I PARTE La storia 1 La ragazza gli passò davanti
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I PARTE La storia 1 La ragazza gli passò davanti
I PARTE La storia 1 La ragazza gli passò davanti: gambe lunghe, capelli chiari che le arrivavano alle spalle, passo leggero, come se nuotasse nell’aria. Non era la prima volta che la vedeva; era apparsa una mattina, figura bionda e solitaria in pantaloni e giubbetto – sempre gli stessi – e adesso faceva ormai parte del giardino, come la fontana, gli alberi e la pista di pattinaggio. Da quella mattina aveva preso l’abitudine di cercarla con lo sguardo, non sapeva perché. Si era seduta sulla solita panchina, incrociando le gambe e infilando le mani nelle tasche del giubbetto, l’espressione fissa davanti a sé. Richiamò il cane, che corse verso di lui galoppando, le orecchie due triangoli: su e giù, giù e su. Il tartufo sporco di terra. – Ma come ti sei conciato, guarda che naso! – Burt rise e prese a zampettargli intorno. – Ehi, bella figa, come mai tutta sola? Erano in due. Uno alto e biondo. L’altro tozzo e moro. La ragazza non rispose. Si sedettero, il biondo alla sua sinistra, il moro alla sua destra, visti di fronte. Legò il cane al guinzaglio e sedette anche lui, sulla panchina vicina. Vide il biondo cingerla con un braccio. Lei si scostò. – Ho un bel giocattolo per te – le disse. Lei non rispose. 5 Laura Schiavini – Grosso e lungo. Gli parve di averlo visto abbassarsi lo zip dei jeans, ma non era sicuro. – Puoi farci quello che vuoi, è tutto tuo. – Vattene – disse lei. Aveva la voce roca, di chi fuma trenta sigarette al giorno. – Se è per lui – disse il biondo, guardando l’amico – non ti preoccupare, gli piace guardare. La ragazza non rispose, continuando a fissare un punto fisso davanti a sé. – Ho capito, vuoi un po’ di roba per eccitarti? Ho della roba di prima qualità, ti spara in alto come un missile. Le stava accarezzando i capelli. Il moro rideva. La ragazza gli sputò in faccia: – Va’ a cagare. Il biondo si asciugò lo sputo dalla guancia e l’afferrò per le spalle: – Razza di troia, chi ti credi di essere? Burt diede uno strattone così forte al guinzaglio che si ritrovò in piedi. Si guardò intorno: a parte quei tre, non c’era nessuno. Doveva per forza passare davanti alla panchina, se voleva imboccare il vialetto che portava all’uscita del giardino. – Lascia stare la signora – si sentì dire. – E questo chi sarebbe? – chiese il biondo al suo amico. – Quello che chiama la polizia se non te vai entro trenta secondi – rispose, indicando il cellulare appeso alla cintura. – E se io ti spappolassi il tuo bel telefonino insieme a quella testa di cazzo che ti ritrovi? – Disse il biondo, alzandosi. Era più alto di lui di almeno una spanna. Alto e ben piantato. – Non so se ti conviene. Sono cintura nera di judo. – Andiamo, dai – disse il moro. 6 La fortuna è un talento La ragazza era sempre seduta con le mani dentro le tasche del giubbetto. Le gambe incrociate. – Sono tentato di metterti alla prova, faccia di culo. – Provaci. Burt si mise ad abbaiare. Poi ringhiò, scoprendo i denti. Il biondo si mosse con aria indolente. Lo fissò a occhi stretti e si aggiustò i genitali. Lo zip non era aperto. Il moro lo afferrò per un braccio: – Su andiamo, che ti frega di questo qui? Burt tirava e abbaiava come un ossesso. Dovette strattonarlo. Guaì. I due se ne andarono. 