Il catalogo della mostra sugli spazzacamini

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Il catalogo della mostra sugli spazzacamini
Spazzacamini
della
Val Verzasca
Adattamento per le scuole del catalogo della mostra sugli
spazzacamini curato da Carla Rezzonico Berri nel 2006-2007
Foto: Como, Natale 1906 (1907?). Piccoli spazzacamini di Vogorno. Da
sinistra Fiorente Gamboni, Stefano Mozzettini, Salvatore Moranda di
Vogorno (Propr. Ines Gamboni e Elsa Morini Gamboni, Vogorno)
Indice
Gli spazzacamini della Val Verzasca .................................................................................... 2
Una valle povera...............................................................................................................................2
Emigrazione periodica dello spazzacamino .....................................................................................2
Dove emigravano?............................................................................................................................2
Quando emigravano e come lavoravano? ........................................................................................2
Dove alloggiavano? ..........................................................................................................................3
Quanto guadagnavano? ....................................................................................................................3
Il lavoro infantile ...................................................................................................................... 3
Le opere benefiche ...........................................................................................................................3
Le conseguenze del lavoro minorile.................................................................................................3
La "scuola di Palermo" .....................................................................................................................3
Testimonianze ............................................................................................................................ 5
Il gergo degli spazzacamini ( el tarom di rüsca ) ............................................................... 6
Portafortuna o portaguai? Tra mito e folclore ................................................................... 7
Gli spazzacamini della Val Verzasca
Una valle povera
La Valle Verzasca ha conosciuto nei secoli scorsi periodi di forte povertà, essendo le sue risorse
insufficienti per le necessità della popolazione. Come nella maggior parte delle valli alpine, molti
erano costretti a lasciare il proprio paese per cercare lavoro altrove.
Emigrazione periodica dello spazzacamino
L’emigrazione periodica più diffusa in Verzasca era quella degli spazzacamini, che coinvolgeva
in larga misura anche bambini e ragazzi. I protagonisti di questa emigrazione sono ormai
scomparsi e le testimonianze rimaste sono rare.
L'emigrazione periodica dello spazzacamino era:
•
complementare alle attività agricole perché svolta dalla popolazione maschile durante il
periodo invernale
•
non necessitava di una preparazione professionale particolare, né di un lungo
apprendistato e nemmeno di costose attrezzature
•
non esigeva lunghi spostamenti perché vi era richiesta da regioni relativamente vicine
(Milano, Como e dintorni)
•
si tramandava di padre in figlio
Dove emigravano?
Il fenomeno non riguardava solo la Verzasca. Altri spazzacamini partivano dalle Centovalli
(soprattutto da Intragna), dalla Valle Maggia (specie da Cavergno), da Brione sopra Minusio, in
misura minore dal Gambarogno, dal Bellinzonese, dal Pedemonte e dall’Onsernone. Nutrita la
presenza di maestranze del Grigioni italiano, soprattutto di Mesocco e Soazza. Conoscevano
questo tipo di emigrazione anche il Piemonte (Val d’Orco, Vigezzo, Cannobina), la Val d’Aosta
e il Trentino, e alcune regioni francesi, in modo particolare la Savoia.
I paesi in cui veniva esercitata l’attività erano:
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l’Italia (soprattutto la Lombardia, meta dei verzaschesi, e il Piemonte, dove si recava
buona parte degli spazzacamini delle Centovalli)
la Francia (i valmaggesi si recavano a Parigi, a Lione e in altre cittadine)
l’Olanda (dove l’emigrazione degli spazzacamini provenienti da Brione sopra Minusio fu
particolarmente fiorente).
Altre destinazioni furono l’Austria, l’Ungheria, la Polonia, la Boemia, la Germania.
Quando emigravano e come lavoravano?
