non c`è in una intera vita cosa più importante da fare

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non c`è in una intera vita cosa più importante da fare
CHIESA DI SANTA LUCIA DEL GONFALONE
NON C’È IN UNA INTERA VITA COSA
PIÙ IMPORTANTE DA FARE CHE CHINARSI, PERCHÉ UN ALTRO, CINGENDOTI IL COLLO, POSSA RIALZARSI.
la copertina di Angelo Cupini
editoriale
Muhammad Yunus - il banchiere dei poveri
La foto che apre il numero di dicembre di MC l’ho scattata a Roma qualche
mese fa. Una scena che continuiamo a vedere sempre più frequentemente. La
domanda: come rispondiamo alle mani imploranti? In copertina abbiamo
ripreso una frase che è un programma. La storia di Muhammad Yunus, che
ora raccontiamo, la conferma.
Muhammad Yunus
premio Nobel per la Pace
2006
La storia
Amina Ammajan era una mendicante del Bangladesh, vale a dire una delle
persone più povere della terra. Vedova e madre di due figlie, era sul punto di
morire nel 1976, quando la casa le crollò letteralmente sulla testa. Oggi sua
figlia possiede la casa, un pezzettino di terra e del bestiame. Non è ricca, ma
vive dignitosamente. La sua vita, come quella di milioni di altre persone,
soprattutto donne, è cambiata completamente da quando ha incontrato
Grameen, la banca del Bangladesh che teorizza e mette in pratica il credito ai
derelitti: pochi soldi, dati a fronte di un progetto minimo e senza nessuna
richiesta di garanzia. Ma con percentuali di restituzione che fanno invidia alle
più solide banche tradizionali. La storia è raccontata nel libro Muhammad
Yunus, Il banchiere dei poveri Feltrinelli. Tutto comincia quando Yunus, un
docente universitario di economia del Bengala laureatosi negli Stati Uniti, si
mette in testa di cercare nuove strade per combattere la miseria disperata
delle zone rurali del suo paese. Fin dalle prime incursioni sul campo, durante la
terribile carestia del 1974, Yunus si rende conto che c’è una grande quantità di
uomini e donne a cui non mancano né buona volontà né una forte capacità
lavorativa, il cui destino è tuttavia senza speranza perché privi di uno strumento essenziale: un capitale, anche piccolissimo, con cui iniziare qualunque attività. Nasce Grameen, una banca rurale (grameen in bengalese significa contadino) che concede prestiti e supporto organizzativo ai più poveri, altrimenti
esclusi dal sistema di credito tradizionale. Fino a oggi la banca ha concesso
prestiti a più di 2 milioni di persone, il 94 per cento delle quali donne. Grameen
ha attualmente 1.048 filiali ed è presente in 35.000 villaggi e in diverse città
nel mondo. Grameen non solo presta denaro ai poveri ma è posseduta da questa stessa gente, che nel tempo è diventata azionista della banca.
Muhammad Yunus e la Grameen Bank hanno ricevuto il Premio Nobel per
la Pace. “La povertà è una minaccia per la pace”, ha detto Yunus, nel suo
discorso di accettazione del Nobel, affermando che è possibile creare un
mondo libero dal bisogno e relegare la povertà in un museo.
Il Nobel per la pace, che di solito va a diplomatici, associazioni umanitarie
e avvocati difensori dei diritti civili, è stato assegnato a Yunus e Grameen
Bank “per i loro sforzi di creare sviluppo economico e umano dal basso”, dice
la motivazione.
Questa chiave di lettura ci appartiene come missionari clarettiani: annunciare e servire la Parola dal basso; è il filo narrante di questo numero con il
quale desideriamo a tutti un nuovo anno di Pace.
testimoni e messaggeri
del Dio della vita
Josep Abella, superiore generale dei missionari clarettiani, negli
scorsi mesi, ha offerto un lungo testo alla meditazione di tutti i confratelli, indicando le prospettive per i prossimi anni. MC le riprenderà
sistematicamente. Cominciamo con una domanda: qual è il centro di
interesse della nostra vita?
Josep Abella, utilizzando la sua familiarità con la lingua giapponese - ha vissuto da giovanissimo in quel Paese -, scrive: “L’ideogramma
della lingua giapponese che indica la parola “occupato” è composto di
due parti: quella di sinistra indica il cuore, nel senso di anima o spirito, quella di destra significa perdere o sparire. L’ideogramma descrive,
pertanto, la situazione di una persona che ha perso di vista il centro
che dà unità a tutte le dimensioni del suo essere e che riempie di
senso tutte le sue azioni. Cammina come persa nei propri progetti”.
Per questo propone ai suoi fratelli missionari di interrogarsi su:
- come mantenere vivo il carisma e come vivere con radicalità la
dimensione profetica della vita consacrata in un contesto di istituto
che va prendendo sempre più nuova fisionomia per la crescita di presenze di altre culture?
- come vivere con entusiasmo la vocazione clarettiana in una comunità sempre missionaria e attenta alla formazione e al discepolato di
Gesù?
- come esprimere la missione in condivisione con gli altri, in solidarietà con i più poveri, in dialogo con il mondo?
In una lettera datata il 16 ottobre 2006 ha ripreso nel metodo alcuni temi legati alla vita del mondo.
Cari fratelli
Inizio questa lettera con un ricordo ed una parola di solidarietà
verso i nostri fratelli dello Sri Lanka. La situazione che interessa quel
paese è stata oggetto di costante attenzione da parte dei mezzi di
comunicazione sociale del mondo intero. La situazione dei nostri fratelli e delle loro famiglie è stata e continua ad essere presente nella
nostra preghiera e nel nostro quotidiano fraterno ricordo. Chiedo al
Signore che sappiano essere costruttori di pace e veri artefici di riconciliazione. Sono anche preoccupanti le informazioni che giungono dal
Josep Abella,
superiore generale
dei missionari
clarettiani
1
Josep Abella brinda c
on i confratelli clarettiani
del Gabon nella sua
ultima visita
Basilan, Filippine, per un peggioramento della situazione in quella
regione. Vogliamo comunicare ai nostri fratelli che si trovano in quelle
località, che noi li portiamo nel nostro cuore e li teniamo presenti
nelle nostre preghiere.
La sofferenza di tante persone vittime dei conflitti in atto nel nostro
mondo ci tocca da vicino e ci spinge a non desistere dal nostro impegno per la Pace e per la Giustizia ed a non venir meno al compito di
annunciare il Vangelo del Regno. A causa della polemica suscitata
dopo il discorso del Papa all’Università di Ratisbona e della reazione
che ha provocato in alcuni ambienti musulmani, si è consolidata la
coscienza della necessità del dialogo come unica strada per dare una
risposta valida al Disegno di Dio sul mondo e rendere credibile il messaggio delle religioni.
Il Papa Benedetto XVI ha annunciato che la prossima Assemblea
Generale del Sinodo dei Vescovi si soffermerà sul tema della “Parola”. Tale annuncio ci riempie di gioia e ci obbliga ad impegnarci attivamente nel processo sinodale.
Il Governo Generale ha terminato le sessioni dei consigli intensivi
della metà del sessennio del suo mandato. Ci siamo ritagliati del
tempo per pregare insieme e condividere l'esperienza di ognuno di
noi durante questi anni. Abbiamo ringraziato il Signore perché abbiamo potuto esercitare il nostro ministero senza l’aggravio di speciali
problemi di salute e perché abbiamo incontrato in tutti voi un appoggio sincero ed un’accoglienza fraterna. Sono stati tre anni intensi nei
quali abbiamo cercato di attuare le decisioni e gli orientamenti del
Capitolo Generale.
Avrete sicuramente tutti già ricevuto la circolare “Testimoni e messaggeri del Dio della vita”. In essa condivido alcuni temi che considero molto importanti in questo momento della vita della Congregazione. Spero che sia un valido strumento per riesprimere l’impegno
di tutti a vivere con generosità il carisma clarettiano in quest’ora della
nostra storia.
Josep M. Abella, cmf
Superiore Generale
Per la festa di s. Antonio Maria Claret, il 24 ottobre, ha scritto
ancora a tutti i missionari clarettiani prendendo spunto dalla preghiera quotidiana “Nelle tue mani, Signore, affido il mio spirito” si richiama all’esperienza personale e a quella di fraternità clarettiana per
giungere all’altra più universale nella quale vivono tanti figli di Dio
feriti dal nostro egoismo.
Nelle tue mani, Signore, ci sentiamo chiamati ad amare coloro che
Tu ami e a modellare la storia spinti dal soffio del tuo Spirito. Le tue
mani, Signore, ci parlano di forza e di tenerezza, ci sostengono perché
non veniamo meno all'esigente compito di costruire un mondo in cui
regni la giustizia e la pace e in cui la Creazione, “opera delle tue
mani” venga davvero rispettata.
Nelle tue mani, Signore, avvertiamo di essere liberi e senza paura
di annunciare il Regno dinnanzi a coloro che vorrebbero mettere a
tacere la voce che si fa eco della tua Parola.
Alle tue mani affidiamo, Signore, la vita dei nostri fratelli che
hanno terminato il loro cammino in questo mondo e sperano di essere S. Antonio Maria Claret
accolti da Te nella pienezza del Regno che hanno annunciato e al e la Missione condivisa
Pittura di Mino Cerezo
quale hanno dedicato tutta la loro vita.
Dalle tue mani, Signore, ci sentiamo inviati perché attraverso di
noi l'esperienza di sentirsi amati da Te possa illuminare e riempire di
speranza la vita di ognuno dei tuoi figli, in particolare di coloro che
non riescono a sentire il calore delle tue mani che li abbracciano e li
accompagnano.
