nota di commento danno non patrimoniale csm

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nota di commento danno non patrimoniale csm
Nota di commento: «Danno non patrimoniale: grande è la confusione sotto il cielo, la situazione
non è eccellente».
I. Il caso
Più che sulla fattispecie concretamente esaminata dalle S.U. — l’entità del risarcimento da
riconoscere ad un uomo che aveva perso un testicolo per un errore medico — la pronuncia in
commento si segnala all’attenzione dei lettori per l’ampia disamina dei maggiori temi controversi in
materia di risarcimento del danno non patrimoniale.
Sicché varrà soltanto rammentare che la decisione delle S.U. prende le mosse da un’ordinanza di
rimessione — dalla quale traspare con discreta chiarezza che il rimettente si attendeva ben altre
risposte — risalente al febbraio 2008 (CASS., 25.2.2008, n. 4712, cit. infra, sez. III).
II. Le questioni
1. IL DANNO NON PATRIMONIALE DA INADEMPIMENTO CONTRATTUALE. Volendo ordinare i
principali argomenti esaminati dalle Sezioni Unite secondo una graduatoria di importanza ed
innovatività, l’attenzione deve essere con tutta probabilità anzitutto riservata all’ampio capitolo
dedicato al danno non patrimoniale da inadempimento contrattuale.
In proposito le S.U. osservano:
(i) l’esclusione della risarcibilità del danno non patrimoniale da inadempimento contrattuale,
lungamente riconosciuta dalla prevalente dottrina e giurisprudenza, sarebbe costruita sulla
«mancanza, nella disciplina della responsabilità contrattuale, di una norma analoga all'art. 2059 c.c.,
dettato in materia di fatti illeciti»;
(ii) l'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c., nel rendere manifesto che la
lesione dei diritti inviolabili della persona da cui sia scaturito un danno non patrimoniale comporta
l'obbligo risarcitorio, consentirebbe viceversa di affermare, ora, che anche nella materia della
responsabilità contrattuale è dato il risarcimento dei danni non patrimoniali;
(iii) la conclusione che precede si accorderebbe col rilievo, tratto dall’art. 1174 c.c., che,
nell'ambito delle obbligazioni contrattuali, possono assumere consistenza anche interessi non
patrimoniali, come accade per i c.d. contratti di protezione (contratti del settore sanitario, contratti
tra allievo e istituto scolastico) ed i contratti implicanti già sul piano legislativo il riconoscimento di
interessi non patrimoniali (contratto di lavoro).
Nessuna delle affermazioni delle S.U. coglie nel segno.
È incontestabile, innanzitutto, che l’art. 185 c.p. non lascia né ha mai lasciato alcuno spazio
all’opinione che sia irrisarcibile il danno non patrimoniale da inadempimento contrattuale
costituente reato (frode in commercio, insolvenza fraudolenta, truffa, appropriazione indebita, ecc.).
Con la precisazione — la quale avrebbe dovuto mettere sull’avviso le S.U. sull’erroneità della
relazione da esse stabilita tra interesse leso e danno risarcibile, su cui si tornerà tra breve — che il
danno non patrimoniale da reato è risarcibile anche se il reato abbia colpito non la persona, ma,
come negli esempi fatti, soltanto il patrimonio. Un diverso indirizzo non può certo trarsi da qualche
affermazione isolata ed assolutamente priva di argomenti, come quella secondo cui il risarcimento
del danno non patrimoniale «presuppone l’esistenza di una responsabilità extracontrattuale» (CASS.,
23.12.2003, n. 19769, cit. infra, sez. III).
È senz’altro vero, invece, che, pur senza eccessivo approfondimento, la dottrina un tempo
prevalente ha escluso, ma solo al di fuori dell’ipotesi di inadempimento costituente reato, la
risarcibilità del danno non patrimoniale da inadempimento. E tuttavia una simile opinione non
risulta essere stata mai e poi mai fondata — come asserito dalle S.U. — sulla mancanza, nel settore
contrattuale, «di una norma analoga all'art. 2059 c.c.».
Al contrario, l’indirizzo dottrinale in passato più diffuso ha tratto l’affermazione della non
risarcibilità proprio dall’assunto opposto, sostenendo, cioè, che l’art. 2059 c.c. si applica anche alla
responsabilità contrattuale: «È vero che questo articolo è scritto sotto il Titolo IX “Dei fatti illeciti”
del Libro Quarto “Delle obbligazioni”; ma nondimeno noi riteniamo che la sua portata non debba
restringersi alla sfera extracontrattuale» (DE CUPIS, Il danno, 59, cit. infra, sez. IV; sulla stessa linea
RUSSO, Concorso dell’azione aquiliana, 971; ASQUINI, Massime non consolidate, 9; BARASSI,
Teoria generale delle obbligazioni, 467; BIANCA, Diritto civile, 170, citt. infra, sez. IV). E
parimenti la giurisprudenza, nelle poche pronunce in argomento, ha sempre ammesso, fino alla
«svolta» del 2003, la risarcibilità del danno non patrimoniale contrattuale nel solo caso del reato
(CASS., 26.1.1989, n. 473; CASS., 20.1.1985, n. 472; CASS., 6.8.1964, n. 2252; APP. Perugia
8.6.1998; TRIB. Lucca 18.1.1992; TRIB. Bologna 17.4.1975; APP. Catanzaro, 30.1.1953, citt. infra,
sez. III). Dopo la svolta, invece, la S.C. ha iniziato a riconoscere la risarcibilità del danno non
patrimoniale da inadempimento dando ancora una volta per scontata l’applicabilità al campo
contrattuale dell’art. 2059 c.c., ma ritenendo ampliati alla lesione dei diritti della persona
costituzionalmente protetti i casi di risarcibilità previsti dalla legge (v. con riguardo al settore
lavoro, tra le prime successive alle «sentenze gemelle», CASS. 27.4.2004, n. 7980; CASS. 26.5.2004,
n. 10157, citt. infra, sez. III).
