PSICOLOGIA SOCIALE I - Armonie Pitagoriche
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PSICOLOGIA SOCIALE I - Armonie Pitagoriche
PSICOLOGIA SOCIALE I - Definizione Questa parte della psicologia indica studiosi e attività diverse. Tradizionalmente, la data d’inizio è il 1908: in questo anno vennero pubblicati due volumi dallo stesso titolo, Psicologia sociale, il primo scritto da WILLIAM MC DOUGALL, il secondo da EDWARD ROSS. Mc Dougall è l’iniziatore della c.d. psicologia sociale psicologica, in quanto sosteneva che, per spiegare come la società influenza gli uomini fosse necessario studiare la «base originaria della mente», e dunque l’istinto, disposizione innata che induce l’individuo a percepire e a rispondere in modo specifico agli oggetti. Successivamente il concetto di istinto è stato sostituito da quello di atteggiamento. L’unità di analisi nella psicologia sociale psicologica è l’individuo. Ross è l’iniziatore della c.d. psicologia sociale sociologica. Secondo l’autore, l’attenzione deve focalizzarsi sul comportamento di aggregati di persone (gruppi, comunità). Le persone sono come trasportate da correnti sociali. L’unità di analisi è il gruppo. Secondo HEWITT, non ha senso discutere su quale sia l’approccio migliore. II - Processi e strategie con i quali diamo senso al mondo sociale Nella vita quotidiana tutti noi possiamo affermare di aver visto “una penna”, “un tramonto”, e sperimentiamo ciò che BRUNER chiama immediatezza fenomenica; non siamo assolutamente consapevoli del processo di categorizzazione che media il riconoscimento degli oggetti. In realtà, questi oggetti non sono “dati”, ma sono dal soggetto “costruiti” sulla base dei propri schemi mentali, attribuendo significato agli stimoli. Secondo HELMHOLTZ, questo processo di categorizzazione è spesso inconsapevole, e quindi noi siamo portati a credere che le nostre percezioni riflettano accuratamente la realtà. ASCH, a questo proposito, parla di realismo ingenuo, mentre ICHHEISER addirittura afferma che ciò che noi consideriamo fatti oggettivi sono in realtà manipolazioni interpretative. Effetto autocinetico A prova di queste idee si può considerare l’esperimento di SHERIF sull’effetto autocinetico, con cui l’autore voleva dimostrare l’origine sociale di alcuni fattori interni. Sherif metteva in una stanza buia dei volontari, e chiedeva loro di quanto si spostasse un puntino luminoso. In realtà la luce non si spostava affatto, in quanto i soggetti erano vittima di un’illusione ottica detta appunto effetto autocinetico. In una seconda fase, le persone venivano esposte al puntino luminoso a gruppi di tre e dovevano di nuovo valutare lo spostamento: in questo caso i giudizi delle tre persone tendevano a convergere verso una stima comune. In una terza fase, i soggetti erano di nuovo soli a valutare il finto movimento, ma tendevano a uniformarsi alle valutazioni del secondo gruppo e non a quelle del primo. In sostanza, il giudizio degli altri viene usato come fonte di ulteriore informazione in una situazione di informazioni ambigue. Anche la memoria ha un’origine sociale secondo gli studi di BARTLETT. Lo studioso ha dimostrato il carattere ricostruttivo della memoria, che utilizza schemi desunti dalla cultura e dalla società di riferimento. Il continuum cognitivo: processi top-down e bottom-up I c.d. «modelli a due vie» sono processi in base ai quali le persone possono applicare 2 tipi di processi cognitivi: 1) processi rapidi, che richiedono un ridotto sforzo cognitivo = processi top-down, basati sulla teoria; 2) processi lenti, che richiedono uno sforzo cognitivo elevato = processi bottom-up, basati sui dati che vengono analizzati per arrivare una nuova struttura cognitiva. Nell’esperienza quotidiana si passa continuamente da un processo all’altro, per questo si parla di continuum cognitivo. Un esempio pratico potrebbe essere rappresentato dalla scelta di un film: (1) 1 andiamo a vederlo in base al sentito dire, al cartellone esposto