Nelle tue mani avvertiamo più concretamente il senso del “Charitas Christi urget nos” che sintetizza lo spirito che animò la vita ed il
ministero del nostro Fondatore, S. Antonio M. Claret. Con lui, ti diciamo: “Siate benedetto, o Signore, che siete stato tanto buono e misericordioso con me! Fate che io Vi ami, Vi serva con tutto il fervore e
abbia a farvi amare e servire da tutte le creature” (Aut 152).
Nelle tue mani, Signore, deponiamo la nostra Congregazione e la
vita di ognuno che ne fa parte. Facci strumento, Signore, del tuo
amore, artigiani di una storia che incarni davvero i valori del tuo Regno.
Josep M. Abella, cmf.
Superiore Generale
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giovani
storie di vocazioni
Nello scorso novembre i clarettiani italiani si sono incontrati per alcuni giorni a Roma, in uno dei quattro appuntamenti annuali che hanno
programmato di vivere. Hanno ascoltato e dialogato sulle storie di vocazione dei tre giovani missionari, tuttora studenti. Riportiamo le comunicazioni e un intervento di approfondimento svolto dal clarettiano Manuel Arroba, docente di diritto all’Università Lateranense.
Dall’8 aprile 1985 al dicembre 1989 sono nella Diocesi di Formosa/Argentina al confine con il Paraguay. È difficile trovare il luogo giusto
dove andare. Da una famiglia francese (Charpentier) che abita a
Reconquista mi viene la proposta di visitare i missionari clarettiani, nella
diocesi di Formosa; mi fermo quattro anni con loro, l’esperienza più forte
della mia vita fino ad ora. Sono una chiesa al servizio dei poveri, in una
missione condivisa realmente, con laici che lavorano a tempo pieno nelle
equipe di pastorale, con i clarettiani del Paraguay e della Spagna. Sono
impegnato nella programmazione e formazione. Per due periodi rappresento i giovani della diocesi al consiglio diocesano. Imparo soprattutto
l’attualità delle parole d’Isaia poi riprese da Gesù:
Gustavo Pez
“Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un
(Lc 4, 18)
lieto messaggio…”
In poche parole il racconto della mia vita; mi considero un instancabile ricercatore; penso che tutto è grazia di Dio; siamo dei piccoli strumenti. In ogni tappa della mia vita, c’è stata una Parola significativa per me,
in quella circostanza precisa; con il passare degli anni è un tesoro da
custodire e da condividere.
“Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste
cose vi saranno date in aggiunta. Non affannatevi dunque per il
domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun
giorno basta la sua pena.”
(Mt 6, 33).
Dal 1972 al 1975 nella diocesi di Reconquista (Argentina).
Ricerca del Signore, da piccolo, in un ambiente familiare religioso (uno
zio prete, la nonna, la mamma). Primi passi nel catechismo e vado a dire a
don Armando, il prete del quartiere, che voglio diventare prete. Arrivano i
Poveri Servi di don Calabria che iniziano un gruppo di orientamento vocazionale. Gli ultimi due anni della scuola media li vivo insieme a un gruppetto di 12 ragazzi nella casa di formazione, con i padri di Don Calabria.
“Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato. Ora,
come potranno invocarlo senza aver prima creduto in lui? E
come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come
potranno sentire parlare senza uno che lo annunzi? E come
(Rom 10, 14-15)
annunzieranno, senza essere prima inviati?”
1983 Buenos Aires/Argentina
Sento una spinta missionaria ad andare oltre e il fascino per le storie
dei missionari; “la màs noble aventura” è un libretto con le storie dei
missionari comboniani. Con l’aiuto del vescovo di Reconquista (Mons.
Iriarte) sono alla ricerca e visito comunità con carismi missionari; vivo un
breve soggiorno tra i missionari oblati di Maria Immacolata.
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“Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa del tuo
(Gen 12, 1)
padre, verso il paese che io ti indicherò.”
Dopo questo periodo conosco un clarettiano argentino/italiano, il
padre Lovatto, che arriva dall’esperienza del Gabon (Africa), e per circa
dieci anni (25 luglio 1990 - 15 settembre 2000) sono in Africa. Lavoro in
vari sensi, dalla formazione dei catechisti, alla cucina, alla manutenzione, alle visite ai villaggi, in quel momento scopro e faccio tesoro di questa parola e la ritengo base della mia vocazione:
“Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini,
e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini. Considerate
infatti la vostra vocazione, fratelli: non ci sono tra voi molti
sapienti, secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili. Ma
Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i
sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti. Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato
e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché
(1 Cor 1, 25-29)
nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio.”
(Italia, Spagna - Europa 2000 - 2006)
La vita in missione come missionario laico, dopo un accompagnamento spirituale e diversi avvenimenti (soprattutto la morte di due dei
nostri confratelli) mi confermano la chiamata del Signore a lasciare
tutto, per sempre. Discernimento vocazionale ad Altamura. Postulantato
a via dei Banchi Vecchi. Noviziato a Loja. Prima professione a Roma.
Università. Strada facendo, mi convinco di più di queste parole della
seconda lettera ai Corinzi (4, 5 ss).
“Noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che la
potenza straordinaria viene da Dio e non da noi. Siamo infatti tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati, perseguitati, ma non abbandonati; colpiti ma non uccisi…”.
Juan Gustavo Pez, cmf
Roma, 15 novembre 2006
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Massimo Proscia
INIZIO
C’é da dire che in ogni chiamata il protagonista è Dio, ed è lui che si
serve delle persone. Per me le due persone sono state il Parroco del mio
paese e il missionario clarettiano Fr. Rodrigo Tomassetti.
Devo dire che io ho sempre avuto questo amore alla chiesa fin dai
primi momenti di catechesi, oratorio ecc. Ma il momento che io ritengo
importante è stato l’essere stato iscritto in una confraternita, il partecipare a dei momenti comuni tipo il rosario e le celebrazioni. Con la prima
comunione iniziai a pensare alla mia vocazione. Con la partecipazione
attiva in oratorio, il gruppo dei chierichetti. Fu questo il momento in cui
conobbi Rodrigo. Questo religioso clarettiano, orientatore vocazionale,
si rivolse al Parroco e lui diede il mio nome.
Iniziai pian piano a scoprire cosa volesse dire Missionario. Con
Rodrigo e insieme ad altri ragazzi che già erano a Roma abbiamo avuto
incontri e gite. Nella settimana santa del 92 venni a Roma e vissi questa
esperienza nella casa clarettiana di Via dei Banchi Vecchi. Per la prima
volta entrai in una casa di religiosi. Ad accoglierci fu il P. Incampo con il
quale organizzammo la settimana, fatta di preghiera e di visite a Roma.
SECONDO MOMENTO
Sarà il 15 settembre dello stesso anno la data nella quale entrerò in
seminario dopo la scuola media per iniziare il liceo. Una nuova esperienza, lontano dalla propria famiglia, con dei ritmi di vita diversi, non facile.
Mi dovevo abituare. In questo periodo ho coltivato il servizio all'altare,
la liturgia, il vivere in comunità. Ho potuto scoprire le meraviglie di
Roma. Mi sono immerso nella vita romana, sempre più caotica e ho
imparato a pregare, a conoscere i confratelli e la congregazione. Ho
imparato a gestire la mia vita. Tutto mi è servito a prendere coscienza
della grande avventura che iniziavo e nello stesso tempo a essere
responsabile delle mie cose e di quello che mi circondava.
Ma quale è stato il momento di andare oltre e continuare nella vita
religiosa? È stato il viaggio fatto in Gabon nel 98 anche se solo per un
mese. Qui si apriva per me una porta, anche se impegnativa, ma nello
stesso tempo bella. Ho potuto vedere con i miei propri occhi la povertà
di quella gente e questo mi ha fatto prendere coscienza. Mi sono detto:
io devo continuare. Devo offrirmi.
TERZO MOMENTO
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Cosi con la domanda al postulantato, ho iniziato i corsi di filosofia.
Ho iniziato ad arricchire il mio bagaglio culturale e man mano che crescevo vedevo ciò che il Signore mi chiedeva. Così nel 2001 iniziai il novi-
ziato in Spagna. Un anno per me importante. Di tutto l’anno vorrei mettere in evidenza due momenti: la centralità della Parola, e l’importanza
della preghiera. L’anno di noviziato divenne fondamentale anche nella
scelta di proseguire nella congregazione con la prima professione. Dopo
aver studiato l’autobiografia di Claret, la sua missione, decisi a conclusione anche del pellegrinaggio nei luoghi clarettiani, di scrivere e firmare nella cella della fondazione a Vic la domanda di emettere la prima
professione l’8 ottobre 2002.
Ho continuato i miei studi di teologia, scoprendo sempre di più il
nostro carisma.
QUARTO MOMENTO
Devo dire che con la prima professione, mi sono inserito ed ho compreso che tutto ciò che mi circondava mi appartiene. Questo per me è
fondamentale.
Michele Riondino
SERVIZIO DELLA PAROLA E PROMOZIONE DELLA GIUSTIZIA
Riportiamo il testo di saluto detto da Michele Riondino al termine della
celebrazione durante la quale ha emesso i primi voti, il 7 ottobre 2006.