Altra parte della dottrina, diversamente, esclude l’applicabilità dell’art. 2059 c.c. alla
responsabilità contrattuale per due ragioni così sintetizzabili: da un lato per una elementare
considerazione tecnica, quale la collocazione della norma nel comparto aquiliano, in assenza di una
disposizione di rinvio simmetrica, per così dire, all’art. 2056 c.c.; dall’altro lato perché è
evidentemente disagevole attribuire il valore di principio generale (che, in tal caso avrebbe dovuto
essere naturalmente collocato con gli artt. 1218 ss. c.c.) ad una formula che ha nel «non» il suo
termine di maggiore importanza.
Nondimeno, coloro i quali negano l’applicabilità dell’art. 2059 c.c. alla responsabilità
contrattuale pervengono poi a conseguenze radicalmente opposte.
Alcuni escludono la risarcibilità del danno non patrimoniale contrattuale movendo proprio
dall’art. 1174 c.c. — che le S.U. sbrigativamente invocano a sostegno della tesi opposta —, il quale
pone il principio della patrimonialità della prestazione, letto unitamente all’art. 1223 c.c. (i termini
della questione sono riassunti di recente da BARCELLONA, Il danno non patrimoniale, 87; nel senso
indicato si veda, p. es., DONATI, Danno non patrimoniale, 77, citt. infra, sez. IV). In sostanza, si
osserva che il combinato disposto degli artt. 1174 e 1223 c.c., «ponendo il limite della
“patrimonialità” della prestazione ed indicando il secondo come risarcibili la “perdita” e il
“mancato guadagno”, sembrano voler dare rilevanza solo alla dimensione propriamente economica»
(BARCELLONA, op. cit., 87; ulteriori richiami infra, sez. IV).
Altri, esclusa la pertinenza dell’art. 2059 c.c., pervengono all’opposta soluzione movendo
dall’affermazione secondo cui l’art. 1218 c.c., il quale «pone a carico del debitore, che non esegue
esattamente la prestazione dovuta, il generico obbligo di risarcire il danno», va inteso in senso
ampio comprensivo sia del danno patrimoniale che di quello non patrimoniale (BONILINI, Il danno
non patrimoniale, 231; BUSNELLI, Interessi della persona e risarcimento del danno, 15, citt. infra,
sez. IV, cui si rinvia per ulteriori citazioni).
Questo essendo il quadro sintetico delle opinioni, ben diverso da quello ipotizzato dalle S.U., è
agevole controbattere ad esso che né l’art. 2059 c.c. né la Costituzione hanno nulla a che vedere con
il tema della risarcibilità del danno non patrimoniale da inadempimento contrattuale.
Quanto all’art. 2059 c.c. può aggiungersi alle osservazioni già rammentate, da sole risolutive,
che la totale inconferenza della regola da esso posta è resa palese dalla elementare osservazione che
nulla impedisce alle parti, ricorra o meno uno dei casi previsti dall’art. 2059 medesimo, di pattuire
una penale contrattuale per il caso del verificarsi di danni non patrimoniali: e ciò — è subito il caso
di aggiungere — non solo quando il contratto rispecchi un interesse non patrimoniale del creditore,
ex art. 1174 c.c., bensì anche nell’ipotesi di conclamata patrimonialità. Così, dinanzi al preliminare
di compravendita immobiliare, bene possono i contraenti stipulare una penale volta a coprire anche
o soltanto il disappunto eventualmente patito dall’acquirente per la mancata stipulazione del
definitivo (l’esempio è di CRICENTI, Inadempimento e danno nel contratto preliminare, 19, cit.
infra, sez. IV; sull’ammissibilità di una penale contrattuale per il danno non patrimoniale da
inadempimento, che per la verità nessuno sembra aver mai messo in discussione, v. pure ZENOZENCOVICH, Interesse del creditore, 87; COSTANZA, Danno non patrimoniale e responsabilità
contrattuale, 127, citt. infra, sez. IV).
Val quanto dire, allora, che la regola del danno non patrimoniale da inadempimento è in linea di
principio nelle mani dei contraenti.
Insomma, contrariamente a quanto affermato dalle S.U., l’art. 2059 c.c. è inapplicabile alla
responsabilità contrattuale. Diceva Calamandrei che «gli articoli di legge sono come figli mandati
per il mondo in cerca di fortuna» (CALAMANDREI, Il risarcimento dei danni non patrimoniali, 171,
cit. infra, sez. IV): all’art. 2059 c.c. — che, proseguendo nel sottolineare l’aspetto antropomorfo
delle norme, potremmo accogliere nella schiera dei nani e delle ballerine — di fortuna, in questi
ultimi anni, ne è stata procurata davvero troppa.
