INSERTO Titolone PEZZI E COL - Istituto Italiano di Cultura Marsiglia

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INSERTO Titolone PEZZI E COL - Istituto Italiano di Cultura Marsiglia
ANNO XVIII NUMERO 232 - PAG II
IL FOGLIO QUOTIDIANO
MERCOLEDÌ 2 OTTOBRE 2013
ANCHE MARSIGLIA HA UN’ANIMA
Nella “Chicago francese” non ci sono soltanto droga, cadaveri e puttane, ma
soprattutto la voglia di rilanciarsi a suon di cultura, outsider e sfumature d’azzurro
di Massimo Morello
L’
Esperanza è un cargo da 9.900 tonnellate di stazza, batte bandiera di uno
staterello caraibico, trasporta merci alla
rinfusa da Tangeri a Marsiglia via Casablanca e Barcellona. Nei bacini del porto
di Marsiglia, primo porto francese e terzo
porto petrolifero europeo, come lei ce ne
sono molte. Ogni anno sono movimentati
100 milioni di tonnellate di merci, un milione di Teu (i container, definiti dalla misura di volume: Twenty-Foot Equivalent
Unit). Sessanta compagnie di navigazione
la collegano a ogni continente. Nel 2012 vi
sono transitati circa 950 mila passeggeri.
Fra tanti traffici legali è facile far passare altri generi di commodity. Marsiglia
sembra essere il terminale della cannabis
che arriva in Europa dal Marocco via Spagna. “Marsiglia è innanzitutto un porto,
uno snodo nella circolazione di esseri
umani e merci – per lo più legali, alcune
illegali. E’ anche un porto con la sua dimensione migratoria, la sua vita notturna,
la sua prostituzione, i suoi bar, i suoi giochi
d’azzardo. Tutto ciò che, in ogni paese del
mondo, fa parte della vita dei grandi porti”. Così ha detto il sociologo Laurent Mucchielli. Questa è una delle spiegazioni del
“fenomeno”, come lo definisce Mucchielli,
dei regolamenti di conti che insanguinano
la città: quindici morti ammazzati nella
guerra tra gang combattuta a raffiche di
kalashnikov. Senza contare gli omicidi comuni, gli accoltellamenti. Anche i tentativi di annegamento. Com’è accaduto alla
Plage des Catalans, piccola ansa sabbiosa
a poche fermate d’autobus dal centro, che
in estate è affollata di bagnanti. Una banda di balordi ha picchiato e tenuto la testa
sott’acqua a un poliziotto intervenuto per
sedare una lite. “Marseille, cité meurtrie”,
città assassinata, ha titolato Libération.
“Marseille: la cité vous prend votre enfant”, ha scritto il Monde. Mettendo assieme le copertine francesi sembrava di leggere i versi di Psy4 de la rime, gruppo rap
marsigliese composto da tre cugini originari delle Comore: “Une ville au bord de la
crise de nerfs… Marseille est une ville
sous haute tension… Racket, Kalashs…
Bienvenue dans le sud-est, Mar-West”.
Il “fenomeno” è stato ripreso dai giornali italiani. “Marsiglia è ‘la capitale europea
della paura’”, ha titolato la Stampa, giocando sul fatto che Marsiglia è capitale europea della Cultura per il 2013 – secondo Time è al secondo posto (dopo Rio) tra le migliori città da visitare. La cultura si mate-
“La città vuole il porto, per il
porto la città è un limite”, dice
uno degli architetti che sta
trasformando Marsiglia
rializza nel progetto di Euroméditerranée,
la più grande operazione di rinnovamento
urbano d’Europa. Destinata a rimodellare
il fronte sul mare e le aree retrostanti, dal
vecchio porto fino all’estremo occidentale
della baia, si sviluppa su un territorio di
circa 480 ettari dove sono stati investiti sette miliardi di euro (1,4 pubblici e 5,1 privati). “La città vuole il porto, per il porto
la città è un limite: Euroméditerranée concilia gli opposti”, dice l’architetto Eric Castaldi, uno degli artefici della trasformazione dei magazzini sul porto in tecnologico quartiere commerciale, e di Le Silo, de-
Marsiglia è capitale europea della Cultura per il 2013, ma nelle ultime settimane ci sono stati molti episodi di violenza, con almeno quindici vittime
posito di granaglie divenuto teatro. I moli
sono sovrastati da una passeggiata che parte dall’ottocentesca cattedrale della Major
e conduce alla Cité de la Méditerranée,
complesso di centri culturali e per il tempo libero. All’entrata del Vecchio Porto –
cui è collegato da una magnifica passerella sospesa – apre il MuCem, Museo delle
Civiltà d’Europa e del Mediterraneo. Ideato dall’architetto Rudy Ricciotti, è una
struttura dentellata che, per i chiaroscuri
che crea al suo interno, è stata definita una
“casbah verticale”. Accanto al MuCem, in
un contrasto che riproduce le frastagliature dei porti, è stato realizzato il Villa Méditerranée. Centro espositivo progettato da
Stefano Boeri, ha la forma di una L rovesciata, poggiata sul trattino più corto, mentre il più lungo si protende verso il mare
come un molo aereo. Si delinea uno skyline dominato dai 147 metri della torre progettata dall’anglo-irachena Zaha Hadid
per la Cma-Cgm, la terza compagnia mondiale nel trasporto marittimo di container.