Ormai giunti alla conclusione di questa Celebrazione mi sembra
opportuno rivolgere a tutti voi il mio più sincero e cordiale ringraziamento per aver partecipato ed aver vissuto la grandezza del Mistero
Eucaristico; Mistero che, in questa mia consacrazione religiosa, ha voluto rappresentare il culmine della risposta alla chiamata che, con maggiore e minore intensità, si è fatta sentire e mi ha accompagnato fin
dalla fanciullezza.
Come dimenticare gli anni in cui alunno del Collegio San Giuseppe di
Vittorio Veneto, iniziò il mio particolare interesse e la mia sana curiosità
verso la vita religiosa rispecchiata nella quotidiana sensibilità di chi si
dedica, in modo totalmente incondizionato, all’apostolato più diretto
dell’educazione.
Gli anni di formazione universitaria a Milano ed a Londra, hanno
rafforzato la mia personale convinzione di un necessario impegno, più
radicale e profondo affinchè la trasmissione dell’ideale di giustizia e
carità evangelica, che da sempre mi aveva affascinato, non restasse
solo un impegno parziale nella mia vita; la vicinanza con persone che
mi hanno seguito, aiutato e saggiamente consigliato mi ha condotto
qui a Roma esattamente tre anni fa (7 Ottobre 2003 - Festa della
Madonna del Rosario).
Michele Riondino
emette i primi voti
il 7 ottobre 2006
nelle mani del superiore
maggiore dei clarettiani
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Il mio arrivo alla Pontificia Università Lateranense ha coinciso con
un più serio impegno, personale e spirituale, verso l’approfondimento
di problematiche e necessità attuali, da me ritenute più urgenti e
necessarie, che sono alla base del carisma clarettiano: servizio della
parola e promozione della giustizia di tutti gli uomini, senza confini
territoriali e culturali.
Grazie alla comunità che successivamente mi accolse (Istituto
Giuridico Clarettiano) ho potuto conoscere e sperimentare la profondità del servizio apostolico lasciatoci in eredità dal nostro fondatore
Sant’Antonio Maria Claret che mi spinse ad entrare in questa Famiglia
Religiosa.
Durante l’anno di Noviziato ebbi la fortuna di vivere apostolicamente una esperienza per me indimenticabile: missionario a contatto con
una realtà tra coloro che, forse troppo precocemente, sono stati privati dell’unico bene che caratterizza la nostra vita... la libertà.
Dopo aver “toccato con mano” gli effetti del disagio sociale e della
totale solitudine tra i ragazzi in carcere, oggi più che mai sono convinto che sia doveroso da parte di tutti noi ritrovare ogni giorno le motivazioni dinamiche per convincerci che l'uomo, a motivo della sua intelligenza e del suo spirito immortale, resti il massimo valore per cui lottare perseguendo solo ed esclusivamente la salvezza della sua anima.
Mai dimenticherò i loro sguardi e le loro parole nel salutarmi prima
del mio definitivo rientro in Italia: “Michele, il 7 ottobre ti penseremo
e ti saremo vicini”.
Sono conscio che tutto ciò si è reso possibile per la costante presenza e l'ausilio della Madre di tutti noi che, con fedeltà assidua, mi
ha guidato e mi ha accompagnato durante tutti questi anni ed in particolare nei momenti più importanti e decisivi della mia vita.
Manuel Arroba comunica
la sua riflessione
su Giovani vocazioni
alla vita religiosa
e situazione europea
con i confratelli clarettiani
a Roma nello scorso
novembre
Al contempo mi sento di ringraziare tutti coloro che mi sono stati
vicini e che mi hanno aiutato (familiari, amici, compagni di università,
professori…, alcuni dei quali ci hanno già lasciato); a loro chiedo una
particolare attenzione e vicinanza in questo mio impegno affinchè
possa essere un degno Figlio del Cuore di Maria e, con totale gratuità
continuare quella “grande opera” che, quel lontano 16 luglio del 1849,
il nostro fondatore iniziò affidando e consacrandosi all’amore materno
del Tuo cuore.
Che la mia vita sia segno eloquente ed esempio di Servizio della
Fede procurando sempre la maggior gloria di Dio e lasciandomi illuminare dalla Tua Parola, o Padre, che per me è stata una vera “lampada
per i miei passi e luce nel mio cammino”.
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Grazie!
GIOVANI VOCAZIONI ALLA VITA RELIGIOSA E SITUAZIONE EUROPEA
Devo avvertire che la mia riflessione non solo non è quella di un Ambiti e limiti
esperto in teologia o pedagogia della vita religiosa e nemmeno quel- della riflessione
la dell’analista della realtà giovanile o congregazionale in Europa.
L’unica prospettiva che mi sento di assumere è quella di chi, a contatto con giovani studenti universitari, in gran parte europei e italiani,
coglie un richiamo (a volte sommerso, non di rado esplicito) ad una
visione vocazionale (e non solo professionale) della propria preparazione intellettuale, della successiva proiezione lavorativa e, in fondo,
della propria identità spirituale.
In altre parole, ciò che posso condividere si può formulare a mo’ di
domande: di fronte a simile richiamo vocazionale presente, se non in
tutti, sì in una parte significativa dei giovani europei e italiani, quali
potenzialità possiede la vocazione religiosa apostolica? Quali le
modalità di proposta? Quali le principali difficoltà reciproche? Quali i
punti di forza, ragionevolmente più proficui nella formazione?
Dicendo il mio punto di vista sulle quattro questioni poste, non
dimentico la dimensione di mistero e di grazia che sorregge ogni storia vocazionale e che sfugge agli approcci meramente razionali. Ma
l’unica arma di cui disponiamo per affrontare questa tematica è l’uso
responsabile della ragione.
Quale potenzialità possiede la vocazione religiosa apostolica di
fronte al richiamo vocazionale del giovane universitario europeo?
Dovrei definire con maggior dettaglio ciò che, per capirci, ho chiamato “richiamo vocazionale”. Nella tipologia di giovani che frequento si tratta di una esigenza connessa con i valori e controvalori comunemente attribuiti alle società occidentali postmoderne, sia dal
punto di vista socio-antropologico che religioso ecclesiologico. Non
interessa ora entrare in questo discorso, che ho trattato nel 1997 per
la rivista “Vida Religiosa”. È sufficiente tratteggiare solo tre punti di
maggiore proiezione vocazionale.
Il primo, e principale, riguarda il desiderio dei giovani di compiere Occupazioni
il salto di qualità presupposto dalla distinzione tra “occupazione” e e progetto di vita
“progetto di vita”. Tale desiderio affonda le radici nel cosiddetto
“malessere culturale” particolarmente incidente nelle nuove generazioni, certamente partecipi di tutto ciò che è inerente a un’epoca
caratterizzata dall’immediatezza, dal calcolo, dalla praticità e dalla
prevalenza della mentalità scientifica e strumentale, dove sembra
che interessi solo conoscere le leggi del funzionamento per meglio
dominare la storia, rinunciando a progetti globali e concentrandosi
solo sul possesso di competenze per le occupazioni immediate, le
uniche percepite come necessarie per sentirsi realizzati con successo
nella vita.
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Non mancano studenti interessati solo ad acquisire le tecniche per
avere successo in futuro, ma è chiaro che un corso di studi dall’indirizzo umanistico facilita la percezione vitale (e non solo intellettuale) dei
limiti di tale impostazione di vita, riconducibile alla cosiddetta “morte
dell’individuo” nella società massificata, governata da forze che provocano la spersonalizzazione e fanno diventare gli individui meri consumatori e anelli di un ingranaggio peggiore di quello di cui, con tanta
fatica, ci si voleva liberare nell’epoca delle grandi rivoluzioni antropologiche affermando la “morte di Dio”. Ci sono tanti giovani che, nel
corso dei loro studi hanno una forte esperienza di questa contraddizione epocale e maturano l’esigenza di non essere anelli dell’ingranaggio, di non limitarsi alla preparazione strumentale per future occupazioni. Sono gli studenti che percepiscono il bisogno di avere, innanzitutto, un progetto di vita radicato in valori convincenti, prendendo le
distanze da un modo di vivere in cui, l’unico progetto plausibile sia la
crescita nel benessere materiale.
Tentazione
Il secondo punto, caratterizzante il richiamo vocazionale, non è
premoderna uniforme ma è legato al doppio modo di reagire all’esigenza di avere
un progetto di vita. Una certa fascia dei giovani universitari, di fronte
alle insoddisfazioni culturali, sono facile preda della tentazione premoderna o precritica, rappresentata dai vari movimenti che preconizzano, pur con tante sfumature, il ritorno al passato, come se un progetto di vita dai valori forti fosse possibile solo in contesti con identità
altrettanto forti, uniformi, diffidenti delle conquiste della modernità,
cioè, della libertà, della pluralità e della critica. Sappiamo il successo
sociale ed ecclesiale che riscuotono queste realtà “retrograde”, ma
non ci sono spiegazioni convincenti del fenomeno.
Non perdere
Altri giovani, pur alla ricerca di progetti di vita forti, non sono in sinle conquiste tonia con le involuzioni né disposti a perdere le conquiste del progresso
moderno, sentendo la libertà, il pluralismo e la critica come elementi
irrinunciabili della propria identità. Malgrado i condizionamenti e le
contraddizioni, quel poco di libertà conquistata rende improponibili le
imposizioni dogmatiche; se quelle contraddizioni provocano il bisogno
di scoprire un senso ed un’identità, un quadro di valori di orientamento,
per questo tipo di giovani è ugualmente chiaro che spetta a loro crearlo. Si tratta dei giovani che non sono disposti ad accontentarsi dell’integra¬zio¬ne in uno stile di vita già predisposto, indipendentemente
dai suoi connotati (conservatore o progressista), che sentono quale
vera forza del progetto di vita poterlo mantenere, sviluppare e modificare con convinzione personale e partecipandolo con altri, che anelano
ad essere protagonisti fattivi del medesimo,.
