occhi di donna, poesia del mondo

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occhi di donna, poesia del mondo
LO SPECCHIO
www.specchiomagazine.it • [email protected]
MAGAZINE
Trimestrale di cultura, tempo libero, sport e varia attualità - distribuzione gratuita
N. 7 - luglio 2013 - ANNO III
OCCHI DI DONNA,
POESIA DEL MONDO
Photo contest 2013 de Lo Specchio Magazine:
“Donne allo specchio”
foto di Federica De Stefani (la vincitrice del concorso)
STORIA
IL “PASSAR DELLA FALCE CHE PAREGGIA TUTTE L’ERBE DEL PRATO” - Lino Palanca 5
LA NOSTRA FEDE È LA VITTORIA CHE VINCE IL MONDO - Janula Malizia 8
TESTIMONE DI DIO AI CONFINI DEL MONDO - “I Santesi weblog” (Paolo Onofri) 13
NO ALLA GUERRA DI REDENZIONE - Massimo Morroni 14
STORIE ADRIATICHE
DAL GRAN RIFIUTO (NON PER VILTÀ) A VESCOVO DI RECANATI - Marco Moroni 17
INFORMAZIONE
AIUTO, LA STAMPA! - Giancarlo Liuti 21
SALUTE
NUOVE FRONTIERE DELLA MEDICINA: L’OZONO - Anna Petrozzi 24
EDUCAZIONE
VIOLENZA E PREADOLESCENZA, UN BINOMIO ESPLOSIVO - Annunziata Brandoni 26
SCUOLA
LIBRO, MOSCHETTO E … BOMBE - Mario Mancinelli 28
LAVORO
SO MARENARE E TIRO ‘A REZZA … - Luciano Bruno Venusto 31
REGIONE MARCHE - ATTIVITA’ PRODUTTIVE - PESCA
LA REGIONE A FIANCO DELLE IMPRESE PER AFFRONTARE LA CRISI E PERMETTERE IL RILANCIO 34
MANGIA BENE, CRESCI SANO COME UN PESCE! 35
LA NOSTRA TERRA
SFIDA IN CUCINA - Grazia Bravetti Magnoni 36
VIVA IL VINO CH’È SINCERO, CHE CI ALLIETA OGNI PENSIERO .. - Alfredo Pirchio 38
AMBIENTE E TERRITORIO
IL COLORE GIUSTO DELL’ECONOMIA - Eleonora Stortoni 41
PERSONAGGI
L’IMPEGNO CIVILE OLTRE L’IMMAGINE - Paolo Onofri 43
CRONACA TRISTE
“UN PEZZO DI PARADISO SU QUESTA TERRA” - Eleonora Tiseni 47
FOLK
‘FFÀCCETE DAL BALCONE O BELLA BIMBA … - Lo Specchio folk 51
POESIA
GABRIELLA PAOLETTI, ADDIO DEL PASSATO 54
«CITTA’ DI PORTO RECANATI» XXIV Edizione 2013 57
RECENSIONI
A CHE COSA SERVE LEGGERE? ANCHE A CAMBIARE LA VITA - Lo Specchio Libri 58
CAPOLAVORI APPENA DIETRO L’ANGOLO. CHI SE NE È ACCORTO? - Vincenzo Oliveri 59
NIHIL URBE ROMA VISERE MAIUS … - Anna Maria Ragaini 60
SPORT
ARANCIONI, LEGGENDA CHE NON TRAMONTA - Gianluca Guastaferro 62
ATTIVITA’ LO SPECCHIO
LA MUSICA SENZA ETÀ ALLO SPECCHIO MAGAZINE FESTIVAL 2013 - Vanni Semplici 67
ALLA SCOPERTA DELLE MARCHE INSOLITE CON GLI APERITIVI DELLO SPECCHIO MAGAZINE
FESTIVAL - Luca Pantanetti 70
“DONNE ALLO SPECCHIO” IL NOSTRO CONCORSO - Aurora Foglia 71
LANDSCAPE - ARTE DELLA LUCE 73
Trimestrale di cultura, tempo libero, sport e varia attualità.
Proprietà: Associazione Lo Specchio, C.so Matteotti, 34 - 62017- Porto Recanati (MC)
Direttore responsabile: Lino Palanca - cell. 347.1931215; e-mail: [email protected]
Direttore editoriale: Vanni Semplici - cell. 331.5786518; e-mail: [email protected]
Capi servizio: Giorgio Corvatta - cell. 338.7648664; e-mail: [email protected]
Aurora Foglia - e-mail: [email protected]
Emilio Pierini - cell. 338.7370016; e-mail: [email protected]
In redazione: Cristina Castellani - [email protected]
Eleonora Tiseni - [email protected]
Pubblicità: Vanni Semplici - cell. 331.5786518; e-mail: [email protected]
Distribuzione gratuita
Registrazione Tribunale di Macerata Registro 599 del 5 aprile 2011
Hanno collaborato a questo numero: Lino Palanca - Vanni Semplici - Janula Malizia - Massimo Morroni - Marco Moroni Giancarlo Liuti - Anna Petrozzi - Annunziata Brandoni - Mario Mancinelli - Luciano Bruno Venusto - Grazia Bravetti Magnoni Alfredo Pirchio - Eleonora Stortoni - Paolo Onofri - Eleonora Tiseni - Gabriella Paoletti - Luciana Interlenghi - Vincenzo Oliveri Anna Ragaini - Gianluca Guastaferro - Luca Pantanetti - Aurora Foglia
Vignetta di Giorgio Corvatta
Chiuso in redazione il 25 luglio 2013
STORIA
IL “PASSAR DELLA FALCE
CHE PAREGGIA
TUTTE L’ERBE DEL PRATO”
di Lino Palanca
foto messe a disposizione da Fabrizio Carbonetti
Truppe americane sbarcano ad Anzio - foto Wikipedia
I LUPI FEROCI AZZANNANO E UCCIDONO. NON FANNO PRIGIONIERI,
NON HANNO PIETÀ. COME I NAZIFASCISTI MASSACRATORI DEI GIOVANI
PARTIGIANI DI MONTALTO MARCHE. IL CARTELLO VALE PER LORO:
ACHTUNG, BANDITEN!
5
STORIA
O
perazione shingle, ciottolo di spiaggia. Il 22 gennaio 1944 la VI armata
alleata sbarcò ad Anzio. Il suo compito: aprirsi rapidamente un varco
verso Roma. Al comando della spedizione il
maggior generale John Porter Lucas, americano, che si trastullò a rafforzare la testa di sbarco invece di puntare subito sulla città eterna.
Scelta sorprendente anche per i tedeschi, quasi
increduli di fronte a un tale colpo di fortuna.
Il primo a rimettersene fu il maresciallo Kesselring, comandante in capo della Wehrmacht in
Italia, che radunò in fretta un paio di divisioni e
con quelle inchiodò gli americani sulla spiaggia
laziale per quattro mesi durante i quali i passi
appenninici divennero vitali per i rifornimenti al
suo esercito. Di grande rilevanza strategica era
la zona di Cessapalombo perché da lì si controllava il passo di Colfiorito, dove transitavano le
truppe di rinforzo e i materiali per le panzerdivisionen impegnate sul fronte di Anzio 1.
Nella località di Montalto (comune di Cessapalombo) il dinamismo partigiano appariva
notevole. Lì si erano ritrovati molti giovani, provenienti da varie località della provincia di Macerata, saliti in montagna anche per non doversi
arruolare nell’esercito di Salò. La loro attività di
gruppo partigiano non comunista, agli ordini del
tenente Achille Barilatti, procurava fastidi reali ai
convogli tedeschi. I partigiani di Porto Recanati
erano in contatto con il gruppo di Montalto, che
visitavano spesso per portare rifornimenti di vario genere. Lassù c’era un gruppo di una ventina
di giovani portolotti, acquartierati in un casolare
poco lontano dal comando Barilatti. Nella serata
del 21 marzo ’44 costoro furono felici di salutare
un ospite:
Marzo, 21. Montalto. In serata i nostri
ricevono una visita. È
Bebi Patrizi, recanatese, giovane staffetta del
gruppo Barilatti, compagno di banco di Luigi Feliciotti, che insiste
perché l’amico passi la
notte con lui. Ma Patrizi dice di dover rientrare al comando e
vuole approfittare della notte e della giornata inclemente. Nevischio, nebbia. E parte, incontro alla morte 2.
Marzo 22. Montalto. All’alba, spari nelle vicinanze del campo dei portorecanatesi. Si
vedono correre dei contadini: gridano qualche
6
cosa, impauriti. Le truppe tedesche e fasciste, in
un’azione di rastrellamento ben programmata,
hanno sorpreso il gruppo Barilatti, uccidendo
la sentinella prima che potesse dare l’allarme.
Trenta giovani sorpresi nel sonno non fanno in
tempo ad imbracciare le armi; portati ai margini di un vicino viottolo (nella tarda mattinata del
22, n.d.a), a gruppi di cinque, vengono massacrati …3.
Tra i morti c’era anche Patrizi, diciannove
anni. La notizia giunse subito a Recanati, portata
dai superstiti, compresi i portorecanatesi, subito
allontanatisi dalla zona della strage 4.
Nell’Archivio storico del comune di Recanati
c’è un documento toccante; è un invito scritto a
mano, che recita così:
Sabato 1° Aprile nella chiesa di S. Filippo alle
ore 8.30 sarà celebrato un ufficio funebre in suffragio della carissima anima del defunto
Adalberto Patrizi.
La mamma, gli zii, la nonna, il fratello, la
sorella, i parenti e gli amici tutti,
ringraziano quanti vorranno partecipare.
Recanati, 30 marzo 1944. 5
La pietà e il dolore dei famigliari, però, non
avevano fatto i conti con il cinismo fascista. Il
giorno dopo il commissario prefettizio del comune scrisse all’ispettore della polizia municipale: Per disposizioni del Capo della Provincia,
si prega codesto Ufficio voler diffidare il Rettore
della Chiesa di S. Filippo a celebrare la messa in
suffragio di Adalberto Patrizi alle ore 6 del mattino con l’intervento dei soli congiunti, quindi
senza partecipazione del pubblico, e con esclusione di addobbi sia interni che esterni, di manifesti.
Non bastò, ché lo stesso commissario allertò
pure il locale distaccamento della Guardia Repubblicana: Domattina, alle ore 6, nella chiesa
di S. Filippo, avrà luogo una messa in suffragio di Adalberto Patrizi. Per ordine del Capo
della Provincia deve essere vietato ai cittadini,
all’infuori delle persone di famiglia del defunto,
di partecipare alla funzione. Si prega disporre
per il servizio d’ordine affinché tale ordine sia
scrupolosamente osservato e impedito qualsiasi
tentativo di manifestazioni 6.
L’ispettore della polizia municipale eseguì
tutto quanto gli era stato chiesto e quindi inviò
il suo verbale:
Io qui sottoscritto ……………, Ispettore dirigente l’Ufficio di Polizia del Comune di Recanati, in esecuzione alla nota in pari data del
Commissario Prefettizio indirizzata allo stesso
STORIA
ufficio, rendo noto a chi di regola quanto segue:
invitato il Rettore della Chiesa di S. Filippo
Don ………………, gli ho dato conoscenza della
disposizione impartita dal Capo della Provincia
con cui è detto che in merito alla funzione funebre in suffragio del defunto Patrizi Aldebrando
(?), è consentito procedere alla funzione alle ore
6 del mattino con l’intervento dei soli famigliari,
con esclusione di addobbi sia interni che esterni
e senza manifesti…7.
La morte di Patrizi ebbe qualche risvolto nella scuola frequentata dal ragazzo, il liceo classico di Recanati. Un giorno, poco dopo la sua
morte, il preside e una professoressa fecero il
giro delle classi per notificare agli alunni la necessità di aderire alla Repubblica Sociale di Salò.
Donatella Donati e Graziella Fortuna si alzarono
in piedi e dissero che mai avrebbero detto sì
a chi aveva assassinato un loro compagno di
scuola. Ebbero sette in condotta, più minacce
varie, tra le quali l’espulsione “da tutte le scuole
del Regno” (chissà di quale regno; non eravamo
nella RSI ?); la madre di Donati si trovò anche
schedata come vero tipo di massone.
Il preside, che durante la guerra diresse
come reggente il Centro Nazionale di Studi Leopardiani, fu epurato a Liberazione avvenuta e
cacciato dal liceo dove venne a sostituirlo Giovanni Trepin, uno spalatino che viveva a Macerata. È singolare come, qualche anno dopo,
quando, ormai adulte, le due ex liceali andarono a ricercare i documenti di quel fatto, non
trovassero più assolutamente nulla nell’archivio
della scuola.
La salma di Bebi Patrizi fu portata a Recanati nell’agosto del ’44, dopo solenni onoranze a
Tolentino, nella grande cerimonia in memoria
dei martiri di Montalto, e tumulata nel civico cimitero, questa volta dopo la messa con addobbi
interni ed esterni, manifesti, e tutta Recanati al
seguito della bara.
Dopo il passaggio del fronte (luglio ’44), fu
giocato un torneo di calcio intitolato a Bebi,
appunto la Coppa Patrizi. Vi parteciparono le
squadre del circondario Portorecanati, Recanatese, Portocivitanova, Osimana ed altre, con l’aggiunta di una squadra della Raf, una di polacchi
e un’altra mista anglo-irlandese. Le quali tutte
non fecero grande onore al Caduto per la libertà. Infatti più che di un torneo si trattò di un
rodeo sostanziato da solenni scazzottate tra le
tifoserie italiane, con la generosa collaborazione
delle équipes straniere. Un caos. Tanto che ancora oggi nessuno sa dire con certezza chi vinse
la Coppa, rimasta nella bacheca della Recanatese, dove penso si trovi ancora 8.
1 Su Anzio: Winston S. Churchill, La seconda
guerra mondiale, vol. X, Da Teheran a Roma,
Milano, Mondatori, 1970, pp. 186-204.
2 Luigi Feliciotti era figlio di Lucidio, membro
comunista del CLN di Porto Recanati.
3 L. Palanca - A. Biagetti, A Marcello non
piacciono le fave, Recanati, Bieffe Grafiche,
1999, p. 48. Una documentazione specifica e
molto dettagliata sui fatti di Montalto si può
trovare nel volume Noi c’eravamo, a cura di
Enzo Calcaterra, Istituto Editoriale Europeo,
Tolentino 1989.
4 Mi ha riferito Fabrizio Carbonetti, a lungo
presidente dell’ANPI di Recanati, direttore
responsabile de Il cittadino di Recanati.it,
che Patrizi era una grande promessa della
corsa veloce, 100 e 200 metri, tanto da essere
inserito nei “papabili” olimpionici. Per questo,
in un primo momento, a Recanati si era creduto
che fosse riuscito a fuggire grazie alle sue doti
atletiche.
5 Le citazioni relative alla messa in suffragio
di Patrizi sono tratte dall’Archivio storico c.le
di Recanati, titolo VIII, anno 1944 (ringrazio,
per avermene favorito la ricerca, le signore
Savoretti, Rotini e Cutini)
6 Il capo della provincia era Ferruccio
Ferrazzani o Vincenzo Carusi; siamo nei giorni
del passaggio di consegne tra i due.
7 Il documento mi è giunto già con gli spazi
bianchi segnalati dai puntini.
8 v. Lino Palanca, Con il cuore si vince. Storie
arancioni 1919-2009, Recanati, Bieffe, 2009,
pp. 22-23.
7
STORIA
LA NOSTRA FEDE È
LA VITTORIA
CHE VINCE IL MONDO
di Janula Malizia
Dipinto di C. Bossoli, La battaglia di Castelfidardo, Museo del Risorgimento, Torino
QUESTO MOTTO, INCISO IN LATINO SU UN CIMELIO MOLTO PARTICOLARE,
ACCOMPAGNÒ IN TANTE BATTAGLIE IL SOLDATO MYLES KEOGH. FINO
ALLA MORTE. LA STORIA DI UNA MEDAGLIA CHE SEGUÌ IL DESTINO DI
UN UOMO, DAL CUORE DELLA VECCHIA EUROPA FINO IN AMERICA. IL
MISTERO DI UN CIMELIO, FATTO CONIARE DA PIO IX E RINVENUTO NEL
NORD OVEST AMERICANO, SUL PETTO DI TATANKA IYOTAKE, IL GRANDE
GUERRIERO INDIANO PASSATO ALLA STORIA COME TORO SEDUTO.
8
C
i sono due scenari
lontani miglia e miglia tra loro, con un
oceano in mezzo,
che poco hanno in comune se
non che furono entrambi teatro
di epiche battaglie, combattute a distanza di tre lustri l’una
dall’altra nella seconda metà
del diciannovesimo secolo.
Due sono anche i corsi d’acqua
che ancora oggi segnano queste vallate: il Little Bighorn che
scorre snello e impetuoso nel
Montana americano e il Musone
che scorre placido e lento nelle
nostre Marche. Oltre ad essere
entrambi piccoli fiumi, poco altro hanno in comune, se non
che nei pressi delle loro rive si
avvicendarono uomini valorosi
con appresso i loro cavalli e si
combatterono grandi battaglie
che passarono alla Storia.
La verde vallata del nord ovest
americano, teatro dell’epica
battaglia del Little Bighorn,
oggi non è altro che un vasto
cimitero che custodisce disordinatamente le spoglie degli uomini del 7° cavalleggeri dell’esercito degli Stati Uniti d’America, ognuno seppellito sul
posto, nel luogo preciso dove
fu ritrovato. Possiamo solo immaginare il caos che imperò
per 25 lunghissimi minuti, il
tempo del combattimento che
vide il trionfo di Toro Seduto e
la sconfitta del generale Custer,
“lunghi capelli” per gli Indiani.
I nativi americani comprendevano ben poco dell’uomo bianco, della sua bramosia d’oro,
scovato nei luoghi sacri. E di
quelle terre sacre le truppe dei
bianchi volevano a tutti i costi
impossessarsi, incuranti degli
accordi firmati con i capi tribù
e siglati dalle autorità gover-
STORIA
native. Sotto la guida di Toro
Seduto, per una volta almeno
nella loro storia, i nativi americani riuscirono a coalizzare
le forze delle numerose tribù
e, almeno in quell’occasione,
ad avere la meglio. Soltanto un
trombettiere di origine italiana
di nome John Martin (Giovanni Martini) sopravvisse: egli fu
infatti mandato da Custer, non
appena questi si rese conto di
essere in forte svantaggio numerico, a chiedere rinforzi. L’unico altro reduce della battaglia
fu il cavallo Comanche del capitano irlandese Myles Keogh,
conservato imbalsamato in una
Università del Kansans. I corpi
dei nemici, come consuetudine
indiana, dopo la battaglia furono martoriati, spogliati e privati
dello scalpo.
Possiamo immaginare, nei momenti successivi la battaglia, il
grande Toro Seduto che si aggira in una distesa di corpi straziati nell’agone, tra la polvere e
l’odore acre del sangue. Davanti ai suoi occhi, il compimento
di una visione avuta durante la
danza degli spiriti, pochi giorni
prima: soldati caduti. Il grande
guerriero improvvisamente dovette arrestarsi, perché qualcosa
aveva attirato la sua attenzione.
Dal petto del reduce irlandese
della battaglia di Castelfidardo,
il capitano Myles Keogh di cui
Toro Seduto non sapeva nulla,
se non che si era difeso con
valore, giungeva un bagliore
metallico. Il capitano che aveva combattuto tre guerre in due
continenti diversi, aveva addosso un sorta di talismano. Toro
Seduto non poteva sapere che
l’irlandese, anni e anni prima,
aveva fatto parte del valoroso
Battaglione di San Patrizio a di-
fesa dello Stato Pontificio, per
il quale aveva combattuto tanto valorosamente da ricevere
una medaglia. Il capo indiano
raccolse quel pezzo di metallo
così particolare, diverso dagli
altri, di cui non conosceva la
storia, e lo conservò gelosamente credendolo un potente
amuleto. Quel cimelio fu rinvenuto ancora fisso al petto di
Toro Seduto il giorno della sua
morte nel 1890. Il condottiero
coraggioso, l’abile politico con
grandi doti tattiche che un giorno lontano durante una danza
propiziatrice ebbe la profetica visione che spinse ad unire
tutte le tribù Sioux contro l’uomo bianco, il capo che riuscì a
sconfiggere Custer nella storica
battaglia di Little Bighorn, era
ormai invecchiato. Ma fu tenuto in grande considerazione dai
suoi e temuto dalle truppe dei
bianchi finché, il 15.12.1890,
esalò l’ultimo respiro, mentre
si preparava a partecipare ad
un’altra grande danza degli spiriti per scacciare l’uomo bianco.
Aveva con sé l’amuleto da cui
non si separava mai, prelevato
dal corpo senza vita del valoroso soldato irlandese morto a
Little Bighorn tanti anni prima,
9
STORIA
mentre in quella mattina brumosa di dicembre
veniva trascinato via dai governativi americani.
Ironia della sorte, morì in un conflitto a fuoco
per mano di un poliziotto della sua stessa gente,
un Dakota.
Torniamo indietro nel tempo a più di quindici
anni prima, ripercorriamo le praterie, le montagne e le colline e salpiamo a ritroso l’oceano Atlantico. Siamo di nuovo nel vecchio continente,
nelle Marche; il Nostro irlandese appena ventenne non ha ancora ricevuto nessun riconoscimento e milita nelle file di quei drappelli di volontari
stranieri che accorsero a rinforzare le difese di
Papa Pio IX e dello Stato pontificio, minacciato
dal progetto unitario dei Savoia.
I campi erano già stati arati, in quello scorcio di
estate morente nella vallata del fiume Musone.
18 Settembre 1860. I volontari erano lì, attirati
dal soldo ma i più dal mito romantico di un’ultima crociata. Si ritrovarono a Loreto la sera prima, presero i sacramenti all’alba e andarono in
combattimento digiuni.
Nel 1860 soldati pontifici combatterono strenuamente nelle Marche e in Umbria, ma furono
sconfitti. I volontari del papa erano quasi tutti
giovani di età compresa tra i 17 e i 25 anni e
persero la vita, al pari dei bersaglieri piemontesi, lontano da casa. Quello di Castelfidardo fu
il momento decisivo di un conflitto che aveva
assunto caratteristiche nuove, possiamo definirle
moderne. Erano infatti entrati in gioco i nascenti
servizi segreti, le armi moderne come i cannoni
e i fucili rigati, i telegrafi portatili, il ruolo psicologico giocato da giornali, decreti e ordinanze,
punti di forza per i Piemontesi.
La battaglia di Castelfidardo risultò decisiva per
le sorti risorgimentali che portarono poi alla
breccia di Porta Pia e all’Unità d’Italia.
10
Due furono gli schieramenti che si contrapposero nella battaglia, svoltasi tra la valle del Musone
e la parte collinare ai confini della cittadina. Da
una parte le truppe del generale Cialdini per
i piemontesi, dall’altra le truppe pontificie, guidate dal comandante in capo, il generale francese Cristoforo De Lamoricière e dal Generale
marchese De Pimodan. Quest’ultimo in particolare guidava la colonna di sinistra coinvolta
nell’attacco finale, di cui faceva parte anche la
compagnia di S. Patrizio, in cui militava il nostro
soldato Irlandese.
Un paragone calcistico molto efficace è stato
usato per rendere l’idea dei fattori che pesarono
sulle sorti di questa battaglia, così decisiva per
il risorgimento italiano. Il generale Cialdini era
in svantaggio alla fine del primo tempo, poi gli
errori grossolani dei comandanti avversari “che
non chiudevano la partita” gli permisero di ribaltare la situazione e di vincere alla fine l’incontro,
impedendo agli 8.000 pontifici di raggiungere
Ancona e rinchiudervisi.
Il sacrario che si trova presso la selva di Castelfidardo, sui luoghi in cui si svolse la battaglia,
raccoglie le ossa dei soldati che combatterono
a Castelfidardo, custodite in avelli separati secondo gli schieramenti nella stanza sottostante
al monumento. Ma non contiene le ossa del soldato irlandese di nome Myles Keogh, che erano destinate a finire inaspettatamente lontano.
Quante probabilità ci potevano essere per un
soldato nato in Irlanda il 25.03.1840, che combatté tra le fila delle truppe pontificie nella battaglia di Castelfidardo il 18 settembre 1860, di
trovarsi dall’altra parte del mondo e più precisamente accerchiato dagli indiani a Little Bighorn,
in pieno nord ovest americano, il 25 giugno del
1875?
Seguiamo con una rapida prospettiva l’incredibile storia dell’irlandese e della sua medaglia. Pio
IX con l’ Ordine nr. 484 dell’8 dicembre 1860 del
Ministero delle Armi, donò a Myles Keogh del
Battaglione di San Patrizio la medaglia commemorativa in bronzo con una croce capovolta (in
ricordo del martirio di apostoli come San Pietro)
in quanto “aveva preso parte alla campagna del
1860 contro l’esercito sardo invasore”. Con essa
al petto egli prestò servizio nell’esercito papale
fino al 1862, dopodiché emigrò in America. Lì,
il 1° aprile 1862, combatté nella guerra Civile
STORIA
Terzo da sinistra Papalguard - foto profiles.google.com
americana diventando capitano e tenente colonnello. Infine
entrò nel 7° cavalleria del generale Custer, e cadde con lui
sulla collina del Little Bighorn.
