L`uomo delle stelle. Tornatore, ovvero un sogno fatto a Bagheria
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L`uomo delle stelle. Tornatore, ovvero un sogno fatto a Bagheria
Tornatore, ovvero un sogno fatto a Bagheria “Essere dei sognatori è il grande pregio e il grande .limite dei siciliani: sognare ti permette di convivere con le cose che sono all'opposto del sogno. Forse se i siciliani non fossero dei sognatori si sarebbero già liberati dalla mafia. Riescono a vivere male, perché riescono a sognare…”1 A coloro che interpretano il cinema di Giuseppe Tornatore come cinema della memoria o dei fantasmi va ricordato l'antico diritto del sogno di essere strumento di analisi della vita e del presente. Certo i sogni dei siciliani sono fatti anche di colori e immagini e di elementi che sono realtà e che di quest'ultima sentono il peso e il limite. Ogni generazione vive situazioni ordinarie e terribili e ogni volta qualcuno crea, in mezzo al disordine greve ed intollerabile della realtà, un sogno che di essa si sostenta ma che oltre essa ci conduce verso un'immagine utopica della vita che è in tutti e non è in nessun luogo se non nel gioco di chi ama l'arte: "E che manchi ciò che si sogna fa male di più, non di meno. Ma impedisce che alla miseria si faccia l'abitudine [...]. Qui si profila nell'aria un'immagine più grande, concepita dal desiderio".2 L'intelligenza dei siciliani, secca e amara, volta velocemente le pagine dell'ordine apparente del quotidiano e cerca un varco ad una vita diversa, più umana. Scrive Sciascia: "Tutti amiamo il luogo in cui siamo nati, e siamo portati ad esaltarlo. Ma Racalmuto è davvero un paese straordinario. Oltre al circolo e al teatro [...] di Racalmuto amo la vita quotidiana, che ha una dimensione un po'folle. La gente è molto intelligente. Tutti sono come personaggi in cerca d'autore".3 Così Sciascia, così ogni siciliano del suo paese: la necessità di superare i confini della quotidianità con la "follia" di un'intelligenza che talora si nasconde nello scetticismo, nella sofistica, talora si traveste nel teatro, infine si sdoppia nel delirio. Il primo set di Tornatore fu Villa Palagonia con protagonisti i Pupi e vecchi bagheresi, sorpresi a sopravvivere nello spazio di luce e tempo tra l'uscita del liceo e l'apertura del cinematografo: nell'unità drammatica decisa dalla scuola, dal lavoro, dalla fantasia. Nella danza giocosa e atroce tra vecchi baharioti, di pietra e no, di "Scene di morte a Bagheria" (S8, 1973): "di che ridi?-dice il Marchese a se stesso, a Goethe, a noi.- Questi mostri raccontano la tua favola".4 La sola presenza di luoghi affascinanti, testimoni ed emblemi dell'aristocrazia siciliana, non spiega affatto il carattere dei bagheresi né le loro vocazioni estetiche anzi: nella storia di un popolo ricco di umanità, di voglia di riscattarsi, di crescere, anche e sopratutto contro il passato, rinveniamo i fili che legano l'intellettuale bagherese, almeno da un secolo, sia ad orizzonti che oltrepassano il paese sia a radici inestirpabili, sentimentalmente e razionalmente. Stranamente ancora non è stata scritta una storia di Bagheria che indaghi perché l'eccezionale nascita di talenti nel paese dove fiorivano i limoni. Non c'è un bagherese che non si sia dato una risposta, del bene e del male, sulla questione di Bagheria. 1 Sandro Volpe, Giuseppe Tornatore: ritratto del regista da giovane, in Nuove Effemeridi, n°13, 1991/I, p.24.L’articolo è una lunga e interessante intervista a Giuseppe Tornatore soprattutto perché Tornatore ripercorre luoghi e tempi della sua formazione giovanile. 