SI CHIUDE Come ogni anno, ci prendiamo le meritate ferie

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SI CHIUDE Come ogni anno, ci prendiamo le meritate ferie
I soci del Circolo Fotografico La Gondola si riuniscono ogni venerdì alle ore 21 presso la Sede Sociale alla Giudecca c/o il Centro Civico
Recapito postale P.O.BOX120 - Venezia, tel. Presidente 041-5237116,
www.cflagondola.it e-mail to: [email protected] - fax 0415237116
SI CHIUDE
Come ogni anno, ci prendiamo le meritate ferie; la
Gondola chiude il 17 luglio per riaprire con il fresco cioè
il 4 settembre.
A tutti i Soci, alle loro famiglie, agli amici e ai lettori
del nostro foglio, un “buone vacanze” per chi vorrà e
potrà andarci.
Ci ritroveremo quasi in autunno riposati e pieni
di energie creative per condurre in porto la mostra
“Around Venice” che sta promettendo molto bene;
a questo riguardo raccomandiamo ai Soci di non
appendere la macchina al chiodo ma di continuare
a scattare in modo da consentirci, alla riapertura, di
avere un’ampia scelta di materiale su cui decidere.
CALENDARIO DI LUGLIO
•Venerdì 3 visione DVD antologico del socio Franco
Furneri.
•Venerdi 10 visione opere dei soci per la mostra
“Around Venice”.
•Domenica 12 inaugurazione mostra “Bruno Bruni
tra Pasolini e la Gondola” al Centro Studi Pasolini di
Casarsa h. 17.30; partenza h. 9 da P.Roma.
•Venerdì 17 Pizza sociale a San Cassian h. 20.30.
FARE ( E DISFARE…..) MONDI
Note sulla 53^ Esposizione Internazionale
d’Arte di Venezia
C’eravamo lasciati due anni fa (come passa il
tempo….), con l’imperativo “Pensa con i sensi-senti
con la mente”, motivo conduttore della 52^ Biennale
diretta da Robert Storr rivelatosi, alla luce dei risultati,
assai debole se l’intento era quello di definire un
qualsiasi percorso dell’arte contemporanea.
Stavolta, lo svedese Daniel Birnbaum, il più giovane
curatore nella storia della rassegna veneziana, la
prende più alla larga sotto l’insegna del “Fare Mondi”
premurandosi di spiegare che come primo obiettivo
ci si è preoccupati di inserire nel monopolio dell’arte
europea e nord-americana anche quei “mondi” - Medio
Oriente, Africa, Asia - normalmente fuori dai circuiti che
contano.
Ne prendiamo atto, anche se nelle ultime edizioni
la presenza del cosiddetto Terzo Mondo era assai
significativa; l’impressione nostra, comunque, è che
restando nel vago si sia cercato anche stavolta un
disimpegno da un qualsiasi progetto, troppo difficile
da realizzare anche per spalle più robuste di quelle di
Birnbaum.
Il fatto è che ormai ognuno va per conto proprio e
cercare nel marasma delle opere un filo conduttore
è pura utopia considerando che mai come in questa
edizione l’affollamento è stato così nutrito: ben 77
paesi, 90 artisti, 44 eventi collaterali!!
Ciò detto, accenniamo alle novità salienti.
Prima di tutto, l’ex Padiglione Italia è ritornato,
com’era in origine, il Padiglione delle Esposizioni e
accoglie le opere degli artisti invitati sul tema.
L’Italia ha il suo padiglione all’Arsenale, Tesa delle
Vergini, con superficie raddoppiata rispetto alla scorsa
edizione, dove gli artisti sono stati invitati a performare
sul tema “Collaudi” di cui parleremo più avanti.
Sempre all’ex Padiglione Italia trova finalmente
definitivo ricovero - così almeno si spera - la parte
documentaria e bibliotecaria dell’Archivio Storico della
Biennale (ben 130mila unità!) in una sede più che
decorosa e funzionale.
Unico neo ma molto grosso, la questua organizzata
dalla Biennale medesima sotto forma di un gazebo
posto poco dopo i cancelli d’ingresso; al fine di
sovvenzionare la tanto attesa riapertura dell’ASAC,
è stato chiesto a chi passava durante i giorni della
vernice – artisti, giornalisti, potenti d’ogni parte del
pianeta – un obolo di venti euri da versare in una teca
trasparente.