La medaglia commemorativa
di Castelfidardo venne prelevata dal suo corpo esamine
nel campo di battaglia di Little Bighorn da Toro Seduto in
persona, il quale lo ritenne un
potente amuleto e non se ne
separò mai. Fu rinvenuta su di
lui al momento della morte, nel
1890. Una copia della medaglia
commemorativa della battaglia
è custodita nel Museo Risorgimentale di Castelfidardo.
Questo tipo di medaglia venne
concessa a tutti coloro che avevano partecipato, con le truppe pontificie, allo contro con
l’esercito del Regno di Sardegna. Pio IX la fece coniare per
premiare i soldati che si erano
battuti in suo nome contro l’esercito piemontese durante l’invasione dello stato pontificio
11
STORIA
Medaglia originale - foto portale italiano militaria
Medaglia Castelfidardo
Museo del Risorgimento di Castelfidardo
foto Museo del Risorgimento di Castelfidardo
del 1860. Vi erano alcune differenziazioni nelle medaglie, che
variavano a seconda del beneficiario:
• Medaglia d’oro smaltata in blu per gli ufficiali
generali
• Medaglia d’oro per gli
ufficiali superiori
• Medaglia d’argento per
gli ufficiali inferiori
• Medaglia in metallo
bianco per i sottufficiali
e la truppa.
Solo pochi esemplari di questa
medaglia vennero realizzati. Le
dimensioni erano fuori della
norma medaglistica, più grandi del solito, così che i romani
la poterono soprannominare
familiarmente la “ciambella”.
Riportava attaccato un nastro
bianco giallo e rosso su cui
venivano fissate delle fascette
a seconda delle battaglie alle
12
quali si era partecipato: Viterbo,
Pesaro, Fano, Sant’Angelo, Castelfidardo e Ancona. Era composta di un cerchio riportante
circolarmente sul diritto il motto “VICTORIA QUAE VINCIT
MUNDUM FIDES NOSTRA”,
mentre sul retro era riportata la
scritta “PRO PETRI SEDE PIO
IX P.M.A.XV”. Il cerchio aveva
in centro una croce capovolta
(simbolo non blasfemo come a
prima vista potrebbe sembrare
a chi ne ignora la storia, bensì
del martirio di San Pietro, primo pontefice, il quale venne
crocifisso a testa in giù per non
eguagliare l’esempio di Cristo, condannato al medesimo
martirio). Su questa croce era
raffigurato un serpente che si
mordeva la coda, simbolo del
peccato mortale che attanagliava quanti osassero attaccare la
chiesa.
Fonti bibliografiche e ringraziamenti:
Massimo Coltrinari, Lo scontro di Castelfidardo del 18 settembre 1860,
Roma, Nuova Cultura, 2010
Lucio Martino, L’11 settembre della
Chiesa, Genova, Eidon, 2010
Chiara Giglio, La quarta Compagnia
nella Battaglia di Castelfidardo, Osimo, Brillarelli, 2004
Il Museo del Risorgimento di Castelfidardo, a cura di Italia Nostra e Fondazione Ferretti.
STORIA
TESTIMONE DI DIO
AI CONFINI DEL MONDO
per gentile concessione de “I Santesi weblog” (Paolo Onofri)
NEL DUECENTESIMO ANNO DALLA SUA NASCITA, POTENZA PICENA RICORDA GIUSEPPE MARIA
BRAVI, DOCENTE DI TEOLOGIA DOGMATICA E VESCOVO MISSIONARIO DI COLOMBO NELL’ISOLA DI
CEYLON. UNA VITA SPESA NELL’ANNUNCIO DEL MESSAGGIO EVANGELICO.
P
otenza Picena può vantare
tra i suoi figli più illustri
Giuseppe
Maria
Bravi,
Vescovo di Tipasa e primo
Vicario Apostolico europeo di
Colombo, Ceylon, nello Sri Lanka.
Giuseppe Maria Bravi nasce infatti
a Monte Santo, l’attuale Potenza
Picena, il 6/12/1813 da Giovanni
Battista e Serafina Belletti. Il padre
si era trasferito da Monterosso di
Sassoferrato a Monte Santo per seguire
la sua professione di amministratore
delle proprietà terriere della famiglia
del conte Carradori Flamini. Dopo
aver frequentato le scuole a Monte
Santo, prosegue gli studi classici a
Recanati. A 16 anni entra nell’ordine
Silvestrino di Fabriano. Dopo la sua
professione solenne avvenuta nel
1831 nella Chiesa di S. Benedetto di
Fabriano, fu assegnato al Monastero
di S. Maria Nuova di Matelica. Per
gli studi filosofici si recò a Perugia
e Fabriano, nel Monastero di S.
Benedetto, mentre per lo studio
della teologia scelse il Monastero
di S. Silvestro di Osimo. Ricevette il
suddiaconato dal Vescovo di Fabriano
e Matelica Mons. Pietro Balducci il
4/4/1835. Il diaconato e sacerdozio
gli vennero conferiti rispettivamente
il 9/12/1835 ed il 19/6/1836 da Mons.
Alessandro Bernetti, Vescovo di
Recanati e Loreto, nella sua Cappella
privata di Loreto.
Il Capitolo Generale dell’Ordine del
1837 assegna il Bravi al Monastero
di S. Silvestro di Osimo, come lettore
di teologia dogmatica e morale.
Ricopre questo compito fino al 1844,
quando decide di dedicarsi alla vita
missionaria. Il giorno 14 marzo 1845
padre Giuseppe Maria Bravi salpa
dal porto di Civitavecchia per l’isola
di Ceylon, nelle Indie Orientali.
Proprio in questo paese inizia la
sua vita missionaria e gli viene
assegnata la Chiesa di S. Filippo Neri
di Colombo. Il 15 gennaio 1850 il
Papa marchigiano Pio IX, per le sue
qualità, lo nomina Vescovo di Tipasa
e assistente del Vicario Apostolico di
Colombo Mons. Gaetano Antonio.
In seguito viene nominato Vicario
Apostolico di Colombo, primo
Vescovo europeo. Nel corso di una
traversata in mare a bordo del vapore
“Nubia” per ritornare in Italia per
curarsi da una grave malattia, al largo
del Mar Rosso, il giorno 15/8/1860
Giuseppe Maria Bravi muore e viene
seppellito nel Cimitero Cattolico di
Suez. Nel 1863 la salma, a cura dei
missionari silvestrini, viene esumata
dal predetto Cimitero e portata nella
città di Colombo, Ceylon, e deposta
nella Chiesa di S. Filippo Neri, dove si
trova attualmente. Il palazzo Bravi a
Potenza Picena era quello attualmente
occupato dalla famiglia Piani, in via
G. Marconi, che lo ha ristrutturato
nel 1936 (questa via era intitolata
alla famiglia Bravi, successivamente
modificata in Via XX Settembre dopo
l’Unità d’Italia).
Uno dei discendenti del Vescovo
Giuseppe Maria Bravi è stato Fulvio
Bravi (Potenza Picena 1/10/1892
-9/2/1966), nipote del fratello Dott.
Silvestro Bravi e della contessa
Giovanna Zocchi di Tolentino.
Giuseppe Maria Bravi
Presso la Collegiata di S. Stefano
di Potenza Picena è presente un
dipinto del Vescovo, un olio su tela,
che avrebbe bisogno di un adeguato
restauro, per onorare degnamente
questo grande personaggio santese.
(Notizie tratte dal libro “Giuseppe
Maria Bravi 1813-1860” primo Vicario
Apostolico Europeo di Colombo,
a cura di Beda Barchetta, Fabriano Monastero di S. Silvestro Abate 1994)
- Al puntuale intervento del blog I
Santesi, dell’amico Paolo Onofri,
aggiungo che il vescovo Bravi ebbe un
segretario portolotto. Si tratta di padre
Filippo Scocco, silvestrino anche lui,
buon musico, che seguì il vescovo a
Ceylon dove morì di febbre tifoidea –
l.p.
13
STORIA
NO ALLA GUERRA DI REDENZIONE
di Massimo Morroni - *** le foto sono tratte da giornali dell’epoca
Cartolina celebrativa della conquista della Libia
LA GUERRA SANTA CONTRO LA SUPPOSTA BARBARIE TURCA PER
LA CONQUISTA DELLA LIBIA, “GEMMA AFRICANA E PERLA DEL
MEDITERRANEO” PER ALCUNI, “SCATOLONE DI SABBIA” PER ALTRI,
TROVÒ NEL NOSTRO TERRITORIO SOSTENITORI E AVVERSARI. TRA I
SECONDI, “LA SENTINELLA DELLE MARCHE” DI OSIMO, FOGLIO DELLA
DEMOCRAZIA RADICAL-REPUBBLICANA. UNA VOCE CONTRO LE FOLLE
ACCLAMANTI LA RICONQUISTA DEL MARE NOSTRUM.
14
STORIA
I
l 15 ottobre 1877 uscì il
primo numero del settimanale “La Sentinella
del Musone” ad opera
di repubblicani, radicali, liberali di vecchia data e anticlericali. Ne assunse la direzione
l’avvocato Giuseppe Magnoni,
collaborando con Vincenzo
Rossi, Pasquale Frampolli ed
altri, tutti liberali appartenenti
alla borghesia colta. E’ anche
da ricordare l’avvocato Augusto
Santini, simbolo della Sinistra
osimana. L’interesse del giornale fu soprattutto locale, civico e
politico, avversario dell’aristocrazia terriera, della quale denunciò i privilegi, i monopoli e
l’immobilità, e della Chiesa. Nel decennio successivo il settimanale divenne filosocialista.
Nel 1884 cambiò testata, chiamandosi solo “La Sentinella” e
si aprì a tutta la provincia di
Ancona; l’anno seguente aggiunse il sottotitolo “Gazzetta
delle Marche”. Si chiamò poi
“La Sentinella delle Marche”.
Con il professor Cesare Romiti
fu socialista (1912-1915), quindi
divenne nazionalista e fascista.
Cessò nel 1923.
Nel periodo 1911-1912, nel
quale si svolse la guerra di Libia, la “Sentinella” affermò ripetutamente di considerare lo
stato di guerra “come uno stato
selvaggio dell’umanità” e auspicò il giorno in cui “gli uomini
delle loro spade fabbricheranno
zappe e delle loro lance, falci;
una nazione non alzerà più la
spada contro un’altra nazione
e non impareranno più la guerra”. Essa credeva che il suo patrimonio ideale fosse destinato
a diventare condizione di fatto
dell’umanità, e lavorava per instaurare effettivamente la pace.
Per questo approvò i tentativi
nobili dei pacifisti. Dissentì invece sui loro metodi, perché riteneva ingenuo poter attuare lo
Cartolina celebrativa dello sbarco dei marinai italiani a Bengasi
stato di pace solo mediante l’azione delle idee. Infatti le cause della guerra sono immanenti nella realtà economica della
società borghese: dove esistono
disuguaglianze sociali, la guerra è inevitabile, e dove esistono
Stati armati che si contendono i
mercati mondiali, sussistono le
cause permanenti della guerra.
Per questo la propaganda pacifista va unita all’azione delle
forze proletarie intente a fabbricare una società basata su diverse fondamenta economiche:
“quanto più il proletariato sarà
forte ed organizzato e quindi in
gran parte signore dei mezzi di
produzione e dello stato, tanto
meno sarà facile lo scoppio della guerra”.
E’ da sottolineare che “La
Sentinella” iniziò a gennaio
1911, con una media poi di tre
articoli mensili, a far conoscere estesamente le sue posizioni
antimilitariste e anticolonialiste,
mentre cominciò ad occuparsi
della guerra italo-turca fin dalla
dichiarazione della stessa. Numerosi sono gli attacchi rivolti
ai nazionalisti, ai capricci dei
capitalisti, ai conservatori che
sollecitano la corsa agli armamenti, al governo che sciupa
denaro nelle spese militari (in
Europa otto volte superiori a
quelle per l’assistenza sociale),
alle categorie (banchieri, industriali, fornitori) che trarrebbero
vantaggi dal conflitto, ai clericali che difendono i ricchi e gli
sfruttatori, al papa che ostacola
il Congresso internazionale per
la pace.
La colonizzazione viene interpretata anche come un’azione immorale violenta e di rapina. A guerra iniziata, prosegue
la pubblicazione di articoli contrari, contenenti considerazioni
applicate alla realtà dell’impresa africana, che si protrarranno
per tutta la durata dell’impresa.
A fine ottobre 1911 appare
una sintesi tratta da un giornale di Reggio Emilia, nella quale si elencano alcuni “perché”
di avversione, e questi motivi
si ritroveranno poi spesso sulla “Sentinella”: la violazione di
principi ideali e morali del sano
patriottismo, le infatuazioni militariste, il diversivo politico alle
riforme, il miraggio della cuccagna africana, l’abbandono del
problema meridionale, l’onore
nazionale che vuol coprire i
peggiori istinti anticivili.
Anche la voce di un generale
15
STORIA
viene ospitata: “Le colonie ottenute con la forza
brutale e avvivate col dominio politico non ingagliardiscono la madre-patria; sono le colonie
sorte naturalmente coll’emigrazione in lontane
regioni, e i commerci attirati liberamente , quelli
che risolvono il doppio problema dell’esuberanza
di una generazione e della formazione di nuova
ricchezza”. Segue una lunga citazione di Achille
Loria: “(...) Le imprese di conquista e di sfruttamento coloniale rendono fatalmente necessario
il prevalere del potere esecutivo sugli altri organi
della vita pubblica e portano di necessità la risurrezione di un’autocrazia propria di epoche
da secoli tramontate”.
Il principe romano Gaetani, dopo una breve disamina del bilancio della guerra, conclude:
“Un giorno si dovrà confessare che la spedizione
di Tripoli più che alla Turchia, ha nociuto alla
causa della democrazia d’Italia”.
Ferma e dura è anche l’opposizione del Consiglio nazionale della Confederazione del Lavoro, che auspica la pace, ponendo fine al “sacrificio di sangue e di denaro”.
Si fanno pure confronti con il bilancio della
colonia Eritrea, la cui esperienza insegna che, da
molti punti di vista, colonizzare comporta solamente perdite e passività. Già Andrea Costa non
vedeva la bandiera della patria nelle imprese
africane, ma sui campi di battaglia per l’indipen16
denza e nelle imprese “che fanno risalire sempre più la nazione verso le altezze dell’ideale” e
riguardo alle imprese coloniali disse: “La democrazia non deve dare né un uomo né un soldo”.
Il giudizio di Emile de Laveye è drastico e
ben motivato: la madre-patria non guadagna un
commercio fiorente dal possesso delle colonie,
perché la violazione della libertà produce solo
frutti amari e non c’è colonia che non costi agli
abitanti della madre-patria più di quello che non
renda. Il possesso delle colonie è divenuto un
anacronismo per gli Stati moderni, dopo il riconoscimento dell’uguaglianza delle diverse razze;
inoltre, il possesso delle colonie moltiplica le
cause di conflitto tra i popoli e, per questo, l’Inghilterra le sta cedendo. Finalmente, se un Paese ha del denaro, colonizzi le sue terre incolte,
“in Italia la Sardegna o la Campagna Romana e
tante altre parti del Mezzogiorno”.
La “Sentinella”, da par suo, aggiungeva: “Ora
è questo il momento opportuno per l’Italia per
una politica di espansione? siamo noi così ricchi
in casa nostra da poterci permettere il lusso di
portare una parte delle nostre ricchezze in casa
degli altri?”. Nei giorni della dichiarazione della
guerra, negli articoli di fondo si metteva sempre
in evidenza la mancanza di risorse finanziarie
per sostenere l’impresa, ricordando il disastro
delle passate avventure coloniali.
STORIE ADRIATICHE
DAL GRAN RIFIUTO
(NON PER VILTÀ)
A VESCOVO DI RECANATI
di Marco Moroni
COME RATZINGER AI NOSTRI GIORNI E CELESTINO V SETTE SECOLI PRIMA, ANCHE ANGELO CORRER LASCIÒ IL
PAPATO PER SUA SCELTA. PERCHÉ I PONTEFICI NON SI LASCIANO CACCIARE; QUANDO CAPISCONO DI ESSERE
DI TROPPO, SE NE VANNO DA SOLI.
N
el febbraio scorso ha destato grande
scalpore la notizia delle dimissioni di
papa Benedetto XVI, presentata dalla stampa come una novità assoluta
nella storia della Chiesa. In realtà non è affatto
così: esiste almeno un altro papa dimissionario
ed è sepolto nella cattedrale di Recanati. A lui
è dedicata questa storia che può essere definita
“adriatica” perché il protagonista, Angelo Correr, nasce a Venezia poco prima della metà del
Trecento (probabilmente intorno agli anni 13401345) da una influente famiglia di nobili veneziani. Formatosi presso la Facoltà teologica di
Bologna, fin dal 1377 Angelo Correr ottenne il
decanato della chiesa di Corone, una importante base commerciale veneziana nella penisola
del Peloponneso, in Grecia. Nel 1380, a meno
di quarant’anni fu nominato vescovo di Castello,
una diocesi del vasto dominio della Repubblica
di San Marco nell’alto Adriatico; dieci anni dopo,
nel 1390, grazie all’eccezionale peso economico
di Venezia nel Mediterraneo orientale, ottenne
la ben più importante nomina a patriarca latino
di Costantinopoli, mantenendo l’amministrazione della chiesa di Corone, alla quale poi si aggiungerà quella di Negroponte, nell’isola greca
di Eubea.
Nonostante questi numerosi incarichi nel Levante, gli storici ritengono che Angelo Correr
non si sia mai spostato dall’Italia o lo abbia fatto
solo temporaneamente, perché fin dal 1389 risulta già attivo a Roma, nella Curia pontificia. I suoi
rapporti con la nostra regione risalgono al 1405,
quando viene nominato rettore (oggi diremmo
“governatore”) della Marca di Ancona; di lì a
poco ottiene la nomina a cardinale con il titolo
Gregorio XII, Angelo Correr - foto Wikipedia.
17
STORIE ADRIATICHE
di San Marco. La sua carriera si
svolse quindi negli anni del cosiddetto “scisma d’Occidente”,
così chiamato per distinguerlo
dallo “scisma d’Oriente” che
aveva portato alla separazione
della Chiesa di Costantinopoli da quella di Roma. Erano gli
anni in cui la Chiesa cattolica
era divisa tra due pontefici di
due diverse obbedienze, dopo
che i cardinali “romani” avevano eletto papa Urbano VI e i
cardinali “avignonesi” gli avevano contrapposto Clemente
VII.
Quando nel 1406 era morto Innocenzo VII, il conclave
subito apertosi a Roma aveva
eletto proprio il cardinale di
San Marco, Angelo Correr. Alla
sua nomina, come scrive Gregorio Ortalli, “avevano certamente contribuito la devozione
sincera, la conoscenza delle
sacre scritture, la preoccupazione mostrata in passato per
il superamento dello scisma e
una condotta di vita di tutto rispetto”. Gli fu di aiuto anche il
fatto di essere molto vecchio: il
Collegio cardinalizio era alla ricerca di un candidato disposto
appena possibile a farsi da parte “nell’interesse superiore della
Chiesa”; Angelo si era impegnato a farlo ma, se non avesse
rispettato l’impegno, ci avrebbe
pensato la natura dal momento
che, come dicevano alcuni, il
cardinale di San Marco “aveva
già un piede nella fossa”. Quando nel dicembre 1406 Angelo
Correr fu eletto ed assunse il
nome di Gregorio XII, vi furono grandi festeggiamenti nelle
Marche, visto l’incarico di rettore ricoperto negli anni precedenti; ancora maggiori furono,
18
ovviamente, i festeggiamenti
nella sua patria: era infatti il primo cittadino veneziano a salire
al soglio pontificio.
Come si erano impegnati a
fare tutti i cardinali all’apertura
del conclave, Gregorio XII si
mosse subito per trovare un accordo con l’antipapa Benedetto
XIII, ma le divisioni sembravano insuperabili. A dividere la
Chiesa da quasi trent’anni non
era soltanto uno scontro religioso, ma anche uno scontro politico: dietro i due papi vi erano
tutti i principali sovrani europei. Un nuovo tentativo di porre fine allo scisma fu compiuto
nel 1409, ma il conclave riunitosi a Pisa, anziché trovare una
soluzione, sembrò aggravare le
divisioni. I padri conciliari decisero infatti di deporre entrambi
i pontefici (sia Benedetto XIII
che Gregorio XII) e di eleggerne un terzo, il colto cardinale
Pietro Filargis, già arcivescovo
di Milano, che assunse il nome
di Alessandro V.
Quando di lì a poco Alessandro V morì, al suo posto fu eletto il cardinale Baldassarre Cossa, che prese il nome di Giovanni XXIII. Poiché i primi due
pontefici non avevano accettato la deposizione decisa al conclave di Pisa, la Chiesa si trovò
ad avere ben tre pontefici. Era
uno scandalo non più sopportabile e proprio per questo aumentarono le pressioni perché
si giungesse a un accordo.
Finalmente a Costanza, con
il consenso dei cardinali che
aderivano alle tre obbedienze,
si aprì il concilio che nel 1415
portò alla deposizione dei tre
pontefici e all’elezione di un
nuovo papa. Anche a Costan-
za si giunse vicini alla rottura,
ma l’accordo fu trovato quando
Gregorio XII fece giungere ai
cardinali riuniti in conclave, per
mano del suo procuratore Carlo Malatesta, le proprie dimissioni. Benedetto XIII non riconobbe le decisioni del concilio
di Costanza, ma venne scomunicato e fu ben presto abbandonato dai suoi sostenitori. A
quel punto anche per Giovanni
XXIII diventò impossibile opporsi a quanto deliberato dal
conclave.
Intanto il concilio, oltre a
nominare il dimissionario Angelo Correr cardinale di primo
rango dopo il papa, gli attribuì
altri due incarichi: la nomina vitalizia di legato della Marca e
l’amministrazione perpetua delle diocesi riunite di Recanati e
Macerata. Gregorio XII, perciò,
fin dal luglio 1415, avendo ricevuto la notizia di essere stato
deposto, si spogliò dei simboli
del potere papale e rivestì l’abito cardinalizio. Nell’ottobre
1415, da Recanati, il cardinale
ringraziò il concilio delle “provvidenze adottate” nei suoi confronti e ratificò la sua rinuncia
al papato. Nel 1417 fu così possibile eleggere il nuovo pontefice: la scelta cadde sul cardinale
Oddone Colonna, che assunse
il nome di Martino V. Era la
fine dello scisma. Stabilitosi a
Recanati, come scrive Monaldo Leopardi, il cardinale Angelo governò le due Chiese che
gli erano state affidate ”in pace
fino alla morte”. Ormai ultrasettantenne, morì nell’ottobre
1417; il suo corpo fu deposto
in un sepolcro in pietra ancora oggi collocato nel corridoio
di collegamento tra la chiesa e
STORIE ADRIATICHE
La tomba di Gregorio XII
nella Cattedrale di San Flaviano, a Recanati
foto Cronache Maceratesi
la sacrestia, proprio nei pressi
della cappella dove si conservano molte delle reliquie che
egli aveva donato alla cattedrale.
Spesso ci si chiede perché
Gregorio XII abbia accettato (e
probabilmente chiesto) la nomina a vescovo di Recanati. La
risposta è forse più semplice di
quanto non appaia. Monaldo
Leopardi in una nota dei suoi
Annali recanatesi suggerisce
due motivazioni. La prima, pur
essendo suggestiva, appare la
più debole: ”era stato patriarca
di Costantinopoli e successore
in qualche modo di San Flaviano”, al quale era ed è dedicata la cattedrale di Recanati.
Più valida risulta invece la seconda motivazione: “Gregorio
XII prima di venire assunto al
pontificato era stato legato pontificio nella Marca negli anni
1405 e 1406”. Insomma l’ultimo incarico ricoperto dal cardinale Angelo prima dell’elevazione al soglio pontificio era
stato proprio quello di rettore
della Marca di Ancona. Infine
un dato che spesso viene trascurato da chi non conosce la
storia dell’Adriatico: l’intensità
dei contatti che si avevano tra
Venezia e Recanati.
I rapporti commerciali si erano intensificati tra la fine del
Trecento e gli inizi del Quattrocento, quando a Recanati prende avvio una importante fiera
che richiama mercanti non solo
dalle principali città dello Stato
della Chiesa, ma anche dall’area padana e da gran parte
delle regioni adriatiche. E’ una
fiera che, come quelle di Rimini, Pesaro, Fermo e Lanciano,
si rafforza grazie al sostegno di
Venezia che, preoccupata dello
sviluppo commerciale di Ancona, chiaramente la protegge in
funzione antianconitana. Proprio negli anni in cui è vescovo della città il cardinale Angelo, le navi di Ancona avevano
preso a disturbare i mercanti
(molti dei quali provenienti da
Venezia e dai territori della Repubblica di San Marco) che si
recavano alla fiera di Recanati;
su richiesta dei recanatesi era
allora intervenuto il doge Tommaso Mocenigo il quale nel
maggio 1416 aveva avvisato le
autorità del porto dorico che i
veneziani non avrebbero tollerato altre molestie e avrebbero
risposto con la forza a ulteriori
attacchi di Ancona. Quando la
flotta veneziana si affacciò nella acque antistanti il porto dorico, immediatamente gli attacchi
degli anconitani cessarono.