2 – Tutto bene? – Chiese. Lei annuì appena. – Che razza di bastardi – commentò mentre Burt tirava verso di lei. – Sta’ fermo Burt. La ragazza allungò la mano e gli solleticò la testa. Burt le saltò in grembo e, prima che lui potesse impedirglielo, le leccò la faccia facendola ridere: aveva una risata di carta vetrata. Lui lo prese in braccio: – Scusa, è un po’ irruente. Si guardarono. Lui notò che aveva gli occhi blu scuro e le ciglia nere, senza trucco. Poi le guardò la bocca, piuttosto grande, il labbro inferiore più carnoso di quello superiore, il contorno ben delineato benché non ci fosse traccia di rossetto. – Come ti chiami? – le chiese. 7 Laura Schiavini – Lorena. – Be’, io vado. Lorena annuì. Sembrava non ci fosse altro da aggiungere tranne un cenno di ringraziamento da parte sua che però non venne. Aspettò un attimo, quindi strattonò Burt, e fece per andarsene. – E tu? Si voltò. – Daniele. – Sei davvero cintura nera di judo? – No. Lorena si alzò. Gli sembrò più alta di quando l’aveva vista camminare verso la panchina. Sicuramente era più alta di lui. Gli si affiancò. Sì, era più alta di lui. Burt ricominciò a tirare. – Al passo Burt, possibile che tu non sappia camminare, ma solo correre? Rallentò, bloccando il guinzaglio estensibile per costringere Burt a stare al passo. – Nessuno sa più camminare, tutti corrono, dove dovranno mai andare... – mormorò Lorena con quella voce di carta vetrata che gli raschiava la pelle. Si mise al passo pure lui, il passo calmo e fluido di Lorena. Quando furono sulla via principale il rumore del traffico che prima giungeva ovattato si fece assordante. – Ti va un tè? Abito qui vicino – disse lei. Lui guardò l’orologio. – Sempre se non hai qualche impegno. – No, nessun impegno. S’inoltrarono in una strada secondaria e poi in un vicolo stretto dove non passavano macchine. Lorena entrò in un portone. Daniele la seguì nell’interno buio e su per una 8 La fortuna è un talento rampa di scale di pietra scivolosa. I pianerottoli erano angusti con tre porte per ciascuno. Al quinto piano ce n’era solo una, di porta. Burt aveva la lingua fuori e anche Daniele ansimava. Lorena infilò la chiave nella toppa ed entrò in un interno chiaro, luminoso. In un colpo d’occhio Daniele inquadrò il pavimento di tavole di legno e due lucernari sul soffitto spiovente da cui entrava il cielo. Blu, come gli occhi di lei. Le pareti erano bianche e spoglie. Al centro della stanza un letto di ferro, con la sopraccoperta bianca. In un angolo una minuscola cucina dotata di lavello, frigo e un piccolo tavolo con due sedie pieghevoli. Vicino al letto, su un supporto di legno piuttosto spartano, un computer, una lampada e un telefono. A destra del letto, una struttura in acciaio su cui erano appesi dei vestiti neri e bianchi. Alla sua sinistra, una cassa di legno, chiusa, e un tenda bianca, anch’essa chiusa. Sembrava un alloggio provvisorio. – Puoi sederti sul letto – disse Lorena, mentre metteva a bollire l’acqua per il tè. Burt balzò su. – No Burt, non diceva a te. – Lascialo, non è un problema. In un attimo la sopraccoperta bianca era chiazzata d’impronte di cane. Squillò il telefono. Lorena continuò a disporre le tazze, la teiera, e la zuccheriera sul minuscolo tavolo. – Ciao, lascia un messaggio, ti richiamerò appena posso – recitò la sua voce in segreteria. Una voce calda, roca e fumosa. La voce più sensuale che avesse mai sentito. – Come sta il culetto più bello della città? Sono qui con qualche amico, perché non vieni che ci divertiamo un po’? Si udì un clic, poi più nulla. Un pesante silenzio aleggiò nella stanza. Daniele si accorse di avere le guance in 9 Laura Schiavini fiamme come un adolescente sorpreso a spiare dal buco della serratura. – Che imbecille – esordì Lorena – mi lascia sempre messaggi di questo tipo. Vieni, è pronto il tè. Povero Burt, avrai sete. Prese una bacinella e la riempì d’acqua. Burt si fiondò a bere. – Li conosci