Palazzo Diamantis

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Palazzo Diamantis
Palazzo Diamantis
STORIA
Nell’archivio mandamentale notarile del comune di Spello, tra gli atti della famiglia Diamantis
(1), tre si riferiscono alla costruzione del nuovo palazzo di famiglia. Il primo del notaio Mariotto
Panciardi del 23 agosto del 1589, il secondo e il terzo rogati dal notaio Blasius Puccius
rispettivamente il 18 aprile 1601 e il 3 settembre 1601.
Nell’atto del 1589, Jacopo Antonio Diamantis per proprio e per conto dei fratelli e nipoti
appalta i lavori del nuovo palazzo “sito entro Spello nel terziere mezota di fronte alla piazza
grande presso i suoi noti confini” al “ maestro Baptista del fu maestro Giovanni lombardo
muratore”. I lavori che dovevano terminare entro il mese di marzo 1590 prevedevano la
costruzione di “ due facciate verso la piazza e la vie pubbliche con due bugnature e le altre due
facciate con un solo bugno da terra a cielo, si dovevano imbiancarsi l’ornamenti e le finestre verso
la campagna intonacarsi e imbiancarsi.” e ancora, “ intonacare ed imbiancare tutte le altre stanze
del palazzo, fare quattro solai e di questi, due mattonati. Riempire e mattonare tutte le volte con
mattoni arrotati e mattonare anche tutti i fondi. Fare tre cappe a tre camini che vi sono e non le
hanno. Fare quattro porte di cui tre sormontate da cornici. Rimurare nove finestre della facciata
verso la piazza con mostre e cornici. Fare due
necessari e ogni cosa…”. Dalla spesa di
duecentocinquanta fiorini erano esclusi i materiali quali calce, rena, pietre, laterizi ecc. che
restavano a carico del committente. Dal succitato atto si può supporre che il palazzo era già stato
iniziato.
Il secondo documento è la quietanza che i maestri Battista e Giacomo di Bernardino da
Como abitanti in Spello, rilasciano alle figlie ed eredi di Troilo Diamantis, Cleophe e Adria, per il
saldo dell’ultima rata di cento scudi che aggiunti ai quattrocentosettantatre pagati in precedenza
dal Sig. Jacantonio Diamantis loro zio, sommano scudi cinquecentosettantatre pari all’importo
pattuito. Ciò fa dedurre che in questo lasso di tempo ci fu almeno un altro appalto poiché il primo
importo di duecentocinquanta fiorini si era più che raddoppiato.
Il terzo atto, è l’appalto dei lavori per il completamento del palazzo che le stesse figlie ed
eredi di Troilo Diamantis, Cleophe e Adria, tramite Evandro Leonini marito di Cleophe, affidano ai
maestri “Baptista, Giacomo e Marco” del fu Bernardino di “Canneggio longobardie” ora abitanti
in Spello. I maestri dovevano: “ completare l’alzato della parte mancante e coprirla con il tetto.
Avrebbero pagato il muro in ragione di giuli venticinque alla canna, alla solita misura i tetti in
ragione di venti giuli, i mattonati arrotati et tagliati giuli venticinque alla canna, i mattonati solo
arrotati giuli venti alla canna. L’intonacatura e l’imbiancatura de muri e delle volte come di
consueto e quanto ai gradini della scala fatta con quadroni si rifanno, a quanto li ha pagati il Sig.
Ottavio Fioravanti obbligandosi detti maestri, di seguitare a lavorare sino a che i materiali e
l’opera non sarà finita..”.
La fabbrica in questione è l’attuale Palazzo Antonelli Franceschini ed eredi Piccitto in via
Cavour 57 censito al vigente catasto urbano del comune di Spello, al f. 46 con le partt. 107-108103.
Quest’edificio, che fu il palazzo nuovo dei Diamantis, restò di questa famiglia per circa due
secoli e precisamente fino al 10/10/1786 data della scomparsa dell’ill.mo Giacomo Aurelio
Diamantis Patrizio di Spello e di Spoleto. Non avendo più discendenti diretti, il Diamantis nomina
erede fiduciario Francesco Maria Ciofi nobile d’Assisi. Questi prende possesso dell’eredità che si
trova nei territori di Spello e Bettona con rogito del notaio Angelo Vincenzo Cruciani in data 7
dicembre 1786.
Dalla famiglia Ciofi la proprietà del palazzo passa ai fratelli Vincenzo, Filippo, Ottavio e Luigi
del fu Antonio Accorimboni, come si desume nell’atto del 26/11/1794 rogato dal notaio
Sigismondo Panciaraglia.
La casa resta degli Accorimboni in parte fino al 26/11/1880, data di morte di Vincenzo cui
succede Cecilia Salimbeni come usufruttuaria e Cianni Giuseppe proprietario.
