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ED I TO RI AL E
Gusto itinerante, gusto di stagione, dopo aver ballato in
Puglia, ecco l'autunno, stanca stagione che ha già vendemmiato. Come un amore consumato dal tempo, giorno dopo
giorno il sole perde calore, nel subappennino dauno e sulla
Murgia la brina già ricopre i monumenti di pietra a secco,
l'aria mattutina è frizzante, spesso profuma di mosto, i secolari ulivi nel Salento cominciano a donare frutti.
Il vento raccoglie le prime foglie, porta dalle campagne
l'odore delle prime arature. Nelle masserie le conserve sono
ormai pronte, ferme e riposate, quella di ciliegia allieta già
le nostre tavole che godono dei primi funghi, delle noci che
diventano scure e di uva straordinaria per la sua bellezza e
per la sua dolcezza.
E' un tempo unico per scoprire odori, sapori, musica di una
terra ricca di talenti, ospiti in masseria, inebriati da una campagna capace di stupire.
Itinerant taste, taste in season, after dancing in Apulia, here
is the autumn, tired season which has already harvested grapes. Day by day the sun is losing its warmth as love consumed by the time. In Daunia subapennine and Murgia the
hoarfrost is already covering dry-stone monuments, the
morning air is crisp and often smells of crisp, the Salento
secular olive trees begin to give fruits.
The wind is gathering the first leaves and brings the smell
of the first ploughings from the countryside. In the farms
the preserves are ready, still and settled, the cherry jam is
already cheering our tables which are enjoying the first
mushrooms, the nuts that are becoming brown and extraordinary beautiful and sweet grapes.
It is an unrivalled period to find out smells, tastes, music of
land rich of talents, guests in farm, inebriate with a countryside able to surprise.
Gianni Sportelli
SOMMARIO
GUSTO DI PUGLIA
rivista bimestrale
Registrazione presso il Tribunale di Lecce del 19 dicembre 2006 n° 952
è vietata la riproduzione anche parziale di testi, delle foto e delle illustrazioni se non autorizzata dalla direzione.
EDITORIALE
pag. 1
numero 6 – anno II
SCEGLIERE VINO
PROGETTO EDITORIALE
SERGIO D’ORIA
DIRETTORE RESPONSABILE
GIANNI SPORTELLI
Aleatico, meditate gente
pag. 4
di Gianni Sportelli
ORIZZONTE VERDE
Melagrana, la regina
pag. 12
di Annalisa Bari
REDAZIONE
RITA PERRONE
ANGELO SIRSI
SEGRETERIA DI REDAZIONE
7TERRE Global Service
via Nino di Palma, 112 – 73012 Campi Sal.na (LE)
tel./fax 0832/793781
e-mail [email protected]
GUST-ARTE
Ecco come vestirsi di cibo!
pag. 18
di Monica Maggiore
PUGLIA DA GUSTARE
Ciliegie, delizie per il palato
pag. 26
di Federica Sgrazzutti
PUGLIA DA GUSTARE
FOTO/ILLUSTRAZIONI
GIANNI ZANNI
SILVIO BURSOMANNO
SI RINGRAZIA PER LE FOTO CONCESSE
PROFESSIONAL PHOTO VIDEO di S. Spagnolo
ALESSANDRO STAJANO
AZIENDA VIT. LEONE DE CASTRIS
AZIENDA VIT. FRANCESCO CANDIDO s.p.a.
PROGETTO E DIREZIONE ARTISTICA
MAURIZIO D’ANNA
Tante storie intorno a un baccello
pag. 34
di Sergio D’Oria
MEDMARE
Gamberi rossi di Gallipoli, ricercata prelibatezza di
Sergio D’Oria
pag. 42
INCONTRI DI GUSTO
Antonio Romano
pag. 52
di Sergio D’Oria
LE VIE DEL PANE
Pane di Laterza, panedd'
pag. 58
di Gianni Sportelli
IMPAGINAZIONE
RITA PERRONE
METE
Barsento, da eco-sistema a eco-museo di Alessandro Stajano
pag. 64
STAMPA
EDITRICE SALENTINA - Galatina (Le)
PUBBLICITÀ
REGIONE PUGLIA
Assessorato alle Risorse Agroalimentari
PROVINCIA DI LECCE
UNIONCAMERE BARI
PROVINCIA DI FOGGIA
Assessorato alle Risorse del Territorio
ENTE FIERA DEL LEVANTE
METE
Orsara di Puglia, dai Calatrava alle zucche di Halloween
di Alessandro Stajano
pag. 70
ORIZZONTI FIORITI
Strelitzia, eleganza di forme, armonia di colori di Sabrina Sansonetti
pag. 78
PUGLIA MADRE
Turcinieddi, memoria del passato
pag. 84
di Federica Sgrazzutti
SI RINGRAZIA PER LA COLLABORAZIONE
PANIFICIO DI FONZO di Giuseppe di Fonzo e f.lli
VINCENZO GIGANTELLI Sindaco Comune di Turi
ANTONIO TATEO Ass. alla comun. Comune di Turi
INGROSSO CARMELO La Make Carini di Lecce
MICHELE BRUNO Presidente Slow Food Puglia
ANTONELLO DEL VECCHIO Governatore Slow Food
GARDEN FRUTTA 2000 di Pasqualina Pagano
BISBIGLI NEL VENTO
Maltagliati all’Aleatico con ceci e baccalà
pag. 10
I RISTORANTI SONO SEGNALATI DA
SLOW FOOD PUGLIA
Ciliegie Ferrovia cotte al Primitivo con gelato alla cannella
pag. 32
Stelline di zucca ripiene di fave in guazzetto di basilico ed aria di pomodorini
pag. 40
Carpaccio di gamberoni rossi di Gallipoli
pag. 50
TRADUZIONI
MARIA RITA MIGNONE
Con Albano, una Puglia da mordere e sorseggiare
di Alessandro Stajano
pag. 90
RICETTE
Aleatico,think about it!
Three figs and the gentle Aleatico sweeten your mouth with the sea in the background.