quelli? – chiese Daniele. – Quei due di prima? Sì, devo averli visti da queste parti. Sono due balordi. Com’è il tè? – Buono. – Mi spiace ma non ho altro da offrirti – si scusò Lorena lanciandogli un lungo sguardo blu. – Va benissimo il tè, grazie. Di nuovo il telefono. La segreteria si inserì al secondo squillo, questa volta. – Ti aspetto al solito posto alle otto. Mettiti in tiro, questo qui è un pezzo grosso, un grosso maiale che adora le maialine come te. Se ci sai fare, cinquecento per tutta la notte. La voce era molto diversa da quella di prima. Daniele fissò i due lucernari per non guardarla in faccia. – I miei amici hanno sempre voglia di scherzare – disse Lorena, tirando fuori dalla borsa le sigarette. Poi frugò alla ricerca dell’accendino. Non lo trovò. – Devo averlo lasciato vicino al letto. Daniele fece per alzarsi, ma l’erezione lo inchiodò alla sedia. – Ah eccolo! – esclamò Lorena. – Sei molto bella – mormorò, fissandole la bocca per non guardarle gli occhi, troppo blu. Lei aspirò il fumo arricciando le labbra, poi si passò la lingua sul labbro superiore. 10 La fortuna è un talento – Ho caldo – esclamò, e si tolse il giubbetto. I seni colmi ondeggiarono sotto la canottiera in microfibra. Niente reggiseno, capezzoli larghi. Aveva la pelle rosa, le spalle ampie, un po’ muscolose, il collo lungo. Non portava collane né orecchini. S’infilò il dito indice fra i capelli e vi arrotolò una ciocca, fissandolo. Burt dormiva, accoccolato ai suoi piedi. – Adesso devo andare – disse Daniele, ma non si alzò. – Lavoro? – Sì, s’è fatto tardi. Altro squillo. Questa volta Lorena andò a rispondere ondeggiando indubitabilmente il culo più bello della città sotto i pantaloni tecno. Allacciò il guinzaglio a Burt, lo strattonò e si diresse verso l’uscita. Prima di aprire la porta le fece ciao con la mano. Nel chiudersi la porta alle spalle la sentì dire: – Ma che cretino... – Quel “cretino” gli graffiò la pelle come carta vetrata. 3 Burt sguazzava nelle pozzanghere e vi emergeva, il ritratto della felicità, inzaccherato di acqua e fango. – Andiamo Burt, muoviti – lo richiamò Daniele, ormai bagnato fradicio. Non sopportava la pioggia e detestava dover portare a spasso il cane con l’ombrello in una mano e il guinzaglio nell’altra. Aveva fatto l’errore di liberarlo e quello si sentiva in diritto di andare per i fatti propri, naturalmente nella direzione opposta. 11 Laura Schiavini Gli corse dietro: – Fermati, ma dove... Lei era là, sulla stessa panchina dell’altra volta. Sotto la pioggia. Le mani infilate nel giubbetto e le gambe incrociate. Burt era balzato sulla panchina e le stava leccando il viso rigato di pioggia. O di lacrime. – Ciao – la salutò. – Ciao. – Ti prenderai un malanno. – Ci sono abituata. Ripigliò Burt per il collare e lo agganciò al guinzaglio. – Aspetti qualcuno? – No. – Vieni via con me? – Si sentì dire. Lei alzò gli occhi. Sempre blu, nonostante il cielo grigio. – E dove? – In un posto asciutto, un bar. Ti offro un caffè. – Non ti piace la pioggia? – La detesto. – È bella la pioggia. Ti lava fuori e dentro. Dopo un po’ non te ne accorgi nemmeno, di essere bagnato, ti senti limpido, trasparente, senza peso ... Si sedette chiudendo l’ombrello. Non si vedeva in quella scena, seduto accanto a lei sulla panchina sotto la pioggia, con l’ombrello. Dopo un minuto i capelli, la giacca e i pantaloni erano inzuppati. Starnutì. Burt scavava nel fango sotto la panchina, il pelo come quello di un topo di fogna. – Senti come bevono? – Chi? – Le piante, gli alberi. Fanno un rumore lieve, come un sospiro al contrario. – Io non sento niente. 