Gli spazzacamini verzaschesi partivano all’inizio di novembre, terminati i lavori agricoli, e
rientravano in primavera. Svolgevano il loro lavoro soprattutto nell’Italia settentrionale, in
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particolare in Lombardia e in Piemonte. Erano organizzati in piccoli gruppi: un adulto
(“padrone”) accompagnato da alcuni bambini di 7-8 anni, che gli venivano affidati dai genitori
ed erano ritenuti particolarmente adatti al mestiere per l’agilità e la corporatura smilza che
permettevano loro di salire nelle canne fumarie. A loro toccava il lavoro vero e proprio, che
consisteva nel grattare con l’apposito attrezzo (la “raspetta”) le pareti del camino, reggendosi con
le gambe, la schiena e i gomiti.
Dove alloggiavano?
Quando si trovavano in una città o in un borgo, i “rüsca” trovavano alloggio in un locale comune
con un giaciglio. Spesso però l’alloggio era di fortuna (un cortile, una stalla). Quanto al cibo,
quasi sempre frutto di elemosina, variava dal piatto di minestra al pezzo di polenta o di pane. In
ogni caso il padrone era attento che i suoi garzoni rimanessero esili per meglio compiere il loro
lavoro.
Quanto guadagnavano?
I dati sul guadagno di uno spazzacamino sono molto diversi a seconda delle fonti. Per la seconda
metà dell’Ottocento si parla di 4-500 franchi per una stagione di un padrone e di 5-6 scudi per il
garzone. Altre testimonianze parlano di stipendi progressivi (un vestito da lavoro e 50 franchi il
primo anno, 80-100 i successivi). Ai ragazzi veniva spesso addebitato anche il magro vitto e il
misero alloggio.
Quella dei bambini spazzacamini era però una condizione particolarmente dura: lontano dagli
affetti e immersi in una realtà assai diversa da quella in cui erano cresciuti, pativano il distacco e
provavano nostalgia; obbligati ad un lavoro faticoso, esposti al pericolo di cadute e incidenti (si
ricorda che un barcone s’inabissò nel Verbano con a bordo una ventina di ragazzini di Intragna e
della Verzasca nel novembre 1832) e dannoso per la salute (le testimonianze raccontano del
terribile senso di soffocamento provato nel risalire la cappa del camino, del freddo patito, delle
ferite ai piedi), vivevano ai limiti del vagabondaggio, costretti a mendicare, ed erano per questo
sprezzati ed umiliati.
A ciò si univano lo sfruttamento economico (i padroni confiscavano guadagni ed elemosine) ed
il maltrattamento fisico e psicologico:
"Non avevo più padre perché mi aveva proibito
di dir con gli altri che ero suo figlio... e così lo
dovevo chiamar padrone. Egli sgridava e
batteva me per insegnare agli altri; sapeva che
non mi sarei mai ribellato e poi dovevo far la
spia, nei confronti dei miei compagni".
“A volte il padrone mi dava un secchiello per
chiedere un po’ di minestra. La gente me
l’offriva volentieri ma voleva che la mangiassi
sul posto; io dovevo rifiutare e perciò, tornato
dal padrone a mani vuote, venivo ancora
picchiato”.
 Gottardo Cavalli, Diario di uno spazzacamino,
Archivio di Stato, Bellinzona
 Celeste Mozzetti, da Lafranchi-Branca, op. cit.
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"Non era raro che il ragazzino tentasse la fuga o
fosse abbandonato dal suo padrone: Bassano
Maggetti di Intragna, circa 10 anni, viene
trovato sfinito a Menaggio (1846); Giuseppe
Silacci di Magadino è arrestato per
vagabondaggio a Parma nello stesso anno; la
stessa sorte tocca ad alcuni ragazzini in
Francia. Ma la vicenda più tragica è quella di
Michele Rusconi di Brione Verzasca, dieci anni,
morto nel Comasco nel 1861 a causa delle
percosse ricevute dai suoi padroni, due
vogornesi poco più che trentenni, in seguito
arrestati e condannati".
