non c`è in una intera vita cosa più importante da fare
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non c`è in una intera vita cosa più importante da fare
CHIESA DI SANTA LUCIA DEL GONFALONE NON C’È IN UNA INTERA VITA COSA PIÙ IMPORTANTE DA FARE CHE CHINARSI, PERCHÉ UN ALTRO, CINGENDOTI IL COLLO, POSSA RIALZARSI. la copertina di Angelo Cupini editoriale Muhammad Yunus - il banchiere dei poveri La foto che apre il numero di dicembre di MC l’ho scattata a Roma qualche mese fa. Una scena che continuiamo a vedere sempre più frequentemente. La domanda: come rispondiamo alle mani imploranti? In copertina abbiamo ripreso una frase che è un programma. La storia di Muhammad Yunus, che ora raccontiamo, la conferma. Muhammad Yunus premio Nobel per la Pace 2006 La storia Amina Ammajan era una mendicante del Bangladesh, vale a dire una delle persone più povere della terra. Vedova e madre di due figlie, era sul punto di morire nel 1976, quando la casa le crollò letteralmente sulla testa. Oggi sua figlia possiede la casa, un pezzettino di terra e del bestiame. Non è ricca, ma vive dignitosamente. La sua vita, come quella di milioni di altre persone, soprattutto donne, è cambiata completamente da quando ha incontrato Grameen, la banca del Bangladesh che teorizza e mette in pratica il credito ai derelitti: pochi soldi, dati a fronte di un progetto minimo e senza nessuna richiesta di garanzia. Ma con percentuali di restituzione che fanno invidia alle più solide banche tradizionali. La storia è raccontata nel libro Muhammad Yunus, Il banchiere dei poveri Feltrinelli. Tutto comincia quando Yunus, un docente universitario di economia del Bengala laureatosi negli Stati Uniti, si mette in testa di cercare nuove strade per combattere la miseria disperata delle zone rurali del suo paese. Fin dalle prime incursioni sul campo, durante la terribile carestia del 1974, Yunus si rende conto che c’è una grande quantità di uomini e donne a cui non mancano né buona volontà né una forte capacità lavorativa, il cui destino è tuttavia senza speranza perché privi di uno strumento essenziale: un capitale, anche piccolissimo, con cui iniziare qualunque attività. Nasce Grameen, una banca rurale (grameen in bengalese significa contadino) che concede prestiti e supporto organizzativo ai più poveri, altrimenti esclusi dal sistema di credito tradizionale. Fino a oggi la banca ha concesso prestiti a più di 2 milioni di persone, il 94 per cento delle quali donne. Grameen ha attualmente 1.048 filiali ed è presente in 35.000 villaggi e in diverse città nel mondo. Grameen non solo presta denaro ai poveri ma è posseduta da questa stessa gente, che nel tempo è diventata azionista della banca. Muhammad Yunus e la Grameen Bank hanno ricevuto il Premio Nobel per la Pace. “La povertà è una minaccia per la pace”, ha detto Yunus, nel suo discorso di accettazione del Nobel, affermando che è possibile creare un mondo libero dal bisogno e relegare la povertà in un museo. Il Nobel per la pace, che di solito va a diplomatici, associazioni umanitarie e avvocati difensori dei diritti civili, è stato assegnato a Yunus e Grameen Bank “per i loro sforzi di creare sviluppo economico e umano dal basso”, dice la motivazione. Questa chiave di lettura ci appartiene come missionari clarettiani: annunciare e servire la Parola dal basso; è il filo narrante di questo numero con il quale desideriamo a tutti un nuovo anno di Pace. testimoni e messaggeri del Dio della vita Josep Abella, superiore generale dei missionari clarettiani, negli scorsi mesi, ha offerto un lungo testo alla meditazione di tutti i confratelli, indicando le prospettive per i prossimi anni. MC le riprenderà sistematicamente. Cominciamo con una domanda: qual è il centro di interesse della nostra vita? Josep Abella, utilizzando la sua familiarità con la lingua giapponese - ha vissuto da giovanissimo in quel Paese -, scrive: “L’ideogramma della lingua giapponese che indica la parola “occupato” è composto di due parti: quella di sinistra indica il cuore, nel senso di anima o spirito, quella di destra significa perdere o sparire. L’ideogramma descrive, pertanto, la situazione di una persona che ha perso di vista il centro che dà unità a tutte le dimensioni del suo essere e che riempie di senso tutte le sue azioni. Cammina come persa nei propri progetti”. Per questo propone ai suoi fratelli missionari di interrogarsi su: - come mantenere vivo il carisma e come vivere con radicalità la dimensione profetica della vita consacrata in un contesto di istituto che va prendendo sempre più nuova fisionomia per la crescita di presenze di altre culture? - come vivere con entusiasmo la vocazione clarettiana in una comunità sempre missionaria e attenta alla formazione e al discepolato di Gesù? - come esprimere la missione in condivisione con gli altri, in solidarietà con i più poveri, in dialogo con il mondo? In una lettera datata il 16 ottobre 2006 ha ripreso nel metodo alcuni temi legati alla vita del mondo. Cari fratelli Inizio questa lettera con un ricordo ed una parola di solidarietà verso i nostri fratelli dello Sri Lanka. La situazione che interessa quel paese è stata oggetto di costante attenzione da parte dei mezzi di comunicazione sociale del mondo intero. La situazione dei nostri fratelli e delle loro famiglie è stata e continua ad essere presente nella nostra preghiera e nel nostro quotidiano fraterno ricordo. Chiedo al Signore che sappiano essere costruttori di pace e veri artefici di riconciliazione. Sono anche preoccupanti le informazioni che giungono dal Josep Abella, superiore generale dei missionari clarettiani 1 Josep Abella brinda c on i confratelli clarettiani del Gabon nella sua ultima visita Basilan, Filippine, per un peggioramento della situazione in quella regione. Vogliamo comunicare ai nostri fratelli che si trovano in quelle località, che noi li portiamo nel nostro cuore e li teniamo presenti nelle nostre preghiere. La sofferenza di tante persone vittime dei conflitti in atto nel nostro mondo ci tocca da vicino e ci spinge a non desistere dal nostro impegno per la Pace e per la Giustizia ed a non venir meno al compito di annunciare il Vangelo del Regno. A causa della polemica suscitata dopo il discorso del Papa all’Università di Ratisbona e della reazione che ha provocato in alcuni ambienti musulmani, si è consolidata la coscienza della necessità del dialogo come unica strada per dare una risposta valida al Disegno di Dio sul mondo e rendere credibile il messaggio delle religioni. Il Papa Benedetto XVI ha annunciato che la prossima Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi si soffermerà sul tema della “Parola”. Tale annuncio ci riempie di gioia e ci obbliga ad impegnarci attivamente nel processo sinodale. Il Governo Generale ha terminato le sessioni dei consigli intensivi della metà del sessennio del suo mandato. Ci siamo ritagliati del tempo per pregare insieme e condividere l'esperienza di ognuno di noi durante questi anni. Abbiamo ringraziato il Signore perché abbiamo potuto esercitare il nostro ministero senza l’aggravio di speciali problemi di salute e perché abbiamo incontrato in tutti voi un appoggio sincero ed un’accoglienza fraterna. Sono stati tre anni intensi nei quali abbiamo cercato di attuare le decisioni e gli orientamenti del Capitolo Generale. Avrete sicuramente tutti già ricevuto la circolare “Testimoni e messaggeri del Dio della vita”. In essa condivido alcuni temi che considero molto importanti in questo momento della vita della Congregazione. Spero che sia un valido strumento per riesprimere l’impegno di tutti a vivere con generosità il carisma clarettiano in quest’ora della nostra storia. Josep M. Abella, cmf Superiore Generale Per la festa di s. Antonio Maria Claret, il 24 ottobre, ha scritto ancora a tutti i missionari clarettiani prendendo spunto dalla preghiera quotidiana “Nelle tue mani, Signore, affido il mio spirito” si richiama all’esperienza personale e a quella di fraternità clarettiana per giungere all’altra più universale nella quale vivono tanti figli di Dio feriti dal nostro egoismo. Nelle tue mani, Signore, ci sentiamo chiamati ad amare coloro che Tu ami e a modellare la storia spinti dal soffio del tuo Spirito. Le tue mani, Signore, ci parlano di forza e di tenerezza, ci sostengono perché non veniamo meno all'esigente compito di costruire un mondo in cui regni la giustizia e la pace e in cui la Creazione, “opera delle tue mani” venga davvero rispettata. Nelle tue mani, Signore, avvertiamo di essere liberi e senza paura di annunciare il Regno dinnanzi a coloro che vorrebbero mettere a tacere la voce che si fa eco della tua Parola. Alle tue mani affidiamo, Signore, la vita dei nostri fratelli che hanno terminato il loro cammino in questo mondo e sperano di essere S. Antonio Maria Claret accolti da Te nella pienezza del Regno che hanno annunciato e al e la Missione condivisa Pittura di Mino Cerezo quale hanno dedicato tutta la loro vita. Dalle tue mani, Signore, ci sentiamo inviati perché attraverso di noi l'esperienza di