La griffe, lo status symbol, il “premium”
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La griffe, lo status symbol, il “premium”
024-029 dos acunzo 31-10-2007 15:07 Pagina 24 Incentivare COVER RIBALTA IN-HOUSE DOSSIER DESTINAZIONI NEWS IL TREND INARRESTABILE DEL TURISMO A 5 STELLE Quel lusso che non è più La griffe, lo status symbol, il “premium”, in una parola “il lusso vero” è la vera tendenza del momento. Un prodotto che non conosce crisi né inflazione, perché acquistato da tutti, ricchi e meno abbienti. E il turismo di lusso non fa certo eccezione 24 024-029 dos acunzo 31-10-2007 15:07 Pagina 25 un lusso Il segmento del turismo di lusso, cioè, è completamente estraneo a questa bellicosità che ha fatto dimenticare gli entusiasmi alla base di un programma di incentivazione e l’eticità delle relazioni tra buyer e supplier e che per giunta non remunera né il tempo né la progettualità. Provate a chiedere al vostro architetto o al vostro commercialista di curare un vostro progetto senza pagare la sua consulenza e poi vediamo cosa vi risponde. Mentre, ovviamente, alla incentive house che chiede un preventivo è tutto dovuto e il lavoro di consulenza e di preparazione del progetto è... gratuito. Perché mai e poi mai nessun cliente, che paga comunque anche la chiamata d’urgenza dell’idraulico e ogni fotocopia fatta dal proprio commercialista, si sognerebbe di pagare una giusta fee di consulenza al proprio agente di viaggio o al proprio planner dell’agenzia incentive (!!!). Ma questo ci porterebbe ad altre valutazioni che non sono oggetto di questo articolo (e che, comunque, non porterebbero a un bel nulla di fatto, vista la prassi ormai in uso e quindi come tale diventata abitudine, o malvezzo). Spendere, spandere e risparmiare el marasma dei preventivi per meeting e incentive – che porta a produrre (o a riciclare con il più bieco “copia e incolla”) progetti sempre più speso presentati in Excel o in un formaDI ANTONIO ACUNZO to anonimo, ovvero senza quella creatività e quei contenuti necessari per una vincente Customer Value Proposition (ne abbiamo già parlato sul numero di maggio dl 2006, con l’articolo Le N mucche sacre fanno gli hamburger migliori) –, il segmento del turismo di lusso sembra essere completamente anelastico ed estraneo alle tensioni dello shopping around, della guerra sui prezzi, delle battaglie alle riduzioni di mark-up pur di vincere un bid (anche a costo di andare sotto il breakeven, se non addirittura di partire da meno 10-15 per cento, nella speranza poi di recuperare – recuperare, in realtà, significa strozzare i fornitori, che forse si fanno strozzare una volta, ma poi non sono più così disponibili –, o a costo di accettare pagamenti a 60-90 giorni post evento senza interessi, e di combattere la spietata contrattazione da mercato a suon di sconti, fam-trip gratuiti e chi più ne ha più ne metta). Tornando all’oggetto del nostro articolo, il consumatore paga molto volentieri qualche euro in più per acquistare il caffè “firmato” di una nota marca, qualche decina di euro in più per acquistare un capo di abbigliamento firmato, qualche centinaia di euro in più per potersi fregiare di un accessorio griffato (e questo vale sia per le donne sia per gli uomini). E paga anche qualche centianaio, se non addirittura diverse migliaia di euro in più per soggiornare in una nota quanto esclusiva spa di un resort 5 stelle lusso, e per viaggiare comodamente coccolato su una poltrona di business class e di first class, che all’uopo si trasforma in un comodo letto orizzontale con tanto di piumino, cuscino e pigiama. L’assurdo, come recita la prefazione del libro Trading up: la rivoluzione del lusso accessibile è evidenziato in un semplice concetto: “Facciamo la spesa al discount con auto di grossa cilindrata”. Di fatto, mentre molti settori merceologici, compreso quello dei viaggi di incentivazione, sono caratterizzati dal taglio dei costi e dall’erosione dei margini, in altri settori si creano marche premium, rivolte al mercato di massa, facendo leva proprio sul “trading up” e riuscendo così a disegnare una stra- 25 024-029 dos acunzo 31-10-2007 15:08 Pagina 26 tegia sia di crescita dei volumi sia di aumento dei profitti. C’è una logica alla base di questo comportamento del consumatore: noi tutti siamo disposti a pagare un prezzo definito “premium” per tutta quella serie di beni e di servizi ai quali attribuiamo una importanza sia