Come_un_bucaneve_a_febbraio

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Come_un_bucaneve_a_febbraio
Secondo classificato della sezione Minor
COME UN BUCANEVE A FEBBRAIO
Settembre
“Non so se tu da lassù lo vedi, ma sembra che ultimamente tutti sentano il bisogno impellente di
scrivere un libro. Tutti sono pronti a dispensarti consigli su come dimagrire, come rassodare, come
cucinare, come essere più attraente, convincente, benvoluto. Tutti si sentono in dovere di dirti come
dovresti essere o come sarebbe meglio che fossi. “Sei mora?: perché non ti fai lo shatush!?” “Sei
bionda?: perché non ti fai delle meches scure?” “Il colore di quest’ anno è il rosso, cosa aspetti a
comprare la tinta!?”
“Vuoi avere successo?: fai da zerbino a chiunque ti rivolga la parola e non tarderà ad arrivare!”.
Ciò che trovo agghiacciante è il fatto che non solo ci sia chi compra questi libri, ma che queste
stesse persone prendano per verità assoluta ogni singola parola stampata.
Schifo.
Mi fa schifo quest’ipocrisia, questa pochezza, questa superficialità. Probabilmente se scoprissimo
che chi promette miracolose diete dimagranti mangia regolarmente al Mc donald di turno, o che chi
scrive guide assicurando la scalata al successo è solo un fallito frustrato per la piega che ha preso la
sua vita, saremmo meno facilmente influenzabili. La verità, però, è che siamo insicuri. Abbiamo
paura di non essere al passo con i tempi, di non avere abbastanza gente che ci circonda. Amici? Oh,
no, quelli no. Quelli non importano più a nessuno.
Paradossalmente le persone tentano di riempire il vuoto che hanno intorno per non sentire quello
che hanno dentro, di vuoto. E così si truccano, vanno in palestra, passano più tempo davanti al
computer di quanto non ne passino a cercare di relazionarsi con persone vere, in carne ed ossa.
La linea perfetta deve essere mantenuta a costo della vita e lo specchio diventa oggetto
imprescindibile della quotidianità di ciascuno. E più tutto questo continua, più il vuoto interiore si
espande, più si cerca di colmare quello esteriore inesistente,finendo per ammassare cose inutili le
une sulle altre, fino a quando queste ci soffocano. Da qui, si raddoppiano le ore in palestra, i chili da
perdere, le lampade abbronzanti da fare, in una catena senza fine perché nessuno vuole che abbia
una fine. Perché è decisamente più facile fare finta di niente e persistere nell’errore, piuttosto che
provare a colmare quella voragine che nel frattempo si è creata in ognuno e che può essere riempita
solamente da cose che sfortunatamente non si comprano.
Non so se tu da lassù lo vedi, ma anche io sono vuota. Vuota com’è vuota una vecchia casa
abbandonata ai limiti di un bosco.
Nessuno dentro, nessuno intorno.
E cado a pezzi.
La verità è che da quando sei lì a giocare con gli angeli, l’unica cosa che voglio è raggiungerti.
Ho freddo. Mi copro fino a scomparire sotto la montagna di maglioni che mi protegge dagli spifferi.
Ma quegli spifferi non vengono da fuori: soffia un vento gelido dentro di me, c’è un vero e proprio
deserto freddo…ed io sono qui che cerco di accendere un fiammifero in mezzo a questa tormenta di
neve.
Il mondo è un posto di merda.
Quasi sono contenta che tu sia dove sei.
Quaggiù è troppo sporco per un’anima candida come la tua. Troppo sporco per te. Per te che
sorridevi fino alla paralisi facciale vedendo i primi fiori sbocciare, per te che quando guardavi il
cielo inspiravi a pieni polmoni perché quell’infinito ti faceva sentire libera.
Ti devi trovare piuttosto bene, in quell’azzurro senza limiti, senza muri.
Quella dove mi trovo io è una gabbia. Odieresti un posto così. Siamo solo corpi erranti in cerca di
qualcosa che non troviamo o che non esiste. Più spesso cerchiamo la cosa sbagliata e quando ce ne
accorgiamo, accettiamo con rassegnazione di aver fallito. Se fossi qui dimostreresti a tutti quanto
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sia importante non arrendersi, non arrendersi mai. Perché tu hai lottato, oh, lo so bene che hai
lottato! Era la mia mano quella che stringevi prima di ogni chemio e la mia spalla quella su cui
piangevi perché faceva male. Nonostante tutto il dolore, lo sconforto, la paura, la tua mano si
stringeva a pugno ed io sapevo che significava “ce la faccio, sono forte. Sono più forte di tutto
questo”. Ed eri forte davvero. E se c’è un Dio, da qualche parte, ti ha voluta con lui perché il tuo
posto è tra gli angeli e non in questo inferno.”