Accanto, lungo i moli d’Arenc, Jean Nouvel
realizzerà una torre di uffici di 135 metri,
affiancata da altre due destinate a residenze di lusso. Un altro polo culturale, Euromed Center, è stato disegnato da Massimiliano Fuksas e comprende un multiplex
d’intrattenimento concepito da Luc Besson. Nel bacino della Joliette, un tempo
quartiere di transito merci ed equipaggi, si
apre il Frac (Fond Régional d’Art Contemporain), opera dell’architetto giapponese
Kengo Kuma. I segni del cambiamento
s’avvertono anche nel Vieux Port, stretto
tra i forti secenteschi Saint-Jean e SaintNicolas: il piano di Norman Foster e del
paesaggista francese Michel Desvigne lo
rende un’immensa piazza d’acqua circondata da un’area pedonale.
La paura, invece, si diffonde come un virus dai quartieri nord, i più poveri della
città più povera di Francia – il 40 per cento della popolazione vive sotto la soglia di
povertà rispetto al 26 di Marsiglia e il 15
nazionale. Ma non sono paragonabili alla
banlieue parigina, teatro delle rivolte del
2005, né la violenza o la povertà sono confinati in quella zona. “La banlieue di Marsiglia è Saint Tropez” scherza il giovane
Nicolas, che si mantiene a Scienze politiche facendo il pescatore. A Marsiglia, infatti, la distanza dal centro metropolitano
non corrisponde al degrado. “Non c’è un
centro borghese bianco e una periferia di
colore come a Parigi. Basta passeggiare la
sera sul Vieux Port”, ha detto il sociologo
Jean Viard. Bo-bo,“bourgeois bohémien”,
giovani professionisti e immigrati maghrebini ruotano attorno al mondo alternativo
di Cours Julien o della Friche Belle de
Mai, antica manifattura dei tabacchi diventata polo culturale. Si trovano enclave di
miseria in pieno centro e quartieri poveri
nel mezzo dei quartieri ricchi della zona
sud. Sono le cosiddette cité, agglomerati di
palazzi degradati che in alcuni casi sono
totalmente controllati dalle gang: la polizia
non ci mette piede e chi non è conosciuto
è bloccato all’ingresso. E’ qui che si concentrano diseguaglianze sociali e disoccupazione, e il traffico di droga. Secondo il
sociologo Mucchielli è un’altra spiegazione
della violenza. “I giovani senza avvenire e
senza risorse sono pronti a giocare ai banditi”. Tanto più in una città che ha sempre
alimentato “la dimensione immaginaria”
del bandito.
Cultura e paura non sono in contraddizione. Non nelle città-porto, questi snodi
nomadici dove il porto si è creato seguendo la natura del territorio. Metaluoghi dove, al contrario dei non-luoghi come gli aeroporti, uniformati in un mondo sempre
più piatto, la prospettiva va oltre, si esaspera. Non nelle città-porto di quel Mediterraneo che è sfondo dei romanzi del marsigliese Jean-Claude Izzo. “Un Mediterraneo diviso tra bellezza e violenza, tra due
colori: l’azzurro del cielo e del mare e il nero della morte e dell’odio”. Non a Marsiglia, che di quelle città è l’archetipo, così
come Izzo è il maestro del noir mediterraneo, che definisce come una rilettura delle tragedie greche in chiave criminale, la
ricerca di verità in un ambiente segnato
dalla violenza ma anche dalla bellezza,
uno sguardo sul lato oscuro di uno spazio
solare. Il rapporto simbiotico tra la città, il
porto, il Mediterraneo, con tutte le sue connessioni, è all’origine sia del suo fascino
culturale sia dei suoi traffici, delle sue
contaminazioni. “Marsiglia è la Chicago
francese, con le sue strade bollenti, i bordelli, gli omicidi, il racket, la droga… tutto vero, e tutto esagerato”, ha scritto Christian Harrel-Courtès, uno degli autori che
alimentano l’immagine rétro di Marsiglia,
carica d’aria salata, sentori di spezie, battuta dal mistral, il vento di nord-ovest, e
scaldata dal cagnard, il sole.
