Il piccolo ebreo che visse in un bordello
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Il piccolo ebreo che visse in un bordello
la Repubblica DOMENICA 15 SETTEMBRE 2013 R CULT ■ 48 Le critiche degli altri La tortuosa via di Obama per andare in guerra ANGELO AQUARO essuna via della guerra, negli Usa, è sembrata tanto tortuosa quanto quella seguita da Barack Obama: seppure lastricata di buone intenzioni. La via della guerra è il titolo del libro di Marvin Kalb che non a caso il Washington Post definisce “puntuale”: e non solo per la tempistica. Kalb è un piccolo mito del giornalismo Usa, uno degli ultimi “Murrow’s Boys”, i ragazzi cresciuti alla corte tv di Edward Murrow, il conduttore famoso grazie a Good Night, and Good Luck di George Clooney. L’ultimo presidente a chiedere una N Così si può salvare la Laguna di Venezia n grande amore per il luogo e una meditata e colta passione hanno spinto Lidia Fersuoch a scrivere questo piccolo libro sulla Laguna di Venezia. È un libro competente e battagliero, come altri della collana dell’editore Corte del Fontego intitolata “Occhi aperti su Venezia”. Fersuoch, presidente di Italia Nostra, mette in guardia dalle conseguenze che la minima rottura di un equilibrio secolare fra terra e acqua può produrre per la Laguna e per la sopravvivenza di Venezia. E non di piccole, bensì di grandi rotture è popolato l’orizzonte. Basta citarne una: l’ipotesi sciagurata di scavare un canale (Contorta Sant’Angelo) per consentire alle gigantesche navi da crociera di raggiungere il porto senza passare per la Giudecca. Un nuovo canale che si affianca a quello dei petroli, il cui scavo fu tra le cause dell’inondazione del 1966, e che ha sconvolto la morfologia lagunare. La storia ha insegnato poco. Ma la vera salvaguardia della Laguna, spiega Fersuoch (che illustra anche l’opzione zero come ipotesi per le navi), non può che interrogare tutti sul futuro di Venezia: tornare a essere una città o infilarsi definitivamente nel vortice di un turismo vorace. U © RIPRODUZIONE RISERVATA CONFONDERE LA LAGUNA di Lidia Fersuoch Corte del Fontego, pagg. 36, euro 3 Il racconto Amsterdam, un sogno che diventa irrealtà ANTONELLO GUERRERA n Italia di Juan Villoro, giornalista e scrittore messicano classe 1956, giungono spesso libri molto agili. Ma non per questo superficiali, anzi. L’ultimo arrivato è Chiamate da Amsterdam, un racconto lungo (o romanzo breve) che avvinghia il lettore. Qui non siamo nell’Amsterdam di Cees Nooteboom, ma neanche in quella sfiorata – e “terminale” – di McEwan. In Villoro Amsterdam è solo il sogno infranto di una coppia messicana inaspettatamente a pezzi. Un sogno che poi si tramuta in un pellegrinaggio di difficoltà, oscure trame e soprattutto nelle telefonate dell’ex marito e artista semifallito Juan Jesús all’anacronistica consorte Nuria. Missive vocali inviate da una cabina spacciata per “olandese” (lui fa finta di essere ad Amsterdam, ma è sotto casa di Nuria), che in realtà è solo la maschera di un amore annacquato da rimpianti e tedio esistenziale. Tanto che Juan Jesús per settimane dà «a Nuria la possibilità di vederlo, con il cappotto imbrattato vecchio di dieci anni e l’espressione sconvolta di chi ha troppo freddo e non è in Olanda, i capelli scompigliati da un vento che non soffia». I © RIPRODUZIONE RISERVATA CHIAMATE DA AMSTERDAM di Juan Villoro alcunché. Così, per questo presidente Nobel della Pace, costretto a spingersi in Siria per non smentire la linea rossa da lui stesso tracciata contro i gas, la scelta di passare dal Congresso, sulla carta contrario, oggi appare ancora più contradditoria. Fino a far sorgere quel sospetto: «Che sia un cinico espediente per sfuggire alla sua stessa promessa di agire?». No, nessuna via della guerra è sembrata tanto tortuosa quanto quella di Obama: soprattutto perché lastricata di buone intenzioni. © RIPRODUZIONE RISERVATA IL LIBRO FIORI