Quando la psicologa alzò gli occhi dalla lettera, la madre di Clary aveva le guance umide, le ciglia
cosparse di diamanti d’acqua brillavano alla luce del sole, in contrasto con gli occhi spenti.
« È evidente che sua figlia soffre molto per la perdita della gemella, signora. Tuttavia ritengo che
quella di farle scrivere lettere di questo genere si rivelerà essere la scelta migliore affinché superi la
cosa al meglio. Ovviamente ha bisogno di tempo:la morte è un’esperienza difficile da elaborare per
chiunque, ma io credo profondamente nella psicanalisi. Sarà una sorta di cammino che farete
insieme, lei e Clarissa, verso la “guarigione”: mettiamola così.»
Per i primi istanti Beatrice non disse nulla. Rifletteva sulle parole di quella sconosciuta con lo
sguardo rivolto al pavimento. D’un tratto fissò i suoi occhi in quelli della donna e prese a parlare
con voce decisa e al contempo tremante: «Una delle mie due figlie è stata chiusa in una bara e
messa sotto terra due settimane fa. Sono rimasta sola con Clary ed è come se fossimo morte
entrambe con Mia. Ogni dannatissima notte prego Dio di avere la forza di svegliarmi il giorno
seguente…almeno per Clarissa. E lei mi parla di guarigione come se la perdita di mia figlia fosse un
raffreddore? Le assicuro che la morte di un figlio non è un’ “esperienza”, ma una tragedia e, no: non
vorrei trovarmi qui in questo momento a parlare con lei che più che una psicanalista mi sembra un
veterinario. Le ribadisco che sono qui perché, in caso le fosse sfuggito, fino a poco tempo fa, di
figlie ne avevo due e voglio che Clary torni a vivere e se le condizioni per far sì che ciò accada
implicano che io stia seduta su questa sedia, ben venga. Ma se si permetterà ancora di riferirsi alla
morte di mia figlia parlando di un’ “esperienza”, le giuro, quanto è vero che mi chiamo Beatrice, mi
rivolgerò a chi di dovere e sarà l’ultima cosa che dirà da psicologa.». La donna era visibilmente
stupita: a quanto pareva il suo castello di paroloni era crollato rovinosamente al soffio del vento
freddo che la voce di Beatrice portava con sè. Stette a guardare la psicologa per un po’, in attesa di
un qualche tipo di risposta. La sua interlocutrice era ammutolita e non dava segno di aver molto
altro da dire, così, in silenzio com’era entrata, Beatrice si alzò ed uscì. Appena chiusa la porta alle
sue spalle si ritrovò a pensare a quanto fosse disarmante accorgersi di come il dolore avesse il
potere di zittire anche i più loquaci e sicuri di sé. Dolore. Eccolo davanti a lei, il dolore: Clary stava
lì, rannicchiata con le gambe incrociate e la schiena curva su quella poltrona decisamente enorme
per il suo corpo fragile ed inerme, quasi fosse stato dimenticato là sopra per sbaglio da un’anima
distratta. «Clary, vieni. Andiamo», sussurrò e d’un tratto due occhi verdi si spalancarono sui suoi.
Due occhi incredibilmente grandi e terribilmente vuoti.
Si presero per mano e s’incamminarono verso casa.
Osservandole, nessuno avrebbe potuto dire chi delle due sorreggesse l’altra.
Ottobre
“Ciao Mia. Come va? Okay, domanda stupida. È che ormai me lo chiedono anche prima di dirmi
“ciao”. Il bello è che nessuno si ferma ad aspettare la risposta…e in fondo è meglio così: cosa potrei
dire?
Sono tornata a scuola, sai? La mamma non era molto d’accordo, ma ho già saltato un mese e…e
comunque che differenza fa? Casa, scuola, che cosa cambia? “Così mi distraggo un po’”, ho detto
per convincerla e alla fine ha ceduto. Un po’ ci credevo davvero che sarei riuscita a distrarmi, a non
pensare continuamente a…te.
Grande errore. La cosa buffa è che nessuno ne fa esplicito riferimento, ma quando mi guardano ce
l’hanno scritto in faccia: “Poveretta,deve stare male”. Mi guardano con pietà, mi trattano come se
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dovessi svenire da un momento all’altro, come se fossi una bomba ad orologeria pronta a scoppiare
ogni secondo e ovviamente nessuno vorrebbe trovarsi nei paraggi nel caso succedesse. Mi stanno
lontani, sembra quasi che io sia una portatrice sana (e neanche poi tanto) di disgrazie. Non
immagini neanche quanta voglia abbia di urlare in faccia a tutti questi, con le loro vite perfette, che
camminano a testa alta nei loro vestiti firmati; che si lamentano fino alla nausea di quanto sia
“assolutamente inconcepibile” che l’animalier sia tornato di moda o che l’ultima festa sia stata
annullata perché non si trovava un dj. E vorrei urlare che non è questa la vita, non sono queste le
cose che contano. Vorrei gridare che non hanno idea della fortuna che hanno a permettere di crearsi
qualche tipo di problema per cose così stupide ed insignificanti. Non sanno che cosa darei per
essere così dannatamente superficiale. Vorrei urlare, ma non lo faccio. Mi tengo dentro queste cose,
chiuse nell’angolino del mio cervello, dentro un cassetto che apro troppo spesso.
