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MARZIA MIGLIORA www.marziamigliora.com [email protected] Il lavoro di Marzia Migliora si articola attraverso un’ampia gamma di linguaggi che includono la fotografia, il video, il suono, la performance, l’installazione e il disegno. Le sue opere traggono origine da una profonda attenzione per l’individuo e il suo quotidiano: eventi minori, fatti d’attualità e memorie personali da cui l’artista si muove per affrontare temi come l’identità, le contraddizioni, il desiderio e la responsabilità, toccando la storia presente e passata e mettendo in relazione luoghi e narrazioni. Le sue opere si pongono come interrogativi che mirano a un coinvolgimento attivo del fruitore, che diventa protagonista e senza il quale l’opera stessa non può essere risolta. Ne deriva un lavoro composito capace di alimentare un’esperienza condivisa, di forte partecipazione emozionale e intellettuale per il pubblico. Per tutte le opere courtesy Galleria Lia Rumma Milano/Napoli Selezione mostre personali: H317 – Può provocare una reazione, 2014, AuditoriumArte, Roma; Aqua Micans - Hotel delle Palme, 2013, Fondazione G.O.C.A., Palermo; Viaggio intorno alla mia camera, 2012, progetto per Oltre il Muro, Castello di Rivoli, Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli; Ginnastica dei ciechi - La corsa al cerchio, 2012, Giardino di Sant'Alessio, Roma; Rada, 2011, EX3 Centro per l’arte contemporanea, Firenze; Quelli che trascurano di rileggere si condannano a leggere sempre la stessa storia, 2009- 2011, Museo del Novecento, Milano; Tanatosi, 2006, Fondazione Merz, Torino; The Agony & The Ecstasy, 2005, The Foundation for Art & Creative Technology, Liverpool (UK); Pari o Dispari, 2004, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino. Selezione mostre collettive, performance e progetti speciali: Codice Italia, 2015, Padiglione Italia, Biennale Arte, Venezia;Tutto Vero, 2015, Fondazione Merz, Torino; M. Migliora, E. Pugliese, Un caso, 2015, talk performance, Teatro Gobetti, Biennale Democrazia 2015, Torino; Intenzione Manifesta, 2014, Castello di Rivoli, Museo d’arte contemporanea, Rivoli; Ritratto dell’artista da giovane, 2014, Castello di Rivoli, Museo d’arte contemporanea, Rivoli; Marzia Migliora, Francesco Gabrielli, Stupinigi Fertile, 2014, Stupinigi; LungoMare Gasthaus, 2013, LungoMare Bolzano/Bozen, Bolzano; Marzia Migliora, Luigi Coppola, Theatre Cycle, 2013, Nomas Foundation in collaborazione con Teatro Valle Occupato, Nuovo Cinema Palazzo, Roma; (M)OTHERS in Autoritratti. Iscrizioni del femminile nell’arte italiana contemporanea, 2013, Mambo, Bologna; Premio Artistico Fondazione Vaf, 2012, Stadtgalerie, Kiel (DE), Museum Biedermann, Donaueschingen (DE) e Castello Colonna, Genazzano (IT); Acting out, Artisti italiani in azione, 2012, Fondazione MAXXI, Roma; MenteLocale, 2012, Cesac, Caraglio; Forte Piano, le forme del suono, 2012, Auditorium della Musica, Roma; C'est à ce prix que nous mangeons du sucre, 2011, Eventò 2011, Musée d'Aquitaine, Bordeaux (FR); Sindrome italiana, 2010, Le Magasin, Centre National d’Art Contemporain, Grenoble (FR); Tutto è connesso, ricerche e approfondimenti nell’arte dell’ultimo decennio attraverso la collezione, 2010, Castello di Rivoli, Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli; Où? Scènes du sud: Espagne, Italie, Portugal, 2007, Carrè d’Art Nimes (FR); La parola nell’arte, 2007, Mart, Rovereto; Focus, 2003, Videoteca GAM Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea, Torino e Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia, Madrid (ES). LIBERAMENTE TRATTO DA, 2015 vasi di ceramica bianca, vasi di bronzo, cinghie legabagagli, veduta dell’installazione MART, Museo di Arte Contemporanea di Trento e Rovereto, Trento La richiesta dei curatori della mostra Il sosia, presso il Mart -‐ Museo di Arte Contemporanea di Trento e Rovereto. è stata di scegliere un'opera dalla documentazione messa a disposizione da alcuni collezionis> priva> e realizzare un nuovo lavoro in dialogo con essa. Migliora ha scelto una scultura dell'ar>sta Ryan Gander dal >tolo You ruin everything (2011), ispirata alle giovani danzatrici di Degas. La delicata figura impressionista, è un adolescente sdraiata a terra ed assorta, intenta a giocherellare con un parallelepipedo bianco a cui ne è sovrapposto uno blu, le cui geometrie riprendono lo s>le modernista del ventesimo secolo. L'ar>sta pone intorno alla scultura Your ruin Everything, quaKro gruppi di sculture composte da vasi, tenu> insieme da cinghie lega bagagli da porta pacchi per automobile. Al centro un vaso di argilla bianca che non si autososterrebbe senza gli altri vasi accanto. Esso ha forma arrotondata e organica, streKa da vasi di bronzo, semplici parallelepipedi, dalla forma rigida e squadrata. Gli elemen> sono lega> da una cinghia, che passa a metà dei vasi e si chiude sul davan>. L'idea è di raffigurare una condizione di precaria transitorietà. Il riferimento è anche ad una citazione manzoniana: "s'era dunque accorto, prima quasi di toccar gli anni della discrezione, d'essere, in quella società, come un vaso di terra coKa, costreKo a viaggiar in compagnia di mol> vasi di ferro". STILLEVEN/NATURA IN POSA, 2015 installazione, dimensioni ambientali, pannocchie di mais, specchio, armadio, 2 camere obscure e 5 camere ottiche, stampe fotografiche b/n, veduta dell’installazione Padiglione Italia, Biennale Arte, Venezia L’installazione concepita per il Padiglione Italia della Biennale di Venezia 2015 è un reenactment di una fotografica scattata dall’artista circa venti anni fa, nella cascina dove viveva il padre. L’immagine ritrae una distesa di pannocchie che si riflettono sulla superficie specchiante di un armadio. L’“installazione involontaria” che Migliora ha fermato nella fotografia, viene qui messa in scena, a costruire un dispositivo di rappresentazione che, come il genere della natura morta, si fa portatore di significazioni allegoriche. Migliora recupera uno scenario quotidiano e familiare e lo riconnette ad un contesto più ampio, la storia d’Italia legata alla cultura agricola contadina. Chiamata a riflettere sul concetto di wunderkammer, l’artista da vita ad un dispositivo di osservazione posto sul retro