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Terzo ed ultimo punto caratterizzante che segnalo sul richiamo
La complessità
della società vocazionale del giovane europeo riguarda l’inserimento di tale esigeneuropea za nella complessità e interdipendenza tipiche della società globale.
C’è chi non coglie tale dimensione e chi l’affronta decidendo di svolgere il suo progetto di vita fuori dall’Europa; nessuna delle due situazioni interessano ora. Ci interessa chi, volendo rimanere europeo ed in
Europa, sente di dover integrare nel proprio progetto di vita le emergenze della globalizzazione e la prospettiva degli ultimi, ma si sente
spaesato su questo, cioè, convinto in genere dalla necessità di interagire con tutto quello che serve ad evitare il monocentrismo culturale
(la cosiddetta globalizzazione dall’alto); convinto di dover favorire il
pluralismo, la tolleranza e il rispetto delle differenze, ma allo stesso
tempo sfiduciato dalle componenti negative del cosiddetto dialogo
interculturale (perplessità sull’immigrazione, carenza di reciprocità,
sensazione di assistenzialismo senza reale promozione), cercando luce
per passare da atteggiamenti meramente volontaristici ad una maggiore informazione e professionalità.
Di fronte ad un richiamo vocazionale giovanile con queste caratteri- Le potenzialità
stiche è chiaro che la vocazione alla vita religiosa apostolica possiede della vita religiosa
molte potenzialità in Europa. Non credo di dover indicare il perché. Per in Europa
riferirlo ai tre punti, basti segnalare il valore qualificante (non moralizzante o ascetico) della consacrazione nei vari carismi; la centralità del
dinamismo comunitario (contrappunto al principio gerarchico); l’incisività nei mezzi di apostolato (poco istituzionali). Mi preme piuttosto
avvertire che non possiede alcuna potenzialità la vita religiosa che sia
percepita come corpo di persone uniformate e superoccupate in opere
che esigono molto sacrificio personale, ma dove sia difficile apprezzare ciò che dà qualità a questa scelta di vita come progetto personalizzante (primo punto); poco interessa la vita religiosa che si dispiega su
progetti arbitrariamente costruiti da “illuminati dalla provvidenza”,
oscurando il protagonismo personale e la partecipazione comunitaria
(secondo punto); non vedo futuro per la vita religiosa decisa (o rassegnata) ad abbandonare l’Europa (o molti dinamismi caratterizzanti la
cultura europea) come unica via per capire se stessa nel concerto dell’ingiustizia mondiale (terzo punto).
Quali le modalità della proposta?
Non ci sono ricette sulla modalità di una eventuale proposta ai gio- Modalità
vani europei del nostro stile di vita. Che un simile richiamo possa tro- della proposta
vare eco di risposta in noi dipenderà dalla testimonianza viva e dalla
condivisione franca di ciò che siamo; non ci sentiamo speciali, certamente, ma nemmeno più limitati rispetto alle loro esigenze. In ogni
caso, rendere testimonianza richiede di entrare in sintonia con le esigenze più profonde di coloro che sono alla ricerca di una opzione di
vita. Chissà se, chi ci osserva in tale prospettiva, riesce a cogliere che
siamo fieri di aver fatto una scelta che agisce da elemento unificante
del nostro essere uomini di oggi (non ho mai sopportato la battuta del
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“povero frate”); che siamo protagonisti nel gestire la nostra libertà
quotidiana in un contesto comunitario arricchente (non omologante o
soffocante); che abbiamo la fortuna di possedere mezzi per essere solleciti, creativi ed efficaci circa la solidarietà universale inerente l’evangelizzazione.
Senza ambiti di condivisione adeguati in quanto ai luoghi della
nostra presenza (se abbandoniamo i luoghi della formazione giovanile), alle dinamiche aperte della nostra testimonianza (se non apriamo
con franchezza le nostre persone e le nostre comunità) e alla qualità
umana, spirituale e professionale del nostro quotidiano operare (se
non facciamo passi efficaci sulla nostra preparazione e sulla missione
condivisa), il richiamo vocazionale per la tipologia di giovani cui ci
stiamo riferendo, non potrà trovare facilmente eco nella nostra scelta
di vita. Saranno giovani di un altro tipo, con caratteristiche cioè ormai
rare nell’Europa postmoderna e secolarizzata, quelli eventualmente
interessati a noi.
Quali le difficoltà reciproche?
Ragioniamo ora sulle difficoltà prevedibili dall’una e dall’altra parte,
cioè, dalla parte dei giovani motivati vocazionalmente nei termini finora
espressi, nonché dalla parte della vita religiosa potenzialmente accogliente. Di nuovo devo dire che prescindo dalle difficoltà radicali, perché
in realtà sono comuni ad ogni religioso, sia di nuova che di vecchia data
(per es.: la generosità nella decisione; l’autenticità delle motivazioni; la
coerenza nella consacrazione per la debolezza affettiva, il fascino materialista e il difficile equilibrio tra affermare il proprio criterio, come criterio ultimo, ma non unico; l’onestà operativa; la solidità spirituale). Voglio
riferirmi solo a difficoltà specifiche che fanno relazione ai tre punti scelti
in precedenza per descrivere l’identikit vocazionale; terrò presente quel
poco che so sulla nostra congregazione in Europa.
Non poter
Sulla considerazione della consacrazione come una mistica che
essere un giovane orienta la qualità di vita si pone il timore (che in un caso concreto ho
normale? percepito) di non poter essere più un giovane normale per il peso
ancora forte delle abitudini (piuttosto ascetiche) nel modo di tradurre
in concreto lo stile di vita; la sensazione di aridità e povertà affettiva
tra i religiosi contrasta con l’emotività giovanile e può rendere arduo
percepire la qualità della consacrazione sulle molte occupazioni.
12
Sul protagonismo e partecipazione si pone l’inevitabile difficoltà
dell’ere¬di¬tà carismatica e congregazionale che non si inventa né
improvvisa ogni giorno; si pongono anche le scarse speranze di poter
fare un’esperienza lunga di ragionevole omogeneità comunitaria per
carenza di giovani; si pone soprattutto la paura di non avere una parola da dire nel ripensare un progetto di presenza in Europa.
Sulla proiezione di solidarietà universale della missione, si pone il pro- L’interculturalità
blema di riuscire ad apprezzare l’interculturalità nel quotidiano, non nel quotidiano
temendola come una minaccia sull’identità culturale europea; il rischio si
traduce nel timore di assistere alla fuga massiccia dall’Europa o ad un
ridimensionamento tale da far temere una presenza residuale e clericale
(non carismatica) a servizio di altre zone dove la vita religiosa è in crescita. Fuggire dall’Europa e dalle sue complessità culturali e religiose condanna a non capire mai tali complessità, a non saperle incorporare in
modo positivo nella nostra riflessione e nel nostro vissuto. Alle analisi
spontanee, forse superficiali o approssimative che su questo fenomeno
compiono molti giovani europei, appare chiaro che le complessità
dell’Europa di oggi si estenderanno, in un futuro prossimo, ai paesi dove
la vita religiosa sarà fuggita. Allora il rischio, che si teme vicino, è quello
di trovarsi presto non solo senza più strumenti per evangelizzare tali
complessità ma anche senza nuovi posti dove continuare la fuga.
Quali i punti di forza ragionevolmente più proficui nella tappa
formativa?
Sulle dinamiche che, in tale situazione, possono risultare più profi- Formazione
cue nella tappa formativa, penso che (pur con qualche adattamento), il personalizzata
mio punto di vista oggi differisce poco da quanto ebbi occasione di
scrivere per la nostra rivista Commentarium pro Religiosis quando
dovetti commentare l’istruzione “Potissimum Institutione” (1990).
Credo che si possa riassumere quel discorso in un’esigenza generale:
assicurare una “formazione personalizzata”. Questa esigenza si
dispiega in tre livelli di natura diversa dove è lecito collocare ognuno
dei sei agenti e ambiti della formazione indicati dal documento citato.
Un primo livello è di natura spirituale: lo si deduce dal fatto che Lo Spirito
siano indicati come primi agenti della formazione lo Spirito, Maria e la primo agente
Chiesa. Che sia lo Spirito il primo agente di formazione significa, a di formazione
livello generale, aiutare chi ci interpella a capire che, come religiosi,
siamo chiamati ad assicurare per l’intera Chiesa il ruolo di “segno e
preannuncio escatologico” (presenza di avanguardia e significativa,
non ripetitiva); a livello pedagogico ciò comporta favorire la crescita
nella prassi del discernimento personale (lo Spirito guida, fa apprezzare, sorregge nella debolezza, permette di vedere chiaro in se stessi
anche tramite l’aiuto di mediazioni ...), ma anche la crescita nei valori
dell’ecclesiologia pneumatica (il superamento delle posizioni difensive
di fronte al mondo, l’interazione con altre vocazioni, la primazia della
comunione, il dialogo con società moderna interpretando i segni dei
tempi; il superamento di ogni atteggiamento di superiorità o arroganza, maturando la consapevolezza che l’evangelizzatore è contemporaneamente evangelizzato dai destinatari della sua missione).