Fortunatamente questa è solo una parte dei ragazzi che ci sono a scuola. Con il resto di loro mi
sento quasi a mio agio, siamo simili: anime ferite in cerca di un perché. Non immagini quanta gente
ci sia che soffre. Ognuno lo dimostra a modo suo,ma qui il dolore è quasi palpabile: molti fumano,
alcuni si drogano. Vedo ragazze…anzi no, vedo i loro scheletri. Vedo tante braccia con tanti tagli
rossi e vedo tanti, tanti occhi vuoti. Vedo bambine in corpi di donne camminare a testa alta, ma con
il passo incerto. Vedo maglioni informi coprire corpi indesiderati. Tutti sorridono e sono i sorrisi
più tristi che io abbia mai visto.
Prima non ci avevo mai fatto caso, ma da quando te ne sei volata via, guardo le cose sotto un’altra
luce…o un’altra ombra, scegli tu.
Ci credi che qualcuno ha il coraggio di chiamarla “l’età meravigliosa”?! Io non lo so come
funzionasse un po’ di tempo fa, ma non mi sembra sia così “meraviglioso” avere più dubbi in testa,
che aria nei polmoni o più tagli sul corpo che amici su facebook. Cosa c’è di tanto “meraviglioso”
nell’insicurezza di non sentirsi mai abbastanza per niente e per nessuno? Nella delusione di trovarsi
da soli quando avremmo bisogno di tutti? “Chi trova un amico,trova un tesoro”. Nessuno associa
mai questo detto a “non tutto è oro quel che luccica”,invece mi sa che dovremmo farci più
attenzione…io per prima! Hai presente tutte le amiche che avevo? Dileguate. Anni di amicizia e ad
un certo punto decidono che: basta. E finisce. Semplicemente. Senza parole, senza spiegazioni,
senza colpe. Si accorgono che non mi possono aspettare e così vanno avanti. Senza di me. Mi
lasciano da sola in queste sabbie mobili, senza un braccio a cui aggrapparmi per uscirne. Mi
incontrano per i corridoi della scuola e hanno la decenza di abbassare lo sguardo per la vergogna di
ciò che stanno facendo e che nonostante tutto continuano a fare. Ma la vita è così: incontri delle
persone, ti affezioni ed esse se ne vanno. Le parole hanno perso il loro significato. Tutti quei “ti
voglio bene” , “mai”, “per sempre”, “promesso”. O sono io che attribuisco loro troppo peso o la
gente le pronuncia così, tanto per dire qualcosa.
Te le getta addosso per vedere l’effetto che fa.
E ogni volta è la stessa storia :
“saremo amiche per sempre” ed è durata una vita di farfalla
“ci sarò sempre per te” e sto scrivendo da sola
“il nostro legame non si spezzerà mai” ed evidentemente era resistente come una collana di perle.
Tutti questi “sempre” e questi “mai”…ma lo sanno davvero che cosa significa sempre? Ho riflettuto
a lungo in questi giorni e sono giunta alla conclusione che niente è per sempre. Nemmeno la vita:
anche se credi nell’aldilà la tua vita qui finisce inevitabilmente quando muori. E non è vero neppure
che “vivrai per sempre nei ricordi dei tuoi cari” perché una volta morti i “cari” si portano con loro
anche il tuo ricordo. E poi, diciamocelo, ormai lo usano quasi come intercalare: “per sempre di
qua”, “per sempre di là”…ma se non sai cosa ti succederà tra un mese, domani, tra un minuto, come
puoi avere la presunzione di pianificare qualcosa per la “tua eternità”? Proprio non capisco.
Il cielo. Ecco, forse quella è l’unica cosa che dura da sempre e per sempre. È impossibile
immaginare un posto senza cielo e sono quasi certa che in realtà sia proprio quella l’unica cosa e la
sola che duri in eterno. Salvo poi scoprire che anche quello ha dei confini…
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È dura, sai? Sapere che non puoi contare sulle parole, sulle promesse… quelle non hanno nessun
significato. Sono i fatti che contano, che ti fanno capire quanta intenzione si celi dietro ogni lettera
pronunciata. È un peccato però che nessuno si dia la pena di accompagnare ad una frase un gesto,
una carezza, una pacca sulla spalla, un sorriso sincero. Tutti mentono spudoratamente a tutti, prima
di tutti a se stessi.
Però…sai cosa c’è? C’è che mi manchi e tu credimi se ti dico che non è una bugia.”