a livello “emotivo” sia in termini di “qualità”. Se consideriamo che in linea generale i “brand” del nuovo lusso vengono venduti a un prezzo che oscilla tra il 20 per cento e il 200 per cento in più dei corrispondenti beni definiti “tradizionali” e che per molte categorie il prodotto di lusso rappresenta anche oltre il 20 per cento delle vendite e addirittura il 60 per cento dei profitti, comprendiamo subito che ci troviamo di fronte a un fenomeno complesso che coinvolge meccanismi psicologici del comportamento del consumatore, di strategia aziendale per il posizionamento e il piano di marketing del prodotto, di percezione di status sociale per il possessore di tali beni, di desiderio di un certo “lifestyle”. Il discorso vale per tutti L’argomento è sicuramente molto interessante e spazia trasversalmente in molti settori merceologici, dall’abbigliamento all’elettronica, dal vino alla ristorazione, dalle 26 automobili alla birra e, ovviamente, l’industria del turismo non ne è esente. Basta guardare semplicemente al proliferare dei resort 5 stelle lusso, non quelli classici delle vacanze “all inclusive” raggiungibili con un volo charter da tour operator, bensì quei resort altamente esclusivi in cui il primo parametro di esclusività è dato dalla room rate (oltre i 800/1.000 dollari per bungalow overwater, a notte, in solo pernottamento e prima colazione) e poi da tutta una serie di “plus” che vanno dalla location all’interior decor, dal menù dei servizi strettamente “a-la-carte” con l’assistenza di un maggiordomo, alla spa disegnata con concetti new age o tropical-chic e con menù di trattamenti che comprendono, oltre al classico massaggio o bagno turco, trattamenti ayurvedici, olistici, hawaiani, menù fine-dining e la ricercata cantina di vini docg. Parliamo di soluzioni tipo le palafitte Soneva Gili Crusoe della thailandese Six Senses – che alle Maldive offre un ambiente esclusivo di oltre 200 metri quadrati lontani da qualsiasi passarella che conduce al resort, perché anche il room service arriva a mezzo pagaia –, oppure di catene alberghiere che operano esclusivamente nel lusso come The Peninsula e Four Seasons Hotels & Resorts, solo per citarne due come riferi- mento, ma l’elenco potrebbe sicuramente superare la ventina di referenti. E sul fronte del trasporto aereo, ormai è palese che con le nuove tecniche tariffarie legate allo yield managament, la classe economica serve a coprire i costi operativi mentre i veri profitti vengono generati esclusivamente dalle classi premium, business e first. 024-029 dos acunzo 31-10-2007 15:08 Pagina 28 Molti settori merceologici, compresi i viaggi di incentive, sono caratterizzati dal taglio dei costi e dall’erosione dei margini, in altri settori invece si creano marche premium dai grandi profitti I vettori combattono vere e proprie battaglie di marketing e di innovazione del prodotto per contendersi il coccolato viaggiatore “premium”, che oggi ha davvero l’imbarazzo della scelta tra le nuove suites di first class di vettori quali Emirates e Etihad (guarda caso siamo negli Emirati Arabi) e la nuovissima cabina di first class della Singapore Airline, il vettore che ha da sempre decretato lo standard di classe e di servizio delle classi premium, che con solo 12 posti sul nuovissimo Airbus A380 (il quadrireattore a due ponti) offre la possibilità, grazie all’abbattimento di un divisorio, di trasformare due letti singoli in un letto “matrimoniale”. E non mi soffermo sul servizio di bordo e sulla carta da fine-dining restaurant perché, a questo livello, dai per scontato non solo la presentazione del food ma la più alta qualità del servizio. Mi fermo qui nell’elencare i prodotti del turismo di lusso (potrei citare i treni dell’Orient Express, i voli a gravità zero, i lodge nei 28 parchi africani e nel nord della Thailandia, e via discorrendo) per passare invece all’aspetto più interessante di questo fenomeno del lusso: il bisogno del consumatore di poter accedere al prodotto di lusso. Lusso sì, ma quello vero Partiamo intanto dal presupposto che non è pensabile improvvisarsi venditori del lusso con un semplice inventario di prodotti di lusso a disposizione e da posizionare: purtroppo il mercato è già sufficientemente ricco di queste improvvisazioni e, per fortuna, il consumatore, quello intelligente, è in grado di capire subito la capacità del suo interlocutore. È fondamentale acquisire gli “skills” necessari