Giovanni Semeraro

Transcript

Giovanni Semeraro
La Via dei Lupi
Una storia di Corsa
Giovanni Semeraro
Prefazione (di Alberto Rovera)
Era da molto tempo che pensavo di organizzare una corsa in montagna, un po’ per la passione
che mio padre e mia madre mi hanno trasmesso, per l’amore che ho per questi luoghi che volevo
condividere con altri e per la simpatia che ho per tutto quello che li si trova ….per i lupi..
Due anni fa lo propongo a Davide Presidente della Cuneo Triathlon, instancabile organizzatore,
non ci pensa neanche un minuto: facciamo, facciamo! Forse è un po’ incosciente, ma era la
risposta che aspettavo e siam partiti.
Tante idee, come al solito, il percorso ce l’ho in mente da sempre, il nome viene da solo in
cinque minuti e poi il testimonial.
Marco Olmo è di queste zone, si allena spesso proprio su queste montagne, qui l’avevo trovato
una mattina estiva di molti anni fa poco prima del Rifugio Morgantini, io ero in mountain bike, lui
era partito di corsa da casa sua a Robilante, andava…..al mare, qualcosa come ottanta chilometri!
Ha un grande carisma, è dotato di una volontà impareggiabile, una passione infinita, un grande
atleta ed un grande uomo, chi meglio di lui? Quale miglior esempio? I lupi di qui secondo
Francesca (nessuno conosce i lupi di queste parti meglio di lei), mi dice che “loro” sicuramente
ormai riconoscono Marco anche da lontano. Lui accetta con entusiasmo.
L’edizione uno del 2008 è stata un successo, complimenti e ringraziamenti da parte di moltissimi
partecipanti, consensi arrivano anche dai comuni interessati e dai responsabili del fantastico Parco
della Valle Pesio.
Inevitabile quindi l’edizione 2009 anche perché, pur avendo frequentato anche da atleta diversi
ambienti sportivi, vi assicuro che in pochi altri si respira lo stesso clima, il mondo del trail running
è diverso da tutto, il “trailer” è sorridente, tosto, simpatico, determinato, altruista, semplice, forse
anche un po’ matto, in questi anni ho avuto modo di conoscere persone veramente speciali, sarebbe
un elenco lunghissimo. Quest’anno ho conosciuto anche Giovanni, podista fiorentino a tutto tondo,
con varie esperienze nel running (alcune anche notevoli…), viene a Limone per la sua “prima” in
montagna, scrive libri sulle sue imprese, mi dice che vorrebbe scriverne uno anche sulla sua
partecipazione alla Via dei Lupi. La cosa mi lusinga e mi inorgoglisce, qualcuno che vuole scrivere
sulla mia pur umile “creatura”!
Ed eccolo qui, leggerete un racconto o meglio ancora un diario di un’esperienza vista con occhi
forse diversi da quelli di un “trailer” navigato, ma intenso, semplicemente trasmette le paure, le
incognite, le gioie e le sensazioni di una prima esperienza in una gara di trail con i suoi lati positivi
e negativi.
Un racconto nel quale molti si potranno riconoscere, e con questo confrontare, o potrà dare lo
slancio ed il coraggio ad altri per poter affrontare e provare a propria volta le stesse esperienze. In
un attimo arriverete alla fine ed inizierete a sognare …la prossima!
Grazie Giovanni e grazie a tutti quelli che hanno partecipato o collaborato alla Via dei Lupi,
grandi, tutti grandi! Abbiamo voluto sia io che Davide aspettarvi tutti al traguardo, con voi battere
il “cinque” con la speranza di poter rivivere insieme altre mille di queste giornate, altri mille di
questi racconti.
Alberto
PROLOGO
Sono in debito di ossigeno, devo rallentare. Guardo il GPS da polso, indica già una quota di 1700
metri; sono salito di circa 700 metri in soli cinque chilometri, e in una quarantina di minuti.
Mi sto lasciando i boschi alle spalle, e davanti a me ho solo brughiera e rocce, mentre più in alto
si vedono già le prime chiazze di neve.
Per fortuna non fa freddo; dall'inizio sto alternando corsa e marcia, ed in questo momento sto
passando sotto i vari tralicci di un impianto di risalita per lo sci, una seggiovia ovviamente ferma,
visto che siamo all'inizio di luglio.
Credo proprio che l'immagine di una seggiovia possa dare il senso della pendenza che sto
cercando di risalire: sto facendo una fatica pazzesca, ma noto che pure gli altri trail runners che mi
precedono e che mi seguono sembrano provare le mie stesse difficoltà.
Mi trovo in una vallata nei pressi di Limone Piemonte, tra Cuneo e Ventimiglia, non lontano dal
confine con la Francia.
Oggi è sabato 4 luglio 2009 e devo percorrere 39 chilometri di sentieri di montagna; domani ne
dovrò percorrere altrettanti.
Come sono finito qui ?
Facciamo un passo indietro...
*
* *
3
Lunedì 15 giugno
Sono in ufficio, tra una pratica e l'altra. Sono passati esattamente otto giorni dal weekend del 6 e
7 giugno, durante il quale io e mia moglie Daniela abbiamo felicemente concluso la nostra prima
gara sulle 24 ore, la MAIZEDER, dalle parti di Baselga di Pinè, in provincia di Trento.
Sono soddisfatto del risultato della gara, ho percorso 137 km e come esordio non è male, però...
mi resta un po' l'amaro in bocca per un piccolo ma fastidioso problema: un'infiammazione dietro al
ginocchio sinistro, verso l'undicesima ora di corsa, che mi ha costretto a rallentare parecchio e a
camminare per la maggior parte della seconda metà delle 24 ore.
Senza quel problema avrei fatto un risultato senz'altro migliore, ma pazienza: la corsa di lunga
distanza è così, e poi non si può essere mai sicuri dell'esito di una prova mai tentata in precedenza,
come è stato per questa 24 ore.
A proposito di prime esperienze... tra meno di tre settimane ne ho un'altra, anzi, una... doppia
prima esperienza.
Un paio di mesi fa, infatti, mi sono iscritto alla seconda edizione de “La Via dei Lupi”.
Di cosa si tratta ?
Dal cassetto della scrivania tiro fuori il depliant ed il regolamento della gara, che ho scaricato da
Internet: si tratta di un “Iron Trail” di 78 chilometri, in due tappe, dalle parti di Limone Piemonte,
tra Cuneo e Ventimiglia, vicino al confine con la Francia.
Allungo le gambe sotto la scrivania, mi appoggio allo schienale della poltrona e sfoglio il
regolamento; mi viene da sorridere a leggere questa definizione: Iron Trail.
Fino a poco tempo fa, ricordo infatti che tutte queste gare si chiamavano Ultratrail, e la
definizione aveva perfettamente senso: se una corsa su strada è più lunga di una maratona, si
chiama ultramaratona; quindi, se un trail (cioè una corsa su fondo naturale, come sterrato, sabbia,
sentieri, pietraia...) ha una lunghezza superiore a 42 chilometri, si chiama Ultratrail.
O meglio, si chiamava così. Ora non più, perchè gli organizzatori dell'Ultratrail del Monte
Bianco sembra abbiano messo il copyright sul nome “ultratrail” e diffidino chiunque dall'utilizzarlo.
Un po' come se, per esempio, il comitato organizzatore della Maratona di New York mettesse il
copyright sul nome “maratona”, e da quel momento in poi questo sostantivo non si potesse più
usare nell'indicazione di altre gare.
Roba da matti.
Gli organizzatori di tutte le altre gare di ultratrail, quindi, si sono dovuti inventare un altro
nome, ed è stato scelto “Iron Trail”, che tutto sommato suona bene, è tosto, e mi sembra abbia avuto
anche successo, alla faccia di quelli dell'ultratrail del Monte Bianco.
Ad essere proprio precisi, però, non sono del tutto nuovo ad esperienze di corsa su sterrati, o su
fondo comunque diverso dall'asfalto.
A parte diverse gare corte, dai 10 chilometri alla mezza maratona (che qualche volta ho corso su
sentieri) è stata la Chott Xtreme Marathon '08, lo scorso anno, la mia prima vera esperienza in una
maratona lontano dall'asfalto.
Si è svolta sulla piatta superficie di un lago secco, il Chott el Jerid (nel sud della Tunisia lì dove
comincia il Sahara) ed il fondo era un misto di sabbia e fango secco, piuttosto irregolare e
polveroso, ma tutto sommato più scorrevole di quanto mi sarei aspettato, visto l'ambiente.
Tecnicamente anche quello è stato un trail, ma sicuramente molto, molto diverso dalla Via dei
Lupi che mi appresto ad affrontare.
4
In primo luogo, nella Chott Marathon il tracciato era assolutamente pianeggiante, senza alcun
dislivello; nella Via dei Lupi, invece, il tracciato NON E' MAI pianeggiante, ma una serie di
saliscendi per un dislivello totale di circa 4000 metri a salire, e altrettanti a scendere.
Inoltre, la Chott Marathon è una maratona secca di 42 chilometri, mentre la Via dei Lupi è una
gara di 78 chilometri, divisa in due tappe giornaliere di 39 chilometri l'una.
Infine, nella Chott Marathon il clima era desertico, quindi caldo e ventoso, con umidità molto
bassa; la Via dei Lupi è invece una gara in montagna ad una quota compresa tra i 900 e i 2200
metri, quindi il clima è alpino, con tutta la variabilità del clima alpino estivo, che può spaziare dal
caldo afoso al freddo pungente di un improvviso nubifragio in alta quota.
Anche la 24 ore del MAIZEDER recentemente conclusa, per quanto dura, ha pochi punti di
contatto con un ultratrail quindi, mentre sfoglio il depliant e il regolamento, mi arrendo alla
consapevolezza che questa sarà un'esperienza completamente nuova, con tutta l'incertezza ed il
fascino che ciò comporta.
Da quanto mi sono lanciato sulle distanze più lunghe della maratona, cioè dall'inizio del 2007,
ho cominciato ad interessarmi e a conoscere dalle pagine delle riviste e dagli articoli dei siti
specializzati alcune persone che sono rapidamente diventate dei “miti”: da Calcaterra alla Carlin,
dal Mammoli alla Casiraghi, da Accorsi alla Barchetti, dai due Gross a... Marco Olmo.
Già, Marco Olmo, a mio avviso il più grande ultratrailer del mondo, che ha “firmato” il tracciato
della Via dei Lupi collaborando con gli organizzatori all'impostazione della gara, e che spero di
avere l'occasione di conoscere personalmente, su a Limone Piemonte.
Stanno bussando alla porta del mio ufficio, basta fantasticare, mancano ancora quasi tre
settimane; rimetto depliant e regolamento nel cassetto, e sospirando torno a dedicare la mia
attenzione alle pratiche di ufficio...
21 giugno
Sono le otto di sera, e sto per fare l'upload di un mio articolo sulla mezza maratona di Roma,
che ho corso ieri sera proprio a cavallo della mezzanotte.
Per prepararmi alla Via dei Lupi, infatti, ho pensato che sarebbe stato sbagliato fare solo attività
di scarico dopo la 24 ore del MAIZEDER, e quindi dopo due settimane di quotidiane corsette
leggere di non più di 6-7 chilometri a ritmo blando, ho deciso di inserire tra gli allenamenti anche
una “Ventuno Chilometri” nella Città Eterna che, peraltro, aveva anche tutto il fascino inconsueto di
una corsa notturna.
Prima di inviare l'articolo sia a www.podisticavaldipesa.wordpress.com (il sito della mia società
sportiva), sia a www.podisti.net (il principale portale italiano sul podismo) lo rileggo per l'ultima
volta:
“Correre la prima edizione di qualche gara di solito è sempre una bella esperienza, e peraltro
Roma è anche la città di nascita di Daniela, quindi ci è sembrato quasi naturale iscriverci alla
prima edizione della mezza maratona di Roma.