«Clary! È pronto». Beatrice si affacciò alla porta della camera di Clarissa mentre la ragazza si
asciugava dal viso un’unica piccola lacrima, scappata di nascosto.
«Mamma, non ho tanta fame oggi».
«Non avevi fame ieri e nemmeno il giorno prima. Sono settimane che dici di non avere fame»
«Se lo dico, sarà vero!» «No Clarissa,non è vero! E lo sai benissimo anche tu. Ti stai uccidendo,ti
lasci morire lentamente. Ma se credi che assisterò passivamente alla tua autodistruzione, ti sbagli di
grosso. Io non…»
«Allora fermami, mamma. Fermami. Se ci riesci.»
La donna le si avvicinò: nella sua voce non c’era traccia di rabbia, né di rimprovero, solo una stanca
consapevolezza di impotenza: «Che cosa credi che direbbe Mia se fosse qui? Credi davvero che ti
lascerebbe gettare l’unica vita che hai?, quella stessa vita di cui lei è stata privata? Credi che non si
infurierebbe vedendoti sputare sulla possibilità di vivere che lei non ha più?Sarebbe delusa.
E arrabbiata.»
«Delusa e arrabbiata,eh!? Io sono delusa e arrabbiata. Delusa da questo destino che dice che io devo
rimanere sola, delusa da te che ti ostini a non capire. Arrabbiata con il mondo perché continua a
girare, ignorando deliberatamente ogni perdita, ogni addio. Arrabbiata con me stessa, perché forse
avrei potuto fare qualcosa per cambiare la situazione, quando ancora qualcosa poteva essere fatto.
Che cosa vuoi che me ne freghi dell’ “unica vita che ho”? che significato credi che abbia la parola
vita, per me? Cos’è la vita, mamma? Te lo dico io: sono parole vuote, speranze deluse. È freddo ed
è solitudine. È un limbo che ci separa dalla morte. Questo è la vita. Questo è la mia vita da quel
maledetto giorno. Non ti chiedo di capirlo, ti chiedo di accettarlo.»
E stava lì, davanti a lei, in piedi. Una margherita in mezzo alla tempesta, una farfalla che schiva la
grandine. La sua bambina: così forte e così fragile, così piccola e così grande. L’abbracciò con
forza, sperando che ciò bastasse a rimettere insieme i cocci ghiacciati di un cuore tanto tormentato.
Nessuna delle due parlò più: le parole erano vuote.
Novembre
“Era agosto quando te ne sei andata, mi ricordo che faceva tanto caldo e che d’un tratto è diventato
troppo freddo. Era il trentuno, come nella canzone di Nino D’Angelo: buffo, no? Sai cosa dice il
testo? : “Mentre il cielo si faceva più scuro tu ti allontanavi ed io tremavo di paura e come un
bambino gridavo ‘non mi lasciare!’…adesso l’estate è inverno, senza te, senza sole…anche il mare
ha perso colore”. Riassume tutto perfettamente, con poche parole che significano molto. Forse tu
non mi sentivi già più, ma quel giorno ti ho urlato davvero di non lasciarmi, te l’ho chiesto tante
volte. Tu non hai mai risposto.
Mi è venuto in mente perché questa mattina per la prima volta mi sono accorta che sta arrivando
l’autunno: le foglie perdono il loro colore (come il mare nella canzone), lasciano i rami per cadere e
seccarsi e l’aria diventa più fresca.
Non posso fare a meno di pensare che, in fondo, le foglie siamo noi: appesi ai rami della vita,
cresciamo con fatica, lottando contro il vento che ogni giorno minaccia di farci cadere.
Resistiamo.
Diventiamo grandi, sane foglie, fino a quando arriva una tempesta. E, un po’ perché siamo stanchi
per lo sforzo di stare ancorati al nostro ramo, un po’ perché dobbiamo lasciare il posto a nuove
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gemme, ci lasciamo trasportare a terra dall’aria. Qualche volta capita che accidentalmente, con le
foglie ormai cresciute, si stacchi anche qualche germoglio ed è un peccato e un’ingiustizia; le foglie
che circondano la gemma non possono fare altro che guardarla raggiungere il suolo.
Perché a volte, semplicemente, non c’è nulla da fare.
Trovo che l’autunno sia la più grande contraddizione di sempre: i rami si spogliano quando
dovrebbero cercare di stare al caldo e prima dell’arrivo della stagione fredda le foglie si tingono di
sfumature calde: rosso, arancione, giallo.
Questo per dire che l’umanità in generale è una gran bella contraddizione…anche se probabilmente
è solo un qualcosa che va al di là della mia comprensione.
Sì, perché io davvero certe cose non le capisco e forse non le capirò mai.