La lettera del doge Mocenigo, inviata sia alle autorità di
Ancona che a quelle di Recanati, è conservata presso l’archivio
storico del Comune di Recanati;
così pure molti dei doni lasciati
alla città dal papa dimissionario Gregorio XII si conservano ancora nella cappella delle
reliquie della cattedrale di San
Flaviano, di recente restaurata
e riportata all’antico splendore.
19
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INFORMAZIONE
AIUTO, LA STAMPA!
di Giancarlo Liuti
Indifferenza - foto blogsicilia.it
IL PIATTO SERVITO GIORNALMENTE AGLI ITALIANI DA BUONA PARTE
DELL’INFORMAZIONE NAZIONALE DÀ L’IDEA DI UN SOSTANZIOSO FUMO DI
ARROSTO, CON LA FAZIOSITÀ PER AROMA PRINCIPALE. E LA TENDENZA A
MANCARE DI RISPETTO ALL’INTELLIGENZA DELLA GENTE. UN’INSIEME DI
PRESUNZIONE E SPREZZO DEL VERO, COCKTAIL IDEALE PER LA PRODUZIONE
DEL NULLA. VA COSÌ ANCHE IN PROVINCIA? FORSE NO, MA DICIAMOLO PIANO.
21
P
INFORMAZIONE
rima di occuparsi dell’informazione
che nei vari media si produce a livello provinciale bisogna chiedersi quanta
e quale sia, sul piano qualitativo, l’influenza che su di essa esercita l’informazione
nazionale. E a questo proposito, parafrasando
un famoso motto latino, mi viene da dire che
“in media non stat virtus”, perché da almeno
vent’anni una considerevole parte dei soggetti
che su carta, in televisione e ora anche in rete
praticano il mestiere di rappresentare la realtà
quotidiana è venuta meno all’aureo principio di
rispettare la verità sostanziale dei fatti e tenere
distinti i fatti dalle opinioni. Quando va bene,
insomma, i fatti sono mescolati con le opinioni
e quando va male sono oscurati o mistificati dalle opinioni, il che accade per scelte ideologiche,
o di mera opportunità politica, o di pressanti
interessi economici. Ecco allora un giornalismo
sempre meno “imparziale” e sempre più “militante”, finalizzato non già ad informare ma a
convincere, a fare proseliti. Non sarà anche per
questo che i media italiani figurano al cinquantasettesimo posto su scala planetaria?
Qualche esempio. Un fatto: a Milano diventa
sindaco Pisapia e a Napoli De Magistris. Ebbene, “Libero” (destra) lo riduce a opinione sparando questo gran titolo in prima pagina: “Ora
godetevi i comunisti”. Un altro fatto: a Torino
muore don Gallo e con accesa partecipazione
popolare se ne svolgono i funerali. Solita storia,
giacché il “Giornale” (destra) spara, sempre in
prima pagina, questo titolo-opinione: “Il pollaio
di don Gallo”. Un altro fatto: il capo dello Stato
incarica Enrico Letta di formare il governo. Ed
ecco il titolo, squillante e in prima pagina, del
“Fatto quotidiano” (sinistra): “Napolitano affida
l’incarico al nipote di Gianni Letta”, per significare che, frutto di un deplorevole “inciucio”, il
vero nome del futuro premier non è neanche
degno di essere citato. Ancora una volta, perciò,
un’opinione che ha il sopravvento su un fatto.
Non si parli poi dell’informazione televisiva, sia
nei telegiornali, dove la “militanza” emerge dalla
collocazione delle notizie e dall’enfasi che se ne
dà, sia nei “talk show”, dove è evidente da che
parte stanno i registi e i conduttori (avrete notato che mentre parla uno degli ospiti va in onda
la faccia nauseata di un suo avversario, come a
significare che quello sta dicendo sciocchezze o
22
falsità). E si tenga conto che per ragioni legate
alla crisi economica, al calo dei profitti aziendali
e alla concorrenza di Internet, l’informazione
su carta è in crisi (negli ultimi tempi i più importanti quotidiani nazionali hanno perso oltre
mezzo milione di copie al giorno), e la televisione rimane il “medium” che più d’ogni altro
condiziona gli orientamenti del corpo elettorale
(circa al 70 o 80 per cento, secondo attendibili
stime delle agenzie demoscopiche).
E vengo all’informazione locale, quella che ha
sede in provincia. Purtroppo non dispongo di
dati se non approssimativi sulla diffusione dei
quotidiani cartacei – dati tenuti segreti dal distributore che oltretutto sta a Pescara – ma un
confronto qualitativo con l’informazione nazionale è possibile farlo e mi pare di poter dire –
sorpresa? - che tale confronto depone a favore
dei giornalisti (39 professionisti e 292 pubblicisti, non di rado precari o malpagati) che operano nel nostro territorio. E questo, intendiamoci, non accade perché essi siano “più bravi”
dei loro colleghi nazionali, ma per una serie di
motivi che attengono, nel caso dei quotidiani su
carta, a una maggiore autonomia loro concessa
dai direttori delle testate nazionali di riferimento
e negli altri casi (radio, televisione, quotidiani
on line) alla circostanza che i proprietari delle
loro testate – non di rado sono gli stessi giornalisti - non hanno da difendere grandi interessi
né economici né politici. Vero è, comunque, che
nell’informazione locale i fatti hanno una netta
prevalenza sulle opinioni. E questo, a mio avviso, consente un giornalismo di buona qualità.
Quanto all’informazione su carta, il primato
va al “Resto del Carlino”, con 19 pagine di cronaca locale (8 su Macerata, 2 sulla provincia,
3 su Civitanova, 2 su Recanati e Porto Recanati, 4 riservate allo sport) e una diffusione che
dovrebbe aggirarsi intorno alle quattromila copie al giorno. Per lunghi anni la concorrenza
col quotidiano bolognese è stata fatta anzitutto
dal “Messaggero” di Roma, che però, in conseguenza del passaggio all’editore Caltagirone cui
appartiene anche il “Corriere Adriatico” di Ancona, ha soppresso la redazione maceratese e
l’ha spostata nella città dorica. Adesso il “Messaggero” va in edicola in due vesti diverse: o
da solo, come “Messaggero Marche” (corposa
parte nazionale più varie pagine sulle province
INFORMAZIONE
della regione, ma solo due per
Macerata e Civitanova) oppure in abbinamento al “Corriere Adriatico”, la cui redazione
maceratese produce 8 pagine, 3
per Macerata, 2 per Civitanova,
2 per Recanati e Porto Recanati,
una per Camerino e Tolentino.
La diffusione in provincia del
“Corriere Adriatico” dovrebbe essere di circa 1.500 copie
e quella del “Messaggero”, da
solo, non dovrebbe superare le
600, con un totale che potrebbe
non essere tanto superiore alla
diffusione, in loco, dei quotidiani nazionali come il “Corriere della Sera” e “Repubblica”.
Per ciò che riguarda le emittenti radiofoniche ( Multiradio
di Tolentino, Radiolinea di Civitanova, Radio Erre di Recanati,
Radio Nuova di Macerata, Radio C1 di Camerino, Radio Cuore di Recanati, e mi scuso se involontariamente ne dimentico
qualcuna di minore rilievo) va
considerato, come ho già detto,
che esse non fanno capo ad assetti proprietari di ingenti risorse e interessi finanziari, la qual
cosa, se per un verso ne limita
la potenzialità, per l’altro ne
favorisce l’autonomia, e questo
lo si evince dall’obiettività dei
loro notiziari giornalistici, che
non sono frequentissimi – per
ragioni di ascolto prevalgono
i programmi musicali – ma ci
sono, e vengono trasmessi più
volte nelle ventiquattr’ore. E
le opinioni? Non mancano, in
primis quelle espresse dagli
ascoltatori che intervengono in
diretta. Però libere, spontanee,
non in rigorosa sintonia con
una predeterminata “linea” o
mariobochicchio.blogspot.com
Giornali in esposizione - foto genio.virgilio.it
“tendenza” editoriale.
Diverso, purtroppo, è il discorso sulle televisioni locali, non
per la qualità ma per il numero. Un numero che con la crisi
di Tvrs di Recanati (annuncio
di duri tagli nel personale tecnico e giornalistico, rischio che
essa emigri, con altre vesti, in
altri lidi) minaccia di ridursi a
uno, e mi riferisco a Video Tolentino, assai seguita nell’Alto
Maceratese, ben diretta e con
validi spazi informativi. Un
tempo c’era anche Telemacerata, che poi passò a un gruppo
tosco-emiliano e adesso si occupa pure della realtà regionale
e provinciale col nome “èTv”
(fra l’altro ha ottenuto l’esclusiva delle riprese in diretta del
Consiglio comunale della città
capoluogo).
Venendo infine all’emergente
settore dei quotidiani on line,
va detto che Macerata ha un
primato, e sta nel premio nazionale di “visibilità” ottenuto da
“Cronache Maceratesi”, le cui
“visite uniche”, quelle dei non
ripetuti contatti individuali, si
avvicinano a venticinquemila al
giorno, e sono più di cinquemila coloro che, essendosi iscritti,
possono intervenire commentando gli articoli di cronaca e
le inchieste sulla politica e sulla
pubblica amministrazione. Opinioni? Molte, soprattutto da parte dei “commentatori”. Ma l’autonomia proprietaria, gestionale e direzionale è assoluta.
23
SALUTE
NUOVE FRONTIERE
DELLA MEDICINA: L’OZONO
di Anna Petrozzi
ANCHE NEL NOSTRO TERRITORIO CRESCE L’INTERESSE PER L’OZONO TERAPIA, GRANDE STERMINATRICE
DI BATTERI, FORTE OSTACOLO A COLESTEROLO, ARTERIOSCLEROSI E INFARTI. ESAGERATO? DATE
UN’OCCHIATA QUA.
S
arà la Medicina del Terzo Millennio. Ne sono
convinti gli oltre 3.000
medici associati SIOOT
(Società Scientifica di Ossigeno Ozono Terapia) che dopo
trent’anni di ricerca si affacciano al grande pubblico con una
campagna di informazione sulla prevenzione e la cura di malattie, anche le più debilitanti,
grazie all’ossigeno-ozono terapia.
Parte da un assunto di per sé
molto semplice il professor Marianno Franzini, medico chirurgo, specializzato in flebologia,
docente all’Università di Medicina degli Studi di Pavia e presidente della SIOOT, per introdurre il cuore dei suoi studi:
“In medicina siamo concettualmente costretti in protocolli di
cura che prevedono esami strumentali, farmaci e interventi chirurgici, ma stranamente
non prendono praticamente
mai in considerazione tra elementi fondamentali del nostro
corpo: ossigeno, acqua e ozono”.
Qualsiasi delle nostre funzioni
vitali, a partire da quella più
24
foto courtesy of Acquain s.r.l.
immediata che è respirare, avviene grazie all’ossigeno. Di
O2 si nutrono le nostre cellule e tutti gli scambi metabolici
avvengono tramite questo indispensabile elemento che lega
l’essere umano a tutto ciò che
lo circonda.
Sperimentazioni relativamente recenti condotte negli Stati
Uniti hanno portato il professor
Arthur Guyton, uno dei più famosi fisiologi americani, ad affermare che “qualsiasi dolore,
sofferenza o malattia è causato
da un’insufficiente ossigenazione a livello cellulare”.
La mancanza di ossigeno sarebbe quindi all’origine di quei
processi degenerativi che, assimilati a differenti concause, generano malattie invalidanti oggi
SALUTE
sempre più aggressive le cui
origini e soprattutto cure continuano ad essere sconosciute.
Come possiamo dunque aiutare
il nostro corpo?
Innanzitutto abbandonare gli
stili di vita che riducono il giusto apporto di ossigeno, come
la sedentarietà, l’assunzione in
grandi quantità di cibi grassi
e acidi (carni, formaggi, fritti,
caffè, cioccolato, alcool..), lo
stress, la mancanza di sonno, il
fumo…
Adottare pratiche salutari di
senso completamente opposto
vuol già dire offrire al nostro
sistema immunitario un importante supporto per resistere
all’aggressione non secondaria
di inquinamento, pesticidi e
conservanti nei cibi che concorrono in maniera rilevante
alla moltiplicazione degli ormai
famigerati radicali liberi, i responsabili di un nostro invecchiamento precoce.
Il gesto più semplice che ognuno di noi può compiere per la
sua straordinaria utilità è bere
acqua. In quale quantità? I medici SIOOT sul punto forniscono indicazioni precise: il peso
del proprio corpo, moltiplicato
per tre e diviso cento. Vale a
dire se una persona pesa 50 kg
dovrà fare un semplice calcolo: 50 x 3 =150 : 100 = 1,5 e
bere un litro e mezzo di acqua
al giorno.
Ed è veramente di vitale importanza, nel senso più stretto
del termine, che questa abitudine sia insegnata ai bimbi ma
soprattutto consigliata agli anziani. Invecchiando infatti avvertiamo sempre meno il senso
della sete, bere acqua invece,
oltre a svolgere una funzione depurativa, ridona forza ed
energia. In una parola, restituisce ossigeno.
Sarebbe appropriato a questo
punto aprire una parentesi sulla qualità dell’acqua da bere,
ma è tema bisognoso del giusto approfondimento. Ci basti sottolineare in questa sede
che è bene, se si beve acqua in
bottiglia, fare attenzione al residuo fisso indicato obbligatoriamente sull’etichetta e limitare
al minimo il consumo di acqua
in bottiglie di plastica che spesso trasportate o immagazzinate
sotto il sole possono rilasciare
tossine. L’ideale sarebbe bere
acqua dal rubinetto di casa, a
patto però che possiate controllarne la concentrazione
di metalli pesanti che il cloro
non può abbattere. Sofisticati
e ormai molto diffusi sistemi
di depurazione ci garantiscono
un’ottima acqua pura e sicura, ma il dibattito in merito è a
tutt’oggi molto aperto e merita
davvero uno spazio apposito
per sviscerare pro e contro.
Arriviamo così all’elemento più
sconosciuto dei tre citati dal
professor Franzini: l’ozono.
Non ne abbiamo percezione
diretta nella nostra quotidianità
tranne che dopo un bel temporale: quel piacevole senso
di pulito che avvertiamo subito
dopo è proprio merito dell’ozono, frutto dell’incontro tra il
fuoco prodotto dal fulmine e
l’aria. Essendo un gas instabile
se ne va in brevissimo tempo
restituendoci però un’aria arricchita di ossigeno.
Quali sono le sue principali capacità e perché è così utile per
la nostra salute?
Per prima cosa l’ozono è un
potentissimo antibatterico, 120
volte più potente del cloro. Non
c’è batterio, virus, fungo o spora in grado di resistergli, nemmeno nelle formazioni più ostinate e pericolose come quelle
che causano la legionella.
Se immesso nel nostro corpo
può sconfiggere più di 400 tipi
di batteri anaerobi (che vivono
in assenza di ossigeno) annidati nel nostro intestino e venire
in soccorso alla flora batterica
positiva il cui funzionamento
è, come tutti sappiamo, fondamentale per il nostro stato di
salute. Ma può anche debellare
in modo rapido ed efficace il
temutissimo Helicobacter Pylori, causa di gastriti e mal di stomaco che affligge un numero
altissimo di persone.
Le vie di somministrazione e le
applicazioni cliniche dell’Ossigeno-Ozono Terapia sono molteplici proprio perché la combinazione di questi tre elementi è
in grado, quando applicata seguendo il giusto consiglio degli
ozono-terapeuti specializzati,
di coadiuvare persino le terapie
chemioterapiche.
In ogni caso – assicurano i medici SIOOT – i benefici sono
tantissimi e vanno dalla più immediata disinfezione del cavo
orale fino alla ben più fondamentale rivitalizzazione del microcircolo sanguigno. Lo straordinario apporto di ossigeno che
entra in circolo grazie all’ossigeno-ozono terapia raggiunge
tutti i distretti venosi, anche i
più remoti, riattivandone la vitalità. Pensiamo a quale vantaggio per i malati di arteriosclerosi o di colesterolo o chi è a
rischio di infarto.
Insomma siamo di fronte ad
una nuova frontiera della medicina. E per esplorarne tutti gli
aspetti il prossimo settembre si
terrà a Roma un convegno internazionale di esperti proprio
con la finalità di rendere questo
tipo di cura presto disponibile a
più utenti possibile.
E siatene certi, ne sentiremo
parlare a lungo.
Anna Petrozzi, giornalista e scrittrice, è una professionista del settore
Editoria e dal 2000 capo redattrice
della rivista Antimafia Duemila.
25
EDUCAZIONE
VIOLENZA E PREADOLESCENZA,
UN BINOMIO ESPLOSIVO
di Annunziata Brandoni *
PREADOLESCENZA, ETÀ A RISCHIO VIOLENZA NELLA NOSTRA REALTÀ? STIAMO ANCORA SOGNANDO
DI ESSERE UN’ISOLA FELICE O VOGLIAMO DECIDERCI A PRENDERE ATTO DI AVER PRESTATO POCA
ATTENZIONE ALLE MANIFESTAZIONI DI UN BULLISMO ADOLESCENZIALE CHE SI RAFFORZA ANCHE
NELLE NOSTRE CITTÀ? E QUANTE CHANCES ABBIAMO DI VENIRNE FUORI?
foto: sito zuuly.com
foto: sito west-info.eu
L
’età che va dagli undici ai tredici-quattordici
anni non è un’ età facile per i nostri figli, che
non sono più bambini, ma non possono essere ancora definiti adolescenti. Il corpo inizia
gradualmente a trasformarsi: le gambe si allungano,
alle femmine compaiono i primi segni del seno…
ma il pensiero è ancora quello tipico dell’infanzia e
affettivamente i preadolescenti sono ancora dipendenti dai genitori, anche se vorrebbero essere già autonomi. Le bambine generalmente sono più precoci
rispetto ai coetanei di sesso maschile, quindi questo
periodo per loro può confondersi con quello successivo, ma solo a livello fisico, perché psicologicamente sono ancora immature. Un animo ancora bambino
in un corpo quasi adulto! Caratteristica, questa, che
a volte viene accentuata da un abbigliamento e un
comportamento da giovane donna : un trucco pesante e un fare spavaldo che nascondono le incertezze
dell’età! Accanto a queste bambine cresciute troppo
in fretta troviamo, sui banchi di scuola, ragazzine per
le quali, invece, il tempo sembra essersi fermato. Anche fra i maschi si possono rilevare le stesse diffe26
renze, pur se i casi di precocità nello sviluppo non
sono numerosi.
Queste diversità, che con il tempo sono destinate
a scomparire, causano non pochi problemi ai preadolescenti perché, in questa fase della loro vita,
essi sono molto attenti alle relazioni con i coetanei
e temono il loro giudizio. E questo si ripercuote sul
loro comportamento. Molti fenomeni di violenza
(vandalismo, teppismo, bullismo…) affondano le
loro radici nel sentimento di inadeguatezza che si
insinua nell’animo di questi ragazzini che vorrebbero
essere “grandi”, sicuri di sé, ammirati come i più i
“fighi” della scuola. Rinnegano così il loro essere ancora bambini e assumono atteggiamenti adulti, senza però poter esercitare alcun controllo sul proprio
comportamento dominato dall’impulsività, dato che
la corteccia frontale, destinata a svolgere tale ruolo, completa la sua maturazione solo tra i 18 e i 21
anni. Il gruppo diventa il loro rifugio; in esso trovano
quell’identità che ancora non sono riusciti a costruire. E commettono atti che, da soli, non avrebbero
mai neanche pensato! Ma l’importante ora è apparire,
EDUCAZIONE
avere la considerazione e l’ammirazione dei compagni. Non importa se, per ottenerle, si diventa delinquenti in erba!
Il salto di ”qualità” si ha con il passaggio dalla scuola
elementare alla scuola media, quando appunto questi fenomeni esplodono, soprattutto nei casi in cui si
erano già manifestati sintomi di devianza non percepiti da noi adulti. Possiamo infatti notare, già dai
primi mesi di frequenza, il formarsi di gruppetti di
alunni che prendono le distanze dal resto della classe. Generalmente è presente in ogni raggruppamento un leader negativo, che detta le regole agli altri,
e prende le decisioni. In pratica decide chi e cosa
prendere di mira: persone o cose. Nel primo caso
siamo di fronte al fenomeno del bullismo di casa nostra, che miete vittime fra i compagni di scuola che si
comportano correttamente, sono educati, studiosi e
rispettosi dei professori. Nel secondo caso si tratta di
vandalismo, di violenza gratuita generalmente esercitata contro quelli che vengono considerati i simboli
del mondo adulto: cassonetti, portoni, aiuole, fontane e anche i balneari nei paesi che si affacciano sul
mare. Su questi sfogano una rabbia che spesso non
ha ragion d’essere perché, a meno che non si tratti di
figli di immigrati non ben integrati nel territorio, essi
non vivono situazioni di disagio sociale, non abitano
in periferie di grandi città segnate dal degrado, non
hanno problemi in famiglia, o a scuola.
È solo una rabbia di carattere imitativo, copiata da
quanto vedono in TV, o dai videogiochi che fanno
della violenza il loro trampolino di lancio fra ragazzetti che non sono ancora né carne né pesce. E quando, colti sul fatto, sono costretti a soffermare l’attenzione sui risultati delle loro prodezze e a rispondere
ai “perché” che gli rivolgono gli adulti, genitori in
primis, sembrano cadere dalle nuvole. Ti guardano
come se tu fossi un marziano e rispondono: “Perché, cosa ho fatto?”. E magari hanno pestato a sangue un compagno. O ne hanno messo alla berlina
un altro. Il bullismo infatti oggi si esercita anche in
forme di violenza meno esplicite del pestaggio, ma
non meno pericolose. Sono violenze di tipo psicologico, di questi tempi con effetti più devastanti per le
vittime perché potenziati dall’uso indiscriminato dei
social network. La sociologia parla in questo caso di
cyberbullismo, che è più frequente di quanto non si
pensi. Anche dalle nostre parti! E che rivela l’incapacità dei nostri ragazzi di mettersi nei panni degli altri.
In pratica la mancanza di empatia.
In molte delle scuole medie dei nostri paesi, solo
alcuni anni fa considerati oasi di tranquillità, luoghi ideali in cui crescere i figli, possiamo contare
numerose piccole vittime di questa nuova subdola
violenza. La subiscono tutti quei preadolescenti che
vengono chiamati dai compagni “sfigati”. O “froci”.
E questo vale anche nella versione femminile, anche
se un po’ più rara.
Da noi queste violenze subite quotidianamente non
sono ancora sfociate in casi di suicidio. Per fortuna!
Ma non per questo sono meno gravi. Non dobbiamo
aspettare che ci sia il morto per allarmarci e iniziare
a cercare soluzioni! Quando lo sfigato di turno si getta dalla finestra della scuola perché stanco di essere
continuamente umiliato dai compagni, è troppo tardi
per intervenire. E anche in questo caso i bulli non si
spiegano la sofferenza della vittima. “ Era solo uno
scherzo! - esclamano con lo sguardo innocente- non
volevamo offenderlo!”.
Frequente é anche il vandalismo, esercitato attraverso calci o con l’uso di bastoni e catene. Quando
passano i novelli “barbari” del terzo millennio, nulla si salva: un tornado non riuscirebbe a fare tanti
danni! Sono “imprese” compiute a cuor leggero da
una generazione che non riesce a prevedere le conseguenze delle proprie azioni, non ha il senso della
comunità, non ha regole di comportamento e, soprattutto, non ha rispetto per nessuno! E, con i nostri
ragazzi, non ci sono giustificazioni che tengano. Non
possiamo dire che è colpa del disagio sociale, della
famiglia che non c’è. I genitori di casa nostra non
fanno mancare nulla ai loro figli. Neanche in questo
tempo di crisi. Come si suol dire, si tolgono il pane
di bocca per dare loro tutto quello di cui hanno bisogno e anche il superfluo. E allora perché crescono
all’insegna della violenza? In che cosa abbiamo sbagliato nell’educarli?
Penso che la risposta vada cercata proprio nel benessere che, fino a ieri, ha baciato la nostra zona. Lavoro
in abbondanza per noi adulti e soldi in tasca per i
figli. Soldi che non si sono guadagnati con il sudore
della fronte. Per questo pensano che tutto sia loro
dovuto! E, con la giornata tutta presa dal lavoro, non
abbiamo avuto il tempo di educarli alle emozioni e
ai sentimenti.
Come faranno quando, tra qualche anno, dovranno guadagnarsi il pane quotidiano e faticheranno a
trovare lavoro se questa crisi, come sembra, non si
risolverà in tempi brevi? Come potranno rimandare
la soddisfazione di quei bisogni, indotti dalla cultura
del consumismo, e rinunciare al possesso dei suoi
oggetti-culto, se nessuno li avrà abituati a farlo?
Spero che la crisi che stiamo attraversando ci possa
servire per riflettere sul nostro modo di vivere ed
educare le nuove generazioni. Per riscoprire i valori
forti che abbiamo seppellito sotto l’altare del dio denaro. E così, forse, cresceremo dei giovani migliori,
che avranno saputo attraversare senza problemi l’età
difficile della preadolescenza.