2 Ernst Bloch, Il Principio Speranza, Garzanti, 1994. p.157. 3 Leonardo Sciascia, La Sicilia come metafora, Arnoldo Mondadori, 1979, p.22. 4 Leonardo Sciascia, Introduzione a Ferdinando Scianna, La Villa dei Mostri, Einaudi 1977, p.8. La capacità di Peppuccio Tornatore di ascoltare la voce della Bagheria popolare, del lavoro umile e quotidiano, dei piccoli e grandi drammi della vita, della lotta per una dignità sociale, la voce di una Bagheria che era già nei versi di Ignazio Buttitta o nei colori di Renato Guttuso e che guardava con fiducia alla grande cultura nazionale, caratterizza significativamente tutta la sua opera. C’è l'orgoglio di fare parte di una Bagheria che voleva rompere i vecchi squilibri e distruggere le antiche ingiustizie per costruire una città non ancora scoperta. Una città da alcuni sognata, da altri intravista, da tanti dimenticata perché travolti dal piccolo benessere, che soddisfa e inganna. Senza tener conto di ciò sarebbe difficile comprendere a pieno i film di Tornatore. Le "lucciole" da noi, come dappertutto, erano la piazza, le feste, i giochi, il cinematografo... tutto quanto la catastrofe antropologica ha reso ormai solo oggetto di memoria o nostalgia. Chi non è cresciuto per la strada, fuori da case piccole e accecate dal sole, richiamato da nonne appartenenti ad un'altra civiltà, non può capire l'amore sconfinato per la luce, le pietre, le facce, i suoni, gli odori, i "fattelli" di un mondo che già forse allora non esisteva più. I siciliani capiscono di essere tali solo quando riescono a vedersi fuori dalla Sicilia, grazie ai treni, alla scuola, ai libri. A quel punto la Sicilia non è più soltanto l’isola del Sole ma anche dell'ombra: si vede il fico d'India, la rovina greca, il morto ammazzato e ci si rompe la testa. Scorgiamo allora il lato luttuoso della luce e la giovinezza, non importa l'età anagrafìca, finisce. Il paese non c'è più, tutto diventa più piccolo e ci sta di fronte l'Italia con i suoi problemi e le sue speranze, ma è ormai un'altra storia. I migliori colori della Sicilia, da Verga a Guttuso, da Pirandello a Buttitta , dal carretto al tufo , esplodono perciò nei film di Tornatore : insieme però ai luoghi della formazione vi sono anche i tempi della vita. Senza quella folla di personaggi in cerca d'autore con i quali conviviamo nessun artista crea l'opera che ci dice dell'uomo e dei suoi mostri: non "l'impossibilità d'amare e di vivere", dietro l'occhio che guarda, ma una coscienza che ha voglia di capire gli altri, i sogni e le miserie, il presente e le speranze.5 C’è chi cresce solo con i libri invece Tornatore diventa adulto nel cinema, luogo utopico per definizione poiché esso è sempre altro rispetto allo spettatore. Tale alterità ha fatto del cinema, come è noto, il mezzo e il fine di un'educazione sentimentale, un Paradiso che ci ha dato anime di celluloide:l'anima dello sguardo obliquo rispetto al reale, della sincerità della finzione, della favola che parla di noi, del bianco e del nero, delle "fatue schegge di luce''6, della voglia di lasciarsi incantare da un'idea di trascendenza fatta da noi e per noi, della tentazione di entrare nello schermo e rimanerci... E ciò per gli spettatori, ma dall'altro lato del telone, per chi il cinema lo fa, esso è comunque altro rispetto all'autore e alla realtà materiale che ha ripreso o ricostruito. Infatti “il cinema propone dei luoghi che rivelano un modo nuovo di guardarli, uno sguardo 'vergine' su qualcosa di già visto (il già visto che ci propone il giornalismo televisivo), la possibilità di dimorare in un luogo puramente virtuale, che non esiste. 