13
Maria
L’inclusione di Maria come agente nella formazione è connessa con
e la sequela il precedente; la prospettiva che si propone parte dalla sua condizione
di modello nell’assecondare l’opera dello Spirito offrendo con il suo
«fiat» la più perfetta risposta di sequela obbediente. Sono molto diversi gli accenti della teologia e della pedagogia della sequela rispetto a
quella più ambigua dell’imitazione, che favorisce meccanismi di dubbia
autenticità, di dipendenza e artificialità; la sequela è intesa come
momento posteriore ad una vigorosa presa di coscienza dell’irripetibilità della chiamata personale; richiede quindi una visione ottimista
delle proprie capacità e favorisce l’esigenza di avviarsi a formulare il
singolare contributo che, sin dagli albori della risposta, ci si sente chiamati a realizzare, stabilendo le dovute continuità e differenze tra il
momento di Gesù, del fondatore, dei predecessori e quello proprio.
La Chiesa
La comunità
14
La Chiesa è il terzo agente di cui si fa menzione. Malgrado il modo
peculiare di inserimento nel mistero ecclesiale che spetta ai religiosi
(simbolo della santità della Chiesa, estranea al suo dispiegarsi organico e gerarchico) ci ricorda l’importanza di sviluppare nei formandi il
senso di Chiesa, conoscendone Tradizione e Magistero, certamente,
ma soprattutto (quale punto più incisivo) sviluppando la coscienza di
appartenere ad un popolo in marcia, ... che avendo origine nella comunione trinitaria, pur poggiando sul fondamento degli apostoli, non ignora i cambiamenti né le legittime diversità, ed in modo speciale, per la
dimensione missionaria, non si rassegna a vedere la chiesa quale piccolo gregge, ma si adopera nell’evangelizzazione di ogni creatura. Non
ogni modello pedagogico assicura una tale ecclesialità nella formazione; è più semplice formare in una ecclesialità “endogamica” (visibile,
acritica, sociologica) dove si inserisce inconsapevolmente il fascino per
il carrierismo ecclesiale. Non è facile nel caso dei religiosi giovani aiutare all’equilibrio nel valorizzare la diversità ed il pluralismo né a coordinare lo spirito critico con un senso di comunione fattivo.
Un secondo livello è di natura esperienziale e riguarda la comunità
come quarto agente formativo, a cui si riconosce un ruolo privilegiato.
Proprio su questo punto vedo meno attuali le riflessioni che feci nel
’90, tenendo conto della situazione delle comunità formative della
congregazione nell’Europa che conosco. Rimane valida l’esigenza di
avere una forte ed adeguata esperienza di comunità (che merita di
essere amata per quel che è e non per quel che offre per la personale
formazione), ma mi sembrano superate le cautele sulle specificità
delle comunità formative, pensate sul presupposto di una composizione omogenea che poi, nel futuro, non sembra probabile aspettarsi di
realizzare.
È comunque nella comunità che si fa esperienza concreta degli
Comunità e
responsabilità aspetti spirituali sopraddetti ed è interessante che, un documento
personale scritto già quindici anni fa, avverta che la comunità è formatrice nella
misura in cui consente a ognuno di crescere nella fedeltà e responsabilità personale, iniziando alla pratica di progettare insieme, di condividere gli obiettivi di vita, di assaporare le ricchezze della comunicazione umana e spirituale (nell’ascolto della parola e nell’eucaristia). In
tal senso si potrà provare a compensare una realtà molto negativa,
dovuta a diversi fattori, ma della quale è impensabile che i formandi
non maturino una comprensione altrettanto negativa: la mancanza di
circolarità nelle responsabilità congregazionali e la conseguente sensazione di arbitrarietà nella gestione.
Il terzo livello ha i connotati della verifica specifica del periodo for- Rapporto
mativo, in quanto riguarda il rapporto irripetibile (in quanto tipico sol- formandotanto di questa tappa) tra il formando ed il formatore, che rappresenta formatore
il momento della verità. Il documento mette al primo posto lo stesso
formando perché non è pensabile una formazione personalizzata che
non consenta all’interessato di trovare in se stesso l’ultima giustificazione delle proprie opzioni, sia quelle radicali sia quelle più immediate
e quotidiane, in cui si dispiega l’opzione di vita vocazionale; è per questo che si sollecita l’equilibrio tra i programmi comuni e l’adattamento
ad ogni singolo caso. Non si tratta di favorire individualismi ma di
garantire il necessario radicamento personale di ogni proposta formativa, affidandosi alla responsabilità del formando.
Al formatore si affida specialmente il compito di rendere testimonianza della tradizione e del progetto di vita dell’istituto, veicolando
verso il medesimo le iniziative personali di ognuno dei formandi, per
consentire il discernimento dovuto. Le qualità che si propongono,
tanto a livello umano, dottrinale e spirituale di rado si possono trovare
in una sola persona, per cui si propone spesso che altri siano coinvolti
per aiutare il formatore ed integrare i vari aspetti.
Per mettersi in contatto
con i Missionari Clarettiani:
00186 Roma
via dei Banchi Vecchi, 12
tel. 06 68193368
20090 Segrate (MI)
Procura Missionaria
via Card Schuster, 1
tel. 02 2131196
http://xoomer.alice.it/missionariclarettiani/
15
immagini
Ci lascia come eredità il ricordo
del suo amore alla Chiesa e alla Congregazione, la sua allegria e lo spirito
di servizio nel ministero come formatore e servitore della Parola.
Nel numero di aprile di MC avevamo aperto la rivista con l’intervista
che ci aveva rilasciato.
Dal diario di Gulik, uno dei nove
Deceduto il Vescovo Clarettiano
p. Alfredo Maria Oburu
L’ultima
immagine
di Alfredo
Oburu
in partenza
dall’Italia
per la
Guinea.
In alto:
donne
guineane
in attesa
della
celebrazione
delle esequie
del Vescovo
Oburu
16
Guinea Equatoriale Nella prima
mattinata di domenica 27 agosto è
deceduto Mons. Alfredo Maria Oburu, vescovo di Ebebiyín dall’11 maggio 2003, data della sua ordinazione
in quella stessa città. Il suo breve
tempo di servizio di Pastore di questa
giovane diocesi guineana è stato
interrotto da una grave malattia che
aveva obbligato Mons. Alfredo a
interrompere il suo servizio. Le cure
sono poi culminate in una recente
operazione di trapianto del rene.
Tuttavia, identificato con la missione
ricevuta, ha accettato, con spirito di
fede e di generosità, la sofferenza
della sua assenza e il dolore della
malattia. Ottenendo, lo scorso 12 di
agosto, l’autorizzazione dai medici a
ritornare temporaneamente tra i suoi,
scriveva: “Mi metto nelle mani del
Signore e credo che se Egli mi ha dato
di nuovo la salute sia affinché io
abbia sempre fiducia in Lui e lavori
per la sua gloria nella sua Chiesa. Con
tutta la prudenza necessaria, farò
quello che sono in grado di fare date
le mie limitazioni. Dio opererà in me.”
Le difficoltà, i pregi, i difetti, la nostra insistenza magari nel voler sapere sempre in anteprima quello che
capiterà domani … gli usi, i costumi,
la natura, i fiumi, la foresta, l’altopiano, il cielo, la luna, le stelle, il sole, la
Land Rover che non va più,.. Ma
quante cose ci sono passate davanti
agli occhi …
Ecco mi auguro e auguro a tutti di
tornare con una carica in più.
Dobbiamo aver coraggio e cercare
di trasformare la nostra vita in qualcosa di molto bello…
L’altra faccia dell’Africa
Alla sua seconda edizione ha avuto 8 partecipanti più l’accompagnatore Gustavo Pez. I giovani appartenenti
al Gruppo missionario di Valmadrera
(LC) con amici della Brianza hanno
vissuto intensamente il rapporto con
la realtà gabonese: missionaria, dei
villaggi, delle collaborazioni. Nella
foto il gruppo, assieme ad abitanti
del villaggio di Mbounga si preparano
ad entrare nella foresta per trascorrervi un giorno e una notte.
È stato bello lavorare con loro. Ho
anche capito che la missione è fatta
anche di questo, quanto c’è da fare,
cavoli … e poi visitare i villaggi,
incontrare le persone, parlare con
loro, fare fatica a capire, rimanere
stupiti dalla loro ospitalità.
Trieste
Nella città crocevia di culture si è
svolto un campo di lavoro per una collaborazione con i missionari clarettiani. Il programma ha previsto mattino
di lavoro e pomeriggio uscite per la
conoscenza della città e del territorio.
Al campo hanno aderito alcuni giovani. Singolare la partecipazione di tre
giovani slovacchi. Raccogliamo una
testimonianza.
Ciao a tutti. Mi chiamo Peter e
vengo dalla Slovacchia. Nel. 2004-05
ho trascorso a Trieste un bel periodo
di 6 mesi. Tutto grazie al programma
Erasmus - scambio internazionale
degli studenti universitari. Siccome la
mia facoltà era di fronte alla chiesa
del Cuore Immacolato di Maria andavo ogni tanto a messa. Dopo aver
finito gli studi sono tornato a casa
molto arricchito.
Negli ultimi anni si nota in Slovacchia l’interesse a viaggiare e a
conoscere i nuovi paesi che prima a
causa del comunismo non era possibile. Per questo motivo appena c’è la
possibilità noi slovacchi “lasciamo la
patria” e partiamo verso nuove esperienze e a conoscere i popoli nuovi.
Ma nello stesso momento amiamo la
Slovacchia e le nostre famiglie e cerchiamo di riportarle il bene che abbiamo incontrato fuori. Ovviamente attraverso noi stessi, le nostre persone
cambiate e cresciute.