sentirsi amati da Te possa illuminare e riempire di speranza la vita di ognuno dei tuoi figli, in particolare di coloro che non riescono a sentire il calore delle tue mani che li abbracciano e li accompagnano. Nelle tue mani avvertiamo più concretamente il senso del “Charitas Christi urget nos” che sintetizza lo spirito che animò la vita ed il ministero del nostro Fondatore, S. Antonio M. Claret. Con lui, ti diciamo: “Siate benedetto, o Signore, che siete stato tanto buono e misericordioso con me! Fate che io Vi ami, Vi serva con tutto il fervore e abbia a farvi amare e servire da tutte le creature” (Aut 152). Nelle tue mani, Signore, deponiamo la nostra Congregazione e la vita di ognuno che ne fa parte. Facci strumento, Signore, del tuo amore, artigiani di una storia che incarni davvero i valori del tuo Regno. Josep M. Abella, cmf. Superiore Generale 2 3 giovani storie di vocazioni Nello scorso novembre i clarettiani italiani si sono incontrati per alcuni giorni a Roma, in uno dei quattro appuntamenti annuali che hanno programmato di vivere. Hanno ascoltato e dialogato sulle storie di vocazione dei tre giovani missionari, tuttora studenti. Riportiamo le comunicazioni e un intervento di approfondimento svolto dal clarettiano Manuel Arroba, docente di diritto all’Università Lateranense. Dall’8 aprile 1985 al dicembre 1989 sono nella Diocesi di Formosa/Argentina al confine con il Paraguay. È difficile trovare il luogo giusto dove andare. Da una famiglia francese (Charpentier) che abita a Reconquista mi viene la proposta di visitare i missionari clarettiani, nella diocesi di Formosa; mi fermo quattro anni con loro, l’esperienza più forte della mia vita fino ad ora. Sono una chiesa al servizio dei poveri, in una missione condivisa realmente, con laici che lavorano a tempo pieno nelle equipe di pastorale, con i clarettiani del Paraguay e della Spagna. Sono impegnato nella programmazione e formazione. Per due periodi rappresento i giovani della diocesi al consiglio diocesano. Imparo soprattutto l’attualità delle parole d’Isaia poi riprese da Gesù: Gustavo Pez “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un (Lc 4, 18) lieto messaggio…” In poche parole il racconto della mia vita; mi considero un instancabile ricercatore; penso che tutto è grazia di Dio; siamo dei piccoli strumenti. In ogni tappa della mia vita, c’è stata una Parola significativa per me, in quella circostanza precisa; con il passare degli anni è un tesoro da custodire e da condividere. “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena.” (Mt 6, 33). Dal 1972 al 1975 nella diocesi di Reconquista (Argentina). Ricerca del Signore, da piccolo, in un ambiente familiare religioso (uno zio prete, la nonna, la mamma). Primi passi nel catechismo e vado a dire a don Armando, il prete del quartiere, che voglio diventare prete. Arrivano i Poveri Servi di don Calabria che iniziano un gruppo di orientamento vocazionale. Gli ultimi due anni della scuola media li vivo insieme a un gruppetto di 12 ragazzi nella casa di formazione, con i padri di Don Calabria. “Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato. Ora, come potranno invocarlo senza aver prima creduto in lui? E come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentire parlare senza uno che lo annunzi? E come (Rom 10, 14-15) annunzieranno, senza essere prima inviati?” 1983 Buenos Aires/Argentina Sento una spinta missionaria ad andare oltre e il fascino per le storie dei missionari; “la màs noble aventura” è un libretto con le storie dei missionari comboniani. Con l’aiuto del vescovo di Reconquista (Mons. Iriarte) sono alla ricerca e visito comunità con carismi missionari; vivo un breve soggiorno tra i missionari oblati di Maria Immacolata. 4 “Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa del tuo (Gen 12, 1) padre, verso il paese che io ti indicherò.” Dopo questo periodo conosco un clarettiano argentino/italiano, il padre Lovatto, che arriva dall’esperienza del Gabon (Africa), e per circa dieci anni (25 luglio 1990 - 15 settembre 2000) sono in Africa. Lavoro in vari sensi, dalla formazione dei catechisti, alla cucina, alla manutenzione, alle visite ai villaggi, in quel momento scopro e faccio tesoro di questa parola e la ritengo base della mia vocazione: “Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini. Considerate infatti la vostra vocazione, fratelli: non ci sono tra voi molti sapienti, secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili. Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti. Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché (1 Cor 1, 25-29) nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio.” (Italia, Spagna - Europa 2000 - 2006) La vita in missione come missionario laico, dopo un accompagnamento spirituale e diversi avvenimenti (soprattutto la morte di due dei nostri confratelli) mi confermano la chiamata del Signore a lasciare tutto, per sempre. Discernimento vocazionale ad Altamura. Postulantato a via dei Banchi Vecchi. Noviziato a Loja. Prima professione a Roma. Università. Strada facendo, mi convinco di più di queste parole della seconda lettera ai Corinzi (4, 5 ss). “Noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che la potenza straordinaria viene da Dio e non da noi. Siamo infatti tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati, perseguitati, ma non abbandonati; colpiti ma non uccisi…”. Juan Gustavo Pez, cmf Roma, 15 novembre 2006 5 Massimo Proscia INIZIO C’é da dire che in ogni chiamata il protagonista è Dio, ed è lui che si serve delle persone. Per me le due persone sono state il Parroco del mio paese e il missionario clarettiano Fr. Rodrigo Tomassetti. Devo dire che io ho sempre avuto questo amore alla chiesa fin dai primi momenti di catechesi, oratorio ecc. Ma il momento che io ritengo importante è stato l’essere stato iscritto in una confraternita, il partecipare a dei momenti comuni tipo il rosario e le celebrazioni. Con la prima comunione iniziai a pensare alla mia vocazione. Con la partecipazione attiva in oratorio, il gruppo dei chierichetti. Fu questo il momento in cui conobbi Rodrigo. Questo religioso clarettiano, orientatore vocazionale, si rivolse al Parroco e lui diede il mio nome. Iniziai pian piano a scoprire cosa volesse dire Missionario. Con Rodrigo e insieme ad altri ragazzi che già erano a Roma abbiamo avuto incontri e gite. Nella settimana santa del 92 venni a Roma e vissi questa esperienza nella casa clarettiana di Via dei Banchi Vecchi. Per la prima volta entrai in una casa di religiosi. Ad accoglierci fu il P. Incampo con il quale organizzammo la settimana, fatta di preghiera e di visite a Roma. SECONDO MOMENTO Sarà il 15 settembre dello stesso anno la data nella quale entrerò in seminario dopo la scuola media per iniziare il liceo. Una nuova esperienza, lontano dalla propria famiglia, con dei ritmi di vita diversi, non facile. Mi dovevo abituare. In questo periodo ho coltivato il servizio all'altare, la liturgia, il vivere in comunità. Ho potuto scoprire le meraviglie di Roma. Mi sono immerso nella vita romana, sempre più caotica e ho imparato a pregare, a conoscere i confratelli e la congregazione. Ho imparato a gestire la mia vita. Tutto mi è servito a prendere coscienza della grande avventura che iniziavo e nello stesso tempo a essere responsabile delle mie cose e di quello che mi circondava. Ma quale è stato il momento di andare oltre e continuare nella vita religiosa? È stato il viaggio fatto in Gabon nel 98 anche se solo per un mese. Qui si apriva per me una porta, anche se impegnativa, ma nello stesso tempo bella. Ho potuto vedere con i miei propri occhi la povertà di quella gente e questo mi ha fatto prendere coscienza. Mi sono detto: io devo continuare. Devo offrirmi. TERZO MOMENTO 6 Cosi con la domanda al postulantato, ho iniziato i corsi di filosofia. Ho iniziato ad arricchire il mio bagaglio culturale e man mano che crescevo vedevo ciò che il Signore mi chiedeva. Così nel 2001 iniziai il novi- ziato in Spagna. Un anno per me importante. Di tutto l’anno vorrei mettere in evidenza due momenti: la centralità della Parola, e l’importanza della preghiera. L’anno di noviziato divenne fondamentale anche nella scelta di proseguire nella congregazione con la prima professione. Dopo aver studiato l’autobiografia di Claret, la sua missione, decisi a conclusione anche del pellegrinaggio nei luoghi clarettiani, di scrivere e firmare nella cella della fondazione a Vic la domanda di emettere la prima professione l’8 ottobre 2002. Ho continuato i miei studi di teologia, scoprendo sempre di più il nostro carisma. QUARTO MOMENTO Devo dire che con la prima professione, mi sono inserito ed ho compreso che tutto ciò che mi circondava mi appartiene. Questo per me è fondamentale. Michele Riondino SERVIZIO DELLA PAROLA E PROMOZIONE DELLA GIUSTIZIA Riportiamo il testo di saluto detto da Michele Riondino al termine della celebrazione durante la quale ha emesso i primi voti, il 7 ottobre 2006. Ormai giunti alla conclusione di questa Celebrazione mi sembra opportuno