Aleatico wine has strong taste, it
knows the ground where its roots
deeply sink, warm as the land where
it is born: Apulia. Aleatico Doc wine
of Apulia is a natural sweet wine
and has been producing for many
centuries. The homonymous grapes
have already been mentioned by Pier
de' Crescenzi in 1303, but he don't
say anything about their origins.
Some people say they come from
Greece,
others
Tuscany/Emilia,
think
from
probably
made
through a mutation of the black
Muscat wine. Aleatico wine has
round and gently sweet taste, with
a minimum alcoholic content of 15°
and it is produced in two varieties:
“Natural Sweet” and “Natural Sweet
Liqueur”. In the latter the light
withering of the grapes raises the
minimum alcoholic rate up to 18°.
If it is more than three years old it
can be labelled as a “Reserve”. Aleatico Doc from Apulia is a dessert
wine that goes well with unleavened
pastry cakes such as jam tarts, sweet
calzones with ricotta cheese, “mendule turrate” (toasted almonds with
sugar) and dry pastries made of
almond paste. The best period to
drink it is not later than five years
from the grape harvest, even if the
“Reserve” variety, in its best vintages, can be tasted within ten years. Aleatico Doc
must be served in glasses for sweet raisin wines at a temperature of 12-14°C o 1416°C for the “Reserve” variety. Red Aleatico of Apulia is perfect with a cake just taken
out of the oven. Sweet, almost smooth, with a fine garnet red, this wine has very old
Aleatico, meditate gente
di Gianni Sportelli
Tre fichi a far la bocca appena lieta, l'Aleatico, gentile a conforto e sullo sfondo il mare.
L'Aleatico, forte del suo sapore, del
suo sapere la terra, cuore sapido del
mondo, vite dalla radice profonda,
caldo di un luogo che s'invera, la
Puglia.
L'Aleatico di Puglia Doc è un vino
dolce naturale che si produce da
molti secoli. L'omonimo vitigno è
già citato da Pier de' Crescenzi nel
1303, il quale, però, non fa cenno
alle sue origini. Alcuni dicono che
sono da ricercare in Grecia, altri
ritengono, invece, che la vite sia di
provenienza tosco-emiliana, probabilmente ottenuta da una mutazione del Moscato nero.
Di sapore rotondo e moderatamente dolce, l'Aleatico ha una gradazione minima di 15 gradi e si produce
nella tipologia “Dolce naturale” e
“Liquoroso dolce naturale”. In quest'ultima versione, il lieve appassimento delle uve innalza il tasso
minimo di alcolicità fino ai 18
gradi. Se supera i tre anni di invecchiamento può portare in etichetta
la qualifica di “Riserva”.
L'Aleatico di Puglia Doc è un vino
da dessert che si accompagna principalmente con preparazioni dolci a
pasta non lievitata, come crostate,
calzoni dolci con la ricotta, “mendule turrate” (mandorle tostate con
zucchero) e pasticceria secca a base di pasta di mandorle. Il periodo ottimale di consumo è entro cinque anni dalla vendemmia, anche se la tipologia Riserva, nelle
migliori annate, si può degustare entro i dieci anni. L'Aleatico Doc va servito in calici per vini dolci passiti a una temperatura di 12-14°C o 14-16°C se si tratta della ver-
SCEGLIERE VINO
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origins even if today it is produced only in small quantity. It is made from Aleatico
grapes for at least 85%, with Negro Amaro, Malvasia Nera and Primitivo that give the
wine its typical red colour with purple nuances and a delicate aroma.
Both the “Natural Sweet” and “Natural Sweet Liqueur” versions, Aleatico Doc is garnet red verging on orange when it ages; its smell is intense and very persistent, fruity with plums and cherries aromas and gently spicy. Its taste is sweet, little tannic
and full-bodied, robust and balanced.
Aleatico Doc is produced in Apulia but Aleatico grapes grow particularly in Bari Low
Murgia on dry and sunny grounds and in some Salento areas; this kind of grapes is
sione Riserva. Insomma se vi capita davanti una buona torta appena uscita dal forno
e volete abbinarvi un ottimo vino, l'Aleatico Rosso di Puglia è la scelta giusta.
Dolce, quasi vellutato, con quel bel colore rosso granato, questo vino ha origini
antichissime, oggi, però, non si produce più in grandi quantità.
Si ottiene da uve Aleatico per almeno l'85%, con l'aggiunta di Negro Amaro, Malvasia Nera e Primitivo, che conferiscono al vino il suo caratteristico colore rosso con
riflessi violacei e un profumo delicato.
Sia nella versione “Dolce naturale” che nella versione “Liquoroso”, l'Aleatico Doc si
presenta all'esame visivo di colore rosso granata, tendente all'arancio con l'invecchiamento, e all'esame olfattivo intenso e molto persistente, fruttato con sentori di prugne e ciliegie e delicatamente aromatico. Di gusto amabile-dolce, poco tannico e
sapido, robusto di corpo ed equilibrato. L'Aleatico Doc viene prodotto in tutta la
regione pugliese, ma in special modo le uve Aleatico si producono nella bassa Murgia barese su terreni asciutti ed assolati e in alcune zone del Salento. Questo tipo
d'uva non è molto produttivo ed ha una raccolta ritardata ( l'acino deve essere leggermente passito ), perciò è stato per un tempo totalmente abbandonato per vitigni più produttivi, ma oggi è certamente rivalutato con la consapevolezza della sua
identità e del suo pregio.
SCEGLIERE VINO
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not very productive and has a delayed harvest (the grape must be
lightly overripe), for this reason they
have been abandoned for more productive vines but today they have
been certainly rediscovered, with the
awareness of their identity and
value. The famous wines are the
result of a constant care in the research of the best balance between
land, climate, vine and wine-making
techniques. Some of them are really
unique thanks to the man's genius.