Quaggiù tutti pensano ad una sola cosa: loro stessi. Le persone si uniscono (o si dividono) in gruppi
a seconda degli interessi: “se sono in comune, siamo amici, in caso contrario, sei mio rivale” e
secondo le difficoltà: “se ho il tuo stesso problema possiamo aiutarci a vicenda, ma se il problema è
solo tuo, ti devi arrangiare”.
La diversità spaventa, perché ciò che non si conosce fa paura e quindi va emarginato, combattuto e,
se possibile, sconfitto.
Dimmi con quale coraggio ci si riempie la bocca di parole come “globalizzazione” e “integrazione”
quando ancora usiamo la parola “razza” riferendoci ad esseri umani.
Preparati a ridere: il motto dell’Unione Europea è “Unità nella Diversità”! Io vorrei proprio sapere
chi l’ha pensato e stringergli la mano perché ha davvero un’immaginazione non comune. E poi
vorrei proprio capire chi, ed in base a che cosa, decide che qualcuno debba essere migliore di
qualcun altro. Quanta presunzione deve esserci alla base di tutto questo? Tutto si riduce ad una
squallida questione di denaro e potere. Quegli Stati che amano definirsi “avanzati” gettano somme
indecenti di denaro per la realizzazione di cose del tutto inutili e però non spendono un centesimo
quando si tratta di portare dei pozzi in quei luoghi dove si muore di sete o cibo alle più di 25000
persone che muoiono di fame ogni giorno e un’istruzione nei Paesi dove soprusi vengono perpetrati
sistematicamente a danno di popolazioni troppo culturalmente deboli per ribellarsi.
Tutti guardano solo e soltanto al proprio tornaconto e pazienza se per avere successo si deve mettere
in difficoltà qualcun altro o diventare rivali temuti: la scalata al successo è un’epidemia contagiosa
che non risparmia nessuno: nessuno sia tanto debole dall’anteporre la sua personale affermazione ad
una vita nella media, ma certamente più soddisfacente, felice e, perché no?, serena.
Adesso mi credi quando dico che questo posto mi nausea? Dicevi sempre che non capivi perché
odiassi tanto guardare il telegiornale: spiegami perché dovrei interessarmi ad un mondo che “sputa
nel piatto in cui mangia”, avvelena il suolo su cui cammina, inquina l’acqua che beve e intossica
l’aria che respira. Dimmi come faccio a guardare cose del genere.
E poi dimmi perché dovrei continuare a vivere in questo schifo.
Dimmelo. Io non lo so più.”
Clarissa piegò la lettera con cura e la ripose in un’elegante scatola azzurra con tutte le altre. Per un
attimo si chiese che senso avesse tutto questo: scrivere a qualcuno che non poteva leggere ciò che
diceva; continuare a comportarsi come se in qualche modo le sue lettere avessero, un giorno,
ricevuto un riscontro.
Giunse poi alla conclusione che fosse inutile cercare risposte quando in realtà, nel profondo, non
voleva trovarne. Perché a volte fanno male, davvero male.
Per distrarsi un poco, decise che avrebbe studiato: in fondo aveva voluto tornare a scuola ed ora
questo era il suo dovere.
Algebra. Fantastico.
Clary non era mai stata brava in matematica: da sempre non la capiva o, forse, era la matematica a
non capire lei. Ogni volta che apriva un libro di aritmetica le sembrava di venire catapultata in un
universo parallelo, fatto di numeri, segni, simboli, insiemi su insiemi, operazioni, problemi. In quel
mondo le cose venivano classificate oggettivamente, rigorosamente seguendo una logica e i
problemi venivano sempre risolti; le incognite finivano per essere trovate ed i risultati delle
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operazioni potevano portare ad una ed una sola soluzione. Tutto era bianco o nero, giusto o
sbagliato. Un mondo così diverso da quello reale.
Per la prima volta Clarissa si ritrovò a desiderare di poter vivere in un luogo così: dove tutto era
chiaro e seguiva regole precise.
Ma la vita è quello che è, il nostro posto è questo e non ci resta che farcene una ragione.
Dopo quest’ultimo pensiero, svuotò la mente dalle parole e la riempì con i numeri.
Gennaio
“Stamattina la mamma ha acceso il caminetto: fuori si congela e dentro non era molto più caldo,
così ha deciso di bruciare un po’ di legna. Ci siamo sedute lì davanti, a guardarlo insieme. Il
silenzio veniva rotto di tanto in tanto dallo scoppiettio dei rami secchi.
Era tutto come una volta, quando ti acciambellavi nell’angolino del divano e stavi lì anche per ore,
incantata dalla danza delle fiamme. Mi lamentavo perché dicevo che avevo scelto prima io quel
posto, ma in fondo sapevo che ti piaceva molto più di quanto piacesse a me e così te lo lasciavo.
Era tutto come prima, quando la mamma faceva i pop corn e li mangiavamo assieme guardando un
film del quale non vedevi mai la fine, perché a metà stavi già russando.