Quanto alla Costituzione, sarà consentita una preliminare considerazione polemica. La
Costituzione, fin troppo strattonata a fini interpretativi di qua e di là — tanto che l’interpretazione
c.d. costituzionalmente orientata sembra talora debordare verso esiti di vera e propria produzione
normativa — viene presentata oggi dalle S.U., parrebbe per la prima volta, nelle scomode vesti
dello strumento di contenzione della volontà dei contraenti, volontà che lo stesso legislatore fascista
giudicava invece libera di dispiegarsi, ai sensi dell’art. 1322, secondo comma, c.c., sia pure entro i
limiti della meritevolezza. Si pensi al noto esempio (prospettato dal WINDSCHEID, Diritto delle
pandette, 5, cit. infra, sez. IV) della pattuizione, conclusa da un uomo col proprio vicino di casa,
affinché quest’ultimo non suoni il pianoforte: secondo le S.U, con la pronuncia in commento, il
vicino potrebbe impunemente sciogliersi dal contratto, giacché la Costituzione non tutela il diritto al
silenzio e alla tranquillità, e dunque in un simile frangente, in caso di inadempimento, non potrebbe
ricorrere un danno non patrimoniale risarcibile. Il che è un’assurdità, e non occorre un Windscheid
per capirlo.
Ma torniamo al tema. La Costituzione potrebbe interferire con la questione della risarcibilità del
danno non patrimoniale da inadempimento contrattuale solo se potesse stabilirsi una relazione di
stretta corrispondenza tra natura dell’interesse creditorio dedotto in contratto, ipoteticamente di
rilevanza costituzionale, e natura (non patrimoniale) del danno scaturito dalla sua lesione e
suscettibile di risarcimento. In proposito — bisogna a malincuore sottolineare — le S.U. mostrano
incerta consapevolezza dei termini del problema, tanto da incorrere in affermazioni contraddittorie.
Da un lato esse ribadiscono ben otto volte che anche il danno non patrimoniale risarcibile, come
quello patrimoniale, è un «danno-conseguenza», e si identifica cioè non ancora con la lesione
dell’interesse protetto, bensì con le conseguenze di essa. Dall’altro lato sostengono — senza
avvedersi di negare la nozione stessa di danno-conseguenza — che «il danno non patrimoniale deve
essere inteso nella sua accezione più ampia di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti
la persona non connotati da rilevanza economica».
Ora, non manca in dottrina l’opinione di chi ravvisa un rapporto di necessaria implicazione tra
natura dell’interesse e natura del danno (v., in tal senso, DE CUPIS, op. cit., 59; BIANCA, op. cit.,
177; BURDESE, Manuale, 594; SCUTO, Osservazioni sul danno non patrimoniale, 452; PERFETTI,
Prospettive di un’interpretazione dell’art. 2059 c.c., 1074, citt. infra, sez. IV). È proprio tale
opinione, anzi, che sta alla base dell’esclusione della risarcibilità costruita, secondo quanto si è
accennato, a partire dalla nozione di patrimonialità.
La tesi però equivoca — come le S.U., del resto — sul duplice significato del lemma «danno»,
con cui si suole indicare sia la lesione in sé che le conseguenze dannose — il danno cui è
parametrato il risarcimento — che ne scaturiscono. Chiarito l’equivoco, è allora del tutto evidente
che un rapporto di interlocuzione tra interesse e danno risarcibile è solo eventuale. E cioè non c’è
alcun dubbio, neppure remoto, che dalla lesione di un interesse non patrimoniale possa derivare un
danno patrimoniale (l’operazione di dermoabrasione di una pagatissima fotomodella lascia profonde
cicatrici sulle sue guance, sicché la poverina non lavora più), ovvero che dalla lesione di un
interesse patrimoniale possa derivare un danno non patrimoniale (il locatore omette di riparare
l’impianto di riscaldamento dell’immobile locato ed il conduttore si ammala per il freddo).
Una volta chiarito che non c’è una relazione necessitata tra interesse e danno (sul che v.
BARCELLONA, op. cit., 76; GAZZARA, Il danno non patrimoniale, 24; CRICENTI, Il danno non
patrimoniale, 83; FRANZONI, Il danno alla persona, 595; SALVI, Il danno extracontrattuale, 73, citt.
infra, sez. IV), diviene ineluttabile ritenere che il rilievo costituzionale dell’interesse creditorio cui
l’obbligazione ipoteticamente risponda non conti ai fini della risarcibilità del danno non
patrimoniale né punto né poco.
L’accento, allora, va spostato tutto sull’art. 1223 c.c., laddove esso stabilisce che: «Il
risarcimento del danno per l'inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita
dal creditore come il mancato guadagno». Il danno non patrimoniale, come danno-conseguenza, è
costituito anch’esso, come il danno patrimoniale, proprio da quella perdita e mancato guadagno. E
tale danno è interamente il medesimo — tranne talune differenze disciplinari non trascurabili, ma
certo non decisive, tra le quali in primo luogo il rilievo della prevedibilità di cui all’art. 1225 c.c. —
sia dal versante contrattuale che da quello extracontrattuale. Ma allora, se la «perdita» menzionata
nell’art. 1223 c.c., è da intendersi nel comparto aquiliano, per il tramite dell’art. 2056 c.c., quale
perdita patrimoniale o non patrimoniale, non v’è modo di attribuire alla stessa espressione un
diverso significato in ambito contrattuale. Ciò vuol dire, in definitiva, che il danno non
patrimoniale, sotto specie di danno-conseguenza, una volta che sia stato consumato
l'inadempimento (ossia l'elemento strutturalmente corrispondente alla lesione del diritto/interesse
protetto in ambito extracontrattuale) è sempre risarcibile: lo è perché (e se) esso costituisce una
«perdita», per usare il vocabolo, onusto di storia, impiegato dall'art. 1223 c.c.. Insomma, come è
stato detto ormai venticinque anni fa, l’identificazione della perdita menzionata dalla norma con la
perdita economica è solo il frutto di un'argomentazione che si tramanda e che è indicativa di una
mentalità patrimonialistica ormai superata (BONILINI, op. cit., 232).