Each wine has its author's signature
as a book, a piece, a poem, a movie
or a work of art. Each wine gives
space to moments of meditation. A
meditation wine goes always with
something exalting its splendid features: a pleasant conversation, the
warmth of a fire, a good book, tasteful confectionery, a good cigar. There are lots of
young or mature wines that are able to affect our senses and our mind, but after that
they die. Some of them live some decades longer and with their wisdom they can
absorb our meditation.
I grandi vini sono il frutto di un impegno costante nella ricerca del miglior equilibrio tra territorio, clima, vitigno e tecniche di vinificazione. Ad alcuni di questi la
genialità dell'uomo ha dato quel qualcosa in più che li rende unici. Insieme ad esperti e a testimonianze dirette, girando la Puglia, ne possiamo scoprire i segreti. Ogni
vino porta la firma del suo autore come un libro, un pezzo musicale, una poesia, un
film o un'opera d'arte. Ognuno di questi lascia un ampio spazio a momenti di meditazione. Un vino da meditazione è sempre accompagnato da quel qualcosa che esalta le sue splendide caratteristiche: una piacevole conversazione, una bella compagnia, il calore di un fuoco, un buon libro, della fine pasticceria, un buon sigaro. Ci
sono tanti vini che, in gioventù o in piena maturità, riescono ad emozionare i nostri
sensi e la nostra mente, ma poi muoiono. Alcuni di questi vini vivono qualche decennio in più; è allora che con la loro saggezza riescono a coinvolgere la nostra meditazione.
SCEGLIERE
VINO
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la ricetta
MALTAGLIATI* WITH ALEATICO WINE,
CHICKPEAS AND DRIED SALT COD
MALTAGLIATI ALL'ALEATICO CON CECI
E BACCALÀ
Ingredients for 4 people:
For maltagliati pasta:
400 gr. durum wheat flour
1 egg
salt to taste
Aleatico wine to taste
Ingredienti per 4 persone:
Per la pasta:
400 gr. di farina di semola di grano duro
un uovo intero
sale q.b.
vino Aleatico q.b.
For the sauce:
300 gr. dried chickpeas soaked for 12 hours
200 gr. fillet of soaked salt cod
n. 5/6 red small tomatoes
1 onion, 1 carrot, 1 stalk of celery
1 clove of garlic
laurel to taste
parsley to taste
olive oil to taste
fresh paprika
pepper
Per il condimento:
300 gr. di ceci secchi
200 gr. di filetto di baccalà già curato
n. 5/6 pomodorini rossi
1 cipolla, 1 carota, 1 costa di sedano
uno spicchio d' aglio
alloro
prezzemolo q.b.
olio d'oliva q.b.
peperoncino fresco
pepe nero
Work flour, egg, salt and aleatico wine until the dough
becomes not too tough (about 10 minutes) and let it
stand for 15 minutes, then roll it out and cut it into
maltagliati*. Now let it dry.
Wash the chickpeas soaked for 12 hours and boil them
with carrot, part of the parsley, onion, tomatoes, salt
and very little oil for 2 hours. Fry garlic, laurel, fresh
paprika in a large saucepan then add the fillet of cod cut
into small cubes and let it cook for 10 minutes on a
high flame. Then pour the chickpeas with some of their
liquor. Boil the pasta, sauté it in the sauce, add parsley
and pepper.
Sistemare la farina a fontana, mettere l'uovo e il sale ed
iniziare a impastare, quindi, a poco a poco, aggiungere
l'Aleatico fino ad ottenere un impasto non molto duro.
Lavorare la pasta per circa 10 minuti e lasciarla poi riposare per 15 minuti. Infine, tirare la sfoglia sottile e ricavarne dei maltagliati. Dopo aver disposto la pasta su un
vassoio, lasciarla essiccare.
Lavare i ceci, precedentemente tenuti in acqua per 12
ore, e metterli in una casseruola. Una volta raggiunto il
bollore, condirli con carota, sedano, parte del prezzemolo, cipolla, pomodorini, sale e pochissimo olio: lasciar
cuocere il tutto per 2 ore. In una casseruola capiente,
mettere l'olio e, quando è caldo, aggiungere aglio, alloro, peperoncino fresco e far rosolare. Unire il baccalà già
tagliato a tocchetti piccoli, lasciare cuocere per 10 minuti a fiamma sostenuta. Dopo, versare i ceci con un
mestolo del loro brodo (avendo cura di scartare le verdure). Cuocere la pasta, saltarla nel condimento, aggiungere il prezzemolo, il pepe nero e servire.
* maltagliati means “badly cut,” a reference to the crazy and
irregular shapes of rough trapezoids.
Ricetta dello chef Francesca De Pascale del ristorante
“Hostaria San Filippo” di Carovigno (Br)
di Annalisa Bari
Arils of seduction, draught of health, a spe-
Chicchi di seduzione, sorso di salute, un
cial fruit that has inspired myths and legends
frutto speciale che ha ispirato miti e leggen-
since ancient times.
de sin dall'antichità.
Sung by the poets, painted by the artists, revered by the brides, exhibited on the tables, used
in medicine and herbal medicine, in dying and tanning, the pomegranate can be defined as
the queen of the fruits and is worthy of the crown of its superb calyx.
There are lots of myths and legends about its generous tree: the Egyptians, 4000 years ago,
knew the vermifugal properties of its root and fruit, confirmed by the modern analysis for
the abundant presence of tannin. In ancient Greece the pomegranate was sacred to Juno,
goddess of the married love, to Demeter, goddess of fertility, and to Aphrodite, goddess of
love who brought it to the isle of Cyprus.
Roman brides were used to plait pomegranate small branches with their hair; in Dalmatian
tradition the bridegroom moves the plant from his father-in-law's garden to his; Turkish brides throw the fruit to the ground with force because each scattered aril will be a child.
Fertility, abundance, love, passion, martyrdom, charity are
the gifts given by this extraordinary plant with shining and
coriaceous leaves, the scarlet
flowers, the crowned beautiful
red-orange berry that, once
opened shows its glossy and
juicy blood-red arils.