rivolgere a tutti voi il mio più sincero e cordiale ringraziamento per aver partecipato ed aver vissuto la grandezza del Mistero Eucaristico; Mistero che, in questa mia consacrazione religiosa, ha voluto rappresentare il culmine della risposta alla chiamata che, con maggiore e minore intensità, si è fatta sentire e mi ha accompagnato fin dalla fanciullezza. Come dimenticare gli anni in cui alunno del Collegio San Giuseppe di Vittorio Veneto, iniziò il mio particolare interesse e la mia sana curiosità verso la vita religiosa rispecchiata nella quotidiana sensibilità di chi si dedica, in modo totalmente incondizionato, all’apostolato più diretto dell’educazione. Gli anni di formazione universitaria a Milano ed a Londra, hanno rafforzato la mia personale convinzione di un necessario impegno, più radicale e profondo affinchè la trasmissione dell’ideale di giustizia e carità evangelica, che da sempre mi aveva affascinato, non restasse solo un impegno parziale nella mia vita; la vicinanza con persone che mi hanno seguito, aiutato e saggiamente consigliato mi ha condotto qui a Roma esattamente tre anni fa (7 Ottobre 2003 - Festa della Madonna del Rosario). Michele Riondino emette i primi voti il 7 ottobre 2006 nelle mani del superiore maggiore dei clarettiani 7 Il mio arrivo alla Pontificia Università Lateranense ha coinciso con un più serio impegno, personale e spirituale, verso l’approfondimento di problematiche e necessità attuali, da me ritenute più urgenti e necessarie, che sono alla base del carisma clarettiano: servizio della parola e promozione della giustizia di tutti gli uomini, senza confini territoriali e culturali. Grazie alla comunità che successivamente mi accolse (Istituto Giuridico Clarettiano) ho potuto conoscere e sperimentare la profondità del servizio apostolico lasciatoci in eredità dal nostro fondatore Sant’Antonio Maria Claret che mi spinse ad entrare in questa Famiglia Religiosa. Durante l’anno di Noviziato ebbi la fortuna di vivere apostolicamente una esperienza per me indimenticabile: missionario a contatto con una realtà tra coloro che, forse troppo precocemente, sono stati privati dell’unico bene che caratterizza la nostra vita... la libertà. Dopo aver “toccato con mano” gli effetti del disagio sociale e della totale solitudine tra i ragazzi in carcere, oggi più che mai sono convinto che sia doveroso da parte di tutti noi ritrovare ogni giorno le motivazioni dinamiche per convincerci che l'uomo, a motivo della sua intelligenza e del suo spirito immortale, resti il massimo valore per cui lottare perseguendo solo ed esclusivamente la salvezza della sua anima. Mai dimenticherò i loro sguardi e le loro parole nel salutarmi prima del mio definitivo rientro in Italia: “Michele, il 7 ottobre ti penseremo e ti saremo vicini”. Sono conscio che tutto ciò si è reso possibile per la costante presenza e l'ausilio della Madre di tutti noi che, con fedeltà assidua, mi ha guidato e mi ha accompagnato durante tutti questi anni ed in particolare nei momenti più importanti e decisivi della mia vita. Manuel Arroba comunica la sua riflessione su Giovani vocazioni alla vita religiosa e situazione europea con i confratelli clarettiani a Roma nello scorso novembre Al contempo mi sento di ringraziare tutti coloro che mi sono stati vicini e che mi hanno aiutato (familiari, amici, compagni di università, professori…, alcuni dei quali ci hanno già lasciato); a loro chiedo una particolare attenzione e vicinanza in questo mio impegno affinchè possa essere un degno Figlio del Cuore di Maria e, con totale gratuità continuare quella “grande opera” che, quel lontano 16 luglio del 1849, il nostro fondatore iniziò affidando e consacrandosi all’amore materno del Tuo cuore. Che la mia vita sia segno eloquente ed esempio di Servizio della Fede procurando sempre la maggior gloria di Dio e lasciandomi illuminare dalla Tua Parola, o Padre, che per me è stata una vera “lampada per i miei passi e luce nel mio cammino”. 8 Grazie! GIOVANI VOCAZIONI ALLA VITA RELIGIOSA E SITUAZIONE EUROPEA Devo avvertire che la mia riflessione non solo non è quella di un Ambiti e limiti esperto in teologia o pedagogia della vita religiosa e nemmeno quel- della riflessione la dell’analista della realtà giovanile o congregazionale in Europa. L’unica prospettiva che mi sento di assumere è quella di chi, a contatto con giovani studenti universitari, in gran parte europei e italiani, coglie un richiamo (a volte sommerso, non di rado esplicito) ad una visione vocazionale (e non solo professionale) della propria preparazione intellettuale, della successiva proiezione lavorativa e, in fondo, della propria identità spirituale. In altre parole, ciò che posso condividere si può formulare a mo’ di domande: di fronte a simile richiamo vocazionale presente, se non in tutti, sì in una parte significativa dei giovani europei e italiani, quali potenzialità possiede la vocazione religiosa apostolica? Quali le modalità di proposta? Quali le principali difficoltà reciproche? Quali i punti di forza, ragionevolmente più proficui nella formazione? Dicendo il mio punto di vista sulle quattro questioni poste, non dimentico la dimensione di mistero e di grazia che sorregge ogni storia vocazionale e che sfugge agli approcci meramente razionali. Ma l’unica arma di cui disponiamo per affrontare questa tematica è l’uso responsabile della ragione. Quale potenzialità possiede la vocazione religiosa apostolica di fronte al richiamo vocazionale del giovane universitario europeo? Dovrei definire con maggior dettaglio ciò che, per capirci, ho chiamato “richiamo vocazionale”. Nella tipologia di giovani che frequento si tratta di una esigenza connessa con i valori e controvalori comunemente attribuiti alle società occidentali postmoderne, sia dal punto di vista socio-antropologico che religioso ecclesiologico. Non interessa ora entrare in questo discorso, che ho trattato nel 1997 per la rivista “Vida Religiosa”. È sufficiente tratteggiare solo tre punti di maggiore proiezione vocazionale. Il primo, e principale, riguarda il desiderio dei giovani di compiere Occupazioni il salto di qualità presupposto dalla distinzione tra “occupazione” e e progetto di vita “progetto di vita”. Tale desiderio affonda le radici nel cosiddetto “malessere culturale” particolarmente incidente nelle nuove generazioni, certamente partecipi di tutto ciò che è inerente a un’epoca caratterizzata dall’immediatezza, dal calcolo, dalla praticità e dalla prevalenza della mentalità scientifica e strumentale, dove sembra che interessi solo conoscere le leggi del funzionamento per meglio dominare la storia, rinunciando a progetti globali e concentrandosi solo sul possesso di competenze per le occupazioni immediate, le uniche percepite come necessarie per sentirsi realizzati con successo nella vita. 9 Non mancano studenti interessati solo ad acquisire le tecniche per avere successo in futuro, ma è chiaro che un corso di studi dall’indirizzo umanistico facilita la percezione vitale (e non solo intellettuale) dei limiti di tale impostazione di vita, riconducibile alla cosiddetta “morte dell’individuo” nella società massificata, governata da forze che provocano la spersonalizzazione e fanno diventare gli individui meri consumatori e anelli di un ingranaggio peggiore di quello di cui, con tanta fatica, ci si voleva liberare nell’epoca delle grandi rivoluzioni antropologiche affermando la “morte di Dio”. Ci sono tanti giovani che, nel corso dei loro studi hanno una forte esperienza di questa contraddizione epocale e maturano l’esigenza di non essere anelli dell’ingranaggio, di non limitarsi alla preparazione strumentale per future occupazioni. Sono gli studenti che percepiscono il bisogno di avere, innanzitutto, un progetto di vita radicato in valori convincenti, prendendo le distanze da un modo di vivere in cui, l’unico progetto plausibile sia la crescita nel benessere materiale. Tentazione Il secondo punto, caratterizzante il richiamo vocazionale, non è premoderna uniforme ma è legato al doppio modo di reagire all’esigenza di avere un progetto di vita. Una certa fascia dei giovani universitari, di fronte alle insoddisfazioni culturali, sono facile preda della tentazione premoderna o precritica, rappresentata dai vari movimenti che preconizzano, pur con tante sfumature, il ritorno al passato, come se un progetto di vita dai valori forti fosse possibile solo in contesti con identità altrettanto forti, uniformi, diffidenti delle conquiste della modernità, cioè, della libertà, della pluralità e della critica. Sappiamo il successo sociale ed ecclesiale che riscuotono queste realtà “retrograde”, ma non ci sono spiegazioni convincenti del fenomeno. Non perdere Altri giovani, pur alla ricerca di progetti di vita forti, non sono in sinle conquiste tonia con le involuzioni né disposti a perdere le conquiste del progresso moderno, sentendo la libertà, il pluralismo e la critica come elementi irrinunciabili della propria identità. Malgrado i condizionamenti e le contraddizioni, quel poco di libertà conquistata rende improponibili le imposizioni dogmatiche; se quelle contraddizioni provocano il bisogno di scoprire un senso ed un’identità, un quadro di valori di orientamento, per questo tipo di giovani è ugualmente chiaro che spetta a loro crearlo. Si tratta dei giovani che non sono disposti ad accontentarsi dell’integra¬zio¬ne in uno stile di vita già predisposto, indipendentemente dai suoi connotati (conservatore o progressista), che sentono quale vera forza del progetto di vita poterlo mantenere, sviluppare e modificare con convinzione personale e partecipandolo con altri, che anelano ad essere protagonisti fattivi del medesimo,. 