Semmai, bisogna intendersi sulla nozione stessa di perdita non patrimoniale, che non può essere
identificata con qualunque battito di ciglia o incrinatura dell’espressione. Tra le tante cose che le
S.U. non hanno capito del danno esistenziale — al quale qui potrà soltanto accennarsi — è che esso
consente una valorizzazione delle «attività realizzatrici della persona» anche come parametro
selettivo dei danni risarcibili. Le «attività realizzatrici della persona» costituiscono in definitiva
l’elemento unificante dei diversi pregiudizi non patrimoniali: ed esse rimangono compromesse —
questo ha sempre sostenuto la dottrina esistenzialista, su cui v. infra, sez. IV — non per effetto di
qualunque impedimento al «fare», quale che ne sia il peso: occorre insomma che ne risenta la
persona nella sua integrità.
Questa conclusione, infine, non può certo trovare un ostacolo serio nella circostanza che la
perdita dell’art. 1223 c.c. sia accoppiata al mancato guadagno, in cui pare percepirsi più
direttamente l’odore dei soldi. Sarà anzi il mancato guadagno ad acquisire ormai una coloritura
eventualmente anche non patrimoniale, quale ostacolo — volendo concorrere allo sport del
saccheggio costituzionale — al «pieno sviluppo della persona umana».
Resta da chiedersi perché le S.U. sentano il bisogno di avventurarsi con così deboli
argomentazioni nella costituzionalizzazione del danno non patrimoniale da inadempimento: ed è
facile ipotizzare che esse intendano porre così un argine al dilagare — che i giudici evidentemente
si rappresentano come certo o almeno probabile — delle pretese risarcitorie. Chiliasti della
responsabilità civile paventano da anni tragiche inondazioni risarcitorie e fanno così appello
accorato al floodgate argument. Senza avvedersi che permangono terre emerse ove il risarcimento
del danno non patrimoniale non incontra limiti (la Francia, per esempio) e che sulla medesima
strada parrebbe incamminarsi l’Europa, giacché l'art. 9:501 dei Principi di diritti Europeo dei
contratti riconosce che: «Il danno di cui può essere domandato il risarcimento comprende a) il
danno non patrimoniale, e b) il danno futuro che è ragionevolmente prevedibile», mentre l'art. 7.4.2
dei Principi Unidroit afferma che: «il danno può essere di natura non pecuniaria e comprende per
esempio, la sofferenza fisica e morale» (v. infra, sez. IV).
2. LE ALTRE QUESTIONI. Lo spazio dedicato al risarcimento del danno non patrimoniale da
inadempimento contrattuale è stato tanto, ed ora ne rimane poco per soffermarsi sul resto della
sentenza. Il livello di consapevolezza della pronuncia in commento è pressappoco il medesimo,
sicché val la pena di andare rapidamente per punti.
a) La tipicità del danno non patrimoniale. Per la verità, dopo aver evidenziato che il danno non
patrimoniale può generarsi senza limiti dall’inadempimento di un contratto, discorrere di tipicità di
esso è tempo perso. Nondimeno, accenniamo al problema.
Per le S.U. il danno patrimoniale è atipico, il danno non patrimoniale è tipico, e cioè ricorre,
secondo l’art. 2059 c.c., nei soli «casi determinati dalla legge», ivi compreso il caso della lesione di
un diritto inviolabile: si intende così realizzare un ampliamento controllato dei diritti dalla cui
lesione può generarsi danno non patrimoniale.
Si tratta ancora una volta del floodgate argument: della diga da frapporre al dilagare delle pretese
risarcitorie. Ma è una diga costruita sulla sabbia. È fatica sprecata tentare di conservare il carattere
della tipicità del risarcimento del danno non patrimoniale accoppiando l’art. 2059 c.c. alla Carta,
che il carattere della tipicità non ha (per tutti, da ultimo, BARCELLONA, op. cit., 73). Tanto più che è
la stessa S.C. a riconoscere l’esistenza di un diritto generale della personalità, conforme alla c.d.
dottrina «monista» (da ult. CASS. 14.10.2008, n. 25157, v. infra, sez. III). Né vale allo scopo la
sostituzione dell’espressione «valori/interessi» costituzionalmente protetti, utilizzata dalle «sentenze
gemelle», con «diritti inviolabili». Basta capovolgere l’impostazione ed interrogarsi: quali sono i
diritti violabili della persona?
La tesi della tipicità del danno non patrimoniale non deve intimorire. Anche del danno
patrimoniale la S.C., che ora sbandiera l’opposto principio, ha ripetuto a iosa il ritornello della
tipicità: il danno aquiliano come lesione di un diritto assoluto (non iure e contra ius) ha tenuto botta
almeno fino al caso Meroni, del 1971. Dopodiché l’ulteriore apertura è del 1999, con l’ammissione
della risarcibilità della lesione di interessi legittimi (CASS., sez. un., 22.7.1999, n. 500, cit. infra,
sez. III). Resta da sperare che in questo caso la resipiscenza non richieda troppo tempo.
b) Il danno esistenziale. Esito sorprendente, dopo CASS., sez. un., 24 marzo 2006, n. 6572, v.
infra, sez. III, che del danno esistenziale aveva costituito un riconoscimento che pareva irrefutabile.
Le S.U. combattono, ora, una curiosa battaglia contro un nemico che non c’è. La sentenza dice che
il danno esistenziale «finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell’atipicità.