“The green pomegranate with
the fine vermilion flowers” in
“Pianto antico” by Carducci;
“Madonnas of the Pomegranate” by Sandro Botticelli, by
Cantata dai poeti, raffigurata dagli artisti, venerata dalle spose, ostentata sulle tavole, utilizzata in medicina e in erboristeria, in tintoria e in conceria, la melagrana si può ben definire la
regina dei frutti e per buone ragioni merita la forma di corona del suo superbo picciolo.
Infiniti sono miti e leggende fioriti intorno al suo albero generoso, a partire da quelli degli egizi
che già quattromila anni fa ne conoscevano le proprietà vermifughe della radice e del frutto,
confermate poi dalle analisi moderne per l'abbondante presenza di tannino. Nell'antica Grecia il melograno era sacro a Giunone, dea dell'unione coniugale, a Demetra, dea della fertilità, e ad Afrodite, dea dell'amore, che lo avrebbe portato nell'isola di Cipro.
Le spose romane usavano intrecciare tra i capelli rametti di melograno. Nella tradizione della
Dalmazia lo sposo ne trasferisce la pianta dal giardino del suocero al suo. Le spose turche lanciano a terra il frutto con forza perché ogni chicco sparso sarà un figlio.
Fertilità, abbondanza, amore, passione, martirio, carità sono i doni che si attribuiscono a questa magnifica pianta dalle foglie lucide e coriacee, dai fiori scarlatti, dalla bellissima bacca
rosso-arancio coronata che, aperta, mostra lucenti e succosi chicchi sanguigni.
Chi può dimenticare “il verde melograno dai bei vermigli fior” nel “Pianto antico” di Carducci e le “Madonne della melagrana” di Sandro Botticelli, di Leonardo da Vinci, di Raffaello, di Jacopo della Quercia. In ognuna di queste opere il frutto tenuto in mano
dalla Vergine o dal bambino simboleggia la passione futura del figlio di Dio, mentre nell'Antico Testamento è citata come uno dei frutti della Terra Promessa.
Nelle arti figurative, nei tessuti e nelle decorazioni, così come nelle ceramiche
(famose quelle di Faenza), la melagrana è presente e s'impone col potere inquietante della sua
bellezza e con la forza seducente dei suoi significati allegorici. Punto focale nelle nature
morte, tocco raffinato nelle pietanze, trasfusione di brio sulle tavole imbandite, l'ineffabile
bacca delle dee non può sfuggire a chi vuole comunicare bellezza e voluttà.
ORIZZONTE VERDE
Leonardo da Vinci, by Raffaello, by Jacopo della Quercia. In
each of these works the fruit in
the hand of the Virgin or the
child, represents the future
passion of God's Child, while in
the Old Testament it is named
as one of the fruits of the Promised Land.
In the figurative arts, in the
fabrics, in the decorations and
in the pottery (the Faenza's
ones are the most famous), the
pomegranate imposes itself
with the disquieting power of
its beauty, the charming force
of its allegoric meanings. Focal
point of the still lives, elegant
touch in the dishes, transfusion of vitality on the sumptuously laid tables, the ineffable goddesses' berry cannot
avoid who wants to communicate beauty and voluptuousness.
It is no accident that the mythical “apple” of discord, that was the cause of the war of Troy,
was not an apple but a pomegranate, thrown on the gods' banquet in order to provoke the
rivalry among the most beautiful goddesses in the Olympus.
Originated in Persia and Afghanistan, the “Punica granatum” grows spontaneously from the
south of Caucasus to the Far East, and the Mediterranean region, particularly grown and protected in the Magna Graecia from where it has preserved myths and symbolic meanings. In
many south Italy areas it is still named “granato”. In Salento the farmers call it “sita”, maybe
alluding to its drought strength and to its high thirst-quenching power in those very hot
summer days typical in this land.
Here it is eying mischievous with its deep red flowers behind the dry walls in the late spring.
Exploding of vitality in the farmers' gardens with its ripe fruits that cracking, half-reveal the
juicy beads. Triumphing alone among the plants in the elegant villas at the place of honour.
The tuft of pomegranates is a constant and dominant presence on the baroque cornices of
Lecce monuments, carved in Salento golden stone, on the festoons and on the capitals.
An anonymous manuscript, dated 1902, with meaningful and allusive verses, has been found
in the bookcase of a well-known Lecce doctor.
Referring to her first amatory experience, a girl whispers:
“I want to give you what I have never given anybody.
I want to give you my body's nudity; I want to open my shrine's nudity to you.
My shrine is between my legs and nobody saw it; there the granato glows red, parted it
shows its arils.
The parted granato closes, and embraces the rose not bloomed yet.”
Non a caso il mitico pomo della
discordia, che fu alla radice
della guerra di Troia, non è la
mela, come si potrebbe pensare, bensì la melagrana, scagliata sul banchetto degli dei per
provocare la rivalità tra le più
belle divinità femminili dell'Olimpo.
Originario della Persia e dell'Afghanistan, il Punica granatum
cresce spontaneo dal sud del
Caucaso fino all'Estremo Oriente, oltre che in tutto il bacino
del Mediterraneo, particolarmente coltivato e protetto nelle regioni della Magna Grecia che
dalla terra madre ha tratto e conservato miti e significati simbolici. Tuttora in molte aree
del sud Italia va sotto il nome di granato. Nel Salento i contadini lo chiamano sita, forse
alludendo alla sua resistenza alla siccità e all'alto potere dissetante nelle giornate della
tarda estate ancora caldissima in questo territorio.
Qui lo vediamo occhieggiare malizioso coi suoi fiori purpurei dietro i muretti a secco nella
tarda primavera. Esplodere di vitalità negli orti contadini con i frutti maturi che si crepano e
lasciano intravedere i grani succulenti. Trionfare solitario tra le altre piante nelle ville signorili cui si destina un posto d'onore.
Scolpito nella pietra dorata salentina sui festoni, sui capitelli, sulle cornici barocche dei monumenti leccesi, il cespo di melagrane è una presenza costante e dominante.
Significative e allusive alcune righe tratte da un manoscritto autobiografico di autore anonimo, datato 1902 e trovato nella biblioteca di un noto medico leccese.