Presso la parrocchia dei Clarettiani abbiamo passato un bellissimo
periodo lavorativo. Ci siamo sentiti
accolti e voluti bene dai “confratelli”.
Sono contento che siamo riusciti a
creare una comunità tra di noi tre
(mio fratello, il nipote ed io) e poi
anche con i padri clarettiani e le
signore che aiutano a mandare avanti la casa. Grazie per le preghiere che
avete detto per noi e anche per l’aiuto materiale che ci avete dato (le bici,
il bel viaggio sulla barca).
Tutta questa unità è grazie alla
Chiesa Cattolica alla quale apparteniamo e grazie allo Spirito Santo che
ci guida a costruirla come un vero
corpo di Gesu Cristo.
Arrivederci in Slovacchia! (o in Gabon)
Peter, Matej, Martin
I tre
slovacchi
con il
missionario
clarettiano
Renato
Caprioli
17
Segrate
Noi sappiamo divertirci insieme
Hanno scelto questo titolo, veramente accattivante, gli adolescenti
che hanno trascorso tre giorni speciali
in località Zamberlini - Comune di
Boscochiesanuova - Provincia di Verona: un posto bellissimo, a 1.300 metri
di altezza, un po’ fuori dal mondo, tanto che per raggiungerlo, l’ultimo tratto
si è dovuto fare a piedi!!!
L’avventura, dal giovedì 7 dicembre
a sabato 9 si è sviluppata nello stare
insieme, in un clima di fraterna amicizia e collaborazione. Serate divertenti
e riflessione, preghiera e celebrazione
e visita alla città di Verona. La guida è
del padre Vittorio Bruscella.
novembre tra catechisti e mamme
dell’oratorio del sabato.
Era la nostra giornata di ritiro all’inizio dell’Avvento: ci siamo interrogati
sulla nostra vocazione di annunciatori
e testimoni del Vangelo. Gli stimoli
alla meditazione ci sono stati forniti
dalla profonda lectio di padre Manolo
professore clarettiano di diritto canonico. Su tutte, due domande: chi ci
ascolta, ci percepisce come persone
appassionate da Gesù? Siamo tramiti
idonei perché i ragazzi abbiano l’esperienza che Gesù li ama?
Abbiamo rafforzato la convinzione
di essere solo “voce che grida nel deserto”, semplici strumenti di annuncio
del Vangelo e anche ritrovato un clima
di fraterna amicizia tra di noi e il conforto di dividere la fatica e la gioia
dello stare con i ragazzi. Il tempo è
stato troppo breve e ci ha lasciato il
desiderio di ripetere l’esperienza.
Altamura
Scambio di ospitalità
Segrate
Una giornata “insieme”
18
A Somasca, all’ombra del castello
dell’Innominato di manzoniana memoria, ci siamo ritrovati domenica 29
Famiglie legate alla comunità di
Altamura hanno goduto con i propri
figli una settimana in Valvarrone
(Lecco) nella casa messa a disposizione dalla comunità di via gaggio
godendosi montagna, lago e contatti
arricchenti.
«Attendendo, attesi,
la venuta del Signore»
È con questo tema di fondo che la
Chiesa di S. Lucia e la Chiesa Cristiana Evangelica Battista di Altamura hanno organizzato insieme una
serata di riflessione e preghiera per
l’Avvento. L’incontro, che si è svolto
presso la Chiesa Battista lo scorso 15
dicembre, segna un ulteriore passo
nel nostro cammino ecumenico. Già
altre volte fratelli e sorelle di una
Chiesa avevano partecipato ad iniziative dell’altra. Da alcuni mesi, poi, si
è costituito un piccolo coro comune.
Ora abbiamo vissuto un’iniziativa progettata insieme. È un piccolo passo;
molto importante, però. Abbiamo
sperimentato che non solo si può pregare insieme, ma che si può anche
costruire una riflessione comune sull’esperienza di fede cristiana.
Non abbiamo dissimulato le difficoltà e le fatiche. Abbiamo piuttosto
sperimentato che il tema dell’«attesa» suscita in tutti noi gli stessi contrastanti sentimenti di gioia e di
ansia, di timore e di speranza. Abbiamo condiviso i nostri sguardi sul futuro. Ci siamo confessati con franchezza la fatica di vivere la speranza e di
mantenerci nella gioia cristiana.
Dinanzi a tutto questo ci è stato
ricordato che «il Signore non ritarda a
compiere la propria promessa» ma
piuttosto che egli è paziente con noi
(cf 2 Pt 3,9). Il Vangelo di Giovanni ci
ha poi detto che «al principio, c’era
colui che è la Parola… Egli è diventato un uomo e ha vissuto in mezzo a
noi uomini… La ricchezza della sua
grazia si è riversata su di noi, e noi
tutti l’abbiamo ricevuta»
(Gv 1,1.14.16).
Il Salvatore è già venuto nella storia e, mentre nell’Avvento meditiamo
sull’attesa di Colui che viene, Alessandra Fusi - pastora della Chiesa
Battista - ci ha invitati a considerare
che è Dio innanzitutto ad attenderci,
da sempre. Da quel “principio”, in cui
la Parola è, Egli ci ha voluti e ci vuole.
Stiamo attendendo, da Lui attesi, la
venuta del Signore.
La serata si è conclusa con la cena
offerta dalle sorelle e dai fratelli
Battisti nei locali della Chiesa, proseguendo così la condivisione creatasi
nella riflessione e nella preghiera
comuni.
Il giorno seguente, 16 dicembre, il
coro comune ha partecipato, ancora
nella Chiesa Battista ad una serata di
beneficenza per lo Zimbabwe.
Bangalore
Dal 10 al 23 settembre scorso si è
tenuto a Bangalore (India) l’incontro
degli incaricati di formazione della
congregazione clarettiana. All’ordine
19
ora il suo desiderio di parlare con Dio.
Nove preziose sottolineature dell’affascinante personaggio biblico.
del giorno una riflessione sulla consistenza vocazionale e sull’interculturalità. Alcune esperienze hanno riguardato proprio la conoscenza di altre
esperienze religiose.
L’incontro vero e proprio è stato
preceduto da una permanenza nelle
comunità formative, divisi in piccoli
gruppi. Un’occasione per prendere
contatto più da vicino con la realtà
dell’India. Per l’Italia vi ha partecipato
il padre Maurizio Bevilacqua.
Roma, via dei Banchi Vecchi
Incontro con un monaco Hindu.
Altamura
Festa della Madonna
del Carmine
Visita al tempio Sikh di Bangalore.
20
Festa tribale a Ranchi.
La Festa della Madonna del Carmine (cioè del Monte Carmelo) è legata storicamente all’Ordine Carmelitano. Anche in Altamura l’origine
della festa si deve alla presenza in
passato di un convento dei Carmelitani Scalzi presso la chiesa di santa
Teresa di Gesù.
Oggi è una festa popolare molto
sentita, che travalica l’ambito strettamente parrocchiale. Preceduta da una
novena frequentatissima, la festa (16
luglio) culmina nella processione per
le vie della parrocchia.
La parrocchia e curata dai missionari clarettiani.
Le foto raccontano la conferenza
del Card. Thomas Spidlik, il quale ha
chiuso il ciclo di incontri del 2006 che
hanno avuto per tema: “Spiritualità e
fascino dell’oriente cristiano”. Un bel
gruppo di persone interessate ha partecipato ai “Dialoghi in Cripta”. Il
Card Spidlik chiudendo il ciclo ci ha
parlato dell’Esicasmo e la preghiera
di Gesù. Il prof. Montecchio, aveva
iniziato svolgendo l’argomento:
“Santa Sofia e le origini storiche
della chiesa bizantina”. Abbiamo
anche approfondito la liturgia bizantina ed altri aspetti dell’ortodossia.
Mostra su Giobbe
In collaborazione con la Galleria il
Polittico di via Banchi Vecchi, si è
tenuta nella Chiesa di S. Lucia del
Gonfalone, una mostra su Giobbe.
Diversi autori contemporanei hanno
interpretato la figura biblica con il
proprio linguaggio pittorico, sottolineando ora l’abbandono, ora la resa,
Preludio alla tempesta
di Angela Volpi
olio su tela, cm 120x100
Giobbe
di Lithian Ricci
olio su tela, cm 110x90
Lettura integrale della Bibbia
In collaborazione con la chiesa Valdese e la Rettoria di S. Lucia del Gonfalone, è stata ideata la lettura inte-
21
Missionari in ferie
Lambert Okere, Lorenzo Mulas, Luciano Brighi, dalla Repubblica Dominicana e dal Gabon sono rientrati per un
tempo di vacanza. Luciano Brighi è
ancora in Italia per motivi di salute.
la missione in Gabon
Hibiscus Claret.
Facciamo il punto
Nell’ultimo periodo di novembre il padre Angelo Cupini ha visitato
la missione clarettiana del Gabon per raccogliere la situazione del
progetto Hibiscus Claret che è stato al centro di tante collaborazioni.
Questa la scheda.
Laboratori dei piccoli mestieri
grale della Bibbia. I due attori Franco
Giacobini e Angela Goodwin la interpretano teatralmente. In questo
periodo abbiamo letto: i Salmi,
Giobbe, i Proverbi, Qoelet, Rut, Cantico dei Cantici, Lamentazioni ed Ester.
Il biblista Giuseppe Barbaglio, ha risposto alle domande sorte agli ascoltatori del testo sacro. Verranno in seguito il prof. J.L. Ska SJ dell’Istituto
Biblico e Daniele Garrone, della facoltà teologica valdese.