C’era anche il fascino aggiuntivo della gara in notturna, visto che la partenza era fissata per le
23; l’unico dubbio poteva essere rappresentato dal fatto che, dopo sole due settimane dalla
partecipazione alla 24 ore del MAI ZEDER, le gambe potessero essere ancora molto lontane dal
pieno recupero. Ed infatti così è stato, o quasi, ma andiamo con ordine.
Roma è piuttosto vicina a Firenze in Eurostar: un’ora e mezza (e 42 euri…) e siamo a Roma
Termini già alle 10 della mattina. Passiamo la giornata con la mamma di Dany e a pomeriggio
andiamo alle terme di Caracalla per il ritiro dei pettorali: piuttosto ordinato, c’è gente, ma senza
5
fastidiosa confusione.
Cena leggera e ritorniamo a Caracalla, dove si trova il deposito borse, verso le 22. C’è già
folla (si parla di 3500 partecipanti, che poi si tradurranno in più di 2800 arrivati) ma l’esercito
dell’organizzazione è numeroso e il serpentone dei podisti è ben gestito. Le previsioni meteo
parlavano di possibile pioggia, ma il tempo ha retto bene sino a domenica mattina e, anzi, per tutta
la gara ha fatto caldo umido.
Il luogo della partenza (Colosseo) è più o meno lo stesso della Maratona, ma le similitudini
finiscono qui. Per la Maratona si parte a nord del Colosseo verso via dei Fori Imperiali, mentre in
questo caso si parte a sud (dall’Arco di Costantino) su via di S. Gregorio verso l’Appia antica.
Il via è puntuale alle 23, ed il serpentone si mette quindi laboriosamente in movimento; il
consistente traffico romano del sabato sera è ben controllato dal servizio d’ordine, e dopo poco più
di un chilometro passiamo per Porta S. Sebastiano e ci immettiamo sull’Appia antica,
completamente chiusa al traffico come tutto il resto del percorso.
Lo spettacolo è suggestivo, perchè l’Appia è tutta al buio a meno di due linee di lampade ad
olio che delimitano i bordi della carreggiata: i podisti sono anch’essi ombre fuggevoli nel buio e
questo, per quanto suggestivo, può essere un problema. Siamo infatti appena partiti ed ancora
intruppati in maniera piuttosto fitta; l’Appia è stretta e le lampade a terra, per quanto
scenografiche, indicano solo la direzione ma non fanno luce, i sapietrini sono vecchi e
“bastardi”… ci basterebbe poco per inciampare su una pietra e/o una gamba ed innescare un bel
ruzzolone a catena.
Per fortuna mentre passo io non succede nulla, e non mi è giunta poi notizia di alcun problema.
L’organizzazione è comunque notevole, con tantissimi volontari ed anche molto personale
medico e paramedico pronto ad intervenire. Sul percorso sono dislocati tre ristori e due spugnaggi,
e ben presto arrivo al ristoro del 5° km, dove distribuiscono acqua e sali in bottiglie intere, senza
usare bicchierini. Se da un lato questo è comodo per non rovesciarsi tutto addosso e per bere più di
un sorso, dall’altro molta gente butta le bottiglie al buio sulla strada ancora mezze piene, e
qualcuno potrebbe fare una brutta fine, mettendoci un piede sopra.
Le gambe nel frattempo non mi girano tanto bene, viaggio tra i 4′45” e i 5′ al km, sia per la
folla di podisti che ancora si deve diradare sulla strada stretta, che per il buio ed i sanpietrini, ma
anche perchè non ho ancora recuperato tutti gli oltre 200 chilometri già corsi nel mese di giugno.
Le cose sembrano migliorare dopo il 9° km, quando lasciamo l’Appia per cominciare un largo
giro che ci deve poi portare verso via Ardeatina e quindi di nuovo verso il centro, e l’arrivo.
Il serpentone si sgrana e la folla si dirada, l’asfalto sostituisce i sanpietrini, l’illuminazione
stradale allontana il buio, sembra fare persino meno caldo… ed il mio metabolismo si regola
finalmente sullo sforzo da effettuare. Nonostante qualche discreto saliscendi, infatti, riesco ad
aumentare sensibilmente il ritmo: faccio alcuni km tra i 4′ e i 4′:15”/km, ed anche quando verso il
17° km lasciamo l’Ardeatina e ritorniamo sull’inizio dell’Appia in senso contrario, verso l’arrivo,
riesco a stare più o meno sempre sotto i 4′:30” al km.
Supero infine il traguardo finale di Porta S. Sebastiano, piuttosto stancherello, ma comunque
risultando 423° su 2805 arrivati, che per una gara che doveva essere un allenamento di scarico
non è male, anche perchè tra due settimane devo correre i 78 km dell’Iron Trail “La Via dei Lupi”,
e quindi è meglio che non faccia pazzie.
Ristoro finale ok, restituzione borse molto ordinata, mi cambio ed aspetto Dany che invece
paga la fatica della MAI ZEDER molto più di me, terminando piuttosto provata in due ore tonde
tonde ma lasciandosi dietro, nonostante tutto, quasi un migliaio di podisti.
In sintesi: affascinante mezza maratona notturna, non veloce ma molto ben organizzata. Dopo
6
questa prima edizione, è sicuramente destinata a crescere”.
Ok, l'articolo è a posto, posso inviarlo ai due siti.
Ciò che veramente mi dispiace, della prossima avventura alla Via dei Lupi, è il fatto che mia
moglie Dany non potrà parteciparvi. Questa volta, infatti, non è riuscita a liberarsi dal lavoro e
questo è un vero peccato: ormai sono abituato ad averla sempre con me in queste imprese, a
condividerne tutte le sensazioni e le esperienze, e poi la Via dei Lupi è anche una delle poche gare
ad avere persino una speciale classifica “Lui & Lei” dedicata proprio alle coppie podistiche come
noi...
...peccato, peccato davvero.
Mi toccherà andare da solo.
*
* *
28 giugno
Ci siamo quasi: meno di una settimana alla partenza per la Via dei Lupi.
Ieri ho fatto un altro allenamento di qualità, l'ultimo prima della gara; ho partecipato infatti ad
una corsa vicino casa, a qualche chilometro da Scandicci, breve ma decisamente movimentata sia
dal punto di vista dell'altimetria che del fondo, visto che andavano affrontati dei bei saliscendi e che
la maggior parte del tracciato era nei boschi.
Anche questa volta ho scritto un articolo per il sito della Podistica Valdipesa; lo rileggo sullo
schermo del PC per controllare che non mi siano sfuggiti troppi errori di battitura:
“Ieri il tempo non prometteva niente di buono, perché il cielo era scuro e continuava a scendere
un’insistente pioggerella, ma tutto sommato ho deciso di andare lo stesso a S. Michele a Torri per
la semicompetitiva “Attraverso le colline di Torri”, 9 chilometri di saliscendi, su diversi sentieri in
mezzo ai boschi.
Per fortuna alle 18:00, al momento della partenza, il cielo pur restando scuro ha smesso di
buttar giù acqua, e per tutto il tempo della corsa siamo rimasti all’asciutto. Eravamo numerosi
della Podistica Valdipesa: Andrea, Agostino, Santino, Leo e diversi altri. Parto piano come al
solito, sia perché tra una settimana ho una gara importante in montagna ed ora non devo forzare,
sia perché non conosco il percorso e mi hanno detto che è piuttosto impegnativo.
In effetti poco dopo la partenza ci tuffiamo nel bosco su un sentiero che tira su abbastanza, ma
dopo un paio di chilometri sento buone sensazioni alle gambe e decido di accelerare per vedere
come rispondono. Il motore risponde bene, però devo dire che la lunga discesa della parte centrale
della gara mi preoccupa un po’: è molto ripida, su sterrato pieno di sassi e con molte curve.
Decido di non lanciarmi giù a rotta di collo come ho fatto altre volte, sia perché ho paura di una
distorsione alla caviglia che potrebbe compromettermi l’ultratrail “La Via dei Lupi” di sabato e
domenica prossima, sia perché, se stiamo scendendo tanto, vuol dire che la parte finale è in salita,
e pertanto conviene risparmiare un pochino di fiato.
Effettivamente l’ultimo chilometro è una bella “pettata” e sono contento di avere ancora
abbastanza energia da spendere. Arrivo 20° assoluto (una bottiglia di vino e una di olio) e trovo
Agostino piuttosto contrariato per essere arrivato “solo” quarto, cioè di un pelo fuori dal podio.
A proposito di Agostino, proprio ieri mi sono arrivate le prime 10 copie del mio primo romanzo
di corsa: ”MAI CEDERE – Diario di un piccolo maratoneta” (presente anche sul portale
http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=269167): gliene regalo una copia con dedica, vista
7
la sua carica di Presidente della Podistica Valdipesa, con la preghiera di ricevere un parere
sincero su questa mia “fatica letteraria”. Chissà, forse scriverò qualcosa anche dopo la Via dei
Lupi.
Rientro a casa con le otto salsicce del pacco gara che riempiono la macchina di odore d'aglio, e
con una fame bestiale…”.
Ok, per la Via dei Lupi ci siamo quasi: mi sono allenato, ho prenotato un albergo, ho i biglietti di
viaggio...
Venerdì mattina si parte.
*
* *
Venerdì 3 luglio
Sveglia presto oggi: 6 e 30 di mattina. Ho deciso di andare a Limone Piemonte in treno, evitando
la macchina. Non per guadagnare tempo, anzi, così il viaggio sarà persino più lungo. E' per la
questione del ritorno: mettersi in macchina domenica pomeriggio dopo la gara, con tanti chilometri
e tanta stanchezza nelle gambe, può non essere una scelta saggia.
Stanchezza e autostrada possono essere un binomio esplosivo, meglio optare per il treno, così mi
basterà salire, prendere posto e riposarmi fino all'arrivo a casa.
Abito in campagna nel Chianti, tra San Casciano Val di Pesa e Impruneta: uscire di casa alle 7 di
mattina, all'inizio dell'estate, è davvero piacevole. I boschi profumano, il verde delle piante ed i
colori dei fiori sono brillanti, la temperatura piacevole.
Sistemo lo zaino nel bauletto dello scooter ed il trolley sul pavimento davanti allo sterzo; infilo il
casco, metto in moto e mi avvio sulla stradina nel bosco che da casa porta sulla Cassia.
Mentre svolto seguendo la recinzione del perimetro del parco condominiale, prima di entrare nel
bosco vero e proprio, vedo del movimento sulla strada un centinaio di metri davanti a me.
Rallento e guardo meglio... sì, sono proprio due piccoli caprioli: se ne vedono diversi, tra queste
colline.
Mi vedono anche loro, si spaventano e partono al galoppo: uno dei due deve essere
particolarmente stupido, perchè parte di gran carriera esattamente contro la recinzione (che è di rete
sottile dipinta di verde, come l'erba e gli ulivi all'interno), ci sbatte violentemente, rimbalza e cade
all'indietro.
Si rialza quindi un po' confuso, e poi si lancia dietro l'altro capriolo che, essendo quello sveglio
della coppia, si infila abilmente nel bosco e sparisce subito alla vista.
Beh, è sempre una bella esperienza vedere degli animali selvatici nel loro ambiente; credo che
porti bene, anche per la gara che mi aspetta...
Raggiungo la Cassia, poi mi immetto sulla superstrada Siena-Firenze, entro in città e mi dirigo in
centro.
Parcheggiato lo scooter vicino alla Stazione di Santa Maria Novella, controllo l'orario
dell'Eurostar per Milano che ho prenotato due giorni fa.
Di regola per andare a Limone Piemonte non si dovrebbe passare per Milano, ma qualche giorno
fa la stazione di Viareggio è stata teatro della spaventosa esplosione di due vagoni-cisterna pieni di
GPL, causando numerosi morti, feriti e sfollati.
La circolazione dei treni tra Pisa e Genova non è stata ancora ripristinata del tutto e quindi,
8
dovendo essere sicuro di arrivare a destinazione nel pomeriggio, ho preferito fare il giro “lungo”
passando per Milano e Torino invece che per Genova e Ventimiglia.
Mentre salgo e prendo posto sull'Eurostar delle 8 e 20, non riesco a non pensare a tutte quelle
persone a cui la casa è andata distrutta, o che sono addirittura in ospedale.