davanti al cinema, a una nostra sensazione o intuizione; (2) prendiamo informazioni sul regista, sugli attori, sulla produzione, sulle critiche. È importante sottolineare che entrambi i processi possono condurre a risultati positivi, ma nello stesso tempo che bisogna valutare caso per caso. Ad esempio, un processo educativo non può prescindere da strategie bottom-up. Concetti, categorie e schemi Un concetto è la rappresentazione mentale di una categoria, cioè di una classe di elementi che hanno fra loro una certa relazione. I concetti non corrispondono necessariamente a come persone, situazioni e oggetti sono nella realtà, ma a come noi crediamo che essi siano. Dunque sono sempre, almeno in parte, rappresentazioni soggettive. Il grado di soggettività aumenta quando passiamo da oggetti a situazioni sociali. La cosa si complica quando persone diverse possono utilizzare concetti diversi per rappresentarsi la stessa realtà, oppure uno stesso concetto per due realtà diverse. In questo senso, gli schemi da un lato sono indispensabili per dare un senso all’enorme quantità di stimoli e di informazioni nei quali siamo immersi: servono a classificare, andare oltre l’informazione data, guidare l’interpretazione e la comunicazione, aiutare la memorizzazione; dall’altro lato, qualora applicati in maniera passiva possono influenzare i ricordi e la stessa interpretazione, fino a ricordare in casi estremi cose o fatti non realmente osservati. Inconvenienti che possono derivare dall’uso degli schemi Come è intuibile, gli schemi sono molto usati nei processi top-down. In alcuni casi, questa modalità cognitiva può portare alla formulazione di convinzioni, decisioni, giudizi inadeguati. 1) Si può manifestare un pervicace attaccamento ai propri schemi: in genere tendiamo a considerarli validi anche di fronte a nuove informazioni che li contraddicono. Si parla in questo casi di perseveranza degli schemi; 2) C’è la tendenza alla conferma degli schemi: essi possono influenzare sia ciò che vediamo e ricordiamo, sia come ci comportiamo. Gli schemi, in altre parole, creano in noi delle aspettative e ci preparano a vedere determinate cose (quelle previste dallo schema) e non altre (quella non previste). 3) Un tipo particolare di schema è la profezia autoverificantesi. Ciò che accade può essere facilmente ricordato se si pensa a quando su una strada ghiacciata camminiamo con circospezione fino a diventare rigidi, temendo di cadere, cosa che poi puntualmente si verifica, o quando si sostiene un esame o un concerto con la paura di sbagliare. 4) Pigmalione in classe. Si tratta di una stupenda ricerca di ROSENTHAL e JAKOBSON, che hanno mostrato come gli insegnanti adottino comportamenti differenziati a seconda della tipologia di allievo. I due ricercatori si recarono in una scuola di S. Francisco, somministrando un test intellettivo. Successivamente fu comunicato il risultato, in base al quale alcuni alunni erano considerati intelligenti, e altri meno. In realtà, i nomi dei c.d. «più intelligenti» erano stati scelti a caso. I ricercatori prevedevano che gli insegnanti sarebbero stati influenzati dai loro schemi sulle aspettative nei confronti degli alunni più (fintamente) intelligenti. Dopo otto mesi, i due studiosi ritornarono nella scuola, e verificarono che i ragazzi indicati a caso come più intelligenti avevano davvero raggiunto un livello superiore rispetto agli altri ragazzi, dal momento che erano stati seguiti in maniera più particolareggiata e approfondita dai loro docenti. Le euristiche: scorciatoie per risparmiare tempo e sforzo Spesso i problemi quotidiani sono strutturati in modo tale da richiedere un ragionamento probabilistico. In questo caso, entriamo nel campo delle euristiche (KAHNEMAN e TVERSKY), ossia strategie cognitive abbreviate. 1) euristica della rappresentatività = “classifico sulla base della somiglianza col caso tipico” In questo caso, valutiamo quanto il caso in questione sia simile alla categoria o ad esempi tipici di essa. Questa euristica può portare a giudizi errati, in quanto porta a ignorare altre informazioni necessarie per formulare giudizi probabilistici corretti. 