 Ceschi R., Spazzacamini abbandonati e fuggitivi,
in Verbanus 26, Verbania 2006
I più deboli, ancora una volta, gli orfani:
“Radunatasi oggi (19 settembre 1891, ndr) sotto
la presidenza del Signor Berri Carlo Sindaco,
presenti lo stesso, i Signori Municipali Mozzetti
Carlo, Maggini Salvatore, Marra Bartolomeo,
Scilacci Giuseppe, Torroni Francesco. Visto che
i figli del fu Gamboni Battista accaduti
indigenza a carico del comune e quindi si
risolve a voti pieni di confidare i sudetti figli al
più alto offerente e al più onesto per il mestiere
del spazzacamino onde trattarli i sudetti figli
moderattamente bene e devono essere sotto a
posto a qualunque cosa vito e vestito e devono
rittornare vestiti all’ultima della staggione e se i
ragazzi si malano di più che giorni 15 deve
essere responsabile il comune. Uno per ordine
Municipio venne fidato al signor Berri Giacomo
fu Giuseppe per fr. 134.-, l’altro venne affidato
al signor Decarli Giuseppe di Innocente per fr.
134.50”.
 Archivio comunale di Vogorno, in LafranchiBranca, op. cit.
Il lavoro infantile
Il lavoro era, per l’infanzia dei secoli scorsi, una condizione normale e comune. Già in tenera età
i bambini svolgevano mansioni di aiuto all’attività degli adulti. Nelle vallate alpine quali la
Verzasca esse consistevano nelle faccende domestiche, nella cura dei bambini più piccoli, nei
lavori rurali (moltissimi i pastorelli). Come ancora oggi in molte parti del mondo, i bambini
lavoravano a fianco degli adulti mettendo spesso in pericolo la salute e la loro crescita.
Nell’Ottocento, con l’aumento delle case borghesi, crebbe anche la richiesta di manodopera e
con essa l’impiego di bambini, affidati dai genitori ad un adulto-padrone, a volte un parente o un
compaesano, a volte un estraneo che cercava i suoi aiutanti nei paesi più poveri.
Se per i genitori la partenza di un figlio, seppur dolorosa, rappresentava la prospettiva di un
piccolo guadagno e quella di una bocca in meno da sfamare durante l’inverno, per i reclutatori
spesso era l’inizio di una stagione fruttuosa: a loro rimaneva buona parte del ricavato della
pulizia dei camini a cui si sommava il provento della vendita della fuliggine quale concime. Ai
genitori dei garzoni, a fine stagione, veniva consegnata solamente la piccola somma pattuita.
Le opere benefiche
La condizione dei piccoli spazzacamini non passava inosservata: nella seconda metà
dell’Ottocento nacquero a Milano (1869) e a Torino (1873) delle Società di patronato.
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Queste associazioni avevano lo scopo di migliorare le loro condizioni di vita, fornendo cibo,
vitto e, quando possibile, anche istruzione. In occasione del Natale veniva offerto inoltre un lauto
pranzo.
Queste istituzioni, laiche, saranno seguite da altre di carattere religioso (“Opera Pia
Spazzacamino” a Milano e “Pia Opera di Istruzione e Beneficenza Spazzacamini” a Torino).
Anche in Ticino si ricordano pranzi domenicali e natalizi offerti in conventi, istituti religiosi o
alberghi.
“Poi c’erano le opere di carità. Dal vescovo c’erano le suore misericordine che alle 11 davano la minestra;
anche presso gli istituti S. Anna e S. Giuseppe si poteva avere un piatto di zuppa”.
 Carlo Berri di Carlo, 1901-1993, Vogorno (testimonianza inedita)
Le conseguenze del lavoro minorile
Le opere benefiche misero il dito nella piaga della condizione misera in cui i piccoli
spazzacamini si trovavano. Sfruttati e spesso maltrattati, veniva loro negata anche la possibilità
di istruirsi.
La scolarità mancata era un’altra grave conseguenza del lavoro infantile. I bambini spazzacamini
frequentavano la scuola per brevi periodi e non acquisivano neppure le competenze di base della
lettura e della scrittura.
Nonostante il decreto del Consiglio di Stato del 30 agosto 1873 che vietava “di affidare a
qualsivoglia persona, giovanetti minori d’anni 14 per condurli all’estero per l’esercizio del
mestiere di spazzacamino” (ma l’anno successivo il limite fu abbassato a 12 anni), molti
bambini verzaschesi continuarono a emigrare e a non frequentare regolarmente la scuola.