12 La fortuna è un talento – È perché non sei abituato ad ascoltare. – Senti, io me ne vado, mi si sono bagnate persino le mutande. – Come vuoi. – Tu resti qui? – Sì. Rimase seduta sotto la pioggia, immobile, i fili dei capelli inzuppati, il viso rigato di pioggia o di lacrime, la bocca lievemente aperta in un sorriso dolce e malinconico. 4 – Chi è? – Daniele. – Daniele chi? – Il padrone di Burt. Indossava un accappatoio rosa – la cintura allacciata alla rinfusa – che si apriva sul seno, fino al ventre. Ebbe una fugace visione dei suoi capezzoli, rosa e larghi che guizzavano nei seni colmi e ondeggianti. Distolse lo sguardo verso il suo viso, un po’ gonfio, come le palpebre. Il nero delle pupille cancellava quasi tutto il blu. – Che ore sono? – Le dieci. – Di sera o di mattina? – Di mattina. – Entra – lo invitò Lorena scansandosi dalla porta per farlo entrare. Poi si voltò e ancheggiando indubitabilmente il culo più bello della città, fasciato dall’accappatoio, attraversò la stanza e scomparve nella tenda bianca. Dopo un po’ udì lo scroscio della doccia. 13 Laura Schiavini Si lasciò cadere sul letto disfatto, ma candido, che profumava di lei. Era un odore già sentito, familiare in un certo senso. Gli ricordava l’odore delle lenzuola che sua nonna stendeva su lunghe corde in mezzo al prato sotto casa quando la città non si era ancora divorata la campagna. Erba fragrante e sapone di Marsiglia o qualcosa del genere. Lorena emerse dalla tenda con addosso una t-shirt incollata al corpo bagnato e nudo non fosse per le minuscole mutandine bianche, leggermente trasparenti. I capelli gocciolanti un po’ meno biondi di prima. – È una settimana che non ti vedo in giardino. – Avevamo un appuntamento? – No, è che ... – E Burt? – A casa. – Ti devo parlare – soggiunse Daniele dopo un po’. Lorena si accese una sigaretta e tossì. – Butta via quella roba, ti fa male. Lei rise. Carta vetrata sulla pelle: – Sono altre le cose che mi fanno male. – È di questo che ti voglio parlare. – Sono tutta orecchi. – Vorrei farti delle domande. Sulla tua vita. – E perché? – Sono uno scrittore. Lei si sdraiò accanto a lui, di fianco. Le lunghe gambe raggomitolate. La maglietta salì un poco scoprendo le mutandine bianche e il ventre piatto, come quello di una bambina. Si attorcigliò una ciocca bagnata intorno all’indice e lo fissò. Gli occhi stavano ridiventando blu anche se la luce che filtrava dai lucernari era sempre grigia. 14 La fortuna è un talento Il suo profumo, che gli arrivò dritto al naso, era un paradosso, era il profumo che ci si sarebbe aspettati da un’adolescente di buona famiglia, non da una donna come Lorena che evocava aromi più sofisticati. – Cosa scrivi? – Romanzi, ma anche sceneggiature e testi teatrali. – Sei famoso? – Sì, abbastanza. – E vendi? – Il mio ultimo libro ha venduto trecentomila copie. Di un altro hanno tratto un film e una rappresentazione teatrale di cui ho curato il testo. Inoltre, da un po’ di tempo, ho messo insieme una cooperativa letteraria allo scopo di promuovere nuovi talenti. – Come fai di cognome? – Aloisi. – Mai sentito. – Non leggi? – Sì, ma non autori italiani. – E cosa leggi? – Shakespeare. – Di più attuale, intendo. – Ti sembra che Shakespeare non sia attuale? – Certo, i grandi lo sono sempre. – Cosa intendi per grandi? – Tolstoj, Proust, Balzac, Flaubert... potrei farti un elenco lunghissimo. – Non hai citato nemmeno un autore contemporaneo. Daniele esitò un attimo e Lorena incalzò: – Non c’è n’è uno che meriti di essere citato. È per questo che non li leggo. Secondo me non hanno più storie da raccontare e usano lo stile per mascherare la mancanza d’idee. Oppure parlano solo di se stessi, io, io, io e il mio cavallo. 15