Padre Angelo Cupini riceve
la civica benemerenza
del comune di Lecco
Al Teatro della Società il 3 dicembre è stata consegnata ad Angelo
Cupini la Medaglia d’oro: “per la sua
lunga illuminata attività a favore dei
giovani e in particolare di coloro che
vivono la marginalità e il disagio”.
Gabon
Padre Zbigniew Kozlowski
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Dal 4 novembre, il Padre Generale
ha destinato a collaborare con i clarettiani italiani padre Zbigniew Kozlowski, confratello polacco nato il 20
ottobre del 1962, missionario popolare in Russia e in Bielorussia.
A fine anno termina il servizio di
volontario nella missione clarettiana
del Gabon Roberto Bianchetti (nella
foto con alcuni ragazzi al computer).
Sono attualmente in missione
Celestino Panizza e suo figlio Fabio
per una collaborazione agli impianti
idraulici. Il gruppo missionario di
Olcio/Mandello ha realizzato, per
sostenere la missione del Gabon, un
mercatino missionario l’8 dicembre.
La questione
È a conoscenza di tutti che molti giovani del territorio di Franceville,
compresi tra i 14/21 anni - un’età particolarmente sensibile anche per
l’adolescenza - non hanno terminato la scuola primaria e ottenuto il
relativo diploma.
Le conseguenze sul futuro sociale di queste persone (maschi e femmine) è evidente: impossibilità a frequentare corsi di professionalizzazione, ad avere un ruolo responsabile nella società, ad aprire attività
economiche ecc. La loro vita si ferma a questo blocco non superato.
La nostra esperienza di Missionari Clarettiani, presenti dal 1975 nel
Gabon e in modo particolare nel territorio di Franceville, Okondja,
Akieni e Lastourville, ce lo ha fatto toccare ogni giorno. Per questo
abbiamo maturato, in collaborazione con i missionari clarettiani italiani e i loro collaboratori (Procura Missionaria e Mission onlus), la realizzazione di un progetto chiamato “Hibiscus Claret”.
La proposta “Hibiscus Claret”
Offrire a questi giovani la possibilità di un recupero scolastico per
la riorganizzazione del loro progetto di vita personale e sociale, avendo presente le condizioni personali che si sono sviluppate nel tempo:
paternità o maternità, abbandono complessivo del leggere e scrivere,
perdita di relazioni familiari, trasmigrazione dai villaggi alla città.
Siamo anche molto coscienti dei rischi, sempre più evidenti, ai quali
sono soggetti: droga, disorientamento, violenza, solitudine.
Molti giovani vivono nell’incoscienza di questo rischi.
Il progetto “Hibiscus Claret”
Claret è il nome del Fondatore (s. Antonio Maria Claret) dei Missionari Clarettiani.
Il progetto comprende:
1. attività prescolare
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2. scuola primaria
3. laboratori di piccoli mestieri.
Il complesso si trova nel quartiere Dialogue/Franceville.
Dal 2004 abbiamo acquistato il complesso scolastico denominato
Hibiscus.
Nel 2005 abbiamo realizzato tre hangar/laboratori.
Sono stati attrezzati i seguenti laboratori:
Cucito, Informatica, Serigrafia, Ceramica, Stampa.
Sono stati acquistati i materiali per la cereria che attendono la
costruzione dell’hangar.
L’attività prescolare e la scuola primaria funzionano regolarmente
con una équipe di insegnanti.
I laboratori dei piccoli mestieri
È l’elemento di novità del progetto: laboratori attrezzati che permettono, con la guida di una figura competente, di valorizzare le attitudini delle singole persone per:
- un recupero e organizzazione degli interessi
- una organizzazione dei tempi della giornata
- una integrazione tra manualità e intelligenza
- una riscoperta e valorizzazione delle proprie capacità operative
(manuali e non)
- per una presa di coscienza della necessità di progettare il proprio
futuro e di attrezzarsi con strumenti agili
- presa d’atto del costo economico di quanto si produce e dell’effettivo inserimento sul possibile mercato.
La dinamica del laboratorio è quella dell’imparare “facendo”, di
riflettere sul fare per riorganizzare un nuovo modo di operare.
Offerta congiunta: piccoli mestieri/recupero scolastico
La proposta che formuliamo è un corso organizzato in due anni (per
permettere un itinerario personalizzato a seconda delle condizioni personali di studio) che comprende:
- la presa visione della situazione scolastica
- l’individuazione delle capacità manuali e di interesse tra i piccoli
mestieri
- la formulazione di un progetto personale
- l’accompagnamento nella realizzazione del progetto.
Nella giornata i tempi sono organizzati: nel mattino: attività di laboratorio, nel pomeriggio: attività di recupero scolastico.
24
Cosa si vuole ottenere con questo programma
Che i giovani, attraverso l’acquisizione della licenza elementare e
la sperimentazione delle proprie capacità manuali e operative, possa-
no superare il blocco precedente (scolastico e progettuale), possano
maturare scelte conseguenti (scuola professionale o altra), o indirizzi
che garantiscano lo sviluppo della loro persona.
A quanti si rivolge e quando si sviluppa
Pensiamo possano essere accompagnati 50 adolescenti/giovani
durante tutto il periodo scolastico.
Chi interviene nell’accompagnamento
Alcuni insegnanti dell’Hibiscus.
Operatori per i laboratori.
Un coordinatore educativo.
I costi
I Missionari Clarettiani hanno realizzato gli hangar/laboratori e le
attrezzature.
Stanno coprendo mensilmente le figure di animazione.
Dove sia necessario vanno integrate le spese sostenute dagli adolescenti/giovani per:
- trasporto
- acquisto libri e materiali didattici e operativi
- cibo
- cura (possibile) dei figli piccoli.
Cosa chiediamo:
Al Comune di Franceville di:
- prendere atto di questa presenza
- pensarla come una potenzialità per far crescere i propri giovani
- come una risorsa per il futuro della Città e del Territorio
- come un esperimento importante per la Nazione.
Ai Servizi Sociali
- di riconoscere questa presenza
- di lavorare in una integrazione progettuale e operativa
- di collaborare con figure tecniche.
A tutti i lettori di:
partecipare a questo progetto. Per la costruzione manca la realizzazione di una sala polivalente la cui spesa è di 15.000 €.
Chiediamo di:
sostenere lo studio
Con 100,00 € annue per il materiale didattico, viaggio, e pasti per
facilitare la frequenza di ogni singolo ragazzo.
sostenere la vita
Progetto sostegno alla Vita: 200,00 € annui per collaborare a ridurre le difficoltà personali e familiari, soprattutto nella tutela della vita.
Ricordo di Ugo Riva
Ugo era una persona semplice: non c’è niente di straordinario nella
sua vita; ma era nello stesso tempo una persona rara, fuori dal comune. Chi lo ha conosciuto e ha potuto godere della sua compagnia sa
come Ugo sapesse vivere semplicemente la vita di tutti i giorni,
gustandosi fino in fondo ciò che c’è di piacevole, come la buona tavola in compagnia di amici, e di bello, il suo giardino fiorito sopra ogni
cosa, ma anche partecipare alla vita delle persone vicine mettendo a
disposizione senza troppi “se e ma” quello aveva perché ce n’era bisogno, a cominciare dall’intimità della propria casa.
Le immagini familiari
di Ugo Riva
negli ultimi mesi
Ugo è nato a Lecco il 15 maggio 1914, registrato all’anagrafe con una
lunga serie nomi: Ugo, Girolamo, Severo, Domenico, Maria, di cui si
dichiarava ironicamente orgoglioso. I ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza a Chiuso (e a Lecco), negli anni tra le due guerre mondiali erano
tra i suoi preferiti e piacevoli per i (numerosi) ascoltatori che frequentavano la sua casa provenienti da fuori Lecco che potevano così conoscere
le vicende della comunità di Chiuso da un appassionato narratore. Ma
ciò in cui Ugo era veramente specializzato era la storia delle parrocchie
di Lecco, questo anche per competenza professionale; infatti, fin da bambino aiutava il papà Martino nella Cereria San Girolamo, laboratorio artigianale situato in centro Lecco. Ugo era ceraio, lavoro che ha svolto con
dedizione fino alla pensione, quando ha ceduto l’attività alla Comunità di
via Gaggio che ne ha fatto uno dei laboratori in cui erano inserite le persone in accoglienza.
I racconti di Ugo del periodo della giovinezza, del servizio militare fino
alla chiamata alle armi, erano ricchi di umorismo e di entusiasmo per le
sue tre fondamentali passioni: la bicicletta con la quale faceva lunghi
viaggi, soprattutto in montagna, il teatro e il servizio come volontario
della Croce Rossa.
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Ugo, come molti altri giovani di allora, è stato segnato profondamente dagli eventi straordinari della seconda guerra mondiale che ha
vissuto a Genova in servizio come infermiere (senza correre rischi
particolari, precisava sempre). Il ricordo degli episodi, degli incontri
del periodo della guerra era molto vivo nella sua mente: le persone e
gli insegnamenti che il servizio militare e la guerra gli avevano
impartito erano così noti da diventare quasi familiari a chi pranzava
ogni giorno a casa sua. E questo è solo un esempio di come sia preziosa la comunicazione tra generazioni diverse in un contesto convi-
viale e non formale, dove non si danno lezioni ai più giovani ma si
propongono esperienze autentiche.
Gli anni della guerra sono stati importanti per Ugo anche perché ha
incontrato Cristina, che ha sposato il 13 ottobre del 1945, con la quale ha
condiviso sessantun anni di vita.