La "scuola di Palermo"
L’istruzione doveva però essere sentita come necessità da parte di alcuni, se già nel Seicento un
gruppo di emigranti di Lavertezzo, che la tradizione dice spazzacamini, fondò in Sicilia una
“scuola di Palermo”, società nata per sostenere i compaesani nei loro percorsi d’emigrazione ma
attiva anche come scuola in valle, dato che col suo capitale fu possibile erigere un beneficio
cappellanico, assicurando un maestro che facesse scuola ai ragazzi.
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Te s t i m o n i a n z e
“Il lavoro era faticoso, ma ciò che
maggiormente detestavo era chiedere la carità.
(...) In ogni casa dovevo chiedere un pezzo di
pane e possibilmente anche formaggio. Spesso si
chiedeva anche un bicchiere di vino per far
“andar giù la fuliggine”: lo si lasciava però sul
tavolo affinché il padrone, quando veniva ad
incassare i soldi, potesse berlo”.
“Partii all’età di 7 anni con mio padre.
Andammo a piedi fino a Rivera Bironico, per
non pagare il treno, poi fino a Chiasso con il
treno, poi di nuovo a piedi fino a Como. (...)
Quando pulivamo un camino dei panettieri,
ricevevamo un franco (e qualcosa in più
talvolta). Normalmente dai 50 agli 80 centesimi.
La fuliggine, che tenevano in un magazzino, era
venduta a fr. 4.50 il quintale.”
“Nel 1915 e 1916 sono partito da Vogorno per
fare lo spazzacamino. Era tempo di guerra e in
Italia non si poteva andare, così che abbiamo
girato tutto il Ticino, naturalmente a piedi. In
quattro mesi di lavoro, si pulivano sei, sette
camini al giorno, si guadagnavano 250-300
franchi. Partivamo da Vogorno di notte per
attraversare Gordola quando era ancora buio,
perché avevamo vergogna a farci vedere.
Portavamo un sacco a tracolla mezzo vuoto e gli
arnesi. Vestivamo dei pantaloni di fustagno,
senza mutande, un giupponcino, una camicia e
un gilè di stoffa. (...) Era indispensabile infilare
la testa in un sacchetto di tela, che avevamo con
noi, per evitare di respirare fuliggine. Ero
sempre io a salire nelle canne fumarie. Di notte
dormivamo sotto qualche porticato coricandoci
sopra stramaglia di castagno. (...) Quando
potevamo dormire in una stalla era un lusso.
Non comperavamo mai nulla da mangiare;
vivevamo di elemosina. Il sabato e la domenica
chiedevamo la carità nelle ville dei signori o
negli istituti religiosi e rimediavamo quasi
sempre qualcosa(...).”
“Da ragazzo io andavo a fare lo spazzacamino,
la prima volta che sono partito avevo 8 anni.
(...)La gente con noi spazzacamini, con noi
bambini, era brava, ci dava la minestra la sera e
a dormire ormai si andava nelle stalle(...).”
“Sono partito a 15 anni, si partiva circa dopo i
Santi, in quel periodo dell’anno lavori a casa
non se ne poteva fare. (...) Si rimaneva in giro
fino agli ultimi di gennaio e anche più. (...)
Quando ho incominciato con il povero pà son
rimasto tre giorni prima di mangiare (...) ero
timido e avevo vergogna di cercare il cibo. (...)
Una volta a Morbio Inferiore mio fratello non
riusciva più a uscire dalla canna del camino
perché ad un certo punto la fuliggine era
talmente tanta che aveva bloccato l’apertura in
basso.”
 Celeste Mozzetti, 1888 -1977, Gordola-Vogorno
(testimonianza tratta da Lafranchi-Branca L.,
L’emigrazione degli spazzacamini ticinesi 18501920, 1981)
 Carlo Berri di Battista, 1901 Vogorno-deceduto in
California (da Lafranchi-Branca, op. cit.)
 Carlo Berri di Carlo, 1901-1993, Vogorno (“A
colloquio con uno degli ultimi spazzacamini della
Verzasca, di G. Rezzonico, in Eco di Locarno, 30
marzo 1985)
 Stefano Gamboni, 1895-1981, Vogorno (da Binda
F., I vecchi e la montagna, Locarno 1983)
 Elvezio Mozzetti, 1911-2000, Vogorno (da
Binda, op. cit.)