Era tutto come prima. Ma senza di te.
Niente è come prima.
Il divano è troppo grande, i pop corn troppo salati, il film noioso ed il fuoco non riscalda.
Ah, a proposito: scusa se non ti ho scritto per un po’, ma nell’ultimo mese sono stata molto
impegnata a sistemare un po’ di cose; il che significa che ho provato ad “andare avanti”, per citare
una delle perle di saggezza uscite dalla bocca della mia psicologa. La mamma si sta impegnando
tantissimo a cercare di far tornare tutto alla normalità, così ho pensato che non sarebbe stato carino
farmi trovare sempre con carta, penna e occhi lucidi, a scriverti. Non voglio che tu pensi che ti
abbia messa da parte, però, sai, la mamma ce la sta mettendo tutta e dovevo dedicarmi un po’ anche
lei. Mi sono resa conto di essere stata parecchio egoista negli ultimi mesi. Non l’ho fatto apposta,
semplicemente non me ne rendevo conto.
Natale è passato tra qualche regalo e lo sforzo di qualche sorriso.
Sarebbe bello se ci fosse qualcuno che potesse occuparsi di nostra madre…sai, io non sono un gran
ché…A volte mi chiedo come sarebbe avere anche un papà, mi chiedo che tipo di rapporto
potremmo avere, se sarebbe apprensivo o se mi aiuterebbe a nascondere alla mamma i disastri che
combino…
Non ho mai capito perché l’abbia lasciata sola quando era incinta…mamma dice che lo fece perché
erano piccoli e lui non si sentiva all’altezza di crescere un figlio, dal momento che lui stesso doveva
ancora finire di crescere. Le rare volte che ne parla, sembra quasi scusarlo, pare che lo difenda.
Come se non fosse colpa sua se siamo andate avanti da sole, se mamma ha dovuto fare tutto da sola.
Sai una cosa? Dopotutto non mi serve un papà, non uno così. Che tipo di uomo potrebbe essere
adesso? Magari un alcolista che quando non beve ci picchia e quando non ci picchia sta davanti alla
televisione e ci tratta come serve. O magari sarebbe uno di quelli gelosi, che non vuole che la sua
compagna esca neanche per fare la spesa.
Tu non hai idea delle notizie che si sentono ogni giorno. Storie al limite della pazzia: fidanzati
possessivi che sfigurano con l’acido il volto delle loro ragazze perché queste, ormai stanche della
situazione, li hanno lasciati. Uomini che picchiano, insultano e umiliano le donne che dicono di
amare, fino ad annullarle persino come esseri umani. Donne che subiscono la follia dei propri
uomini per “amore” o per paura. Donne la cui dignità viene calpestata ancora e ancora e ancora
perché…già: perché? Perché viviamo in una società maschilista nella quale se sei una donna devi
lavorare sodo e lottare per vedere i tuoi diritti rispettati. Ma questa non mi sembra una risposta in
grado di giustificare un comportamento del genere.
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Nel ventunesimo secolo, mentre si progredisce anche troppo velocemente sul fronte della
tecnologia, la mentalità degli uomini (della maggior parte di essi) continua a considerare “fuori
luogo” donne che si impegnano in ambiti quali la ricerca, l’informatica, la meccanica perché,
secondo pregiudizi vecchi come il mondo, una femmina deve occuparsi della casa, dei figli, dei
panni sporchi e, possibilmente, anche stare in silenzio e adorare con devozione il suo sposo.
Perché secondo molti, donna uguale sesso debole. Ma debole di cosa? Di forza di volontà,forse? Ma
lo sanno quanta ce ne voglia per accettare di portare dentro di se una persona per nove mesi e, una
volta nata quella, vivere la propria vita in funzione di questa?
Allora deve essere una questione di forza…ma lo sanno, loro, quanta forza fisica una donna
dimostra di avere occupandosi ogni giorno, tutti i giorni, della casa? O pensano forse che i
pavimenti si lucidino da soli, i panni sporchi si puliscano solo a guardarli ed il cibo si prepari con la
forza del pensiero!? Magari si tratta di coraggio…e quanto coraggio ci vuole per essere una donna
al giorno d’oggi?
Tanto. Troppo.
Sì, perché da qualche tempo le donne si sono accorte di essere persone e non cose e per questo
alzano la voce per gridare “no, non siamo deboli”.
E ci vuole coraggio a vivere in un mondo dove si chiede alle donne di far attenzione allo stupro e
non si insegna agli uomini a non toccare le donne. Ed è difficile da accettare. E fa paura. Ma più che
la violenza vera e propria, ciò che spaventa è la limitatezza di un popolo che non riconosce alle
femmine gli stessi diritti dei maschi, solo perché gli uomini hanno deciso che deve essere così.