2 2) euristica della disponibilità = “se mi viene in mente facilmente, vuol dire che è frequente” In questo caso, noi cerchiamo di ricordare esempi simili a quello in atto: se ci viene in mente con facilità, concludiamo che la frequenza di quell’episodio è elevata. Anche in questo caso l’euristica può essere utile o dannosa, a seconda delle modalità di attuazione. 3) euristica dell’ancoraggio = “rimarrò fedele a un punto di partenza (arbitrario)” Molte discussioni prendono origine dall’affermazione di uno dei presenti, che esprime una sua valutazione: questa affermazione in genere esercita una notevole influenza sui presenti. Ora, se il giudizio iniziale è espresso da una persona competente, l’euristica funziona, altrimenti è facile immaginare quanto possa rivelarsi dannosa 4) euristica della simulazione = “cosa sarebbe potuto accadere se…” Se, dopo aver compiuto (o non compiuto) un’azione, ci fermiamo a ripetere: “se non mi fossi comportato così…se non mi fossi fermato a parlare con Tizio…se avessi fatto invece in quest’altro modo…”. Siamo di fronte a un ragionamento controfattuale, che consiste nell’immaginare come si sarebbero potuti verificare risultati diversi da quello effettivamente verificati. Quanto più l’evento verificatosi è diverso dall’aspettativa, tanto più esso sarà considerato anormale. Il ragionamento controfattuale è di segno positivo, ha una valenza positiva: si può sempre pensare, al contrario, che le cose sarebbero potute andare peggio di come sono andate. III – Personologia ingenua: dare senso agli altri e alle loro azioni La maggior parte della nostra condotta sociale si basa sulle idee che noi abbiamo sulle possibili reazioni degli altri. GILBERT ha proposto la definizione di ordinary personology, tradotto con “personologia ingenua”, per indicare i modi con cui le persone arrivano a conoscere stati temporanei (come emozioni, intenzioni e desideri) e disposizioni permanenti (come credenze e abilità) di altre persone. Un approccio oggettivo al problema parte dal concetto che occorre stabilire quanto siano accurate le conoscenze che la persona ingenua ha sugli altri, e quanto queste conoscenze siano influenzate dalle teorie implicite alle quali gli osservatori fanno riferimento. A questo proposito, sono stati notati due errori caratteristici: falso consenso e ignoranza pluralistica. Il falso consenso consiste nel ritenere che le proprie idee e i propri atteggiamenti siano relativamente più diffusi di idee e atteggiamenti diversi rispetto ai propri. Ciò porta a sovrastimare le opinioni e i comportamenti analoghi ai propri, e a sottostimare quelli opposti. L’ignoranza pluralistica è un fenomeno opposto, in quanto consiste nel ritenere che noi siamo gli unici che hanno pensato o fatto una determinata cosa. ICHHEISER ha poi notato un altro fenomeno, detto errore fondamentale: esso consiste nella tendenza dell’ingenuo a sopravvalutare, nella spiegazione del comportamento altrui, le cause personali rispetto a quelle ambientali. Invece di dire che X ha agito in un certo modo perché si trovava in una certa situazione, tendiamo a credere che si è comportato cosè perché possedeva certe specifiche caratteristiche personali. Percezioni di membri e gruppi stereotipati Stereotipi, pregiudizi e discriminazione hanno sempre caratterizzato la vita umana. Il pregiudizio è la tendenza a considerare negativamente le persone che appartengono a gruppi sentiti come significativamente diversi dal proprio. Gli stereotipi sono strutture cognitive che contengono la nostra conoscenza, le credenze e le aspettative circa un gruppo sociale. Studi specifici hanno dimostrato che gli stereotipi sono attivati automaticamente e influenzano il comportamento non solo delle persone ingenue, ma anche di quelle del gruppo-bersaglio, che realizzano in tal modo una variabile della profezia autoverificantesi (vedi schema n. 3). 