In questo momento per me la principale preoccupazione è il risultato che otterrò alla Via dei
Lupi, per loro invece è quella di guarire, o di ricostruire tutto ciò che avevano.
Non bisognerebbe dimenticarsi mai di apprezzare la fortuna di una vita normale...
Non ci vogliono più di due ore e mezzo per arrivare a Milano, e dopo poche decine di minuti
sono su un regionale che mi porta a Torino.
Qui la sosta è un po' più lunga (anche per mangiare un panino col tonno, un'insalata e bere una
birra), poi nel primo pomeriggio sono di nuovo su un treno regionale, diretto a Cuneo.
Ultimo cambio su un altro regionale per Limone e finalmente, alle cinque meno un quarto, sono
a destinazione.
Non sono mai stato da queste parti, ed è una piacevole sorpresa: Limone Piemonte è una
cittadina incantevole, con un bel centro chiuso al traffico e ricco di trattorie tipiche e negozi
eleganti; l'architettura è quella caratteristica dei posti di montagna: case e costruzioni con molto
legno, e tetti spioventi.
Siamo a circa un migliaio di metri di quota, sul fondo di una valle coperta di boschi da entrambi i
lati, e attraversata da un corso d'acqua limpidissima che lambisce il paese.
Col trolley e lo zaino, mi incammino e attraverso tutta Limone. Il Bed & Breakfast che ho
prenotato (“La Montanina”) è infatti dall'altra parte del paese, e mi ci vuole una ventina di minuti
per raggiungerlo; è in mezzo al verde, proprio accanto al fiume, giusto fuori Limone.
Occupo la camera, mi faccio una veloce doccia e torno in centro, nella piazza principale, dove
passando avevo già notato gli allestimenti per la gara.
In una delle sale comunali stanno distribuendo i pettorali: mi capita il 19, essendo stato uno dei
primi ad iscrivermi. Su di un tabellone ci sono gli elenchi dei partecipanti: più o meno siamo 150 a
correre l'intera gara, andata e ritorno, mentre una quarantina hanno optato per la sola andata, e una
cinquantina per il solo ritorno.
Gli organizzatori sono gentilissimi e cordiali, non c'è coda e presto sono nuovamente fuori in
piazza, nei pressi del furgone dove si distribuiscono i pacchi-gara; il gadget principale è uno zaino
molto bello, pieno di tasche e di scomparti, proprio per il trail running. E' molto più grande e
capiente di quello che mi sono portato (che è uno di quelli ridottissimi, da maratona) ed infatti
decido al volo di utilizzare quello, per la gara.
Provandolo, infatti, non sembra che “ballonzoli” troppo sulla schiena, e le varie cosucce che mi
dovrò portare al seguito ci staranno meglio.
Tra una cosa è l'altra si è fatta praticamente l'ora di cena: potrei andare al “pasta party” allestito
dall'organizzazione, ma poi decido di provare una delle numerose trattorie di Limone; uno degli
aspetti piacevoli delle trasferte per le gare è anche quello di provare la cucina locale, quindi entro in
un posticino carino proprio sul viale principale e ordino linguine al sugo di selvaggina, polenta e
coniglio, e una birra media.
E' tutto delizioso ma...
ma...
... proprio mentre mi sto gustando polenta e coniglio sento un sinistro “crack” in bocca...
... non è possibile, masticando qualche ossicino sfuggito alla forchetta, si è spezzata una piccola
9
porzione di un molare...
Ma guarda che sfiga... meno male che non sembra una cosa grave: si è staccata solo una parte
superficiale del dente, non provo nessun fastidio né tantomeno dolore, sento solo un piccolo
“vuoto” laddove doveva esserci il resto del molare; pazienza, dovrò andare dal dentista appena di
ritorno a Firenze (in effetti, un paio di giorni dopo basteranno solo dieci minuti, per rimettere tutto a
posto con un'otturazione).
Decido di non permettere a questa piccola disavventura di rovinarmi i due giorni che mi
aspettano: finisco la polenta e il coniglio fino all'ultimo boccone (erano ottimi) e torno in albergo
per il “rituale” della preparazione per la gara.
Ok, sul letto sistemo con ordine la maglietta tecnica Asics della “Treviso Marathon”; ho deciso
di optare per la maglietta, invece che per la canotta, perchè non sono realmente abituato a correre
con uno zaino. In sostanza, gli spallacci “sfregano” sulla parte anteriore del petto, e vicino alle
ascelle una canotta lascia la pelle scoperta, a diretto contatto con gli spallacci che, per quanto
possano essere stretti, scivolano comunque su e giù. Alla lunga (e la Via dei Lupi lunga lo è...)
questo può dare origine ad arrossamenti, vesciche e fastidi. Una maglietta invece, coprendo fino alla
parte alta delle braccia, si interpone comunque dappertutto tra pelle e parti dello zaino, ed il rischio
di vesciche risulta minore. Magari avrò più caldo se il sole picchierà sul serio, ma tutto sommato
preferisco non correre rischi di “sfregamento”.
Stessa scelta per i pantaloncini: invece di quelli corti e “svolazzanti” opto per i fuseaux aderenti
a mezza coscia: forse saranno un po' più caldi, ma di sicuro mi proteggeranno dallo sfregamento tra
le cosce.
Poi cappellino con visiera, occhiali da sole, GPS da polso, Ipod, calze tecniche e le nuove scarpe
Asics A5 da trail running, comprate meno di un mese fa ma comunque già “rodate” con qualche
centinaio di chilometri.
Infine lo zaino nuovo: nelle ampie tasche trovano posto la giacca antivento ricevuta alla 24 ore
del MAIZEDER, una maglia termica di riserva, le maniche lunghe staccabili, guanti, bandana, calze
di riserva, Ipod di riserva, fischietto, telo di sopravvivenza, cellulare, portafoglio ed una bottiglia da
un litro e mezzo di acqua.
Non sono uno che in gara beve molto, e con ben tre ristori intermedi sono sicuro che un litro e
mezzo d'acqua sia eccessivo per il sottoscritto, ma d'altra parte è il minimo obbligatorio indicato nel
regolamento, ed i regolamenti sono fatti per essere rispettati.
La maglia termica invece è una precauzione quasi scaramantica dopo quanto recentemente
successo al Grand Raid du Mercantour: i tre morti per assideramento sono qualcosa su cui riflettere;
oltre all'ovvia considerazione su quanto sia importante individuare il confine tra coraggio e pazzia, e
tra capacità e fortuna, sono convinto che a volte in situazioni estreme anche un piccolo particolare
possa fare la differenza tra successo e fallimento, e tra vita e morte.
Sono sicuro che domani e dopodomani rischi non ce ne saranno, perchè le previsioni meteo sono
buone, perchè gli organizzatori sono in gamba, perchè il tracciato è stato studiato da persone
competenti ma... l'idea di avere con me la maglia che uso come sottomuta quando vado a pesca
subacquea, unita ad una giacca antivento e antipioggia, a maniche lunghe aggiuntive, a guanti,
cappello e bandana... mi fa provare ulteriore tranquillità, per questa prima esperienza.
Sistemato ciò che mi serve per domani, passo a chiudere tutto il resto nella valigia che devo
lasciare agli organizzatori, affinchè la portino a Chiusa Pesio per la sosta di domani sera.
Sono le 21, ho tutto pronto, guardo un po' di TV e poi mi addormento molto tranquillo, senza
nessuna particolare tensione.
1
*
* *
Sabato 4 luglio
Mi sveglio bene, sono le 6 di mattina e c'è già un bel sole: la grande avventura sta per
cominciare. Mi vesto con cura, e verso le 6 e 30 scendo per la colazione: cappuccino, una fetta di
prosciutto, due fette biscottate con la marmellata e una fetta di torta.
Si fanno le 7, è ora di lasciare quel comodo albergo con gli auguri della padrona; mi incammino
quindi lungo la strada pedonale che costeggia il fiume, zainetto sulle spalle e trolley al seguito.
Nella piccola piazza centrale di Limone c'è già fermento: Davide e Alberto, i due “cervelli” del
comitato organizzatore, danno disposizioni un po' a tutti: a coloro che si occupano di ritirare i nostri
bagagli, a coloro che andranno ai vari posti di controllo sul percorso, agli addetti ai tre ristori, a noi
runners che attendiamo la partenza. Nel briefing pre-gara, oltre a varie comunicazioni specifiche,
l'attenzione di Davide e Alberto è focalizzata sul rispetto dell'ambiente e sull'attenzione ai rifiuti. In
un ambiente come questo, si tratta di un aspetto fondamentale.
Subito dopo si passa al controllo dell'equipaggiamento: ogni atleta deve dimostrare di avere al
seguito un litro e mezzo di acqua, giacca antivento e antipioggia, fischietto e telo di sopravvivenza.
Ormai mancano solo una ventina di minuti alla partenza, e comincio a sentire un po' di tensione;
per scaricarla prendo un altro caffè al bar (sembra un controsenso) e poi mi siedo sui gradini della
piazza ad osservare gli altri partenti.
Molti si conoscono e chiacchierano, devono essere degli “aficionados” del settore, anche perchè
questa gara conferisce dei punti per l'iscrizione all'Ultratrail del Monte Bianco, e quindi tutti coloro
alla ricerca dei sospirati punti si incontrano nelle varie gare che li mettono a disposizione.
Io non conosco nessuno, ma osservo con attenzione gli equipaggiamenti altrui: a differenza delle
corse su strada, qui c'è una straordinaria varietà di differenti attrezzature: zaini di ogni forma e
grandezza, dai semplici marsupi ai grandi “sacchi” da escursionismo, scarpe di ogni tipo, dalle A3
da strada alle A5 da trail agli scarponcini da trekking, pantaloni lunghi, corti e cortissimi, maglie a
manica lunga, corta e canotte, borraccine e borraccette sul petto, alla cintura, e sulla schiena,
bastoncini da trekking nelle mani di una buona metà dei partecipanti... insomma, sembra che queste
quasi duecento persone non siano qui per la stessa corsa, bensì per una miriade di gare diverse...
Io credo di essere equipaggiato con una discreta “media ponderata” rispetto ai vari “allestimenti”
che ho davanti agli occhi, e questo mi rassicura.
Ma ormai il momento fatidico è arrivato: un breve conto alla rovescia... e quindi il sospirato
“VIA”.
Il serpentone dei partenti comincia a snodarsi abbastanza rapidamente, forse anche troppo. Per
una gara così lunga ed impegnativa, infatti, mi sarei aspettato una partenza più “al rallentatore”, ma
quasi tutti sembrano mettersi in movimento con un buon ritmo e così faccio anch'io, aiutato dal fatto
che il primo paio di chilometri scarsi lo percorriamo sull'antica larga strada romana che costeggia il
fiume, con una pendenza non troppo pronunciata.
Subito dopo, però, improvvisa svolta a sinistra e ci inoltriamo di colpo nel bosco, su un sentiero
stretto che si inerpica ripido tra gli alberi.
Quasi tutti (sottoscritto compreso) rallentano bruscamente il ritmo, passando dalla corsa sciolta
al trotto faticoso, e quindi al passo veloce; il serpentone si allunga rapidamente in una continua fila
indiana, che tutti sembrano rispettare perchè gli eventuali sorpassi, su un sentiero così stretto e con
una tale pendenza, costerebbero veramente tanta fatica.
Siamo partiti presto, alle 8 in punto, e sotto gli alberi è tutto in ombra, ma nonostante ciò
1
cominciamo subito a sudare, sebbene ci troviamo già a quasi 1000 metri di quota; l'aria però è
ferma, piuttosto umida e lo sforzo è intenso.
Prendo dalla tasca il depliant della gara con l'altimetria del percorso, e guardo il GPS che mi
restituisce una quota di 1050 metri: siamo saliti di appena 100 metri, mentre il grafico dell'altimetria
mi ricorda che oggi il tratto iniziale è anche il più ripido: in soli otto chilometri si passa da circa 950
metri ad oltre 2150, con un dislivello di circa 1200 metri, cioè praticamente quello dell'intera 100
km del Passatore, racchiuso in soli otto chilometri di sentieri di montagna.