dell’armadio: esso ribalta la percezione tra interno e esterno dell’ambiente, e allo stesso tempo restituisce uno sguardo ulteriore, le “immagini assenti” ma contigue alla narrazione messa in scena. Attraverso una stratificazione spaziale e temporale di visioni, Migliora riflette sulla formazione delle immagini, ripercorrendo il gesto fotografico come possibilità di sguardi e prospettive molteplici, capaci di coinvolgere il fruitore in inedite esplorazioni dell’esistente. STILLEVEN/NATURA IN POSA, 2015 Dettaglio dell’installazione, armadio contenente 5 ca,mere ottiche con fotografie b/wn, vista dell’installazione Padiglione Italia Biennale Arte, Venezia Chiamata a riflettere sul concetto di wunderkammer, l’artista da vita ad un dispositivo di osservazione posto sul retro dell’armadio: esso ribalta la percezione tra interno e esterno dell’ambiente, e allo stesso tempo restituisce uno sguardo ulteriore, le “immagini assenti” ma contigue alla narrazione messa in scena. Attraverso una stratificazione spaziale e temporale di visioni, Migliora riflette sulla formazione delle immagini, ripercorrendo il gesto fotografico come possibilità di sguardi e prospettive molteplici, capaci di coinvolgere il fruitore in inedite esplorazioni dell’esistente. Dalla serie STILLEVEN #01, 1993-2015 stampa b/n fine art ai pigmenti, 111.8 x 160 cm M. Migliora E. Pugliese, UN CASO, 2015 talk performance con Isidoro Danza (artigiano), Alberto Salza (antropologo), 40', veduta della performance Teatro Gobetti, Torino Il talk performance Un caso, presentato nell’ambito della Biennale Democrazia 2015, è un progetto liberamente tratto dall’autobiografia di Isidoro Danza. Titolare di un’officina meccanica in via di fallimento, per pagare gli stipendi ai suoi operai, Danza ha compiuto tra il 2010 e il 2011, nove rapine in banca con una pistola giocattolo; dopo aver scontato tre anni di carcere, oggi l’imprenditore è libero. Al centro dello spazio scenico due uomini s’incontrano per la prima volta, il giorno della performance: lo stesso Danza e Alberto Salza, un antropologo. “Il caso Danza”, raccontato dal suo protagonista attraverso i brani del libro-autobiografia, viene analizzato dall’antropologo, diventando pretesto per una riflessione più ampia sul tema del lavoro, le trasformazione a cui questo è sottoposto a causa della crisi in atto, la dialettica tra successo/fallimento e i tentativi di adattamento generati dall’attuale complessità economica e sociale. RETTE INCIDENTI, 2014 stampa fine art ai pigmenti, 45 x 200 cm Le radici degli alberi depositati dalla piena sul greto del fiume Po diventano appiglio per l'azione compiuta dai soggetti della fotografia: un padre e una figlia ritratti nel tentativo paradossale di un incontro. Il titolo dell'opera ripropone una definizione geometrica che indica due rette con un punto in comune, a simbolizzare le relazioni e i giochi di forza che caratterizzano tutte le relazioni, e in particolare il rapporto padre-figlia. H317-PUÒ PROVOCARE UNA REAZIONE, 2014 mostra personale, AuditoriumArte, Roma, 13 marzo- 4 maggio 2014, a cura di A. Cestelli Guidi H317 - può provocare una reazione è il progetto realizzato da Marzia Migliora presso AuditoriumArte in occasione di Libri Come, festa del libro e della lettura, per l’edizione 2014 dedicata al tema del lavoro. Il titolo si rifà alle "Frasi H" (frasi di rischio), contenute all'interno del Regolamento (CE) n. 1272/2008: indicazioni di pericolo sul posto di lavoro che mettono in allerta dai rischi per la salute umana, animale e ambientale connessi alla manipolazione di sostanze tossiche. Al centro la questione fondamentale di questo momento storico, ponendo a chiare lettere la domanda: quale lavoro e dove? LOOKING FOR A JOB, 2014 installazione, scritta anamorfica su parete, pavimento e vetrata, 17mq x 17mq, pellicola adesiva rossa, veduta dell’installazione AuditoriumArte, Roma Il progetto di Marzia Migliora si fonda su una provocazione, a cominciare dal titolo, per sollecitare nel fruitore la riflessione su un tema cruciale come quello del lavoro. L’artista mette subito al centro la questione fondamentale di questo momento storico, ponendosi e ponendoci a chiare lettere la domanda: quale lavoro e dove? È questo il senso della frase “Looking for a job” installata nella prima sala con la tecnica dell’anamorfosi, dispositivo di illusione ottica creato nel Rinascimento, che attraverso un gioco di geometria consente di interpretare le immagini da un unico punto di vista, specifico e precedentemente dato. In questo modo il pubblico è chiamato a mettersi in gioco, trovando il punto di vista prestabilito, quello sguardo necessario ad afferrare la frase nel suo senso più profondo, sperimentando così in prima persona l’illusorietà e la poca consistenza che essa stessa oggi rivela. La scelta formale della frammentazione anamorfica rispecchia, in maniera figurata, la realtà attuale del mondo del lavoro, dove la ricerca di un impiego si configura come un incerto e instabile miraggio. H317-PUÒ PROVOCARE UNA REAZIONE, 2014 installazione, palo in legno ingrassato, ø 19 cm x 3,20 m; ruota in ferro ø 120 cm; 7 catene in ferro con ganci da macellaio; 9 cavi elettrici con 180 lampadine montate, veduta dell’installazione AuditoriumArte, Roma Nella sala interna l'installazione fa riferimento al “palo della Cuccagna”, presente nella tradizione popolare dai culti arborei delle Feste di Maggio - con cui si salutava l’arrivo della nuova stagione sperando in un ricco raccolto - alle storie di lotta operaia che, a partire dalla Rivoluzione Francese con gli Arbre de la Liberté, continuano tra fine Ottocento e inizi Novecento, fino al progressivo affermarsi della festa dei lavoratori Restituendo la complessità e la forza simbolica dell’albero della Cuccagna l’artista ne ribalta il senso: la cuccagna non è più oggi la festa popolare associata ai riti di benessere e prosperità, al momento di svago, ma al contrario diviene evocazione della conquista di un posto di lavoro. Della festa di piazza restano presenti le luci: incorniciato da una miriade di lampadine accese, lo spazio circolare intorno all’albero, seppur vuoto, diventa punto di aggregazione e di raccolta, luogo dove creare una comunità per attivare reazione e