Non abbiamo parole…! Un’iniziativa miserevole, da
pezzenti, che ci ha esposto, come se ne avessimo
bisogno, al ludibrio del mondo.
Se per sovvenzionare la nostra malconcia cultura si
deve proprio scegliere la raccolta di fondi, s’inventino
iniziative più decorose e confacenti all’importanza e
al prestigio della manifestazione veneziana; in fin dei
conti non stiamo parlando di una collettiva rionale…
Altre note liete la riapertura della sede storica
della Biennale a Cà Giustinian di fronte alla Salute,
l’inaugurazione del Museo Emilio Vedova alle Zattere
con progetto di Renzo Piano e, se vogliamo inserirla tra
le note liete, anche del Museo d’Arte Contemporanea
di François Pinault negli spazi della Punta della Dogana
restaurati da Tadao Ando.
Per venire ai contenuti, scegliamo fra le non molte
cose davvero interessanti la ragnatela di Tomas
Saraceno all’inizio del Padiglione delle Esposizioni e il
surrealistico nonchè divertente giardino dell’Eden della
giovane Nathalie Djurberg ( premiata con il Leone
d’Argento).
Le cose migliori, però, sono alle Corderie; bella
l’installazione di fili metallici di Lygia Pape, gli specchi
rotti di Pistoletto, i fumetti dell’Uomo Mascherato di Jan
Hafstrom, le gigantesche radici medicinali dette “mani
di Budda” di Huang Yong Ping,
Da vedere il Padiglione Venezia, oltre il canale di
Sant’Elena, dove con molta cura è stata allestita la
mostra “ fa come natura face foco” dedicata al vetro
di Murano; accanto ad una rassegna storica degli anni
’20 e ‘30 con opere di Martinuzzi, Scarpa, Zecchin
e altri mitici, figurano artisti attuali e un’eccellente
retrospettiva dedicata a Toni Zuccheri scomparso
lo scorso anno. Finalmente una buona idea per
valorizzare una produzione di qualità come il vetro
veneziano.
Tra le partecipazioni nazionali segnaliamo quella
polacca con l’installazione, davvero poetica, di
Krzysztof Wodiczko: una stanza scura immersa
nel temporale dove, oltre grandi vetrate appannate
passano silhouettes d’immigrati (?) che discutono, si
azzuffano, s’incontrano, si lasciano, mentre qualcuno
sopra la nostra testa provvede a togliere l’acqua dal
lucernario.
Alle Tese Novissime, ambienti di una tale suggestione
da elevare ad opera d’arte anche un bidé, spettacolare
la performance di Jan Fabre: un uomo scava in un
gigantesco cervello umano semisepolto fra trincee
tipo prima guerra mondiale; la metafora è abbastanza
palese.
Per quanto riguarda la fotografia, dopo la premiazione
la volta scorsa del fotografo del Mali Sidibè, si sperava
che il trend proseguisse; invece di fotografia ce n’è
poca e camuffata nella multidisciplinarietà generale.
Comunque, spendiamo qualche parola per Wolfgang
Tillmans (Padiglione delle Esposizioni) dove accanto a
ipergigantografie di giardini, boschi e piante ornamentali
figurano colorprint policrome in formato A4; il giochetto
vorrebbe significare (così l’abbiam capita noi..) un
approfondimento sulla struttura delle immagini e sulla
loro radice cromatica. Peccato che Mulas l’avesse già
fatto, con il bianco e nero, più di quarant’anni fa…!
Altra presenza rilevante quella della fotografa Miwa
Yanagi, nel padiglione giapponese, che si esibisce sul
tema “La compagnia delle giovani vecchie”.
Qui, in un luttuoso bianco e nero accentuato
dal sepolcrale allestimento, l’artista fotografa e
poi ricompone con il photoshop delle gigantesche
immagini di donne-erinni, dal corpo in parte cadente
in parte florido, a simboleggiare l’eterno contrasto vita
- morte.
Se non altro, si apprezza l’impegno.
Già ampiamente visto il reportage di Luiz Braga nel
padiglione brasiliano. L’autore ci racconta le notti delle
cittadine sulle rive del Rio delle Amazzoni; la qualità
fotografica è decorosa, il tema discretamente svolto,
ma nulla più.
Ci sono anche le mele cotte (o sono pomodori?)
fotografate da Rachel Harrison ( Padiglione delle
Esposizioni), gli interni degli alberghi (Emirati Arabi
Uniti alle Corderie) e poco altro.