Alla stragrande maggioranza di noi non resta che camminare: correre sarebbe troppo
impegnativo, su una gara così lunga. Solo i più forti, ormai scomparsi parecchio davanti a noi,
stanno mantenendo un “trotto” più o meno sostenuto.
Sinceramente, a me non piace camminare, ed in questo traspare la mia natura più da “road
runner” che da “trail runner”. Il mio punto di forza è proprio questo: su strada e sulle lunghe
distanze riesco a mantenere una corsa regolare e “scivolata”, molto efficiente e “risparmiosa”, che
mi consente una buona velocità di crociera per lunghi periodi, tramite una falcata molto corta e
bassa, sollevando pochissimo i piedi da terra. Lo sforzo è soprattutto a carico dei bicipiti femorali
(la parte posteriore della coscia), mentre i quadricipiti (la parte anteriore) sono sempre relativamente
scarichi.
Qui invece è esattamente il contrario: i sassi, i rami, le radici ti costringono ad un passo piuttosto
“alto” sul terreno per evitare di inciampare, e quindi piuttosto dispendioso. Inoltre, la ripida
pendenza ti costringe ad una falcata “arrampicata”, con un grosso carico sui quadricipiti.
Non mi trovo quindi per niente bene, non è la corsa a cui sono abituato ma... mi sto ugualmente
divertendo un sacco: i boschi sono incantevoli, la fatica è comunque stimolante, sto facendo
qualcosa che non ho mai fatto e che non tutti possono fare... e penso con orrore ai milioni di italiani
che questo sabato stanno invece immobili ad arrostirsi al sole su torride, affollatissime e chiassose
spiagge “di massa”.
Dopo più di un'ora e quasi sei chilometri percorsi usciamo quasi repentinamente dal bosco,
immettendoci in una strada sterrata che porta verso alcuni impianti di risalita per lo sci alpino
invernale.
Su questa strada sterrata posso finalmente correre come piace a me: la pendenza è ridotta, le
asperità poche e la carreggiata larga, quindi mi accorgo di avere una velocità superiore a tutti quelli
che ho intorno, e supero diversi runners quasi senza accorgermene.
Sfortunatamente tutto questo dura poco. Siamo ormai sui 1700 metri di quota, abbiamo i boschi
praticamente tutti sotto di noi, mentre al di sopra comincia il regno della brughiera, delle rocce e
della neve.
Il percorso lascia la strada sterrata e si inerpica sulla traccia di una seggiovia invernale: troppo
ripido, mi tocca rallentare e riprendere a marciare... quanto odio camminare !!!
Incontriamo il primo di alcuni laghetti alpini, ai margini di una grossa chiazza di neve e ghiaccio:
l'acqua del laghetto sembra cristallo fuso per quanto è limpida, sarebbe bello potercisi tuffare...
Comunque i chilometri passano: al settimo raggiungiamo il primo punto di rifornimento, la Baita
2000 (probabilmente perchè è proprio a 2000 metri di quota). Qui, oltre a bevande e cibi solidi, è
stato stabilito anche un “cancello” sulle tre ore, ovvero chiunque giunga qui oltre tre ore dopo la
partenza verrebbe fermato, perchè troppo lento. Beh, la cosa non mi riguarda, io ho impiegato
appena un'ora e mezza, quindi tutto Ok.
Mi fermo per bere ma non mangio nulla, mi sembra troppo presto. Di solito, quando corro una
maratona, non sento il bisogno di mangiare alcunchè dall'inizio alla fine. Qui forse più tardi lo farò,
ma per ora sto bene.
1
Riprendo la marcia, e la salita. Tutta questa pendenza dovrebbe tranquillizzarmi, perchè significa
che il resto della gara dovrebbe essere in discesa, però penso già a domani: domani il percorso sarà
all'inverso, e questo sarà l'ultimo tratto del tracciato, cioè una discesa davvero pronunciata fino a
Limone, che con una tale pendenza ed un fondo così irregolare metterà sicuramente a dura prova i
quadricipiti già abbondantemente affaticati.
Molti di coloro che non hanno mai corso sul serio ignorano che, se la pendenza è notevole, le
discese possono essere più impegnative delle salite, per muscoli, articolazioni e legamenti. Una
discesa ripida su terreno sconnesso non è altro che una serie di “salti”, e se dura chilometri e
chilometri, diventa qualcosa da veri “canguri”.
Per adesso comunque sono ancora in salita. Riprendiamo una strada sterrata, che forse è la stessa
di prima, e raggiungiamo dopo l'ottavo chilometro una vetta, il Colletto Campanin, sui 2100 metri
di quota; da qui parte un sentierino tra i cespugli che segue una linea di cresta, con una leggera
discesa abbastanza regolare sulla quale si può finalmente correre in maniera abbastanza sciolta per
un paio di chilometri, tra erica, muschio, rocce, laghetti e chiazze di neve.
Il paesaggio è veramente spettacolare, le Alpi sono maestose e disabitate, la natura selvaggia.
Nonostante la fatica mi sento bene, mi dispiace solo che mia moglie Daniela non sia qui con me
come al solito.
Purtroppo, il suo lavoro di assistente di volo questa volta l'ha bloccata, ma facendo il conto mi
sembra sia passato davvero parecchio tempo dall'ultima volta in cui ho partecipato a qualche gara
senza la sua presenza: dunque, a giugno abbiamo corso insieme la 24 ore del MAIZEDER, ad aprile
le due maratone di Russi e Padova, a marzo la Strasimeno (io l'ultramaratona di 58 km e lei la 30
km), a gennaio io ho corso da solo la maratona del Salento, ma lei era ad aspettarmi all'arrivo, a
dicembre abbiamo corso insieme la maratona di Reggio Emilia, a novembre ho corso la maratona di
Firenze e lei era impegnata presso uno dei punti di spugnaggio insieme ad altri ragazzi della nostra
società (la Podistica Valdipesa), sempre a novembre 2008 ho partecipato alla maratona di Livorno e
lei ha fatto un test sui 30 km, in ottobre abbiamo corso insieme la Chott Xtreme Marathon in
Tunisia (che io ho anche vinto, a dire il vero)... quindi è dalla lontana maratona del Mugello, che ho
corso lo scorso settembre, che non partecipo ad una gara senza la presenza di Dany, come
partecipante o come accompagnatrice.
Mi manca, quindi mi fermo, tiro fuori il cellulare dallo zaino e cerco di chiamarla, anzi, magari
riesco anche a “videochiamarla” per farle vedere sul cellulare un po' di quello che mi circonda...
... macchè, non ho neanche una tacca di segnale, né dalla 3 né dalla TIM.
Riprendo a correre, e quasi a prendermi in giro, dopo poche centinaia di metri mi arriva un SMS
da un gestore telefonico francese che mi da il benvenuto in Francia!
Intanto ho superato il decimo chilometro, e la discesa lungo la linea di cresta finisce a circa 2000
metri di quota su un rilievo più basso, il Colle Perla, dal quale il percorso riprende a salire verso il
colle Boaria; guardo sconsolato verso l'alto, dove diversi runners sono già impegnati in una veloce
marcia in salita.
Mi fermo qualche secondo a fare alcune foto con il cellulare, e comincio quindi la salita anch'io;
le chiazze di neve sono più frequenti e ad un certo punto ci troviamo ad attraversarne una piuttosto
larga.
Mi fa uno strano effetto attraversare, in maglietta e calzoncini, un tratto di neve fresca: cammino
come sulle uova, visto che non è in piano e non ho nessuna voglia di scivolare, poi riprendo il
sentiero con un'andatura che è intermedia tra la marcia veloce ed il piccolo trotto.
Il terreno che attraversiamo è ormai per la maggior parte roccioso, e ricoperto solo a tratti da
vegetazione molto bassa, muschi e licheni.
1
Il sentiero si fa tortuoso in mezzo alle rocce, grandi massi e lastre appuntite che sembrano
disseminate a caso dalla mano di un gigante.
La salita finalmente termina ad oltre 2200 metri di quota, secondo il GPS, in corrispondenza del
secondo punto di rifornimento, il rifugio Morgantini, a 17 chilometri dalla partenza. Qui mi fermo a
bere e anche a mangiare, uvetta e barrette energetiche, visto che sento una gran fame. Sono passate
quasi tre ore, e devo confessare una certa stanchezza, ma mi conforta il fatto che, per oggi, il peggio
dovrebbe essere passato.
Dal rifugio Morgantini comincia quindi una discesa abbastanza pronunciata, e complicata dal
fatto che il sentiero è piuttosto tortuoso e pericoloso, pieno di sassi e racchiuso tra rocce aguzze.
Mentre sto attraversando un tratto nevoso, ad un certo punto perdo aderenza in discesa e mi
ritrovo lungo disteso nella neve, e completamente bagnato dalle chiappe al collo.
Pazienza.
La preoccupante discesa continua per un altro paio di chilometri, e poi mi ritrovo finalmente in
un tratto più “praticabile”, sempre piuttosto mosso ma dal fondo morbido ed erboso, e senza
strapiombi sui lati. Qui si può correre.
La cattiva notizia è che sono sceso di nuovo sui 1800 metri di quota, in località Gias secondo la
mappa, e che di fronte a me ho ancora una salita, verso il Passo del Duca, che le mie gambe si
risparmierebbero volentieri.
Con pazienza risalgo il pendio, praticamente da solo. Noi runners, infatti, ci siamo nel frattempo
sgranati lungo tutto il percorso, ognuno alla sua velocità, e le distanze tra l'uno e l'altro cominciano
ad essere ragguardevoli.
Quando raggiungo il passo del Duca, di nuovo a circa 2000 metri di quota, sono passati più o
meno 22 chilometri dalla partenza; mi affaccio sulla discesa, e sulla valle in cui si trova Chiusa
Pesio, il traguardo di questa prima giornata.
Che discesa ragazzi!!! Una pendenza impressionante. Tiro di nuovo fuori il grafico
dell'altimetria, si scende di 1000 metri in 9 chilometri, solo che lo si fa... su sassi e rocce !!!
Caspita, tutto questo non mi fa stare tranquillo. Le gambe non sono più fresche, ed i sassi sul
sentiero ti costringono alla massima attenzione: un piede in fallo, e si rischia come minimo una
distorsione, come medio una caduta su una roccia, come massimo un “volo” con spiattellamento
sul pendio qualche decina di metri più in basso.
In realtà potrei spingere di più ed andare più forte, ma non mi va di farlo, perchè proprio non mi
sento sicuro, ed anche perchè domani c'è un altro giorno di gara, e non è il caso di dar fondo a tutte
le energie.
Scendo quindi in maniera piuttosto accorta, con passi piccoli e misurati, al piccolo trotto.
Vengo infatti superato da diversi runners, lanciati a gran velocità in lunghi balzelloni, ma li
lascio tranquillamente andare, non è roba per me.
Dopo diversi chilometri, le rocce lasciano finalmente spazio ad un sentiero di morbida terra (a
parte qualche radice sporgente) e la quota si abbassa a tal punto da farci lasciare la brughiera e
ritornare nel “regno degli alberi”.
Proprio nel fitto di un bosco, vicino alla stupenda cascata del Sault, è stato posto il terzo ed
ultimo punto di rifornimento, dove nuovamente bevo e mangio in abbondanza.
Poco dopo lasciamo il sentiero e ci infiliamo prima in una larga strada sterrata, frequentata non
solo da runners ma anche da molti semplici escursionisti, e poi addirittura su una strada asfaltata !!!
Non mi sembra vero, sento le gambe che scalpitano, mi lancio con il mio passo leggero e
1
scivolato da maratona, raggiungo e supero diversi partecipanti che mi precedevano e...
...e dura maledettamente poco. Quando ancora mancano diversi chilometri all'arrivo, lasciamo la
strada asfaltata per Chiusa e siamo costretti a ritornare su vari sentieri che attraversano i boschi
vicini.