L’affermazione si specifica in ciò, che la dottrina del danno esistenziale non sarebbe
«accompagnata dalla necessaria individuazione, ai fini del requisito dell'ingiustizia del danno, di
quale fosse l'interesse giuridicamente rilevante leso dal fatto illecito».
Il che, semplicemente, non è vero. Così Cendon: «Dovrà essere stata colpita un situazione
“meritevole di tutela” (secondo le chiavi proprie dell’ordinamento). Nessuna udienza aquiliana per
l’interesse a una giornata costellata, dunque, di negozianti cortesi, autostrade libere, neve in
montagna, film divertenti, amanti fedeli e disinteressate, oppure di vicini di casa profumati, applausi
ai propri discorsi, recensioni favorevoli, vittorie elettorali, oggetti smarriti e ritrovati, pesci ingenui
e golosi (sì, invece, alla tutela esistenziale — ancora una volta — per chi si trovi ad essere
sequestrato, reso orfano, violentato, truffato, ammorbato, assordato, maltrattato, spiato, disonorato,
licenziato ingiustamente, bocciato con leggerezza, imprigionato senza motivo, discriminato per la
sua pelle, e così di seguito)» (CENDON, Esistere e non esistere, 84; e, se è lecito, può rammentarsi
anche il saggetto, dedicato proprio all’ingiustizia in riferimento al danno esistenziale, di DI MARZIO,
Il danno esistenziale e le “sentenze gemelle”, 629 ss., citt. infra, sez. IV).
Del resto, nessuna delle sentenze della S.C. citate dalle S.U., favorevoli al risarcimento del
danno esistenziale, omette di soffermarsi sul requisito dell’ingiustizia «costituzionale».
c) Il danno morale soggettivo. Qui spiccano tre cose: i) l’affermazione secondo cui il danno
morale è risarcibile solo in caso di reato anche in presenza di una lesione di diritti inviolabili; ii)
l’affermazione secondo cui il danno morale può non essere transeunte ma duraturo; iii) l’assunto
secondo cui il risarcimento del danno morale non si potrebbe cumulare al biologico.
Sulla prima. La soluzione secondo cui il danno morale sarebbe risarcibile solo in caso di reato
anche in presenza di una lesione di diritti inviolabili è così gravemente viziata da illogicità
manifesta da apparire quasi incredibile. Eppure, la frase «viene in primo luogo in considerazione,
nell'ipotesi in cui l'illecito configuri reato, la sofferenza morale» (§ 4.9 della sentenza), sta proprio a
significare, come chiarito coram populo dallo stesso estensore della pronuncia, che, se non c’è il
reato non c’è il danno morale: neanche il caso di lesione di diritti fondamentali. Il quesito rivolto
all’estensore, proposto dall’autore di questa nota a scanso di equivoci, è stato formulato in relazione
al caso, esaminato dalla famosa CASS., 10.5.2005, n. 9801, cit. infra, sez. III, del risarcimento del
danno riconosciuto alla donna alla quale il marito, in vista del matrimonio, aveva taciuto di essere
impotente: in un simile caso, pur ricorrendo la violazione di un diritto fondamentale, il danno
morale — affermano le S.U. nell’interpretazione autentica di cui vado riferendo — sarebbe
irrisarcibile in considerazione del limite stabilito dall’art. 185 c.p. nella sua tradizionale
interpretazione. Ma ognuno intende che un’affermazione del genere è priva di senso: se l’art. 185
c.p. opera, ciò accade in relazione al danno non patrimoniale nel suo complesso; se non opera, allo
stesso modo ciò accade per tutto il danno non patrimoniale. Sostenere che un pezzo di danno si
risarcisce un pezzo no è uno schiaffo al raziocinio.
Sulla seconda. Avrebbe certamente giovato alla costruzione del floodgate argument la soluzione
precedente, che aveva dalla sua Pascal: «Il tempo guarisce i dolori e le contese perché si cambia, e
non si è più la stessa persona. Né chi offende, né chi è offeso rimangono più gli stessi» (PASCAL,
Pensieri, n. 112, numerazione Chevalier, cit. infra, sez. IV). Può darsi, poi, che anche il dolore si
protragga sine die, nel qual caso si sarà trasformato in danno biologico (psichico), in malattia di
area depressiva. Che cosa ribatterà d’ora in poi il giudice dinanzi al danneggiato che sosterrà di
apprestarsi a soffrire per tutta la vita perché il vicino di casa ha colto una mela dal suo albero?
Sulla terza. Le S.U. riescono nella non facile impresa di porsi in urto con tutti i tribunali della
Repubblica e con lo stesso legislatore. Il problema delle duplicazioni risarcitorie, infatti, sorge
semmai dall’interferenza tra danno biologico e danno esistenziale, che possono sovrapporsi. Quanto
al rapporto tra biologico e morale, invece, tutti i tribunali, come ognun sa, risarciscono
separatamente l’uno e l’altro da almeno un paio di decenni. E lo stesso legislatore, nell’art. 138 cod.
ass. ha chiaramente dato per scontato che il morale si risarcisca a parte, soffermandosi, nel limitare
al 30% la personalizzazione del risarcimento, sui soli pregiudizi relazionali, ovvero sul c.d. danno
biologico dinamico, che certo esclude, almeno di regola, l’ulteriore risarcimento del danno
esistenziale.