cambiamento. Ciò che l’artista mette in scena è ambivalente: alla cruda frustrazione di fronte alla sottrazione del benessere e dell’abbondanza, si contrappone la fiducia nella possibilità della reazione, evocata dalla frase nel titolo. AQUA MICANS, 2013 immagine per la 9°Giornata del Contemporaneo Amaci, al Grande Cretto di Alberto Burri Gibellina (TP), stampa fotografica a colori , 110x 180 cm L’immagine ritrae una fila di donne abitanti di Gibellina, mentre attraversano il Grande Cretto di Alberto Burri, trasportando delle anfore d’acqua sul capo e sulle spalle, percorrendo un paesaggio duro e desolato. Il titolo dell’opera Aqua micans, si riferisce ad un liquido potenziato al massimo delle sue virtù, usato dai protagonisti del romanzo di Raymond Roussel, Locus Solus per avviare un esperimento di resurrezione di vittoria sulla morte. Con questa fila di donne, impegnate in un'azione quotidiana e vitale, Marzia Migliora ha scelto di riprendere e ripetere la rituale solennità di un gesto antico e uguale in tutto il Sud del mondo, nel tentativo di suggerire un’equivalenza tra acqua e cultura, come necessario nutrimento per la mente e tra portatrici d’acqua e operatori culturali del contemporaneo, veicolatori a loro volta di un bene prezioso e insostituibile da cui dipende la crescita e il benessere della società. La scelta del Grande Cretto di Burri è dovuta alla forza espressiva di una delle opere d’arte contemporanee più importanti del nostro patrimonio. Esso si estende sulle rovine di Gibellina per dieci ettari e appare dall’alto come un labirinto di fratture di cemento sul terreno, conseguenza della siccità come mancanza di vita. Il Grande Cretto coniuga in sé la forza del monumento alla memoria e la vitalità della produzione artistica in grado di comunicare a distanza di anni. Aqua micans risponde all’intento di collegare il presente al nostro passato storico-artistico, per costruire una proiezione futura positiva. AQUA MICANS- HOTEL DELLE PALME , 2013 serie di 13 disegni, tecnica mista su carta di cotone, da 26 x 45,5 cm a 31,5x 120 cm Una serie di 13 disegni completano il progetto fotografico Aqua micans: qui Migliora fa emergere su carta l'affiorare libero di suggestioni non predeterminate, in cui l'immaginario dell’artista si alterna al vissuto del suo viaggio in Sicilia La serie di disegni svela un metodo di ricerca, un processo di stratificazione e di scavo nel quale il sopra e il sotto, l’esterno e l’interno, il cambiamento di scala, la storia passata e recente si avvicendano come altrettanti stati di un paesaggio da attraversare, da conoscere e valorizzare. Campiture di colore scuro evocano i cunicoli del Grande Cretto di Burri, mutando in vedute aeree di campi coltivati; paesaggi sezionati che scendono nel sottosuolo si evolvono in piante di agave e palme tratteggiate a china, offrendo una visione di piani simultanei, che invitano a guardare la realtà da punti di vista diversi. CON LA CULTURA NON SI MANGIA, 2013 serie di 108 piatti ø 26 cm e 108 ciotole ø 15 cm in ceramica bianca serigrafata, LungoMare, Bolzano Il progetto prende spunto dalla lapidaria sentenza “Con la cultura non si mangia” con cui l’ex ministro dell'Economia Giulio Tremonti giustificò i tagli alla cultura, alla ricerca e all’istruzione. L'amore per la cucina e l'estetica della tavola, ispirano una serie di piatti in ceramica, che diventano strumento per provocare il confronto tra i commensali. Ogni piatto riporta una citazione estratta da discorsi di politici riguardo al tema della cultura. Lungomare Gasthaus diventa teatro di un ipotetico parlamento, in cui la tavola apparecchiata appare come un discorso aperto dove si alternano punti di vista in opposizione. Marzia Migliora ci invita a prendere posizione sugli scranni per schierarsi e confrontarsi sulle tematiche portate in tavola. La cultura e' ironicamente servita nel piatto come una pietanza, il progetto porta a considerarla sullo stesso piano del cibo, quale nutrimento primario per la mente dell'essere umano. M. , 2013 serie di 9 disegni, tecnica mista su carta di cotone, 30 x 31 cm “Invitata a riflettere sulla relazione tra madre figlia, l’artista scarta la rappresentazione diretta, dando vita a M. (M. come Marzia ma anche come mamma), una nuova serie di disegni che si sviluppa per tracce, associazioni e sovrapposizioni. Muovendosi da alcune parole chiave che connotano tale rapporto, Migliora sovrappone collage e disegno, china e acquerello, e genera immagini composite che si collegano l’un l’altra in un flusso continuo che sembra auto alimentarsi.” Arabella Natalini Brunton, estratto da (M)OTHERS pp. 183-208 in Autoritratti. Iscrizione del femminile nell'arte italiana contemporanea, Corraini edizioni, 2013 L. Coppola, M. Migliora, IO IN TESTA, CANTIERE COMUNE DI IMMAGINARIO POLITICO, 2013 workshop e performance, Teatro Valle Occupato, Nuovo Cinema Palazzo, Nomas Foundation, Roma Marzia Migliora e Luigi Coppola hanno invitato i cittadini alla costruzione di un’azione artistica e politica, in reazione al ruolo marginale che oggi è dato alla cultura all’interno del dibattito politico. Il progetto prende forza e ispirazione da realtà che mettono al centro del loro fare la cultura intesa come azione primaria per un cambiamento necessario di cui il cittadino è il motore. Cinque giornate di laboratorio, il Cantiere Comune di Immaginario Politico, in cui condivisione, ascolto, proposta e fare manuale si fondono al fine di creare la struttura corale dell’azione performativa finale: Io in testa. Il simbolo aggregante scelto per Io in testa è un copricapo costruito in cartapesta con carta di giornale. Durante il laboratorio ciascun partecipante partendo da quello tradizionale da muratore, ha dato fattezze personali, simboliche e identitarie al cappello poi indossato per la performance. Indossare questo oggetto fatto di giornali è un atto di presa di coscienza e di volontà di “vestire il quotidiano”, riportandolo dove esso nasce e si disputa: la strada. Nella giornata conclusiva i partecipanti al laboratorio disposti in fila si sono recati dal Teatro Valle al Ministero per i Beni e le Attività Culturali compiendo un’azione simbolica di resistenza davanti all’edificio. CAPIENZA MASSIMA MENO UNO, 2012 performance, 45’, azione, suono e voce di P. Rotonda e Scuola Popolare di Musica Testaccio; testo di E. Pugliese. 