a metodi
forti o “violenti”. Ai suoi alunni oltre ai testi base insegnava la Divina Commedia
e curava particolarmente la storia e la geografia. Non disdegnava di attivare le
capacità lavorative degli alunni, attraverso le attività manuali.
128 - Aldo Tecchi.
PERSONAGGI, FAMIGLIE, MEDICI, INSEGNANTI
129 - Alunni delle Elementari di Gradara negli anni venti.
130 - Alunni delle Elementari negli anni trenta.
125
126
GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
131 - Gli alunni dell’asilo infantile di Gradara nel 1940.
132 - Gli alunni dell’asilo infantile nel 1958.
PERSONAGGI, FAMIGLIE, MEDICI, INSEGNANTI
133 - Bambini e bambine dell’asilo nel 1963, vestiti con grembiuli e cappellini celeste e rosa.
Si viveva un periodo in cui la società si evolveva velocemente, cambiamenti che si possono
intuire, anche, confrontando semplicemente le due foto: questa e quella del 1958.
127
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LE ISTITUZIONI
L’asilo infantile
A Borgo Mancini, dove oggi si trova il Palazzo Comunale, come già abbiamo
avuto modo di dire, vi era l’asilo infantile gestito da suore. L’istituzione (risalente negli anni Venti del Novecento), rappresentava il primo impatto con una
struttura a carattere socio-educativo per tutti i bambini gradaresi. Non possiamo
non ricordare quei periodo della nostra prima infanzia: i giochi all’aria aperta, le
prime amicizie, le punizioni a cui venivamo sottoposti se eravamo indisciplinati
( ci ricordiamo la camera scura, le tirate d’orecchie e anche qualche scappellotto).
Una mattina, degli operai, avevano potato gli alberi di ligustro che vi erano nel
giardino, noi bambini prendemmo dei ramoscelli e alzandoli verso il cielo imitavamo i grandi facendo una processione per i vialetti del giardino, ma al posto
degli inni sacri che non conoscevamo, cantavamo a squarcia gola Bandiera rossa,
appresa dalla trasmissione di “Auguri” che Radio Capodistria (radio Jugoslava
in lingua italiana) mandava in onda ogni giorno nell’ora di pranzo (la RAI non
trasmetteva inni dei partiti). Ad un certo punto fummo avvicinati da una suora
che ci fece segno di far silenzio, poi piano, come se avesse paura di essere sentita, ci disse: “ Dovete dire Bandiera bianca, non Bandiera rossa, avete capito!”
Allora noi, ubbidienti iniziammo: “Bandiera bianca la trionferà ecc., ecc..” Anche
questo era un segno del tempi! C’erano anche altre canzoncine che imparavamo
all’asilo e cantavamo quando uscivamo a passeggio per il paese, ma quella che
c’è rimasta ancora nella mente è una specie di filastrocca che si cantava quando
ci accingevamo ad uscire dal grande cancello per fare ritorno alle nostre case:
“Ecco il sole che tramonta, dall’asilo ce ne andiam, dalla mamma ritorniam, ma domani
di nuovo saremo qui.”
LE ISTITUZIONI
134 - Il portone d’ingresso del Palazzo delle Associazioni Cattoliche negli anni Cinquanta
con l’insegna della Cassa Rurale.
129
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
Cassa Rurale ed Artigiana
In mezzo alla piazza, come è già stato scritto, vi è l’antica sede delle Associazioni Cattoliche (Palazzo Maffei), oggi adattata, nei piani inferiori, a negozio
e ristorante. In questo palazzo ebbe la prima sede nel 1911 la Cassa Rurale ed
Artigiana di Gradara. Sorta per iniziativa di don Raffaele Ceccarelli, pievano di
S. Sofia (ufficiosamente nel 1910, ufficialmente nel 1911), tra diverse difficoltà
e avversioni politiche (era un’istituzione dei preti), la banca si consolidò con
lo scorrere del tempo, trovando sempre più consenso nei gradaresi e nei paesi
circonvicini. Nel 1935 la Cassa Rurale ed Artigiana di Gradara raggiungeva il
venticinquesimo anno di attività ed era, ormai, una bella realtà di cui i gradaresi
potevano andarne fieri (in merito si veda il lavoro di Delio Bischi: “Tra sogno e
135 - L’ingresso agli sportelli della Cassa Rurale nei primi anni Settanta.
LE ISTITUZIONI
136 - Borgo Mancini nell’inverno del 1963. Sulla sinistra Casa Paoletti con la sede della Pro Loco e della
Cassa Rurale
137 - Don Raffaele Ceccarelli.
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
realtà – Settant’anni della Cassa Rurale ed Artigiana di Gradara [1911 -1981]” edito
nel 1981).
Nel Dopoguerra la Cassa Rurale mantenne la sede nel Palazzo delle Associazioni Cattoliche. In questo periodo, la banca apriva lo sportello tre volte alla
settimana e tutti gli anni, il 19 di marzo, si teneva l’assemblea dei soci (erano
circa ottanta) per prendere atto e approvare il bilancio. Finiti i lavori, i soci si
riunivano nella sala grande per un rinfresco: noi giovani ci intrufolavamo con il
benevolo consenso degli astanti così, potevamo prendere il maritozzo che veniva
distribuito e assaggiare un po’ di vino o un bicchierino di vermut sotto l’occhio
vigile e fin troppo comprensivo degli anziani.
Nel 1961, la banca trasferì sportelli e sede a Borgo Mancini, occupando il pianterreno di Casa Paoletti.
Con l’evolversi e il progredire dell’economia crebbero anche le necessità della
Cassa Rurale: urgeva una nuova sede, per andare incontro alla nuove esigenze
di una società civile in forte crescita economica. La nuova sede, ubicata a Borgo
Mercato, fu costruita in due anni e inaugurata nel 1975.
Con il recente acquisto di Palazzo Antonioli, a Borgo Mancini, la direzione della Banca di Credito Cooperativo di Gradara, come oggi viene chiamata, ritornerà
al centro dell’antico abitato gradarese, trovandovi degna ospitalità.
Mancano cinque anni al compimento dei cento anni di attività e di strada la
B.C.C ne ha fatta veramente tanta: dai primi 37 soci e dall’unica sede della Scuciarela, oggi la Banca vanta ben 13 sportelli aperti, oltre che nel Comune di Gradara,
nei comuni di Cattolica, S. Giovanni in Marignano, Gabicce, Misano, Morciano di
Romagna, Pesaro, Riccione, S. Angelo in Lizzola, Tavullia.