10 Terzo ed ultimo punto caratterizzante che segnalo sul richiamo La complessità della società vocazionale del giovane europeo riguarda l’inserimento di tale esigeneuropea za nella complessità e interdipendenza tipiche della società globale. C’è chi non coglie tale dimensione e chi l’affronta decidendo di svolgere il suo progetto di vita fuori dall’Europa; nessuna delle due situazioni interessano ora. Ci interessa chi, volendo rimanere europeo ed in Europa, sente di dover integrare nel proprio progetto di vita le emergenze della globalizzazione e la prospettiva degli ultimi, ma si sente spaesato su questo, cioè, convinto in genere dalla necessità di interagire con tutto quello che serve ad evitare il monocentrismo culturale (la cosiddetta globalizzazione dall’alto); convinto di dover favorire il pluralismo, la tolleranza e il rispetto delle differenze, ma allo stesso tempo sfiduciato dalle componenti negative del cosiddetto dialogo interculturale (perplessità sull’immigrazione, carenza di reciprocità, sensazione di assistenzialismo senza reale promozione), cercando luce per passare da atteggiamenti meramente volontaristici ad una maggiore informazione e professionalità. Di fronte ad un richiamo vocazionale giovanile con queste caratteri- Le potenzialità stiche è chiaro che la vocazione alla vita religiosa apostolica possiede della vita religiosa molte potenzialità in Europa. Non credo di dover indicare il perché. Per in Europa riferirlo ai tre punti, basti segnalare il valore qualificante (non moralizzante o ascetico) della consacrazione nei vari carismi; la centralità del dinamismo comunitario (contrappunto al principio gerarchico); l’incisività nei mezzi di apostolato (poco istituzionali). Mi preme piuttosto avvertire che non possiede alcuna potenzialità la vita religiosa che sia percepita come corpo di persone uniformate e superoccupate in opere che esigono molto sacrificio personale, ma dove sia difficile apprezzare ciò che dà qualità a questa scelta di vita come progetto personalizzante (primo punto); poco interessa la vita religiosa che si dispiega su progetti arbitrariamente costruiti da “illuminati dalla provvidenza”, oscurando il protagonismo personale e la partecipazione comunitaria (secondo punto); non vedo futuro per la vita religiosa decisa (o rassegnata) ad abbandonare l’Europa (o molti dinamismi caratterizzanti la cultura europea) come unica via per capire se stessa nel concerto dell’ingiustizia mondiale (terzo punto). Quali le modalità della proposta? Non ci sono ricette sulla modalità di una eventuale proposta ai gio- Modalità vani europei del nostro stile di vita. Che un simile richiamo possa tro- della proposta vare eco di risposta in noi dipenderà dalla testimonianza viva e dalla condivisione franca di ciò che siamo; non ci sentiamo speciali, certamente, ma nemmeno più limitati rispetto alle loro esigenze. In ogni caso, rendere testimonianza richiede di entrare in sintonia con le esigenze più profonde di coloro che sono alla ricerca di una opzione di vita. Chissà se, chi ci osserva in tale prospettiva, riesce a cogliere che siamo fieri di aver fatto una scelta che agisce da elemento unificante del nostro essere uomini di oggi (non ho mai sopportato la battuta del 11 “povero frate”); che siamo protagonisti nel gestire la nostra libertà quotidiana in un contesto comunitario arricchente (non omologante o soffocante); che abbiamo la fortuna di possedere mezzi per essere solleciti, creativi ed efficaci circa la solidarietà universale inerente l’evangelizzazione. Senza ambiti di condivisione adeguati in quanto ai luoghi della nostra presenza (se abbandoniamo i luoghi della formazione giovanile), alle dinamiche aperte della nostra testimonianza (se non apriamo con franchezza le nostre persone e le nostre comunità) e alla qualità umana, spirituale e professionale del nostro quotidiano operare (se non facciamo passi efficaci sulla nostra preparazione e sulla missione condivisa), il richiamo vocazionale per la tipologia di giovani cui ci stiamo riferendo, non potrà trovare facilmente eco nella nostra scelta di vita. Saranno giovani di un altro tipo, con caratteristiche cioè ormai rare nell’Europa postmoderna e secolarizzata, quelli eventualmente interessati a noi. Quali le difficoltà reciproche? Ragioniamo ora sulle difficoltà prevedibili dall’una e dall’altra parte, cioè, dalla parte dei giovani motivati vocazionalmente nei termini finora espressi, nonché dalla parte della vita religiosa potenzialmente accogliente. Di nuovo devo dire che prescindo dalle difficoltà radicali, perché in realtà sono comuni ad ogni religioso, sia di nuova che di vecchia data (per es.: la generosità nella decisione; l’autenticità delle motivazioni; la coerenza nella consacrazione per la debolezza affettiva, il fascino materialista e il difficile equilibrio tra affermare il proprio criterio, come criterio ultimo, ma non unico; l’onestà operativa; la solidità spirituale). Voglio riferirmi solo a difficoltà specifiche che fanno relazione ai tre punti scelti in precedenza per descrivere l’identikit vocazionale; terrò presente quel poco che so sulla nostra congregazione in Europa. Non poter Sulla considerazione della consacrazione come una mistica che essere un giovane orienta la qualità di vita si pone il timore (che in un caso concreto ho normale? percepito) di non poter essere più un giovane normale per il peso ancora forte delle abitudini (piuttosto ascetiche) nel modo di tradurre in concreto lo stile di vita; la sensazione di aridità e povertà affettiva tra i religiosi contrasta con l’emotività giovanile e può rendere arduo percepire la qualità della consacrazione sulle molte occupazioni. 12 Sul protagonismo e partecipazione si pone l’inevitabile difficoltà dell’ere¬di¬tà carismatica e congregazionale che non si inventa né improvvisa ogni giorno; si pongono anche le scarse speranze di poter fare un’esperienza lunga di ragionevole omogeneità comunitaria per carenza di giovani; si pone soprattutto la paura di non avere una parola da dire nel ripensare un progetto di presenza in Europa. Sulla proiezione di solidarietà universale della missione, si pone il pro- L’interculturalità blema di riuscire ad apprezzare l’interculturalità nel quotidiano, non nel quotidiano temendola come una minaccia sull’identità culturale europea; il rischio si traduce nel timore di assistere alla fuga massiccia dall’Europa o ad un ridimensionamento tale da far temere una presenza residuale e clericale (non carismatica) a servizio di altre zone dove la vita religiosa è in crescita. Fuggire dall’Europa e dalle sue complessità culturali e religiose condanna a non capire mai tali complessità, a non saperle incorporare in modo positivo nella nostra riflessione e nel nostro vissuto. Alle analisi spontanee, forse superficiali o approssimative che su questo fenomeno compiono molti giovani europei, appare chiaro che le complessità dell’Europa di oggi si estenderanno, in un futuro prossimo, ai paesi dove la vita religiosa sarà fuggita. Allora il rischio, che si teme vicino, è quello di trovarsi presto non solo senza più strumenti per evangelizzare tali complessità ma anche senza nuovi posti dove continuare la fuga. Quali i punti di forza ragionevolmente più proficui nella tappa formativa? Sulle dinamiche che, in tale situazione, possono risultare più profi- Formazione cue nella tappa formativa, penso che (pur con qualche adattamento), il personalizzata mio punto di vista oggi differisce poco da quanto ebbi occasione di scrivere per la nostra rivista Commentarium pro Religiosis quando dovetti commentare l’istruzione “Potissimum Institutione” (1990). Credo che si possa riassumere quel discorso in un’esigenza generale: assicurare una “formazione personalizzata”. Questa esigenza si dispiega in tre livelli di natura diversa dove è lecito collocare ognuno dei sei agenti e ambiti della formazione indicati dal documento citato. Un primo livello è di natura spirituale: lo si deduce dal fatto che Lo Spirito siano indicati come primi agenti della formazione lo Spirito, Maria e la primo agente Chiesa. Che sia lo Spirito il primo agente di formazione significa, a di formazione livello generale, aiutare chi ci interpella a capire che, come religiosi, siamo chiamati ad assicurare per l’intera Chiesa il ruolo di “segno e preannuncio escatologico” (presenza di avanguardia e significativa, non ripetitiva); a livello pedagogico ciò comporta favorire la crescita nella prassi del discernimento personale (lo Spirito guida, fa apprezzare, sorregge nella debolezza, permette di vedere chiaro in se stessi anche tramite l’aiuto di mediazioni ...), ma anche la crescita nei valori dell’ecclesiologia pneumatica (il superamento delle posizioni difensive di fronte al mondo, l’interazione con altre vocazioni, la primazia della comunione, il dialogo con società moderna interpretando i segni dei tempi; il superamento di ogni atteggiamento di superiorità o arroganza, maturando la consapevolezza che l’evangelizzatore è contemporaneamente evangelizzato dai destinatari della sua missione). 