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"Como li 7 Novebere 1883Carissimi mio pader
Io vego a farvi sapere la notizia di nio nio
siamo rivati ala sira dellunedi a Como a
dormire siamo al Cobi di Bedolla. La cassa sono
quella di lan pasato. Mi vi dico si vi torovo un
garzone picolo (...?) a diceber per me io il (...?)
maderete da per lui insieme a vi atir sulago e mi
(...?) tagono a Como mi col Carlo non posono
stare a Como perché lo bandito che non è buono
se quello de la mozete che venuto a cassa se ne è
cordato Codatolo pure per me mi sta gono a
Como tuto liverno. non no pinenente di dirve che
salutarvi tutti di vero core Adio Adio Adio tutti
Adio cussatemi che lo mal scrito".
 Lettera di Gamboni Serafino, propr. Luigino
Berri, Gordola
"Como il 7 novembre 1883
Carissimo mio padre, vengo a farvi sapere
nostre notizie. Noi siamo arrivati la sera del
lunedì a Como, dormiamo da Bedolla. La casa è
quella dell’anno scorso. Vi dico (?) se potete
trovare un garzone piccolo, prendetelo per me
in dicembre (?), lo manderete da solo (insieme
agli altri) sul lago. Io sono a Como con il Carlo
(?) non possono stare a Como (?) perchè non è
buono (?)
Se quello dei Mozzetti che è venuto a casa (?),
cordatelo (=prendete gli accordi) per me, sono
a Como tutto l’inverno. Non ho più niente da
dirvi, se non salutarvi tutti di vero cuore. Addio
Addio Addio a tutti Addio. Scusatemi il mal
scritto.
Trascrizione della lettera:
(Trascrizione di Sandro Bianconi, Carla Rezzonico
Berri)
I l g e r g o d e g l i s p a z z a c a m i n i ( e l t a r o m d i r ü s ca )
Come in altre professioni ambulanti, anche gli spazzacamini avevano un loro gergo, che
permetteva di comunicare all’interno del gruppo senza farsi capire dagli altri e rafforzava i
legami di solidarietà, ma contribuiva nel contempo ad acuire l’emarginazione a cui già il
mestiere li condannava.
“Il dialetto degli spazzacamini lo si usava per
non farsi capire dalla clientela. Era un
linguaggio, il tarom, che parlavano solo gli
spazzacamini tra di loro. La gente a volte ne
aveva a male, perché non ci capiva: ma ogni
mestiere aveva il suo gergo. Era un segreto.
Quelli che avevano fatto lo spazzacamino, il
tarom lo parlavano perfino nei ranch della
California. Per esempio, per dire al garzone di
tacere il padrone gli diceva “tapabüsc che la
galmiss er minoscia” che significa “taci che la
padrona di casa ci capisce”, se era un uomo “o
galmiss el bacol”.
 Carlo Berri di Carlo, 1901-1993, Vogorno
(testimonianza inedita)
Italiano → taròm
acqua → nòga
berretto per coprire la testa → caparüscia
bottiglia → terlinghign
camicia → lima
camino→ péscia
cappello → rocc
carne → strifola
casa → ciabòta
formaggio → smalz
fuliggine → rüfa
grappa → lüscia
latte → sgüroo
letto → stòzz
medico → sbògia
minestra → bosona
padrone → faisc
pane → strisic
pantaloni → tiranti
polenta→ mognaga
raspa → nòla
scarpa → sciarbator
scopino → lipign
spazzacamino → rüsca
vino → boscioro
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Ram(a) er redis: chi i locarna büsc söli. → Spazzalo in fretta il camino: qui non pagano bene.
Rüschela sölia er péscia, chi i scaglia er bosona e el cobi. → Spazzalo bene il camino, qui ci
danno la minestra e da dormire.
U gh’a sgöizza el gliöö: dagh una gnapa da bosona col frost. → Ha fame il ragazzo: dagli una
scodella di minestra col pane.