Nel Palazzo delle Associazioni Cattoliche, oltre alla Cassa Rurale, vi trovava
sede il circolo cittadino e, a pian terreno, c’erano delle stanze occupate da alcuni
inquilini, per cui il portone principale era sempre aperto. Questo immetteva in
un ampio locale d’ingresso su cui si aprivano alcune porte. Una di queste portava
nell’appartamento della Nena Benvenuti. Nei giorni piovosi l’antro diventava
sede di gioco di noi ragazzi. Giocavamo soprattutto con la trottola. Si trattava di
una trottola costruita artigianalmente: un cono di legno pieno, non più alto di 10
centimetri, sagomato in modo da potergli avvolgere una cordicella. L’abilità consisteva nel lanciare la trottola svolgendola dalla cordicella in modo da imprimergli un forte moto rotatorio, tale da permettergli il movimento per diverse decine
di secondi. Una volta in movimento la trottola disegnava un percorso semicircolare, superando anche gli avvallamenti e le piccole spaccature che presentava il
pavimento. Non solo, spesso eravamo noi bambini che cercavamo di ostacolarne
il moto con dei sottili giunchi che velocemente (una vera e propria frustata) cercavamo di far passare fra il pavimento e la punta della trottola. Lascio immaginare
LE ISTITUZIONI
138 - Estate 1963 - Enrico De Biagi (Elmo) e Leonardo Moretti vestiti in costume per
la rievocazione storica del Torneo dei Balestrieri, fotografati davanti alla sede della
Cassa Rurale a Borgo Mancini.
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
il baccano che facevamo. Alla Nena sentire tutto quel chiasso non andava proprio
a genio, per cui usciva furiosa e con un bastone ci scacciava. Dopo la Nena occupò l’appartamento la famiglia di Attilio Tamburini detto Ghiandón con la madre
Rosa detta la Muléccia morta negli anni Settanta all’età di 99 anni. Per i giovanissimi gradaresi, che continuavano nei freddi giorni invernali ad andare a giocare
nel salone d’ingresso di Palazzo Maffei, le cose non cambiarono: qualcuno usciva
sempre a scacciarci anche se non si chiamava più Nena.
139 - Attilio Tamburini con la madre Rosa Corbelli fotografati
nell’atrio del Palazzo delle Associazioni Cattoliche.
LE ISTITUZIONI
Il Concerto Bandistico
Nato nel lontano 1887, il Concerto Bandistico a Gradara è un’istituzione consolidata. Tra le sue fila, generazioni di gradaresi hanno dato sfoggio delle loro
qualità musicali nel corso di più di cento anni.
140 - La Banda musicale gradarese negli anni Trenta fotografata sotto il torrione di levante
(vicino a Casa Antonioli e Gioco del pallone). Si notino tra i musicisti, oltre a gente comune,
dei fascisti in divisa con gagliardetto.
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
141 - La Banda musicale gradarese fotografata alla fine degli anni Cinquanta davanti alla
Porta di Valbona a Urbino, dopo un’esibizione nella città feltresca.
La Banda aveva la sede e sala prova, dal 1905, in Via della Fiera, a pian terreno
di un edificio prospiciente le mura di ponente (nel 1986 è stata trasferita in un
locale di Palazzo Rubini-Vesin, in Via Zanvettori 8 e, pochi anni dopo, nei locali
della vecchia scuola elementare in via Mercato). Ricordiamo ancora i venerdì di
prova, quando dalle nove di sera i concertisti incominciavano le loro esercitazioni: brani musicali che iniziavano, s’interrompevano e, dopo breve periodo, ricominciavano, alle volte in un susseguirsi infinito d’interruzioni, finché la musica
continuava, continuava, fino a chiudersi senza stecche o stonature.
Nelle sere invernali del venerdì, prima che la TV prendesse il sopravvento
sulle abitudini di noi paesani, il suono delle prove della banda ci accompagnava a letto; alle volte piacevolmente, altre volte ci tormentava con quei motivi
di prova e riprova che picchiavano nella testa impedendoci di prendere sonno:
“Ta, ta zum!! Ta, ta zum!!” Una sospensione di alcuni istanti poi ancora: “Ta, ta
zum!! Ta, ta zum!!” Così per decine di volte finché il suono continuava, magari
per fermarsi poco dopo. Ma quel piccolo strazio veniva ricompensato nelle uscite
LE ISTITUZIONI
ufficiali, quando la Banda esprimeva il meglio di sé e del suo repertorio, strappando applausi anche a noi ragazzini. Ricordiamo i concerti del primo giorno di
maggio, del 4 novembre (Armistizio Prima Guerra Mondiale) e l’accompagno
delle principali processioni religiose, quando venivano intonati gli inni sacri.
Così, rammentiamo, anche, le malinconiche marce cadenzate ai funerali. Senza
dubbio le esibizione migliori si ascoltavano in piazza, nelle sere d’estate, quando
anche i turisti, numerosi, rimanevano in silenzio rapiti dai brani proposti.
Per un maggior approfondimento sul Concerto Bandistico di Gradara rimandiamo i lettori al libro di Delio Bischi: “La Banda Musicale di Gradara, nei suoi novant’anni di vita 1887 – 1977, edito dalla Cassa Rurale ed Artigiana di Gradara)
Il Mulino a olio
Uscendo da Borgo Mercato e andando verso Monteluro-Tavullia, sulla destra
si vedeva una palazzina
sviluppata più in ampiezza
che in altezza. Due rampe
di scale esterne e contrapposte, munite di ringhiera
metallica, conducevano ad
un modesto loggiato dal
quale si accedeva all’appartamento dei proprietari.
Nello stabile trovava spazio
il mulino a olio gestito dal
signor Cola detto Mastrosimone e dalla moglie Betta.
La palazzina veniva indicata anche come “Palazzo
della Betta”. Nelle parte
superiore dell’edificio c’era
l’appartamento dei Cola e
una grande stanza che nel
periodo di carnevale veniva
adibita a sala da ballo.
142 - I coniugi Cola con un nipote negli anni Cinquanta.
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
143 - La Palazzina detta della Betta Nel piano inferiore si trovava il mulino
a olio.
144 - Salvatore Gaudenzi
(Tóri d’Tigamen).
LE ISTITUZIONI
145 - Altra immagine della Palazzina della Betta.
146 - La Famiglia Betti - Da sinistra: Ada, il fratello Terenzio con la
consorte Mafalda Rossi ed Egiziano,
padre di Ada e Terenzio.
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
147 - Annita Andreatini fotografata con un turista alla fine degli anni Trenta, con l’orcio
sotto braccio: aveva prelevato l’acqua nel pozzo pubblico di Borgo Mercato.