* Annunziata Brandoni, già dirigente scolastica, è
una pedagogista
27
SCUOLA
LIBRO, MOSCHETTO E … BOMBE
di Mario Mancinelli - foto di proprietà di Antonio Mancinelli
1950, la scuola di Montarice e il maestro Antonio Barchetti con i suoi alunni
A PIEDI, CALZANDO ZOCCOLI CHIODATI, SOTTO IL SOLE O LA NEVE.
E PURE I BOMBARDAMENTI. LA SCUOLA RURALE DEL BURCHIO ERA
UN LUOGO DI CRESCITA E DI SOCIALIZZAZIONE DOV’ERA BELLO
RITROVARSI LA MATTINA ANCHE SE PER SENTIRSI GRATIFICARE DAL
MAESTRO COME TESTE DURE PIÙ DELLE PIETRE DI MARMO.
28
SCUOLA
L
a scuola che frequentai
durante la mia infanzia
si trovava a Montarice
ed era conosciuta come
la Scuola del Burchio. In quei
tempi, in campagna, era la miseria a farla da padrona e così
non tutti i miei compagni potevano permettersi il lusso di
frequentarla, figuriamoci di andarci con il grembiule ed avere
a disposizione libri per studiare
e quaderni per scrivere. Non
c’erano i mezzi di trasporto che
conosciamo oggi e così ogni
mattina camminavo per più di
un’ora per raggiungere la scuola. Passeggiare in campagna mi
piaceva e mi piace ancora. In
primavera il verde delle nostre
valli e gli alberi in fiore danno
la sensazione di trovarsi in un
immenso giardino. Forte era
l’emozione di arrivare in cima
alla Costa dei Mandorli per ammirare il panorama a 360 gradi:
ad est il cielo che confina con il
mare, a nord il promontorio del
Conero, a sud il litorale fino al
porto di Civitanova e ad Ovest
la cornice dei Monti Sibillini. I paesi sono delle gemme
di antica bellezza, arroccati in
cima alle colline che svettano
in un’immensa vallata. La luce
radiosa dell’estate fa splendere
le case dei borghi e dei paesi.
Sessant’anni fa, però, quando
arrivava l’inverno, il terreno
diventava fangoso, pesante,
molte volte la strada veniva ricoperta dalla neve e le scarpe,
in quel periodo, consistevano
in un paio di pesanti e rumorosi zoccoli chiodati per non far
consumare il legno.
Quella scuola, la ricordo ancora chiaramente, per noi ragazzi
era un punto di ritrovo per giocare a bocce e a calcio dopo
le lezioni; a volte era anche il
campo di battaglia per vere e
proprie sassaiole tra noi della
pianura, del Basso Montarice, e
quelli delle colline, Alto Montarice. Le aule erano piccole e
spoglie, arredate solamente dai
banchi di legno, dalla cattedra e
dai ritratti di Vittorio Emanuele
III e di Mussolini verso i quali
era d’obbligo rivolgere il saluto
romano.
Prima di iniziare la lezione
giornaliera ci si alzava in piedi e si salutava l’insegnante, al
suo ingresso in aula, con molto
rispetto; durante lo svolgimento delle lezioni, il maestro ci
insegnava la storia, le poesie,
la matematica e a disegnare le
forme geometriche come linee
rette, triangoli, quadrati e cerchi che, fatti a mano libera, davano sempre come unico risultato quello di sentirgli dire che
avevamo le teste dure come le
pietre di marmo. Per scrivere,
invece, usavamo il pennino che
veniva bagnato con l’inchiostro
contenuto nel calamaio. Non
era di facile utilizzo come le
moderne penne a sfera, infatti i
quaderni e gli abiti erano sempre macchiati di inchiostro e
questo faceva arrabbiare anche
i genitori a casa, che ci promettevano sempre che o si migliorava o si andava a lavorare nei
campi e nelle stalle.
Per la mia generazione, però,
il periodo scolastico non rappresentò solo spensieratezza e
giochi. Presto arrivò la guerra
anche da noi ed invece di scappare dai compiti si scappava
verso il rifugio più vicino per
evitare di trovarsi all’aperto durante un bombardamento aereo
oppure durante un attacco delle navi che, nottetempo, si avvicinavano alla costa per colpire
il fronte. Ricordo che dal paese
giungevano sempre più sfollati
verso la campagna e nonostante la povertà non ci si rifiutava
di aiutare chi era in difficoltà.
Noi ragazzi imparammo anche
che bisognava sempre guardare
se c’erano ripari nelle vicinanze
quando si camminava per strada, perché lo spostamento del
fronte verso nord era sempre
accompagnato dai raid dei caccia inglesi che bersagliavano la
colonna di autocarri in ritirata.
Passati gli anni bui della guerra, noi ragazzi, ormai cresciuti, prendemmo, ciascuno, una
strada diversa, fino a perderci
di vista, finché un giorno di
qualche anno fa, mio fratello
Antonio mi mostrò una foto
che aveva ritrovato in un vecchio cassetto. Era l’immagine
delle classi miste, seconda e
quarta, della Scuola Elementare del Burchio di Montarice e
tra loro c’ero anche io con lui.
L’idea di riunire tutti entrò prepotentemente nella mia testa e
così con diversi amici abbiamo
organizzato una rimpatriata dei
vecchi scolari della Scuola del
Burchio. L’incontro ci ha permesso di rispolverare i bei ricordi dei tempi trascorsi insieme. Ormai del vecchio edificio
non rimane che un rudere abbandonato, abbandonato alla
forza devastatrice del tempo.
Anche oggi, nella mia mente
vivono i bei ricordi di quei lontani giorni di scuola.
29
PER TUTTO SETTEMBRE OFFERTA SU ESTIVO E PRENOTAZIONE TERMICO
LAVORO
SO MARENARE
E TIRO ‘A REZZA …
di Luciano Bruno Venusto
QUANDO SI PARLA DI PESCA, I PROBLEMI POSTI SUL TAPPETO DAL PALAZZO SONO SEMPRE I PORTI, LA
NAFTA, LA PRODUZIONE, I MOTOPESCHERECCI … TUTTA MATERIA DI PRIMA IMPORTANZA, D’ACCORDO,
MA PER MARE CI VANNO PURE I PESCATORI. LO SANNO?
M
algrado la stima e il rispetto che ho
sempre avuto per le personalità del
mondo culturale che si apprezzano
per l’impegno profuso alla crescita
di tutta la collettività, prima di accettare l’invito a
svolgere questo tema sui pescatori dei motopescherecci, ho avuto un momento di perplessità.
Questo perché ho scritto e fatto tanto a riguardo
e potrei ripetermi. Ma il mio amore per la pesca, il ruolo svolto per quasi tutti gli anni ottanta
come responsabile dall’Associazione Produttori
Pesca, essendo socio fondatore del Centro Studi Porto Recanatesi, mi hanno spinto a superare
ogni indugio. Tuttavia per non cadere nella trappola di riproporre cose già dette, mi trovo obbligato a parlare soltanto di alcuni episodi non
documentati nelle mie pubblicazioni, ma che ho
avuto modo di esporre verbalmente in più occasioni in assemblee e incontri avuti con i responsabili del settore.
Intorno al 1976, per l’inaugurazione della Fiera della Pesca di Ancona, venne il Sottosegretario della Marina Mercantile con delega alla
pesca. Nel suo saluto ai convenuti disse tra le
altre cose: “E’ finita l’epoca della vacche grasse. Adesso ci saranno soltanto periodi di vacche
secche…” Siccome molto spesso, negli incontri
sulla pesca a tutti i livelli, sentivo ripetere questa
metafora che presagiva ristrettezze economiche
per tutti, nel dibattito che seguì presi la parola
anch’io. (Vorrei precisare che i pescatori, e non
solo quelli di Porto Recanati, non intervengono
Domenico Pandolfi - foto Cronache Maceratesi
31
LAVORO
mai nei dibattiti, ma lasciano questo compito ai
loro rappresentanti che, molto elegantemente e
in modi forbiti, elencano tutti i pregi e le virtù
dei loro assistiti, pur non avendo molto di loro
mai visto una barca da pesca. Io a tal riguardo
sono stato - e sono - una vera eccezione. Ma
questa è un’altra storia).
Quando salii sul palco della Presidenza e raggiunsi il microfono mi sono presentato ed ho
detto queste cose: “ Ella Sig. Sottosegretario, certamente si riferisce al famoso sogno del Faraone d’Egitto che soltanto Giuseppe l’ebreo riuscì
a decifrare, salvando così quel popolo dalla carestia… (naturalmente mi dilungai ad esporre
in tutti i particolari la notissima storia biblica)”.
Poi aggiunsi: “Onorevole, mia moglie ha parenti contadini e molto spesso le domeniche andiamo in campagna con tutta la famiglia. In quelle
circostanze, da buon osservatore, mi interesso
molto dello svolgersi dei lavori sui campi e della
suddivisione dei compiti tra tutti i membri della
grande famiglia. Tutto ciò mi ha molto colpito
e mi ha fatto assai riflettere vedere i contadini
la sera, che prima di tutto riportano i buoi nella stalla per ben custodirli e, solamente dopo,
rincasavano per la cena. Non vorrei sbagliarmi
ma le donne dicevano: stanno a “governare” gli
animali. Tutta questa attenzione verso i buoi era
dovuta al solo fatto che l’indomani sarebbero
dovuti tornare a lavoro. Noi pescatori dei motopescherecci non siamo “vacche” né grasse né
tanto meno magre, ma siamo i “buoi”. Voi che
guidate le sorti dell’umanità dovreste fare come i
contadini, pensare prima a noi e poi a voi’ dato
che ogni giorno noi ci occupiamo di portare a
terra tante casse di pesce fresco; noi produciamo
alimenti; noi produciamo ricchezza. Ci vorrebbe dunque una più attenta razionalità a concederci o a negarci “alimenti” per vivere. Ad onor
del vero, rispetto ad altri importanti settori della nostra economia, la pesca ha sempre avuto
“abbondanza di favori celesti”. Insomma ci sono
tanti soldi, tanti contributi e tante agevolazio-
32
ni d’ogni genere. Ma si continua pubblicamente
quasi ad invocare un periodo di “magra”. Negli
incontri settoriali, infatti, riservati ai soli “addetti ai lavori”, questi trattamenti di favore sono
evidenziati da tutti i Presidenti e Direttori delle
Cooperative, i quali, per ammorbidire armatori
troppo esigenti, gli dicono: “Avevate le pezze nel
sedere, adesso avete tutti le ville”; oppure “parla
liberamente non siamo gli ispettori delle tasse”;
e ancora “ siete egoisti non vi basta mai”, ecc…
Molte volte le ho sentite dire e sono stanco di tutte
queste ipocrisie”. Perciò aggiunsi, rivolgendomi a
tutti: “ Se continuate così ci farete fare la fine di
quel pastorello burlone che si divertiva a spese dei
suoi amici, gridando “al lupo, al lupo” quando
il lupo non c’era. E quando gli altri pastori accorrevano per aiutarlo, lui li derideva. Ma un bel
giorno il lupo arrivò veramente e distrusse tutto
il gregge. Allora il pastorello urlò disperatamente
“al lupo, al lupo”, ma nessuno intervenne. Non
gli credevano più. Oggi possiamo dire: “Come volevasi dimostrare”. Infatti per il nostro settore il
lupo è arrivato veramente, distrugge la pesca, ma
non ci crede più nessuno. Alla fine salutai l’Onorevole, le autorità al tavolo della presidenza,
tutti i pescatori e me ne tornai al mio posto.
“L’immenso volume d’acqua scaraventato a
prua dall’ultimo colpo di mare aveva sfondato
l’uscio di sottovento del castello di prua” (“Il Negro del Narciso” - Joseph Conrad).
Questo significa andare per mare. Il grande
Conrad parla dei naviganti, “i marinai” dei bastimenti a vela. Io ho sempre parlato dei pescatori
dei motopescherecci discendenti dei “marinaró”
delle lancette a vela. A bordo dei “motori” noi
non possiamo dare “le spalle alla fatica” come
facevano gli “sciabicotti” quando mangiavano.
La fatica - il mare - noi “marinà” c’è l’abbiamo
sempre di fronte. Senza nulla togliere alla storia
della “sciabica”, e a tutti coloro che oggi vengono definiti “pescatori”, vorrei precisare che andar
per mare, staccare i piedi da terra e metterli sulla
LAVORO
coperta di uno scafo, sparire nell’azzurro orizzonte è tutt’altra cosa che pescare sulla spiaggia.
Ed anche se a volte oggi il valore delle persone
e delle cose è dato solo a seconda di certe convenienze, bisogna precisare che la ricerca storica
serve soprattutto per meglio definire l’immagine dell’uomo e il suo bagaglio socio-culturale.
Quindi non bisogna seguire le mode , ma attenersi al concreto.
Quanti colpi di mare, quanta fatica e quanti sacrifici hanno fatto i nostri antenati delle lancette
a vela e quelli dei primi rudimentali ed inaffidabili motopescherecci? E quale grande ruolo è
stato quello delle donne?. Io lo so! Si lavorava
giorno e notte dal lunedì al sabato e a volte si sacrificava anche la domenica. Sono arrivato a Porto Recanati nel 1953 per imbarcarmi sul motopeschereccio “Dessiè” e conoscere così il suo equipaggio. Come ho conosciuto quelli del Mareb,
dell’Addis Abeba, del A Nessun secondi, dello
Sparviero, del Neghelli, del Gondar, ecc… Ho
conosciuto e lavorato con molti pescatori prossimi alla pensione e tanti già pensionati; ed io
ero solo un adolescente. Notavo che quei anziani pescatori avevano tutti un dolce sorriso sulle
loro labbra e i loro volti sereni erano illuminati
da un’aureola di bontà e di benevolenza. Emanavano una dolcezza interiore che non ho mai più
visto in vita mia. Erano teneramente predisposti
verso i giovani e noi ragazzi rispettavamo di più
i vecchi. Non parlo di eroi, ma di uomini umili
che hanno dedicato la loro intera esistenza alla
famiglia, al lavoro e alle loro barche. Sono stati i
veri protagonisti della nostra storia. Tutto questo
ed altro ancora erano i nostri antenati uomini di
mare. Il bene e il male sono parte integranti del
genere umano. Ma quando la cattiveria aumenta
in modo esponenziale a discapito della bontà, a
rimetterci siamo un po’ tutti perché, come risulta da ricerche sociologiche e da manifestazioni
di evidente spregevolezza di molte fasce delle
nuove generazioni, la nostra società è diventata
opulenta ed obesa; simile a quella obesità intel-
lettiva e culturale di chi non ha talento. Ritengo
di poter concludere queste brevi riflessioni sulla
pesca rilevando che anche se molto è stato fatto,
la storia della nostra marineria è ancora incompleta. Io ho già dato. Lascio perciò a studiosi e
ricercatori più qualificati di me il completarla. Mi
preme, però, suggerire alcuni indirizzi di ricerca.
Conosciamo tutti i motopescherecci, ma dobbiamo ancora conoscere bene tutti i nomi dei nostri
antenati pescatori i quali sono stati capaci di creare una grande marineria, i “caratisti”, anche in
mancanza di un porto rifugio e unica nella sua
composizione sociale. A parte pochissime eccezioni, infatti, nessun pescatore era dipendente
ed ognuno era padrone di se stesso, disponeva
di una certa quantità di “carati”, di quote del capitale. Efficienza e umanità, un connubio tanto
teorizzato dai grandi filosofi, assai difficile da
realizzarsi, ma che i nostri pescatori hanno costruito. Ci sono riusciti. Anche per questo, però,
dobbiamo ben capire per quale motivo questa
nostra marineria, la cui peculiarità poteva e doveva consentirle di superare le crisi settoriali meglio delle altre, è invece fallita prima di tutte?
Nel 1900 a Parigi in un grande incontro scientifico il famosissimo matematico David Hilbert disse: “risolti questi 20 teoremi la matematica dice
tutto”. Subito dopo il logico Kurt Godel dimostrò
:“l’indicibilità matematica”: non sarà mai possibile, neanche alla matematica, dire tutto. Cosa
voglio dire con questo esempio? Ecco: risolti i
pochi quesiti che ho posto, avremo dato molto
di più all’attività della pesca, ma mai detto tutto
sull’uomo.
Tre piccoli versi, per concludere. Sono miei:
I pescatori di oggi guardano il mare da terra e
parlano sempre.
I “marinari” di ieri guardavano la terra dal
mare e non parlavano mai.
Adesso da noi ci sono tanti pescatori, ma sono
spariti i “marinà”.
33
REGIONE MARCHE / ATTIVITA’ PRODUTTIVE
LA REGIONE A FIANCO
DELLE IMPRESE PER AFFRONTARE
LA CRISI E PERMETTERE IL RILANCIO
S
ono stati destinati ulteriori tre milioni di euro al
Fondo di garanzia gestito dalla Società regionale di
garanzia Marche, alimentato da Regione, Provincie,
Camere di commercio e alcuni comuni, nato in risposta alla crisi finanziaria del 2008 e strumento essenziale
nel sostegno all’accesso al credito da parte delle piccole e
medie imprese, soprattutto in questo difficile contesto di
liquidità. “Destiniamo ulteriori tre milioni di euro al Fondo, arrivando complessivamente a una massa di oltre 31,2
milioni. In poco più di quattro anni di operatività sono
state effettuate oltre 17mila operazioni per oltre 730 milioni di euro di finanziamenti garantiti alle imprese, specie
di piccole dimensioni. L’esperienza è un buon esempio
di collaborazione interistituzionale a favore dell’economia
reale e di come, unendo le forze, si possano dare risposte più forti alla difficile congiuntura economica in atto.”
Sara Giannini, assessore regionale alle Attività produttive,
commenta così lo stanziamento approvato dalla Giunta
regionale che va a rimpinguare il Fondo che agevola l’accesso al credito per le imprese. Il Fondo garantisce ulteriormente un nuovo finanziamento richiesto dalle imprese
e garantito dai Confidi per allungare la scadenza di debiti
da breve a medio termine. In pratica i finanziamenti alle
imprese beneficiano di un doppio paracadute, utile in situazioni di particolare tensione finanziaria, con rischi di riflessi occupazionali. Si potenzia così la capacità di accesso
al credito delle piccole imprese, si fronteggiano i problemi
di liquidità e razionamento finanziario, si riduce il costo
della provvista, si contrasta il pericolo di trasmissione all’economia reale di crisi di origine finanziaria. Beneficiari
sono le piccole e medie imprese di tutti i settori economici e dell’intero territorio regionale. Le operazioni di
finanziamento possono avere durata tra 18 mesi e cinque
anni (il Fondo opera fino a cinque anni, ma sono ammessi
finanziamenti anche di durata superiore) un importo per
ogni singola impresa fino ad un massimo di 500mila euro
(un milione, se in cogaranzia con due o più Confidi) ed
essere attivate attraverso l’intervento di un Confidi. Oltre
alla Regione Marche, che contribuisce per il 73 per cento
al Fondo, hanno finanziato lo strumento di sostegno alle
imprese tutte le Provincie e le Camere di commercio delle
Marche e i comuni di Loreto, Numana, Folignano e Jesi,
mentre altri comuni hanno manifestato interesse all’adesione.
FINANZIAMENTI ALLE AZIENDE DEL COMPARTO
CULTURALE REGIONALE: PERCHE’ LA CULTURA
CREA RICCHEZZA.
Sono stati approvati i criteri per l’accesso ai finanziamenti agevolati per le imprese del comparto culturale della Regione Marche a valere sul Fondo regionale di ingegneria finanziaria alimentato con risorse del
POR FESR Marche 2007/2013. E’ quindi possibile presentare le richieste di agevolazione attraverso il sito del
MedioCredito Centrale che è gestore dell’operazione.
Il Fondo rappresenta un’iniziativa particolarmente innovativa sia per la tipologia di imprese a cui si rivolge che per la forte sinergia rispetto al program-
34
ma regionale di sviluppo del Distretto Culturale Evoluto recentemente avviato dalla Regione Marche.
Con una dotazione di circa 2 milioni di euro, il Fondo
è stato infatti progettato per finanziare sia operazioni di
sviluppo che operazioni di riequilibrio delle aziende appartenenti alla famiglia dei codici ATECO della cultura
e della creatività, selezionate anche sulla base delle rilevazioni effettuate da Symbola in collaborazione con
Unioncamere nell’ambito del Rapporto annuale 2012.
Possono accedere al Fondo per entrambe le tipologie di
attività le aziende con codici ATECO indicati nell’Avviso, mentre l’accesso può avvenire senza limitazioni, ma
per le sole operazioni di sviluppo, a condizione che le
aziende richiedenti facciano parte di gruppi di partenariato di progetti di interesse regionale presentati a valere sull’avviso pubblico del Distretto Culturale Evoluto.
Le aziende potranno ottenere finanziamenti agevolati da
un minimo di 50.000,00 ad un massimo di 150.000,00 euro
al tasso agevolato dell’1%. La durata di ammortamento del
finanziamento sarà di 60 mesi, oltre ad un periodo di preammortamento tecnico.
‘L’iniziativa è stata concepita in stretta complementarietà
con l’avvio del programma regionale per il Distretto Culturale Evoluto’ spiega l’Assessore alla Cultura Pietro Marcolini ‘per consentire alle aziende partecipanti una maggiore accessibilità al credito. Il programma per il Distretto
Culturale Evoluto andrà a sostenere progetti a carattere
intersettoriale di innovazione tecnologica, caratterizzati da
un forte contenuto di creatività, capaci di auto sostenersi nel tempo e innescare economie locali. In questa fase
di crisi e di difficoltà di accesso alle risorse ci è sembrato determinante introdurre uno strumento di supporto al
programma. L’iniziativa è nata di concerto con il settore
dell’Industria, con il quale sono ormai numerose le azioni
comuni finalizzate a dare spinta ad una platea di aziende
innovative che fanno della cultura e della creatività il loro
principale fattore competitivo’.
‘La individuazione di misure specifiche rivolte alle imprese
della cultura e della creatività’ aggiunge l’Assessore Sara
Giannini ‘apre un ambito di sperimentazione interessante,
e l’avvio del Fondo, insieme ad altri interventi quali il
sostegno alla digitalizzazione delle emittenti televisive e
delle sale cinematografiche, contribuisce a creare un set di
strumenti utili allo sviluppo di un segmento produttivo importante per le Marche, come la stessa ricerca della Fondazione Symbola ha dimostrato nel Rapporto 2012. Anche in
un recente bando per il sostegno alle PMI di produzione
del Made in Italy si è voluto attribuire un valore premiale
a quelle aziende che nello sviluppo di prodotto o nelle
politiche di marketing si avvalgono della collaborazione
di enti culturali’.
Il bando è accessibile sui siti regionali www.cultura.marche.it, www.europa.marche.it e www.regione.marche.it.
Sul sito di MedioCredito Centrale http://www.incentivi.
mcc.it/incentivi_regionali/marche/marche.html è disponibile la modulistica per presentare richiesta di agevolazione.
REGIONE MARCHE / PESCA
MANGIA BENE,
CRESCI SANO COME UN PESCE!
foto: fonte Regione Marche
F
avorire la diffusione del pesce del territorio e insegnare
ai ragazzi a mangiare sano.
E’ quanto si prefigge “Mangia
bene cresci sano come un pesce”, la
campagna informativa ed educativa
promossa dall’Assessorato alla Pesca
della Regione Marche dedicata agli
alunni della scuola dell’infanzia, primaria, secondaria e alle loro famiglie.
Il progetto punta a introdurre nell’alimentazione scolastica, in modo
agevolato ed in via sperimentale, il
prodotto ittico locale allo stato fresco
refrigerato, con priorità per l’utilizzo
di prodotti a marchio QM – Qualità garantita dalle Marche. L’obiettivo è incrementare la propensione al
consumo del prodotto ittico, specie
“made in Marche”, contribuendo alla
formazione nei giovani di uno stile
di vita sano e di un corretto rapporto
con il cibo.
“Abbiamo deciso di avviare una campagna promozionale che centri due
importanti obiettivi – sottolinea l’assessore Sara Giannini - ossia diffondere il consumo di pesce regionale aiutando l’economia ittica del territorio
e aumentare la consapevolezza nelle
giovani generazioni dell’importanza di
un’alimentazione sana ed equilibrata.
Per questo, attraverso uno specifico
avviso pubblico, avvieremo un’iniziativa finanziata dall’Unione europea e
finalizzata all’introduzione nelle mense scolastiche pubbliche del prodotto
ittico regionale. Vogliamo così proseguire nel progetto avviato lo scorso
anno con la campagna promozionale
dedicata al pesce azzurro (Sappiamo sempre che pesci prendere, Sara
Giannini e Massimiliano Ossini nella
foto in alto a destra, ndr), mettendo a
frutto la positiva esperienza maturata
attraverso tutto il territorio regionale
in collaborazione con enti locali e associazioni di categoria.
La nostra strategia a favore dell’industria ittica si basa su azioni diverse:
sostegno diretto tramite bandi e finanziamenti alle imprese e azioni di
sostegno indiretto che mirano ad accrescere la domanda di prodotto da
parte dei consumatori”.