13 Maria L’inclusione di Maria come agente nella formazione è connessa con e la sequela il precedente; la prospettiva che si propone parte dalla sua condizione di modello nell’assecondare l’opera dello Spirito offrendo con il suo «fiat» la più perfetta risposta di sequela obbediente. Sono molto diversi gli accenti della teologia e della pedagogia della sequela rispetto a quella più ambigua dell’imitazione, che favorisce meccanismi di dubbia autenticità, di dipendenza e artificialità; la sequela è intesa come momento posteriore ad una vigorosa presa di coscienza dell’irripetibilità della chiamata personale; richiede quindi una visione ottimista delle proprie capacità e favorisce l’esigenza di avviarsi a formulare il singolare contributo che, sin dagli albori della risposta, ci si sente chiamati a realizzare, stabilendo le dovute continuità e differenze tra il momento di Gesù, del fondatore, dei predecessori e quello proprio. La Chiesa La comunità 14 La Chiesa è il terzo agente di cui si fa menzione. Malgrado il modo peculiare di inserimento nel mistero ecclesiale che spetta ai religiosi (simbolo della santità della Chiesa, estranea al suo dispiegarsi organico e gerarchico) ci ricorda l’importanza di sviluppare nei formandi il senso di Chiesa, conoscendone Tradizione e Magistero, certamente, ma soprattutto (quale punto più incisivo) sviluppando la coscienza di appartenere ad un popolo in marcia, ... che avendo origine nella comunione trinitaria, pur poggiando sul fondamento degli apostoli, non ignora i cambiamenti né le legittime diversità, ed in modo speciale, per la dimensione missionaria, non si rassegna a vedere la chiesa quale piccolo gregge, ma si adopera nell’evangelizzazione di ogni creatura. Non ogni modello pedagogico assicura una tale ecclesialità nella formazione; è più semplice formare in una ecclesialità “endogamica” (visibile, acritica, sociologica) dove si inserisce inconsapevolmente il fascino per il carrierismo ecclesiale. Non è facile nel caso dei religiosi giovani aiutare all’equilibrio nel valorizzare la diversità ed il pluralismo né a coordinare lo spirito critico con un senso di comunione fattivo. Un secondo livello è di natura esperienziale e riguarda la comunità come quarto agente formativo, a cui si riconosce un ruolo privilegiato. Proprio su questo punto vedo meno attuali le riflessioni che feci nel ’90, tenendo conto della situazione delle comunità formative della congregazione nell’Europa che conosco. Rimane valida l’esigenza di avere una forte ed adeguata esperienza di comunità (che merita di essere amata per quel che è e non per quel che offre per la personale formazione), ma mi sembrano superate le cautele sulle specificità delle comunità formative, pensate sul presupposto di una composizione omogenea che poi, nel futuro, non sembra probabile aspettarsi di realizzare. È comunque nella comunità che si fa esperienza concreta degli Comunità e responsabilità aspetti spirituali sopraddetti ed è interessante che, un documento personale scritto già quindici anni fa, avverta che la comunità è formatrice nella misura in cui consente a ognuno di crescere nella fedeltà e responsabilità personale, iniziando alla pratica di progettare insieme, di condividere gli obiettivi di vita, di assaporare le ricchezze della comunicazione umana e spirituale (nell’ascolto della parola e nell’eucaristia). In tal senso si potrà provare a compensare una realtà molto negativa, dovuta a diversi fattori, ma della quale è impensabile che i formandi non maturino una comprensione altrettanto negativa: la mancanza di circolarità nelle responsabilità congregazionali e la conseguente sensazione di arbitrarietà nella gestione. Il terzo livello ha i connotati della verifica specifica del periodo for- Rapporto mativo, in quanto riguarda il rapporto irripetibile (in quanto tipico sol- formandotanto di questa tappa) tra il formando ed il formatore, che rappresenta formatore il momento della verità. Il documento mette al primo posto lo stesso formando perché non è pensabile una formazione personalizzata che non consenta all’interessato di trovare in se stesso l’ultima giustificazione delle proprie opzioni, sia quelle radicali sia quelle più immediate e quotidiane, in cui si dispiega l’opzione di vita vocazionale; è per questo che si sollecita l’equilibrio tra i programmi comuni e l’adattamento ad ogni singolo caso. Non si tratta di favorire individualismi ma di garantire il necessario radicamento personale di ogni proposta formativa, affidandosi alla responsabilità del formando. Al formatore si affida specialmente il compito di rendere testimonianza della tradizione e del progetto di vita dell’istituto, veicolando verso il medesimo le iniziative personali di ognuno dei formandi, per consentire il discernimento dovuto. Le qualità che si propongono, tanto a livello umano, dottrinale e spirituale di rado si possono trovare in una sola persona, per cui si propone spesso che altri siano coinvolti per aiutare il formatore ed integrare i vari aspetti. Per mettersi in contatto con i Missionari Clarettiani: 00186 Roma via dei Banchi Vecchi, 12 tel. 06 68193368 20090 Segrate (MI) Procura Missionaria via Card Schuster, 1 tel. 02 2131196 http://xoomer.alice.it/missionariclarettiani/ 15 immagini Ci lascia come eredità il ricordo del suo amore alla Chiesa e alla Congregazione, la sua allegria e lo spirito di servizio nel ministero come formatore e servitore della Parola. Nel numero di aprile di MC avevamo aperto la rivista con l’intervista che ci aveva rilasciato. Dal diario di Gulik, uno dei nove Deceduto il Vescovo Clarettiano p. Alfredo Maria Oburu L’ultima immagine di Alfredo Oburu in partenza dall’Italia per la Guinea. In alto: donne guineane in attesa della celebrazione delle esequie del Vescovo Oburu 16 Guinea Equatoriale Nella prima mattinata di domenica 27 agosto è deceduto Mons. Alfredo Maria Oburu, vescovo di Ebebiyín dall’11 maggio 2003, data della sua ordinazione in quella stessa città. Il suo breve tempo di servizio di Pastore di questa giovane diocesi guineana è stato interrotto da una grave malattia che aveva obbligato Mons. Alfredo a interrompere il suo servizio. Le cure sono poi culminate in una recente operazione di trapianto del rene. Tuttavia, identificato con la missione ricevuta, ha accettato, con spirito di fede e di generosità, la sofferenza della sua assenza e il dolore della malattia. Ottenendo, lo scorso 12 di agosto, l’autorizzazione dai medici a ritornare temporaneamente tra i suoi, scriveva: “Mi metto nelle mani del Signore e credo che se Egli mi ha dato di nuovo la salute sia affinché io abbia sempre fiducia in Lui e lavori per la sua gloria nella sua Chiesa. Con tutta la prudenza necessaria, farò quello che sono in grado di fare date le mie limitazioni. Dio opererà in me.” Le difficoltà, i pregi, i difetti, la nostra insistenza magari nel voler sapere sempre in anteprima quello che capiterà domani … gli usi, i costumi, la natura, i fiumi, la foresta, l’altopiano, il cielo, la luna, le stelle, il sole, la Land Rover che non va più,.. Ma quante cose ci sono passate davanti agli occhi … Ecco mi auguro e auguro a tutti di tornare con una carica in più. Dobbiamo aver coraggio e cercare di trasformare la nostra vita in qualcosa di molto bello… L’altra faccia dell’Africa Alla sua seconda edizione ha avuto 8 partecipanti più l’accompagnatore Gustavo Pez. I giovani appartenenti al Gruppo missionario di Valmadrera (LC) con amici della Brianza hanno vissuto intensamente il rapporto con la realtà gabonese: missionaria, dei villaggi, delle collaborazioni. Nella foto il gruppo, assieme ad abitanti del villaggio di Mbounga si preparano ad entrare nella foresta per trascorrervi un giorno e una notte. È stato bello lavorare con loro. Ho anche capito che la missione è fatta anche di questo, quanto c’è da fare, cavoli … e poi visitare i villaggi, incontrare le persone, parlare con loro, fare fatica a capire, rimanere stupiti dalla loro ospitalità. Trieste Nella città crocevia di culture si è svolto un campo di lavoro per una collaborazione con i missionari clarettiani. Il programma ha previsto mattino di lavoro e pomeriggio uscite per la conoscenza della città e del territorio. Al campo hanno aderito alcuni giovani. Singolare la partecipazione di tre giovani slovacchi. Raccogliamo una testimonianza. Ciao a tutti. Mi chiamo Peter e vengo dalla