 Ottavio Lurati-Isidoro Pinana, Le parole di una valle: dialetto, gergo e toponimia della Val Verzasca, Lugano
1983 (da una ricerca di Clemente Gianettoni (1890–1919) del 1912 pubblicata nel Bollettino storico della Svizzera
italiana (1951), rivista e controllata da Lurati con l’ausilio di alcune fonti orali, tra cui Giuseppe Bordoli e Piero
Berri di Vogorno.
Por tafor tuna o portaguai? Tra mito e folclore
Le immagini dello spazzacamino sorridente sui biglietti di auguri di Capodanno e di quello
lacero che allunga la mano chiedendo la carità nelle fotografie di fine Ottocento ben
rappresentano i due estremi che questo personaggio ha assunto nell’immaginario popolare.
È sporco, emarginato, escluso. Esercita un lavoro umile, faticoso, pericoloso, di cui ci si
vergogna. Il suo tenore di vita è basso, è un miserabile, un mendicante, un girovago che desta
sospetto, che potrebbe rubare o fare del male, un intruso che entra nelle case.
Ecco alcuni modi di dire e canzoncine derisorie comuni a molti paesi ticinesi, raccolti al
Centro di dialettologia e di etnografia a Bellinzona, nel materiale del Vocabolario dei Dialetti
della Svizzera italiana:
“Scpazzacamign, roba quattrign”
“Spazacamin / roba quatrin / dorm in la paja / brutta canaja”
“Spazacamin, spazzam ur cü per un quatrin”
Dire "come un spazacamin” poteva significare: sporco, malvestito, grossolano, nero,
malmesso, brutto, puzzolente.
Non mancava la minaccia ai bambini “Sa vött mia sta quadign / at vöi fà portà vè ad lo
spazacamign” (se non vuoi stare quieto, ti faccio portare via dallo spazzacamino) e il monito
“Ti duvarisu naa a faa u spazzacamegn” (dovresti andare a fare lo spazzacamino... per
imparare a comportarti bene).
Un altro detto sottolinea la diffidenza che si nutriva verso questi ambulanti: “Quand u canta
ur cuk chel di ialt amm mangiò er nòs ar ghem tüt” (quando canta il cuculo - aprile - quello
degli altri l’abbiamo mangiato, il nostro l’abbiamo tutto: gli spazzacamini sembrano poveri
ma in realtà a casa loro stanno bene).
Però lo spazzacamino con il suo lavoro permette di evitare gli incendi e come tale gode di
prestigio, soprattutto negli stati nordici e dell’est europeo. La sua fama di portafortuna viene
da lontano: probabilmente la si deve agli spazzacamini in Olanda, che inviavano un biglietto
di auguri per Capodanno quale accompagnamento al conto del lavoro reso ch’era
consuetudine presentare in quei giorni.
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Ma potrebbe anche essere dovuta alla straordinaria capacità dello spazzacamino di muoversi
tra il buio e la luce, tra l’infinitamente piccolo, stretto, angusto e l’immensità del cielo: una
dimensione mitica. In Italia i bambini portafortuna erano invitati dalle famiglie benestanti per
le festività.
“Così arrivò Natale. Quel giorno, come il
primo dell'anno non mangiammo polenta...
eravamo invitati, com'era l'usanza, a casa di
un conte o di un ricco proprietario... non era
permesso lavarci la faccia, dovevamo servire
da porta fortuna, sedersi ad un tavolo con
tovaglia bianca, con tutti i cibi che si
voleva... non una parola che avesse un senso,
che comprendesse la nostra misera
situazione. Ben più valeva quel pezzo di pane
o il piatto di minestra che ci veniva dato da
povera gente... dato con spontaneità, senza
nulla pretendere... invece quei ricchi
pretendevano con quel pranzo, fortuna e chi
sa quali altre cose”.  G. Cavalli, op. cit.
Riduzione dei testi originali di Carla Rezzonico Berri, curatrice della mostra e del catalogo sugli spazzacamini al
Museo di Val Verzasca.
Altra documentazione può essere scaricata dal sito del museo
Museo di Val Verzasca
6637 Sonogno
+41 91 746 17 77
www.museovalverzasca.ch
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