E' giusto, si tratta pur sempre di una gara di trail, ma... era così comodo quel tratto di asfalto !!!
Una strada non mi era mai sembrata così confortevole come quella...
Durante questi ultimi chilometri del percorso raggiungo una coppia mista “Lui & Lei”, con cui
scambio quattro chiacchiere, sono marito e moglie, entrambi medici; lei porta purtroppo i segni di
una caduta, diversi graffi sulla gamba destra, ma dice che in fondo non è nulla di grave, e se è un
medico, saprà quello dice.
Tra una chiacchiera e l'altra arriviamo insieme al traguardo, fissato all'ingresso della frazione San
Bartolomeo di Chiusa Pesio, con Alberto ad accoglierci all'arrivo e a scandire col microfono i nostri
nomi e le nostre società di appartenenza.
Per oggi è fatta, e non sono neanche in cattive condizioni: 39 chilometri in qualcosina meno di 5
ore (su un tempo massimo di 8 ore e mezza), sono 80° assoluto, e le gambe non mi danno problemi.
In particolare, l'infortunio che mi è capitato quattro settimane fa durante la 24 ore del
MAIZEDER, cioè una fastidiosa infiammazione sotto il ginocchio sinistro (che mi ha costretto a
zoppicare per circa metà della gara) sembra passato del tutto. Avevo un certo timore che si
ripresentasse, che non fosse guarito completamente, ma a quanto pare il periodo di scarico che ho
fatto nella seconda metà del mese di giugno ha funzionato.
Questo è quello che penso mentre mi reco nei pressi del furgone dove distribuiscono i bagagli da
noi consegnati la mattina a Limone. Recupero il mio trolley, cerco un angolino tranquillo in mezzo
alla festosa confusione degli spettatori e degli arrivati (con i loro amici e parenti), mi asciugo
velocemente e mi cambio con qualcosa di asciutto. Mi viene in mente di farmi anche una doccia,
visto che la zona dell'arrivo è un piccolo circolo sportivo che ne ha a disposizione, ma tutto
sommato preferisco lasciar perdere rimandandola ad un momento più tranquillo, successivamente in
albergo.
In compenso mi precipito al pasta party, attivo a ciclo continuo per tutti gli arrivati: ho una fame
da lupi (per restare in tema con la corsa), e quindi faccio miei due piatti di pasta, un panino al
formaggio ed un paio di mele.
Poi, la soddisfazione di un grosso boccale di birra al bar lì vicino: ecco, la birra dopo un'impresa
di questo tipo regala sensazioni che non si possono scordare in una vita intera. Quel liquido sapore
amarognolo, fresco e leggermente bollicinoso che scivola nel gargarozzo ti rimette in pace con il
mondo intero, effetto serra e guerra al terrorismo compresi.
Chiedo ad uno dell'organizzazione, appena smontato da una moto da enduro, dove sia l'hotel
Pesio, quello che mi è stato assegnato per passare la notte. E' solo a 500 metri, non c'è bisogno di
aspettare la navetta: cosa volete che siano 500 metri dopo 39 chilometri di montagna ?
Chiamo Daniela per tranquillizzarla che è tutto ok, che sono arrivato e che sto bene, le racconto
per sommi capi la giornata e mi incammino quindi verso l'albergo.
Cinque minuti dopo la proprietaria mi consegna la chiave della camera che condivido con altri
podisti: siamo in quattro in una grande stanza, ed io sono stato il primo ad arrivare: la grande
finestra si affaccia sul fiume che attraversa la valle, ma do solo un'occhiata perchè la doccia mi
aspetta.
Ecco, la doccia, un altro rito che come per magia restituisce il benessere perduto e ti rimette in
pace con il creato.
1
Sistemo rapidamente l'attrezzatura ed i bagagli; si sono fatte quasi le tre del pomeriggio, mi
stendo sul letto e pian piano scivolo in un piacevole, tranquillo e meritato sonno profondo...
Mi sveglio un'oretta e mezza dopo, e noto che altri due runners sono arrivati e si stanno
sistemando. Mentre chiacchieriamo sulla gara arriva anche il quarto e ultimo, siamo al completo, ed
inevitabilmente confrontiamo esperienze, tempi e precedenti sportivi. Due dei miei colleghi hanno
impiegato più tempo di me, ma il terzo è davvero andato forte, non ricordo il suo nome ma viaggia
intorno alla decima posizione, ha concluso credo in meno di quattro ore.
Però la cosa stupefacente è che, quando lui mi chiede che tempo io abbia sulla maratona ed io gli
rispondo 3 ore 8 minuti e spiccioli, lui replica: “Però, mica male, io non sono mai riuscito a
scendere sotto le 3 ore e 13 minuti”.
Ecco la differenza tra un road runner (me) ed un trail runner (lui). In una maratona su strada
riuscirei a tenerlo dietro di qualche minuto, ma qui in montagna non mi vede proprio, mi ha dato
circa un'ora!!!
Mi ricorda in sostanza la differenza tra una macchina per le corse su pista, ed una macchina per i
rally: entrambe dipendono dalla potenza del motore, dall'efficienza del telaio, dalla messa a punto
delle sospensioni e dall'aderenza dei pneumatici, ma in maniera completamente diversa, ed ognuna
è più veloce dell'altra sul proprio terreno.
Ok, forse non sarò (ancora) adatto a questo tipo di gare, però mi sono divertito lo stesso...
Il prossimo appuntamento è per la cena tutti insieme, verso le 19 e 30.
Ho a disposizione un altro paio d'ore per rilassarmi; tiro perciò fuori l'immancabile libro e
comincio a leggere: si tratta di “Da 0 a 42,195 km” di Daniele Tenerani, un autore sconosciuto più o
meno come me, che ha pubblicato il suo racconto tramite il portale “ilmiolibro.it” esattamente come
me, e sul quale portale ho appunto acquistato il libro che sto leggendo. E' il racconto della sua
preparazione e della sua gara in occasione della New York City Marathon del 2007, tanto per
restare in tema di corsa.
Nel frattempo, però, dalla finestra aperta si sente il cielo brontolare: siamo pur sempre sulle Alpi,
ed in pochi minuti le nubi oscurano completamente il sole, quindi si sentono i primi tuoni in
lontananza ed infine verso le 18 comincia a piovere con una certa intensità.
Non fa freddo, ma qui siamo solo a 900 metri di quota. Se questa pioggia fosse capitata
stamattina a 2200 metri, sarebbe stata una musica diversa...
Con gli occhi sul libro e le orecchie alla finestra, passano le ore che mi separano dalla cena; si
fanno le 19 e 30, scendiamo in attesa della navetta che ci deve accompagnare, e non accenna a
smettere di piovere. Sono abbastanza sicuro che domani mattina sarà una bella giornata, secondo le
previsioni, ma questa pioggia può comunque bagnare e rendere ulteriormente scivolose le rocce e
fangosi i sentieri...
Nel frattempo, mentre una navetta passa tra i vari alberghi, da noi passa direttamente Alberto con
la sua monovolume, che carica sei di noi e ci porta al grande tendone dove è stata allestita la cena
per tutti partecipanti.
Malgrado la pioggia, l'atmosfera è festosissima: tra partecipanti, organizzatori, sponsor, parenti
ed amici ci sono diverse centinaia di persone a sedere, ma nonostante questi numeri il servizio è
ottimo e le portate non si fanno attendere: antipasto di affettati e formaggi, pasta, arrosto, purè (e
quanti bis e tris uno vuole), per finire anche con il dolce.
Mentre chiacchiero, mi soffermo pure a pensare alle dimensioni della macchina organizzativa:
noi della Podistica Valdipesa organizziamo durante l'anno un paio di “15 Chilometri”, e già mi
sembra complicato. Qui, oltre alla gara vera e propria, stanno gestendo alberghi, bagagli, navette,
pranzi e cene...
1
Tanto di cappello, speriamo che alla fine anche loro ne rimangano soddisfatti.
A proposito di “loro”, durante uno degli intervalli Davide ed Alberto prendono la parola, prima
per ringraziare gli sponsor, poi per comunicare le varie classifiche generali e parziali, almeno per
quanto riguarda le prime posizioni, e per consegnare i primi premi. Noto anche un gesto molto
elegante: un premio speciale viene consegnato ad una ragazza che oggi è caduta, ferendosi al
ginocchio e finendo persino al Pronto Soccorso, ma che si è ripresa e che domani sarà regolarmente
al via; davvero un bel gesto incoraggiante quello di consegnarle un premio speciale, incoraggiante
quanto il lungo applauso che viene spontaneo da noi tutti.
Davide conclude confermando che le previsioni meteo per domani sono ottime, e come se avesse
parlato un profeta, d'incanto smette di piovere ed in pochi minuti ritorna il sereno.
Sono quasi le 22, la navetta inizia i suoi giri per riportare la gente in albergo e finalmente, verso
le 23, sprofondo nel letto per un meritato riposo dopo un'ultima chiacchierata serale con Dany, in
sosta con il suo aereo a Palermo, e l'intera lunghezza dell'Italia a dividerci...
*
* *
Domenica 5 luglio
Apro gli occhi piuttosto presto, verso le sei, ma abbastanza riposato e senza bisogno di sveglia;
ho dormito bene, però appena i neuroni iniziano a collegare le loro sinapsi in maniera coerente (ed
ancora devo alzare la testa dal cuscino) comincio ad ascoltare con la massima attenzione i sistemi
“critici” del mio fisico...
...polpacci ok... quadricipiti ok... bicipiti ok... glutei ok... addominali ok... schiena ok... sembra
tutto a posto; un certo indolenzimento, ma sarebbe strano il contrario. Qualcuno in camera si è già
alzato, qualcun altro dorme.
Impiego una mezz'oretta per prepararmi, indosso il nuovo set di maglietta e pantaloncini
(praticamente identici a quelli di ieri) sistemo il resto nel trolley, controllo l'equipaggiamento e...
...lo zaino è rotto.
Ha un lungo strappo in corrispondenza della cucitura inferiore, proprio dove “ballonzolava” la
bottiglia da un litro e mezzo di acqua. Anche questo è una dimostrazione della durezza del percorso,
se in una sola giornata di gara uno zaino nuovo si rende inutilizzabile. Recupero perciò quello
piccolo da maratona che avevo portato da Firenze, travaso tutto l'equipaggiamento e sono quindi
pronto per scendere a colazione.
Qui gli umori sono abbastanza variegati: c'è chi sembra abbattuto e depresso, chi dolorante ma
determinato, chi in forma e concentrato, chi allegro e pieno di energie... di nuovo, come ieri, sembra
di assistere alla preparazione di mille gare diverse.
Pochi minuti dopo le sette sono per strada con il mio trolley, diretto verso il luogo di partenza
(che coincide con l'arrivo di ieri). Lascio il bagaglio sul furgone, prendo un ultimo caffè al bar e mi
siedo ad aspettare la partenza, dopo una chiacchierata telefonica mattutina con Daniela e in tempo
per vedere il sorgere del sole dal costone della montagna, verso oriente.
Anche oggi viene effettuato un rigoroso controllo pre-gara dell'equipaggiamento da parte degli
organizzatori, poi Davide prende la parola per il briefing che conclude, purtroppo, con un
“cazziatone”: diversi concorrenti, ieri, hanno lasciato dei rifiuti sul terreno, bustine di plastica e
bottigliette.
Che dire... venire qui a gareggiare in questi posti fantastici... per poi sporcarli, mi sembra un vero
e proprio delitto.
1
Comunque anche oggi l'ora X è arrivata: breve conto alla rovescia e... VIA.
Parto con calma, nelle retrovie, attento alle sensazioni delle gambe; il percorso è lo stesso
dell'andata, solo al contrario, quindi all'inizio ci ritroviamo su sentieri abbastanza mossi intorno a
Chiusa Pesio; i muscoli si lamentano un pochino, ma con soddisfazione noto che dopo qualche
chilometro si scaldano, gli indolenzimenti si attenuano e riesco ad alternare corsa e marcia, con un
discreto ritmo.
