Fascismo e comunicazione di massa

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Fascismo e comunicazione di massa
Fascismo e comunicazione di massa
Per totalitarismo si intende un sistema politico in grado di penetrare in ogni aspetto della
vita politica e civile e di controllare ogni manifestazione della vita dei cittadini; in quanto
regime totalitario, il fascismo tentò di organizzare in modo profondo il consenso dei
cittadini, non solo con la propaganda e la costruzione dell'immagine del regime, ma
soprattutto con la creazione di occasioni di partecipazione: in questo senso il regime fascista
percepì il bisogno di partecipazione da parte della popolazione dopo la prima guerra
mondiale (che era stata una grande occasione di partecipazione per tutti) a cui le classi
dirigenti liberali non si erano dimostrate sensibili.
Il fascismo creò grandi momenti di identità e appartenenza per tutti, bambini e adulti,
adunate, marce, inni, feste di regime, manifestazioni di massa, sfilate di reduci, vedove,
mutilati: attorno al mito della guerra realizzò forme di aggregazione ideale, grandi occasioni
retoriche di creazione di identità, di senso di appartenenza alla nazione e alla memoria della
nazione.
In vista della creazione del consenso, il regime fascista mirò al controllo della vita culturale
italiana; strumento politico amministrativo di tale obiettivo fu il Ministero della Cultura
Popolare, che concentrò la sua attenzione sul rapporto tra cultura e masse, producendo
attraverso i tre mezzi di comunicazione basilare ( stampa, radio, cinema) una profonda
convergenza tra cultura e propaganda. Il fascismo puntò quindi alla creazione di una cultura
di massa, cercando di porre fine al monopolio culturale delineato dalla tradizionale base di
classe medio-superiore. Il regime aspirava a portare la cultura tra le classi popolari,
stimolando l’entusiasmo popolare per la lettura, per il teatro ed introducendo la radio e il
cinema come strumenti per la costruzione del consenso.
“ La massa per me non è altro che un gregge di pecore finché non è organizzata. Non le
sono affatto ostile. Soltanto nego che possa governarsi da sola. Ma se la si conduce bisogna
reggerla con due redini: entusiasmo e interesse".
La radio
Quando il fascismo salì al potere, l’Italia non possedeva ancora una rete radiofonica di
vaste dimensioni; non c’era ancora nessuna emittente che funzionasse continuatamente e la
radiofonia si poteva considerare in via sperimentale.
In Italia la radio divenne un mezzo di comunicazione di massa durante gli anni ‘30, anni di
presunto massimo consenso raggiunto dal regime. Nel gennaio del 1928 il governo concesse
all’Eiar il monopolio di tutte le trasmissioni radio nella penisola. Con il 1930 ogni grande
città aveva la sua emittente e, a partire dal 1933, tutti i programmi importanti erano
trasmessi sulla rete nazionale. Nel 1935 il regime cercò di rifornire di apparecchi radio
anche le zone rurali per inserire i contadini nel circuito del consenso nazionale.
“ Per ampliare l’area di ascolto, che continuava ad essere limitata al ceto medio urbano delle
regioni centrosettentrionali, il governo provvide a che fossero installati numerosi
apparecchi, con relativi altoparlanti, in tutte le sedi delle organizzazioni del partito (a
cominciare dalle case del fascio), nei dopolavori, nelle scuole, negli uffici, nelle caserme,
nei principali ritrovi pubblici. Per raggiungere i ceti contadini si diede vita persino a un Ente
radio rurale. Questo vasto piano di diffusione dei posti d’ascolto assicurò al regime fascista
ampie possibilità di pianificazione del consenso e di mobilitazione psicologica delle masse,
come risultò evidente in particolare durante la guerra d’Etiopia tra il 1935 e il 1936 e,
successivamente, in occasione dell’intervento italiano nella guerra civile in Spagna e fianco
delle forze franchiste. D’altra parte, per rendere permanente l’opera di persuasione e
indottrinamento totalitario attraverso i canali radiofonici, venne stabilito che il controllo sui
programmi dell’Eiar fosse di competenza del Ministero di stampa e propaganda”.
La stampa
Il controllo attuato dal regime sull’ informazione fu possibile grazie all’acquisto da parte
del partito fascista tra il 1911 e il 1925 delle maggiori testate giornalistiche e grazie
all’introduzione degli albi nel 1925. Attuando una censura su cronache nere e di fallimenti
economici, i quotidiani presentavano il periodo fascista come un modello storico di pace
e moralità. Lo stesso accadde anche nei giornali per bambini i cui argomenti erano
strettamente legati all’ideologia fascista (superiorità dei bianchi sui neri, malvagità degli
ebrei ecc.). Nonostante il controllo attuato dal fascismo però, alcuni giornali
d’opposizione come La Stampa e Il Corriere della Sera riuscirono a sopravvivere.
Con le "Leggi Fascistissime" e quelle del 31\12\1925 Mussolini dispose che ogni giornale
avesse un direttore responsabile inserito nel partito fascista e che il giornale stesso, prima
di essere pubblicato, fosse sottoposto ad un controllo. Queste leggi inoltre istituirono
"L’Ordine dei Giornalisti" i cui membri dovevano far parte del partito fascista. Mussolini
creò inoltre l’Ufficio Stampa, che nel 1937 venne trasformato in Ministero Della Cultura
Popolare (Min.Cul.Pop.) Questo Ministero aveva l’incarico di controllare ogni
pubblicazione sequestrando tutti quei documenti ritenuti pericolosi o contrari al regime e
diffondendo i cosiddetti "ordini di stampa" (o "veline") con i quali s’impartivano precise
disposizioni circa il contenuto degli articoli, l’importanza dei titoli e la loro grandezza. A
capo di questo Ministero c’era Galeazzo Ciano, che poi diventò Ministro degli Esteri.
Il cinema
Nel 1925 avvenne la costituzione dell’istituto nazionale L.U.C.E., ovvero L’Unione
Cinematografica Educativa. Questo istituto, i cui cinegiornali venivano proiettati
obbligatoriamente in tutte le sale cinematografiche a partire dal 1926, rappresenta il più
efficace mezzo del regime nel campo dello spettacolo. La tematica più ricorrente diventa
il mito bellico con il conseguente elogio del patriottismo. L’Unione Cinematografica
Educativa divenne il fulcro del cinema e venne posto alle dirette dipendenze del Capo del
governo con l’obbligo della supervisione diretta di Mussolini sui materiali realizzati. Nel
cinegiornale, apertura e chiusura erano dedicate a notizie che riguardavano Mussolini o la
Casa Savoia, mentre all’interno trovavano spazio i documentari dall’estero.
Negli anni '30 nascono gli studi di Cinecittà, il centro sperimentale di cinematografia, gli
stabilimenti di Tirrenia, importanti riviste di cinema. Lo Stato sostiene finanziariamente
l'industria cinematografica e guarda con simpatia, fino alla seconda metà degli anno '30 al
cinema di evasione americano. Il cinema nostrano oscilla tra tentativi di fascistizzazione
in chiave imperiale e lo sviluppo del filone dei "telefoni bianchi". Le sale in Italia erano
parecchie ma non coprivano tutto il territorio nazionale; nacque così il Cinemobile che
proiettava film nelle piazze.