Slovacchia. Nel. 2004-05 ho trascorso a Trieste un bel periodo di 6 mesi. Tutto grazie al programma Erasmus - scambio internazionale degli studenti universitari. Siccome la mia facoltà era di fronte alla chiesa del Cuore Immacolato di Maria andavo ogni tanto a messa. Dopo aver finito gli studi sono tornato a casa molto arricchito. Negli ultimi anni si nota in Slovacchia l’interesse a viaggiare e a conoscere i nuovi paesi che prima a causa del comunismo non era possibile. Per questo motivo appena c’è la possibilità noi slovacchi “lasciamo la patria” e partiamo verso nuove esperienze e a conoscere i popoli nuovi. Ma nello stesso momento amiamo la Slovacchia e le nostre famiglie e cerchiamo di riportarle il bene che abbiamo incontrato fuori. Ovviamente attraverso noi stessi, le nostre persone cambiate e cresciute. Presso la parrocchia dei Clarettiani abbiamo passato un bellissimo periodo lavorativo. Ci siamo sentiti accolti e voluti bene dai “confratelli”. Sono contento che siamo riusciti a creare una comunità tra di noi tre (mio fratello, il nipote ed io) e poi anche con i padri clarettiani e le signore che aiutano a mandare avanti la casa. Grazie per le preghiere che avete detto per noi e anche per l’aiuto materiale che ci avete dato (le bici, il bel viaggio sulla barca). Tutta questa unità è grazie alla Chiesa Cattolica alla quale apparteniamo e grazie allo Spirito Santo che ci guida a costruirla come un vero corpo di Gesu Cristo. Arrivederci in Slovacchia! (o in Gabon) Peter, Matej, Martin I tre slovacchi con il missionario clarettiano Renato Caprioli 17 Segrate Noi sappiamo divertirci insieme Hanno scelto questo titolo, veramente accattivante, gli adolescenti che hanno trascorso tre giorni speciali in località Zamberlini - Comune di Boscochiesanuova - Provincia di Verona: un posto bellissimo, a 1.300 metri di altezza, un po’ fuori dal mondo, tanto che per raggiungerlo, l’ultimo tratto si è dovuto fare a piedi!!! L’avventura, dal giovedì 7 dicembre a sabato 9 si è sviluppata nello stare insieme, in un clima di fraterna amicizia e collaborazione. Serate divertenti e riflessione, preghiera e celebrazione e visita alla città di Verona. La guida è del padre Vittorio Bruscella. novembre tra catechisti e mamme dell’oratorio del sabato. Era la nostra giornata di ritiro all’inizio dell’Avvento: ci siamo interrogati sulla nostra vocazione di annunciatori e testimoni del Vangelo. Gli stimoli alla meditazione ci sono stati forniti dalla profonda lectio di padre Manolo professore clarettiano di diritto canonico. Su tutte, due domande: chi ci ascolta, ci percepisce come persone appassionate da Gesù? Siamo tramiti idonei perché i ragazzi abbiano l’esperienza che Gesù li ama? Abbiamo rafforzato la convinzione di essere solo “voce che grida nel deserto”, semplici strumenti di annuncio del Vangelo e anche ritrovato un clima di fraterna amicizia tra di noi e il conforto di dividere la fatica e la gioia dello stare con i ragazzi. Il tempo è stato troppo breve e ci ha lasciato il desiderio di ripetere l’esperienza. Altamura Scambio di ospitalità Segrate Una giornata “insieme” 18 A Somasca, all’ombra del castello dell’Innominato di manzoniana memoria, ci siamo ritrovati domenica 29 Famiglie legate alla comunità di Altamura hanno goduto con i propri figli una settimana in Valvarrone (Lecco) nella casa messa a disposizione dalla comunità di via gaggio godendosi montagna, lago e contatti arricchenti. «Attendendo, attesi, la venuta del Signore» È con questo tema di fondo che la Chiesa di S. Lucia e la Chiesa Cristiana Evangelica Battista di Altamura hanno organizzato insieme una serata di riflessione e preghiera per l’Avvento. L’incontro, che si è svolto presso la Chiesa Battista lo scorso 15 dicembre, segna un ulteriore passo nel nostro cammino ecumenico. Già altre volte fratelli e sorelle di una Chiesa avevano partecipato ad iniziative dell’altra. Da alcuni mesi, poi, si è costituito un piccolo coro comune. Ora abbiamo vissuto un’iniziativa progettata insieme. È un piccolo passo; molto importante, però. Abbiamo sperimentato che non solo si può pregare insieme, ma che si può anche costruire una riflessione comune sull’esperienza di fede cristiana. Non abbiamo dissimulato le difficoltà e le fatiche. Abbiamo piuttosto sperimentato che il tema dell’«attesa» suscita in tutti noi gli stessi contrastanti sentimenti di gioia e di ansia, di timore e di speranza. Abbiamo condiviso i nostri sguardi sul futuro. Ci siamo confessati con franchezza la fatica di vivere la speranza e di mantenerci nella gioia cristiana. Dinanzi a tutto questo ci è stato ricordato che «il Signore non ritarda a compiere la propria promessa» ma piuttosto che egli è paziente con noi (cf 2 Pt 3,9). Il Vangelo di Giovanni ci ha poi detto che «al principio, c’era colui che è la Parola… Egli è diventato un uomo e ha vissuto in mezzo a noi uomini… La ricchezza della sua grazia si è riversata su di noi, e noi tutti l’abbiamo ricevuta» (Gv 1,1.14.16). Il Salvatore è già venuto nella storia e, mentre nell’Avvento meditiamo sull’attesa di Colui che viene, Alessandra Fusi - pastora della Chiesa Battista - ci ha invitati a considerare che è Dio innanzitutto ad attenderci, da sempre. Da quel “principio”, in cui la Parola è, Egli ci ha voluti e ci vuole. Stiamo attendendo, da Lui attesi, la venuta del Signore. La serata si è conclusa con la cena offerta dalle sorelle e dai fratelli Battisti nei locali della Chiesa, proseguendo così la condivisione creatasi nella riflessione e nella preghiera comuni. Il giorno seguente, 16 dicembre, il coro comune ha partecipato, ancora nella Chiesa Battista ad una serata di beneficenza per lo Zimbabwe. Bangalore Dal 10 al 23 settembre scorso si è tenuto a Bangalore (India) l’incontro degli incaricati di formazione della congregazione clarettiana. All’ordine 19 ora il suo desiderio di parlare con Dio. Nove preziose sottolineature dell’affascinante personaggio biblico. del giorno una riflessione sulla consistenza vocazionale e sull’interculturalità. Alcune esperienze hanno riguardato proprio la conoscenza di altre esperienze religiose. L’incontro vero e proprio è stato preceduto da una permanenza nelle comunità formative, divisi in piccoli gruppi. Un’occasione per prendere contatto più da vicino con la realtà dell’India. Per l’Italia vi ha partecipato il padre Maurizio Bevilacqua. Roma, via dei Banchi Vecchi Incontro con un monaco Hindu. Altamura Festa della Madonna del Carmine Visita al tempio Sikh di Bangalore. 20 Festa tribale a Ranchi. La Festa della Madonna del Carmine (cioè del Monte Carmelo) è legata storicamente all’Ordine Carmelitano. Anche in Altamura l’origine della festa si deve alla presenza in passato di un convento dei Carmelitani Scalzi presso la chiesa di santa Teresa di Gesù. Oggi è una festa popolare molto sentita, che travalica l’ambito strettamente parrocchiale. Preceduta da una novena frequentatissima, la festa (16 luglio) culmina nella processione per le vie della parrocchia. La parrocchia e curata dai missionari clarettiani. Le foto raccontano la conferenza del Card. Thomas Spidlik, il quale ha chiuso il ciclo di incontri del 2006 che hanno avuto per tema: “Spiritualità e fascino dell’oriente cristiano”. Un bel gruppo di persone interessate ha partecipato ai “Dialoghi in Cripta”. Il Card Spidlik chiudendo il ciclo ci ha parlato dell’Esicasmo e la preghiera di Gesù. Il prof. Montecchio, aveva iniziato svolgendo l’argomento: “Santa Sofia e le origini storiche della chiesa bizantina”. Abbiamo anche approfondito la liturgia bizantina ed altri aspetti dell’ortodossia. Mostra su Giobbe In collaborazione con la Galleria il Polittico di via Banchi Vecchi, si è tenuta nella Chiesa di S. Lucia del Gonfalone, una mostra su Giobbe. Diversi autori contemporanei hanno interpretato la figura biblica con il proprio linguaggio pittorico, sottolineando ora l’abbandono, ora la resa, Preludio alla tempesta di Angela Volpi olio su tela, cm 120x100 Giobbe di Lithian Ricci olio su tela, cm 110x90 Lettura integrale della Bibbia In collaborazione con la chiesa Valdese e la Rettoria di S. Lucia del Gonfalone, è stata ideata la lettura inte- 21 Missionari in ferie Lambert Okere, Lorenzo Mulas, Luciano Brighi, dalla Repubblica Dominicana e dal Gabon sono rientrati per un tempo di vacanza. Luciano Brighi è ancora in Italia per motivi di salute. la missione in Gabon Hibiscus Claret. Facciamo il punto Nell’ultimo periodo di novembre il padre Angelo Cupini ha visitato la missione clarettiana del Gabon per raccogliere la situazione del progetto Hibiscus Claret che è stato al centro di tante collaborazioni. Questa la scheda. Laboratori dei piccoli mestieri grale della Bibbia. I due attori Franco Giacobini e Angela Goodwin la interpretano teatralmente. In questo periodo abbiamo letto: i Salmi, Giobbe, i Proverbi, Qoelet, Rut, Cantico dei Cantici, Lamentazioni ed Ester. Il biblista Giuseppe Barbaglio, ha risposto alle domande sorte agli ascoltatori del testo sacro. Verranno in seguito il prof. J.L. Ska SJ dell’Istituto Biblico e Daniele