35
LA NOSTRA TERRA
SFIDA IN CUCINA
di Grazia Bravetti Magnoni - foto di Francesca Magnoni
UN LIBRO CHE CI FA RIASSAPORARE GUSTI E PROFUMI DELLA CUCINA D’ANTAN IN UNA SINGOLARE DISFIDA
TRA PANE E PIADA, TORTELLINI E VINCISGRASSI DOVE SI AFFRONTANO I FIGLI DEI PICENI E QUELLI DEI CELTI.
E DOVE, ALLA LUNGA, I PRIMI VINCONO. MA NON DITELO AI ROMAGNOLI.
L
da sinistra a destra - Antonio Bartolo, Elio Camilletti, Grazia Bravetti,
il Direttore, Franco Magnoni
L’assessore Fabbracci durante il suo intervento
36
a rivista “Lo Specchio” mi permette di
riprendere un discorso appena accennato durante la presentazione del mio
libro “Radici” tenuta la sera del 26 Aprile scorso nella Sala Biagetti della Biblioteca di
Porto Recanati organizzata dalla citata Rivista
insieme all’Associazione AGRI-ART con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura.
“Radici” segue precedenti studi e ricerche sul
mondo rurale di appena ieri posto lungo le
zone al di qua e al di là della Via Emilia, dal
riminese al forlivese. Nella Sala Biagetti ci fu
l’occasione d’accennare ad alcuni dei possibili
accostamenti e contrasti tra la campagna di Romagna e quella delle Marche. Il discorso sarebbe lungo e variato, dagli aspetti della campagna
e della sua geografia alla architettura delle case,
dai “lavori” alla cucina.
E proprio qui il primo urto tra pane e “piadina”.
Nella cucina marchigiana dominava il pane. In
Romagna accanto al pane c’era la “piada”, che
oggi si può perfino comprare al supermercato.
Tipica della campagna ogni “arzdora” la preparava in pochissimo tempo, che bastava un po’
di farina, acqua e un pizzico di sale, un tagliere, un matterello, una teglia da appoggiare sul
LA NOSTRA TERRA
fuoco non troppo ardente. Con la piada non si
temeva se non c’era il pane, che lei era sempre
una possibilità di salvezza, il che non aveva la
“vergara”. Lei, invece, dalla fine d’Autunno all’inizio della Primavera, faceva la polenta, che la
si cuoceva spesso anche due volte al giorno, per
colazione e poi per cena, un’ora continua di lavoro, e anche più, che se non la si girava continuamente sarebbero venuti fuori i “pallotti”. La
polenta era odiata in tutta la Romagna, ma piaceva nelle Marche e la “vergara” era bravissima
a modificarne sapori e gusti. Basta citarne alcune
come la polenta “strascinata” con le “foje”, che
potevano essere rapa, verza, cavolo. Più saporosa era la polenta “sfrigolata”, con un bel soffritto di cotiche e salsiccia. La si poteva fare con
le patate “in potacchio”, meglio ancora con “la
sapa”, mosto bollito e strabollito. A pranzo il 24
Dicembre ci doveva essere il “polentone della
Vigilia”, sodo, e “nerto”, di notevole spessore.
Naturalmente le polente impegnavano non solo
la “vergara” ma almeno un’altra delle donne della famiglia, figlia o sorella o nuora, che altrimenti
le braccia non reggevano.
Al lettore decidere s’era meglio la piadina o la
polenta! Se poi per una sfida culinaria tra Marche e Romagna si passa ai “primi piatti” è evidente che a vincere sarebbe la Romagna. Solo
citarli già gli italiani si leccano i baffi. A parte
tagliatelle, tagliolini e pappardelle, tutti troppo
conosciuti, la tradizione romagnola prepara tortellini in brodo, cappelletti ripieni di carni varie,
e mentre asciutti ci sono i tortelloni con ricotta
e spinaci, i passatelli sono solo in brodo. Gli
strozzapreti si facevano senza le uova e se si
poteva come sugo si affogavano nel ragù. Erano tutti piatti della festa, ma per Natale o per
l’Anno erano privilegiate le “lasagne” che, poi,
sono tipiche anche nelle Marche ma si chiamano
“vincisgrassi” e, rispetto alle lasagne romagnole,
non vi è la besciamella ma il formaggio molle.
Per secondo le Marche potrebbero rifarsi con la
particolare e straordinaria “papera in potacchio”.
Per la trebbiatura si voleva come primo i maccheroni, che si diceva “Se magna i maccarò col
sugo de’ la papera”, ed erano due portate gustosissime cui la Romagna poteva contrastare solo
con l’ inespressiva “grigliata”.
Per i dolci la Romagna ha da offrire solo un unico dolce, la “ciambella”, mandata a cuocere dal
fornaio insieme al pane. Poi…basta! Per i dolci,
invece, nelle Marche non si sa da dove iniziare.
Rifacendosi alle stagioni, durante la vendemmia
croccanti da sgranocchiare erano i “biscotti col
mosto”, ed accanto morbidissimi i “sughetti”,
d’accostarsi entrambi al fantastico “vin cotto”.
Sempre in Autunno si faceva il “salame di fichi”,
zeppo non di maiale ma dei frutti della stagione. Ricchi dei frutti invernali ed adatti alle feste
erano la “rocciata” ed il “crostingo”, dai nomi
strani ma ben sostanziosi e gustosi. Ceci e fave
fritte erano adatti alle veglie serali se la “vergara” aveva figlie da maritare. Per il Carnevale la
campagna si sbizzarriva con le più varie golosità, dagli “scroccafusi fritti” a quelli “al forno”,
dalle “pastarelle al forno”, agli “scroccafusi di
polenta”, per finire con la regale “cicerchiata”.
Poi, rigorosi ed austeri per la Quaresima, ci si
preparava alla Pasqua con la “crescia” o “pizza
di Pasqua”, che, piena di pezzi di formaggio, un
po’ salata e pepata, non ha niente di dolce se
non la bontà. Arrivata l’Estate non si sapeva se
pesassero più i lavori o la fatica, e per rifarsi
c’erano sempre la “ciambella” o il “ciambellotto” che li si portava nel campo dentro un cesto,
più le bottiglie dell’acqua e del vino. E se non
bastasse, la campagna marchigiana, priva di pianura, era ricca di alberi da frutta di tante varietà
e qualità, coi nomi più strani. A questo punto chi
potrebbe vincere la sfida se non le Marche?! Ma,
si sa, i romagnoli non vogliono perdere, e per
questo dicono che a loro non piacciono le “cose
dolci”, mentre godono con il salato, primi piatti
e la solita grigliata.
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LA NOSTRA TERRA
VIVA IL VINO CH’È SINCERO,
CHE CI ALLIETA OGNI PENSIERO ..
di Alfredo Pirchio - foto fornite dall’autore
I calanchi
CHI BEVE SOLO ACQUA HA UN SEGRETO DA NASCONDERE (BAUDELAIRE)
LA VITA È TROPPO BREVE PER BERE VINI MEDIOCRI (GOETHE)
38
P
iove
copiosamente
mentre guido la macchina, le gocce schiaffeggiano il parabrezza come se ce l’avessero con
lui. Strana primavera quella di
quest’anno, il sole sembra aver
da fare altro e le nuvole ogni
giorno come un lenzuolo plumbeo, si appoggiano stanche sulle colline, bagnando senza riposo, piante campi e vigne.
Sono diretto a Spinetoli, una
ridente cittadina (non ho mai
capito perché si dica così), in
provincia di Ascoli Piceno; qui
il paesaggio si apre, e mentre
salgo su stradine tortuose noto
come i contadini siano riusciti
a rendere vitati dei fazzoletti di
terra abbarbicati a calanchi che
sprofondano in dirupi precipiti; a dire il vero la terra non
è nemmeno terra ma, come in
Francia nel “Graves”, piccoli e
grandi ciottoli di breccia bianca
impastata d’argilla.
Non senza difficoltà trovo la
LA NOSTRA TERRA
cantina che cercavo: “Cantina
Campo di Maggio” in via Roccabrignola; è qui che mi aspetta il buon Marco Corradetti, un
ragazzo sulla trentacinquina
che mi saluta con una vigorosa
stretta di mano. L’azienda nasce
dietro la necessità di convertire
una produzione lattaio-casearia, settore zootecnico in crisi,
in una intuizione che Marco insieme alla sua famiglia ha reso
tangibile: quattro ettari di terra
coltivati a Passarina, pecorino e
cabernet sauvignon. Il posto è
splendido e la passione con la
quale Marco mi parla delle sue
vigne è il giusto connubio per
la creazione di quell’opera d’arte che lui chiama vino. Tra tutte
le bottiglie assaggiate ve ne segnalo due squisite: la passerina
2012 ed il pecorino dello stesso anno. La passerina è di una
delicatezza toccante, il naso si
perde in campi di fiori bianchi
e pomacee croccanti, il sorso è
seducente e già me lo immagi-
navo gustato con una “tartare”
di tonno con mentuccia, timo
ed una spruzzata di lime. Ma ciò
che vi invito obbligatoriamente
a bere è il pecorino “Campo di
Maggio” vendemmia 2012: riempiendo il bicchiere, abbracci
di virgole dorate si mescolano a
riflessi di verde freschezza, curioso, accosto il naso al calice e
le sostanze odorigene che sprigiona sono un caleidoscopio di
emozioni; erbe di montagna,
tiglio e santoreggia formano
un tappetino dove si dipanano
sentieri di ginestre….. toccante!
In bocca il liquido occupa militarmente ogni papilla gustativa
ed i profumi percepiti al naso
si possono ora schiacciare al
palato ….. onirico! E’ ottimo
già da solo, ma con un rombo
chiodato e olive taggiasche cotte al forno non lo vedo male
male male.
www.cantinacampodimaggio.it
Marco Corradetti e Alfredo Pirchio
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Con il patrocinio di
Provincia
di Macerata
Comune di Recanati
In collaborazione con
Recanati
PROGR AMMA
Direttore Artistico: Riccardo
Concerto in omaggio di
Beniamino Gigli
Serenelli
Aida
Giuseppe Verdi
Domenica 7 luglio, ore 21,00
Domenica 4 agosto, ore 21,00
Sabato 6 luglio, ore 21,00
(ingresso gratuito)
Aula Magna Comune di Recanati
Costumi a cura di Elena Radcenco
Il Barbiere di Siviglia
La Traviata
Gioachino Rossini
Domenica 14 luglio, ore 21,00
Domenica 25 agosto, ore 21,00
Giuseppe Verdi
Domenica 21 luglio, ore 21,00
Domenica 11 agosto, ore 21,00
L’Elisir D’A more
Rigoletto
Costumi a cura di Casa Grimani Buttari, Osimo
Costumi a cura di Elena Radcenco
Gaetano Donizetti
Domenica 28 luglio, ore 21,00
Costumi a cura di Elena Radcenco
Giuseppe Verdi
Mercoledì 31 luglio, ore 21,00
Domenica 18 agosto, ore 21,00
Costumi a cura della sartoria teatrale ISIS, Osimo
Carmen
Georges Bizet
Mercoledì 7 agosto, ore 21,00
Costumi a cura di Casa Grimani Buttari, Osimo
La Serva Padrona
Giovan Battista Pergolesi
Mercoledì 14 agosto, ore 21,00
Biglietti / Tickets
Biglietto intero
Ticket
€ 35,00
Ridotto (0-10 anni)
Reduction (from 0 to 10)
€ 20,00
Abbonamento per 5 serate
Season ticket for 5 shows
€ 185,00
Il prezzo del biglietto include aperitivo in terrazza, opera e visita al museo.
Essendo i posti limitati è obbligatoria la prenotazione.
Sede degli spettacoli e prenotazioni
Performance location and booking
Villa Colloredo Mels - Via Gregorio XII - Recanati (MC)
Tel. 071 7570410 / +39 340 5962992 - www.villaincanto.eu
Per informazioni / Information
Ufficio Recanati Turismo - Tel. +39 071 981471
www.recanatiturismo.it - [email protected]
Gioca con Villa InCanto e
diventa protagonista dell’Opera
Il giorno prima delle rappresentazioni dalle 17,30 laboratori per bambini dai 4 ai 10 anni
Iscriviti all’ISIS di Osimo e realizza i costumi per la nuova stagione di Villa InCanto (www.isisosimo.it)
AMBIENTE E TERRITORIO
IL COLORE GIUSTO DELL’ECONOMIA
Intervista all’assessore all’ambiente e all’ecologia del comune di Loreto.
Tema: la blue economy
di Eleonora Stortoni - foto tratte dal sito http://www.blueeconomy.de/
L
’economista belga Gunter
Pauli, ideatore della blue
economy, suggerisce nuove
strategie per superare la crisi
finanziaria, condanna la ‘cultura del
consumo’ che maltratta la natura senza risparmiare i due principali sistemi economici degli ultimi anni: la red
economy e la green economy. Innanzitutto, potrebbe spiegarci in pillole
qual è la differenza tra i tre sistemi e
se è d’accordo o no su quanto messo in luce dall’economista? In origine
era la Red Economy, caratterizzata
da consumi di massa a basso costo,
con prodotti che non tengono conto delle risorse del futuro e del loro
spreco, con enormi danni all’ambiente. La green economy, l’economia
dei prodotti ecologici d’élite, costosi
e inaccessibili, sta per lasciare il po-
sto alla blue economy, sostenibile e
redditizia che si basa su un modello
di business competitivo ispirato alla
natura, sistema produttivo perfetto ed
efficiente. La blue economy suggerisce di risollevare le sorti dell’ambiente
e dell’economia mondiale prendendo
spunto dalla natura. Il suo obiettivo è
fare business a impatto zero. La green economy è l’innovazione anche
se a volte si perde di vista l’obiettivo, per risparmiare da una parte si
spende dall’altra. Penso che non ha
senso mettere i pannelli fotovoltaici
nei terreni ad uso agricolo, bisogna
salvaguardare le realtà dei fatti. Il
punto non è produrre più energia ma
consumarne di meno. Per esempio
per un risparmio energetico si possono recuperare gli edifici. Ad esempio
quelli del centro storico? Si. O case
nelle periferie di 20-30 anni, mettendo dei cappotti isolanti, si otterrebbe
un risparmio energetico e farebbe ripartire l’edilizia. Dalla partnership tra
il Gruppo Loccioni e la Samsung nasce un progetto per l’integrazione e
la commercializzazione di sistemi di
accumulo energetico che ottimizzano
l’autoconsumo, rendendo disponibile
l’energia all’occorrenza, garantiscono
continuità della fornitura elettrica in
caso di interruzioni della rete e stabilizzano la rete, smorzando i picchi di
produzione e indisponibilità.
C’è la possibilità di fare business nel
settore della blue economy? Assolutamente si. Si deve recuperare. Tendiamo troppo a disperdere. L’esempio
chiave ce lo abbiamo nel caffè, se ne
usa una piccola parte e il resto viene
buttato. Dobbiamo cercare di produrre meno packaging e questo possiamo farlo attraverso strumenti molto
interessanti. Per esempio il Gruppo
Gabrielli si sta avviando verso un’autosufficienza energetica. Utilizza i dispenser per i detersivi o gli alimenti
come pasta e caffè. Cerca di incentivare il recupero dell’alluminio e della plastica; al cliente che li restituisce
verrà consegnato un buono spesa. La
green economy ha dei limiti: il business viene dato a pochi, come quello
dei pannelli fotovoltaici, e purtroppo
coloro che non se lo possono permettere è perché c’è chi ci ha lucrato
sopra. Mentre per la blue economy
ognuno, in base al suo virtuosismo, fa
funzionare la cosa. Ognuno nel suo
piccolo può crearsi qualcosa.
41
AMBIENTE E TERRITORIO
Come si sta comportando il comune
di Loreto? Quali sono le politiche che
sta attuando e che ha attuato negli ultimi mesi in relazione alla sostenibilità
ambientale, allo sviluppo di queste
nuove forme di economia e energia?
Sta cercando di rispettare i limiti della
raccolta differenziata, di ridurre i costi dei servizi in generale. Purtroppo
però mancano le infrastrutture da parte della Regione Marche, mancano gli
stessi costi tra i paesi limitrofi. Le centrali a biomassa non sono sufficienti
per parlare di energia pulita. Bisogna
incentivare i pannelli fotovoltaici,
svincolare, abbandonare la rete elettrica creando una “non rete” fatta da
centrali di produzione di energia in
loco, ad impatto zero sull’ambiente.
Quali sono le città più virtuose che
stanno mettendo in campo buone
pratiche da prendere a modello? Loreto si può considerare una città modello? Il sistema a Capannoli (in provincia di Pisa). E’ un modello che è stato
ripreso anche negli Stati Uniti. E’ un
ciclo integrato di rifiuti e Loreto cercherà di carpirne le informazioni migliori magari tramite una visita. Fino
ad adesso abbiamo raggiunto il 65%
della raccolta differenziata. E noi siamo molto soddisfatti di questo risultato. Alcuni comuni hanno raggiunto
l’85% ma attraverso una ‘costrizione’,
ossia i cittadini sanno che il lunedì
devono mettere fuori il giallo, il mercoledì la carta. Ciò non è nell’essere
umano, l’evoluzione avviene quando
l’essere umano lo fa in modo naturale. Abbiamo scelto i vecchi cassonetti, abbiamo iniziato un progetto con
la Pro.Loco attraverso un percorso
all’interno delle famiglie. Le famiglie
sono libere di gettare i propri rifiuti
in qualsiasi momento e non aspettare il giovedì dopo. Con i cassonetti i
42
costi sono minori, c’è un solo operatore che preleva i rifiuti e poi li divide
nelle microisole. Il nostro obiettivo è
stato ed è volto all’educazione, abbiamo voluto educare le persone no per
il comune ma per loro stessi e per il
loro futuro. Puntiamo anche molto
sulla scuola, l’educazione deve iniziare da lì. C’è una persona che stimo
molto, il professor Ziarelli Luciano, il
quale diceva sempre: ”La scuola deve
assolutamente insegnare a vivere.
Quindici anni di scuola sono sufficienti per educare le persone”.
La partecipazione dei cittadini è sempre un elemento importante per la riuscita delle politiche urbane. La città
di Loreto ha cercato di sperimentare
strumenti particolari per il loro coinvolgimento o se cercherà di farlo? Noi
nella raccolta differenziata con tanti
ragazzi abbiamo suonato tanti campanelli, a tappeto per il quartiere provvisti di stand informativo. L’importante
è stato spiegare come funzionava il
servizio, che quando terminano i sacchetti possono andare alla Pro.Loco e
tante altre informazioni. All’epoca si
iniziò la raccolta porta a porta proprio
per fa si che tutti differenziassero correttamente, che ci fosse un monitoraggio continuo -anche se poi capita
di vedere gente che butta i pannolini
nell’umido o altro-. Succede anche
da noi. E’ per questo che abbiamo
introdotto delle figure ambientali che
educano, ma dove occorre sanzionano anche. Con l’avvento della Tares,
il costo del servizio è a carico dei
cittadini, dipende dalla suddivisione
della tipologia di attività. Una pizzeria ovvio che produce più rifiuti di un
avvocato che al massimo getta carta
che poi è riciclabile. Chi conferisce di
meno, verrà premiato. Il costo viene
pesato. Dovremmo cercare di evitare
la confezione con troppi imballaggi,
come abbiamo detto prima la scelta
migliore sarebbe quello della distribuzione tramite i dispenser. E per quanto riguardo i prodotti alimentari cosiddetti a km 0? A volte si vedono nei
supermercati i kiwi del Chile quando
c’è una grande produzione a San Firmano. Noi siamo i primi produttori
di kiwi al mondo, è che a volte per
avere i banconi pieni si preferiscono
quelli di altrove. Bisogna incentivare
i prodotti a filiera corta, nel supermercato dobbiamo trovare prodotti
locali. L’Amministratore delegato del
Gruppo Gabrielli ha appunto iniziato
un rapporto con le aziende locali. Noi
potremmo creare un protocollo: chi
compra i prodotti locali otterrà uno
sgravo fiscale. Prima mi ha parlato del
suo disaccordo nel mettere i pannelli
fotovoltaici nei terreni, ma non crede
che uno lo faccia per occupare a volte un terreno che non viene più coltivato, perché ci sono pochi giovani
che continuano quello che facevano
i loro nonni o padri. Bisogna pensare
ad una nuova agricoltura. Noi dobbiamo anche ringraziare le Opere Laiche
che stanno concedendo le loro terre
perché vengano coltivate dai giovani.
Dobbiamo accorciare la catena, chi
coltiva la propria terra deve ottenere
il giusto guadagno. Attraverso delle
strutture nei territori. Si deve stabilire
da subito quanto costeranno i prodotti e quale sarà il loro effettivo introito.
PERSONAGGI
L’IMPEGNO CIVILE
OLTRE L’IMMAGINE
di Paolo Onofri - foto fornite dall’autore
DIECI ANNI FA MORIVA BRUNO GRANDINETTI, GRANDE FOTOGRAFO, TESTIMONE DELLA COMUNITÀ MONTESANTESE,
INTELLETTUALE DI ESTRAZIONE POPOLARE, ESEMPIO DI IMPEGNO CIVILE A FAVORE DELLA STORIA, TRADIZIONE, CULTURA
E PER LA TUTELA DELL’AMBIENTE DI POTENZA PICENA.
B
runo Grandinetti è stato un
grande fotografo, testimone della nostra comunità
dal 1950, anno in cui iniziò la sua attività a Potenza Picena,
dove era nato il 10 Marzo del 1930.
Luoghi, personaggi ed avvenimenti sono stati immortalati dalla sua
macchina fotografica e conservati con certosina pazienza e saggezza, costituendo oggi materiale indispensabile per ricostruire la storia civile e sociale della nostra comunità degli ultimi cinquant’anni.
Bruno Grandinetti ha inoltre documentato tutte le opere d’arte, i monumenti, le Chiese, le istituzioni di
43
PERSONAGGI
riapertura del Teatro, riconsegnato alla città dopo un lungo restauro. In questa iniziativa Bruno si spese in prima
persona, sia raccogliendo le firme, ma in particolare mettendo a disposizione il suo archivio fotografico riguardante
il Teatro, per sensibilizzare maggiormente la cittadinanza.
Aveva iniziato ad occuparsi della salvaguardia e della valorizzazione del nostro patrimonio storico ed artistico molto tempo prima, promuovendo insieme ad altri, la nascita
dell’Associazione culturale ADOAP (Associazione Difesa
Opere d’Arte Potentine), che organizzò nel 1971, in occasione del centenario della nascita del musicista potentino
Bruno Mugellini, presso i locali dell’asilo nell’ex Monastero
delle Benedettine, una grande mostra fotografica sulle opere d’arte, i monumenti e le Chiese di Potenza Picena, esponendo in prevalenza materiale del suo archivio. Questa Associazione ha svolto per diversi anni un ruolo importante di
sensibilizzazione, in particolare tra i giovani del luogo, che
hanno imparato a conoscere la propria realtà e ad amarla.
Potenza Picena. Non è stato solo un grande fotografo documentarista ed artista della macchina fotografica; era anche un intellettuale di estrazione popolare, profondo conoscitore della nostra tradizione, cultura ed arte, esempio
di militante dell’impegno civile a favore della comunità.
Ho conosciuto Bruno Grandinetti durante una delle più belle “battaglie” di impegno civile e culturale
che si sono svolte a Potenza Picena nel 1982. In quel
periodo si era costituito un comitato che si proponeva l’obiettivo di far riaprire il Teatro Comunale “Bruno
Mugellini”, chiuso dal dicembre 1970 per inagibilità.
Bruno faceva parte all’epoca dell’associazione ambientalista “Potenza Picena Città e Territorio”, che insieme al Circolo Culturale “Luigi Petetti” al Centro Culturale “Teorema”
e alla Sezione “F. Margaritini” del PCI di Potenza Picena
avevano raccolto tra i cittadini 1604 firme a sostegno della
proposta di riapertura del Teatro. Questa grande “battaglia”
di impegno civile e culturale si è conclusa nel 1990, con la
44
Ho avuto modo di conoscere più direttamente Bruno
Grandinetti solo nel 1996, frequentando il suo studio fotografico, scoprendo le sue qualità, la sua grande umanità,
la sua cultura, il suo coraggio civile nella difesa del nostro
patrimonio storico ed artistico. In quel periodo, dopo l’elezione a Sindaco di Potenza Picena di Mario Morgoni,
avvenuta nel mese di maggio del 1995, si sono create le
condizioni per affrontare nodi storici della realtà di Potenza Picena, trascurati per molti anni, come il recupero
e la valorizzazione dei sotterranei di S. Francesco, della
Chiesa di S. Caterina e di quella di S. Agostino, con il
suo straordinario organo da “sala”, della porta di Galiziano, dell’antico sipario del Teatro Comunale “B. Mugellini”
e delle antiche fonti, in particolare quella di Galiziano.