LE ISTITUZIONI
Un’altra parte dello stabile, a pianterreno, era occupata da un ovile gestito da
Salvatore Gaudenzi (Tóri Tigamén). Tóri aveva più di cento pecore e produceva
una buona quantità di formaggio, lana e agnelli.
Quando i Cola hanno venduto lo stabile, sapevano che sull’area avrebbero
costruito un centro commerciale, per cui, nei patti di vendita, pretesero che
fosse incluso anche la clausola di collocare le macine del mulino all’ingresso del
futuro centro.
Il Mulino a grano
Vicino al mulino a olio, sempre sulla strada per Tavullia, c’era il mulino a grano
gestito dalla Famiglia Betti (oggi vi si trovano un forno, uno sportello di Banca,
una farmacia e altro). Egiziano e il figlio Terenzio si occupavano dei lavori della
molitura. Molitura che fu trasformata, subito dopo la guerra, passando dalla tradizionale macinatura a pietra a quella a cilindri. Si trattava di una vera e propria
rivoluzione che permetteva di ottenere una farina bianchissima liberata da ogni
impurità di semola senza ulteriore necessità di setacciarla. Come tutti i mugnai,
i Betti tenevano nei pressi dello stabile una porcilaia, i cui maiali venivano alimentati con i prodotti di “scarto” della macinazione. Nel periodo autunnale, noi
ragazzini sapevamo che i Betti erano propensi ad acquistare ghiande, per cui, per
racimolare qualche soldo, andavamo a raccoglierle nel bosco, dietro la rocca e
portavamo i sacchi al mulino: le piccole venivano pagate a lire 12 al chilogrammo
mentre quelle grandi e belle a lire 15.
Vogliamo ricordare anche Ada Betti (figlia di Egiziano) che per tanti anni è stata un’educatrice volontaria insegnando catechismo a generazioni di gradaresi.
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I RACCONTI DI MARIO*
La crescia (piadina) al cane
Un giorno d’estate, io e mio padre Ernesto facevamo certi lavori di riparazione
presso la Casa Bartoli (Gustnón), in via Gaggera Alta. Passato il mezzogiorno,
vedemmo arrivare lemme, lemme, su per la salita, mio fratello Giorgio con la
borsa (ci portava da mangiare da casa come era abitudine allora), con l’altra
mano, però, sventolava una cartolina e con una certa allegria urlava: “Ba!! Ba!!!
Guérda co là purtéd el pustèn!” (Babbo!! Babbo!! Guarda cosa ha portato il postino!)
Mio padre non ci mise molto a capire che si trattava della cartolina di richiamo
alle armi, nella quale c’era scritto che all’indomani doveva partire per arrivare al
reparto destinato.
Alla sera, di ritorno verso casa, mio padre mi disse che il giorno dopo dovevo
recarmi a Gabicce Mare presso la Ditta Patrignani e Berti che stava costruendo un
grande capannone industriale destinato alla lavorazione del pesce: “Presentati a
Berti, che mi conosce. Digli che sei il figlio di Mela e vedrai che ti farà lavorare.” Il
giorno dopo feci come mi aveva detto mio padre: mi portai a Gabicce Mare, cercai
Berti e gli dissi che ero il figlio di Mela e che avevo bisogno di lavorare causa la
partenza di mio padre per il fronte. Berti non fece obiezione e disse: “Se vuoi
lavorare vieni domani e portati il badile.” Feci come mi aveva ordinato.
Dopo qualche giorno a me a ad un mio collega (eravamo entrambi poco più
che adolescenti) ci mandarono a lavorare al ponte che ancor oggi collega Gabicce
Mare a Cattolica (si tratta dell’ultimo ponte fra le due sponde del torrente Tavollo
prima del suo sbocco in mare. Da quel punto inizia anche il porto canale che
separa le due cittadine). Era il mese di luglio e faceva un gran caldo. A Mezzogiorno andavamo a mangiare sotto l’ombra dei pagliai di una casa colonica (oggi
distrutta) situata lì vicino (la casa sorgeva nella zona retrostante l’attuale Palazzo
comunale di Gabicce Mare).
Eravamo seduti a terra, intenti a consumare quel poco che le razioni del tempo consentivano (250 grammi di pane fatto con farine di frumento e granturco,
un poco di fagioli e un quarto di vino), quando sentimmo una voce femminile
*Mario Gennari figlio di Ernesto, detto Mela.
I RACCONTI DI MARIO
chiamare il cane: “Bobi!! Bobi!!! Qua Bobi!!” Alzammo lo sguardo e vedemmo la
donna sulla soglia di casa con due piadine in mano, mentre il cane festevole gli si
avvicinava. Quando l’animale fu a poca distanza, la donna gli lanciò le due piade. Il cane ne raccolse una, ma non ebbe il tempo di poter prendere l’altra perché,
capendo cosa stava per succedere, io e il mio collega ci alzammo all’unisono e ci
precipitammo sulla piadina rimasta a terra. Poi, senza proferire parola, ci dirigemmo con decisione verso il cane che nel frattempo cercava un luogo tranquillo
dove poter mangiare: circondato e preso alla sprovvista, l’animale ebbe un attimo
d’esitazione. In quel momento, lesto, gli levai la piadina dalla bocca lasciandolo
letteralmente a bocca aperta con lo sguardo incredulo. Portata a termine la missione, ci accingemmo a mangiare quell’ inaspettato “dono”, lasciando al cane,
come atto di magnanimità (la sensazione dello schifo era più forte della fame),
solo la parte che aveva preso in bocca.
Il vestito nuovo
Qualche mese dopo il passaggio del fronte, avvenuto nei primi giorni di settembre del 1944, dall’America arrivarono dei pacchi per il popolo italiano. Erano doni che venivano dati a chi aveva subito gravi perdite, quali la casa e altre
masserizie. La mia abitazione, che si affacciava su Piazzale Venturi, fu colpita da
un ordigno e rovinò completamente. Trovammo, io e la mia famiglia, un riparo
temporaneo negli ambienti a pianterreno del Palazzo Rubini-Vesin, allora sede
municipale. Quali sinistrati di guerra, gli americani, ci fecero dono di un pacco.
Al suo interno c’era una pezza di stoffa sufficiente per confezionare un abito. Terenzio Bertozzi, fratello di mia madre, tra le tante occupazioni si dedicava anche
alla sartoria. Allora presi il pacco e mi recai da lui chiedendo se poteva cucirmi un
vestito. Mi disse che lo avrebbe fatto volentieri, ma c’era un problema: non aveva
il filo per cucirlo e, se volevo l’abito, dovevo procurarglielo.