Dall’atto del not. Bocci del 23 maggio 1882, sappiamo che la parte dell’edificio degli eredi
del cap. Vincenzo Accorimboni, per intero, viene intestata a Francesco Spano di Foligno per
compera. In precedenza era stata alienata una porzione a favore di Marianna e Angela Castellani
di Spello con atto del 16 marzo 1880 per un totale di otto vani.
Tra il 18 marzo 1898 e il 6 giugno del 1907 il Prof. Angelo Mazzoli acquista l’intero palazzo
dalla S.ra Angela Castellani, dal succitato Francesco Spano e dal Sig. Accorimboni Filippo eccetto
alcuni vani, che verranno in seguito acquistati dal maestro Toscano Giuseppe.
Al prof. Mazzoli subentra la figlia Ines coniuge del Gen. Antonio Franceschini la cui eredità è
stata trasmessa ai Sigg. Antonelli Franceschini Augusto e Gabriella.
ARCHITETTURA
L’edificio risultato dalla ristrutturazione di costruzioni medievali i cui residui possono ancora
vedersi nelle parti non intonacate, prospetta ad est sulla piazza, a nord su via della Misericordia,
ad ovest con proprietà private e a sud in parte con altri edifici e in parte su uno dei vicoli di borgo
della Maestà che scavalca con un tratto voltato.
Il prospetto principale di quattro piani compreso il piano terra, è diviso in tre zone da tre
ordini di cornici di cui una, a mo’ di fascione, evidenzia i parapetti delle finestre del primo piano. La
seconda, lo spiccato delle finestre del secondo piano. Particolarità di queste cornici, sono le
interruzioni aggettanti in corrispondenza delle aperture che danno maggiore movimento ai volumi
aumentando la plasticità della facciata. La terza, più marcata delle altre, chiude l’alzato e sorregge
la gronda del tetto.
Il fascione del primo piano, sviluppa e prosegue anche lungo il prospetto di via della
Misericordia e dimostra l’unitarietà dell’intervento e dell’edificio anche con il corpo più basso del
fabbricato.
I prospetti intonacati, ai margini, presentano una leggerissima bugnatura di malta.
Il portone di accesso, limitato da stipiti e architrave di travertino modanati nella maniera
classica, presenta la scritta “ A DEO OMNIA”. Questi permette di entrare in un androne voltato che
porta ad un minuscolo cortile su cui si affacciano la scala principale e i collegamenti pensili dei vari
piani.
INTERNI
Sia i locali interrati che quelli del piano terra hanno i soffitti a volta mentre al primo piano
troviamo le volte sui locali prospicienti la piazza e uno su via della Misericordia. Il resto dei soffitti
sono con struttura piana.
Le sale al piano nobile prospiciente la piazza hanno i soffitti a volta con decorazione del XVII
secolo, mentre nei cassettoni centrali, due pitture di epoca più tarda rappresentano il trionfo di
Galatea e “il sonno di Endimione” ispirate forse alle opere di Raffaello e di Carracci.
Nella prima sala, le lunette delle pareti nord, sud ed est, sono rappresentati paesaggi
arcadici mentre in quelle della parete ovest sono raffigurati Nettuno sotto un arco di edificio
diruto e un tempio ionico con l’immagine di una dea all’interno di una nicchia. Questi quadri sono
contornati oltre che dalle cornici anche da racemi e festoni. I racemi originati da volti di fauno
dopo aver generato delle volute fronzute terminano con un fiore dal cui calice sorge il busto di un
satiro sorreggente un festone che pende dalla parete oppure da sfingi come nelle lunette della
parete ovest. Sugli spicchi della volta, sempre tra festoni, sono raffigurate le quattro stagioni. Al
centro, nel cassettone, è raffigurato “il sonno di Endimione” (2), opera comunque questa più tarda
rispetto alle decorazioni descritte, .
Nella seconda sala, le lunette della parete nord e sud propongono decorazioni con racemi e
festoni di frutta sorretti da figure antropomorfe. Sulle due lunette della parete ovest, due urne con
bucranio sorrette e contornate da racemi e festoni. Ai lati di un’urna, sulla prima lunetta, troviamo
lo scoiattolo e la colomba, sulla seconda il topo e la pernice. Sulla parete est, quella finestrata, si
ripetono le decorazioni floreali, su una è raffigurata l’upupa. Sui pennacchi della volta troviamo le
teste di Medusa sormontata da Grifi poggianti su scenette e sorreggenti medaglioni con le figure
di Zeus, Era, Poseidone e Diana. Nel quadro centrale limitato nei lati minori da ventagli, è
raffigurato “il trionfo di Galatea”(3). Anche quest’opera risulta di epoca diversa dalle decorazioni
delle vele e delle lunette.