La vita di Ugo e Cristina ha avuto una svolta alla fine degli anni
‘60 quando Maria Assunta, la loro unica figlia, allora volontaria
dell’Azione Cattolica, ha cominciato a collaborare con padre Angelo
Cupini e con il suo confratello padre Roberto Rocchi, religiosi clarettiani, nell’organizzazione di campi con i giovani e conducendo laboratori di pittura e ceramica.
Con la costituzione, nei primi anni ‘70, della Comunità di Via Gaggio,
una delle prime comunità di accoglienza per tossicodipendenti, la vita di
Ugo e Cristina è stata completamente “rivoluzionata”. Infatti, negli anni
in cui le persone “comuni” si preparano alla pensione, all’idea di una vita
finalmente tranquilla, la loro casa è diventata lo spazio quotidiano in cui
il gruppo comunitario di Lecco si incontrava per il pranzo, oltre che luogo
di accoglienza definitivo o temporaneo di persone in difficoltà.
Ugo Riva
Ripensando a questa esperienza ad alcuni anni di distanza, conti- con la moglie
nua a colpire la modalità con cui Ugo e a Cristina hanno accettato di Cristina
aprire la propria casa. L’hanno fatto e basta, senza sentire il bisogno
di esplicitare ideali, valori, o intenzioni particolari, ma semplicemente facendo spazio, aiutando, perché questo era necessario in un
determinato momento per il bene di alcune persone, ma anche perché questo faceva loro piacere, nonostante la fatica, l’inevitabile
confusione e, soprattutto, nonostante l’esposizione quotidiana agli
occhi e ai giudizi di persone anche sconosciute.
La tranquillità, l’approvazione della gente e i pavimenti a specchio
erano all’ultimo posto nella gerarchia di valori di Ugo che, al contrario, si
rattristava e diventava malinconico quando la casa era troppo silenziosa.
Forse il progetto comunitario degli anni ’70/80 era ingenuo, e probabilmente era invitabile - come è avvenuto a partire dagli anni ’90 - che
l’accoglienza si professionalizzasse, ma resta la certezza che nessun percorso di accoglienza e di aiuto a persone in difficoltà, per quanto professionale, può avere successo senza il calore umano e l’autenticità disinteressata della relazione che persone come Ugo, semplici e rare,
sanno trasmettere.
Gli amici della comunità di via Gaggio
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Lecco. La Casa sul Pozzo
Festa di ringraziamento. 29.10.06
L’architetto Antonio
Spreafico, progettista
e direttore del ripristino
dell’edificio presenta
La Casa sul Pozzo
nel giorno
del ringraziamento
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Abbiamo finito... finalmente si comincia. In questo ossimoro è riassunto il nostro stato d’animo oggi. Tocca a me riprendere alcune
ragioni di senso del recupero di questo edificio.
Qui non si trattava di costruire, il luogo c’era già. Si trattava di
ritrovare qualcosa rimasto silente per decenni: la ragione di esistenza
dell’edificio. La porzione della corte acquistata dalla Comunità non è
l’edificio principale (che sta in fondo al cortile), ma quello di servizio:
ritroviamo quindi qui una prima assonanza: servire ed avere cura è
una connotazione della nostra Comunità.
Questo luogo, sin dalla sua costruzione, oltre trecento anni fa, ha
accolto la fatica di uomini semplici posti a servizio di una attività che
non apparteneva loro. La bellezza di questo edificio era solo celata.
Interventi successivi al suo impianto originale, eseguiti senza un’attenzione alla struttura nativa, ne avevano velata la vera immagine.
Abbiamo così cominciato a togliere tutto ciò che di improprio soffocava la Casa. Siamo andati giù, giù, fino alla sua essenza prima. Ci si
è rivelato così un impianto strutturale limpido e sereno. Da questa
presa di coscienza è partito il progetto. Non vi era alcuna necessità di
esaltare la presenza di questo edificio nella città. L’intervento è stato
così condotto in modo delicato ma chiaro e preciso: ora che ne vedete
gli esiti potete ammirare la bellezza della semplicità che è il vero contenuto ritrovato di questo luogo. La facciata urbana, quella rappresentativa come era d’uso al tempo di impianto della costruzione, è quella
sulla strada: così le è stato dato un colore d’accento rispetto a quella
rurale che dà sul giardino, verso Lecco. L’edificio aveva in origine una
relazione di apertura, a piano terra, verso il cortile che gli è stata
restituita tramite queste porte/finestre scorrevoli. Non aveva invece
una organica relazione con il giardino perché, addossati alla facciata
su quel lato, erano stati costruiti in tempi diversi, alcuni piccoli corpi
accessori per l’uso rurale. Li abbiamo demoliti ed abbiamo aperto
alcune porte finestre per costituire una nuova relazione con il giardino. Si è così ottenuto un organismo che, al piano terra è in grado di
porsi in rapporto con il suo esterno nelle varie direzioni ma con differenti modalità (il portone,le grandi aperture sul cortile, le porte sul
giardino). Addossato all’edificio, nel lato del giardino, abbiamo realizzato un portico con una struttura essenziale, moderna e innestata in
modo coerente all’impianto originale della Casa: il portico ha una propria distinta identità che dialoga, per differenza architettonica, con la
casa; il giardino, che un tempo era un’area molto più vasta e coltivata,
è stato risagomato prima arretrando la recinzione su strada per costituire un marciapiede più ampio su corso Bergamo e poi costruendo
uno spalto ad angolo in terrapieno utilizzabile come piccola tribuna
per le riunioni all’aperto.
Ogni cosa realizzata è stata pensata, condivisa e poi messa in opera: da qui discende che la struttura fisica di questa Casa è metafora e
anticipazione dell’attività che in essa sarà svolta. La Casa è organismo attrezzato per cogliere le opportunità del presente e del prossimo
futuro: l’edificio è cablato e può ascoltare e parlare con il mondo. Il
suo bilancio energetico va nella direzione della sostenibilità del pianeIl portone di ingresso
ta: è stato molto ben isolato termicamente, è dotato di caldaia ad alto Il pozzo
rendimento e basso consumo, ha una batteria di pannelli solari sul La fontana della pace
tetto che ci hanno già fornito acqua calda gratuita in questi mesi a
zero emissioni, ed è predisposta per l’installazione di pannelli fotovoltaici per la produzione autonoma di energia elettrica.
Chi viene qui, manifestando la propria impressione, ha la consapevolezza che questa Casa sia sempre stata qui e sempre sia stata così:
ciò non sminuisce il lavoro fatto ma si trasforma, per noi, nel complimento più bello. Qui ci si sente a Casa perché si è accolti. Questa
Casa è leggera ma presente, può apparire chiusa ma è aperta, ha un
impianto di semplicità essenziale ed una giacitura precisa con le facciate poste nella direzione dei quattro punti cardinali: può divenire
una bussola per questa città.
E infine i segni. La Strada, è il mondo. Il portone, è la possibilità
di entrare, ingresso storico di uomini, donne, carri e animali, nella
corte. Il Pozzo, è luogo dell’incontro, per il sostegno reciproco. La
feritoia, è simbolo di raccolta e convogliamento. L’Ulivo, è approdo di
pace. La Fontana dell’acqua, è la spiritualità. La Carta di Peters,
una egualitaria rappresentazione del mondo. Il Muro della Memoria, raccoglie e dichiara le fonti che aiutano a comprendere le vite, le
scelte le decisioni e le alleanze.
Ritrovare questa Casa ha richiesto molto lavoro e fatica ma il cammino è stato fatto con grande passione. Molti uomini vi hanno lavorato
mettendo in campo le loro esperienze e professionalità. Di loro ricordiamo i nomi, i volti, le mani operose, e le tante nazionalità. Li abbiamo
già riuniti qui per mangiare insieme, per alzare lo sguardo e tutti insieme contemplare il risultato del loro lavoro, i più attenti hanno capito
cosa è già successo qui. Lingue diverse risuonavano in questi ambienti.
Appartenevano a uomini solo apparentemente diversi che lavoravano,
fianco a fianco, nel compimento di un obiettivo comune.
Il risultato, noi crediamo, sia di vera armonia.
Un altro mondo è possibile.
Antonio Spreafico
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progetto grafico: mariangela tentori [Lecco]
Sommario
editoriale
Muhammad Yunus
il banchiere dei poveri
Testimoni e messaggeri
del Dio della vita
Giovani. Storie di vocazioni
Gustavo Pez
Massimo Proscia
Michele Riondino
Giovani vocazioni
alla vita religiosa
e situazione europea
Immagini
La missione in Gabon
Hibiscus Claret. Facciamo il punto
Ricordo di Ugo Riva
Lecco. La Casa sul Pozzo
Festa di ringraziamento.
29.10.06
In copertina: mendicante a Roma.
Foto di Angelo Cupini
chiesa di S. Lucia
del Gonfalone
Quadrimestrale religioso
Nuova Serie anno XVII
n. 3 settembre/dicembre 2006
Autorizzazione del Tribunale di Roma 526/89 del 20 settembre 1989
Direttore responsabile P. Franco Incampo cmf
Direzione Redazione: Chiesa di Santa Lucia del Gonfalone
Via dei Banchi Vecchi, 12 - 00186 Roma - tel. 06 68193368 - ccp n. 35537000
Poste Italiane S.p.A. - Spediz. abb. post.
D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB Lecco
Impianti e stampa: Editoria Grafica Colombo - Valmadrera - Lc