In quel periodo a Gradara abitava, quale sfollato, il giovane Lamberto Medori, milanese. Eravamo diventati amici e sapendo che per sbarcare il lunario,
trafficava con un po’ di tutto, gli chiesi se mi procurava del filo per un vestito,
specificando il colore. La stessa richiesta gli era pervenuta anche da Pino Cesaroni. Sapendo di poterci accontentare a tutti e due, il Medori disse: “Fa freddo ed
io non ho più di che riscaldarmi, se voi mi procurate della legna io vi do il filo”.
D’accordo con Pino, decidemmo di andare a tagliare un olmo che avevo visto
in un campo vicino al cimitero: erano le due di una fonda notte autunnale, con
una nebbia fittissima che impediva ogni visione, quando iniziammo ad abbattere l’albero. A turno tagliavamo il tronco con un piccolo segaccio. Ad un certo
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
punto, la pianta cadde di schianto con un forte rumore e l’eco si propagò nella
sottostante valle. Ci sembrava un albero piccolo, invece era grandissimo, tanto
che ci mettemmo le mani in testa per pensare al lavoro che dovevamo fare per
spezzarlo e trasportarlo nella rimessa di Lamberto. Sul fare dell’alba smettemmo
di operare. Avevamo trasportato, in viaggi successivi, più di mezzo albero nel
deposito di Medori (ubicato a Borgo Mancini) e macinato diversi chilometri di
strada. Fu veramente una faticaccia!
La mattina stessa che era di domenica, andai da Lamberto e gli dissi: “Guérda che la legna la jè t’la capana!” (Guarda che la legna è nella capanna!) Assieme
andammo a vedere e constatata la quantità, mi diede un rocchetto di filo per il
lavoro svolto. Di corsa mi portai a casa dello zio Terenzio e gli consegnai il filo.
Egli, visto il filo, mi prese le misure e mi avvertì che poteva fare solo dei pantaloni
148 - Giovani gradaresi, elegantemente vestiti, a metà degli anni Cinquanta.
Accosciati:Gennaro Priori, Delvino Turrini, (?), Bruno Galari, Enrico De Biagi, Sesto Vichi,
Osvaldo Fabbri.
In piedi: Giorgio Gennari, Dino Galli, Libero Molari, Lamberto Medori (con gli occhiali), Mario Gaudenzi, Sandro Gennari (semi nascosto), Giuseppe Tamburini, Mario Gennari, Piercarlo
Bertozzi.
I RACCONTI DI MARIO
alla zuava, perché la stoffa non era sufficiente per farli lunghi. Mi andava bene,
in fin dei conti i pantaloni fino a sotto il ginocchio (alla cavallerizza) andavano di
moda! Lo zio si mise all’opera. Il giovedì successivo ci fu la prima prova. Mi disse
di ripassare al sabato per la messa a punto definitiva: se tutto era a posto me lo
avrebbe consegnato il sabato a venire.
Fu così che nel giorno indicato, dopo cena, andai a ritirare la confezione: lo zio
le stava dando gli ultimi ritocchi con il ferro da stiro, infine mi consegnò l’abito
appeso a una cruccia di legno (fatta a croce, con un gancio di ferro all’estremità
superiore).
Come ho già detto, avevamo alloggio a pian terreno del Palazzo Municipale
e siccome la guerra ci aveva distrutto tutto, non avevamo né un comò, né un
armadio per poter collocare i vestiti. In un ambiente della casa, ricavata nello
spessore del muro c’era una nicchia che avevo adattato per appendere gli abiti:
una tenda li nascondeva alla vista e alla polvere. Attaccai su il vestito in quella
specie di armadio a muro e andai a dormire. Dormii poco al pensiero che l’indomani avrei indossato il nuovo completo, pregustando la mia vanità e l’invidia
degli amici. La domenica mattina, mi alzai presto e vestito di tutto punto, con
l’abito nuovo, uscì nella piazza pavoneggiandomi: sentivo gli sguardi su di me,
gli amici che strabuzzavano gli occhi, la loro malcelata invidia, finché Gastone
Paoletti proruppe: “Ostia che vistid tè stamaténa, ma cò tè fat in t’la spala?” (Ostia
che vestito hai stamattina, ma cos’hai fatto nella spalla?) Con la coda dell’occhio
intravedo un buco: i topi avevano rosicchiato la spalla destra della giacca e tirato
via tutta l’ovatta dall’interno. Delusione e rabbia furono un tutt’uno.
Azione da commando
Negli anni 1945/46, eravamo soliti, noi ragazzi gradaresi, andare a piedi al
cinema a Cattolica. Nelle serate estive, una volta usciti dalla sala cinematografica,
ci portavamo a Gabicce Mare. Qui c’erano dei locali dove ballavano, per lo più
frequentati dai turisti. Erano dancing di poche pretese, magari all’aperto, circondati da fitte staccionate per impedire ingressi clandestini e garantire la privacy.
Uno di questi night, il Perla Azzurra, era gestito da Giannino e Adriano Rossi
(negli anni Settanta/Novanta avrebbero gestito il Mastin Vecchio di Gradara).
Nel locale dei fratelli Rossi, si ballava all’aperto e a mezzanotte era previsto un
ballo-gioco, chiamato il Quarto d’ora della Perla Azzurra: si spegnevano le luci
e allo struggente suono di romantiche melodie, per un quarto d’ora si ballava
al buio un appassionato lento. Il momento era importante e l’aspettavamo con
trepidazione. Infatti, all’esterno della staccionata che delimitava il dancing, io ed
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
149 - Ragazzi e ragazze fotografati di fronte al Convento dei Cappuccini nei primissimi anni
Cinquanta. Da sinistra si riconoscono: Enrico De Biagi, Pasqualina (domestica dei Del Monte),
Silvana Vichi, Leandro Finotto, Delfina Moretti.
In basso: Lino Gennari e Marisa Molari.
I RACCONTI DI MARIO
i miei amici eravamo pronti ed entrare in azione: spente le luci, lesti scavalcavamo i legni e ci precipitavamo in pista, qualcuno riusciva a ballare, chi rimaneva
senza donna, si dedicava a ripulire i tavoli dai pacchi di sigarette. Prima della
fine del ballo, si doveva smammare velocemente, per non incorrere in incresciosi
contrattempi, fuga che terminava solo quando ci sentivamo al sicuro
Caldo, maleodorante, segnale
Mio padre Ernesto mi raccontava che prima della guerra del 1915/18, molti
gradaresi andavano a lavorare a piedi a Cattolica. Naturalmente percorrevano
le vie più brevi, anche se poco agiate. Comunque, per non viaggiare da soli ed
evitare brutti incontri, in un periodo in cui le strade erano frequentate da diversi
malintenzionati, gli operai camminavano a gruppi. Il gruppo di Gradara castello
scendeva a valle passando per via Fratte, costeggiando le case della Famiglia
Curzi, poi proseguiva fino al piano. Qui incontrava i lavoratori provenienti da
150 - Immagine ripresa dalla rocca di Gradara: sullo sfondo la campagna e il paese di
Gabicce Mare alla fine degli anni Quaranta.