Sicché, a leggere CASS., 12 dicembre 2008, n. 29191, cit. infra, sez. III, pare che le S.U. non
siano riuscite a convincere nemmeno i colleghi selle sezioni semplici: vi si trova affermato, in
aperto contrasto con la pronuncia in commento, che «nella valutazione del danno morale
contestuale alla lesione del diritto alla salute, la valutazione di tale voce, dotata di logica autonomia
in relazione alla diversità del bene protetto, che pure attiene ad un diritto inviolabile… deve tener
conto delle condizioni soggettive della persona umana e della gravità del fatto, senza che possa
considerarsi il valore della integrità morale una quota minore del danno alla salute».
d) I danni c.d. bagattellari. Qui la S.U. mettono assieme casi che hanno tra loro ben poco a che
vedere. I danni c.d. bagattellari sono stati in prevalenza risarciti in ambito contrattuale, dove i
termini della questione, come si è visto, sono del tutto peculiari.
I requisiti «della gravità della lesione e della serietà del danno», creati ex novo dalle S.U.,
suscitano poi seri interrogativi di compatibilità costituzionale, in relazione agli artt. 3 e 24 Cost.,
almeno fintanto che rimarrà ferma la risarcibilità dei piccoli danni patrimoniali a fronte di quelli
non patrimoniali. Intanto va rinforzandosi il pericolo di balcanizzazione della giurisprudenza della
S.C.. Pochi giorni dopo la sentenza in commento, infatti, la stessa S.C. ha ribadito che il danno
morale da eccessiva durata del processo si realizza anche se la posta in gioco, nel giudizio a quo, è
irrisoria (CASS., 1.12.2008, n. 28501, cit. infra, sez. III). E i requisiti «della gravità della lesione e
della serietà del danno»?
La prospettiva europea, ancora una volta, sembra infine diversa. È fissata al 1° gennaio 2009
l’entrata in vigore del Regolamento (CE) n. 861/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio
dell’11 luglio 2007 che istituisce un procedimento europeo per le controversie di modesta entità.
h) Il danno da morte. Si può dire che la morte è un danno (soluzione inglese introdotta dal Fatal
accident act del 1976) o che non è un danno (soluzione tedesca e probabilmente francese fondata
sul principio actio personalis moritur cum persona), ma non pare esattamente persuasivo che si
risarcisca il danno morale per l’attesa della morte (soluzione, diremmo, all’italiana). Tanto più se
l’attesa, come chiedono le S.U., deve essere lucida: i giudici hanno sentito parlare di antidolorifici?
Pare che negli ospedali, ai pazienti che in attesa della morte stiano soffrendo, usino
somministrarne…
III. I precedenti
1. IL DANNO NON PATRIMONIALE DA INADEMPIMENTO CONTRATTUALE. Varrà anzitutto
rammentare gli estremi dell’ordinanza di rimessione alle S.U. da cui è scaturita la pronuncia in
commento (CASS., 25.2.2008, n. 4712, in questa Rivista, 2008, I, 707; in Danno e resp., 2008, 553;
in Arch. giur. circ., 2008, 613; in Resp. civ. e prev., 2008, 1050; in Foro it., 2008, I, 1447; in
Assicurazioni, 2008, 216).
L’indirizzo giurisprudenziale tradizionale, che riteneva applicabile l’art. 2059 c.c. al campo
contrattuale, riconoscendo così la risarcibilità del danno non patrimoniale da inadempimento solo in
caso di reato, è in realtà ripetuto da un numero contenuto di pronunce (CASS., 26.1.1989, n. 473, in
Mass. giur. lav., 1989, 210; CASS., 20.1.1985, n. 472, in Rep. Foro it., 1985, voce «Previdenza
sociale», n. 498; CASS., 6.8.1964, n. 2252, Mass. Foro it., 1964; APP. Perugia, 8.6.1998, in Rass.
giur. umbra, 1999, 2; TRIB. Lucca, 18.1.1992, in Foro it., I, 264; TRIB. Bologna, 17.4.1975, in Giur.
it., 1976, I, 2, 360; APP. Catanzaro, 30.1.1953, in Rep. Foro it., 1954, voce «Responsabilità civile»,
n. 32).
Dopo le «sentenze gemelle» (CASS., 31.5.2003, n. 8828, in questa Rivista, 2004, I, 232; in Foro
it., 2003, I, 2272; in Danno e resp., 2003, 816; Cass., 31.5.2003, n. 8827, in questa Rivista, 2004,
I, 233; in Foro it., 2003, I, 2273; in Danno e resp., 2003, 819), la giurisprudenza ha continuato ad
ammettere l’applicabilità dell’art. 2059 c.c., nella nuova interpretazione, al campo contrattuale
(CASS., 27.4.2004, n. 7980, in Danno e resp., 2004, 962; in Not. giur. lav., 2004, 590; CASS.,
26.5.2004, n. 10157, in Dir. prat. lav., 2004, 2181; in Mass. giur. lav., 2005, 248; in Danno e resp.,
2005, 401; in Not. giur. lav., 2004, 590).
A fronte di Cass., 23.12.2003, n. 19769, in Giust. civ., 2004, I, 1763, che ha escluso tout court la
risarcibilità del danno non patrimoniale da inadempimento, e che parrebbe potersi annoverare nella
categoria del «colpo partito accidentalmente nel maneggio dell’arma», merita invece rammentare
che l’indirizzo condiviso era il seguente: «Non osta alla risarcibilità di tale danno il fatto che esso
rappresenti la conseguenza di un illecito contrattuale; ciò in quanto l'unico presupposto per la
risarcibilità del danno medesimo alla stregua del vigente ordinamento è che il fatto generatore del
pregiudizio integri, come nella specie, 1'ipotesi di reato, indipendentemente dalla circostanza che
esso inerisca ad un titolo di responsabilità contrattuale o aquiliana» (TRIB. Milano, 13.2.1982, in
Resp. civ. e prev., 1983, 156).