Garrone, della facoltà teologica valdese. Padre Angelo Cupini riceve la civica benemerenza del comune di Lecco Al Teatro della Società il 3 dicembre è stata consegnata ad Angelo Cupini la Medaglia d’oro: “per la sua lunga illuminata attività a favore dei giovani e in particolare di coloro che vivono la marginalità e il disagio”. Gabon Padre Zbigniew Kozlowski 22 Dal 4 novembre, il Padre Generale ha destinato a collaborare con i clarettiani italiani padre Zbigniew Kozlowski, confratello polacco nato il 20 ottobre del 1962, missionario popolare in Russia e in Bielorussia. A fine anno termina il servizio di volontario nella missione clarettiana del Gabon Roberto Bianchetti (nella foto con alcuni ragazzi al computer). Sono attualmente in missione Celestino Panizza e suo figlio Fabio per una collaborazione agli impianti idraulici. Il gruppo missionario di Olcio/Mandello ha realizzato, per sostenere la missione del Gabon, un mercatino missionario l’8 dicembre. La questione È a conoscenza di tutti che molti giovani del territorio di Franceville, compresi tra i 14/21 anni - un’età particolarmente sensibile anche per l’adolescenza - non hanno terminato la scuola primaria e ottenuto il relativo diploma. Le conseguenze sul futuro sociale di queste persone (maschi e femmine) è evidente: impossibilità a frequentare corsi di professionalizzazione, ad avere un ruolo responsabile nella società, ad aprire attività economiche ecc. La loro vita si ferma a questo blocco non superato. La nostra esperienza di Missionari Clarettiani, presenti dal 1975 nel Gabon e in modo particolare nel territorio di Franceville, Okondja, Akieni e Lastourville, ce lo ha fatto toccare ogni giorno. Per questo abbiamo maturato, in collaborazione con i missionari clarettiani italiani e i loro collaboratori (Procura Missionaria e Mission onlus), la realizzazione di un progetto chiamato “Hibiscus Claret”. La proposta “Hibiscus Claret” Offrire a questi giovani la possibilità di un recupero scolastico per la riorganizzazione del loro progetto di vita personale e sociale, avendo presente le condizioni personali che si sono sviluppate nel tempo: paternità o maternità, abbandono complessivo del leggere e scrivere, perdita di relazioni familiari, trasmigrazione dai villaggi alla città. Siamo anche molto coscienti dei rischi, sempre più evidenti, ai quali sono soggetti: droga, disorientamento, violenza, solitudine. Molti giovani vivono nell’incoscienza di questo rischi. Il progetto “Hibiscus Claret” Claret è il nome del Fondatore (s. Antonio Maria Claret) dei Missionari Clarettiani. Il progetto comprende: 1. attività prescolare 23 2. scuola primaria 3. laboratori di piccoli mestieri. Il complesso si trova nel quartiere Dialogue/Franceville. Dal 2004 abbiamo acquistato il complesso scolastico denominato Hibiscus. Nel 2005 abbiamo realizzato tre hangar/laboratori. Sono stati attrezzati i seguenti laboratori: Cucito, Informatica, Serigrafia, Ceramica, Stampa. Sono stati acquistati i materiali per la cereria che attendono la costruzione dell’hangar. L’attività prescolare e la scuola primaria funzionano regolarmente con una équipe di insegnanti. I laboratori dei piccoli mestieri È l’elemento di novità del progetto: laboratori attrezzati che permettono, con la guida di una figura competente, di valorizzare le attitudini delle singole persone per: - un recupero e organizzazione degli interessi - una organizzazione dei tempi della giornata - una integrazione tra manualità e intelligenza - una riscoperta e valorizzazione delle proprie capacità operative (manuali e non) - per una presa di coscienza della necessità di progettare il proprio futuro e di attrezzarsi con strumenti agili - presa d’atto del costo economico di quanto si produce e dell’effettivo inserimento sul possibile mercato. La dinamica del laboratorio è quella dell’imparare “facendo”, di riflettere sul fare per riorganizzare un nuovo modo di operare. Offerta congiunta: piccoli mestieri/recupero scolastico La proposta che formuliamo è un corso organizzato in due anni (per permettere un itinerario personalizzato a seconda delle condizioni personali di studio) che comprende: - la presa visione della situazione scolastica - l’individuazione delle capacità manuali e di interesse tra i piccoli mestieri - la formulazione di un progetto personale - l’accompagnamento nella realizzazione del progetto. Nella giornata i tempi sono organizzati: nel mattino: attività di laboratorio, nel pomeriggio: attività di recupero scolastico. 24 Cosa si vuole ottenere con questo programma Che i giovani, attraverso l’acquisizione della licenza elementare e la sperimentazione delle proprie capacità manuali e operative, possa- no superare il blocco precedente (scolastico e progettuale), possano maturare scelte conseguenti (scuola professionale o altra), o indirizzi che garantiscano lo sviluppo della loro persona. A quanti si rivolge e quando si sviluppa Pensiamo possano essere accompagnati 50 adolescenti/giovani durante tutto il periodo scolastico. Chi interviene nell’accompagnamento Alcuni insegnanti dell’Hibiscus. Operatori per i laboratori. Un coordinatore educativo. I costi I Missionari Clarettiani hanno realizzato gli hangar/laboratori e le attrezzature. Stanno coprendo mensilmente le figure di animazione. Dove sia necessario vanno integrate le spese sostenute dagli adolescenti/giovani per: - trasporto - acquisto libri e materiali didattici e operativi - cibo - cura (possibile) dei figli piccoli. Cosa chiediamo: Al Comune di Franceville di: - prendere atto di questa presenza - pensarla come una potenzialità per far crescere i propri giovani - come una risorsa per il futuro della Città e del Territorio - come un esperimento importante per la Nazione. Ai Servizi Sociali - di riconoscere questa presenza - di lavorare in una integrazione progettuale e operativa - di collaborare con figure tecniche. A tutti i lettori di: partecipare a questo progetto. Per la costruzione manca la realizzazione di una sala polivalente la cui spesa è di 15.000 €. Chiediamo di: sostenere lo studio Con 100,00 € annue per il materiale didattico, viaggio, e pasti per facilitare la frequenza di ogni singolo ragazzo. sostenere la vita Progetto sostegno alla Vita: 200,00 € annui per collaborare a ridurre le difficoltà personali e familiari, soprattutto nella tutela della vita. Ricordo di Ugo Riva Ugo era una persona semplice: non c’è niente di straordinario nella sua vita; ma era nello stesso tempo una persona rara, fuori dal comune. Chi lo ha conosciuto e ha potuto godere della sua compagnia sa come Ugo sapesse vivere semplicemente la vita di tutti i giorni, gustandosi fino in fondo ciò che c’è di piacevole, come la buona tavola in compagnia di amici, e di bello, il suo giardino fiorito sopra ogni cosa, ma anche partecipare alla vita delle persone vicine mettendo a disposizione senza troppi “se e ma” quello aveva perché ce n’era bisogno, a cominciare dall’intimità della propria casa. Le immagini familiari di Ugo Riva negli ultimi mesi Ugo è nato a Lecco il 15 maggio 1914, registrato all’anagrafe con una lunga serie nomi: Ugo, Girolamo, Severo, Domenico, Maria, di cui si dichiarava ironicamente orgoglioso. I ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza a Chiuso (e a Lecco), negli anni tra le due guerre mondiali erano tra i suoi preferiti e piacevoli per i (numerosi) ascoltatori che frequentavano la sua casa provenienti da fuori Lecco che potevano così conoscere le vicende della comunità di Chiuso da un appassionato narratore. Ma ciò in cui Ugo era veramente specializzato era la storia delle parrocchie di Lecco, questo anche per competenza professionale; infatti, fin da bambino aiutava il papà Martino nella Cereria San Girolamo, laboratorio artigianale situato in centro Lecco. Ugo era ceraio, lavoro che ha svolto con dedizione fino alla pensione, quando ha ceduto l’attività alla Comunità di via Gaggio che ne ha fatto uno dei laboratori in cui erano inserite le persone in accoglienza. I racconti di Ugo del periodo della giovinezza, del servizio militare fino alla chiamata alle armi, erano ricchi di umorismo e di entusiasmo per le sue tre fondamentali passioni: la bicicletta con la quale faceva lunghi viaggi, soprattutto in montagna, il teatro e il servizio come volontario della Croce Rossa. 