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
Borgo Mercato che avevano preso la via della Fontanina. Il punto di riferimento
era un piccolo ponte su di un ampio fossato, dalle basse sponde in muratura. Se
per caso qualcuno passava prima e non si fermava ad aspettare, doveva lasciare
un bel sasso in un angolo del parapetto, così chi arrivava sapeva di non dover
aspettare. Mio padre, che abitava in via Mortola, era solito arrivare tra i primi.
Una scura mattina di novembre, verso le ore sei, con una nebbia che si poteva
tagliare con il coltello, mio padre arrivò da solo al punto d’incontro e avendo
necessità di scaricarsi corporalmente, salì sul muretto del ponte e la fece lì dove
si metteva il sasso per avviso, poi si nascose dietro un cespuglio, ad attendere i
compagni. Questi arrivarono poco dopo e interrogandosi se fosse arrivato Méla,
uno del gruppo, a tastoni, andò a cercare il sasso e pose la mano sulla cacca: “La
iè ancora chèlda, Méla le pasèd adès!” (E’ ancora calda, Mela è passato adesso!)
I cavoli dei suoceri
Subito dopo il termine della Seconda Guerra Mondiale, la penuria di generi
alimentari era tanta e la fame si faceva sentire. Da un po’ di tempo ero fidanzato
con Maria Sanchioni di Pieve Vecchia e durante il mio andirivieni da casa Sanchioni, avevo notato dei cavolfiori nel podere appartenente alla famiglia Stramigioli, piantati, poco lungi dalla strada, proprio sul confine adiacente al terreno dei
mie futuri suoceri (anche questo coltivato a cavolfiori). Come ho detto la fame si
faceva sentire e tentato da quei cavoli, decisi di andarli a rubare. Così, una notte, passate le due, mi incamminai verso Pieve Vecchia con un sacco vuoto sotto
braccio. Giunto sul posto, notai che la finestra della cucina di casa Stramigioli era
illuminata. Allora mi prese un certo timore, ma deciso com’ero a mangiare quei
cavoli, mi diressi verso il campo, solo che, invece di raccoglierli nel terreno dei
Stramigioli, andai a prelevarli nel podere dei Sanchioni, confidando, eventualmente, se fossi stato scoperto, sul fatto che ero il fidanzato della figlia. Riempita la
balla, ritornai verso la strada e neppure farlo apposta, come arrivai sulla rotabile,
mi si stagliò di fronte un’ombra: era Luigi Sanchioni, il padre della Maria. Ancor
prima di riconoscermi, con voce perentoria mi disse: “Co tè tu chel sac?” (Cos’hai
in quel sacco?) Dopo il primo tergiversare mi feci riconoscere e gli dissi cosa conteneva la balla, confessando che ero andato a fregarli nel campo degli Stramigioli.
Soppesò un poco le mie parole poi in tono pacato mi disse: “An vria fós gid da
nuètrè!” (Non vorrei che tu fossi andato a rubare i nostri!) Lo rassicurai che i suoi
cavoli non li avevo toccati.
L’incontro notturno con il mio futuro suocero fu del tutto casuale, infatti la
sua presenza in strada non era dovuta ad una sorveglianza dei suoi cavoli, ma al
I RACCONTI DI MARIO
151 - La foto ritrae Giustina Carnevali negli anni Trenta: veste lunga, una balla di
iuta ripiegata sul braccio con la falce e, attaccata a una piccola corda, una pecora.
Si portava la bestia a pascolare e si cercava di fare un poco d’erba dov’era consentito. Molte donne, in questo modo, mitigavano la miseria della classe bracciantile.
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
fatto che si era incamminato per recarsi alla stazione ferroviaria di Gradara per
prendere il treno delle cinque che l’avrebbe condotto a Pesaro. Feci il percorso di
ritorno, fino a Borgo Mercato, assieme a lui cercando di evitare qualsiasi discorso
sui cavoli. A Borgo Mercato Sanchioni prese per la stazione e io m’incamminai
verso Gradara. Ma da quel momento mi si era aperto un pesante interrogativo:
in pratica mi avevano preso proprio con le mani nel sacco, come si dice e come
avrei potuto giustificarmi, soprattutto agli occhi della Maria? Confesso che ero
un po’ angosciato, soprattutto pensando con che faccia mi potevo presentare,
la domenica successiva, a casa della mia fidanzata. Nonostante i “rimorsi” non
pensai di riparare al furto riconsegnando i cavoli ai proprietari, magari chiedendo umilmente scusa: la fame era troppo grande! Mangiai i cavoli con la mia
famiglia, poi, pensai: “Il problema lo affronteremo al momento.” Nei giorni che
precedettero la domenica non vidi e sentii nessuno di Casa Sanchioni. Sapevo
che non mi sarebbe mancata una bella ramanzina, ma l’amore per la Maria mi
spinse ad affrontare le eventuali ire dei suoi genitori. Arrivai e entrai a casa della
fidanzata con aria contrita e mogia. Sua madre, senza perdersi in preamboli mi
disse: “Almén ne potévi lasciè un cot!” (Almeno ne potevi portare uno cotto!) Mia
suocera non mi perdonò mai quel furto e me lo rinfacciò fin che visse.
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APPENDICE
Immagini gradaresi edite e inedite
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
152 - Il convento dei cappuccini in una foto di inizio Novecento.
153 - Quello che si vede oggi dalla stessa posizione.
IMMAGINI GRADARESI EDITE E INEDITE
154 - Via Cappuccini nel primo Novecento.
155 - Via Cappuccini nel settembre 2006, la Fiat 500 si può considerare un “cimelio” automobilistico.
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
156 - Una bella immagine del primo
novecento delle mura di ponente con
un cappuccino seduto sotto la croce del
convento.
157 - Prima anni Cinquanta.
La prospettiva è simile a quella
della foto superiore, diversa è
l’immagine.
IMMAGINI GRADARESI EDITE E INEDITE
158 - La rocca e le mura di ponente in una foto del primo Novecento.
159 - Gradara vista dall’alto alla fine degli anni Cinquanta.
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
160 - Giorgio Giorgi (figlio di Ciarcian)
fotografato in un assolato mezzogiorno dell’estate del 1940. Si noti la pavimentazione a
mattoni della piazza: disuguale e rabberciata
in più punti.