Con riferimento alla prima esperienza amorosa una fanciulla sussurra:
“A te voglio dare quello che non ho dato a nessuno.
A te voglio dare la nudità del mio corpo; a te voglio aprire la nudità del mio sacrario.
Il mio sacrario è tra le gambe, e nessuno lo vide; vi rosseggia il granato, dischiuso che mostra
i suoi chicchi.
Il granato dischiuso si richiude, ed abbraccia la rosa non ancora sbocciata”.
ORIZZONTE VERDE
di Monica Maggiore
Leaves, vegetables, legumes intertwine in a
continuous renewal of shapes, colours and
fancy.
Foglie, ortaggi, legumi si intrecciano in un
continuo rinnovamento di forme, colori e
fantasia.
Flowers, fruits and vegetables reigned supreme in the upper class world some decades
ago. They adorned ladies' extravagant hats flaunted at Ascot during the most ancient
horse racing in England. We couldn't imagine that artichoke's leaves, dried pulses and
aubergines' slices could even become raw materials to make suits! We hadn't seen dresses as sculptures made of vegetables yet. Rosa Maria Francavilla is able to catch the fruits'
charm and their invisible beauty that we cannot realize when we do the shopping. Vegetables become “dresses”, immortalized in their inner beauty.
Wearing the lightness of a leaf, feeling a golden ear of wheat, covering oneself with the
jacket of an artichoke, Nature gives us its dresses in any season, it gives us its colours,
tastes and art with perfect shapes. Rich fruits feed body and soul. When we are able to
turn taste and food into art, vegetables become splendid dishes, meetings, sharing, nourishment.
When we are able to exalt taste's and food's shapes, vegetables can even become very
particular dresses. Beans, peas, chickpeas and dried lentils, used as “Svarovski”, create a
splendid top to be put on! It takes imagination, taste and art, the same required to pre-
Fiori, frutta e qualche ortaggio
dominavano la scena negli ambienti
dell'alta borghesia di qualche decennio fa. Venivano, infatti, utilizzati
come ornamenti degli stravaganti
cappelli sfoggiati ad Ascot da signore e signorine in occasione delle
corse di cavalli più antiche d'Inghilterra. Non potevamo nemmeno
immaginare che foglie di un carciofo, legumi secchi e fette di melanzane potessero diventare, addirittura,
materia prima da utilizzare per confezionare abiti!
Nei percorsi dell'arte povera “abitisculture di vegetali” non li avevamo
ancora visti. A catturare il fascino dei
frutti della terra è Rosa Maria Francavilla, ne coglie, infatti, la loro bellezza più intima, che passa invisibile
sotto gli occhi ogni volta che andiamo a fare la spesa, e i vegetali diventano “abiti”. Ecco che vestirsi della
leggerezza di una foglia, sentirsi spiga dorata e grano, ricoprirsi all'occorrenza della
corazza del carciofo è qualcosa di assolutamente nuovo e affascinante.
La natura ci dona i suoi abiti in ogni stagione, ci regala colori, sapori e arte in perfette forme, frutti preziosi che nutrono spirito e corpo. E quando del sapore e del cibo ne
sappiamo fare arte, gli ortaggi si trasformano in splendidi piatti, occasioni d'incontri,
GUST-ARTE
pare a good risotto with
mushrooms. There is an
ancient dialogue between art
and food the one that has
inspired the greatest artists
and painters from the origins
of the world till today. The
daily experience of drinking
and eating can be lived as an
authentic aesthetic experience
involving the senses: this is
just the creative act.
Rosa Maria's dresses reflect
the rhythm of her daily gesture when she prepares tasty
dishes for her friends. Usually
she
prefers
see-through
effects for her stories, but her
haute couture creations vary
in colours and above all in
shapes. Her artistic research
digs into the leaves of prickly
pear, finding out calls of
ancient traditions: in fact the ecru filet crocheted by old ladies seems it has always been
in nature.
Now these weaves, already worked by Mother Nature and emphasized by the desire for
research, are waiting new forms in order to leave a mark for further discoveries.
They tell of seasons, colours, land and imagination. But how do these rich dresses come
out? First of all they come out of the pleasure of cooking, of gathering friends to share
food belonging to tradition.
condivisione, nutrimento. Quando del sapore e del cibo ne esaltiamo le forme, allora
gli ortaggi possono anche diventare abiti particolarissimi.
Fagioli, piselli, ceci e lenticchie secche, usati come “Svarovski”, creano uno splendido
corpetto da indossare! Non ci vuole solo fantasia, ma gusto e arte, lo stesso che richiede la cucina per preparare un bel piatto di risotto con i funghi. Arte e cibo è un dialogo antico che ha ispirato, dalle origini del mondo ad oggi, i più grandi artisti e pittori. L'esperienza quotidiana del bere e mangiare può essere vissuta come autentica esperienza estetica che coinvolge i sensi: è proprio questo l'atto creativo.
Gli abiti di Rosa Maria riflettono il ritmo del gesto quotidiano che lei compie quando
crea pietanze gustose e saporite per ricevere gli amici. Di solito predilige le trasparenze su cui raccontare le storie, ma nello specifico di queste sue creazioni d'altissima
moda, varia nei colori e soprattutto nelle forme. La sua ricerca artistica scava nell'interno delle foglie del fico d'India, scoprendo richiami d'antiche tradizioni: un ecru filet,
infatti, come il filo lavorato da
anziane signore, pare proprio
che in natura sia sempre esistito. Ora questi intrecci, già lavorati da Madre Natura e messi
alla luce dal desiderio di ricerca, attendono nuove forme per
lasciare un altro segno per ulteriori scoperte.
Ma come nascono questi pregiati vestiti che raccontano stagioni, colori, territorio e fantasia? Prima di tutto nascono dal
gusto di cucinare e riunire gli
amici per la condivisione del
cibo radicato nel tempo, che fa
tradizione.
Condivisione, amore e passione
per la terra del Salento sono gli
ingredienti base per i suoi abiti.