Anche oggi tra i runners intorno a me noto che quasi la metà è equipaggiata con bastoncini da
marcia, per aiutarsi con le braccia nei tratti in salita.
Coerentemente con le mie abitudini, non uso ciò che non sono abituato ad usare: non mi
piacciono le sorprese in questo tipo di attività, perchè di solito sono sorprese negative; nella corsa
su strada non si adoperano mai i bastoncini, quindi sono convinto che a me farebbero più male che
bene.
Mi sembra di ricordare che in un'intervista su “CORRERE” il grande Marco Olmo paragonava
l'uso o meno dei bastoncini alla trazione automobilistica a quattro o a due ruote. La trazione
integrale ti conferisce più stabilità e controllo, ma ti fa anche consumare di più, e se c'è qualcosa
che io proprio non vorrei fare è consumare di più. Peraltro, credo che proprio Olmo li usi piuttosto
raramente, ed anche qui mi sembra che la maggior parte dei partecipanti più veloci ne sia
sprovvista.
Arrivati in corrispondenza della cascata del Sault (il primo punto di rifornimento per la giornata
di oggi ed anche “cancello” sulle due ore e mezza per i più lenti), a circa dieci chilometri dalla
partenza, comincia un tratto duro, quello che porta tramite un sentiero tortuoso e sassoso fino al
Passo del Duca.
Devo dire, però, che in salita questo tratto è molto più tranquillo rispetto ai “balzelloni” a cui ero
costretto ieri. L'unico vero disagio sinora è il caldo: siamo ancora piuttosto bassi, ed esposti ad un
sole intenso. Nel momento in cui usciamo dal “regno dei boschi” per ritrovarci nuovamente tra
brughiere e rocce, si suda davvero parecchio.
Mi tocca bere abbastanza spesso, e per farlo devo togliere la bottiglia dallo zainetto, a differenza
di molti che invece usano il “camelbag” con la cannula che, passando sopra la spalla, arriva
direttamente nella sacca d'acqua inserita nello zaino.
Sicuramente è un accorgimento che può far risparmiare diversi secondi, ma ad essere sinceri non
mi è mai piaciuto bere tramite una cannula; ho anch'io a casa un sistema di questo tipo, ma dopo
averlo usato una volta l'ho subito messo da parte.
Non da soddisfazione bere tramite un tubicino, vuoi mettere il piacere di aprire una bottiglia e
versarsi un bel sorso nel gargarozzo ? Oltre al refrigerio c'è anche il piacere psicologico del gesto
stesso della sorsata... e per questo piacere sono tranquillamente disposto a sacrificare qualche
secondo di gara...
Arrivo al Passo del Duca dopo circa 15 chilometri, e poco più di due ore di gara: il GPS mi da
2000 metri, quindi siamo saliti già di oltre 1100 metri.
Ora mi tocca una piccola discesa di 3-4 chilometri, non particolarmente impegnativa, e quindi la
dura salita verso il Rifugio Morgantini: ecco, questo è il tratto più impegnativo dell'intera giornata.
Sono in mezzo ai lastroni di roccia, ai sassi e alle chiazze di neve di ieri; il sole splende, ma si è
alzato anche un deciso vento da nord che a questa quota fa sentire piuttosto fresco, e se non fossi in
movimento mi dovrei coprire.
Per arrivare al Morgantini bisogna salire di oltre 300 metri in meno di tre chilometri di rocce,
una vera faticaccia, ma per fortuna proprio al rifugio è stato predisposto il secondo punto di
rifornimento.
1
Come ho detto in precedenza, di solito durante una maratona non mangio niente; bene, al rifugio
Morgantini, dopo soli 22 chilometri di gara, ingurgito ben otto (8) fette di torta una dietro l'altra,
insieme a due bottiglie da mezzo litro di integratori...
Dopo il Morgantini c'è un altro tratto in discesa; sto quasi per ripartire quando giungono al
rifugio un paio di escursionisti, che scambiano quattro chiacchiere con gli addetti al punto di
rifornimento mentre io finisco di bere. Provengono da un altro rifugio, dove hanno pernottato ieri
notte, e ci descrivono il temporale di ieri sera.
In quota, dicono, è stato abbastanza violento: venti forti, tuoni e fulmini e pioggia fitta, ma loro
avevano già raggiunto l'altro rifugio e si sono “goduti” la bufera al riparo ed al caldo. Immagino
cosa sarebbe stato correrci in mezzo...
Mentre riparto dopo aver risposto ai loro saluti e ai loro incoraggiamenti, noto che pure loro mi
guardano (o meglio guardano tutti noi runners) come hanno fatto quasi tutti gli altri escursionisti
che ho incontrato, e cioè con un misto di ammirazione e di perplessità; come se ci fosse un chiaro
fumetto sopra la loro testa: “Che bravi... ma chi glielo fa fare ?”.
Mentre trotterello in discesa, penso pure che si tratta dello stesso pensiero che viene in mente ai
miei due figli Stefano e Michele (17 e 11 anni rispettivamente) quando vengono a sapere delle mie
“imprese” podistiche.
In effetti è probabile che pure io, se avessi la loro età, vedrei la corsa di lunga distanza allo stesso
modo: qualcosa di esaltante ma... troppo faticoso per impegnarmici sul serio.
A dire il vero quando io ero adolescente, ovvero circa trent'anni fa, la corsa di endurance era
pressochè sconosciuta, una specie di cenerentola nel panorama sportivo italiano; io mi dedicavo al
tennis, al calcetto, alla pallavolo e al basket, e credo di non aver mai incontrato, prima dei vent'anni,
nessuno che si dedicasse seriamente alla corsa.
Adesso i tempi sono cambiati, e penso proprio che in una bella fetta del totale delle famiglie
italiane ci sia almeno un membro che si dedica (a vari livelli e con gli obiettivi più diversi) al
running.
Forse se da ragazzo avessi visto mio padre o mia madre correre regolarmente, tutti i giorni come
ora faccio io, magari ci avrei fatto un pensierino... forse sì, forse no, più probabilmente no.
Ritengo che quando si è ragazzi la fatica e il sacrificio del running non abbiano così tanto
“appeal” quanto il divertimento del calcio, del basket o del volley...
Con queste riflessioni a frullarmi per la mente, proseguo in discesa ritornando sui 2000 metri del
Colle Perla, dove scambio un saluto al volo con uno dell'organizzazione dislocato ad un incrocio tra
i vari sentieri della zona.
Qui ci vuole una considerazione a parte: l'organizzazione de “La Via dei Lupi” è davvero una
macchina perfetta.
Sia ieri che oggi ho visto sul percorso decine e decine di addetti, dislocati quasi ad ogni
chilometro, tutti con radio (visto che i cellulari non prendono), binocoli e qualcuno persino con
moto da enduro. Lì dove arrivano le poche strade sterrate, c'è sempre un fuoristrada o un'ambulanza
pronta a soccorrere chiunque si trovi in difficoltà... penso che se i francesi sono tanto famosi per le
gare spettacolari che organizzano, noi italiani tutto sommato abbiamo ben poco da imparare da loro,
e forse anche qualcosa da insegnargli.
Mentre sto attaccando l'ultima salita, quella verso il Colletto Campanin del trentesimo
chilometro, mi si scarica l'Ipod, nel bel mezzo di una delle mie canzoni preferite, la versione remix
(fornitami da mio figlio maggiore) di “Boa Sorte”, di Ben Harper insieme ad una modella brasiliana
o portoghese, di cui non ricordo il nome.
1
Quasi automaticamente sto per togliere dallo zaino quello di riserva, quando mi fermo: da
quando ho cominciato a correre, non credo di averlo mai fatto volontariamente senza musica.
Adoro la musica e paradossalmente, invece di distrarmi, su di me ha l'effetto di amplificare le
sensazioni e le emozioni, anche quelle della corsa. Inoltre, correndo mi viene facile sincronizzare la
falcata con il ritmo del basso e della batteria, e questo mi aiuta non poco a tenere un ritmo regolare.
Solo che qui... è impossibile tenere un ritmo regolare. I sassi, i cespugli, le pendenze, le curve, le
radici, i rami fanno sì che ogni passo sia costantemente diverso dall'altro, e che il proprio ritmo
cambi in continuazione; in sostanza, non c'è alcuna possibilità di sincronizzare le falcate con il
ritmo di uno qualsiasi dei brani che ho nella memoria dell'aggeggino e quindi, forse per la prima
volta (almeno a quanto ricordo), decido di lasciar perdere e rimetto l'Ipod di riserva nello zainetto:
per il resto della tappa basteranno il vento ed il rumore dei passi, come sottofondo.
Dopo mezzogiorno, e dopo più di quattro ore di gara trascorse, termino finalmente quest'ultima
salita del percorso e mi affaccio nuovamente, dal Colletto Campanin a circa 2200 metri di quota,
sulla valle al cui centro è adagiata Limone Piemonte, il traguardo finale. La intravedo in lontananza
tra i boschi, il GPS mi dice che mancano ancora nove chilometri ma sono felice e soddisfatto; mi
sento stanco, questo è vero, ma più o meno quanto mi aspettavo, e senza particolari problemi fisici.
L'infiammazione sotto il ginocchio sinistro che mi aveva tormentato alla MAIZEDER è solo un
lontano spiacevole ricordo, e l'unica cosa che sento sono i “normali” indolenzimenti ai quadricipiti e
ai muscoli che controllano le caviglie.
Per un paio di chilometri seguo una larga strada sterrata che mi fa scendere di 200 metri e mi
porta alla Baita 2000, sede dell'ultimo rifornimento della gara; ora fa veramente caldo: il sole
splende forte, nel cielo non c'è una nuvola, la parete della montagna ripara da qualsiasi vento e
l'umidità è alta. Mentre riparto, lasciando la strada sterrata ed infilandomi nel primo dei vari sentieri
che mi devono riportare a Limone, penso che forse ora potrei accelerare, visto che sono in discesa,
sto abbastanza bene e non manca molto all'arrivo.
Però non mi va più di tanto... cosa cambierebbero quindici minuti in più o in meno sul tempo di
gara, oppure dieci posizioni in più o in meno in classifica ?
Anche qui, come nelle ultramaratone, ho visto la maggior parte della gente correre per se stessa,
senza particolare attenzione a tempi e classifiche. Come nelle ultramaratone, l'assenza di consistenti
premi in denaro e di grosse sponsorizzazioni mantiene le gare di trail ancora piuttosto lontane da
quell'atmosfera “commerciale” che ormai si respira purtroppo anche nelle grandi maratone: famosi
campioni (spesso stranieri) “reclutati” dagli organizzatori a suon di ingaggi sempre più alti, lo
spettro del doping, le esigenze televisive, il traffico e il rumore di una grande città per la quale
bisogna promuovere il turismo, l'ansia di abbattere il muro delle quattro o delle tre ore... tutti aspetti
che nel mondo dell'ultramaratona e del trail mancano, per fortuna, e mi auguro che continuino a
mancare per un bel po' di tempo.
Infine, un altro motivo per cui non mi va di spingere è il fatto che mi sento... psicologicamente
scarico; La Via dei Lupi è l'ultima gara di una stagione (settembre 2008 - luglio 2009) che è stata la
più intensa e la più ricca di risultati della mia carriera podistica; non potevo sperare di meglio, e
vederla concludersi con questa serenità e questa soddisfazione, dopo tante esperienze positive e
nessun vero problema, mi toglie molta di quella carica che sarebbe necessaria per “spremermi”
ancora per qualche chilometro.
Perso in queste riflessioni spicciole, procedo in discesa con un trotto tranquillo. Ogni tanto
qualcuno mi raggiunge da dietro, lanciato a balzelloni sul sentiero, e mi supera, spesso chiedendo
cortesemente scusa per la necessità di passarmi vicino.
C'è molta cortesia in questo tipo di gare; sia ieri che oggi mi è capitato diverse volte di dovermi
fermare e togliere una scarpa per rimuovere sassi e rametti che chissà come riuscivano ad entrare,
2
numerosi, nelle scarpe pur allacciate piuttosto strette.