Conclusioni.
Molti anni fa il sommo Gillo Dorfles, classe 1910, (lo
abbiamo visto nei giorni della vernice molto pimpante
mentre sorbiva una bibita in campo Santo Stefano..!) a
proposito della Weltanschauung (la visione del mondo)
testualmente affermava:
“..In tempi ancora recenti…la persistenza della
tradizione era un fatto considerato sacrosanto. Oggi
non lo è più. A che si deve questa trasformazione?
A tutta una serie di circostanze che sarebbe difficile
identificare ma che giocano simultaneamente a sfavore
di essa: quello che un tempo costituiva una tradizione
vivente e operante oggi è divenuto quasi sempre falsa
tradizione, mummificazione e feticizzazione di usanze
o istituzioni ormai svuotate di ogni contenuto reale.
Quello che, per contro, un tempo sarebbe stato
spontaneo proliferare di modi nuovi e inediti sopra un
antico ciocco tradizionale oggi è divenuto impensabile
perché reso possibile da quella che potremmo definire
una vera e propria “mutazione” nel senso, quasi
genetico del termine.
La nostra epoca sembra aver subito una mutazione
cosiffatta che ha portato con sé l’impossibilità di
concepire una continuità culturale (nel senso più
ampio dei suoi aspetti etici, estetici,sociali) tra passato
e futuro, tra ieri e oggi”. (Gillo Dorfles “Nuovi riti, nuovi
miti” Einaudi ed. 1965 pag. 96).
La “rottura” con la tradizione, intendendo per
tradizione l’impegno dell’artista attraverso l’abilità
artigianale di dar conto della realtà in cui vive
ricollegandosi al passato, è ormai puntualmente
riscontrabile in ogni edizione della Biennale veneziana,
come in Documenta a Kassel, o Art Basel o dovunque
ci s’impegni in una rassegna d’arte internazionale.
Se paragoniamo quanto viene proposto oggi
con il furore delle Avanguardie d’inizio ‘900 e con
l’impressione che esse suscitarono scagliandosi
contro le ritualità accademiche, ci si rende conto che la
produzione odierna è del tutto impotente ad opporsi ad
alcunché dal momento che non esiste un’antagonista
basata sulla tradizione.
Ne consegue che l’arma migliore in mano agli artisti
d’oggi è la dissacrazione ironica di quanto essi stessi
stanno facendo; non a caso la scelta di materiali,
reperti, simboli della “civiltà” viene fatta senza alcun
riferimento ad un contesto sociale o storico attuale e
se c’è si provvede subito a camuffarlo, a stingerlo, a
confonderlo.
Prevale una creatività fine a sé stessa, un estro
virtuosistico che non ha tuttavia i fondamenti poetici
dell’estetica seicentesca ma tende a rimarcare, se
ancora ce ne fosse bisogno, l’estremo disorientamento
e la confusione morale dei nostri tempi.
C’è però chi ha pensato di porre una pezza a tutto
questo ed è il nostro Ministero dei Beni Culturali il
quale, avvertito del marasma generale, ha ritenuto
che fosse ora di fare un po’ di chiarezza affidando il
Padiglione Italiano a due Beatrice ( Buscaroli e Luca).
Costoro, in perfetta buona fede, si capisce, hanno
colto al volo l’occasione del centenario del Futurismo
(1909-2009) per opporsi alla furia iconoclasta del
“Fare Mondi” con uno scatto d’orgoglioso e cattolico
nazionalismo all’insegna dei “Collaudi”.
Nel padiglione Italia, dunque, venti autori sono
stati invitati a testimoniare l’esistenza, finalmente, di
un fare arte ispirato alla nostra tradizione cattolica e
già che c’erano a riconsiderare sotto nuova luce un
movimento, il Futurismo, anche negli aspetti sinora
più taciuti come, ad esempio, la convinta adesione al
fascismo.
Il tempo, si sa, è un grande medico e anche quello
che una volta era ideologicamente scorretto ora può
essere, neanche tanto sommessamente, riproposto;
d’altronde era o non era ora di arginare lo strapotere
dell’arte di “sinistra”?
Vediamo qualche esempio; Nicola Verlato va sul
caravaggesco e ripropone una nuova versione della
caduta di Saulo in cui al posto del Santo c’è James
Dean, il cavallo è sostituito da un toro ( o un bue…)
mentre sullo sfondo brucia un pozzo di petrolio a mo’
di roveto ardente.