3 IV – Valutare la realtà sociale: gli atteggiamenti Le persone comuni (ingenue) ritengono che, conoscendo in anticipo gli atteggiamenti delle persone potremo prevedere la loro condotta. La psicologia sociale condivide in larga parte l’uso comune del termine, e definisce l’atteggiamento come una tendenza psicologica espressa valutando una particolare entità con un qualche grado di favore o sfavore (EAGLY e CHAIKEN). SHERIF ha formulato la teoria del giudizio sociale, stabilendo che le persone rappresentano i propri atteggiamenti secondo uno schema a tre aree: 1) area di accettazione, che contiene le affermazioni sull’oggetto dell’atteggiamento che la persona accetta; 2) area di rifiuto, che contiene le affermazioni sull’oggetto dell’atteggiamento che la persona rifiuta; 3) area di non coinvolgimento, che contiene le affermazioni che la persona non accetta e non rifiuta, dunque neutre. Questa teoria ha degli sviluppi molto importanti in psicologia sociale, uno dei quali riguarda l’impatto dei messaggi di comunicazione persuasiva sui soggetti. Gli studi di Theodor Adorno sulla funzione egodifensiva Il musicologo THEODOR W. ADORNO è stato autore di un fondamentale studio sulla personalità autoritaria (1950). Secondo tale ricerca, le persone possono proiettare inconsapevolmente i propri sentimenti di inferiorità su gruppi razziali, etnici o religiosi di minoranza. In tal modo, queste persone possono rinforzare la propria autostima, sentendosi superiori ai membri di questi gruppi. Alla base di questa ricerca, basata sugli orrori nazisti contro ebrei e altre minoranze, c’è l’idea che i pregiudizi etnici siano sostenuti da un carattere prodotto da particolari stili educativi. Adorno parla di sindrome della personalità autoritaria, caratterizzata dalla sottomissione cieca all’autorità, stretta aderenza ai valori convenzionali, aggressività nei confronti delle persone non convenzionali e tendenza a pensare entro categorie rigide. Lo stile educativo di questi soggetti deriva da genitori ossessivamente preoccupati da conseguimento di un certo status socio-economico, che vogliono trasformare i loro figli in adulti dotati di perfetto autocontrollo, capaci di inserirsi nella gerarchia sociale e di conformarsi all’ordine sociale, con uno stile educativo molto restrittivo, punitivo e dominante. Questo tipo di relazione determina nei figli (e futuri aguzzini) una repressione degli impulsi infantili, che, nell’età adulta diventa un modello di rapporto con l’autorità e continua ad essere associata ad una repressione degli impulsi. Questi ultimi, che per una legge naturale “devono” andare da qualche parte, sono proiettati inconsciamente sui gruppi sociali minoritari, e con questo il cerchio si chiude, visto che ebrei, negri, extracomunitari vengono visti come “cattivi” e “minacciosi” proprio come quegli impulsi che queste persone hanno imparato, loro malgrado, a reprimere. Le persone autoritarie hanno una visione dicotomica della realtà, nella quale le figure autoritarie sono idealizzate, e i gruppi esterni sono visti come una minaccia. V – Influenza sociale L’influenza della maggioranza Una ricerca di SOLOMON ASCH ha dimostrato l’esistenza di un conformismo sociale in condizioni non ambigue. Asch voleva studiare le condizioni che inducono gli individui a restare indipendenti o a cedere alle pressioni di un gruppo quando questa vanno in senso contrario ai fatti. Così realizzò un esperimento nel quale un gruppo di volontari veniva sottoposto a delle stime valutative (che erano naturalmente un pretesto). Del gruppo facevano parte due categorie: gli ingenui e i confederati (falsi volontari, in realtà psicologi). Si chiedeva ai partecipanti di esprimere giudizi percettivi di una certa chiarezza. Il partecipante ingenuo, finché si trovava d’accordo con i giudizi della maggioranza, era sicuro delle proprie valutazioni, ma quando i confederati mentivano, formulando