La terza sala, di proprietà Piccitto, ripropone le stesse decorazioni ma non ha dipinti al centro
della volta.
Caratteristica costante delle decorazioni sono i riferimenti simbolici dei vari soggetti che
vanno dal topo simbolo “dell’energia sottile”, allo scoiattolo simbolo del “risparmio e del pudore“,
alla colomba simbolo di ”pace e armonia”, alla pernice simbolo di “seduzione”, all’upupa simbolo
di “meditazione o tradimento”, alla sfinge che nella tradizione greca è “depositaria dei misteri”
mentre in quell’egiziana è simbolo di “guardiano sacro”, e infine il ventaglio che rappresenta la
“circolazione dell’energia”.
Non si conosce l’autore di queste opere anche se la memoria famigliare, per i quadri dei
cassettoni sulle volte, parla dei fratelli Adam architetti scozzesi che negli anni 1754-1758
avrebbero operato in zona (4).
Anche al piano terra si trova un locale, ex sede bancaria, sul cui soffitto sono raffigurate le
immagini simbolo delle scienze, dell’agricoltura, del lavoro e del risparmio, opera dei primi lustri
del XX secolo del pittore Spellano Benvenuto Crispoldi.
NOTE
(1) – L’Abate Ferdinando Passerini fa derivare la famiglia Diamantis dall’antichissima famiglia
Salimbeni detta poi Beni, ma nell’ambito degli archivi comunali, il primo Diamantis che è stato
possibile trovare, è Hieronimus che appare nell’atto rogato il 21 agosto del 1491 dal not.
Costantino Pucci. In seguito per circa tre secoli, la famiglia Diamantis si ritrova in molti atti notarili
sia con Jeronimo che oltre a gestire l’aromataria nei pressi del “Tribio” concedeva anche censi, che
con il figlio Silverio per tregue e paci concluse con altre persone.
Nell’ambito dell’attività istituzionale invece bisogna arrivare al 1531 per trovare Francesco di
Jeronimo Diamantis quale membro del consiglio comunale per il semestre che inizia dal 5 giugno.
Dal testamento rogato dal not. Cruciano Sforza in data 12 agosto 1527, sappiamo che
Jeronimo oltre a Silverio aveva anche un figlio di nome Francesco cui lascia l’aromataria e una
figlia Hermida, che legittima.
Dall’inizio del XVI fino ad alla fine del XVIII secolo nello stesso casato oltre ad una serie
d’aromatari si hanno anche reverendi, capitani e dottori. Il succitato Jacopo Antonio figlio di
Francesco e nipote di Hieronimo , aveva altri cinque fratelli: Troilo, Jiulio, Jeronimo, Amedeo
Aurelio, Angelino e una sorella di nome Selvaggia..
La prima aromataria, quella di Jeronimo, passata poi a Francesco, doveva essere situata
nell’attuale palazzo ex Ruozi-Berretta poiché in base all’atto del 1508 pag. 57/v del notaio
Mariotto del quodam Antonio Ser Pascuccio di Alessio, confinava con i beni dell’ospedale di S.
Giacomo, con quelli di Mariotto Cole Giovanni e la porta del “Tribio” (La porta del Tribio o Tribbio
di S. Lorenzo, era l’arco di Ruozi–Berretta, all’inizio di via Giulia. Di questa porta, che segnava il
confine tra i terzieri Mezota e Pusterola, ne parlano anche le cronache degli Olorini in occasione
della caduta del portone nell’anno 1330 e che uccise due persone). Dall’atto del 4 novembre 1569
del notaio Cruciano Sforza, sappiamo che l’apoteca era presso la via pubblica su due lati e i beni
del Sig. Guidoni. Il Sig. Guidoni o Guidone dovrebbe essere l’annalista Olorini la cui residenza era
l’attuale palazzo censito al fg. 45 con la part. 448.
L’attività della suddetta aromataria risulta in essere anche dopo la morte di Francesco. I figli
e nipoti di Francesco non solo dispongono di altre aromatarie ma proseguono anche l’attività di
concessione di censi e recupero crediti. Con i matrimoni la famiglia si lega alle maggiori casate di
Spello tra cui i Paolucci, gli Sforza, i Leonini, i Gentili Donnola, i Fioravanti ed anche con quelle
delle città vicine quali i Torti e Beci di Bevagna i Casomanni di Perugia. Anche nella vita
ecclesiastica si hanno Abbadesse nel monasteri agostiniani di S. Giovanni e di S.Maria Maddalena.
Nella collegiata di S. Lorenzo lasciarono il loro ricordo Angelino Diamantis con la costruzione del
tabernacolo di Flaminio Vacca (1589), Giulio Diamanti con l’erezione e dotazione della cappella
della Madonna del Carmelo.