DELLE TENEBRE Il saggio FRANCESCO ERBANI dichiarazione di guerra al Congresso, ricapitola adesso Kalb, fu Franklyn Delano Roosevelt, nella Seconda Guerra Mondiale. Da allora, ogni Commander in Chief ha sempre fatto ricorso ai poteri presidenziali. Harry Truman non dichiarò mai la guerra di Corea, che doveva essere “un’azione di polizia” e durò tre anni e fece 54mila morti. Neppure John Kennedy chiese il permesso per affondare l’America nel Vietnam. Sì, George W. Bush ottenne l’“autorizzazione” all’uso della forza in Afghanistan e (con prove tarocche) in Iraq: ma sempre senza dichiarare Fuori di testo L’estremismo linguistico di Bergonzoni STEFANO BARTEZZAGHI bituale abitatore di palchi di teatri e festival in qualità di performer dell’estremismo linguistico, Alessandro Bergonzoni ha pure una spinta a sperimentare le più diverse forme, generi e mezzi di espressione: dalla raccolta di testi comicamente surreali al romanzo, all’aforisma, all’arte visiva, alla rubrica giornalistica (sul Venerdì), a radio e (in passato) tv. Ora arriva alla poesia, pure implicita in tutti gli altri suoi testi. La sua prima raccolta, appena pubblicata da Garzanti, ha un titolo che unisce Eros e Thanatos nel neologismo L’Amorte (ricorda Jacques Lacan? Sì, e Lacan ha infatti usato amourir e amort). I neologismi sono rari, nei titoli dei libri, e i nonsense sono poco più frequenti. Ma il nonsense e l’invenzione linguistica, come anche il gioco di parole, sono chiavi di lettura insufficienti per il lavoro di scrittura di Bergonzoni. Proprio il titolo “l’amorte” lo dimostra: è un gioco, forse? Fa ridere? Non ha forse senso? Se Scialoja ha scritto “versi del senso perso”, Bergonzoni ha scritto “versi del senso latente”: lo sfuggire è il modo di essere del loro senso. A Ponte alle Grazie, trad. di Enrico Passoni, pagg. 82, euro 10 © RIPRODUZIONE RISERVATA Il piccolo ebreo che visse in un bordello SUSANNA NIRENSTEIN E cco, ancora un prodigio scaturito dalle macchie della memoria e dai sogni dell’ottantenne israeliano Aharon Appelfeld, dall’ordito del silenzio ascoltato quand’era un bambino di otto anni, solo, in fuga dal ghetto nei boschi e nelle pieghe della campagna ucraina durante la Shoah, per tre anni. Un miracoloso frutto letterario nato dal disastro, dalla perdita, dallo spaesamento conseguente, da un esilio per sempre: del resto Philip Roth ha definito la materia dei suoi romanzi il disorientamento di un eterno rifugiato in una terra di ebrei rifugiati. E’ così: Appelfeld ci riporta nella faglia di quella solitudine sempre esposta ad essere travolta da una nuova frana, da nuove esperienze impensabili, schiavo, come è stato, di briganti, ladri di cavalli, contadini cattivi, prostitute, senza mai rivelare di essere ebreo, un isolamento chiuso a ogni idea di futuro, un nucleo creativo che ci cattura con la sua forza centripeta, dentro la foresta, le derive di Storia di una vita, unico tra i suoi 41 romanzi totalmente autobiografico, dentro la sua incredulità verso gli ebrei che per amore di assimilazione non volevano capire quel che gli stava succedendo (come in Ba- denheim 1939), nei ricordi familiari affiorati lungo il sonno catalettico de Il ragazzo che voleva dormire, nel suo faticoso approdo all’ebraico una volta arrivato in Israele, primo momento di una nuova identità densa di domani eppure così ardua: e noi ne vogliamo sapere di più, sempre di più, per capire gli abissi dell’umanità e i picchi del coraggio e della resistenza, forse anche perché Appelfeld ha vinto, è sopravvissuto a tanto, e sa narrarcelosenzamaiustionarcicolfuoco, a bassa voce. In fondo, dopo aver letto tanti deisuoilibri,credevamodiconoscere tutto di quell’infanzia assurda e tormentosa come un’invenzione di Kafka, (e infatti Appelfeld ha una sorta di identificazione con lo scrittore di Praga), ma — e come poteva essere altrimenti? quanto si può sapere di un’esperienza tanto