Daniele Galliano ripesca gli spazi agresti e la filosofia
del vivere in montagna fuori delle città tentacolari,
malsane e corrotte, mentre per non dimenticare il
Futurismo Roberto Floreani ci ripropone un pointillismo
fra Segantini, Boccioni e Depero; da apprezzare quanto
meno la pazienza certosina dell’esecuzione.
Gian Marco Montesano è decisamente “nostalgico”
e accanto ad un’infilata di ritratti “del secolo” fra
cui non possono mancare Mussolini, Gentile e altri
culturalmente accreditati presso il regime, c’illustra
il bel mondo del varietà d’altri tempi con le ballerine
scosciate che tanto facevano sognare…altro che le
veline!
Tornando al sacro, Marco Cingolani ha delle visioni
mariane come quella dell’”Immacolata Concezione”
per sua stessa ammissione “psichedelica e seducente”,
poi c’è anche un fonte battesimale in marmo con una
piccola scultura ancora una volta somigliante a James
Dean ( ci spiace di non ricordare l’autore), e così via.
Fra gli “addetti ai lavori”, ma non solo fra quelli, lo
sconcerto è grande; riportiamo, tra i tanti, il commento
di Anna Detheridge (Sole 24 Ore del 7/6 pag. 44
“Salone cattolico o marinettiano?”) che condividiamo
fino all’ultima sillaba:
“La truculenza politica che ha accompagnato la
gestazione del padiglione nuoce a tutti, sconcerta il
pubblico nazionale e internazionale che meriterebbe
più rispetto, ma soprattutto penalizza gli stessi artisti
italiani che fuori dal Padiglione Italia, in Biennale, hanno
sostenuto in maniera più che degna le sorti di un’Italia
pubblica sempre più sgangherata e indifendibile”.
Amen.
Manfredo Manfroi
P.S. Visto che giochiamo in casa, assolutamente
da vedere la mostra “In-finitum” a Palazzo Fortuny,
un percorso nella storia dell’arte dalle origini ai nostri
giorni. Da ammirare anche lo strepitoso restauro della
mansarda del palazzo.
BRUNO BRUNI, PASOLINI E LA GONDOLA
Amico e discepolo di Pasolini, partigiano, fotografo
della Gondola, poeta, docente e sindacalista, Bruno
Bruni (1929-1997) è stato una figura assai poliedrica
nel panorama culturale del Nord-Est.
Lo conoscemmo nel 1995 in occasione di una mostra
della Gondola; qualche tempo dopo lo invitammo al
Circolo per una serata durante la quale ci raccontò
attraverso la sua personale esperienza quel periodo
cruciale che va dalla seconda guerra mondiale al
1960.
Di particolare rilievo la partecipazione assieme
ad altri coetanei alla scuola di San Giovanni, una
frazione di Casarsa, creata da Pasolini per continuare
l’insegnamento a tutti quei ragazzi che a causa dei
bombardamenti non potevano raggiungere il liceo a
Udine.
Quel sodalizio sfociato in innovative esperienze come
la fondazione de “L’Academiuta di lenga furlana”, che
tendeva a fare del friulano una lingua di poesia, e la
pubblicazione della rivista “Stroligut” (piccolo astrologo)
fu una palestra straordinariamente formativa.
Trasferitosi a Venezia nel 1950 assieme alla famiglia,
Bruni, incoraggiato dall’amico Carlo Mantovani,
entrò nella Gondola dove si distinse per una qualità
fotografica che, in una certa misura, riandava alle
esperienze casarsesi e alla lezione di Pasolini.
Ora, in una bella mostra che s’inaugura alle h.
17.30 di domenica 12 luglio presso il Centro Pasolini
di Casarsa, nell’ambito di Spilimbergo Fotografia, è
possibile ritrovare le tematiche di quella straordinaria
stagione e apprezzarne la declinazione fotografica;
composta da 37 immagini provenienti dall’Archivio
Storico del Circolo e dalla famiglia Bruni la mostra
è curata da Manfredo Manfroi e Fabio Amodeo ed è
accompagnata da un catalogo.
NOVITA’ DAL SITO
WWW.CFLAGONDOLA.IT
La fotografia d’apertura del sito spetta questo mese
a Mario Cattaneo (1916-2004) di cui l’Archivio ha
una decina di fotografie donate dall’Autore non molto
tempo prima di morire.