Nascono dalla forza della semplicità, dal calore proveniente
dalla terra salentina colma
d'amore ed entusiasmi, con
questi elementi Rosa Maria inizia l'avventura tra cibo e arte.
La sensazione, nel vederli, è
quella di assaporarne il gusto
attraverso la forma, ma anche
quella di respirare le distese di
grano delle campagne. Proprio
con il grano l'artista realizza
uno degli abiti più belli, come
GUST-ARTE
Sharing, love and passion for the
land of Salento are the basic
ingredients of her dresses. They
come out of the power of simplicity, of the warmth of Salento full of love and enthusiasms,
with these elements Rosa Maria
starts her adventure between
food and art.
While seeing them you are under
the impression that you can
taste and smell the wheat of our
countryside. One of the most
beautiful dresses is made just of
wheat. It is a wedding dress for
a young bride in her first phase
of femininity: birth. Maturity is
represented by aubergines and
courgettes: very nice bodices recalling unexpected rosettes reminiscent of baroque churches.
Among elegant black voiles, the dress of fertility and wealth, the third phase, is exalted
by the pomegranate with its great number of arils. Creative projects and designs have
already allowed these “fashion creations” made of colourful vegetables and food, in
Salento and in Italy in 2007. Rosa Maria is worth meeting: she will tell you of her plans,
her love for Salento and the fruits it offers. But you can meet her even just for her patience when she sews, leaf by leaf, her dresses, for her care when she glues grain by grain on
a splendid bodice made of cereals. Virtues and qualities that turn food, nourishment for
the body, into food for the spirit by means of art.
l'abito di una giovane sposa che rappresenta la prima fase della femminilità, quella
della nascita. La maturità è, invece, rappresentata dalle melanzane e dalle zucchine,
deliziosi corpetti in cui si scoprono perfino insospettabili richiami ai rosoni delle chiese barocche. Tra eleganti veli neri, il melograno esalta l'abito della terza fase, quella
della fertilità e della ricchezza, per il notevole numero di grani contenuti all'interno di
questo frutto.
Percorsi e progetti creativi, nel Salento e in Italia nel 2007, hanno già accolto queste
“creazioni moda” di ortaggi e cibi variopinti. Vale la pena conoscere Rosa Maria che vi
parlerà dei suoi progetti, dell'amore per la terra del Salento e i frutti che essa ci offre.
Ma potrebbe anche bastare conoscerla per la pazienza con cui cuce foglia per foglia i
suoi abiti, per la cura con cui incolla chicco dopo chicco uno splendido corpetto di
cereali. Virtù e doti che fanno del cibo nutrimento per il corpo e che, attraverso l'arte,
diviene condimento e nutrimento dello spirito.
GUST-ARTE
di Federica Sgrazzutti
Joy to look at, pleasure to taste, it's cherries time, coral garments we pick while
dreaming.
Gioia per gli occhi, delizia per il palato, è il
tempo delle ciliegie, pendenti di corallo,
che cogliamo sognando.
Cherry and Apulia go well together: more than 30% of the national production comes from
Bari district and mainly from the towns of Turi, Conversano, Putignano, Noci, Alberobello,
Sammichele, Casamassima, Monopoli, Castellana and Acquaviva delle Fonti. The undisputed queen of the Apulian cherry growing is the “Ferrovia” (“Railway”) cherry. It represents
the leading variety of Terra di Bari and is the most requested by the national and European
markets. There are discordant opinions about the origin of this name: somebody tells the
story of a particular cherry tree spontaneously grown up near the train tracks and there is
who thinks the word ferrovia refers to the means by which these cherries usually travelled in
the past and, in spite of the long distances, they had (and still have) the peculiarity of staying intact without losing their deliciousness anyway. The “Ferrovia” cherry is unique: it
satisfies people's sight and
taste. Its fruit is big (28/30 mm
in diameter), heart-shaped,
vivid red with compact and
juicy pulp and very sweet flavour. It dues its commercial
success to its preservation
capability, in fact it can be
kept in the fridge from 3 and _
days to 7/8 days at a maximum temperature of 1-2°C.
Besides cherries are very useful
for people's health: they are
rich in flavonoids (important
Ciliegia fa rima con Puglia: lo dicono i numeri e lo conferma la qualità. Oltre il 30% della produzione nazionale proviene dalla provincia di Bari e, principalmente, dai comuni di Turi, Conversano, Putignano, Noci, Alberobello, Sammichele, Casamassima, Monopoli, Castellana ed
Acquaviva delle Fonti.
Regina incontrastata della cerasicoltura pugliese è la ciliegia “Ferrovia” che rappresenta la
varietà di punta della Terra di Bari e che, per le sue inconfondibili caratteristiche, è la più
richiesta sui mercati nazionali ed europei. Sull'origine del nome di questa ciliegia i pareri sono
discordanti: c'è chi ama raccontare la storia di “quel” particolare ciliegio, cresciuto spontaneamente da un nocciolo al margine dei binari del treno, citando un aneddoto con tanto di date,
nomi e cognomi, e chi ritiene che la parola “ferrovia” rimandi al mezzo con cui abitualmente, in passato, viaggiavano queste ciliegie, che, nonostante i lunghi tragitti, avevano (ed hanno
ancora) la peculiarità di mantenersi comunque integre, senza perdere la loro prelibatezza.
La ciliegia “Ferrovia” è inconfondibile: appaga la vista e il palato. Frutto grosso, con calibro
tra i 28 e i 30 mm, cuoriforme, di colore rosso brillante, presenta una polpa consistente e succosa e il suo sapore è dolcissimo. La sua fortuna commerciale la deve, tra le altre, alle capacità di conservazione, che le permettono di durare, in frigorifero, per circa tre giorni e mezzo, fino ad arrivare a sette/otto giorni ad una temperatura massima di 12°C. Da non sottovalutare, inoltre, quanto le ciliegie possano essere utili per la
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salute: sono ricche di flavonoidi, sostanze importanti contro i radicali liberi, sono
molto dissetanti e sono indicate nella cura di artriti, arteriosclerosi, disturbi renali
e gotta; inoltre, contengono buone quantità di fibre, di potassio, calcio, fosforo e vitamine A
e C. Vantano, infine, proprietà depurative, energetiche, lassative, disintossicanti e rappresentano un antidolorifico naturale.
compounds against the free radicals) and very thirst-quenching. They are good to cure arthritis, arteriosclerosis, kidneys disorder and gout; moreover they contain good quantities of
fibres, potassium, calcium, phosphorus and vitamins A and C. They have also depurative,
energy-giving, laxative, detoxicating properties and are even a natural analgesic.
