Definitivo per stampa - Quaderni di ricerca sull` artigianato

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ARTIGIANATO E DESIGN NEL
MONDO POST-MANIFATTURIERO
Michele Trimarchi
Docente di Economia della Cultura (Università di Bologna) e
di Economia e Politica dei Beni Culturali
(Università della Tuscia
Il sistema economico sta attraversando una
fase di radicale trasformazione. I tempi, i modi e
soprattutto gli esiti di un processo intenso e profondo
non si possono prevedere. Ciò che in ogni caso può
fornire utili indicazioni per identificare e comprendere
gli orientamenti di tale processo è il superamento di
un paradigma ritenuto da troppi e troppo a lungo l’età
dell’oro della storia dell’umanità.
Il capitalismo manifatturiero (sarebbe più
opportuno definirlo seriale), generato da un coagulo
di innovazioni tecnologiche e di assestamenti
filosofici, spinto da un club omogeneo desideroso di
sostituire l’aristocrazia ormai cristallizzata, ha di fatto
interrotto un flusso pacato ma solido che – pur nelle
diseguaglianze e nelle forme del ben- essere – forniva
un confortante modello di riferimento e consentiva una
estesa diffusione di aneliti creativi e una sostanziale
condivisione della bellezza.
L’interruzione si è consolidata anche grazie
all’introduzione di un sistema fatto di etichette, di
gerarchie, di qualifiche. La cultura, unica vera carta
d’identità della borghesia capitalistica, ha proceduto
per dogmi e per formalizzazioni, quanto meno nel
dibattito che l’ha trasformata in un driver etico e
imprescindibile che consentiva ai decisori e agli
imprenditori di sentirsi nettamente distinti e superiori
rispetto alla massa magmatica e scomposta dei
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moltissimi subalterni.
Questa deriva piuttosto supponente ha finito
per confinare in un limbo poco attraente svariate
forme di creazione artistica, di produzione materiale
e di decorazione quotidiana che venivano ritenute
inferiori nella caratura e nel significato rispetto all’arte
e alla cultura, che si identificavano – nella vulgata di
una società in fondo compiaciuta – con una lista di
oggetti risalenti al passato, di attività rispettose di uno
statuto estetico ed etico. L’artigianato è stato a lungo
tra le vittime di questo sistema autoreferenziale.
Pur consistendo in un processo con radici
site-specific, con tecniche non seriali e più vicine alla
forgia che non alla clonazione, con una forte capacità
di rappresentazione simbolica e identitaria, è rimasto
dentro la gabbia dell’arte minore soltanto perché
non generato dal titano oleografico in cui la società
ha identificato l’artista creativo, solo e magari un po’
incompreso, matto e povero, delirante e visionario:
una figura mitologica che ha consentito di usare l’arte
e la cultura come un vocabolario ermetico da tenere
segreto.
Naturalmente la fenomenologia del sistema
manifatturiero e, in parallelo, quella del sistema
culturale si sono mosse lungo il canale della
persuasione e dell’imposizione. Slogan contrapposti
hanno descritto a lungo lo schema dello scambio: è
l’impresa a gabbare i consumatori inducendo bisogni
inesistenti, o è il consumatore a dettare legge al
mercato spingendo l’impresa a produrre? E’ l’artista
a generare valori criptici che solo pochi possono
comprendere, o è il fruitore a dare valore alla cultura?
Schemi estremi, come si vede, e per molti versi
surreali.
In mezzo, nella grande area grigia che incorpora
in modo autentico la complessità della realtà, sta un
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modello di creazione, produzione e scambio coltivato
con morbidezza nella bottega artigiana, nel funduk,
negli spazi urbani: prima della rivoluzione industriale
si poteva produrre dovunque (bastava davvero poco,
oltre a una forte propensione creativa mescolata
a un’incisiva capacità manuale); nonostante la
concentrazione dei processi produttivi nell’impresa,
luogo di convergenza degli operai, l’artigianato ha
mantenuto il proprio approccio relazionale e flessibile,
sopravvivendo in un ecosistema culturalmente ostile.
Così, la lettura istituzionale dell’arte – scaturita
per la prima volta dalla famosa controversia tra
Constantin Brancusi e il governo degli Stati Uniti – pur
ritenendo indispensabile la produzione non seriale
dei manufatti artistici si mostra vittima della deriva
etica ed enfatizza i requisiti della mimesi naturale,
della piacevolezza e dell’inutilità come dirimenti.