In bilico tra vita vissuta ed esagerata, verità e finzione, chi ha descritto in modo più
affascinante questa Marsiglia è il giornalista Giancarlo Fusco (1915-1984), nel romanzo “Duri a Marsiglia”. La sua è la città degli anni 30, quella personificata dal
“voyou”, il bandito, da “le cake”, il tipo con
la catena d’oro al collo, e dalla “cagole”, la
sua vistosa compagna. Quella del film
“Borsalino”, con Jean-Paul Belmondo e
Alain Delon nel ruolo ispirato a Paul Carbone e François Spirito, artefici del “milieu marseillais”, di ciò che Mucchielli definisce “le forti radici storiche del banditismo a Marsiglia”. Dopo la Seconda guerra mondiale, tra i 50 e i 60, la storia diviene più violenta con le gang della “French
Connection”, l’organizzazione che gestiva
laboratori di raffinazione dell’eroina proveniente dalla Turchia e riforniva la mafia
italo-americana. E anche a questa è dedicato un film, “The French Connection” (“Il
braccio violento della legge”), interpretato da Gene Hackman. In una reciproca contaminazione culturale, c’è chi spiega la
preferenza dei banditi di allora per i fucili a pompa con la potenza di fuoco dimo-
strata nelle mani di Steve McQueen nel
film “Getaway”. Quell’immagine malavitosa continua ad alimentare esagerazioni ed
equivoci. “La “leggenda” di Marsiglia canaglia è stata creata dal potere centrale e
dai media. E’ una città che ha sempre reclamato la propria indipendenza, non si è
mai omologata alla Francia”, dice Richard
Campana, pittore di scenografie, design industriale e cahiers de voyages che ricordano Hugo Pratt. “Qui vivi in una dimensione
culturale influenzata dal mare. Il mare induce a osservare nuovi orizzonti”. “Città di
marinai in quanto commercianti”, dice Patrick Boulanger, direttore del patrimonio
della Camera di commercio, riferendosi sia
ai marinai greci che fondarono Marsiglia
2.600 anni fa sia a personaggi come Jacques
Saadé, d’origine libanese, proprietario della Cma-Cgm. “Marsiglia appartiene a colui
che viene dal largo”, ha scritto Blaise Cendrars, autore dell’avanguardia artistica del
primo Novecento, uno degli intellettualiavventurieri passati per la caserma della
Legione Straniera (ancora aperta). “Siamo
venuti da tutti gli orizzonti”, è la magnifica
sintesi del giovane Nicolas.
Marsiglia è servita anche per un esperimento politico voluto da Parigi. L’ex presidente Nicolas Sarkozy ha investito sul rinnovamento della città, che avrebbe dovuto
essere la capitale della sua “Unione per il
Mediterraneo”, e ha sostenuto Jean-Claude
Gaudin, sindaco dal 1995 ed esponente dell’Ump. Secondo Gaudin e il centrodestra
l’esperimento non è fallito ma è necessario
maggior impegno da parte dello stato in termini di sicurezza, ossia forze di polizia. Per
l’ala più conservatrice, Marsiglia è in declino per colpa delle precedenti amministrazioni di sinistra che l’hanno trasformata
nella “palude del social-banditismo”. “Nella capitale europea della cultura crolla il
mito della coesione multiculturale e della
diversità”, ha scritto Ivan Rioufol, editorialista del Figaro “neoreazionario”. Per il
Partito socialista, la responsabilità è dell’amministrazione locale, che ha creato le
condizioni socio-economiche dell’emergenza e poi non è stata in grado di affrontarla.