4 persone al mq in 250 mq della hall del MAXXI, 1000 t-shirts realizzate dai partecipanti volontari, veduta della performance MAXXI, Museo nazionale delle Arti del XXI secolo, Roma La performance Capienza massima meno uno, si sviluppa intorno ad una riflessione sulla parola “occupare” nei suoi diversi significati: essere impiegato in un lavoro, prendersi cura, presidiare un luogo, manifestare una reazione politica e, infine, ingombrare uno spazio con il proprio corpo. Proprio da quest’ultima accezione Migliora prende le mosse per arrivare all’idea di “capienza massima”, quella consentita dalle norme di sicurezza dei mezzi di trasporto, degli edifici pubblici, degli ascensori. La hall di ingresso del museo MAXXI è stata riempita di presenze fisiche (4 persone per metro quadro) in modo da creare un “muro di corpi” che il pubblico doveva attraversare per accedere al museo immergendosi in un percorso segnato e ricco di riferimenti simbolici. Il “meno uno” riportato nel titolo della performance si riferisce all’altro da sé, al singolo, al visitatore casuale che arrivando al museo, poteva unirsi all’azione coreografica e diventare parte del progetto. Magliette realizzate dai performers volontari, con il personale significato della parola occupazione “Una poltrona è un mobile davvero eccellente, è di estrema utilità, soprattutto per le persone meditative.” Xavier De Maistre, Viaggio intorno alla mia camera, 1824 VIAGGIO INTORNO ALLA MIA CAMERA, 2012 progetto relazionale, 33 poltrone in prestito temporaneo dagli abitanti del territorio, fruibili dagli spettatori. In collaborazione con il Dipartimento Educazione del Castello di Rivoli, Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli (TO) Viaggio intorno alla mia camera è un progetto che dialoga con gli spazi e con la storia di Castello di Rivoli e coinvolge – attraverso una chiamata alla partecipazione attiva – gli stessi visitatori del museo. Ai cittadini del territorio è stato richiesto di diventare prestatori di un oggetto personale, ovvero una poltrona del proprio salotto. Una trentina di sedute, selezionate dall’artista, sono state ospitate temporaneamente al Museo, entrando in relazione con le opere della collezione. Il pubblico del museo, durante il percorso di visita, poteva utilizzarle per una sosta o per la contemplazione delle opere, mettendo in atto un processo di scambio tra dimensione pubblica e privata. OPERA IN MOVIMENTO, PAESAGGIO È ORIZZONTE IN CUI NOI SIAMO CENTRO MOBILE CHE SI SPOSTA, 2012 installazione, tubolare in ferro 25 x 300 cm, elastico in movimento, motore, variatore, centralina elettrica, sensore di prossimità , scritta neon azzurra ø 8 mm, 3 trasformatori 7x 300 cm, veduta dell’installazione Cesac, Caraglio (CN) Il movimento è la dimensione fisica e concettuale con cui Marzia Migliora ha interpretato il tema del confine, realizzando un’opera specificatamente concepita per Mente locale. In Opera in movimento il confine si mobilita, diviene ritmo. L’artista traduce in installazione il fenomeno d’oscillazione di un’onda stazionaria. Una linea, tesa a parete, si mette in moto e si trasforma in un orizzonte elastico che scambia di continuo salita e discesa, monti e avvallamenti. L’onda stazionaria, come tutte le onde, è una perturbazione. A differenza delle altre, è un'onda che rimane in una posizione spaziale costante, fissa nel tempo. Non si propaga, oscillando tra punti fissi ,detti nodi. Nella stanza, il fenomeno fisico è fronteggiato dalla definizione di paesaggio data da un poeta. Sulla parete opposta, la frase di Andrea Zanzotto risuona, aprendo un’ ulteriore via alla riflessione sul nostro rapporto con i luoghi. GINNASTICA DEI CIECHI-LA CORSA AL CERCHIO, 2012 mostra personale, Giardino di Sant’Alessio all’Aventino, Roma, 31 marzo- 30 luglio 2012, a cura di A. Butticci, C. de’ Rossi, M. Cimato Per Ginnastica dei ciechi-la corsa al cerchio, l’artista ha rielaborato i concetti di sovrastruttura e imposizione esterna, limite e mancanza, mediante una riflessione che si origina dagli elementi che costituiscono il vissuto storico del territorio. Attualmente anche rifugio per immigrati e senza tetto, sul finire dell’Ottocento il giardino era inglobato da un istituto per ciechi; impiegato come spazio per il gioco e la ricreazione dei ragazzi ospiti dell’istituto, esso costituiva di fatto un luogo d’aggregazione e di evasione dal rigido regolamento imposto all’interno della struttura. Ulteriori elementi di fascinazione per l’artista sono gli accadimenti storici e politici che hanno interessato il colle dell’Aventino dove il giardino di S. Alessio si trova: questo fu infatti teatro della “Secessio Plebis”, celebre scontro tra patrizi e plebei nella Roma repubblicana al quale si richiamerà, a distanza di secoli, la “Secessione dell’Aventino”, protesta messa in atto dai parlamentari italiani in seguito alla scomparsa di Giacomo Matteotti. LIBERO COME UN UOMO, 2012 installazione, rete elettrosaldata, 30 x 3 m, inserimento di lettere retroilluminate, veduta dell’installazione Giardino di Sant’Alessio all’Aventino, Roma Una rete metallica chiude fisicamente il giardino sull'unico punto di apertura verso la città - il belvedere - costruendo un limite architettonico tangibile. L’artista lavora sull'idea di deficit, ponendo lo spettatore di fronte ad una rete che inibisce la vista. A permettere la visione sul circostante è solo una citazione di Samuel Beckett ricavata in assenza, che recita la frase "Posso solo evadere con le palpebre serrate”. ROLLING HOOPS, 2012 installazione, 11 cerchi in alluminio, ø 1 m, illuminati al led, veduta dell’installazione Giardino di Sant’Alessio all’Aventino, Roma Sul terreno adiacente al belvedere sono ancorati a terra undici cerchi luminosi in alluminio. La precisa disposizione degli elementi trae spunto da una fotografia documentaria appartenente all’archivio dell’istituto ciechi di Sant’Alessio: l’immagine ritraeva i bambini in un momento di ricreazione, intenti a giocare con i cerchi. Gli oggetti svuotati dalla propria funzionalità, tornano ad avere senso solo attraverso un atto immaginativo e di fantasia da parte dello spettatore. TRA LE 