I semi dell`odio e dell`integrazione
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I semi dell`odio e dell`integrazione
Poiché nel mese di Giugno in tutto il mondo si celebrano i “Gay pride”, riporto qui di seguito un importante capitolo del mio libro “L’Indicibile di me stesso”, un diario intimo spirituale, misticheggiante e psicologico edito dalla Minerva Edizioni. Sulla questione dell’identità omossessuale la penso da sempre come Gore Vidal e la sua celebre battuta: “Non esistono persone omosessuali, esistono soltanto atti omosessuali”. Le sue parole sono un punto d’arrivo che ci libera tutti da ogni categoria e divisione. Certo siamo ancora lontani da una società di questo tipo, ma non bisogna mai perdere di vista gli alti ideali! “I semi dell’odio e dell’integrazione” Ogni aspetto dell’esistenza può essere analizzato da molteplici punti di vista, ma non necessariamente dobbiamo adottarne uno. Tutto dipende da tempo, luogo e circostanza, e dobbiamo tener presente che avere opinioni immutabili può significare essere legati ad un’identità fissa, laddove è il distacco la chiave vincente se vogliamo essere «Nel mondo ma non del mondo», come disse Gesù. Se decido di voler vedere l’amore dietro ogni cosa, amore espresso dal livello di coscienza possibile, non mi chiedo se tale prospettiva sia realistica ma valuto come mi sento adottando questa griglia mentale, dato che voglio stare bene ed essere felice. Sicuramente è altamente funzionale e salutare tenere dentro di sé il numero maggiore possibile di opinioni e, quando operiamo una scelta, cercare di porre in essere quella che andrà a creare più pace e amore nel mondo, anche se è impossibile poter soddisfare tutti. È facile essere rispettoso con chi ci rispetta, ma l'opportunità ci viene dall'esserlo con coloro che ci stanno disprezzando e che percepiamo intransigenti, altrimenti costoro da chi potranno imparare la non violenza o l'amore? «Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo», non si stancava di ripetere Gandhi. La questione della mia identità sessuale in rapporto al cattolicesimo è ancora un terreno spinoso per me, e fatico a parlarne senza provare rabbia e risentimento. A quindici anni abbandonai definitivamente la comunità cattolica che frequentavo sin da bambino assieme ai miei migliori amici. Due furono le ragioni che mi condussero a tale scelta: innanzitutto realizzai di non credere in alcun Dio, e di conseguenza il senso di estraneità e falsità che provavo nel partecipare ai riti religiosi si fece insostenibile. Dall’altro maturai una crescente ostilità nei confronti della Chiesa, per me colpevole di causare la sofferenza di milioni di gay con i propri dogmi. E mi dicevo: “Ma io sono normale, io penso , comunico e provo sentimenti come gli altri, come mai la Chiesa parla di amore e poi si esprime in questo modo razzista verso gli omosessuali? Ma che ci faccio qui in mezzo a persone che se conoscessero la mia natura mi condannerebbero e cercherebbero di redimermi come si cura un malato?”. Dopo il coerente addio alla parrocchia, le mie percezioni verso la chiesa si trasformarono in un odio feroce, una furia caratterizzata da violente emozioni di rabbia che tanto intossicarono la mia esistenza, ma che al contempo fornirono legna da ardere per il fuoco della mia illuminazione. Non è forse vero che anche dalla repressione può nascere l’espressione? Di fatto essere omosessuali non significa nulla, è soltanto una parola creata ad hoc dal potere costituito per rendere sempre più frammentata questa umanità ipnotizzata. Dividi et impera diceva qualcuno. Io sono Armando e basta, sono uno Spirito Assoluto e sovrano, in alcun modo la modalità in cui vivo la mia affettività può definirmi, ma per arrivare davvero all’unità ci dovremmo liberare di mille altre parole, che in realtà sono soltanto gabbie che producono un effetto manifesto. Al contempo so che per poter creare un ponte fra individui di diverse culture, un dialogo che conduca a nuovi approdi da cui guardare ogni cosa, è spesso necessario utilizzare anche parole che ci fanno orrore e che rappresentano le istanze più retrive dell’inconscio collettivo, vocaboli che pur esprimendo separazione non lasciano però dubbi sul loro significato, essendo universalmente accettate. Credo sia un compito alquanto arduo accettare completamente la propria omosessualità, e