per muoversi a proprio agio in un ambiente multi-culturale delle compagnie del lusso globale, ambiente sempre guidato dal cambiamento. È importante sviluppare una visione complessa e una capacità manageriale flessibile che aiuti ad anticipare questi cambiamenti, costruendo strategie e fornendo una leadership visionaria ben proiettata nel tempo. Questo consente di capire sia il prodotto da posizionare sia il consumatore a cui rivolgersi. Usciamo anche dal luogo comune che soltanto il consumatore abbiente per ceto economico, sociale, culturale sia in grado di poter accedere al lusso (anch se sicuramente è più facilitato all’accesso, lo fa con disinvoltura, nel quotidiano e con costanza). È però il consumatore di fascia media il vero obiettivo delle aziende del lusso, turismo di lusso compreso. Il consumatore di fascia media, come si 024-029 dos acunzo 31-10-2007 15:08 Pagina 29 legge nella premessa del libro citato prima: “[…] attua sempre un processo di trading up, scegliendo con cura prodotti e servizi nuovi e migliori, mentre in altri settori attua il trading down, liberando risorse per i suoi acquisti premium”. Questo fenomeno si osserva con chiarezza negli Stati Uniti, dove il “lusso” viene ridefinito periodicamente proprio perché la gente tende a resistere alla stratificazione e alla segmentazione che la società cerca di imporre, e soprattutto grazie all’enorme potere d’acquisto delle famiglie americane. Analogamente, un altro mercato per definizione legato al concetto di lusso è quello del Giappone, Paese in cui, se mi consentite un luogo comune, non c’è un cittadino che in viaggio in Europa non entri in una boutique Louis Vuitton per acquistarne almeno un accessorio. Nella realtà, nel caso specifico proprio della Maison Louis Vuit- ton, il Giappone rappresenta il primo mercato di riferimento (il Giappone è comunque il mercato primario in termini di consumo di prodotti di lusso), al punto che nella politica di aperture delle nuove boutique, la Maison ha ben tenuto in considerazione le destinazioni più frequentate dal viaggiatore nipponico: ed ecco così le boutique Louis Vuitton comparire a Honolulu (primaria destinazione dei viaggi di nozze), a Las Vegas (destinazione “gambling” per eccellenza, per giapponesi e coreani), a Guam (dove sicuramente non esiste un mercato locale sufficiente a giustificare l’apertura di un atelier Louis Vuitton, ma la destinazione è meta prediletta dei vacanzieri giapponesi, per cui dove vanno i giapponesi, lì c’è Louis Vuitton)! Il fenomeno del lusso e di conseguenza del turismo di lusso, quindi, è globale. Nel meccanismo del lusso, del turismo di lusso, non dobbiamo pensare solo e soltanto a una esperienza da hotellerie 5 stelle, dove il contributo è già “incluso” nella classificazione 5 stelle. Non solo cinque stelle Il lusso è esperienza unica, emozione, condivisione. Il lusso è anche una “cooking class”, una cena con degustazione dei vini con il sommelier dedicato alla spiegazione di come si degusta e come si abbinano vini e cibi. È una esperienza a contatto con la natura, un corso di pittura sui colli del Chianti, il tè delle cinque servito in spiaggia a Positano. È un massaggio lomi-lomi sotto un gazebo in riva al mar Rosso, nel Mar Cinese Meridionale, nell’Oceano Pacifico. È osservare il tramonto con un flute di champagne in compagnia di chi si ama, con il butler nelle retrovie pronto a riempire il bicchiere e a servire tartine e canape. È il cestino da picnic che la Singapore Airlines invia ai propri associati Pps (la categoria più elevata dei frequent flyers) in occasione del compleanno. Ecco, il lusso è basato sull’attenzione, sul customer service, sull’originalità, sull’unicità di quel momento, unico, assoluto, importante, nel quale il cliente si sente elevato a uno status superiore, perché si sente coccolato. Non ci si improvvisa allora “maestri del turismo di lusso”, ma il turismo di lusso è ormai il segmento di riferimento, l’unico che regali soddisfazioni, clienti fedeli e soddisfatti e profitti all’azienda. Ma il turismo di lusso non è per tutti: e questo vale sia per il consumatore sia per chi vuole vendere lusso, quando in realtà non ne ha né la competenza né la sensibilità né la vocazione né l’attenzione. Il turismo di lusso è un business, ma non è un business che si improvvisa: diffidate dalle imitazioni. Ciò che vale per le borse griffate, vale anche per i venditori di viaggi! 29