15 E LE 17.10, 2012 installazione sonora, campana in ottone, timer, 2 (9’’/ 24h), veduta dell’installazione Giardino di Sant’Alessio all’Aventino, Roma Completa l’intervento di Marzia Migliora tra le 15 e le 17,10, il suono di una campanella della durata di nove secondi, reiterato ogni giorno per due volte. Oltre a rievocare il desiderio di libertà e la dimensione ludica associata alla ricreazione, il suono della campanella è un riferimento al celebre discorso tenuto in parlamento da Giacomo Matteotti contro i brogli del partito fascista. La figura di Matteotti si inserisce nel lavoro come emblema della ricerca della libertà, per la quale sacrificò la vita. RADA, 2011 mostra personale, EX3 Centro per l’Arte Contemporanea, Firenze, 9 giugno- 11 settembre 2011, a cura di A. Natalini Il progetto Rada nasce dalla suggestione offerta dalla bandiera X-Ray, che nel Codice Internazionale dei segnali marittimi significa "Sospendete quello che state facendo“: in Rada il messaggio viene declinato in un percorso visivo ed esperienziale che utilizza media diversi, come il neon, il disegno e l’installazione. L’intera opera site-specific, attraverso progressivo disvelamento di codici e immagini, è un invito rivolto allo spettatore a concedersi una pausa attiva di riflessione. La mostra è costituita da tre installazioni e una serie di 21 disegni. RADA, 2011 installazione, pontile in legno, ferro, tubi innocenti, 1800 x 3400 x 50 cm, scarti di lavorazione di marmo di Carrara, spessore: altezza variabile, veduta dell’installazione EX3 Centro per l’Arte Contemporanea, Firenze Rada è un’installazione costituita da un pontile in legno di colore blu oltremare che attraversa, in larghezza e in lunghezza, tutto lo spazio espositivo della sala principale di EX3, e da una distesa di scarti di lavorazione di marmo di Carrara che ricopre interamente il pavimento. L’opera riproduce la grafica della bandiera X-Ray, che nel Codice Internazionale dei segnali marittimi significa "Sospendete quello che state facendo". Mentre per i marinai questo simbolo costituisce un segnale preciso, interpretabile con azioni determinate, l’artista astrae e destruttura la forma della bandiera, proponendola qui come luogo praticabile e invito aperto al pubblico. L’installazione richiede una partecipazione attiva, favorita dall’associazione del percorso fisico con il messaggio veicolato dalla bandiera X-Ray. SOSPENDETE QUELLO CHE STATE FACENDO (#A), 2011 installazione, 4 elementi neon scatolati in plexiglass opalino bianco, trasformatori, centralina di intermittenza a 10 movimenti; linea: 400 x 32 x 18 cm, punto: 133 x 18 cm, veduta dell’installazione EX3 Centro per l’Arte Contemporanea, Firenze L’installazione è composta da quattro elementi neon disposti sulle pareti della sala centrale. L’opera riproduce la traduzione in codice morse della bandiera X-Ray, che nel Codice Internazionale dei segnali marittimi significa "Sospendete quello che state facendo". La trasmissione del messaggio avviene qui per mezzo della riproduzione visiva del segnale, l’alternarsi dell’illuminazione dei segni linea–punto–punto–linea con la modalità convenzionale di scansione temporale propria del codice morse. L’opera pone l’interlocutore al centro di una comunicazione non verbale ripetuta ad intervalli regolari, che scandiscono ritmicamente il messaggio. . SOSPENDETE QUELLO CHE STATE FACENDO (#B), 2011 4 elementi neon scatolati in plexiglass opalino bianco, linea: 250 x 20 x 12 cm, punto: 83 x 12 cm, veduta dell’installazione EX3 Centro per l’Arte Contemporanea, Firenze L’installazione è composta da quattro elementi neon disposti sulla facciata principale di EX3. E’ anch’essa la traduzione in codice morse del messaggio veicolato dalla bandiera X- Ray. RADA, 2011 serie di 21 disegni, tecnica mista, misure variabili da 6,7 x 21 cm a 20,4 x 98,5 cm, veduta dell’installazione EX3 Centro per l’Arte Contemporanea, Firenze .Una serie di 21 disegni, realizzati su carte già precedentemente usate dall’artista, vanno a completare il progetto Rada. Sono vedute straordinarie, popolate di barche, oggetti, persone, bandiere, segnali, binocoli; marine contemporanee contaminate dall’attività umana; paesaggi sezionati che scendono in profondità, offrendo piani simultanei, continui ribaltamenti, sovrapposizioni e cambiamenti di scala. I disegni, esposti in senso circolare nella piccola saletta, ripropongono la stessa idea di circolarità del processo comunicativo suggerita dal posizionamento dei neon nella sala centrale, e dal cortocircuito che si instaura tra il messaggio linguistico, la sua visualizzazione e l’eventuale risposta del pubblico. QUELLI CHE TRASCURANO DI RILEGGERE SI CONDANNANO A LEGGERE SEMPRE LA STESSA STORIA, 2009- 2011 percorso sonoro, 44’31’’, 15 dispositivi audio dotati di cuffie stereo, veduta dell’installazione collezione permanente Museo del Novecento, Milano Voci: Stefano Bartezzaghi, enigmista; Mara Cassiani, attrice; Matteo Dell’Aira, infermiere di Emergency; Pippo Delbono, regista teatrale; Francesco Dillon, violoncellista; Fabrizio Gatti, giornalista; Mariangela Gualtieri, poetessa; Franco Malerba, astronauta; Claudio Mencacci, psichiatra; Deivi Dayan Moretti, bambino di 10 anni; Alba Morino, legge e scrive; Diego Palladino, esecutore di servizi museali; Steve Piccolo, musicista; Angje Prenga, profuga; Stefano Velotti, filosofo; Dario Voltolini, scrittore; Vitaliano Trevisan, scrittore. Quelli che trascurano di rileggere si condannano a leggere sempre la stessa storia è un’opera sonora, per funzione simile a un’ audioguida, in dotazione permanente presso il guardaroba del museo del Novecento di Milano. L’artista, dopo aver selezionato ventiquattro capolavori appartenenti alla collezione, ha chiesto a un campione di diciassette persone, rigorosamente esterne al mondo dell’arte, di mettersi di fronte ad essi e di raccontare le suggestioni evocate. La visita della collezione è così affidata al suono della voce di un bambino di dieci anni, di uno scrittore, di un musicista, di uno psichiatra, di un’attrice, di un infermiere, ecc. Il titolo dell’opera - Quelli che trascurano di rileggere si condannano a leggere sempre la stessa storia - è tratto da una citazione del semiologo Roland Barthes e costituisce