L’artigianato, originale per sua natura, frutto di un
processo unico e non standardizzato, piacevole
quanto si vuole, tuttavia non descrive la natura e
soprattutto è estremamente utile nei prodotti che non
vedrebbero la luce se non rispondendo a un bisogno.
Bello e utile, anzi bello in quanto utile, e
naturalmente utile in quanto bello. Soprattutto in
una fase di snodo che sta cambiando gli stessi
fondamentali della società rappresentare sé stessi
attraverso gli oggetti di uso quotidiano che ciascuno
maneggia, sistema, ripone e utilizza per seri motivi
concreti risulta essenziale e molto importante. Inoltre
la fonte ultima del prodotto artigianale, qualunque
esso sia, risiede in una relazione e pertanto si basa su
forme di creatività dialogica ed evolutiva: il funduk non
è un negozio e tanto meno un grande magazzino, ma
uno spazio nel quale si pongono a confronto visioni
complementari, si combinano sapienze eterogenee,
si ibridano conoscenze tecniche, urgenze estetiche e
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bisogni materiali.
Se l’artigianato riprende la valenza primaria e
irrinunciabile che ha sempre avuto (e che l’interruzione
seriale ha cercato di sottrargli), nuovi spazi di
significato vengono esplorati con acuta efficacia dal
design, un campo affermatosi grazie alla propensione
poetica di artigiani intellettuali capaci di elaborazione
strategica e filosofica, mantenuto in vita dal ruolo
convenzionale di status symbol, tornato da poco ma
con forza per la sua capacità di coniugare utilità e
responsabilità, tra ambienti familiari e consumi frugali,
senza rinunciare alla dimensione ludica e se si vuole
infantile che possiamo ritrovare tanto in Enzo Mari
quanto in Michele De Lucchi.
Non è più una questione legata al made in Italy
in quanto tale. Mostrare i muscoli per duecento anni
ha sfibrato il sistema culturale del nostro Paese e ne
ha inaridito molte opportunità. Immaginare che lo
scopo del gioco sia attrarre masse entusiastiche da
tutto il mondo, o addirittura recapitare loro prodotti
dei quali non potrebbero fare a meno è una svista
notevole. L’efficacia delle cose belle e utili non
deve aspettarsi documenti d’identità o biglietti di
viaggio per sentirsi bene; la relazione di fondo deve
consolidarsi nel territorio, con quella comunità estesa
e variegata che respira l’atmosfera creativa, che si
muove in aree di permeabilità emotiva, cognitiva e
produttiva rispetto alle fucine e agli atéliers in cui le
cose vengono forgiate.
Se la relazione con la comunità è solida, il che
può scaturire dalla capacità funzionale e simbolica
delle cose create e prodotte, allora il resto del mondo
non potrà che percepire il valore e l’importanza delle
cose stesse; dalle imprese ai turisti, dai commercianti
ai possibili consumatori di ogni luogo certamente
la produzione artigianale e di design che possieda
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la ricchezza infungibile dell’elaborazione e della
fabbricazione capace di raccontare il territorio e la
comunità genererà una cascata di effetti sulla società
e sull’economia locali, anche attraverso la diffusione
esterna, la partecipazione convinta, l’innervamento
dei propri empiti creativi in ulteriori processi e prodotti.
Sarebbe davvero utile che il resto della
produzione e dell’attività culturale (dalla conservazione
dei beni monumentali e delle collezioni museali
alle rappresentazioni teatrali, musicali e di danza)
guardasse all’artigianato e al design come ai comparti
verso i quali convergono con elegante intelligenza e
con umile visionarietà tanto le risorse creative quanto
i bisogni materiali, tanto le capacità relazionali quanto
le urgenze poetiche. E’ la mappa del mondo che verrà,
che in parte si sta già manifestando in ambiti magari
non convenzionali ma significativi. L’artigianato, così
come il design, non ha più bisogno di accreditarsi con
aggettivi in definitiva tautologici (l’artigianato d’arte
con cui si stabiliva l’ennesima gerarchia): è il sistema
produttivo meno rigido, più fertile, più capace di
interpretare il corso delle cose senza pretese elitarie,
regalando la bellezza e l’utilità a chiunque, dovunque.
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