The ferrovia belongs to the cultivar of sweet cherry (Prunus avium L.), identifiable for the
trees' height (they can reach 20 metres) and for the ovoid-acute leaves finely downy beneath. The Apulian farmers use some rootstocks in order to limit the growth of the cherry
trees, making easier the picking that is done rigorously manually.
The fruit in fact can be picked only when it is ripe together with its pedicel and then put
into the box delicately. The maturation and the picking of the “ferrovias” is in June so marking the beginning of the summer: it is no accident that this fruit is linked to the summertime and joyful feelings. In Turi -where the area planted with cherry trees is more than 3.700
hectares, with an annual production of 150.000 quintals ready for the DOP seal from the
Ministry for Agricultural Policies- a cherry-harvest Festival (now in its eighteenth year) is
organized in the days of the picking. All the villages of the Terra di Bari where the cherry
tree is grown share a system of
low-hills, temperate climate
and a soil rich in iron oxide
and limestone; the tree's ability to adapt has allowed the
farmers to plant it even in the
poor and superficial soil of the
slopes. In springtime the landscape enraptures the eyes of
those who go through this part
of Apulia: in the flowering
time the flowers whiten and
perfume the fields, in the picking time the green and thick
foliage is dotted with the red
berries. The Apulian hinterland
has many secrets to be revealed and its cherry trees are
surely a show that cannot be
missed.
La “Ferrovia” appartiene alle cultivar di ciliegio dolce (Prunus avium L.), identificabili per l'altezza degli alberi, che possono raggiungere i venti metri, e per le foglie ovali dentate, rugose
e con una lieve peluria nella parte inferiore. Per superare l'ostacolo dell'altezza, gli agricoltori pugliesi, utilizzano alcuni portainnesti che consentono di limitare la crescita dei ciliegi, facilitando così la manodopera nel momento della raccolta, che avviene rigorosamente manualmente. Il frutto, infatti, può essere staccato dall'albero solo al momento della raggiunta maturità e il contadino deve stare attento a che la ciliegia venga prelevata insieme al peduncolo e
riposta nei contenitori con delicatezza. La maturazione e la raccolta delle “Ferrovia” si svolge
in giugno e segna così l'inizio dell'estate: non a caso questo frutto è naturalmente associato
alla bella stagione e ad emozioni gioiose. Nella città di Turi - che vanta una superficie coltivata a ciliegio di oltre 3.700 ettari, con una produzione annuale di 150.000 quintali e in attesa di ricevere il marchio Dop da parte del Ministero delle Politiche Agricole - all'epoca della
raccolta si organizza una Sagra, giunta ormai alla sua diciottesima edizione, dedicata proprio
al prodotto principe dell'agricoltura locale.
Ad accomunare tutti i paesi della Terra di Bari, dove si coltiva il ciliegio, è un sistema di bassa
collina, con clima temperato, caratterizzato da un suolo ricco di ossidi di ferro, ma
anche di calcare; la capacità di adattamento della pianta ha permesso agli agricoltori di impiantarla anche nei terreni, poveri e superficiali, dei pendii. Nei mesi pri-
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maverili, il paesaggio che si concede allo sguardo di chi si trovi a passare attraverso questo angolo di Puglia, non può che rapire: durante la fioritura i candidi fiori
imbiancano e profumano i campi, al momento della raccolta il verde e folto fogliame appare punteggiato dai rossi frutti. L'entroterra pugliese ha, infatti, molti segreti da svelare e i suoi
ciliegi sono certamente uno spettacolo da non perdere.
Ingredients for 10 people
2 kg. “Ferrovia” cherries
1,5 lt Primitivo Dessert wine
350 gr. caster sugar
30 gr. kirsch (cherries distillate)
100 gr. plain chocolate
n. 1 cinnamon stick
icing sugar
Cinnamon ice cream
1 lt milk
n. 12 egg-yolks
250 gr. sugar
cinnamon to taste
100 gr. cream
Stone the “Ferrovia” cherries and cook them with Primitivo Dessert wine, cinnamon stick, sugar, kirsch for
20 minutes then strain them and put them aside.
Thicken the boiling liquid until it becomes glossy,
add chocolate and join the cherries.
Boil milk and cinnamon, stir it with the yolks whisked with sugar over medium-low heat (85°). Set
aside to cool. Add the cream, and pour the cooled
mixture into an ice cream maker.
Heat up cherries with their syrup and pour, serve
them in a small bowl with the ice cream and dust
with icing sugar.
Ingredienti per 10 persone
2 kg. ciliegie “ferrovia”
1,5 lt primitivo dolce
350 gr. zucchero semolato
30 gr. kirsch (distillato di ciliegie)
100 gr. cioccolato fondente
n. 1 bastoncino di cannella
zucchero a velo
Gelato alla cannella
1 lt latte
n. 12 tuorli d'uovo
250 gr. zucchero
cannella q.b.
100 gr. panna liquida
Procedimento
Snocciolare le “Ferrovia”, metterle a cuocere per 20
minuti con il primitivo dolce, il bastoncino di cannella, lo zucchero, il kirsch, scolarle e metterle da
parte.
Ridurre il fondo di cottura fino a quando diventa
lucido, aggiungere il cioccolato e, infine, unire il
composto ottenuto alle ciliegie cotte.
Bollire il latte con la cannella, unirlo alle uova sbattute con lo zucchero e portare a punto rosa (85°). Far
raffreddare la crema, quindi, aggiungere la panna e
mantecare in gelatiera.