nessuno che non lo sia potrà mai capire cosa significhi l’aver interiorizzato sin dalla più tenera età quel sentirsi definire malati, viziosi, sbagliati, sentire che al proprio sguardo è negato l’indirizzarsi in modo naturale verso la stessa polarità. Tanti Maestri incarnati e disincarnati ci dicono che l’androginia, le nozze alchemiche delle polarità maschili e femminili dentro di noi a cui ogni ricercatore del vero vorrebbe pervenire, altro non sarebbero che il vivere dal livello dell’anima, che non ha sesso. Siamo tutto e niente da un punto di vista della personalità, e neppure la sessualità è qualcosa di fisso, statico. Ho fatto tanti passi per riuscire ad amarmi così come sono, ma questo non mi impedisce di pensare a tanti milioni di gay nel mondo ancora incapaci di uscire da un circolo perverso di sofferenza auto-generata dall’introiezione inconscia del sentirsi sbagliati. «Coloro che percepisci come avversari sono parte della tua pace, alla quale rinunci attaccandoli», dice Gesù in “Un corso in Miracoli”. Cerco di non dimenticarmene mentre scrivo questo capitolo, in cui il mio risentimento verso la Chiesa si palesa in modo evidente. In queste pagine tratteggerò le possibili strade che portano alla guarigione, conscio che più peso psichico ci portiamo addosso più il miracolo attende. Imparando le lezioni che le nostre sofferenze sono venute ad insegnarci, le rendiamo sacre, anche se credo che certi traumi profondi, seppur integrati, rimarranno sempre come un’impronta psichica che ha però perduto il potere di far danni. Grazie alla consapevolezza acquisita nel percorso, impariamo a trascendere gli automatismi di pensiero che si attivano quando restiamo agganciati a comportamenti altrui che percepiamo come attacchi. «Ma tu non sei me», possiamo dire dolcemente al nostro ego mentre lo osserviamo apparire sul nostro schermo mentale con l’intento di dare battaglia al mondo esterno. Proseguendo il percorso evolutivo con il ferreo intento di trasformare le proprie difformità, un bel giorno le nostre cicatrici diventeranno un fatto storico, una parte della nostra esperienza senza peso psichico. Fin da adolescente trovavo immorale e incoerente sostenere una religione che ci condanna e definisce peccatori, contribuendo al formarsi della nostra sofferenza. Questi religiosi dicono di parlare in nome di Dio, dell’amore e della pace nel mondo, ma ciò che odono le mie orecchie è un linguaggio che porta separazione e mi è difficile osservare con distacco e sentire in tali personaggi la benevolenza in azione. La dottrina cattolica definisce “peccatori” gli omosessuali che non praticano l’assoluta castità, e da quella parola sono nati odio e discriminazione, perché il suo significato implicito è «Tu sei sbagliato!» Questo tranciante giudizio verso una categoria di esseri umani, contribuirà fortemente alla creazione di un forte senso di colpa ed infelicità, un velenoso malloppo che ogni gay si porterà appresso per tutta la vita se non si adopera alacremente per una totale disintossicazione, ammesso che ci riesca. Il clero è corresponsabile della sofferenza di milioni di gay nel mondo, che la approvi o che preferisca tacere per obbedienza. Ogni religione e istituzione dovrebbero incoraggiare gli individui a trovare la propria bellezza e una libera espressione di sé; l'importante è che una scelta personale non vada a incidere negativamente sulla vita di un altro, e la condizione omosessuale non è certo qualcosa che può influire sul mondo reale di un altro individuo, se quest'ultimo non ha deciso a priori come gli altri devono vivere e fa la guerra a chi non si adegua ai suoi diktat! Occorre imparare a tacere, sorvegliando scrupolosamente la tendenza al giudizio verso ciò che esula dalla nostra morale. Nella mia percezione la Chiesa è la prima a violare i comandamenti, poiché giudica comportamenti privati estrinsecati fra adulti consenzienti, ma il partito dell’odio è trasversale e ci riguarda tutti, ognuno con le proprie peculiarità. Non è affatto scontato stanare queste derive e trasformarle. Ad esempio diversi gay usano parole sprezzanti verso gli omosessuali particolarmente effeminati, in quanto a loro dire con quell’atteggiarsi innaturale essi non giovano alla causa. Chi si esprime in questo modo, e ne ho sentiti diversi recentemente, sta affermando che solo i gay “virili e insospettabili” sono