un’esplicita proposta per una nuova e inusuale lettura della collezione. QUANDO LA STRADA GUARDA IL CIELO, 2010 tappeto calpestabile in lana e seta taftato a mano, 200 x 560 cm, veduta dell’installazione CCCS, Centro di Cultura Contemporanea Strozzina, Fondazione Palazzo Strozzi, Firenze Un tappeto di grandi dimensioni - percorribile dal visitatore rappresenta un lungo tratto di strada asfaltata su cui si legge una citazione dell’indimenticato ciclista Marco Pantani: “Vado così forte in salita per abbreviare la mia agonia”. Le lettere bianche ricordano le frasi d’incitamento scritte con il gesso o la vernice sull’asfalto dai tifosi per incoraggiare i ciclisti a superare le tappe più ardue. Sono parole che si dissolvono in lontananza, evocando la risposta di un grande campione all’accelerazione richiesta da una società sempre più esigente. Tragico eroe moderno, Marco Pantani fu protagonista dell’alternarsi di grandi successi sportivi ed amare sconfitte umane. Nel 1998 raggiunse un’enorme popolarità con le prestigiose vittorie del Tour de France e del Giro d’Italia. Nel 1999, la sua immagine fu radicalmente screditata in seguito a uno scandalo legato al doping, da quel momento fu abbandonato sia dal pubblico dei tifosi sia dai mass media che lo avevano idolatrato fino a che fu un vincente. Pantani fu trovato morto nel 2004 nella stanza di un hotel a Rimini. La sua corsa finì per abuso di sostanze stupefacenti ed un conseguente attacco di cuore. FOREVER OVEHEAD, 2010 mostra personale, Galleria Lia Rumma, Napoli, 24 gennaio- 24 febbraio 2010, testo di F. Comisso Sei nuove opere realizzate dall'artista per la mostra personale presso la Galleria Lia Rumma fanno risuonare fonti diverse che spaziano dalla letteratura alla fisica, dalla storia dell’arte al quotidiano, in una comune volontà di rappresentazione del cambiamento. All’origine del progetto espositivo, l'affresco della lastra di copertura della Tomba del Tuffatore di Paestum, dove un giovane uomo è sospeso tra la colonna-trampolino da cui si è appena lanciato e lo specchio d'acqua sotto di lui. A quel corpo che vola, disegnando nell’aria un tragitto che accenna, nella lieve curva tra braccia e gambe, a un movimento circolare e perpetuo, si accompagna idealmente il racconto di David Foster Wallace - che dà il titolo alla mostra e all'omonimo video presentato - in cui, nella vertiginosa altezza di un trampolino, si consuma il rito iniziatico di un adolescente verso l’età adulta. Paura e desiderio, vita e morte, usuale e trascendentale sono elementi contrari, ma inscindibili che permeano la nostra vita. L’oscillazione tra queste opposte tensioni può essere distillata in uno spazio simbolico. Un attimo dilatato, come sospeso “per sempre lassù” - Forever overhead - in cui indugiano passato e presente, conosciuto e sconosciuto, pensiero ed azione in fieri. . BLOCCO DI PARTENZA, 2010 blocco di piombo inciso, 30 x 30 x 5 cm, parallelepipedo a base quadrata in metacrilato trasparente, 19 x 19 x 47 cm, veduta dell’installazione Galleria Lia Rumma, Napoli L’opera, composta da un blocco di piombo posato su un piedistallo trasparente, orientato verso il visitatore, apre la mostra Forever overhead. Il volume della scultura, ricorda la postazione di partenza dei tuffi in piscina. Il materiale con cui è realizzato - il piombo - per il suo colore, l’opacità, l’alto peso specifico e la consistenza cedevole, evoca tradizionalmente la malinconia saturnina ed il senso di perdita. Il blocco reca un’incisione con la formula della gravità zero, che rimanda allo slancio in aria precedente al tuffo. Il suo peso specifico corrisponde esattamente al peso dell’artista, è un elemento autoreferenziale che costituisce un’unità di misura. Come evidenziato dal titolo, l’opera traduce due tensioni contrarie: l’esitazione prima del tuffo - il blocco - e lo slancio verso il vuoto - la partenza stessa. . FOREVER OVERHEAD, 2010 video proiezione, film 35 mm, trasferito su DVD, suono, colore, 5’48’’, veduta della videoinstallazione Galleria Lia Rumma, Napoli Il video Forever overhead mostra un uomo che si lancia da una piattaforma di dieci metri. Le immagini e i suoni registrano le variazioni sensoriali del tuffatore nel suo percorso dalla terra all’acqua, in una sequenza atemporale. L’opera si ispira all’affresco della lastra di copertura della Tomba del tuffatore di Paestum, dipinto per accompagnare il defunto nel suo viaggio ultraterreno, e prende il titolo Forever overhead, dall’omonimo racconto di David Foster Wallace in cui è narrato il cammino iniziatico di un adolescente verso l’età adulta. Il tuffatore sospeso in un vacuum, ben tradotto dalla formula “per sempre lassù”, è simbolo universale della transizione da una condizione esistenziale all’altra. . SIAMO FATTI DI QUESTO D’ARIA E ACQUA COME LE COMETE, 2010 installazione, neon bianco, 2 trasformatori, scatola di giunzione, 12 x 365 cm, veduta dell’installazione Galleria Lia Rumma, La citazione in neon è tratta da un una poesia scritta da Erri De Luca raccolta nel libro Opera sull’acqua e altre poesie. Le parole “Siamo fatti di questo d’aria e acqua come le comete” appaiono e scompaiono attraverso un sistema di illuminazione in tre fasi: si accendono, rimangono illuminate per pochi secondi, e si spengono in ciclo creativo continuo e effimero. SCOMPARIRE IN UN POZZO DI TEMPO, 2010 tappeto calpestabile taftato a mano ø 200 cm, disco in acciaio specchiante ø 149 cm, veduta dell’installazione Galleria Lia Rumma, Napoli Il titolo dell’opera è una citazione di David Foster Wallace, autore che ha ispirato il tema del progetto espositivo più vasto di cui quest’opera fa parte (Forever overhead). L’istallazione comprende un tappeto in lana rotondo. Su di esso è sospeso uno specchio di uguale forma e diametro. Il tappeto presenta un motivo di linee concentriche simili alle onde generate dall’impatto di un corpo con l’acqua. Il visitatore è invitato a posizionarsi al centro del tappeto e, guardando la propria immagine riflessa nello specchio sopra di lui, a sperimentare l’ambivalente tensione della caduta (suggerita dal tappeto) e dello slancio del tuffo (evocata dallo specchio). . IN LOVE WE TRUST, 2009 lama affilata in acciaio serie 420 con incisione laser, 10 x 230 x 0,5 