161 - La piazza e via Umberto I nel settembre 2006.
IMMAGINI GRADARESI EDITE E INEDITE
162 - L’attuale facciata della chiesa di
S. Giovanni Battista parrocchiale di Gradara. L’edificio fu costruito ex novo nel
1788.
163 - La chiesa di S. Giovanni Battista
in un antico disegno di fine Settecento.
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
164 - L’edificio della chiesa di S. Giovanni Battista preesistente all’attuale.
ritratto prima della demolizione avvenuta alla fine del XVIII secolo. L’immagine
riproduce la chiesa con un trecentesco
portale gotico, infatti nel 1297 il tempio
fu edificato ex novo per volontà di Pandolfo Malatesta. Fu poi ristrutturato nel
1494 per volere di Giovanni Sforza.
165- La chiesa di S. Giovanni vista dalla
rocca - A sinistra, semicoperta dalla merlatura, si nota l’abside costruita nel 1936.
IMMAGINI GRADARESI EDITE E INEDITE
166 - Una Bella immagine del primo Novecento della rocca e delle mura di levante
ripresa dal Campo della Fiera o gioco del
pallone.
167 - La rocca e le mura di levante nel 2006.
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
168 - La chiesa di S. Sofia e le mura di levante negli anni Venti del Novecento.
169 - La stessa veduta della foto superiore nel novembre 2006.
IMMAGINI GRADARESI EDITE E INEDITE
170 - Il superbo torrione d’angolo tra le
mura di Levante e di Mezzogiorno negli anni
Cinquanta. Si nota ancora lo sperone tufaceo
che sosteneva l’alta torre. Negli anni Sessanta
si ebbe il totale sgretolamento della roccia, di
conseguenza, per scongiurarne la caduta, si
allungò la parete est fino al piano dell’attuale
parcheggio.
171 - Lo stesso torrione nel novembre
2006. Nell’angolo di base si può notare il
taglio della roccia e il prolungamento del
muro.
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
172 - L’ingresso al vecchio deposito dell’acquedotto comunale in via Zanvettori, di fronte alla
Palazzina dei Custodi. L’acqua potabile, fornita da
una rete idrica, fu distribuita a Gradara nel 1931.
L’acqua veniva prelevata nei pozzi di via Cannellina e pompata nel deposito di via Zanvettori e
da qui, per caduta, raggiungeva le abitazioni.
Spesso non era sufficiente e le case del borgo
castellano ne rimanevano prive.
173 - Agosto 2006, così si presenta oggi
l’area: sotto la fitta vegetazione vi è il
nuovo deposito dell’acquedotto comunale.
IMMAGINI GRADARESI EDITE E INEDITE
LA STAZIONE FERROVIARIA
174 - La Stazione ferroviaria di Gradara nel novembre del 1912 – La foto è semplicemente
meravigliosa nella sua semplicità: la strada, il casello, i pali del telegrafo, il muraglione che
delimita il ponte sopra il fosso , la locomotiva fumante, sotto la collina gradarese dai fianchi
degradanti e meticolosamente lavorati, sovrastata dalla splendida rocca.
175 - Non c’è bisogno di commento: ecco cosa si vede oggi (ottobre 2006) dallo stesso luogo.
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
ISTANTANEE DEGLI ANNI CINQUANTA
176 - Gruppo di giovani gradaresi agli inizi
degli anni Cinquanta.
Da sinistra in piedi: Paolo Palmieri, Remo Caldari, Delvino Turrini, Sandro Gennari, Giorgio
Gennari, Gennaro Priori, Dino Galli, Sesto
Vichi, Amleto De Biagi, Stefano Tamburini.
Accosciati: Romano Gennari, Arnaldo Alessandri, Lino Gennari, Benito Gennari, Dino
Clementi.
177 - Gruppo di ragazze sedute sotto la
croce dei cappuccini. Da sinistra Iole Galli,
Graziella Gennari, Marta Barbieri, Valentina
Galli, Maria Giorgi.
IMMAGINI GRADARESI EDITE E INEDITE
178 - Si studia il percorso per un giro motociclistico.
In primo piano da sinistra: Terenzio Magi, Osvaldo Fabbri, Raoul Tausani, Mario Gennari.
In secondo piano: Enzo Caroni, Giorgio Gennari, Franco Gennari, Giuseppe Magi, Oreste
Giorgi, Ettore Del Magna, Tagliano Serafini, Delvino Turrini, Mario Giorgi (Malo).
179 - Il Monte delle Bugie tra gli anni Quaranta e
Cinquanta.
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
180 - Emancipazione femminile: una ragazza in
moto davanti l’osteria di Borgo Mancini negli anni
Cinquanta.
181 - Se per le ragazze motorizzarsi negli anni
Cinquanta era un evento pionieristico, per i ragazzi
era un’esigenza. Nella foto Francesco Giusini (Cecchino) e il fratello Giorgio in sella a una Lambretta.
IMMAGINI GRADARESI EDITE E INEDITE
182 - Anni Cinquanta. La popolazione comincia a motorizzarsi: una coppia
in vespa a Borgo Mancini. Si intravede la facciata della chiesetta del Sacro
Cuore (già decadente, oggi trasformata in negozio) e il cattivo stato della
sommità della Torre dell’Orologio.
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183 - La foto, scattata nel maggio del 1955,
documenta la mancanza della parte superiore
(campanile a vela) della Torre dell’Orologio.
Nel 1956 fu ripristinata la vela e nel 1957 l’orologio fu dotato di un nuovo meccanismo.
In primo piano una turista con Leonardo
Moretti sulle braccia della sorella Edel.
184 - Via Umberto I in una mattina festiva
del gennaio 1957. Sulla destra Palazzo Rubini-Vesin allora sede municipale.
IMMAGINI GRADARESI EDITE E INEDITE
185 - Gruppo di ragazzini
nel 1953. Si riconoscono:
In piedi – Alvaro Cesaroni,
Marcello Balestrieri, Romolo
Gaudenzi, Fernando Pieri,
Loris Moretti, Carlo De Biagi,
Antonio Giulini.
Seduti – Otello Del Magna,
Learco Del Magna, Marzio
Giulini, Fabio Gaudenzi, Giorgio Patrignani.
186 - Gruppo di donne e ragazze nella seconda metà degli anni Cinquanta (corso di taglio
e cucito):
In piedi - Alberta Magi, Gelse Tamburini, Adele Magi, (? – insegnante), Alberta Baldassarri,
Ada Esposto, Evelina Andreani.