Beh, ogni volta che qualcuno mi vedeva seduto sulla roccia a sistemarmi la scarpa, mi chiedeva
immancabilmente se tutto fosse a posto, e se avessi bisogno di qualcosa.
Nel momento in cui sto raggiungendo il “regno degli alberi” e sto tornando all'ombra, sento
qualcuno arrivarmi alle spalle.
“Dai vieni, che arriviamo insieme!!!” - mi grida una ragazza nel momento in cui mi supera.
“Ti ringrazio, ma mi trovo bene su questo ritmo, vai pure” - le rispondo.
“Forza che manca poco, è tutta discesa, così chiacchieriamo un po' e ci passa prima” - insiste
allontanandosi.
Il suo entusiasmo è evidente, e contagioso. Mi scrollo di dosso una certa pigrizia, ed aumento il
ritmo raggiungendola ed adeguandomi al suo passo.
Gli ultimi cinque chilometri sono molto ripidi, me lo ricordavo da ieri, però devo ammettere che
a differenza dei sassi e delle rocce dell'alta quota, qui nel bosco il terreno è morbido e con poche
asperità: le gambe non fanno poi tutta questa fatica, visto che la terra ammortizza bene e non ci
sono grandi rischi di caduta, quindi viaggiamo ad un buon ritmo.
In discesa si riesce anche a risparmiare il fiato, e lo usiamo per chiacchierare.
Mi dice che viene da Genova, si chiama Raffaella, è medico e si sta allenando per la versione
“corta” (100 km) dell'Ultratrail del Monte Bianco, la CCC, quindi è qui anche a caccia di punti per
l'iscrizione.
Mi dice pure che ieri aveva avuto dei problemi di stomaco, si era dovuta fermare, ma poi è
riuscita a riprendersi, a ripartire e a concludere la gara.
Beh, di sicuro problemi non sembra avercene ora, visto che scende come un treno, con i
bastoncini da salita in mano. In effetti le devo dare atto che, una volta alzato il ritmo, anche i miei
muscoli si sono adeguati facilmente al nuovo carico e sto scendendo veloce senza troppa fatica.
Superiamo infatti diversi runners, chiedendo scusa a nostra volta. Sotto le chiome degli alberi è
più fresco, e si viaggia sempre meglio.
Tra una curva e l'altra Raffaella mi chiede a quali gare io abbia partecipato di recente, e quali
abbia in programma per il futuro; quando le dico che io e Dany abbiamo in programma sia la Chott
Xtreme Marathon in novembre che la 100 Km del Sahara nel prossimo marzo, si entusiasma: ”Ma
dai, io cercavo proprio qualcuno con cui andare alla 100 del Sahara, perchè da sola mi
preoccuperebbe un pochino”.
Le chiedo il suo tempo sulla maratona, per avere un'idea del suo livello di preparazione; mi
risponde 3 ore e 51 minuti, a Firenze lo scorso anno.
Ma guarda un po', c'ero anch'io a Firenze lo scorso anno: ricordo una pioggia fredda e fastidiosa,
ed un percorso difficile; su una maratona meno impegnativa, sicuramente lei vale diversi minuti di
meno.
Le dico che Dany è ora sulle 3 ore e 45 minuti, quindi se davvero Raffaella riuscisse a venire con
noi in Africa è possibile che lei e Daniela possano fare lunghi tratti di gara insieme, visto che
viaggiano su ritmi molto simili.
Nel frattempo, tra una chiacchiera e l'altra, abbiamo quasi finito. Con una stretta svolta a destra
sbuchiamo dal sentiero e ci infiliamo in una larga strada pedonale alla periferia di Limone, con il
GPS che mi segnala solo un paio di chilometri al traguardo.
Finalmente su una strada regolare e solo in leggera discesa, quasi inconsapevolmente la mia
falcata si allunga e il mio ritmo accelera, stabilizzandosi su un passo piuttosto sostenuto. Raffaela
2
nota un cambiamento e mi dice: “Vai pure, tanto siamo quasi arrivati...”.
“Beh, certo, la trentina di secondi che potrei guadagnare sul tempo finale saranno fondamentali
per la mia autostima!!!”- mi viene da rispondere con una battuta, e torno ad adeguarmi al suo passo,
questa volta rallentando.
Dieci minuti scarsi più tardi, facciamo il nostro ingresso nella piazza di Limone, con Alberto che
pure questa volta scandisce al microfono i nostri nomi e le nostre società sportive, accogliendoci al
traguardo.
E' fatta, ho concluso anche questa gara: oggi quasi cinque ore e trenta, una mezz'oretta in più di
ieri, ma d'altra parte oggi si partiva da una quota più bassa e si arrivava ad una più alta.
Totale 10 ore e mezzo, su un tempo massimo di 17 ore. Sono decisamente soddisfatto di questa
mia doppia prima esperienza: di ultratrail, e di gara a tappe.
Bevo abbondantemente, e sento forte il bisogno di una doccia. Nei pressi della festosa zona
dell'arrivo c'è nuovamente il furgone con i bagagli, dal quale recupero rapidamente il trolley.
Chiedo quindi ad Alberto dove sia possibile fare una doccia, e lui mi informa che è tutto
predisposto presso un centro sportivo ad un paio di chilometri dall'arrivo. Nel vedere la mia
espressione contrariata, mi chiede: “Ma non sei in macchina?”.
“Veramente no. Sono venuto in treno, non mi fido a guidare dopo gare così lunghe” - gli
rispondo.
Allora Alberto chiama sua moglie, lì vicino e sul punto di recarsi da qualche parte in macchina, e
le dice di allungare prima verso il centro sportivo per accompagnarmi.
Che gentilezza...
Proprio in quel momento ci raggiunge nella zona degli arrivi il grande Marco Olmo, che avrebbe
poi partecipato alla cerimonia delle premiazioni consegnando lui alcuni premi.
Alto, magro, viso segnato ed ascetico, corta barba e capelli grigi, età indefinibile... gli si
darebbero neanche quarant'anni, ed invece ne ha oltre sessanta.
Lui l'ha vinto, l'Ultratrail del Monte Bianco, insieme ad una miriade di altre gare, dimostrandosi
diverse volte in alta montagna il più forte ultratrailer del mondo, dopo confronti con atleti di una o
due generazioni successive alla sua.
In nessuno sport accade mai qualcosa di simile, e solo noi italiani possiamo vantare un tale
fenomeno che però, paradossalmente, è pressochè sconosciuto al grande pubblico.
Chiunque è bombardato, giorno e notte e su tutte le reti TV e su tutti i giornali, da fiumi di parole
sulle vacanze dell'ultima stella di turno del calcio o del tennis, mentre su eroi e modelli limpidi
dello sport come Olmo è quasi sempre steso un colpevole velo di silenzio, a meno che non siano
protagonisti di qualche spettacolare tragedia che possa incuriosire il distratto e annoiato “grande
pubblico”.
Lo saluto, gli stringo la mano, e se dessi un significato agli autografi, lui sarebbe uno dei pochi ai
quali lo chiederei; poco dopo vengo cortesemente accompagnato in macchina al centro sportivo
“Campo Base” per una doccia.
Anche questa volta la doccia si trasforma in un rituale mistico capace di cancellare con un
incantesimo dal mio corpo e soprattutto dalla mia mente quasi ogni traccia dello stress e della fatica
di questi due giorni. Domani e dopodomani i dolori si riaffacceranno, ma per adesso mi sento bene.
Mi cambio con abiti comodi per il ritorno, metto tutto nel trolley e riparto a piedi verso il pastaparty, visto quanto sono affamato.
Mentre ripasso per la zona dell'arrivo, noto un po' di preoccupazione sul viso di Davide e di
2
qualcun altro degli organizzatori: sembra che il servizio “scopa”, cioè il nucleo che chiude la corsa
e che raccoglie i runners eventualmente in difficoltà, abbia perso contatto con l'ultima coppia “Lui
& Lei” sul percorso. Li vedo tirar fuori i vari elenchi e recuperare il numero di cellulare dei due
mancanti all'appello, di cui una mi sembra di capire sia proprio la ragazza che si era fatta male al
ginocchio durante la tappa di ieri.
Con la speranza che tutto si risolva per il meglio, mi riprometto di ripassare più tardi per sapere
gli sviluppi, e mi dirigo al pasta-party. Sono ormai le 14 e trenta, e ho una gran fame.
Due piatti di pasta, prosciutto ed un paio di fette di torta sotto il grande tendone appositamente
allestito mi lasciano finalmente soddisfatto. Ripasso per la piazza, i due mancanti sono stati
recuperati e stanno per iniziare le premiazioni, con Olmo in persona come “padrino”, ma non credo
di potermi fermare a Limone ancora per molto; e poi di certo non premieranno me: in bacheca
all'arrivo risulto 86° assoluto, ben oltre qualsiasi speranza di un misero premiuccio, ma non mi
interessa affatto; il premio è stato quello, ben più importante, delle sensazioni provate e delle
esperienze vissute.
Raggiungo quindi la stazione ferroviaria, e mentre seduto nella sala d'aspetto attendo il regionale
per Torino, ne arriva nel frattempo uno da Cuneo dal quale sbarca un tizio con una mano ingessata.
Lo guardo meglio e noto che ha la mia stessa maglietta di “finisher” de La Via dei Lupi, quelle
che Alberto ci consegnava oggi al momento dell'arrivo.
Gli chiedo cosa gli sia successo, e lui candidamente mi confessa di essere caduto in discesa, di
essersi rotto un dito e quindi di essere stato trasportato all'ospedale di Cuneo per radiografie e gesso.
Stava tornando proprio da lì, per riprendere le sue cose e partecipare ai festeggiamenti finali.
Ovviamente gli esprimo tutto il mio dispiacere per la sua disavventura, ma lui allegramente mi
risponde: “Oh, non è nulla... tra trenta giorni tolgo il gesso e torno come nuovo” - e riparte per il
centro del paese.
Verso le 16 e trenta passa finalmente il regionale per Torino, affollatissimo di pendolari che
tornano dal mare, sulla costa ligure, che da qui dista neanche un paio d'ore.
Incomincia così la mia odissea per il rientro a Firenze; verso le 19 arrivo a Torino, ceno nei
pressi della stazione e verso le 20 salgo su un Intercity diretto a Pisa, nel bel mezzo di una vera
bufera di vento e pioggia che colpisce la stazione di Porta Nuova.
Il temporale dura per tutto l'attraversamento del Piemonte, e lo vedo sfumare solo quando ormai
il treno è in Liguria. Chissà cosa sta succedendo stanotte su quei rifugi, e tra quelle cime che ho
attraversato ieri ed oggi. Quando ho lasciato Limone il tempo era ancora bello, ma da quelle parti
tutto può cambiare nel giro di minuti.
Durante il weekend hanno finalmente riattivato la linea ferroviaria tra Genova e Pisa, dopo il
disastro nella stazione di Viareggio.
Quando l'attraverso, nel vedere i palazzi distrutti e ancora qualche vagone-cisterna annerito in
fondo ad un binario morto, non posso che pensare nuovamente a quanto io sia fortunato, e a quanto
sia cieco il destino. La mia unica preoccupazione adesso è l'ora in cui ritornerò a casa. Per altri, la
preoccupazione è il fatto di non avere più una casa, oppure addirittura un familiare, magari un
marito, una moglie o un figlio...
Rimurginando su questi pensieri arrivo verso l'una di notte a Pisa, dove scendo dal treno che
continua per Livorno e Roma.
A quest'ora treni per Firenze non ce ne sono più, ma tra poche decine di minuti ci dovrebbe
essere un pullman notturno per la stazione di Firenze - Santa Maria Novella.
Il pullman infatti c'è, anche se si presenta con una mezz'oretta di ritardo (facendomi preoccupare
2
molto…) ma il problema è che siamo in tantissimi a volerlo prendere, ben oltre la capienza massima
del mezzo.
E' domenica, siamo a luglio ed in molti, soprattutto ragazzi, ne hanno approfittato per trascorrere
una giornata a Pisa ed ora vogliono rientrare a casa.
E' giusto, è normale, ma per questo è anche prevedibile, non dovrebbe essere difficile capire che
un pullman può essere insufficiente.