estrema? — non è così. Qui, nel nuovo Fiori delle tenebre, (accolto con grandi plausi da Ian Buruma sulla New York Review of Books, piuttosto chedaDavidLeavittsulNewYork Times), eccoci per la maggior parte del tempo in uno sgabuzzino, al freddo, in silenzio, con Hugo, un ragazzino di 11 anni, in perenne ascolto di suoni, movimenti, parole che possano rivelare una minaccia. IL LIBRO Fiori delle tenebre di Aharon Appelfeld Guanda, trad. di E.Loewenthal pagg. 303 euro 20 Il tempo presente scandisce ogni piccolo avvenimento. Siamo lì. Aldilà della porta c’è la camera di Mariana, una delle puttane di un bordello ai margini di una città ucraina senza nome durante la seconda guerra mondiale. Tutto potrebbe precipitare da un momento all’altro. E’ stata sua madre Giulia a portarlo in quel posto così strano per un bambino. Una mamma affettuosa, colta, una signora ebrea nota, come il suo sposo, per l’idealismo, la grande generosità mostrataversoibisognosieperla laicità assoluta, genitori simili a quelli di Appelfeld che non ha mai smesso di tormentarsi per quegli ebrei figli dell’Haskalà, l’illuminismo ebraico, che ruppero IL THRILLER Il curioso caso del cadavere squisito in via del Babuino ALESSANDRA ROTA l richiamo al surrealismo del titolo, Cadavere squisito, è anche la chiave di lettura del nuovo giallo di Luigi Carletti (il precedente si intitolava Prigione con piscina). La scomposizione creativa usata dagli artisti francesi è infatti il leitmotiv di una storia complessa che non lascia tregua, perché composta di tanti microracconti che cominciano con un piccolo indizio e poi si allargano a macchia d’olio. Anche stavolta Carletti, giornalista e manager editoriale, ambienta il suo noir a Roma, tra le strade del centro, su ter- I IL LIBRO Cadavere squisito di Luigi Carletti Mondadori pagg. 276 euro 15,90 razze dove si tocca il cielo con un dito. C’è un cadavere che non si trova, ce n’è uno che appartiene al passato, ci sono morti d’altro genere, antichi omicidi passati per disgrazie. Il protagonista si chiama Nicola Maria Sadler, detto Nick, guru della comunicazione e della pubblicità, tombeur des femmes, una ex moglie malata, un rapporto hard con la cognata, un amore nuovo che improvvisamente sparisce. Dal suo appartamento a picco sui tetti della capitale tra via del Babuino e via Margutta le tracce di Dora, giovane e bellissima pittrice, dopo una banale litigata si sono perse, così come quelle del gatto Aramis che appartiene (forse) all’anziana nobildonna che vive nello stesso palazzo di Nick, in compagnia di una serie di vecchi, rumorosi frigoriferi, tutti funzionanti. Lei bizzarra, un po’ strega, assomiglia alla Novella Parigini degli ultimi tempi e il suo alloggio ha i colori, le cupezze, le vetrate luminose e gli angoli bui dell’atelier della ritrattista di felini dagli occhi grandi. Un bancario sassofonista con la passione di suonare en plen airprobabilmente è stato ammazzato dalla moglie e dal suo amante, però il suo corpo non si trova. E poi c’è un quadro misterioso che racconta di un rapporto a tre finito male, anzi malissimo, e di un ragazzino appassionato, innamorato dell’arte, sacrificato per il buon nome della famiglia. I parenti serpenti di questo romanzo, che ha i tratti della commedia all’italiana ma a poco a poco si trasforma in un sofisticato thriller psicologico, hanno le sbiadite sembianze di una madre ostaggio dei ricordi e di una coppia di filippini e, soprattutto, dell’ingombrante presenza del fratello farmacista, sanguigno esemplare di maschio con Suv. Con l’aiuto di una cronista indomita e di un commissario romantico, avvilito dalla possibile sparizione del leggendario Caffè Notegen in via del Babuino, i vari pezzi del Cadavere squisitosi ricompongono sotto gli occhi di Nick, che ne riconosce gli autori. Che poi sono i colpevoli. È la fine o forse solo l’inizio di un altro incubo? © RIPRODUZIONE RISERVATA