Tutte queste tematiche hanno visto Bruno Grandinetti in
prima fila, anche se non più giovanissimo, lottare insieme
agli amministratori e ai tanti volontari che si sono impegnati per dare concretezza a questi recuperi. Bruno ha
aiutato a ripulire materialmente i sotterranei di S. Francesco, documentando fotograficamente tutto il contenuto
(in questa circostanza sono stati ritrovati dei veri e propri
“gioielli” antichi, come il carrettino dei pompieri degli inizi dell’Ottocento, l’antico orologio della Torre Comunale, un Sommaruga risalente al 1887, l’antica porta vetrata
di accesso alla platea del Teatro Comunale “B. Mugellini” risalente al 1862, la targa del Touring (TCI) degli inizi
del Novecento). Parte di questi “gioielli” successivamente è stata anche restaurata. Lo stesso impegno ha messo
quando si è trattato di liberare sia la chiesa di S. Caterina
che quella di S. Agostino, dove ha fatto apprezzare l’importante organo da “sala” che era abbandonato in questa struttura, successivamente individuato dagli studiosi
Paolo Peretti e Fabio Quarchioni come opera di Giovanni Fedeli di Rocchetta di Camerino, costruito nel 1757.
Durante la pulizia della cantoria, sotto l’organo, Bruno
ha ritrovato anche un’antica daga, arma bianca in dotazione alla locale Guardia Nazionale fino al 1876. Per
quanto riguarda S. Agostino lui, insieme ad altri, è stato tra i promotori di un Comitato che chiedeva il recupero e la valorizzazione di questa importante struttura.
Non si tirava mai indietro, e se molte di queste battaglie di impegno civile si sono concluse con dei suc-
PERSONAGGI
cessi, molto si deve proprio alla sua coerenza e al suo
impegno. Le sue foto sono state sempre utilizzate per
sensibilizzare l’opinione pubblica di Potenza Picena sulla necessità di questi recuperi. Ho avuto il piacere e
l’onore di organizzare o curare le tre mostre personali fotografiche che Bruno ha fatto a Potenza Picena.
La prima, organizzata dal 14/12/1996 al 6/1/1997, in collaborazione con la Biblioteca Comunale (curatore Roberto
Marconi, allestimento scenico Stefania Giorgetti e Luca Carestia), ospitata nei corridoi della struttura, dal significativo
titolo “Ignoti sulla bocca di tutti”, una carrellata di personaggi del luogo, trattati con grande umanità e sensibilità
dall’obiettivo di Bruno Grandinetti ha riscosso un grande
successo di pubblico, con oltre 1200 visitatori (sono state esposte 71 foto). In quella occasione Bruno, il giorno
dell’inaugurazione, volle far dono al Comune di Potenza
Picena, per la sua Biblioteca, di una rara pubblicazione
sul metodo teorico-pratico per lo studio del pianoforte di
Bruno Mugellini, che lui aveva acquistato a Firenze durante il suo soggiorno in terra toscana, per seguire i corsi
di fotografia presso l’Istituto Statale d’Arte “Porta Romana”. Bruno era fatto così, non chiedeva mai niente per
sé, lui dava sempre qualche cosa alla nostra comunità.
Questa mostra di personaggi, visto il grande successo,
ebbe un seguito nel 1997 (dal 9 al 31 agosto) con la seconda edizione ampliata con altre 44 foto, portando il totale a 115, a cui hanno collaborato Gianfranco Morgoni,
Natale Fratta e Edmondo Carestia, tenutasi questa volta,
per espressa volontà di Bruno, nei locali dei sotterranei
della Chiesa di S. Francesco, che erano stati da poco ripuliti ma non restaurati, e dove addirittura non vi erano il
pavimento e l’impianto elettrico. Era il segnale che questa
struttura antica poteva essere recuperata e utilizzata come
sala mostre e riunioni, cosa che è avvenuta successivamente nel 1999, intitolandola al Prof. Umberto Boccabianca, grande pedagogista, figura riscoperta grazie a Bruno.
Anche in questa circostanza volle farsi promotore nell’ambito della mostra, che ha riscosso un grande successo
di pubblico, della raccolta di fondi per il restauro di un
quadro molto caro alla nostra comunità, il S. Emidio di
Benedetto Biancolini, in occasione del bicentenario della
morte del pittore a cui successivamente è stata intitolata
la Pinacoteca, che si trovava in pessime condizioni e dove
è presente il putto che sorregge Monte Santo in una raffigurazione della fine del Settecento. Grazie anche a questa
iniziativa, sono stati raccolti 2.000.000 delle vecchie lire, il
quadro e la cornice sono stati successivamente restaurati,
e oggi il dipinto è esposto nella Sala “Antonio Carestia”
della Giunta Comunale nel Palazzo Municipale. L’ultima
mostra di Bruno Grandinetti che ho curato è stata quella
del 2002, dal 27 Aprile al 19 Maggio, una anno prima che
morisse (è morto il 12 Luglio 2003), dal significativo titolo
“Nel passato il nostro futuro – alla ricerca di una identità”, allestita nei locali ristrutturati del Palazzo Comunale.
Sono state esposte 155 foto, tra le più significative del
suo archivio, e grande è stato il successo di pubblico, con
oltre 1000 visitatori, compresi molti ragazzi delle Scuole
Elementari e Medie di Potenza Picena. Anche in questa
circostanza Bruno colse l’occasione per lanciare alcuni
messaggi importanti alla cittadinanza, come la necessità di
recuperare la Fonte di Galiziano, che è stato il logo della
mostra, la salvaguardia degli affreschi Settecenteschi del
Teatro Aurora, che rischiavano di essere distrutti; inoltre,
promosse nell’ambito della mostra una raccolta di fondi
per il restauro della pompa antincendio R. Czermack in
dotazione al corpo municipale dei pompieri di Potenza
Picena, risalente agli inizi dell’Ottocento, raccogliendo
774,70 €. Anche questi obiettivi sono stati raggiunti grazie
a lui: il carrettino dei pompieri, con i soldi raccolti durante
la mostra è stato restaurato, gli affreschi del teatro Aurora
sono stati vincolati dalla Soprintendenza di Urbino, e il
Comune di Potenza Picena ha programmato il restauro e
la valorizzazione della Fonte di Galiziano, insieme a quella della Concia. Questo è stato Bruno Grandinetti, non
solo un grande fotografo ma un grande uomo, un esempio
di impegno civile da imitare.
Il 6 luglio 2007 è stata inaugurata la Fototeca Comunale, intitolata a Bruno Grandinetti, ospitata nei locali della
Chiesa di S. Caterina d’Alessandria.
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CRONACA TRISTE
“UN PEZZO DI PARADISO
SU QUESTA TERRA”
di Eleonora Tiseni
I SALESIANI HANNO LASCIATO PORTO RECANATI DOPO 88 ANNI DI PRESENZA IN CITTÀ. L’ABBIAMO
GIÀ LAMENTATO, MA TORNIAMO SULL’ARGOMENTO PERCHÉ SOLLECITATI DAI GIOVANI DI IERI E
DI OGGI, NON ANCORA RASSEGNATI DI FRONTE A UNA SCELTA CHE NON È PIACIUTA A NESSUNO.
E QUESTO, AI SALESIANI, BISOGNA PUR DIRLO.
Anni ‘30
salesiani e oratoriani
intorno al vescovo di Recanati-Loreto,
Aluigi Cossio.
N
egli ottantotto anni
in cui la Congregazione salesiana,
chiamata nel 1924
dai Conti Lucangeli, ha guidato l’oratorio e la Parrocchia del
Preziosissimo Sangue di Porto
Recanati, ha promosso la formazione di “buoni cristiani e
onesti cittadini” – secondo l’insegnamento di San Giovanni
Bosco – e di una solida comunità capace di affrontare avversità
come quelle che si sono susseguite nell’ultimo anno. Prima i
lunghi mesi di inagibilità della
Chiesa a causa delle precarie
condizioni del tetto; poi, nel
giugno 2012, il fulmine a ciel
sereno della decisione presa
dalle alte sfere di lasciare Porto Recanati e, ultimo ma non
ultimo, il mattino del 13 maggio scorso, l’evento più triste
che avrebbe potuto essere una
vera tragedia: il crollo del tetto
del Cinema Teatro Adriatico. La
vista delle macerie dall’interno
è stata straziante per chi vi ha
vissuto gli anni dell’infanzia e
l’adolescenza, come se solo ora
ne segnassero davvero la fine.
Il pensiero è volato alle parole
condivise con lo Specchio Magazine da Camillo Casali, che
chi scrive ha incontrato per raccoglierne la testimonianza necessaria alla scrittura di questo
articolo. Camillo all’oratorio ci
47
CRONACA TRISTE
Il campetto di calcio dei salesiani
rimesso a nuovo
è praticamente nato. Aveva un
anno, infatti, quando nel 1928
vi fu portato per la prima volta
da suo zio, l’indimenticato Don
Antonio Fanesi, un giovanotto
non ancora diventato sacerdote.
Camillo ha raccontato che tra le
attività preferite dai ragazzi c’era il teatro, con le rappresentazioni di filodrammatica e le
operette: “Ci divertivamo tantissimo, più degli spettatori. Non
c’era ancora il cinema, e facevamo una recita ogni quindici
giorni, preparavamo drammi,
riviste e commedie, eravamo 5
o 6 a seconda dei personaggi,
mentre per le operette arrivavamo anche ad essere una trentina e partecipavano anche le ragazze nonostante l’oratorio fosse ancora solamente maschile.
Si preparavano dalle suore poi
ci raggiungevano e studiavamo
canto e musica insieme a Don
Giulio Pifferi, che suonava il
piano ed era un bravo maestro
e musicista.” Questo succedeva
48
prima della guerra, poi ci fu la
stagione degli anni Cinquanta
e Sessanta, quando i ragazzi,
ormai uomini, misero a disposizione dell’oratorio tempo e
braccia per migliorarne le strutture: “Dove oggi c’è il campo di
pallavolo, prima c’era un orto
curato dai sacerdoti; il pavimento invece – continua Casali
– l’abbiamo spianato noi ragazzi, la sera. Eravamo io, i fratelli
Torregiani, Marconi, Cittadini,
Cingolani, Flamini, Mitillo. Per
quanto riguarda il teatro, abbiamo costruito le scene, il sipario e le quinte, con i chiodi
e le bollette che raddrizzavamo
noi perché i soldi non c’erano.
Le scene le realizzammo con la
carta dei giornali e con quella
dei sacchi della Cementi che attaccavamo con la colla. Abbiamo usato questi sacchi e la colla
anche per creare gli stivali necessari alla messa in scena de
“I tre moschettieri”, ma poiché
si aprivano ad ogni movimento
urlavamo: “Romolo (Cingolani,
ndr), ci servono le mollette!” I
soldi all’oratorio sono arrivati dopo, grazie alla generosità
delle donne dei pescherecci e
di quelle che vendevano le tele,
le cosiddette “telarole”. Con il
Concilio Vaticano II, sono arrivate anche le ragazze. Una
delle prime fu Maria Teresa
Zaccari, con sua sorella Rosina,
Giovanna Matassini e Marilisa
Giri. Direttore dell’oratorio di
allora era don Giancarlo Manieri, arrivato a Porto Recanati ancora molto giovane e con idee
“rivoluzionarie”. “Giocavamo
a basket con le allieve dell’Adriatica femminile – racconta
Maria Teresa -, poi nel 1965
nacque il Gruppo Scout, ma
non vi ho aderito subito perché
facevo parte di quello formato
dal direttore, Nuova Generazione, con altri ragazzi e ragazze tra i tredici e i quindici
anni. La domenica andavamo
alla Pia Casa Hermes di Lore-
CRONACA TRISTE
to, Gaetano Campolo e Paolo
Valente suonavano la chitarra
e noi tenevamo compagnia agli
ospiti. Negli anni poi quel gruppo si è disgregato e c’è stato chi
come me è entrato nell’AGESCI
e chi, invece, ha fatto altre scelte.” Don Manieri, durante gli
oltre dieci anni di permanenza
a Porto Recanati, dimostrò una
profonda capacità pedagogica
e contribuì a un forte sviluppo dell’oratorio. “Amava molto
le nuove tecnologie, che fanno
sorridere se messe a confronto
con quelle di oggi, racconta Teresa. Ci ha fatto divertire insegnandoci a realizzare il giornalino dell’oratorio e dei campeggi; noi preparavamo i testi
con una macchina da scrivere
che non aveva il nastro, lui ci
dava i materiali per i disegni,
proiettava sul muro le diapositive che poi noi copiavamo e passavamo al ciclostile. Qualche
anno dopo abbiamo cominciato ad andare a Loreto da don
Maggi che aveva una copiatrice
con il pennino simile a un tor-
nio, che copiava, così potevamo
scrivere comunicati stampa,
avvisi, disegni, libricini, passavamo le serate a preparare i fogli dei quaderni. Don Manieri,
inoltre, aveva raccolto nel suo
studio una biblioteca con libri
di psicologia per e sugli adolescenti per affiancarli nella crescita, che potevamo consultare
con il suo aiuto. Quelle erano
le prime volte che si sentiva parlare di adolescenza e dei problemi legati ad essa, del vivere
insieme maschi e femmine, della coeducazione: temi davvero
moderni per la Porto Recanati
di allora, se pensiamo agli insulti che venivano rivolti a noi
ragazze quando entravamo e
uscivamo dai salesiani.” Nelle
parole di due giovani donne di
oggi, Francesca Grilli ed Elena
Vecchi, anche loro oratoriane
dalle elementari, c’è il ricordo di
esperienze e figure fondamentali per la loro formazione spirituale e umana. don Giovanni
Molinari, don Giorgio Rossi, “il
prete di strada, del muretto, che
saliva sul motorino per andare
a cercare i ragazzi in difficoltà
e che ha trasmesso l’amore per
la musica a tantissimi giovani”;
don Sidney Stella, “esempio di
serenità e amorevolezza”, don
Carlo Russo e il mitico don Ennio Borgogna, scomparso lo
scorso marzo, “giovane tra i
giovani fino all’ultimo istante,
ispiratore e sacerdote esemplare
con il suo incessante e instancabile fare, più che con le parole”. Pur diversi nei modi e nella
personalità, sono stati tutti portatori dello stesso messaggio di
fede e di vita, e hanno insegnato ai giovani a “tenere i piedi
per terra ma lo sguardo rivolto
verso il cielo”.
Per una storia dei Salesiani a Porto
Recanati,
v. Lino Palanca, “Porto Recanati e
don Bosco”, ed. Cappelletti, Porto Recanati 1988
Una delle tante iniziative
dell’oratorio salesiano
49
FOLK
‘FFÀCCETE DAL BALCONE
O BELLA BIMBA …
Lo Specchio folk
Cyrano de Bergérac
La scena del balcone in una composizione di Paul-Albert Laurens, 1870-1934
foto: lewebpedagogique
GIOSUÈ CARDUCCI PRIVILEGIÒ LE NOTE MALINCONICHE DI UNO STORNELLO
A CHIUSURA DELLA SUA RACCOLTA RIME E RITMI (1895): “FIOR TRICOLORE,/
TRAMONTANO LE STELLE IN MEZZO AL MARE,/E SI SPENGONO I CANTI ENTRO
IL MIO CORE”. GIACOMO LEOPARDI NE RACCOLSE UNA DECINA NEL SUO
ZIBALDONE. E LA CRITICA MODERNA SI ACCORGE CHE LA POESIA POPOLARE
PUÒ ESSERE, PAROLA DI BENEDETTO CROCE, “FINISSIMA POESIA D’ARTE”.
ALLA BUON’ORA.
51
L
FOLK
a finestra e il balcone
sono tra le presenze più
ricorrenti nel corteggiamento amoroso, che si
tratti di Giulietta Capuleti o della ragazza del popolo commossa dalla serenata dell’innamorato. Lo raccontano anche gli
stornelli cantati con lo sguardo
rivolto alle persiane schiuse,
nell’attesa che la mano di lei
accenda la luce, messaggera
di un sì lungamente sospirato.
Qui offriamo uno scampolo di
esempi tratti da una letteratura
sterminata, scegliendo gli stornelli rimasti più scolpiti nella memoria degli anziani, che
quelle scene hanno visto da
vicino e spesso anche recitato
da protagonisti. Ogni stornello
è accompagnato da un commento. Un avvertimento sulla lingua di questi versi, quasi
tutti raccolti a Porto Recanati:
nelle loro performances i nostri
vecchi si sforzavano di parlare
guzzo, vale a dire che usavano
l’italiano come lo conoscevano
loro. Ne usciva un dialetto attenuato qua e là da forme della
lingua nazionale. Molto qua e
là.
Me ‘ffàcciu a la fenestra e ‘eggu
el maru,
tutte le barche le ‘eggu ‘riare,
quella de l’amor mia nun vol
turnare …
In uno dei Canti del popolo recanatese, raccolti da Pierfrancesco Leopardi e stampati a Loreto nel 1848, si legge: Levati,
bella, da questa finestra, - levati, bella, ch’io voglio passare …
(Canto 5). Lo stesso Giacomo
aveva segnalato qualche “stornello della finestra” nello Zibaldone di pensieri (I, 43 - 1818):
52
Facciate alla finestra, Luciola, decco che passa lo ragazzo tua,
- e porta un canestrello pieno
d’ova - mantato co le pampane
de l’uva. Al fascino della finestra non si sottrasse Giuseppe
Gioacchino Belli la cui Serenata, n. 1676 dei Sonetti Romaneschi, inizia: Vièttene a la finestra, o ffaccia bbella, / petto de
latte, faccia inzuccherata …,
con chiara ispirazione alla serenata in dialetto amatriciano:
Affaccete a la fenestra, o faccia bella, / naso de neve, bocca
inzuccherata, / ch’io te la vojo
fà la serenata, / te la vojo sonà
la ciaramella. Protagonista del
nostro testo è la barca, come in
quello, assai simile, dei Canti
popolari toscani di Giuseppe
Tigri (1856): M’affaccio alla finestra e vedo il mare – tutte le
barche le vedo venire – quella
dell’amor mio non vuol passare. E a Venezia si canta: Tute
le barche riva, tute le barche
riva – e quela del mio ben no
riva mai – Tute le barche mena
scarpe e sòccoli – ma quela del
mio ben mena garofoli (raccolto da Manlio Dazzi, Il fiore
della lirica veneziana, 1993).
Di finestre che danno sul mare
si è occupato anche Giovanni
Pascoli, con un incipit dal sapore di stornello: M’affaccio alla
finestra e vedo il mare: / vanno le stelle, tremolano l’onde …
(Mare, Myricae, 1891). Volto lo
sguardo in Europa, possiamo
scomodare, tra le altre, le celebri scene dal balcone di Shakespeare (Romeo and Juliet) e
Rostand (Cyrano de Bergérac),
e anche una canzone spagnola molto nota, che fa: Quitate,
niña, / de ese balcón, / porque
si no te quitas, / ramo de flores,
/ llamaré a la justicia / que te
aprisione / con las cadenas / de
mis amores (Togliti cara / da
quel balcone / perché se non
lo fai, fiore mio, / mi appellerò
alla giustizia / che t’imprigioni /
con le catene / del mio amore).
‘ffàccete a la finestra, se ce sai;
damme un becchieru d’acqua,
se ce l’hai;
se nun me lu voi dare, padrona
sai …
Anche questo stornello è ricordato da Giacomo Leopardi nello Zibaldone, I, 43 - 1818: Nina,
una goccia d’acqua se ce l’hai:
- se non me la vôi dà padrona
sei. Identico contenuto, con lievi varianti, si ritrova nei Canti
contadineschi osimani di Leonello Spada (manoscritto, data
imprecisata a cavallo tra il XIX e
il XX secolo): Nena,‘na goccia
d’acqua si ce l’haj, - si nun me
la vôli da’ padrona saj. Con un
bel volo nella scala del tempo
e dei valori, citiamo pure il saltarello monteluponese dove la
richiesta del bicchiere d’acqua
è singolarmente connessa, con
un passaggio illogico, a un problema di denari …: Dammene
FOLK
un becchiè d’acqua, cara, se ce l’hai, se non me
la vò dare, padrona sei, Padrona sei, olà, per in
su, per ignó, per in qua, per in là. E se non pigli,
non cuci né mpresti, li denari chi te li dà? Se non
me la voi dare, cara Ninella, core di mamma,
padrona sei (inciso dal gruppo folk “Cantina 90”
di Montelupone).
‘ffàccete a la fenestra o ricciulona,
dei tua capéj dammene ‘na rama,
li metterò a l’urloggiu pe’ catena …
La capigliatura della dama si profila come un albero chiomato. Lo stornello è ricordato dal loretano Augusto Castellani nelle sue opere: Fàccete
a la finèstra, o ricciulóna, /de ssì capéj tua ne vò’
‘na ràma. Compare anche, a conferma di una sicura diffusione nel territorio, nel saltarello monteluponese: Dei tua capelli ne vorrei na rama pe
mette a l’orologio una catena; una catena, olà la
rriva la bella, la mamma lo sa. E se la mamma
lo coje la fila joppe la ripa la fa caminà. Pe mette
a l’orologio, cara Ninella, core di mamma una
catena (inciso dal gruppo folk “Cantina 90” di
Montelupone).
O bella che te piacene li canti,
ffàccete a la fenestra che li senti:
ma nun è canti i mia, ènne lamenti.
Stessa versione nei Canti popolari inediti, umbri, liguri, piceni, piemontesi, latini di Oreste
Marcoaldi (1855). In Druso Rondini, Canti popolari marchigiani (1975), i versi sono quattro, i
primi due come nella versione portorecanatese;
gli altri due: … non sentirai né toni né lampi, soltanto sentirai i miei lamenti. Mi piace di più
il nostro testo. Rivolgersi all’amata chiamandola
non per nome, ma con l’aggettivo bella era vezzo antico, si veda la Isplendiente / stella d’albore
.., di Giacomino Pugliese (XIII sec.): … or ti rimembri, bella, la dia …; si ricordi altresì il belle
amie, amor mio, comune nei poemi medievali
di Thomas e Béroul (Tristan et Yseut) o di Marie
de France (XII secolo), espressione importata da
molti autori in Italia.
‘ffàccete dal balcone o bella bimba,
per fa’ l’amore al sole cu’ la tenda
ce vurebbe el mantu de Grulinda …
La Grulinda di cui si evoca il manto è, secondo alcuni, Grolinda, strega nordica; va ricordato
che nell’immaginario popolare il mantello delle streghe conferiva poteri magici. A me pare,
però, che sia più veritiera l’ipotesi che porta su
Clorinda, l’eroina della Gerusalemme Liberata di
Torquato Tasso. Lo prova lo stornello toscano
raccolto da Giuseppe Tigri: Facciati alla finestra o bella bimba – e per pararci il sol ci vuol la
tenda – vi ci vorrebbe il manto di Clorinda. Nel
libro VI, ottava 82, Tasso fa dire a Erminia, con
riferimento a Clorinda: A lei non tarda i passi il
lungo manto.
ffaccete a la fenestra, musu neru,
te credi de spusà un marinaru?
Tu nu’ lu pij, lu digu daeru!
Testo identico, dialetto a parte, a quello di Antonio Gianadrea nei Canti popolari marchigiani
(1875). L’evocazione del marinaru è sicura opera di una ragazza marinara, che ritiene il massimo della condizione sociale sposarne uno (non
un artieru oppure uno sciabbegottu); le ragazze
marinare cantavano: ‘ale più un marinaru in camigiòla /ch’un artieru cu’ la giubba d’oru.
ffaccete a la fenestra
o musu sfrantu > (piagnucolone, frignone)
del bè mia cunosce
el sentimentu
tu pagheme la cena
ch’iu te amu tantu.
Una versione molto vicina era cantata in teatro
da Ettore Petrolini e nelle osterie dal sor Capanna; è riportata in Petrolini, Macchiette lazzi
colmi e parodie, a cura di Giovanni Antinucci
(1994).
(questo articolo è un’anteprima, gentilmente concessa, del
volume di Lino Palanca “Le undici di notte e l’aria oscura”, alle stampe)
53
POESIA
GABRIELLA PAOLETTI,
ADDIO DEL PASSATO
A MERIGGIA MIA
(primo premio “Festival del dialetto” VARANO 2005)
U sole a matina ncò ’mmollo de mare
ma porta ‘nnocente e fresca de cuna.
Pe tutto u giorno a lassa fa cò je pare
e.. gentilomo de sera a lassa ma luna.
E’ come n’amica- n’amica… de velo
che zitta e lezziera me camina vicina.
Ma a lia je piace solo a luce der cielo:
e no quella fenta che fa a lampadina.
Saluto ‘n cristià pure lia arza u braccio.
Se sto a ma piegate è preferita da Dio.
Sporvero anche lia a vedi cu straccio.
Se sciucca u sudore propio come fo io.
QUESTI VERSI DI GABRIELLA PAOLETTI
SONO SGUARDI D’AMORE ALLE PERSONE
E AI LUOGHI AMATI, RIVISSUTI COL
RIMPIANTO DI NON AVERNE FORSE GODUTO
ABBASTANZA. TRE GIOIELLI DA INCASTONARE
E CONSERVARE GELOSAMENTE, COME
LO STUPENDO DISEGNO DI LUCIANA
INTERLENGHI
Se ccojo ‘na rosa anche lia fa lo stesso.
Se ‘cchiappo e farfalle cure in allegria.
Se scrivo su muro ca scheja de gesso
me rpassa e parole e je dà più poesia.
Se ballo cò a scopa o fo l’apparecchio
se fo girotonno come ‘na bardasciòla
lia me ripete tutto come fa u specchio.