Non del tutto allineata col partito la senatrice Samia Ghali, sindaco del 15esimo e
16esimo arrondissement di Marsiglia (la
gran parte dei quartieri nord) dov’è cresciuta dopo che la sua famiglia era emigrata
dall’Algeria. Secondo la Ghali, ci vorrebbe
l’esercito. L’emergenza sicurezza segna l’inizio della campagna per le amministrative
2014. L’incognita è Bernard Tapie, “Nanard”, come lo chiamano qui, idolo locale
come patron dell’Olympique Marseille, ne-
La paura si diffonde dai
quartieri a nord, dove il 40 per
cento della popolazione vive sotto
la soglia di povertà
gli anni d’oro dei quattro scudetti e della
coppa dei Campioni. Dopo i suoi guai giudiziari (persecuzione, dice lui) è riapparso
a Marsiglia in grande stile acquistando il
più influente quodiano locale, la Provence,
e altre testate della zona, alimentando le
voci di una sua candidatura a sindaco. Lui
nega, ma per molti marsigliesi incarna lo
spirito della città. “E’ una simpatica canaglia”, dice un suo ammiratore incontrato alla Plage des Catalans. “Come Marsiglia. Pochi giorni fa su questa spiaggia hanno cercato d’ammazzare uno. Stanotte suonano
Chopin in riva al mare”.
Una telefonata, il figlio ammazzato, il calcio e lo specchio nero di José Anigo
di Ronald Giammò
“Au village sans prétention,
j’ai mauvaise réputation”
George Brassens
“La mauvaise reputation”
C
erti presagi arrivano nel sogno. Altri
punteggiano il quotidiano senza che si
riesca a intercettarli. A Marsiglia basta un
colpo di telefono. E se ti chiami José Anigo, queste cose le sai. E’ una mattinata d’inizio settembre quando il telefono del direttore sportivo dell’Olympique Marsiglia
si mette a trillare. L’orario è insolito, lui sta
per raggiungere il suo ufficio nella sede del
club, la squadra naviga tranquilla: giornalisti e procuratori si faranno vivi più tardi.
Anigo risponde e dall’altra parte del filo c’è
sua nuora. Si agita, piange, gli dice che suo
marito, Adrien, non è andato a scuola a
prendere i bambini. José prova a calmarla,
poi riattacca e si dice: “Hanno ammazzato
mio figlio”. Poche ore più tardi la conferma
arriverà dalla radio. A restare sull’asfalto
del XIII arrondissement è Adrien Anigo,
trent’anni, un passato di furtarelli e rapine
conclusosi nel 2007 con un arresto poi annullato nel 2010 per un vizio di procedura.
Aveva aperto un negozio di sport, possedeva quote di un grande bar in centro. Era in
macchina, è stato affiancato da due scooter.
Un colpo in testa, uno alla carotide.
Per José Anigo il presagio non ha mai la
leggerezza e la musica delle belle notizie.
E’ un’edera che gli cresce dentro, l’eco di
una voce che viene da un passato distante
35 anni, quando giovane e spaccone incastrava le sue giornate nel quartiere nord
della città e bisognava decidere da che parte schierarsi. Lui scelse Marsiglia. Prima
come calciatore, da pulcino fino alla prima
squadra. Poi come allenatore e infine da direttore sportivo. Il passato però non è un
avversario che si dribbla facilmente. Gli
amici di ieri sono diventati i voyou di oggi:
affari, interessi, richieste. Il nome di Anigo,
ha riferito di recente una fonte della polizia alla Provence, è sulla bocca dell’élite
del milieu locale e le intercettazioni del
2011, disposte per provare i legami tra criminalità e club, hanno solo ufficializzato
ciò che tutti tacevano per pudore. Si sente
la voce di Richard Deruda, nome della criminalità focese, spingere affinché Anigo
procuri un contratto a suo figlio. Il ds tergiversa, dice di aver chiamato dieci club ricevendo altrettanti rifiuti, ma Deruda non
ne vuol sapere, “non farmi girare le scatole”, digrigna tra i denti, “o vuoi che ti rinfreschi la memoria?”. Seguirà una perquisizione nella sede del club: nessuna prova,
solo parole prive di riscontri.
Quello di Deruda è solo uno dei tanti nomi ambigui che gravitano attorno all’Olym-
pique da quando è Anigo a tenerne le redini. Contabilità e commissioni sulla compravendita dei giocatori sono un’esca facile e appetitosa. Avvertimenti anonimi,
estorsioni, minacce di morte tra le nebbie
del porto: a emergere è la faccia di JeanLuc Barresi, famiglia tra le più note in quel
di La Ciotat, un anno speso in carcere nel
2002 e oggi agente di alcuni giocatori. E ancora, Jean-Cristophe Cano e Christophe
D’Amico, procuratori anche loro, al centro
di alcune operazioni di mercato dalle plusvalenze sospette. Tutti conoscono tutti in
questo mondo, ma se vieni da Marsiglia ci
si conosce meglio degli altri.