5 Mi riferisco all’analisi espressa da Emiliano Morreale nella recensione Tornatore e il suo pianista in Segno, 201, Gennaio 1991, p.61. Su questo punto non concordo con l’amico Emiliano, specie sulla tendenza “autistica” dei personaggi di Tornatore. Invece , come Morreale stesso ha notato, bisognerebbe approfondire le affinità con Pirandello e Brancati a proposito dei personaggi “isole”, che però svelano , proprio in forza di ciò, la geografia dell’anima. 6 Gianfranco Marrone, Gesualdo Bufalino: Diceria dell’autore, in Nuove effemeridi, n°13, 1991/I, p.4. Si tratta di una lunga e bella intervista a Bufalino; vi leggiamo: “ Professor Bufalino, lei ha spesso sottolineato l’importanza del cinema hollywoodiano per la sua formazione che se pure non supera, quanto meno eguaglia, la sua sete di letture. “Per me-leggiamo in un suo scritto (Cere perse, p.177, Sellerio 1985)- e, suppongo, per molti coetanei miei contò allora più degli Steinbeck e Saroyan vittoriniani la fantasmagoria che s’accendeva ogni sera su un bianco telone di periferia. E più e meglio di qualunque pagina scritta hanno resistito alla forza degli anni certe fatue schegge di luce” (…) Cfr. pure il commovente, e un po’ triste , intervento di Leonardo Sciascia, C’era una volta il cinema, in Fatti diversi di storie letterarie e civili, Sellerio 1989 .Le osservazioni di Sciascia, su Nuovo cinema Paradiso hanno comunque generato, in critici poco attenti, alcuni luoghi comuni sul cinema di Tornatore: il sonno, l’agonia, la morte, il requiem, la memoria, la nostalgia, la Sicilia dai pantaloncini corti etc… Il punto, ed è un nodo morale, è quanto sia abitabile quella dimora che ci propone, sia esso lo spazio della galassia, o un piccolo paese della Sicilia di trent'anni fa"7.7 Tornatore crea un non-luogo della vita ove, come nei sogni, i limiti non esistono e i colori sono più vivi ed intensi: la forma o l'idea del sogno è la più reale che esista. Un'utopia che, come l'Atlantide e il Virginian, si trova in mezzo all'Oceano e, da quell’ immensità che è l'umanità che soffre, spera, sogna, emerge un suono che nessuno ha toccato, una storia che tutti vogliamo ascoltare: la nostra. Il Professore, Salvatore, Matteo, Otello, Onoff, l'Uomo delle Stelle, il Pianista sono tutte metamorfosi di Ulisse, un Nessuno che è tutti noi. L'eroe che crede di aver vinto, con la forza, con l'amore, con l'inganno, con l'arte la propria guerra e ritorna, inquieto e incerto, non verso una Casa che non sa trovare senza la nave, la bussola, i compagni, ma verso un nuovo viaggio, una nuova storia, spinto stavolta dalla curiosità della vita e dal desiderio di non essere più Odisseo, l'eroe, bensì Nessuno: il luogo geometrico dell’Umanità, al di là del tempo e dello spazio, un sogno che ci fa essere tutti più reali. Tanti anni fa Ferdinando Scianna ad una platea di giovani baharioti ricordava: “ Guttuso una volta ha detto: In qualunque cosa io dipinga c’è la Sicilia, anche una mela, la sua luce, il suo colore- e ricordo che proprio Sciascia parlando di Guttuso aggiunse:e il verme che se la mangia? Non lo vedete? Eppure a me pare che sia lì.8 . E’ possibile allora che la capacità di far vedere insieme la mela e il verme si apprenda in Sicilia. E forse solo proprio a Bagheria? Domenico Aiello detto Mimmo Bagheria dicembre 1999 Pubblicato in Quo Vadis, anno II,n.°1, Dicembre 1999, EM FALCONE Editore,Bagheria, pp.31-33. 7 8 RobertoAndò, Il terzo occhio, in Nuove Effemeridi, n°13,1991/I, p.44. Ferdinando Scianna, Immagini e Parole,in Culture di Paesi, Edizioni dell’Orso, 1981,p.186.