Questo grande fotografo, milanese purosangue, morì
nella lontana India dove aveva trascorso la prigionia
ma che era divenuta quasi la sua seconda patria.
Aveva iniziato a fotografare nel dopoguerra
raccogliendo idealmente l’eredità di Alberto
Lattuada che nel 1940 con “Occhio quadrato” aveva
anticipato l’esistenza di un’Italia minore, umile ma
indiscutibilmente vera e degna di essere raffigurata.
Una tematica in comune con il regista, la prima da lui
intrapresa, fu la Fiera del Sinigaglia, il famoso mercato
delle pulci milanese, dove nei giorni festivi si aggirava
sommessamente- era una persona estremamente
discreta- alla ricerca dei soggetti preferiti.
La sua produzione in bianco e nero si concentrò
nel periodo che va dal 1950 al 1980 prendendo
in considerazione la vita della periferia milanese,
l’Idroscalo, le feste rionali e poi i vicoli di Napoli, forse il
suo capolavoro, a cui dedicò una ricerca durata quasi
dieci anni.
Cattaneo, che fece sempre parte del Circolo
Fotografico Milanese, è una dei più alti esponenti della
fotografia amatoriale che giustamente ne riconobbe i
meriti insignendolo, nel 1991, del titolo di Maestro della
Fotografia Italiana.
Tutta la sua produzione, compresi i negativi, è stata
donata dalla famiglia al Museo della Fotografia Italiana
di Villa Ghirlanda a Cinisello Balsamo.
LUTTI DEL CIRCOLO
Con vivo cordoglio il Circolo La Gondola partecipa
il dolore della moglie signora Laura Martinelli e della
famiglia per la scomparsa, avvenuta in Mestre l’8
giugno scorso, del dott. Leonardo Stroili che fu socio
del Circolo dalla fondazione sino al 1958.
Con uguale cordoglio la Gondola partecipa il lutto dei
famigliari per la prematura scomparsa del prof. Giorgio
Tomaso Bagni avvenuta in Treviso l’11 giugno scorso
in seguito ad una banale caduta dalla bici mentre
percorreva le colline del Montello.
Il prof. Bagni era stato Delegato Regionale della FIAF
prima di Giovanni Bettin incarico che aveva lasciato
perché troppo impegnato nell’insegnamento. Era
docente di matematica presso l’Università di Udine ma
anche, lo ricorda Bettin, uno studioso a tutto campo e
un amante dell’arte e della cultura.
REQUIEM PER KODACHROME
Dopo 74 di servizio, lunedì 22 giugno la pellicola
Kodachrome è stata “pensionata”, nel senso che non
verrà più prodotta.
Non è un capriccio direzionale, ma la dura legge
del mercato; la casa di Rochester ha calcolato che le
vendite di questa pellicola rappresentavano appena
l’1% del fatturato; troppo poco per resistere.
Era stata inventata nel 1935 da due musicisti
Leopold Godowsky e Leopold Mannes ed è stata
per lungo tempo un modello insuperato di nitidezza e
brillantezza cromatica grazie al rivoluzionario metodo
sottrattivo e ai sei strati di cui era composta: tre per i
colori primari (giallo, magenta e cyan) più un filtro per il
giallo e due basi.
Tantissimi grandi fotografi l’hanno usata facendo
sognare milioni di persone in tutto il mondo poiché se
è vero che il bianco e nero rappresenta l’astrazione
e il ricordo, il colore è il simbolo della vita e della
speranza.
Dire che ci mancherà è poco; con essa vengono
messe in soffitta le emozioni, le piccole gioie, le
delusioni che ogni fotografo, grande o piccolo che
fosse, provava ogni volta che con trepidazione ricordate? - apriva quella scatoletta in plastica che
raccoglieva gli appunti di un viaggio o le fatiche di un
reportage e guardava le slides in controluce alla ricerca
della “foto della vita”.
DONAZIONI ALL’ARCHIVIO STORICO
Da Gianfranco Giantin ben 44 fotografie, tra clp e bn,
riguardanti autori diversi, interessati nella sua attività di
gallerista degli scorsi anni.
Da Giorgio Semenzato 34 clp e 7 bn della sua
produzione.
Da Manfredo Manfroi una clp di Cesare Gerolimetto.
A tutti i donatori un sentito ringraziamento.