Ma cosa sono veramente gli uomini che chiamano “stupide” le donne perché, a detta loro, non
riescono ad essere autonome e non sono capaci di ragionamenti articolati? Esseri che si credono
migliori perché hanno la voce grossa e qualche muscolo sui bicipiti. Ma siamo proprio sicuri che
quelli limitati non siano loro, che per farsi ascoltare sbattono i pugni sul tavolo e usano la violenza
invece che esprimersi con le parole? Studi scientifici dimostrano che il cervello femminile è in
grado di far lavorare contemporaneamente entrambi gli emisferi, mentre quello maschile solamente
uno per volta…quindi, ad onor del vero, gli svantaggiati sono loro.
In alcuni Paesi le donne sono costrette a coprirsi, nascondersi sotto veli che talvolta lasciano
intravedere solo gli occhi, ancora per sottolineare la loro “mancanza di identità”, il loro appartenere
al marito. Stesso marito che può avere molte mogli, ma che sarebbe pronto a lapidare la sua sposa,
se solo questa guardasse un altro uomo.
E la cosa non finisce qui. Perché non solo esistono pregiudizi inutili e spregevoli come quelli che
riguardano le donne, ma ci sono anche quelli sulle persone omosessuali.
Pensa solo che l’omossessualità è stata riscontrata in oltre 1500 specie animali, l’omofobia
esclusivamente nella specie umana. Ancora una volta, a riprova del fatto che, forse, gli animali
siamo noi.
L’assurdo sta nel fatto che per strada, la gente rimanga sconcertata nel vedere due ragazze baciarsi e
resti invece del tutto indifferente assistendo ad episodi di violenza: ordinaria follia.
Mi fa proprio un gran schifo questa terra. Non merita neanche di venire scritta con la maiuscola.
Sto seriamente pensando di fare un salto a trovarti…magari mi fermo un po’ lì da te…magari non
torno più…magari…però c’è mamma…e io come faccio a lasciarla da sola in questa merda?”
Clarissa alzò la testa e portò lo sguardo fuori dalla finestra.
Sorrise un poco vedendo i fiocchi bianchi danzare nel vento con grazia e si chiese se fosse proprio
Mia a farle quel regalo.
Febbraio
“Non so se tu da lassù lo vedi, ma stanno spuntando i primi bucaneve.
Solo adesso capisco perché fossero i tuoi fiori preferiti: dicono siano il simbolo della rinascita,
simbolo del passaggio dal dolore ad un nuovo inzio, simbolo di speranza.
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Ed è assolutamente vero. Sembra quasi un miracolo, sembra quasi impossibile vedere che in mezzo
ad un tappeto di neve, dei piccoli fiori stanno germogliando. Sono bianchi, quindi si vedono solo se
si presta attenzione e, a volte, nella vita, vale la pena di fermarsi ad osservare un fiore che sboccia.
È incredibile vedere che, anche laddove sembra non esserci che desolazione ed aridità, la vita è più
forte. E vince. Ancora.
E questo mi porta inevitabilmente a pensare che forse non è tutto perduto. Forse non è tutto arido e
desolato, forse uno di questi giorni nasceranno tanti bucaneve da diventare loro stessi un tappeto
bianco e coprire la neve tanto da farla sciogliere fino al prossimo inverno. Perché è vero che
l’inverno torna sempre, ma se c’è inverno, ci sarà primavera.
Due giorni fa a scuola una ragazza mi ha rovesciato addosso il suo caffè…stavo per cominciare a
riprodurmi in una serie di improperi non troppo gentili, quando, senza neanche darmi il tempo di
fiatare, ha cominciato a scusarsi: sembrava sinceramente mortificata. Così ho alzato lo sguardo
dalla macchia a dir poco visibile sulla mia maglietta bianca preferita e mi sono trovata davanti due
occhioni neri e profondi. Dolcissimi. Lei ha continuato a scusarsi e mi ha praticamente obbligata a
riportarle la maglietta il giorno dopo, che poi era ieri, così che potesse lavarmela. Beh, insomma,
abbiamo cominciato a parlare come se ci conoscessimo da sempre e abbiamo scoperto di avere
tantissime cose in comune. Dopo mesi di tristezza, dolore, emarginazione, non mi sono sentita più
tanto sola. Incontro ancora per i corridoi quelle che ero solita chiamare “amiche” e adesso sono io
che saluto loro, sorridendo, felice di far vedere che ce la sto facendo, ce la sto facendo da sola e per
una volta sento di poter dire che è davvero esclusivamente merito mio. I sorrisi, come dicevo, sono
in fase di prova: per ora sembrano più che altro le smorfie di un neonato con le coliche, ma so che
prima o poi torneranno ad essere quelli di sempre. Magari non uguali, no, certe cose che accadono
ci segnano nel profondo e le cicatrici restano anche quando le ferite si sono rimarginate. Ma tornerò
a sorridere davvero. Lo farò.