ok (due aggettivi molto usati fra i profili delle chat per soli uomini), mentre quelli appariscenti disonorano la categoria. Mentre sentivo pronunciare tali discorsi, ho sentito l'impulso di scagliarmi contro i giudicanti e ho notato che alcuni fra loro apparivano ai miei occhi altrettanto femminei quanto coloro che essi stavano disprezzavano, ma non possiamo vedere fra le nostre sopracciglia! E per quale motivo un uomo molto femminile sarebbe un cattivo esempio e varrebbe meno di uno virile? Questo ragionamento emana un tipo di energia del tutto simile a quella proveniente dai propagatori della cultura fascista. La percezione è solo personale e insindacabile, e il giudizio è sempre lì a mostrarci come ciò che detestiamo negli altri sia un nostro aspetto che non accettiamo e che è diventato inconscio, e di cui diventiamo i più acerrimi nemici. Nei gay-pride sfilano anche carri con transessuali e macho-gay seminudi che si baciano al ritmo di musica tecno e si atteggiano in un modo che viene marchiato come esibizionista e nocivo per la causa dei gay, anche da tanti eterosessuali che si definiscono gayfriendly nonché da molti omosessuali. Questo accade perché scatta la struttura del giudizio verso ciò che è troppo diverso dai nostri parametri, i quali sono perlopiù frutto di condizionamenti; però se a commettere “atti impuri” sono gli eterosessuali allora è ok o comunque sopportabile, ma se lo fanno i “diversi”, parola aberrante in voga solo in Italia, allora scatta un meccanismo di condanna, frutto di ciò che vuole e diffonde la cultura reazionaria da tanti secoli ormai. Resta che siamo tutti perfettibilmente perfetti così come siamo, esseri divini in cammino verso l’identificazione con Dio. Ora racconterò un fatto che mi accadde con un collega di volontariato per cui provo affetto e stima, nonostante il suo fervore pro Vaticano che a volte sfocia in aperte condanne dei credo altrui di cui l’interessato sembra non rendersi conto. Quel giorno insieme ad altri presenti stavo intavolando un'interessante discussione, ma appena lui entrò nella stanza mi indirizzò uno sguardo dall’alto verso il basso che io percepii di puro compatimento, e apostrofandomi con la mano destra alzata e l’indice puntato contro mi disse con veemenza: «Si prendono delle grosse cantonate quando si parla di Dio, ma c’è solo una religione con cui Dio si è rivelato e si è fatto uomo! Tutti questi Dei e Dee legati a certe religioni fanno prendere una strada sbagliata!» Di colpo fu il gelo, perché la sua energia dirompente aveva spiazzato tutti quanti; gentilmente mi defilai senza controbattere, perché volevo stare in pace e non mi interessava difendere il mio punto di vista. Però pensai che il linguaggio da lui usato era proprio quello che genera le guerre nel mondo e l’ostilità fra i popoli. Espressi questo stesso concetto mesi addietro a un testimone di Geova, con cui avevo intavolato una discussione su temi spirituali mentre mi trovavo al molo a godermi il tramonto; quel dialogo, interessante all’inizio, in breve prese una deriva che mi fece lasciare in fretta il colloquio, in quanto l’interlocutore in realtà voleva evangelizzarmi e continuava a controbattere alle mie valutazioni con una stessa frase ripetuta come un mantra: «Sì ma solo Gesù ha detto che… Sì ma solo Gesù ha detto che…», sostenendo che le altre religioni sono primitive se rapportate al cristianesimo. In realtà lui era assolutamente ignorante riguardo la storia e la metafisica delle altre tradizioni religiose, come potei appurare ponendogli alcune domande. Quando è morto Lucio Dalla ho letto svariate interviste di alti prelati della curia bolognese e ciò che ne evinsi è che sull’omosessualità del famoso cantautore preferivano sviare, pur non stancandosi di ripetere che comunque la Chiesa condanna il peccato ma non il peccatore. Nelle parole usate dagli intervistati c’era un grande uso del termine “tolleranza”, parola che ho sempre detestato perché chi la usa spesso parla dall’alto della sua posizione e giudica ciò che ritiene essere di grado inferiore. Tollerare suona come un invito a non usare violenza verso chi, pur palesemente di minor valore, è comunque qui su questa terra, quindi per non correre il rischio di sentirsi in colpa meglio non infierire e lasciar vivere questi peccatori, se non avanzano troppe richieste. Il caro Dalla non