cm, versioni in italiano e inglese, veduta dell’installazione Una lunga lama d’acciaio, affilata come un coltello, è appesa orizzontalmente al muro. Riporta incise le parole di Susan Sontag (tratte dai Taccuini e i diari del 1958-67): “Fa male allora amare. E’ come accettare di farsi scorticare sapendo che in qualunque momento l’altra persona può andarsene via con la tua pelle”. Sono parole che si compongono come una formula e si offrono su una superficie specchiante che rimanda al visitatore la propria immagine. . FROM HERE TO ETERNIT, 2009 installazione, scritta luminosa, lampadine ad incandescenza da 10 watt, 549,95 x 49,62 x 3 cm, veduta dell’installazione Collezione La Gaia, Busca (CN) Una scritta luminosa di grandi dimensioni si staglia sul muro, come un’insegna, lanciando una promessa: “from here to eternit”. La scritta ricalca i caratteri grafici utilizzati fino al 1986 dalle fabbriche “Eternit”, i cui stabilimenti producevano una miscela di cemento ed amianto brevettata nel 1901 dall’austriaco Ludvig Hatsheck, che solo in Italia ha causato fino ad oggi più di tremila vittime di cancro. Il progetto dell’istallazione nasce dal connubio, sarcastico e amaro, del devastante prodotto industriale "Eternit" e del titolo del film From here to eternity diretto da Fred Zinnnemann nel 1953 che evoca una romantica promessa di un’unione eterna: il celebre "fino a che morte non ci separi". In effetti, le fibre d’amianto assorbite dagli operai della fabbrica di Eternit e dagli abitanti delle città circostanti gli stabilimenti di produzione, resistono tenacemente nei loro corpi accompagnandoli lentamente fino alla morte. PIER PAOLO PASOLINI 2009, 2009-2010 installazione, lettere tagliate al laser in acciaio inox lucidato a specchio, 15 x 800 cm e 30 x 735 cm, veduta dell’installazione collezione permanente Castello di Rivoli, Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli (TO) Una lunga serie di lettere in acciaio lucido affisse a parete, compongono una frase di Pier Paolo Pasolini come un’iscrizione epigrafica, in cui l’osservatore, avvicinandosi, può riflettersi. “Forse sono io che sbaglio. Ma io continuo a dire che siamo tutti in pericolo”, sono le parole pronunciate dallo scrittore cineasta nel corso di un’intervista rilasciata il 1° novembre 1975, tra le quattro e le sei di pomeriggio, poche ore prima di essere assassinato. E’ questa un’affermazione macroscopica, lapidaria per la valenza quasi profetica che ebbe nel momento in cui fu pronunciata: un presagio della morte imminente di chi proferì queste parole e degli anni di piombo che avrebbero investito l’Italia a breve; e al contempo una verità microscopica, che evoca la precarietà della vita. A più di trent’anni dalla scomparsa di Pier Paolo Pasolini, tale dichiarazione mantiene la risonanza e la contemporaneità di una verità svelata da un uomo capace di guardare e comprendere prima degli altri la realtà ed il suo evolversi. In questo senso il titolo dell’istallazione Pier Paolo Pasolini 2009, è un tributo al grande scrittore riattualizzato per mezzo dell’inserzione della data di creazione dell’opera, come se le parole citate fossero state appena proferite. MY NO MAN’S LAND , 2008 mostra personale , galleria Art Agents, Amburgo (Germania), 5 marzo – 4 maggio 2008 L’espressione “My no man’s land” è un aforisma, con cui Samuel Beckett usava definire il proprio lavoro, ma anche una frase associabile al mare, o meglio, come vuole il glossario della Marina Militare, all’ “alto mare”. Una zona franca, che inizia dove finiscono i confini costieri nazionali, esule da qualsiasi sovranità e diritto statale. Una terra che non appartiene a nessuno, in cui si perpetuano stragi legate alla migrazione di migliaia di persone, pronte a lasciare il sud del mondo per il benessere occidentale. Migliaia di persone per cui il mare rappresenta l’ultimo grande ostacolo verso la realizzazione di un sogno e di una speranza. Da qui nasce il tema ed il titolo della personale dell’artista, presso Art Agents ad Amburgo, un progetto che affronta il tema della responsabilità attraverso cinque opere specificatamente concepite per la mostra. LIFE BELT, 2008 tre salvagente di sapone alla glicerina bianco, ø 57 cm, veduta dell’installazione Galleria Art Agents, Amburgo (Germania) Tre salvagente bianchi sono disposti su un pavimento nero, come se galleggiassero su una superficie oscura, nell’alto mare notturno. Realizzati come salvagente a norma di sicurezza, sono fatti in sapone di glicerina neutro, incolore e inodore. Una sostanza scivolosa, soggetta a sciogliersi a contatto con l’acqua e a dissolversi in essa senza lasciare traccia. L’istallazione è stata creata in reazione ad un fatto accaduto nel 2007, quando un barca con duecento migranti clandestini venne avvistata dalla guardia costiera di competenza maltese. Benché in difficoltà a causa del maltempo, la barca non venne soccorsa dalle autorità e naufragò con i suoi passeggeri. Traendo ispirazione da questo fatto di cronaca, l’opera allude a tutti gli aiuti umanitari dati al momento sbagliato, troppo tardi, o mai. Promesse di aiuto paragonabili ai salvagente di sapone che sciogliendosi non lasciano memoria del proprio passaggio, ma solo la suggestione di un’intenzione. IO VIDDI LA MIA FORTUNA IN ALTO MARE, 2008 video proiezione, film 16 mm, trasferito su DVD, suono, colore, 2’11’’, veduta della mostra Galleria Art Agents, Amburgo (Germania) Il video Io viddi la mia fortuna in alto mare rappresenta due uomini che fanno fluttuare un sottile asticella su cui è fissata una barchetta bianca colma di piccole sagome umane. Il bastoncino bianco si staglia su un denso fondo nero e disegna, come a separare il cielo dal mare, una flebile linea d’orizzonte, animata dal movimento ondulatorio dei due attori - posti alle estremità dell’inquadratura e quasi tutt'uno con lo sfondo - che la sorreggono. É una scena fortemente evocativa del destino di tante persone che si compie per il volere e le azioni di attori esterni e potenti dei ex machina. L’opera trae il suo titolo dal ritornello del canto popolare che accompagna il video, che allude alla ricerca della fortuna in alto mare. BIANCA E IL SUO CONTRARIO, 2007 mostra personale, Galleria Lia Rumma, Milano, 21 settembre- 30 novembre 