Concorsero anche nella costruzione della chiesa di S. Gregorio Magno cui Diamante
Diamantis fece costruire l’altare maggiore.
(2) Ispirato all' opera di Annibale Carracci, Diana ed Endimione, affresco volta, Galleria dei Carracci,
Palazzo Farnese, Roma
( http://www.italica.rai.it/rinascimento/iconografia/prot_810.htm )
Endimione,secondo il mito, (Apollonio Rodio, 4.57) fu re dell' Elide, la regione di Olimpia. Essendo
un giovane bellissimo, Selene, la dea della luna, (Selene è la personificazione della luna piena,
insieme ad Artemide (la luna nuova)) se ne innamorò, dopo averlo visto dormiente sul monte
Latmo. Pur di poterlo andare a trovare ogni notte, Selene gli diede un sonno ed una giovinezza
eterna.
Le storie su di lui sono discordanti a seconda delle regioni da cui provengono. Le più popolari
narrano comunque di un amore segreto con Era, che una volta scoperto da Zeus, venne
maledetto. Il giovane venne costretto a 50 anni di sonno continuo dal re degli dei, anche se nella
Biblioteca di Apollodoro (1.7.5) è lui stesso a chiedere il dono di non dover affrontare la vecchiaia.
Esistono altre versioni del mito, una delle quali narra che fu Ipno a donare ad Endimione la facoltà
di dormire con gli occhi aperti. Un'altra, invece, sostiene che il giovane fu costretto a dormire per
trent'anni in una caverna sul monte Latmo senza mai svegliarsi da Zeus, come punizione per aver
cercato di insidiare Era. Secondo tale versione del mito la dea Artemide (In epoche successive la
sua figura fu associata alla dea Diana della mitologia romana), scoprì Endimione dormiente, e
incantata dalla sua bellezza si recava ogni notte a guardarlo, e dalla relazione nacquero 50 figli.
Riproduzione parziale della ben più famosa opera di Raffaello Sanzio, 'Il trionfo di Galatea',
affresco conservato nella villa Farnesina in Roma
http://www.storiadellarte.com/biografie/raffaello/immraffaello/trionfo.htm
Galatea è una figura della mitologia greca, una delle cinquanta ninfe del mare, le Nereidi, figlie di
Nereo e di Doride, la cui abituale residenza è in fondo all'oceano, con il padre e che hanno il
compito di assistere i marinai.
Omero ne fa cenno nell' Iliade (libro XVIII), ma il mito del suo amore per Aci (o Acis) è posteriore e
costituisce uno dei temi preferiti della poesia bucolica dei poeti greci in Sicilia.
Il mito narra che Galatea fosse innamorata di Aci, un giovane bellissimo, e che il ciclope Polifemo,
invidioso del giovane e a sua volta innamorato della ninfa, un giorno avesse cercato di attirarla con
il suono del suo flauto (simbolo di lussuria). Non essendo riuscito nel suo intento, sorpresa la
coppia di amanti, scagliò infuriato un enorme masso che raggiunse, uccidendolo, Aci.
Come raccontato nelle Metamorfosi di Ovidio, Galatea, per tenere in vita il suo amore, trasformò il
sangue di Aci in una sorgente e lui stesso divenne un dio fluviale.
Il tema mitologico ha dato luogo alla diffusione di un soggetto iconografico prediletto dagli artisti
del Rinascimento, quello del Trionfo di Galatea: si tratta di una scena vivace e affollata, nella quale
la ninfa campeggia al centro, sul suo carro, una conchiglia trainata da delfini. Il gruppo è sorvolato
da alcuni amorini che scagliano frecce in direzione di Galatea.
(4) Robert Adam
Dati anagrafici
* 3 luglio 1728, Kirkcaldy, Fife (Scozia)
+ 3 marzo 1792, London
Professione Architetto e designer scozzese
Periodo d'attività 1758 - 1792
Paesi in cui opera Scozia, Inghilterra, Irlanda
1754-58 - Robert, insieme al fratello minore James, parte per il Grand Tour europeo, in seguito ad
un invito del minore dei Conti di Hope; Robert visita la Francia,l’Italia, le rovine romane, Spalato,
l’Austria, incontra numerosi artisti e personaggi noti, tra cui William Chambers e Giovan Battista
Piranesi, studia all’Accademia di Francia il disegno e la teoria di Le Brun sul carattere e la
fisiognomica con il maestro Laurent Pecheux, che lo aiuta ad imparare il francese e l’italiano,
insieme a Charles Louis Clerisseau, e apprende elementi di vedutismo con il maestro Jean-Baptiste
Lallemand.
(http://icar.poliba.it/storiacontemporanea/autori/adamrobe/schedauto.htm )