2. LE ALTRE QUESTIONI. La sentenza sul caso «Meroni», comunemente rammentata (non importa
se esattamente) come prima decisione favorevole al risarcimento della lesione di un diritto di
credito, è la celebre CASS., sez. un., 26.1.1971, n. 174, in Foro it., 1971; I, 1284; in Assicurazioni,
1971, 242; in Resp. civ. e prev., 1971, 67; in Foro pad., 1971, 97; in Mon. trib., 1971, 369; in Giust.
civ., 1971, I, 199. La pronuncia ammissiva del risarcimento del danno da lesione di interessi
legittimi è invece la altrettanto celebre CASS., sez. un., 22.7.1999, n. 500, in Foro it., 1999, I, 2487;
in Giust. civ., 1999, I, 2261; in Danno e resp., 1999, 965; in Resp. civ. e prev., 2000, 981; in Giur.
it., 2000, I, 1, 21.
Sul tema del diritto generale della personalità, dopo aver rammentato che CASS. 14.10.2008, n.
25157, non risulta al momento pubblicata, si vedano, in accoglimento della dottrina «monista»,
CASS., 20.4.63, n. 990, in Giust. civ., 1963, I, 1280; CASS., 29.10.63, in Giust. civ., 1963, I, 2520;
CASS., 22.6.85, n. 3769, in Giust. civ., 1985, I, 3049. Ed ancor più netto è il responso dei giudici di
legittimità laddove giungono ad «individuare con maggiore risolutezza (superando le riserve
affioranti in qualche tratto della motivazione della pure già citata Cass. 22.6.85, n. 3769) il
correlativo fondamento giuridico, ancorandolo direttamente all’art. 2 Cost. …: inteso tale precetto
nella sua più ampia dimensione di clausola generale, “aperta” all’evoluzione dell’ordinamento e
suscettibile, per ciò appunto, di apprestare copertura costituzionale ai nuovi valori emergenti della
personalità in correlazione anche all’obiettivo primario di tutela del “pieno sviluppo della persona
umana”, di cui al successivo art. 3 capoverso» (CASS., 7.2.96, n. 978, in Giust. civ., 1996, I, 1317).
La sentenza sull’obbligo di informazione tra nubendi è CASS., 10.5.2005, n. 9801, in Dir. fam. e
pers., 2005, I, 1164; Dir. eccl., 2005, 101; Familia, 2005, 875; Giust. civ., 2006, I, 93; Danno e
resp., 2006, 37; Giur. it., 2006, 691.
CASS., 12 dicembre 2008, n. 29191 è inedita al momento in cui viene licenziata questa nota, ma
riflette un punto di vista che l’estensore ha in più occasioni sviluppato.
In tema di risarcimento del danno morale per eccessiva durata del processo, infine, CASS.,
1.12.2008, n. 28501, non è neppure essa al momento pubblicata, ma risulta espressione di un
indirizzo stabile.
IV. La dottrina
1. IL DANNO NON PATRIMONIALE DA INADEMPIMENTO CONTRATTUALE. Per l’applicazione
dell’art. 2059 c.c. alla responsabilità contrattuale si sono citati ASQUINI A., Massime non
consolidate in tema di responsabilità nel trasporto di persone, in Riv. dir. comm., 1952, II, 2;
BARASSI L., Teoria generale delle obbligazioni, II, Giuffrè, Milano, 1964; BIANCA, Diritto civile. V.
La responsabilità, Giuffrè, Milano, 1995; DE CUPIS A., Il danno. Teoria generale della
responsabilità civile, Giuffrè, Milano, 1954; RUSSO R., Concorso dell’azione aquiliana con la
contrattuale nel contratto di trasporto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1950, 962).
Per l’irrisarcibilità del danno non patrimoniale da inadempimento desunta dal connotato di
patrimonialità dell’obbligazione v., riassuntivamente, BARCELLONA M., Il danno non patrimoniale,
Giuffrè, Milano, 2008; la soluzione è accolta, di recente, da DONATI A., Danno non patrimoniale e
solidarietà, CEDAM, Padova, 2004. Per la stessa conclusione, seppure con angolazioni distinte,
non può mancare la menzione almeno di SCOGNAMIGLIO R., Il danno morale (contributo alla teoria
del danno extracontrattuale), in Riv. dir. civ., 1957, 277; RAVAZZONI A., La riparazione del danno
non patrimoniale, Giuffrè, Milano.
Nel senso opposto, come si è detto in precedenza, BONILINI G., Il danno non patrimoniale,
Giuffrè, Milano; BUSNELLI F.D., Interessi della persona e risarcimento del danno, in Riv. trim. dir.