In ginocchio - Valentina Galli, Gina Galli, Mafalda Alessandri, (?), Venerina Franca, Maria
Giavoli, Marisa Molari.
Sedute - Pia Magi, Maria Foschi, Angelina Cesaroni, Gioconda Serafini, Graziella Gennari,
Anna Gaudenzi, Luciana Del Magna, Orietta Vescovi.
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ALTRE IMMAGINI DI CALCIO
187 - Una formazione della Malatestiana
degli ultimi anni Cinquanta.
In piedi: Franco Gambini, Mario Urbinati,
Leandro Finotto, ?, Minestrini, Vittorio
Calbini, Sandro Gennari.
Accosciati: Romano Gennari, Giorgio Annibalini, Bastianoni, Giuseppe Moretti.
188 - Una partita tra i pagliai a Pozzo Alto,
tra la squadra locale e la Malatestiana.
IMMAGINI GRADARESI EDITE E INEDITE
I CAMMINAMENTI DI RONDA
189 - L’inaugurazione dei camminamenti di ronda nel 1957: Alberta Porta, conservatrice onoraria della Rocca di Gradara, al taglio del nastro, sotto lo sguardo del Prefetto
e di Delio Bischi (con gli occhiali). Alle spalle della donna, il marito Antonio Natale e,
di profilo, don Guido Moretti parroco di Gradara.
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190 - Estate del 1958 – Ragazzi in moto sotto uno striscione appeso in mezzo alla
piazza che pubblicizza la visita ai Camminamenti di ronda.
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191 - Alberta Porta, conservatrice onoraria della Rocca di Gradara, nel 1963.
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FESTE
192 - La Banda musicale e un gruppo di gradaresi in posa in
occasione della Festa della Noce (primi anni Trenta).
193 - Gradara, luglio 1963 – Rappresentativa gradarese
nel primo torneo fra i balestrieri di Gubbio, S. Marino e S.
Sepolcro.
Da sinistra in piedi: Alfredo Magnani, Cristina Foschi, Ferruccio Bailetti, Virgilio Spezi, Leonardo Moretti, Vladimiro
Giacchetti, Nello Gennari, Gabriella Giorgi, Enrico De Biagi.
Accosciato: Giorgio Grati.
IMMAGINI GRADARESI EDITE E INEDITE
SCENE DA... FILM
194 - Comparse gradaresi nel film “Il Principe delle Volpi”
(1949), con Tyron Power, Orson Wells, Wanda Hendrix e Marina
Berti.
Da sinistra si riconoscono: Armando De Biagi, Antonio Giommi,
Giuseppe Alessandri, Mario Gennari (Erculén), Alberto Moretti,
Piercarlo Bertozzi.
195 - Maria Sanchioni vestita da popolana nel film
Vanina Vanini (1961).
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196 - Foto scattata durante le riprese del film Vanina Vanini diretta da Roberto Rossellini nel 1961.
197 - Altra scena del film Vanina Vanini.
IMMAGINI GRADARESI EDITE E INEDITE
198 - Gendarmi a cavallo (dal film Vanina Vanini).
199 - Bell’immagine all’interno del cortile della rocca (dal film Vanina Vanini).
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200 - Dal film Vanina Vanini: un gregge di pecore e i pastori fotografati nel “Gioco del
pallone” (parcheggio, sotto le mura di levante).
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201 - Laurent Terzieff, principale attore protagonista, fotografato durante le riprese del
film Vanina Vanini.
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CURIOSITÀ
202 - Lo stemma (scacchiera) dei Malatesta che
era posto sopra l’ingresso della chiesa dedicata alla
Madonna della Misericordia che si trovava a Borgo
Mercato. (Collezione privata).
203 - Iscrizione posta sotto il colmo del tetto di una piccola casa in via Grotte a Borgo
Mercato: Fabrica Fata quanto passo sua Santità ali quatro di marzo 1782. Infatti, nel 1782
Papa Pio VI si recò a Vienna per incontrare l’Imperatore. Supponiamo che il pontefice non
passò tanto a Gradara quanto sulla sottostante Flaminia.
CURIOSITÀ
204 - “COMUNITAS GRADARIE” - Il vecchio
stemma della Comunità di Gradara in un timbro
a secco del 1650. E’ evidente che sotto la lettera
“G” e le tre spighe di grano c’erano tre monti e
non tre gradini. La variazione, probabilmente,
risale alla seconda metà del secolo XIX.
Sezione Archivio di Stato Urbino, Fondo Notarile, atti del notaio Vagnerelli Ottavio, vol n° 2345
carta 163.
205 - L’attuale stemma della Comunità gradarese nel Gonfalone cittadino: i tre monti sono
trasformati in tre gradini.