Ad Emma (è così che si chiama la ragazza che ho conosciuto) non ho ancora detto di te…devo
conoscerla un po’ di più, prima di raccontare certe cose. Spero solo resterà abbastanza da
permettermi di imparare a fidarmi. Non faccio piani: sarà quel che sarà.
Sai, forse il mondo non fa così schifo. Inevitabilmente c’è un dritto ed un rovescio della medaglia,
ma non esisterebbe bianco senza nero, né la primavera senza l’inverno.
In fondo ci sono persone per le quali valga la pena chiudere un occhio su ciò che non va e stringere
i denti trovando la forza di vivere. Perché per qualcuno che ti fa lo sgambetto, c’è anche qualcun
altro che ti aiuta a rialzarti e non importa se ci vorranno giorni, mesi o anni per trovarlo: arriverà.
Perché se ti fai sentire, la vita risponde.
Tempo fa ti ho scritto di quanto la gente fosse egoista ed individualista. Credo di essermi
dimenticata di dire che però ci sono anche persone pronte a donare sé stesse per gli altri…chi? I
volontari, per esempio: gente che trova del tempo per aiutare chi è in difficoltà, chi non ce la fa ed
ha bisogno di una mano. Oppure pensa ai donatori di sangue: essi donano parte di loro nel vero
senso della parola. Danno il loro sangue a persone che non conoscono e non conosceranno mai,
dalle quali probabilmente non riceveranno in cambio nemmeno un “grazie”. Ma lo fanno. Perché
amano e perché amano amare. Ma pensa anche a quelle donne coraggiose, che hanno deciso di dire
basta ad uomini violenti che non le meritavano e che, invece di essere semplicemente contente di
essere uscite da quell’incubo, hanno creato delle associazioni delle quali ogni altra donna può
entrare a far parte o che può contattare per chiedere aiuto e mettere la parola fine ad una sofferenza
ingiusta, nata da un amore malato.
Persone che hanno deciso di fare della loro vita un dono d’amore.
Ed è bello e sento che tutto sommato il mondo è un posto discreto dove vivere.
E sento che tutto sommato potrei ricominciare a vivere anche io.
Proprio come un bucaneve a febbraio.”
8
Marzo
“Ciao Mia, sorellina.
Ti saluto per l’ultima volta.
È molto ormai che non vado dalla psicologa: ha detto che sono guarita…mamma ha “dato di matto”
quando ha pronunciato la parola guarita, tanto che se anche non fosse stato l’ultimo incontro per
necessità, lo sarebbe diventato per forza di cose: defenestrazione della psicanalista!
A parte questo, sento davvero di essere cambiata in questi sette mesi…qualcuno potrebbe dire che
sono cresciuta troppo presto; a me piace pensare di essere diventata una persona nuova: più forte e,
perché no?, più responsabile.
La vita insegna ed io ho imparato.
Ho imparato che possiamo scegliere tra vivere e sopravvivere; tra l’essere felici e l’essere
insoddisfatti.
L’esistenza che abbiamo è una sola. Il tempo è poco. Sarebbe da stupidi sprecarlo.
Il mondo è un posto difficile in cui vivere: qui non ti regala niente nessuno. Abbiamo il dovere di
vivere per guadagnarci ciò che vogliamo, per realizzare i nostri sogni, per poter avere l’orgoglio di
chiamare nostra un’esistenza unica e diversa da qualunque altra.
Abbiamo il dovere di vivere anche per le persone che vorrebbero farlo, ma che per un destino
ingiusto non ne hanno la possibilità.
Io ho deciso di vivere anche per te, perché se fossi qui mi prenderesti a calci vedendomi rinunciare
alla vita a causa della tua morte. Hai visto che brava? Adesso riesco a scrivere quella parola: morte.
Ho capito che è parte imprescindibile della vita. E non mi fa più tanta paura. Non la cerco, non la
combatto, quando sarà il momento verrà a bussare alla mia porta ed io le aprirò come ad una
vecchia amica che mi ha insegnato a crescere; ma intanto io vivo.
Sono orgogliosa di ciò che ho ottenuto finora e credo ancora fermamente che niente sarà “per
sempre”, ma qualunque cosa sia, ho intenzione di lottare per farla durare quel tanto che basta per
essere felice.
Ciao sorellina.”
Arrotolò anche l’ultima lettera e, come aveva fatto per tutte le altre, la fermò con un fine nastro di
raso azzurro. Dopodichè, legò ad ogni lettera un palloncino bianco.
Quando ebbe finito, tenne per un attimo stretti nella sua mano tutti e sei i palloncini.
Aprì lentamente le dita ed uno dopo l’altro volarono verso l’azzurro di quel cielo senza nuvole,
mentre Clarissa e Beatrice li guardavano allontanarsi con un piccolo sorriso sulle labbra, le mani
intrecciate, gli occhi un po’ lucidi ed i cuori aggiustati.
Elena Forte
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