Facile cadere nelle suggestioni quando è
un nome come quello di Anigo a occupare
le cronache, ma le storie del direttore sportivo dell’OM e quella di suo figlio non potrebbero essere più distanti. Perrine Baglan, corrispondente a Marsiglia per la
BFM Tv, dice al Foglio che “negli ultimi
dieci anni il paesaggio è cambiato, difficile dare una data precisa per questa trasformazione”, ma il grand banditisme che dominava Marsiglia e raccontato da Izzo è stato oggi sostituito da un “neo banditisme urbano e di quartiere molto violento, formato da voyou sempre più giovani e sempre
più armati in lotta tra loro per il controllo
del traffico di droga”. I “vecchi” hanno spostato i loro interessi altrove, nei casinò, nelle corse. Oggi a Marsiglia sbarcano cargo
carichi di tonnellate di droga (venti ne sono arrivate dieci giorni fa da Tolone) e intercettare armi dalle rotte delle rivoluzioni
arabe è sempre più facile ed economico.
Per un kalashinokov bastano mille euro e
se prima il sangue era l’ultima via, oggi è
diventato per molti un biglietto da visita.
La Francia però non resta a guardare.
Marsiglia è sempre stato un “petit caillou”
L’orco Gaudin. Così il Monde ha chiamato in un lungo ritratto pubblicato sabato Jean-Claude Gaudin,
esponente dell’Ump, sindaco di Marsiglia dal 1995 e tra i favoriti per le elezioni dell’anno prossimo
(il sasso nella scarpa) per Parigi. Un recente sondaggio ha rivelato che il 57 per cento dei francesi sarebbe favorevole all’invio
dell’esercito. Più pragmatico è sembrato il
ministro dell’Interno, Manuel Valls, che, rispolverando l’ennesimo programma di riconquista del territorio, ha parlato di un
“approche global” che oltre alla presenza
massiccia e visibile di forze dell’ordine si
occupi anche della riqualificazione delle
aree più degradate della città. “Parole!”,
sbotta parlando con il Foglio Mario Albano della Provence, “per ora si sono visti solo poliziotti”. Difficile invertire la rotta,
cercare di offrire una scelta, quando il tasso di disoccupazione in alcuni arrondissement sfiora il 70 per cento e la paga di una
giornata per lo spaccio di cannabis o cocaina oscilla tra i 150 e i 450 euro.
José Anigo nel frattempo è sparito e l’inchiesta che dovrebbe far luce sull’assassinio di suo figlio, seppur alle prime battute,
è già stata etichettata come una “strada
senza fine”. Sugli spalti del Vélodrome non
si è più visto e i cancelli della sua casa sorvegliata dai cani e protetta da vetri blindati sono ancora inviolati. Ha dichiarato all’Equipe che è vero, “ho una morfologia e dei
tratti del viso che danno di me una cattiva
immagine. Ma non sono l’uomo che è stato
descritto così spesso ultimamente”. Ha negato qualsiasi legame tra l’omicidio del figlio e la sua gestione del club. Nessuna ritorsione dietro a quel gesto. Sì, Adrien era
un tifoso come tanti, veniva a vedere le partite, ma “io ho fatto di tutto per cercare di
tirarlo fuori da quella strada che alla fine
l’ha inghiottito”. Eppure, più che l’immagine – il collo taurino, il cranio pelato come
uno scudo di bronzo, gli occhi luciferini –
sono le parole a tradirlo e a dare credito a
una reputazione che gli si è incollata ad-
dosso. “Oggi ci si ammazza per delle fesserie (conneries, ndr), ma questa è sempre
stata una città che mangia i suoi figli”, ha
chiosato stanco sulle colonne del maggior
quotidiano sportivo di Francia. Nessuna
traccia di pentimento, solo una serena accettazione dell’ineluttabilità.
Infine, fedele al copione della redenzione, ha dichiarato di voler trasformare il suo
dolore in concreto impegno per la città,
specialmente per quei quartieri così ricchi
di un’umanità che aspetta solo di essere
ben incanalata. Si farà vedere, Anigo, scenderà per le vie, sarà a disposizione di chi
vorrà provare a fare qualcosa. Non servono poliziotti. Dopo toccherà alle scuole. Le
rivoluzioni si fanno un giorno alla volta e
per innescarle, da quelle parti, servono solo ammirazione e soggezione e una faccia
alla quale poter credere. Le parole, laggiù,
se l’è sempre portate via il Mistral e Marsiglia la ribelle, la terribile, la fantastica, non
conosce parole che possano domarla. Almeno fino al prossimo trillo.