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INDICE DEI NOMI
Alessandri Arnaldo 164
Alessandri Gaetano 81
Alessandri Giovanni 81
Alessandri Giuseppe 175
Alessandri Mafalda 169
Andreani Evelina 169
Andreani Piero 57, 58, 59
Andreatini Annita 100, 140
Andreatini Carlo 80, 97
Andreatini Giuseppe 101
Andreatini Luigi 77
Andreatini Rosa 98
Angelini Giuseppina 62, 90
Annibalini Giorgio 170
Antonioli Luigi 115, 116
Antonioli Maria 115
Antonioli Piero 115, 116
Bailetti Ferruccio 174
Baldassarri Alberta 169
Baldelli Arturo 110
Baldelli Dirce 43
Baldelli Giuseppe 74
Baldelli Igino 43
Balestrieri Marcello 169
Balestrieri Argia 43
Ballimei Maria 69
Barbieri Marta 164
Bartoli Anita 118, 120
Bartoli Giacomo 118
Bastianoni 170
Benvenuti Luigi 31
Benvenuti Nena 132
Bertozzi Gianfranco 87, 96
Bertozzi Angela 72, 73
Bertozzi Mariagina 87
Bertozzi Piercarlo 144, 175
Bertozzi Terenzio 31, 35, 41, 143
Bertozzi Nina (moglie di Bertozzi T.) 41
Betti Ada 139, 141
Betti Egiziano 139, 141
Betti Terenzio 139, 141
Bevilacqua Luigi 122, 123
Bischi Adele 65
Bischi Delio 63, 65, 83, 96, 98, 130, 171
Calbini Vittorio 170
Caldari Remo 164
Carnevali Giustina 149
Caroni Enzo 165
Ceccarelli Antonio 62, 117
Ceccarelli don Raffaele 130, 131
Ceccolini Ida 98
Cesaroni Alvaro 43, 169
Cesaroni Angelina 169
Cesaroni Pino 143
Cibelli Aurelia 102
Clementi Dino 164
Concordia Amilcare 88
Corbelli Rosa 76, 134
De Biagi Amleto 164
De Biagi Armando 59, 60, 84, 175
De Biagi Carlo 169
De Biagi Enrico (Elmo) 52, 133, 144, 146, 174
De Biagi Giuseppe 86
De Biagi Tullio 35, 81, 82
Del Fattore Adele 87
Del Magna Daniele 43
Del Magna Ettore 165
Del Magna Learco 43, 169
Del Magna Luciana 169
Del Magna Mara 43
Del Magna Otello 43, 169
Del Magna Vanda 43
Del Monte Agostino 116
Del Monte Francesco 116
Della Santa Giustina 44, 105
Diamantini don Bruno 52
Esposto Ada 169
Fabbri Adamo 105
LEONARDO MORETTI
Fabbri Maria 69
Fabbri Osvaldo 144, 165
Fabbri Salvatore 105
Fabbroni Palmira 78
Feliciani dott.ssa 31
Finotto Gino 81
Finotto Leandro 54, 60, 146, 170
Foschi Carlo 99
Foschi Cristina 174
Foschi Guglielmo 112
Foschi Luigi 99
Foschi Maria 169
Franca Venerina 169
Galari Bruno 144
Galli Dino 144, 164
Galli Domenico 59
Galli Gina 169
Galli Iole 164
Galli Valentina 164, 169
Gambini Franco 170
Gaudenzi Anna 43, 169
Gaudenzi Bruno 43
Gaudenzi Fabio 43, 169
Gaudenzi Iole 43
Gaudenzi Libera 43
Gaudenzi Maria 43
Gaudenzi Mario 144
Gaudenzi Romolo 43, 169
Gaudenzi Salvatore 138, 141
Generali Vincenzo 99
Gennari Alfredo 81, 82
Gennari Amedeo 97
Gennari Benito 90, 164
Gennari Ernesto 72, 73
Gennari Franco 165
Gennari Garavelli Elisa 123
Gennari Giorgio 142, 144, 164, 165
Gennari Giovanni 92
Gennari Graziella 164, 169
Gennari Lino 146, 164
Gennari Mario 52, 53, 73, 84, 144, 165
Gennari Mario (Erculén) 175
Gennari Modesto 78
Gennari Nello 174
Gennari Pietro 87
Gennari Pietro (Ghighia) 90
Gennari Romano 90, 164, 170
Gennari Sandro 52, 53, 90, 144, 164, 170
Gennari Terenzio 43
Giacchetti Vladimiro 174
Giavoli Maria 169
Giommi Antonio 175
Giorgi Francesco 20, 67
Giorgi Gabriella 174
Giorgi Giorgio (Ciarcian) 156
Giorgi Giovanna 86
Giorgi Giuseppe 88
Giorgi Maria 56, 67, 68, 164
Giorgi Mario 67, 68, 165
Giorgi Oreste 20, 67, 68, 165
Giulini Antonio 169
Giulini Marzio 169
Giusini Dorina 68
Giusini Francesco 166
Giusini Giorgio 166
Giusini Marco 43
Grati Giancarlo 114
Grati Giorgio 174
Lisotti Giovanni 112
Lisotti Giulio 43
Lisotti Maria 112
Lisotti Valentino 112, 113
Lombardi Francesco 59
Macchini Giovanni 74
Macchini Lamberto 58, 59
Magi Adele 89, 169
Magi Alberta 89, 169
Magi Aldo 81
Magi Francesca 79
Magi Giovanni 89
Magi Giuseppe 94, 165
Magi Luigi 94
Magi Marino 48
Magi Pia 89, 169
Magi Terenzio 81, 165
Magnani Alfredo 174
Marcelli Marcella 83
Marcelli don Pietro 83
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GRADARA. SOLO IERI, MA COSÌ LONTANA.
Massani Silvio 59, 60
Medori Lamberto 143, 144
Michelini Dino 59
Minestrini 170
Molari Amato 77, 79, 101
Molari Giuseppe 58
Molari Libero 30, 59, 60, 77, 78, 144
Molari Marisa 146, 169
Moretti Alberto 60, 175
Moretti Delfina 115, 146
Moretti Edel 30, 168
Moretti Francesco 120
Moretti Giuseppe 120, 121
Moretti Giuseppe (Peppe) 59, 170
Moretti Giuseppina 20, 67
Moretti Iole 115
Moretti Leonardo 133, 168, 174
Moretti Loris 169
Moretti Luigi 93
Moretti Olga 81, 93, 94
Moretti Raimondo 98
Moretti Ulisse 67, 93, 95
Moretti don Guido 52, 171
Morotti Bruno 84
Mussolini Benito 51
Natale Antonio 171
Ottavi 59, 60
Ottavianelli 59, 60
Paci don Armando 52
Palazzi Marietta 99
Palmieri Paolo 59, 164
Panicali Gilberto 85
Panicali Maria 85, 97
Panicali Nella 85
Panicali Rina 85
Panicali Silvia 85
Paoletti Gastone 145
Patrignani Angelo 91, 101
Patrignani Antonio, 71
Patrignani Francesco 87
Patrignani Giorgio 169
Pieri Fernando 169
Porta Alberta 51, 171, 173
Priori Gennaro 144, 164
Rossi Adriano 145
Rossi Giannino 145
Rossi Mafalda 139
Russo Antonio 58, 59, 60, 121, 122
Sanchioni Luigi 148
Sanchioni Maria 148, 175
Sanini Dea 30
Serafini Amedeo 61
Serafini Augusto 87
Serafini Gioconda 169
Serafini Tagliano 165
Spezi Virgilio 174
Tamburini Aldo 58, 60
Tamburini Attilio 134
Tamburini Emiliano 108
Tamburini Ciro 75
Tamburini Gelse 76, 169
Tamburini Giuseppe 144
Tamburini Lidia 35
Tamburini Luciano 99
Tamburini Mario 59
Tamburini Simonetta 109
Tamburini Stefano 99, 164
Tausani Arnaldo 63
Tausani Enrichetta 117
Tausani Feranda 99
Tausani Ida 20, 93
Tausani Miriam 117
Tausani Raoul 58, 63, 117, 165
Tausani Virgilio 117
Tecchi Aldo 124
Torre Zaira 123
Turrini Delvino 144, 164, 165
Urbinati Mario 170
Vescovi Orietta 169
Vichi Augusto 70
Vichi Ettore 60, 69
Vichi Giuseppe 68, 69
Vichi Sesto 144, 164
Vichi Silvana 146
Virgili Giuseppe 49
Zanni Giuseppe 70
Zanni Lorenzo 104