e proc. civ. 1996, I, 9. Più di recente la soluzione dell’ammissibilità del risarcimento del danno non
patrimoniale da inadempimento sembra essere divenuta decisamente prevalente: v., senza pretesa di
completezza, anzitutto GAZZARA M., Il danno non patrimoniale da inadempimento, Edizioni
scientifiche italiane, Napoli, 2003, e LIBERATI A., Il danno non patrimoniale da inadempimento,
CEDAM, Padova, 2004; ed inoltre SPANGARO A., Il danno non patrimoniale da contratto: l'ipotesi
del danno da vacanza rovinata, in Resp. civ. prev., 2007, 719; CARBONARO C., Il danno da black
out: il punto sulla risarcibilità del danno non patrimoniale da inadempimento, in Resp. civ. prev.,
2006, 158; IURILLI C., I contratti di viaggio e vacanze "tutto compreso". Il danno da vacanza
rovinata, in Manuale di diritto dei consumatori, a cura di IURILLI C., Giappichelli, Torino, 2005,
210; AMATO C., Il danno non patrimoniale da contratto, in Il "nuovo" danno non patrimoniale, a
cura di G. PONZANELLI, CEDAM, Padova, 2004, 152; PIZZOFERRATO A., Molestie sessuali sul
lavoro. Fattispecie e tecniche di tutela, CEDAM, Padova, 2000, 255; LASSANDARI A., L’alternativa
tra fondamento contrattuale o aquilano della responsabilità e le sue ripercussioni, in Danno
biologico e oltre. La risarcibilità dei danni alla persona del lavoratore, a cura di PEDRAZZOLI M.,
Giappichelli, Torino, 1995, 126 ss.; BONA M., Il danno non patrimoniale da inadempimento, in
Dialoghi sul danno alla persona, a cura di U. RIZZO, Trento, 2006, 327, il quale ritiene però che
l'art. 2059 c.c. sia applicabile anche all'ambito contrattuale, quale principio generale, ai fini della
selezione dei danni non patrimoniali risarcibili.
Sull’ammissibilità della clausola penale concernente danni non patrimoniali v. da ult. CRICENTI
G., Inadempimento e danno nel contratto preliminare, in Riv. crit. dir. priv., 2008, 20 dell’estratto,
dal quale è tratta anche la citazione sul preliminare di vendita immobiliare; ed inoltre ZENOZENCOVICH V., Interesse del creditore e danno contrattuale non patrimoniale, in Riv. dir. civ.,
1987, 77; COSTANZA M., Danno non patrimoniale e responsabilità contrattuale, in Riv. crit. dir.
priv., 1987, 127; ciascuna delle due ultime opere, peraltro, offre uno sguardo generale sul problema
del risarcimento del danno da inadempimento. Per il primo degli autori da ultimo citati, invece,
occorre far capo a CRICENTI G., Il danno non patrimoniale, CEDAM, Padova, 1999, nonché alla
seconda edizione dell’opera, risalente al 2008. Lo stesso A. approfondisce il tema in CRICENTI,
Persona e risarcimento, CEDAM, Padova, 2005, 275 ss..
La rappresentazione della sorte degli articoli di legge quali figli in cerca di fortuna è di
CALAMANDREI P., Il risarcimento dei danni non patrimoniali nella nuova legislazione penale, in
Riv. it. dir. pen., 1931, 171.
Chi voglia controllare la citazione sul caso del divieto di suonare il pianoforte dovrà reperire
WINDSCHEID B., Diritto delle Pandette, II, Il diritto dei crediti, 1, trad. it. Fadda e Bensa, Torino,
1904.
Sul rapporto tra natura dell’interesse e natura del danno, oltre al DE CUPIS, BIANCA, GAZZARA,
CRICENTI, Il danno non patrimoniale, citt., V. BURDESE A., Manuale di diritto privato italiano,
UTET, Torino, 1974; SCUTO E., Osservazioni sul danno non patrimoniale e sulla sua risarcibilità
nel nostro diritto positivo, in Dir e giur., 1954, 452; PERFETTI M., Prospettive di un’interpretazione
dell’art. 2059 c.c., in Riv. trim. dir. proc. civ., 1978, 1074; FRANZONI M., Il danno alla persona,
Giuffrè, Milano, 1995; SALVI C., Il danno extracontrattuale: modelli e funzioni, Jovene, Napoli,
1985.
Sul danno esistenziale tutto il necessario è detto in CENDON P., Esistere e non esistere, in
CENDON P., Trattato breve dei nuovi danni, CEDAM, Padova, 2001. Dopo aver chiarito che per la
sussistenza del danno esistenziale devono risultare presenti «tutti gli estremi, nessuno escluso, della
fattispecie generale di responsabilità» l’A. sottolinea, dal versante delle «ripercussioni sofferte dalla
vittima», che «dovrà essere stata compromessa, dalla minaccia a quel bene, la possibilità di svolgere
attività che non siano per se stesse illecite, né immorali — né (occorre aggiungere) tali da
posizionarsi al di sotto di una certa soglia di eclettismo, futilità o insignificanza» (loc. cit., 84).
Sui Principi di diritti Europeo dei contratti e sui Principi Unidroit v. CASTRONOVO C. (a cura di),
Principi di diritto europeo dei contratti, Giuffrè, Milano, 2001; BONELL M.J. (a cura di), I principi
Unidroit nella pratica. Casistica e bibliografia riguardanti i principi Unidroit dei contratti
commerciali internazionali, Giuffrè, Milano, 2002.
2. LE ALTRE QUESTIONI. L’affermazione del danno esistenziale, dinanzi alle S.U., era avvenuta
con la notissima Cass., sez. un., 24 marzo 2006, n. 6572, in questa Rivista, 2006, I, 1132.
L’opinione di Cendon sul rilievo dell’ingiustizia ai fini del risarcimento del danno esistenziale,
peraltro ripetuta in più occasioni, è nei termini citati tratta da CENDON P., Esistere e non esistere,
cit.. V. inoltre DI MARZIO, Il danno esistenziale e le “sentenze gemelle”, in questa Rivista, 2004, II,
629.
La citazione di Pascal è tratta da PASCAL, Pensieri, Rusconi, Milano, 1993.