Cuscì trasparente e peccato non vola!
.
Na vo’ ho svortato e spalle a ‘n puretto.
Ero stracca acida mango io so perché!
Lia s’è staccata facenno ‘n zompetto
e ‘ntra saccoccia je c’ha meso ‘n suché.
Non è-Signore -che hi scoperto cos’è?
Se te ne va dimmelo e sennò pacienza!
Vordì che sarà pe sempre quello suché
solo ‘n segreto fra meriggia e cuscenza!
NA PUESIA A REVERSA
(primo premio “Voci nostre” Ancona 2010)
Su fonno du baule jò a radente
‘ntra u libbretto mia da terza
c’ho ttrovato ‘na carta ‘ssorbente
cò e parole sciuccate a revèrsa.
54
Era e prime frasette mia belle
scritte a notte che a luna piagnìa.
Era ‘lle lagreme sgrizzi de stelle
e...... io ‘ncriavo cuscì ‘na puesia.
POESIA
Ma sarrà.....stata a dettàlla siguro
quella pennazza de seta slavata
che se mette u tralùme de scuro
quanno smòre ‘na bella giornata.
Du o tre versi de rima baciata
che me sdingolava come l’onne
e me portava ‘ntra l’aria ‘nfatata
i stornelli de babbo ‘ntre fronne.
E io ‘mbriaca de ‘lla primavera
l’avìo scritta per poté dì ma Dio
che ‘llu respiro sua quella sera
l’avìamo ‘nteso solo a luna e io!
E.... ecchete allora che me ‘rriava
tutto u profumo bono du creato.
E come ‘n par d’angioli slalava
me parìa da sentì cioffi de fiato.
Quanno ‘na pace è fatta de niente
mango cu tempo potrìa jì spersa.
Pprofitta pure de ‘na carta ‘ssorbente
cò ‘ lla magia de parole a reversa!
TE SE SURPA L’INFINITO
(primo premio “Il trebbo” A Riolunato Modena 2008)
(primo premio “Biagino Casci” Ostra Vetere 2008)
Babbo cuccio sotta a ‘n sacco
cormo de mujche d’anni
caminava lento e stracco
verso a fine de l’affanni.
Allo’ j’ho ditto ‘ncuriosita
cò putìa pruvà ‘n vecchietto
che guardava arrèto a vita
e ha resposto ‘n po’ fiacchetto
che u campà è solo ‘na cosa:
è rampinasse cò dolore
soppe u gammo de ‘na rosa
pe ‘rrià a ‘nnasà l’udore.
Te scuppèlli te ce sgrami
te ce sfrigi e u sangue scola.
Preghi smoccoli odi e ami.
E intanto u tempo vola.
E ‘lli spi che pure picca
pare solo ‘na gnuella.
Dendro a pella te se ficca
ma a ferita se sgancella.
Nun te staccheresti mai
da llu ramo de dulore.
Po’ de bbotto nun ja fai!
Pure Dio c’ha u crescecore
a duvé dà ‘lla sbracciata
pe ‘lluccatte ch’è fenita.
Tu te rgiri e vedi a vita
pogo più che ‘na slalata.
Na gnottita de mago’
‘na sbigiata de ‘na goccia
‘na sventata su porto’
‘na tarpata de saccoccia.
E prima anco’ che c’hi capito
te se surpa l’infinito.
55
POESIA
CONCORSO INTERNAZIONALE DI POESIA
«CITTA’ DI PORTO RECANATI»
XXIV
Edizione 2013
Col Patrocinio del Comune di Porto Recanati e la Regione Marche
Art. 1 – Il Poeta invierà una sola poesia a tema libero. L’organizzazione tuttavia consiglia di trattare
tematiche sulla disabilità, sulla solitudine degli anziani, sui “nuovi poveri”, sugli extracomunitari, sugli
eventi climatici ecc., affinché si rifletta sulla condizione esistenziale dell’uomo, ideazione che portò
all’istituzione del Premio «Città di Porto Recanati» quasi 30 anni fa. Comunque sia, il tema vuole essere
solo indicativo. La poesia inviata, che non dovrà superare i 35 vv potrà anche essere stata edita, ma che
non abbia mai vinto il primo premio in altri concorsi. L’originale riporti: Nome e Cognome dell’autore,
indirizzo e indicazione dell’email e la dichiarazione: «Dichiaro d’essere l’autore dell’opera inviata al
concorso».
Art. 2 - La Giuria, composta da quattro elementi, sarà resa nota il giorno della premiazione, stilerà
una graduatoria di tre Vincitori dei premi in denaro e di altri meritevoli sino al 10°. La Giuria, a suo
insindacabile giudizio, deciderà di premiare quei poeti che, con l’impegno culturale e la propria
testimonianza di vita, hanno contribuito a superare una condizione esistenziale difficile, o rendendola
addirittura fonte di ispirazione.
Art. 3 – I Premi in denaro sono:
1° Classificato 500 euro, Targa o Trofeo e Pergamena.
2° Classificato 300 euro, Targa o Trofeo e Pergamena.
3° Classificato 200 euro, Targa o Trofeo e Pergamena.
Art. 4 – La poesia dovrà essere spedita entro il 31 luglio 2013 (farà fede il timbro postale di spedizione)
in quattro copie, per posta ordinaria al seguente indirizzo: Prof. Renato Pigliacampo C/o Concorso
Internazionale di Poesia «Città di Porto Recanati», XXIV Edizione 2013 Casella Postale n. 61 - 62017
PORTO RECANATI (Macerata). Solo la copia originale riporterà i dati. La poesia potrà essere inviata
anche per email a Pigliacampo a: [email protected]
Il concorrente è tenuto a versare la quota d’iscrizione di 20 (venti) euro sul conto corrente postale n. 29
68 76 21 intestato a Renato Pigliacampo c/o Casisma, o tramite altra modalità a scelta del partecipante.
La somma è a disposizione del monte-premi.
Informazioni. La data della premiazione, che avverrà a Porto Recanati, è prevista nella seconda decade
di settembre 2013. I Vincitori dei premi in denaro avranno comunicazione scritta del giorno, dell’ora e del
luogo della cerimonia. Le migliori opere saranno (probabilmente) raccolte in un volumetto. Si chiede
la cortesia di diffondere il Premio nei media e tra gli amici interessati. Grazie.
57
RECENSIONI
A CHE COSA SERVE LEGGERE?
ANCHE A CAMBIARE LA VITA
Lo Specchio Libri
N
ascono da casi reali le storie di Leggere per
Cambiare, giovane casa editrice marchigiana, non a pagamento, che pubblica libri
per il progresso personale. Sono esempi
di possibilità, cambiamenti, questi scritti, da usare
quasi come manuali per procedere nella Vita consapevolmente, per superare i limiti di ciò che sembra
prestabilito, per vincere i pregiudizi e, soprattutto,
per raggiungere l’obiettivo di riconoscere le proprie
potenzialità e trasformarle in azione concreta.
È Anna Capurso, terapeuta-scrittrice ed editore di
Leggere per Cambiare, l’ideatrice di questa nuova linea editoriale, intenzionata a rendere fruibile a quante più persone possibile la sua lunga esperienza professionale. A sancire l’efficacia di questo approccio è
arrivato il III Congresso Internazionale di Medicina
Biointegrata, organizzato dall’IMEB (Istituto di riferimento per questo tipo di medicina), che ha invitato
la Capurso a relazionare su “La svolta innovativa della sinergia libro-rimedio naturale”. I libri di Leggere
per Cambiare sono stati riconosciuti, quindi, come
un supporto per il benessere di adulti e bambini,
anche in associazione con le cure naturali.
In particolare, le “Fiabe per guarire”, di cui sono state appena pubblicate le prime due, con il loro straordinario personaggio, l’ondina Aylin, “che aiuta i
bambini”. Si tratta di fiabe allegre e divertenti che
celano doni inaspettati, come quello di favorire la
cooperazione tra genitori e bambini e sollevare da
eventuali disagi.
Tutto questo senza tensioni, con delicatezza, leggerezza e, soprattutto, col sorriso.
I soggetti di Leggere per Cambiare sono anche progetti educativi - adatti per le scuole di ogni grado,
comunità e associazioni di recupero - e soggetti cinematografici. Ogni libro reca un potente messaggio
di guarigione in grado di attivare dolcemente risorse
interiori per risolvere conflitti e disagi profondi.
La Coccarda della Migliore, ad esempio, romanzo
introspettivo, può aiutare a dissolvere il dolore di
un passato molto doloroso; Liam, aiuta a trovare un
significato anche in una vita “al limite” offrendo una
possibile svolta risolutiva; Chiamami Alex dimostra
come trasformare i limiti di una disabilità, come la
Sindrome di Down di cui è affetto Alex, il protagonista, in successo nella vita e soprattutto autonomia
e giusta integrazione nel sociale; I lovErasmus è il
divertimento che accompagna un traguardo di crescita, è la leggerezza di un’esperienza indimenticabile… leggerezza che non è superficialità perché I
LovErasmus è l’Amore dei vent’anni che diventa consapevolezza. E poi, la Dimensione Spirituale, con gli
58
scritti di Dino Marabini - Passaggi e I due dell’Oltre,
dove il fondatore della Lega del Filo d’Oro, tramite
le sue personali esperienze, conduce, con semplicità,
nel mondo della Vita oltre la morte e verso un nuovo
riconoscimento delle proprie credenze.
Per arrivare alla mascotte di Leggere per Cambiare, il
libro con cui la Capurso ha inaugurato la sua Leggere
per Cambiare, Ali nel Cielo, una raccolta di liriche e
meditazioni, un libro spirituale ma non religioso perché ogni lettore, qualsiasi sia il nome della sua Fede,
riconosca nelle parole il messaggio più vibrante per
gioire attraverso la sua Anima e realizzare “la Via del
Cuore”. Nel sito della Casa Editrice
www.leggerepercambiare.com i dettagli di ogni
Opera, le proposte culturali, i progetti, gli appuntamenti e, soprattutto, fresche di stampa, le avventure
di Aylin e dei i suoi fantastici personaggi.
RECENSIONI
CAPOLAVORI
APPENA DIETRO L’ANGOLO.
CHI SE NE È ACCORTO?
di Vincenzo Oliveri
L
’edizione 2013 del Salone Internazionale del
Libro di Torino dello
scorso maggio è stata
l’occasione per presentare al
pubblico il volume “Il Polittico di Lorenzo Lotto a Recanati”, curato da Vittoria Garibaldi, Marta Paraventi e Giovanni
Carlo Federico Villa, edito da
Antiga Edizioni. Si tratta di una
pubblicazione che cronologicamente costituisce l’ultima tappa
del progetto “Terre di Lotto”,
che negli scorsi due anni ha ottenuto il coinvolgimento di numerosi enti e istituzioni, a iniziare dalla Soprintendenza per i
Beni artistici e storici delle Marche e della Regione, tutti impegnati in un ampio programma
di attività finalizzato alla tutela,
al restauro e alla valorizzazione
della produzione artistica riferita a Lorenzo Lotto.
Il volume concentra la sua
attenzione sugli interventi per
il restauro del Polittico di San
Domenico e della Trasfigurazione di Cristo, opere entrambe
custodite a Recanati. E’ possibile così conoscere nel dettaglio le tecniche impiegate dai
restauratori per restituire tutta
l’originalità dei dipinti, portandone alla luce non solo gli esatti contorni e le sfumature, ma
pure le innumerevoli particolarità legate ai procedimenti di
realizzazione e ai materiali usati
da Lorenzo Lotto. Non meno rilevanti i risultati delle indagini
riguardanti i precedenti restauri, così come gli effetti provocati dalle non sempre adeguate condizioni di conservazione
delle opere. Accanto a queste
pagine, ricche di informazioni
anche sulle tecnologie impiegate per lo studio delle caratteristiche dei due dipinti, il volume
di Garibaldi, Paraventi e Villa
ripercorre le principali vicende
storiche su Lorenzo Lotto (vedi
la richiesta, nel 1506, dei domenicani di Recanati di un contributo da parte del Consiglio dei
Priori per un dipinto da destinare all’altare maggiore della
loro chiesa), cui si unisce un
appassionato ricordo di Pietro
Zampetti, certamente il più importante studioso dell’arte nelle Marche e in particolare delle
opere dell’artista veneziano.
In questa maniera “Il Polittico di Lorenzo Lotto a Recanati”
allarga la propria platea, come
sottolinea Pietro Marcolini, assessore ai Beni e alle attività
culturali della Regione Marche,
a “tutti coloro che credono nel
coordinamento e integrazione
delle attività dello Stato, delle Regioni, dei Comuni e nei
grandi eventi non effimeri e fini
a se stessi, ma con ricadute permanenti sul territorio”. Gli stessi che non possono mancare
una visita al Museo civico Villa
Colloredo Mels di Recanati per
ammirare i capolavori di Lorenzo Lotto e non solo.
V. Garibaldi, M. Paraventi e
G.C.F. Villa
Il polittico di Lorenzo Lotto
a Recanati
Crocetta del Montello (TV),
Antiga Edizioni, 2013
pp. 163, s.p.i.
59
RECENSIONI
NIHIL URBE ROMA
VISERE MAIUS … *
di Anna Maria Ragaini
Con il suo secondo romanzo,
edito da Controvento Editrice,
Fiorenzo Bordi si ripropone ai
lettori con temi a lui cari e che
prendono in considerazione la
storia del territorio in cui vive.
Lo scrittore, che risiede a
Montecassiano, si è già cimentato con il suo libro di esordio,
Il Segreto di Melissa, (Ediz. Controvento Editrice), in una storia
ambientata nella provincia maceratese che prende le mosse
dagli anni della seconda guerra
mondiale. Questa volta, però,
la conoscenza e lo studio che
egli ha approfondito dei luoghi che descrive ci riportano ad
un’epoca lontana e ci immergono in un periodo storico in cui
la vita e gli ambienti nei quali
essa si svolgeva erano molto diversi da oggi. Tutto è cambiato:
la struttura e l’organizzazione
sociale, i costumi e le abitudini
della gente, la cultura e i punti
di riferimento, la sistemazione
logistica e ogni altra cosa cui
possiamo rivolgere il nostro
pensiero.
60
Basterà riflettere sulle difficoltà dei collegamenti e sull’assenza di una viabilità idonea a
favorirli e non soltanto perché
di fatto esistevano ben poche
e scomode strade, ma anche a
causa dei rischi che si correvano a percorrerle. Non era solo
un problema legato a fenomeni di brigantaggio, ma anche al
fatto che nella nostra regione vi
erano diverse popolazioni locali, spesso in conflitto tra loro,
come i Piceni e gli Umbri (che
occupavano un territorio ben
più esteso dell’attuale Umbria),
ed anche provenienti da altre
aree geografiche, come i Galli
Senoni e i Romani, che si erano
stabilmente insediati sul territorio.
A questi si aggiungano coloro
che vi transitavano, con desideri di conquista o anche soltanto perché di passaggio, come
avviene nel romanzo di Bordi,
che descrive i movimenti degli
eserciti cartaginesi, il cui scopo
è la conquista di Roma. Diverse,
dunque, le culture che si incontrano e, se proprio vogliamo
cogliere un elemento comune a
tutte queste genti, lo potremmo
forse trovare soltanto nell’arte
della guerra, che costituiva indubbiamente un elemento ineludibile per tutte e che obbligava ogni popolazione, pena la
propria sopravvivenza, ad adottare regole e discipline tese a
Alfio Cassio, centurione dell’esercito romano in una piccola
guarnigione delle terre picene, conduce la sua personale caccia ad Annibale, il condottiero cartaginese sceso dalle Alpi per
conquistare Roma. Lo fa dopo la disfatta del Trasimeno, cui è
scampato grazie a un vecchio soldato che lo ha raccolto ferito
sulle rive del lago.
E’ lì che però ha perso la memoria. Il suo passato sembra cancellato, scomparso, inghiottito dalla nebbia che in quella tragica battaglia è stata complice dei cartaginesi. Nei suoi ricordi
emerge soltanto un nome: Annibale.
Giorno dopo giorno, alla guida degli ausiliari che combattono
a fianco dei romani, Alfio Cassio ritorna a far luce sul buio
della mente, fino a quando il destino non lo vorrà protagonista
sconosciuto di un altro appuntamento decisivo per lui e per la
sua gente, questa volta sulle sponde del Metauro. Sarà la battaglia che in maniera inaspettata metterà fine alla caccia, per
farlo risorgere a un’altra vita fatta di libertà.
Fiorenzo Bordi nasce il 18 giugno 1960 a Montecassiano
(Macerata), dove attualmente risiede. Scrivere e cantare sono
passioni da sempre presenti nella sua vita. Suona come chitarrista in vari gruppi musicali, esibendosi in balere e piazze, per
poi esprimere stabilmente la sua passione in ambienti cattolici,
da cui prenderanno forma alcune opere musicali sulle figure
di santi e beati, quali San Leopardo e Papa Giovanni XXIII.
Con Controvento Editrice ha già pubblicato “Il Segreto di
Melissa” (2012), suo romanzo di esordio.
€ 15,00
formare dei buoni eserciti, fatti
di soldati forti e sprezzanti del
pericolo.
Tornando a parlare del romanzo di Fiorenzo Bordi ci
accorgiamo, però, che ciò che
egli ha a cuore di raccontare, e
che certamente non riguarda le
popolazioni di passaggio, è l’attaccamento al proprio territorio,
alla propria storia e alle proprie
radici, valori che si esprimono
in modo esemplare attraverso
le vicissitudini del protagonista
principale. Recine è il più importante riferimento territoriale
della vicenda.
Si tratta di un antico insediamento romano, risalente proprio al periodo della seconda
guerra punica, sorto verosimilmente proprio per soddisfare
l’esigenza di offrire un compenso ai veterani della guerra, che
Fiorenzo Bordi
L
’orgoglio di Roma, dominatrice e madre di
popoli, e dei suoi figli,
che hanno respinto Annibale, e mille altri pericoli, in
un racconto avvincente in cui
i protagonisti veri sono l’amore
per il proprio territorio e le proprie radici..
Fiorenzo Bordi
RECENSIONI
avevano contribuito ai trionfi di Roma, ai quali
venivano offerti beni e terra.
Ma nel caso di Recine, a differenza che in altri, l’insediamento era certamente preesistente
ed era costituito da una cittadina, probabilmente
abitata dai Piceni, già divenuto municipio sotto la Roma repubblicana e di notevole interesse
strategico, stante la sua posizione che lo vedeva al centro di un crocevia tra importanti vie di
comunicazione. Di essa sentiamo parlare per la
prima volta da Plinio il Vecchio, nel primo secolo dopo Cristo.
Le notizie sulla sua origine recano qualche incertezza sul nome che, quando era già municipio romano sembra essere stato Ricina o Recina, prima ancora di diventare Helvia Recina
Pertinax, nome attribuitole definitivamente dal
console Settimio Severo, in onore del suo predecessore Publio Elvio Pertinace, quando nell’anno
205 d.C. le venne riconosciuto il rango di colonia
romana. All’autore del romanzo piace supporre
che il nome datole dai Romani non si discostasse troppo da quello che egli immagina, quando
ancora la cittadina era picena e indipendente da
Roma: Recine. E da qui il titolo del romanzo.
Si tratta di una vicenda dove le notizie storicamente accertate si intersecano con quelle
che sono frutto della fantasia e della creatività
dell’autore, attraverso il racconto delle vicissitudini di coloro che, ancorché sconosciuti, sono
gli autentici protagonisti della storia. La trama
prende le mosse dalle peripezie di un centurione
scampato alla terribile disfatta che, nell’anno 217
a.C., i romani subirono sul Trasimeno. Il protagonista ebbe a pagare un duro prezzo in quella
battaglia, che gli costò anche la perdita della memoria. Soltanto dopo un certo tempo egli vedrà
a poco a poco riaffiorare dal suo passato ciò che
lo porterà ad un desiderio di rivincita per se stesso, ma anche per tutti i valorosi soldati morti sul
Trasimeno. Tutto questo lo condurrà sulle tracce
di Annibale, fino ad un epilogo inaspettato, che
darà un senso alla sua ricerca e placherà per
sempre il suo desiderio di vendetta.
Un racconto avvincente, che si dipana quasi
fosse la cronaca descritta e vissuta nello stesso
momento in cui avvengono i fatti, in un intreccio tanto più verosimile quanto più si fonde con
le vicende consacrate dalla manualistica. Operazione non certamente facile, che richiede la
capacità di muoversi agilmente attraverso un pe-
riodo storico per il quale non esistono resoconti
come quelli cui siamo abituati oggi e sul quale,
ora come mai in passato, influiscono ricostruzioni hollywoodiane.
Un racconto che contribuisce alla riscoperta di
luoghi, di itinerari e di città in tanti casi cancellati dal tempo, come sicuramente è avvenuto per
Recine, almeno per la Recine nella quale sono
ambientate le vicende del romanzo. Sul posto,
tuttavia, a Villa Potenza di Macerata, è ben visibile ciò che resta dell’antico teatro romano e
delle terme, tanto da dare bene l’idea che Helvia
Recina Pertinax, fosse una cittadina tutt’altro che
secondaria, affacciata com’era sulle rive di un
fiume, il Flosis (oggi Potenza) all’epoca navigabile.
Tale fatto rende infatti evidente come il centro,
fin dall’antichità, abbia potuto assurgere a grande importanza, permettendo di favorire i traffici,
i commerci e - cosa un tempo certamente non
secondaria - i passaggi di truppe militari. Purtroppo oggi resta ancora molto da scoprire del
sito archeologico, i cui scavi non sono mai stati
completati e che da molti anni sembra che stia
soltanto lì, invano ad aspettare che qualcuno si
accorga di come sia ingiusto possedere un patrimonio tanto ricco di arte e di storia, che, se
giustamente valorizzato, potrebbe dare tanto al
territorio, anche in termini di ritorno turistico ed
economico.
E’ davvero triste vedere la fila continua di automobilisti, frettolosi e distratti, passare accanto
a tanta bellezza e a tanta storia, senza quasi curarsene.
* Nulla tu possa vedere più grande di Roma …
(Orazio, Carmen saeculare)
Fiorenzo Bordi
Recine
Loreto, Controvento Editrice, 2013
pp. 212, euro 15
61
SPORT
ARANCIONI,
LEGGENDA CHE NON TRAMONTA
di Gianluca Guastaferro - foto Società Sportiva Portorecanati
UNA SOCIETÀ CHE NELLA SUA LUNGA STORIA HA ABITUATO I PORTOLOTTI ALLE SORPRESE. PARTITA CON L’IDEA DI FARE UN
TRANQUILLO CAMPIONATO DI PROMOZIONE, SI TROVA ORA PROMOSSA IN ECCELLENZA. MA NESSUNO SE NE MERAVIGLI:
È IL POSTO CHE SPETTA AGLI ARANCIONI. DA SEMPRE.
Una formazione arancione del 1969 - foto S.S. Portorecanati
L
a stagione agonistica 2012/2013 lascerà una
traccia indelebile negli annali della Società
Sportiva Portorecanati. Il team presieduto da
Fausto Pigini ha infatti centrato due obiettivi
difficilmente prevedibili alla vigilia: la conquista della
Coppa Marche riservata alle squadre che disputano il
campionato di promozione e, soprattutto, il ritorno
nell’élite del calcio marchigiano, in parole povere, il
ritorno nel campionato di eccellenza. Era la stagione
agonistica 1980/’81 quando la squadre arancione lasciava il campionato di promozione regionale, allora
non c’era il campionato di eccellenza, per finire in
una sorta di torpore dal quale ci si è risvegliati nella
62
stagione agonistica 2005/2006, quando la squadra
guidata in panchina da Claudio Giri, portorecanatese
doc, vinse il campionato di seconda categoria e si
cominciarono a gettare le basi per una risalita verso
il calcio che conta. In questi anni infatti si è assistito
non solo a campionati vinti, come quello di prima
categoria nell’annata 2009/2010 concluso con numeri che ancora resistono nel guiness dei primati, ma
anche a promozioni mancate per un soffio e comunque sempre nel ruolo di protagonisti. Tutto potevamo pensare meno che la stagione attuale potesse
regalarci delle soddisfazioni così belle, che a raccontarle sembra quasi di leggere un libro di fantascienza.
SPORT
La festa arancione
Dopo che il presidentissimo Maresca, fondamentale il suo ruolo nel
ritorno al campionato di promozione tre anni or sono, lasciò la
poltrona di presidente a Fausto
Pigini, fino ad allora responsabile
del settore giovanile, rimanendo
comunque nella famiglia arancione in qualità di presidente onorario, si decise, data anche la congiuntura economica poco favorevole, di costruire una squadra con
l’obiettivo prioritario di favorire il
progressivo inserimento dei giovani del vivaio, cercando di ricoprire
con giocatori esperti, ma non troppo, quei ruoli che risultavano scoperti. Ciò allo scopo di conseguire
una salvezza tranquilla e di valorizzare i giovani che, comunque,
negli anni scorsi non hanno mancato di dare grandi soddisfazioni.
Ci riferiamo in particolare a Davide Mordini e Dani Ficola, classe
’96 e ’97, che hanno spiccato il
volo verso il Cesena e l’Atalanta.