Ed infatti molti, dietro di me, vengono fermati dall'autista che dice di aver raggiunto la capienza
massima.
Aggiunge pure che sta arrivando un altro pullman, dopo di questo, ma dalla faccia mi sembra più
una pietosa bugia ed un tentativo di calmare la giusta indignazione di quelli rimasti a terra.
Io sono riuscito a salire, per fortuna, e sinceramente non me la sento di lasciare il posto a qualcun
altro, vista la stanchezza accumulata. E poi, con i miei bei 44 anni di età, qui in mezzo credo di
essere tra i più vecchi, tra tanti giovani in vacanza.
Sarebbero gli altri a dover dar prova di cavalleria nei confronti di un “vecchietto” come me.
Lungo la strada cerco di dormire ma non ci riesco, forse ho ancora troppa adrenalina in circolo.
In compenso, ci stiamo mettendo una vita: tra Pisa e Firenze ci sono solo 60 chilometri, ma invece
di fare la strada diretta tra stazione e stazione, il pullman rispetta le fermate della linea ferroviaria,
quindi esce e rientra dalla superstrada Pisa-Firenze in corrispondenza di tutte le stazioni ferroviarie
intermedie: Cascina, Navacchio, Pontedera, Empoli, e varie altre.
In sostanza, arriviamo a Firenze con un'ora di ritardo: alle tre di notte invece che alle due. Mi
sento abbastanza distrutto: mi trascino fino allo scooter, sistemo in qualche modo zaino e trolley,
metto in moto ed attraverso come un missile una Firenze deserta e silenziosa, come in questi anni
ho visto poche volte.
Raggiungo quindi la superstrada Firenze-Siena e nel buio della notte percorro a 110 km/h
l’ultima decina di chilometri che mi separa da casa.
Una casa che so che troverò deserta, perchè la povera Dany questa notte è in sosta a Cagliari, e
tornerà a Firenze solo domani pomeriggio.
Parcheggio lo scooter, recupero le chiavi ed entro a casa: una serenità profonda e totale mi
avvolge. Missione compiuta.
Lascio i bagagli, recupero la bottiglia di Carlos Primeiro e un sigaro Toscano Riserva, apro la
terrazza e mi siedo a guardare il buio che avvolge i boschi e le colline del Chianti.
Il silenzio è quasi totale, interrotto giusto dal canto di alcuni uccelli notturni. Le luci di alcuni
casolari lontani interrompono il buio davanti a me mentre verso oriente, essendo ormai oltre le
quattro di mattina, un tenue chiarore pare annunciare l'alba ormai vicina; sono sveglio da quasi un
giorno intero, oggi ho fatto davvero un sacco di cose.
E' buono il Carlos Primeiro, il mio brandy preferito. E anche il forte aroma del Toscano ci sta
benissimo, questa sera.
Penso al fatto che un giorno sarò vecchio davvero, non per scherzo come adesso mi diverto
spesso a dire...
Sarò vecchio, pieno di acciacchi e di malanni, con davanti a me solo l'unica prospettiva di poter
presto scoprire la grande risposta alla grande domanda: si continua dopo la morte, o il gioco finisce
così, senza bonus o estensioni.
Chissà se mi accorgerò di morire, o se sentirò la morte vicina, i giorni e i mesi che la
precederanno...
2
Di una cosa sono certo, però. In quei giorni e in quei mesi ci sarà sempre qualcosa a tenermi
caldo: i miei ricordi, tanti, come una collana di perle.
Ed una nuova perla a questa collana l'ho aggiunta proprio in questi due giorni, con La Via dei
Lupi...
*
* *
2
EPILOGO
Martedì 7 luglio
Sono davanti allo schermo del PC di casa, dopo aver sistemato diverse cosette. Intanto ho scritto
un articolo su “La Via dei Lupi” che ho già inviato sia al sito della Podistica Valdipesa
(podisticavaldipesa.tk) che su podisti.net, il principale portale italiano sul running.
Poi ho scaricato dal GPS da polso il file .tcx con l'intero percorso. Sono rimasto daccordo con
Davide ed Alberto che glielo avrei inviato perchè sia inserito sul sito della corsa, a disposizione di
chiunque desideri scaricarlo.
In questo modo, oltre a poter visualizzare l'intero percorso tramite uno dei molti portali di
cartografia, come Google Earth, chi dispone di un qualsiasi GPS su cui poter caricare i file .tcx,
nelle future edizioni della gara potrà impostare in anticipo sul proprio navigatore l'intero percorso
(ammesso che non venga cambiato).
Tutto questo non solo è molto comodo, ma può dimostrarsi decisivo anche in termini di
sicurezza.
Se ci si dovesse trovare in mezzo ad una bufera in alta quota, con buio, nebbia, pioggia e nuvole
che riducono drasticamente la visibilità, allora la possibilità di perdersi diventa assolutamente
concreta, così come il rischio di morire assiderati come i tre del Mercantour.
In questo caso, poter disporre di un GPS con percorso precaricato significherebbe la salvezza:
basterebbe richiamare il menù con la mappa, e seguire la freccina per andare al successivo punto di
controllo, senza perdersi.
Dopo aver spedito quindi una mail con allegato il file del tracciato, concludo scaricando da
podisti.net il comunicato stampa dell'organizzazione de “La Via dei Lupi”, che riporta il bilancio
dell'attività appena conclusa:
2^ Iron Trail Via dei Lupi
scritto da A.S.D. Cuneo Triathlon
Limone Piemonte (Cuneo),
Lunedì 06 Luglio 2009 14:49
E’ stata una seconda edizione da incorniciare quella che si è svolta tra sabato e domenica sulle
montagne cuneesi dell’Iron Trail Mizuno La Via dei Lupi.
Iscritti ben 231 atleti che si sono inseguiti per 40 km sabato ed altrettanti 40 domenica; un
dislivello totale di quasi 5.000 metri, ma in uno scenario unico e stupendo. I percorsi, scelti dalla
Cuneo Triathlon insieme al campione Marco Olmo, hanno impressionato tutti i partecipanti e, per
molti, era la prima volta che correvano da Limone Piemonte a Chiusa di Pesio.
Numerose le classifiche e le premiazioni che gli organizzatori avevano previsto: solo andata,
solo ritorno ed ovviamente la completa Via dei Lupi; tra le premiazioni anche la specialissima
classifica “Lui & Lei” dove gli atleti hanno dovuto correre insieme tutte e due le tappe.
La prima tappa è stata dominata tra gli uomini da Silvano Fedel che si è preso un vantaggio di
oltre dieci minuti facendo registrare il tempo record di 3h 07’ 07”; secondo Danilo Lantermino,
terzo Marco Zarantonello e quarto Giovanni Gerbotto, ma tutti gli inseguitori sono arrivati staccati
tra di loro da nemmeno un minuto.
2
Tra le donne prima Paola Bonnet con un tempo di poco superiore alle 3h 55’.
I primi della sola andata sono stati Alberto Ghisellini, Diego Civallero e Davide Preve; tra le
donne, Elisa Bruno, seconda Stefania Mueller e terza Samantha Plafoni.
Dopo la cena offerta dagli sponsor alimentari, gli atleti hanno potuto riprendersi negli alberghi
convenzionati facendo registrare il “sold out” delle convenzioni.
Domenica mattina sotto un sole stupendo ed un cielo limpido gli atleti sono partiti alle ore 8.00
dal centro sci di fondo di San Bartolomeo per fare ritorno a Limone Piemonte. La gara di ritorno è
sempre la più dura; per i migliori è stata anche una dura battaglia, ma non per il primo posto.
La vittoria è andata al trentino Fedel che ha bissato la vittoria del giorno precedente con il
tempo di 3h 31’ ed una manciata di secondi; dietro di lui Giovanni Gerbotto, che ha recuperato lo
svantaggio su Lantermino e Zarantonello, piazzandosi così al secondo posto. Zarantonello si piazza
al terzo posto e Lantermino al quarto, quinto Roberto Camperi e sesto Mauro Giraudo.
Tra le donne, successo anche nel ritorno per Paola Bonnet con il tempo di 4h 22’, seconda
Maria Angioni e terza Josefina Lopez, molto combattiva.
Nella classifica “Lui & Lei”, successo dei portacolori del Torino3 Maria Angioni e Federico
Turbiglio, secondi Silvia Bonelli e Flavio Ferrero, terzi Alessia Sottile e Maurizio Giordano, quarti
Emilio Gasperi e Valentini Verina, quinti i dottori cuneesi Cristina Frontespezi e Lorenzo
Lanzillotta.
Nella classifica del solo ritorno successo per Marco Abbà, secondo Massimo Becotto e terzo
Carlo Ellena; tra le donne prima Daniela Scutti, seconda Morena Almonti, terza Lucia
Giordanengo, quarta la cuneese Paola Napoli.
La premiazione finale è stata effettuata consegnando i numerosi premi dei vari sponsor; Marco
Olmo ha consegnato personalmente alcuni riconoscimenti insieme alle Autorità di Limone
Piemonte.
Durante la premiazione Nerattini e Rovera hanno voluto ringraziare i volontari del Soccorso
Alpino, le Protezioni Civili, il gruppo 4 X 4 di Cuneo, i GuardiaParco, il Centro Sportivo
Marguareis, i volontari della Croce Rossa Italiana ed i Comuni di Limone Piemonte e Chiusa
Pesio. Tutti i tempi su www.italiatriathlon.it ”.
Lo faccio leggere a Daniela; lei ancora non si sente pronta per i trail, ma il mio sesto senso mi
dice che l'anno prossimo, nella classifica “Lui & Lei”, ci saremo anche noi...
FINE
2
Ringraziamenti e note dell'autore
Questo racconto costituisce il naturale seguito del mio precedente “MAI CEDERE”, incentrato
sulle esperienze mie e di mia moglie Daniela durante la preparazione e la gara della MAIZEDER
2009.
I numerosi consensi ottenuti da tutti coloro che hanno letto quella storia mi hanno dato la carica
per fare altrettanto in occasione di quella che si preannunciava come un'altra splendida esperienza
podistica, la partecipazione appunto a “La Via dei Lupi”.
Inoltre, l'esperienza raccontata in “MAI CEDERE” mi ha dimostrato che non bisogna essere dei
“top runners”, dei super-campioni per avere una storia degna di essere raccontata; anche chi è un
podista assolutamente normale come me, con tempi decisamente “umani” ed armato solo di una
grande determinazione, può aspirare a vivere (e raccontare) esperienze ed avventure assolutamente
fuori dal comune.
Quale sarà la prossima storia ? Non lo so ancora, ma sicuramente non tarderà oltre la primavera
del 2010, quando io e Dany parteciperemo alla famosa “100 Chilometri del Sahara” a tappe,
un'intera settimana nel deserto più grande del mondo, sotto tenda, tra dune ed accampamenti
itineranti.
Come si potrebbe evitare di scrivere qualcosa al riguardo ?
Ritornando però a “La Via dei Lupi”, desidero concludere con alcuni ringraziamenti: il primo e
più sentito è naturalmente per mia moglie Dany che ogni volta, con pazienza, rilegge ciò che ho
scritto e mi fornisce le prime necessarie correzioni, pareri ed impressioni generali con un'obiettività
che le fa onore.
Desidero poi ringraziare Davide Nerattini ed Alberto Rovera, (i due principali “motori” del
Comitato Organizzatore de La Via dei Lupi) su due livelli: primo, per aver ideato una gara
stupenda, un vero modello per ambientazione, sicurezza, servizi e cordialità; secondo, per avermi
incoraggiato ed aiutato a scrivere questa storia, facendomi sentire non solo uno dei tanti
partecipanti, bensì un vero e proprio protagonista.
Infine, desidero ringraziare tutti coloro (con Andrea Accorsi in testa) che, dopo aver letto “MAI
CEDERE”, hanno voluto esprimermi il loro apprezzamento ed il loro incoraggiamento a continuare
a scrivere...
Impruneta (FI), 2 agosto 2009
Giovanni Semeraro
2