26 Ugo, come molti altri giovani di allora, è stato segnato profondamente dagli eventi straordinari della seconda guerra mondiale che ha vissuto a Genova in servizio come infermiere (senza correre rischi particolari, precisava sempre). Il ricordo degli episodi, degli incontri del periodo della guerra era molto vivo nella sua mente: le persone e gli insegnamenti che il servizio militare e la guerra gli avevano impartito erano così noti da diventare quasi familiari a chi pranzava ogni giorno a casa sua. E questo è solo un esempio di come sia preziosa la comunicazione tra generazioni diverse in un contesto convi- viale e non formale, dove non si danno lezioni ai più giovani ma si propongono esperienze autentiche. Gli anni della guerra sono stati importanti per Ugo anche perché ha incontrato Cristina, che ha sposato il 13 ottobre del 1945, con la quale ha condiviso sessantun anni di vita. La vita di Ugo e Cristina ha avuto una svolta alla fine degli anni ‘60 quando Maria Assunta, la loro unica figlia, allora volontaria dell’Azione Cattolica, ha cominciato a collaborare con padre Angelo Cupini e con il suo confratello padre Roberto Rocchi, religiosi clarettiani, nell’organizzazione di campi con i giovani e conducendo laboratori di pittura e ceramica. Con la costituzione, nei primi anni ‘70, della Comunità di Via Gaggio, una delle prime comunità di accoglienza per tossicodipendenti, la vita di Ugo e Cristina è stata completamente “rivoluzionata”. Infatti, negli anni in cui le persone “comuni” si preparano alla pensione, all’idea di una vita finalmente tranquilla, la loro casa è diventata lo spazio quotidiano in cui il gruppo comunitario di Lecco si incontrava per il pranzo, oltre che luogo di accoglienza definitivo o temporaneo di persone in difficoltà. Ugo Riva Ripensando a questa esperienza ad alcuni anni di distanza, conti- con la moglie nua a colpire la modalità con cui Ugo e a Cristina hanno accettato di Cristina aprire la propria casa. L’hanno fatto e basta, senza sentire il bisogno di esplicitare ideali, valori, o intenzioni particolari, ma semplicemente facendo spazio, aiutando, perché questo era necessario in un determinato momento per il bene di alcune persone, ma anche perché questo faceva loro piacere, nonostante la fatica, l’inevitabile confusione e, soprattutto, nonostante l’esposizione quotidiana agli occhi e ai giudizi di persone anche sconosciute. La tranquillità, l’approvazione della gente e i pavimenti a specchio erano all’ultimo posto nella gerarchia di valori di Ugo che, al contrario, si rattristava e diventava malinconico quando la casa era troppo silenziosa. Forse il progetto comunitario degli anni ’70/80 era ingenuo, e probabilmente era invitabile - come è avvenuto a partire dagli anni ’90 - che l’accoglienza si professionalizzasse, ma resta la certezza che nessun percorso di accoglienza e di aiuto a persone in difficoltà, per quanto professionale, può avere successo senza il calore umano e l’autenticità disinteressata della relazione che persone come Ugo, semplici e rare, sanno trasmettere. Gli amici della comunità di via Gaggio 27 Lecco. La Casa sul Pozzo Festa di ringraziamento. 29.10.06 L’architetto Antonio Spreafico, progettista e direttore del ripristino dell’edificio presenta La Casa sul Pozzo nel giorno del ringraziamento 28 Abbiamo finito... finalmente si comincia. In questo ossimoro è riassunto il nostro stato d’animo oggi. Tocca a me riprendere alcune ragioni di senso del recupero di questo edificio. Qui non si trattava di costruire, il luogo c’era già. Si trattava di ritrovare qualcosa rimasto silente per decenni: la ragione di esistenza dell’edificio. La porzione della corte acquistata dalla Comunità non è l’edificio principale (che sta in fondo al cortile), ma quello di servizio: ritroviamo quindi qui una prima assonanza: servire ed avere cura è una connotazione della nostra Comunità. Questo luogo, sin dalla sua costruzione, oltre trecento anni fa, ha accolto la fatica di uomini semplici posti a servizio di una attività che non apparteneva loro. La bellezza di questo edificio era solo celata. Interventi successivi al suo impianto originale, eseguiti senza un’attenzione alla struttura nativa, ne avevano velata la vera immagine. Abbiamo così cominciato a togliere tutto ciò che di improprio soffocava la Casa. Siamo andati giù, giù, fino alla sua essenza prima. Ci si è rivelato così un impianto strutturale limpido e sereno. Da questa presa di coscienza è partito il progetto. Non vi era alcuna necessità di esaltare la presenza di questo edificio nella città. L’intervento è stato così condotto in modo delicato ma chiaro e preciso: ora che ne vedete gli esiti potete ammirare la bellezza della semplicità che è il vero contenuto ritrovato di questo luogo. La facciata urbana, quella rappresentativa come era d’uso al tempo di impianto della costruzione, è quella sulla strada: così le è stato dato un colore d’accento rispetto a quella rurale che dà sul giardino, verso Lecco. L’edificio aveva in origine una relazione di apertura, a piano terra, verso il cortile che gli è stata restituita tramite queste porte/finestre scorrevoli. Non aveva invece una organica relazione con il giardino perché, addossati alla facciata su quel lato, erano stati costruiti in tempi diversi, alcuni piccoli corpi accessori per l’uso rurale. Li abbiamo demoliti ed abbiamo aperto alcune porte finestre per costituire una nuova relazione con il giardino. Si è così ottenuto un organismo che, al piano terra è in grado di porsi in rapporto con il suo esterno nelle varie direzioni ma con differenti modalità (il portone,le grandi aperture sul cortile, le porte sul giardino). Addossato all’edificio, nel lato del giardino, abbiamo realizzato un portico con una struttura essenziale, moderna e innestata in modo coerente all’impianto originale della Casa: il portico ha una propria distinta identità che dialoga, per differenza architettonica, con la casa; il giardino, che un tempo era un’area molto più vasta e coltivata, è stato risagomato prima arretrando la recinzione su strada per costituire un marciapiede più ampio su corso Bergamo e poi costruendo uno spalto ad angolo in terrapieno utilizzabile come piccola tribuna per le riunioni all’aperto. Ogni cosa realizzata è stata pensata, condivisa e poi messa in opera: da qui discende che la struttura fisica di questa Casa è metafora e anticipazione dell’attività che in essa sarà svolta. La Casa è organismo attrezzato per cogliere le opportunità del presente e del prossimo futuro: l’edificio è cablato e può ascoltare e parlare con il mondo. Il suo bilancio energetico va nella direzione della sostenibilità del pianeIl portone di ingresso ta: è stato molto ben isolato termicamente, è dotato di caldaia ad alto Il pozzo rendimento e basso consumo, ha una batteria di pannelli solari sul La fontana della pace tetto che ci hanno già fornito acqua calda gratuita in questi mesi a zero emissioni, ed è predisposta per l’installazione di pannelli fotovoltaici per la produzione autonoma di energia elettrica. Chi viene qui, manifestando la propria impressione, ha la consapevolezza che questa Casa sia sempre stata qui e sempre sia stata così: ciò non sminuisce il lavoro fatto ma si trasforma, per noi, nel complimento più bello. Qui ci si sente a Casa perché si è accolti. Questa Casa è leggera ma presente, può apparire chiusa ma è aperta, ha un impianto di semplicità essenziale ed una giacitura precisa con le facciate poste nella direzione dei quattro punti cardinali: può divenire una bussola per questa città. E infine i segni. La Strada, è il mondo. Il portone, è la possibilità di entrare, ingresso storico di uomini, donne, carri e animali, nella corte. Il Pozzo, è luogo dell’incontro, per il sostegno reciproco. La feritoia, è simbolo di raccolta e convogliamento. L’Ulivo, è approdo di pace. La Fontana dell’acqua, è la spiritualità. La Carta di Peters, una egualitaria rappresentazione del mondo. Il Muro della Memoria, raccoglie e dichiara le fonti che aiutano a comprendere le vite, le scelte le decisioni e le alleanze. Ritrovare questa Casa ha richiesto molto lavoro e fatica ma il cammino è stato fatto con grande passione. Molti uomini vi hanno lavorato mettendo in campo le loro esperienze e professionalità. Di loro ricordiamo i nomi, i volti, le mani operose, e le tante nazionalità. Li abbiamo già riuniti qui per mangiare insieme, per alzare lo sguardo e tutti insieme contemplare il risultato del loro lavoro, i più attenti hanno capito cosa è già successo qui. Lingue diverse risuonavano in questi ambienti. Appartenevano a uomini solo apparentemente diversi che lavoravano, fianco a fianco, nel compimento di un obiettivo comune. Il risultato, noi crediamo, sia di vera armonia. Un altro mondo è possibile. Antonio Spreafico 29 progetto grafico: mariangela tentori [Lecco] Sommario editoriale Muhammad Yunus il banchiere dei poveri Testimoni e messaggeri del Dio della vita Giovani. Storie di vocazioni Gustavo Pez Massimo Proscia Michele Riondino Giovani vocazioni alla vita religiosa e situazione europea Immagini La missione in Gabon Hibiscus Claret. Facciamo il punto Ricordo di Ugo Riva Lecco. La Casa sul Pozzo Festa di ringraziamento. 29.10.06 In copertina: mendicante a Roma. Foto di Angelo Cupini chiesa di S. Lucia del Gonfalone Quadrimestrale religioso Nuova Serie anno XVII n. 3 settembre/dicembre 2006 Autorizzazione del Tribunale di Roma 526/89 del 20 settembre 1989 Direttore responsabile P. Franco Incampo cmf Direzione Redazione: Chiesa di Santa Lucia del Gonfalone Via dei Banchi Vecchi, 12 - 00186 Roma - tel. 06 68193368 - ccp n. 35537000 Poste Italiane S.p.A. - Spediz. abb. post. D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB Lecco Impianti e stampa: Editoria Grafica Colombo - Valmadrera - Lc