giudizi palesemente assurdi, i soggetti ingenui erano di fronte a un terribile dilemma: da un lato l’evidenza percettiva, dall’altro la forza della maggioranza. In sostanza: «a me pare di non sbagliare, ma la ragione mi dice che devo avere torto, perché non mi pare possibile che tante 4 persone possano avere torto e io soltanto ragione». Dunque il 37% si conformò alle decisioni pur assurde del gruppo, e addirittura il 76% cambiò idea almeno una volta, scegliendo la risposta sbagliata. La compiacenza nelle relazioni diadiche FRENCH e RAVEN hanno individuato ben sei diversi tipi di potere che un agente può proporre per influenzare il soggetto-bersaglio: 1) il potere di ricompensa, basato su premi, vantaggi; 2) il potere di coercizione, basato sulla possibilità dell’agente di costringere la persona-bersaglio ad accettare le proprie richieste; 3) il potere dell’esperienza: se lo dice un esperto, sarà vero; 4) il potere di riferimento è quello che hanno le persone che ammiriamo e alle quali vorremmo assomigliare; 5) il potere legittimo è quello attribuito da una norma o da una prescrizione; 6) il potere informativo dipende esclusivamente dal modo in cui l’agente comunica le proprie informazioni. A questi tipi di potere si aggiungono le strategie per accrescere il potere: cercare di piacere; “mettere il piede nella porta”, strategia in due fasi basata sul bisogno di essere coerenti con gli impegni presi; “il colpo basso”, sempre in due fasi, ad es. offrire un oggetto a prezzo basso e poi improvvisamente alzare il prezzo la seconda volta; far apparire la cosa difficile da ottenere; dare l’impressione che ci sia poco tempo; e infine il classico “…e questo non è tutto!”. Obbedienza all’autorità Gli esperimenti realizzati da STANLEY MILGRAM hanno posto l’attenzione sull’enorme potere che deriva all’autorità legittima. Ai volontari veniva detto che si doveva studiare l’effetto delle punizioni sull’apprendimento. Il materiale era costituito da una lista di parole da memorizzare: i partecipanti dovevano lavorare a coppie, uno come insegnante e l’altro come allievo. L’assegnazione dei due ruoli era apparentemente casuale, in realtà i soggetti ingenui dovevano svolgere unicamente il ruolo di insegnante (ovviamente a loro insaputa). L’insegnante (soggetto ingenuo) doveva leggere una lista di parole da memorizzare, e ogni volta che l’allievo (un confederato) commetteva un errore, l’insegnante doveva punirlo con una scossa elettrica, che sarebbe diventata sempre più forte con il progredire degli errori. Ai partecipanti veniva mostrato un finto apparecchio per l’elettroshock. I confederati erano preparati a fornire le risposte in modo da commettere un errore ogni tre risposte esatte. La procedura prevedeva inoltre che lo sperimentatore stimolasse i partecipanti dubbiosi con affermazioni di crescente pressione, come «per favore continui», «l’esperimento richiede che lei continui», «è assolutamente essenziale che lei continui». L’esperimento veniva videoregistrato, e alla fine al soggetto si diceva la verità, assicurandosi che si trovasse in uno stato d’animo non troppo negativo. Milgram si aspettava che solo pochi avrebbero obbedito. I risultati invece furono molto diversi: il 65% dei partecipanti obbedì ciecamente, somministrando (finte) scosse fino ad intensità considerevoli. Tuttavia, l’obbedienza venne accompagnata da fortissime manifestazioni di nervosismo. Tale studio fu sottoposto a severe critiche di natura etica. Milgram, comunque, sostenne che per spiegare l’obbedienza si dovevano tenere in considerazione le seguenti caratteristiche: 1) i soggetti partecipavano a un esperimento scientifico, perciò erano rispettabili e facevano parte di una prestigiosa università; 2) i soggetti partecipavano liberamente e volevano tener fede all’impegno preso; 3) i soggetti si trovavano in una situazione ambigua nella quale esistevano pochi standard di riferimento; 4) i soggetti si trovavano ad operare in tempi molto ridotti. 5