Praticamente smembrata la squadra dello scorso anno, sono arrivati Fabio Palmieri, portiere classe
’92, il difensore Mattia Giovagnoli,
classe 1990, il laterale difensivo
Stefano Cento, classe 1984. E poi i
graditi ritorni di giocatori cresciuti
nel vivaio arancione come Andrea
Maruzzella (’91) e Davide Guzzini
(’89), nonché di Roberto Caporaletti e Marco Pantone, che a termine della stagione è risultato capocannoniere con 24 reti. Intorno a
loro un manipolo di ragazzi di età
compresa tra i 17 e i 20 anni, guidati in campo da Emanuele Gasparini, il fantasista della squadra
nonché capitano che per la personalità espressa in campo possiamo
senz’altro definire di lungo corso.
A guidare dalla panchina questo
manipolo di giovani è stato chiamato un altro giovane, Matteo
Possanzini, trentenne, cui già l’anno scorso era stata affidata la guida tecnica della squadra dopo l’esonero di Cantatore prima e di
Morra poi. Il presidente Pigini, visti gli obiettivi della società, decideva di rinnovare la fiducia al giovane tecnico lauretano, che ben
conosceva fin da quando era alle
sue dipendenze nel settore giovanile. Ad affiancare il giovane mister, in qualità di preparatore atletico, viene promosso il coetaneo
Cristian Durastanti, in forza tra i
giocatori la scorsa stagione e già
responsabile delle squadre giovanili. Subito ad avvio di campionato ci si accorge che il Porto non
reciterà un ruolo secondario. La
prima partita si disputa infatti a Falerone, contro una squadra che
punta decisamente al salto di categoria, composta da giocatori
esperti provenienti da serie superiori. La partita si conclude con un
pareggio ma l’ottimo primo tempo
disputato fa pensare che questo
manipolo di giovani sarà in grado
di farci sognare. Passo dopo passo, il gioco espresso dai ragazzi di
Possanzini, fatto di tocchi di prima
e giocate sulle fasce, comincia a
dare i suoi frutti tanto che gli arancioni riescono a mantenere la testa
della classifica per diverse settimane. Ma trattasi sempre di una squadra la cui età media è di vent’anni
e pertanto l’ingenuità tipica dell’età può portare a sorprese spiacevoli. Comunque si riesce a concludere il girone d’andata in zona
playoff e a proseguire il cammino
nella Coppa Marche. Nel girone di
ritorno la freschezza atletica e l’assimilazione degli schemi, rivolti ad
un gioco spiccatamente offensivo
e spettacolare, fanno del Portorecanati la squadra rilevazione, con
una serie di risultati positivi tale da
riportarsi sulla scia della capolista
Montegiorgio, poi vincitrice del
campionato, l’unica a fare bottino
pieno contro gli arancioni. Nel
frattempo si vince la Coppa Marche battendo con un perentorio
4-0 la Falconarese con una presta63
SPORT
zione che fa spellare le mani il pubblico accorso. Lo
scontro diretto Portorecanati-Montegiorgio trova le
due squadre distanziate di quattro punti, complice
anche la precedente partita contro la Vis Macerata,
dove alcune decisioni arbitrali quantomeno discutibili, negano ai nostri ragazzi una vittoria che in quel
momento sarebbe stata preziosa. Il Montegiorgio
esce vittorioso per due reti a zero, ma gli arancioni
non demeritano e subiscono le due reti in azione di
contropiede. Al termine della stagione regolare, gli
arancioni si piazzano secondi a pari merito con la
Folgore Falerone ma il vantaggio negli scontri diretti
regala agli uomini di Possanzini la posizione migliore
ed evita loro lo spareggio con la quinta classificata in
quanto distanziata di dieci punti, mentre il Falerone
dovrà incontrare il Trodica, compagine partita con
grosse ambizioni, in una partita secca da disputare in
casa dei fermani vista la migliore posizione di classifica di questi ultimi. Lo scontro diretto vede prevalere gli ospiti che acquisiscono il diritto a disputare la
finale con i nostri al “Monaldi”. Gli arancioni hanno
a disposizione due risultati su tre. Infatti se al termine
degli eventuali supplementari dovesse prevalere il
segno “ics” sarà il Portorecanati ad essere premiato
per la migliore posizione di classifica. Ma mr. Possanzini non è un “catenacciaro” e dichiara alla vigilia che
la sua squadra giocherà comunque per vincere. Il
giorno della finale, precisamente il 19 maggio, sarà
una data che gli sportivi di casa nostra non dimenticheranno mai. Già un’ora prima della gara il “Monaldi” presenta un colpo d’occhio favoloso, praticamente gremito in ogni ordine di posto. La partita inizia
bene per il Porto, che si porta in vantaggio con un
colpo di testa del giovane Papa, classe ‘95, prodotto
del vivaio arancione. Ma a ricondurci alla realtà ci
pensa il centrocampista ospite Contigiani, che con
un magistrale calcio di punizione beffa l’estremo
arancione Giaccaglia, chiamato a sostituire l’infortunato Palmieri. Il pareggio non demoralizza i giovani
arancioni di nuovo in vantaggio dopo sei minuti con
Cento, abile a sfruttare un cross dalla destra di Caporaletti. La ripresa si apre con gli ospiti che si riversano in attacco e raccolgono il premio del loro sforzo
al 14’ con Iommi, in gol di testa, su corner. La rete
subita ha l’effetto del morso di una tarantola per il
Portorecanati, che ricomincia a produrre gioco e a
creare occasioni non concretizzate per la bravura
dell’estremo ospite, grande nel ribattere tre tiri ravvicinati, e pure per sfortuna quando il palo dice no ad
una conclusione di Pantone. Si va ai supplementari e
sale subito un brivido lungo la schiena dei tifosi locali quando un giocatore ospite si trova solo davanti
a Giaccaglia pronto, però, a respingere di piede. Il
gol del vantaggio arancione arriva pochi minuti più
tardi con Cento, che deposita in rete una respinta del
palo su punizione di Tartufoli. Il Trodica accusa il
colpo e la stanchezza si fa sentire da entrambe le
parti. Dopo pochi minuti del secondo tempo supplementare arriva il sigillo dei locali con Caporaletti a
seguito di una ripartenza. E’ l’apoteosi. Inizia una
festa non programmata e quindi ancora più bella. I
giocatori vanno sotto la tribuna a ricevere i meritati
applausi. Siamo tornati nell’élite del calcio regionale,
con pieno merito grazie ad una programmazione societaria lungimirante e grazie ad un tecnico che è
stato definito “Stramaccioni dei dilettanti”, capace di
produrre, a detta degli esperti, il miglior calcio del
campionato. Siamo pronti a scommettere, che di lui,
in un futuro non molto lontano, sentiremo molto
parlare.
Una testimonianza di amore per gli arancioni, vecchia di quasi mezzo secolo.
Ci viene dal giornalista Reolo Rapaccini, cantore tra i massimi delle glorie sportive del Porto Recanati.
64
SPORT
LE MEMORIE NEL PETTO
RACCENDI … *
A
lla notizia della vittoria contro il Trodica, un pensiero ha
attraversato la mente
di chi ha lungo studio e grande amore della storia arancione: i nostri sono tornati a casa,
là dove compete loro di stare
per rango e blasone, tradizione e storia. Sono passati più di
trent’anni di dignitosa militanza e anche di successi trionfali
nei campionati inferiori; ora
la lunga marcia si è conclusa
sotto il traguardo dell’eccellenza, territorio dov’è più consono
vivere agli eredi di una lunga
avventura di fasti calcistici e di
un patrimonio sportivo di eccezione. Sorriderà, lassù, Vincenzo Monaldi, che di quel patrimonio è stato il primo tesoriere;
sorrideranno con lui, e con noi,
Luciano Panetti e Beniamino
Di Giacomo, Stelvio Attili e Luigi Boccolini e tutti gli altri, tanti, che hanno portato con loro
cuore e passione arancione fin
nelle categorie più alte del calcio nazionale.
La storia della società calcio del
Porto si avvia ad essere centenaria. Fondata nel 1919 grazie
agli Scarfiotti, si è rapidamente
imposta come vivace e prestigiosa realtà in campo regionale.
Uno dei gioielli preziosi incasto-
nati nel nostro diadema di successi è la partecipazione a tre
campionati di serie C, dal 1945
al 1948. Un paesino di cinquemila abitanti che disputava
pallone su pallone a squadroni
come Perugia, Ancona, Ascoli, Macerata, Ravenna, Pesaro
giungendo addirittura secondo
nel ’45-’46. E che creava, venti
anni dopo, i miracoli della serie D (dal ’66 al ’68) e anche
dell’Adriatica Calcio, juniores
tricolorata nel 1964.
Cinquemila abitanti. E un oratorio salesiano dotato di un
campetto da sette contro sette, prima scuola di calcio della lunga serie di campioni che
hanno fatto di quest’angolo di
Adriatico una culla di giganti
del pallone.
I ragazzi, i tecnici e i dirigenti
che oggi hanno onorato il nome
della Società Sportiva Portorecanati sono tutti meritevoli della nostra ammirazione e stima.
E riconoscenza, per averci restituito un orgoglio da tempo vela-
to dal rimpianto, superati come
eravamo stati, e di quanto!, da
realtà regionali delle quali non
avevamo tenuto il passo dopo
esserne stati raggiunti.
Una volta, con una discreta
dote di guasconaggine, da noi
si diceva che in certi paesi senza la nostra tradizione sportiva potevamo andare a vincere
anche usando solo la gamba
sinistra. Non era vero, naturalmente, ma faceva parte di una
consapevolezza di sé che non
era solo presunzione. Oggi, per
mantenere il livello riagguantato, occorrerà guardarsi meno
allo specchio, far passare prima
possibile l’ubriacatura di entusiasmo dovuta alla bella impresa compiuta e condurre con
tenacia e umiltà la nave arancione su rotte sicure, lontane
da presure e scogli.
Il Direttore
* (già pubblicato, con leggere varianti, ne “Il Resto del Carlino” del 25
maggio 2013, a firma Lino Palanca)
65
LO SPECCHIO
www.associazionelospecchio.it
[email protected]
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13
16-17-18-19
AGOSTO
VENERDI’ 16 AGOSTO
GIARDINI Diaz
ORE 18,30 LA VOCE DEL TERRITORIO
ORE 21,30 NOTTURNO ITALIANO
INGRESSO GRATUITO
COMUNE DI
PORTO RECANATI
A SEGUIRE CABARET VOLTAIRE
SABATO 17 AGOSTO
via Mariano Guzzini, 38
62019 RECANATI (MC)
tel. 071.7578017 - fax 071.7578021
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ORE 18,30 LA NOSTRA TERRA
ORE 21,30 GIANNI GIUDICI IN CONCERTO
A SEGUIRE CABARET VOLTAIRE
DOMENICA 18 AGOSTO
ORE 18,30 101 STORIE DELLE MARCHE
CHE NON TI HANNO MAI RACCONTATO
ORE 21,30 “HAVONA FEAT. GIANNI GIUDICI”
A SEGUIRE CABARET VOLTAIRE
NO JAZZ DISCO // NO WAVE // POST-PUNK // MUTANT DISCO // JAZZCORE //
LIVE SET CON IL DJ SMEGMA
LUNEDI’ 19 AGOSTO
ORE 18,30 MARCHENOIR
ORE 21,30 TANGO - CON IL DUO FELICIOLI - RIGANELLI
A SEGUIRE CABARET VOLTAIRE
NOISE PARTY PERFORMANCE
PER INFORMAZIONI
segreteria organizzativa eventi:
[email protected]
www.associazionelospecchio.it
ATTIVITA’ LO SPECCHIO
LA MUSICA SENZA ETÀ
ALLO SPECCHIO
MAGAZINE FESTIVAL 2013
di Vanni Semplici
N
foto: www.webdolomiti.net
el proprio percorso di valorizzazione delle varie anime della cultura musicale, il festival dedica
la sua programmazione a quella
musica popolare che, per l’immaginario collettivo è uno fra i tratti identitari della scena
musicale degli ultimi anni, il pop.
In questo immaginifico percorso batte il
‘cuore alchemico e popolare’ del festival
che, per esprimersi, recupera ancora una
volta uno spazio che abbiamo valorizzato in
questi anni: i Giardini Diaz. È una sorta di
oasi ricavata nel cuore della città, in cui gli
umori della musica d’autore e la qualità delle
proposte si fonderanno con la voglia più che
mai viva di ritrovare sonorità dimenticate o
accantonate e tornare a farle proprie. L’idea
è di riproporre il meglio della canzone d’autore e della musica pop, senza ideologie filologiche, per come è vissuta ancora oggi nei
ricordi musicali senza età; e anche di sottoporla a una rilettura che consenta di riviverla
con un approccio rinnovato.
È stata quindi ideata così la scena del festival, in cui la musica “popolare” delle origini
si fa cangiante e assumerà volta per volta i
colori del jazz e della musica popolare italiana. Un programma che va dalla musica
italiana alle serate dal possente portamento
ritmico del groove con le mitiche sonorità
dell’Hammond e il volo del puro jazz fusion.
Questo mentre i ballabili del ‘re del tango’,
Astor Piazzolla, saranno al centro dell’ultima
serata in cui il jazz incontrerà quella popolare argentina. Un classico giro di Tango secondo a nessuno.
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ATTIVITA’ LO SPECCHIO
La ‘Sound
machine’ dello
Specchio Magazine
Festival proporrà
4 eventi serali
Si parte il 16 agosto (alle 21.30)
con il Notturno Italiano, per
la gioia degli appassionati, dei
collezionisti e dei ‘predatori
delle canzoni perdute’, con la
voce di Bianca Maria Semplici ad introdurre il notturno e
proseguire con la voce senza
tempo di Andrea Quarti accompagnato dal suo gruppo “Piedi
scalzi in quarti”, per scoprire
rarità, inediti, copie uniche, ritrovamenti recuperati dai nostri
fondi in via di catalogazione, il
tutto restaurato nel laboratorio
del sound jazz.
A seguire, due concerti che
si muovono sul terreno delle sonorità ritrovate. Ecco allora arrivare il 17 agosto (alle
ore 21,30) il mitico hammond
di Gianni Giudici, considerato
uno dei migliori organisti Jazz
europei in duo con Enzo Cesari. Giudici negli ultimi anni
ha suonato e/o registrato con
artisti del calibro di: Al Grey,
Eddie Davis, Bobby Watson,
Benny Baileys, Tony Scott, Valery Ponomarev, Ingrid Jensen,
Chet Baker,per elencarne alcuni e tutti i migliori musicisti Jazz
Italiani, fra i quali i prestigiosi
“Swing Maniacs” del grande M°
Renzo Arbore e gli indimenticabili Hengel Gualdi, con cui
si è esibito in vari concerti per
pianoforte e clarinetto su composizioni originali scritte da
entrambi appositamente per il
loro duo.
Domenica 18 (alle ore 21,30)
l’universo musicale degli Havona ammanterà di sixties-seventies il turgido suono della
band. Consapevoli della lezione del gruppo capitanato da
Joe Zawinul, attraggono anche
le onde sonore di maestri del
groove funk come Marcus Miller, Sly Stone, George Clinton,
tessendo una rete di assoli sempre ben amalgamati nel tessuto
musicale, mai fini a sé stessi,
dando prova di un’ottima conoscenza della tradizione afroamericana. Un progetto fresco,
ben strutturato e garbatamente
originale.
Serata finale per il ballo straordinariamente popolare anche
in terra di marca il tango che
vedrà protagonista sul palco
dei giardini, che per l’occasione si trasformerà in milonga, il
duo Riganelli Felicioli lunedì 19
agosto, ore 21.30.
foto: havona
68
ATTIVITA’ LO SPECCHIO
Cabaret Voltaire
Ma l’anima del festival ha anche
un lato oscuro da scoprire oltre
i confini del sentire comune, e
si pone l’ambiziosa scommessa
di fare proposte esaltando tutto ciò che è irrazionale e perfino privo di senso; frantumare i
concetti tradizionali di cultura, di morale e di logica comune, provocando scandalo e allora abbiamo riaperto il mitico
Cabaret Voltaire. Negli “aftershow” video musica foto e live
set proseguiranno la programmazione fino a notte fonda.
Appuntamenti live
Il 18 agosto a fine concerto un te e ammiccante del jazz per
live set con il DJ Smegma con: approdare in tutt’altro genere
di porto. Sarà per il pubblico
NO JAZZ DISCO un’occasione per ascoltare geNO WAVE neri poco o per nulla conoPOST-PUNK sciuti, oppure per ritrovare una
MUTANT DISCO gemma perduta. il tutto sempre
JAZZCORE
in equilibrio tra coerenza filoloDj Smegma è il nome da batta- gica e pura follia.
glia dell’ecclettico Vanni Fabbri.
musicista, dj, promoter, il suo
nome è di norma associato alle
forme d’arte più estreme e borderline, comunque raramente
concilianti, ciò nonostante è
in grado di districarsi anche in
contesti più pop e meno disturbanti (Artika Festival, Mukkake
Agency). I suoi dj set sono spesso frutto di maniacali ricerche e
possono drasticamente variare
in base ai contesti in cui viene
collocato. Per il cabaret Voltaire, salperà dal porto concilian-
Il 19 agosto NOISE PARTY.
Viaggio nell’anima inquieta degli anni 80 celebrando il trentennale della formazione dei
NOISE PARTY. Sarà l’occasione
per rileggere il profondo malessere di un artista scomparso
tanti anni fa, Ian Curtis, diventato mito insieme al suo gruppo, i Joy Division.
foto: Vanni Fabbri
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ATTIVITA’ LO SPECCHIO
ALLA SCOPERTA DELLE MARCHE INSOLITE
CON GLI APERITIVI
DELLO SPECCHIO MAGAZINE FESTIVAL
di Luca Pantanetti
S
arà il “locale” il tema portante dell’edizione 2013 dello Specchio Magazine Festival. Locale come scoperta delle ricchezze
del territorio, delle sue storie nascoste,
delle sue peculiarità culturali e paesaggistiche,
che possono trasformarsi in occasioni di crescita
per chi lo abita quotidianamente, e elementi di
fascino per i turisti che lo visitano.
Il Festival offrirà – come già negli anni precedenti – aperitivi letterari alle ore 18:30 presso
il cortile della ex-scuola Diaz a Porto Recanati (C.so Matteotti), organizzati in collaborazione
con l’agenzia di consulenze editoriali Scriptorama. Saranno protagonisti autori che il territorio
l’hanno vissuto e raccontato.
Si inizia il 16 agosto insieme alla redazione de
Lo Specchio Magazine, per “Uscire dall’ombra del proprio campanile, condividere le
esperienze di chi promuove cultura nel nostro territorio. Non solo un’opportunità, ma
un dovere”, un incontro-dibattito per presentare il traguardo dei primi due anni di attività della
rivista e riflettere sulla sua capacità di raccontare
l’attualità. Ma l’incontro sarà soprattutto occasione per offrire nuovi spunti di conversazione e
confronto sulle prospettive e sul futuro di questo territorio, in particolare per i suoi operatori
culturali.
Il 17 agosto gli autori presentano l’antologia “La
nostra terra”, un volume di racconti e poesie,
70
nato dal premio letterario omonimo indetto in
memoria del reporter Mauro Montali, dall’agenzia Scriptorama e dalla redazione del giornale
online Cronache Maceratesi. Quindici opere di
altrettanti autori portano alla luce l’humus dell’identità della provincia attraverso storie e testimonianze.
Il 18 agosto saranno protagonisti Marina Minelli
e il suo “101 Storie delle Marche che non ti
hanno mai raccontato”. La Minelli, giornalista,
blogger e scrittrice, ha composto per la casa editrice Newton Compton una guida storico-turistica sulle insospettabili e insolite vicende nascoste nella regione. Un viaggio attraverso luoghi,
personaggi, date che hanno segnato il territorio,
spesso in maniera sotterranea e timida, e che tuttavia hanno lasciato un segno indelebile nell’identità marchigiana.
Il 19 agosto prosegue la caccia ai misteri marchigiani con gli autori del collettivo Carboneria
Letteraria e il volume antologico “MarcheNoir”.
Tra delitti e denuncia sociale, si snodano le storie
che portano alla luce il lato nascosto della regione e ciò che si cela sotto il “mito” del territorio
dalle belle colline lambite dal mare e dell’operosità e industriosità dei suoi abitanti. Racconti
che diventano specchio del reale, della cronaca
e della quotidianità, ma anche voci dei dimenticati e degli invisibili che sopravvivono ai margini
del benessere.
ATTIVITA’ LO SPECCHIO
“DONNE ALLO SPECCHIO”
IL NOSTRO CONCORSO
di Aurora Foglia
PER TUTTI QUESTI SECOLI LE DONNE HANNO SVOLTO LA FUNZIONE DI SPECCHI, DOTATI DELLA MAGICA E DELIZIOSA
PROPRIETÀ DI RIFLETTERE LA FIGURA DELL’UOMO A GRANDEZZA DOPPIA DEL NATURALE.
(Virginia Woolf, “Una stanza tutta per sé”, 1929)
Silvia Grungo, Treviso, BG - Come sono e come mi vedo
G
iunto alla seconda edizione, il concorso fotografico organizzato dalla
rivista Lo Specchio Magazine sposta
il focus dalle colline marchigiane,
protagoniste dello scorso, fortunato evento, a
ben altro soggetto. Assolute protagoniste sono
le donne, raccontate con uno strumento di comunicazione tanto diretto ed immediato quanto
efficace e profondo.
La scelta del tema da parte della redazione de Lo
Specchio è tutt’altro che legata alla classicità del
soggetto, bensì vincolata al riflesso dei tempi,
in un momento in cui è impossibile, per chi fa
comunicazione, non raccontare storie pressoché
quotidiane di quell’odioso fenomeno che è l’omicidio di genere.
Daniele Pasinetti, Scanzorosciate, BG - Doll woman
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ATTIVITA’ LO SPECCHIO
La giuria, composta da Aurora Foglia per la redazione de Lo Specchio Magazine, e da Antonio
Baleani e Franco Cingolani per il Fotocine Club
di Recanati, ha attentamente esaminato gli scatti,
pervenuti da ogni parte d’Italia, decretando i tre
più meritevoli e i sette degni di segnalazione.
Vincitori:
1 Federica De Stefani, Alessandria
2 Silvia Grungo, Treviso
3 Daniele Pasinetti, Scanzorosciate, BG
Amarti di Carla Murdeo
Pensando a te di Elena Bellito
Woman’s body di Marco Frontalini
72
Menzionati:
Elena Bellito, Milano
Marco Frontalini, Osimo, AN
Corinna Garuffi, Bologna
Sara Imbes, Fano, PU
Dan Masa, Roma
Carla Murdeo,
Rita Santanatoglia, Loreto, AN
Fragili come crisalidi o forti come rocce, a tinte
forti o in sfumature di grigio, di carne lattea o di
solo fumo, le Donne allo Specchio sono state ritratte da numerosi fotografi amatoriali, con innumerevoli punti di vista, così come innumerevoli
sono le sfaccettature della figura femminile. Al
pubblico la possibilità di stabilire se tale molteplicità è frutto di condizionamenti della società
odierna, o se è semplicemente insita della natura
della donna.
Identità scomposte di Corinna Garufi
LANDSCAPE
ARTE DELLA LUCE
‘
L‘Arte della Luce’ presso il
Castello Svevo dall’11 al 22
agosto sarà un’occasione da
non perdere per gli amanti
della natura, dei paesaggi e di
tutto ciò che ancora è rimasto
di intatto intorno a noi. L’occhio del Team Dreamer Landscape vuole proporre ancora
una volta nuove e forti emozioni per quello che riescono
a cogliere quando si trovano di
fronte a meraviglie naturali. Chi
ha avuto la fortuna di vedere
la mostra fotografica lo scorso anno sa che la qualità delle
immagini proposte è davvero
alta. Sono quelle immagini che
ti tolgono il fiato e che ti fanno
pensare a immagini da cartoline. Gli espositori sono riusciti
ad immortalare scatti bellissimi
facendo risaltare le bellezza di
un luogo, raccontando un luogo, uno stato d’animo cogliendo i tratti più nascosti e silenziosi. Questo grazie alla loro
esperienza.
L’apertura della mostra fotografica sarà domenica 11 agosto
ore 19 presso la Sala Biagetti,
Castello Svevo.
“Io porto la mia macchina fotografica ovunque vada. Avere
un nuovo rullino da sviluppare
mi da una buona ragione per
svegliarmi la mattina.” Andy
Wahrol
73
LO SPECCHIO
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MAGA ZINE
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sito di informazione commerciale. È il risultato del lavoro di una comunità, scritta da volontari con la loro competenza, conoscenza e
amore per il territorio. Anche tu fai parte della nostra comunità. E ti
invitiamo per chiederti di sostenere il nostro progetto “Lo Specchio
Magazine”. Insieme possiamo riuscire a mantenerla gratuita e libera.
Possiamo riuscire a farlo vivere in modo che tutti possano usare le
informazioni che contiene e far conoscere, in maniera approfondita
e libera, il nostro territorio. Possiamo farla continuare a crescere, a
farle diffondere informazione e cultura e a mantenerla aperta alla
partecipazione di tutti.
Vanni Semplici, Presidente Associazione Culturale Lo Specchio
Donazione con bonifico bancario
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