aveva certo l’obbligo di sbandierare ai quattro venti la propria identità sessuale, non essendo questa un biglietto da visita, e sinceramente non ho apprezzato le accuse rivoltegli da alcuni esponenti del movimento di liberazione gay. Fare coming out è una scelta liberatoria ma assai difficile da porre in essere. Se così non fosse ogni omosessuale parlerebbe liberamente della propria natura e le chat gay non sarebbero piene di iscritti che aprono profili senza mettere fotografie per paura di esporsi. Nessuno può essere forzato a dichiarare la propria natura sessuale, sarebbe una vera e propria violenza. Probabilmente Lucio era in pace con se stesso e non sentiva il desiderio di parlarne in pubblico oppure l’esatto contrario, ma questo nessuno può saperlo e comunque erano soltanto fatti suoi. Certo è vero che il suo uscire allo scoperto avrebbe creato una grande risonanza e sensibilizzato la collettività sulla tematica, ma solo lui aveva il diritto di decidere della sua vita. Tanti “Maestri” insistono nel sottolineare come le cose su cui ci concentriamo permangono, si accrescono, e rabbia, risentimento e vendetta sono pur sempre una conseguenza dell’attenzione data a qualcosa. Io sarei ben felice di vedere la perfezione e la completa legittimità delle posizioni assunte da qualsiasi individuo o istituzione, perché ne avrei solo da guadagnarci in salute, ma questa prospettiva non sempre riesco a individuarla. È giusto che esista un limite alla libertà d’espressione in modo che nessuno possa fomentare l’odio? È possibile includere tutto senza creare divisioni e distanze? Il clero cattolico non crede certo di istigare all’odio verso i gay quando ci definisce peccatori. Ma se chiedessero a noi omosessuali cosa ne pensiamo, forse resterebbero stupiti della risposta! E che dire dei deputati leghisti che durante l’estate del 2013 hanno più volte chiamato “orango” una ministra di colore ed esposto un finocchio sul banco del parlamento mentre parlava un deputato dichiaratamente gay? È giusto o no che essi abbiano il diritto di esprimersi in questo modo? Per loro si tratta di cosa buona e giusta. Di una cosa sono certo: quando riuscirò ad ascoltare un certo cardinale che non nomino, senza provare sdegno per le parole con cui si esprime e rabbia per quel suo sguardo da aguzzino, sarò davvero libero, e di conseguenza permetterò anche agli altri di esserlo. Per ora mi trovo confinato fra due poli che mi stanno stretti senza riuscire a scegliere: da un lato vedo la giustezza e sensatezza della totale libertà di parola, dall’altro trovo nobile il tentativo di varare leggi che vietino espressioni verbali che diffondono conflitti sociali. Leggo nei quotidiani del 23 Settembre che un insegnante di religione di un liceo classico ha consegnato agli alunni un elenco contenente trenta aberrazioni comportamentali umane, a cui bisognava dare un voto da uno a dieci per indicarne il grado di colpevolezza. Nella lista era compresa anche l’omosessualità. Che dire? Una parte di me si è subito scagliata contro, sentenziando che simili figure andrebbero licenziate. Purtroppo la scuola italiana ancora abbonda di tali personaggi, che indottrinano individui in formazione instillando loro il germe dell'odio. Il rispetto verso tutti gli individui dovrebbe essere insegnato sin dalle elementari, e nessuna legge potrà azzerare l'intolleranza se non si guarda a monte. Conosco persone che, seppur simpatizzanti per la causa dei gay sono però contrarie all’approvazione di una legge contro l’omofobia, perché a parere loro un delitto o un pestaggio restano tali al di là della natura intrinseca della persona offesa e delle motivazioni dell’aggressore, quindi se un gay viene ucciso a causa della sua identità sessuale questo non deve essere considerato un aggravante. Seppur nel rispetto delle opinioni altrui, proprio non capisco come si possa affermare di perorare la causa dei gay e poi nei fatti ostacolare l’approvazione di leggi che insegnano la non violenza e il non giudizio. A mio avviso il messaggio che si lancerebbe alla società approvando una simile legge, è che l’odio verso le persone omosessuali è un disvalore, e in quanto tale lo stato si adopera per sradicarlo dalla mentalità collettiva. Qualcuno ha detto che la miglior vendetta è il successo, o comunque stare bene. Un’altra prospettiva da cui guardare il mio legame