2007 La metamorfosi, la relazione con l’altro, la mancanza, la morte, la misura del tempo, sono i temi proposti dall’artista per la mostra personale Bianca e il suo contrario . L’esposizione si compone di un video – che dà il nome alla personale – e da due installazioni. Everyman è una scritta luminosa bianca, composta da due grandi motivi floreali, due rose, che la racchiudono, la sua composizione ricorda le decorazioni utilizzate per celebrare ricorrenze e feste popolari nel Sud Italia. L’opera sottolinea in senso lato il passaggio obbligato del percorso esistenziale di ogni uomo, che originato dalla vita e passando per l'amore, raggiunge la morte. In Lei che non dormiva mai, due scheletri in ceramica bianca giacciono a terra l'uno di fronte all'altro in posizione fetale, come uniti in un abbraccio. Partendo dalle immagini un ritrovamento archeologico risalente al neolitico, nei pressi di Mantova, l'artista fa realizzare dei calchi in ceramica dei due scheletri, riprodotti nella stessa posizione in cui sono stati ritrovati. BIANCA E IL SUO CONTRARIO, 2007 video proiezione, film 16 mm trasferito su DVD, suono, colore, 2’56’’, veduta della videoinstallazione Galleria Lia Rumma, Milano Il video che dà il titolo alla mostra, rappresenta una donna in piedi, l’artista. Vestita di bianco, con in mano un bouquet di rose dello stesso colore, è immobile e guarda in maniera neutra l’osservatore. La ripresa è frontale, a camera fissa, ed é accompagnata da un canto corale, un melisma di voci femminili privo di parole. La staticità iniziale é interrotta dalla discesa di gocce nere che, aumentando d’intensità, si fanno pioggia. Una “precipitazione” liquida che viene man mano assorbita dalla pelle e dal tessuto del vestito fino a tingerli completamente. La metamorfosi di "Bianca" nel suo "contrario" si consuma in una durata temporale simbolica, alludendo all’inesorabile scorrere del tempo che, simile a un umore vischioso, sporca il candore della sua condizione iniziale. La scelta di proiettare la figura nella sua dimensione reale allude al desiderio di coinvolgere direttamente l’osservatore. TANATOSI, 2006 mostra personale, Fondazione Merz, Torino, 9 novembre 2006 - 7 gennaio 2007, a cura di B. Merz La parola “tanatosi” definisce lo stato di completa immobilità assunto da alcuni animali per proteggersi da un pericolo o da un’aggressione esterna. Una morte simulata scaturita dalla paura. Da questa estensione semantica prende il titolo e trae ispirazione l’omonima mostra personale dell’artista, inaugurata a Torino presso la Fondazione Merz. Un progetto che, assumendo i sensi come strumenti primari di conoscenza del mondo, esplora il potenziale percettivo insito in situazioni psicologiche alterate (fobiche) ed in soggetti con handicap visivi. Quattro istallazioni e un video compongono un percorso sensoriale fruibile, anche da non vedenti, creato intorno al tema della cecità sia fisica che simbolica. Tatto, udito e abilità aptiche sono i sensi sollecitati nel visitatore attraverso l’esposizione di cinque istallazioni. MISURAZIONE ANTI-OTTICA DELLO SPAZIO, 2006 3 mappe tattili in rilievo, alluminio, testi in italiano, braille e inglese, 2 mappe 40 x 40 cm, 1 mappa 60 x 60 cm, veduta dell’installazione collezione permanente Fondazione Merz, Torino Tre mappe sono affisse alla parete, una per piano, all’ingresso dei tre livelli della Fondazione Merz di Torino. Lo spazio museale è rappresentato secondo molteplici chiavi di lettura sensoriali: la percezione aptica, la vista ed il tatto. Le tre planimetrie in alluminio, sono realizzate utilizzando il corpo dell’artista come modulor (lo spazio è misurato in passi al posto di metri). Indicazioni visuali, in italiano e in inglese, accompagnano la descrizione degli spazi. Le mappe dei tre livelli della fondazione sono riprodotte in rilievo: basta toccarne la superficie per iniziare un viaggio del tutto inedito, in cui, grazie ad una descrizione tattile dei luoghi realizzata in alfabeto braille, la vista non è più privilegiata. Queste mappe nascono dall’impiego di una pluralità di segni e una citazione di Mario Merz da il titolo all’opera: “Misurazione anti-ottica dello spazio”. Un titolo che, sfidando la vista come unico mezzo di orientamento, propone dei mezzi di relazione e conoscenza alternativi. TANATOSI, 2006 installazione, 600 placche ovali di ceramica bianca 9 x 12 cm, iscrizioni in alfabeto braille e caratteri latini, dimensioni totali dell’installazione 765 x 371 cm, veduta dell’installazione Fondazione Merz, Torino Seicento placche di porcellana bianca occupano in maniera simmetrica una parete bianca. Sono placche ovali, abitualmente impiegate come supporto per la riproduzione fotografica di ritratti tombali. Sessanta di esse recano in rilievo delle iscrizioni trasparenti in alfabeto braille e latino, che nominano altrettante fobie legate ai cinque sensi (vista, udito, tatto, olfatto, gusto): cromatofobia, termofobia, acusticofobia, fagofobia. L’opera richiede la prossimità fisica dell’osservatore per essere pienamente percepita. Invita a un’intimità che è innanzitutto la disposizione a un ascolto del sé, e a ritrovare il proprio volto come riflesso fugace nel vuoto bianco delle placche. L’immobilità a cui rimanda il titolo dell’opera, fa riferimento alla tanatosi, processo di simulazione della morte attuato da alcuni animali come reazione alla paura. TEST OPTOMETRICO, 2006 9 light box, 160x 40 cm, veduta dell’installazione Fondazione Merz, Torino Nove light box sono allineati orizzontalmente su una parete. Su di essi caratteri di grandezza decrescente, dall’alto verso il basso, compongono citazioni tratte da differenti autori (Beckett, Calvino, Merz, McGrath, Saramago, Platz...) sul tema della paura e della cecità. I nove light box sono stati realizzati sul modello degli ottotipi normalmente utilizzati per la misurazione della vista da lontano. I caratteri illuminati che rimpiccioliscono gradualmente e non hanno spaziatura o punteggiatura, obbligano l’osservatore a compiere uno sforzo visivo e cognitivo crescente per comprendere il testo. “...la paura acceca... eravamo già ciechi nel momento in cui lo siamo diventati, la paura ci ha accecato, la paura ci manterrà ciechi... “. (Jose Saramago, Cecità).