col cattolicesimo è adottare la via d’uscita cristica di “Un Corso in Miracoli”, ovvero il perdono. Oppure, se tutto sono io, come recita un grande detto “Vedico”, il Tetuamasi, anche la Chiesa è parte della mia anima, quindi cosa voglio farne? Bruciarla? Eliminarla? Fare ciò che hanno fatto loro coi tribunali dell'inquisizione? Di certo così non ne uscirei ed aggraverei la divisione in me stesso. Quindi ben venga il Kaivalya, la via d’uscita “Vedica”, ovvero il distacco dal mondo delle azioni, dei pensieri e delle emozioni. Un altro punto di vista è : «Nel mio mondo tutto va per il meglio e ogni cosa che accade torna a vantaggio maggiore perché io decido che sia così». Ho elencato almeno cinque posizioni mentali: “Condannare/Celebrare/Perdonare/Distaccarsi/Decidersi” a stare bene. Poi tutto dipende da quanto riusciamo ad incarnare la prospettiva che ci attrae di più da un punto di vista intellettuale, perché sposare una convinzione non significa capirla mentalmente, anche se è da lì che si parte. Nel bellissimo libro La scomparsa dell’Universo così come ci appare, l’autore Gary Renard si trova improvvisamente al cospetto di due maestri ascesi, che si presentano a lui per impartirgli importanti lezioni. Dice Pursah: “Nonostante le migliori intenzioni la correttezza politica è pur sempre un attacco alla libertà di parola…A livello formale potrebbe essere giusto affermare che molti cristiani potrebbero cambiare il nome della loro religione in “giudizionismo”. Ma se tu giudichi il loro giudizio allora fai proprio come loro e questo ti mette nella stessa posizione, cioè a essere incatenato a un corpo e a un mondo che tu, psicologicamente parlando, rendi reale per te stesso non riuscendo a perdonare”. Se potessi chiedere scusa con un solo atto a tutte le persone che ho maltrattato nel corso della vita lo farei subito...Il fustigatore è dentro ognuno di noi e se lo notiamo con sdegno negli altri è perché ce l’abbiamo dentro. Quindi misericordia e rispetto per tutti, ma soprattutto fiducia, speranza che un giorno ogni essere umano saprà vedere Dio in ogni volto e in ogni cosa. Nel frattempo possiamo sempre tentare di praticare il perdono e il non giudizio verso le persone che ci suscitano ostilità e disprezzo. Quando la Santa Sede approderà a considerazioni di vero amore verso tutte le categorie esistenziali, allora il mio dialogo con questa religione potrà ripartire con serenità d’animo; al presente non mi è facile, anche se non perdo di vista gli alti ideali. Comunque sia tendo la mano a Papa Francesco e gli faccio i miei più sinceri auguri affinché possa rinnovare la Chiesa. Non posso certo dire di essere rimasto indifferente quando il 30 Luglio del 2013 i principali quotidiani hanno aperto con la sua dichiarazione del giorno prima: «Chi sono io per giudicare i gay?» Ho letto con molto interesse quella lunga intervista e seguo con attenzione le continue rivoluzioni che sta ponendo in essere per modernizzare la Chiesa: confesso che vedo in lui qualcosa di nuovo, una dolcezza, un’umiltà e una serietà d’intenti davvero nobili. Al contempo certe sue dichiarazioni sono un’esplicita ammissione di ciò che la Chiesa ha sempre fatto contro gay, divorziati e donne che hanno abortito: giudicare! Dopo un’attenta analisi delle sue dichiarazioni, che ho trovato sincere e apprezzabili anche se non in toto, ho fatto una foto a una parte dell’articolo e l’ho postato su Facebook. Subito un amico gay mi ha ferocemente criticato, chiedendomi come potessi non capire che tutto questo era soltanto una trovata pubblicitaria ultra tardiva dopo secoli di fustigazioni! Gli ho risposto che non voglio fare processi alle intenzioni, che voglio vedere le cose in modo diverso per cui porgo a Francesco un ramoscello d’ulivo e intendo confidare nella sincerità della sua forza rinnovatrice. La mia insegnante psico/spirituale Videha pensa che il mio essere rinato come gay sia la via migliore per realizzare il mio dharma, o “scopo dell’incarnazione”, perché il futuro è dei ribelli. Mi ha molto divertito il suo commento all’apertura di Papa Francesco ai gay: «Come tu ben sai, anche se non puoi sentirlo perché non hai ancora raggiunto l’Illuminazione, tutto è soltanto un sogno, e in questo tuo sogno più sei libero nell'espressione della tua omosessualità, più la realtà esterna di conseguenza si uniforma al tuo sogno!»