Scaldare le ciliegie con il loro succo e versarle in una
piccola ciotola, disporre il gelato alla cannella al centro e spolverare con zucchero a velo.
Ricetta dello chef Maria Cicorella del ristorante
“PASHÀ Cafè & restaurant” di Conversano (Ba)
From food for the dead to the highest expression of Mediterranean cuisine.
In ancient Rome, you would have found yourselves under shower of broad beans on the
occasion of the celebrations for the goddess Flora, the protectress of the germinating
nature. Romans threw them on the crowd as a good omen. But , when the celebrations
ended, this delicious product of nature was impure again for many: Jupiter's priest couldn't touch it, the Pontifex Maximus couldn't even name it and Pythagoras forbad his
disciples to eat it because of the black spots on its flowers which were the hellish symbol
of the departed souls. One of the many prejudices man has lived with since his origin. This
is why broad beans have been used during the religious rites as a food for the dead.
Beliefs and superstitions were not shared by everyone and someone such as Aristotle sang
its praises. In ancient Greece beans were used in voting; a white bean being used to cast
di Sergio D’Oria
Da cibo per i defunti a massima espressione della cucina mediterranea.
Nell'antica Roma, in occasione delle feste dedicate alla dea Flora, protettrice della natura
che germoglia, vi sareste ritrovati sotto una cascata di fave. I Romani le gettavano, infatti,
sulla folla in segno di buon augurio. Ma, finita la festa, questo stupendo prodotto della
natura ritornava ad essere, per molti, impuro: il sacerdote di Giove non poteva toccarlo, al
Pontefice Massimo era persino vietato nominarlo e il celebre Pitagora proibiva ai propri
discepoli di mangiarlo, perchè vedeva, nelle macchie nere presenti nei fiori delle fave, il simbolo infernale della presenza delle anime dei morti. Uno dei tanti pregiudizi che hanno
convissuto con l'uomo sin dalla sua origine. Da qui la consuetudine di usare le fave nei riti
religiosi come cibo per i defunti.
Credenze e superstizioni, però, non sono di tutti e qualcuno, contro corrente, lo
trovi sempre, come Aristotele che ne decantava le virtù. In Grecia le fave venivano usate nelle votazioni per confermare un “progetto di legge”: le fave bianche
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indicavano il voto positivo, quelle nere il negativo.
A Roma pare che una delle famiglie più importanti, quella dei Fabi, avesse preso il nome
a yes vote, and a black bean for no. It seems that in Rome the name of one of the most
important families, the Fabis, came just from the broad bean, “vicia faba”. But its success
ended in the sixteenth century, when a product from America took its place. If there had
been the modern law about food safety and importations, the bean would have gone bad
on the ships of Columbus. But it got on the European tables and the broad beans became the food of the poor.
Actually the broad beans have fed whole generations of Apulians, eaten with fresh cheese, or with onion, even with its pod in war times, or dried during winter with or without
proprio dalla fava, “vicia faba”. Ma questo successo finì nel Cinquecento, quando un prodotto arrivato dalle Americhe prese il sopravvento. Ci fossero state le leggi di oggi, da quelle sulla sicurezza alimentare a quelle sulle importazioni, dai controlli doganali alle analisi e
via dicendo, il fagiolo sarebbe rimasto a marcire sulle navi di Cristoforo Colombo. Invece non
solo arrivò in tutta Europa, ma fece sì che le fave subissero un crollo, finendo come cibo
delle classi più povere.
Le fave, di fatto, hanno sfamato intere generazioni di Pugliesi, e non solo. Appena colte,
mangiate con il formaggio fresco, per chi poteva, oppure con la cipolla, anche con il baccello in tempo di guerra, oppure secche durante l'inverno, sia con il suo tegumento che
senza.
Questa pianta erbacea produce baccelli di circa 15-25 cm, che si presentano con l'estremità appuntita. Al suo interno, protetti da un bianco strato spugnoso che sembra bambagia,
si trovano i semi grossi e piatti, avvolti da un tegumento di colore verde. I frutti, seccati al
sole, vengono poi battuti per liberare i semi che finiranno sulle nostre tavole. Si conservano con il guscio o liberate dalla loro buccia, utilizzando uno strano attrezzo molto ingegnoso, in dialetto “lu ‘ngrappafae”. Stando ad una credenza popolare molto diffusa, chi
its integument.
This herbaceous plant produces pods of about 15-25 cm long with the pointed end. Inside there are the big and flat seeds protected by a white, spongy, cotton wool-like coat.
They are wrapped in a green integument. Its fruits are dried in the sun and beaten in
order to push the beans out.
They can be kept with their pod or without it. An old legend tells who finds seven seeds
into a pod will be very lucky.
In our countries the plant of broad beans grows luxuriantly and in spring it heralds the
summer by its white with black spots flowers. It is afraid neither of the belated cold of the
winter nor of the first warm weather of summer. But there is an inimical plant, a vegetable parasite which attacks its roots and empties its pods causing its death. It is the broomrape (“spurchia”, in dialect) which in those periods when our farmers suffered hunger
was used as a food. It is not easy to find it , but if you can, try it boiled, with oil, lemon
and some pepper: it is really delicious.
But, let's go back to our broad beans...
Actually children do not like broad beans very much, and surely, they recall the “older
ones” the days of scarcity of food when they were the only food they could have.
And yet they contain proteins, phosphorus, potassium, calcium, vitamin A and C. They are
rich of fibres and contribute to control the glucose and cholesterol levels in the blood. The
whole plant, inclusive of leaves, stalk, pod and unripe seeds, are rich in L-dopa, a substance used medically in the treatment of Parkinson's disease. This legume can bring on a
very serious illness called favism or haemolytic anaemia to predisposed organisms.
Today “broad beans and chicory” is the most famous Apulian dish out of the region and
it is a delicacy served in the best and elegant restaurants. But few people know the broad
beans kept the population
from starvation! Try the less
known “pignata” of broad
beans with their skin, “cu lu
cappottu”, as our farmers
say: you will be surprised by
the tastiness of this dish
now almost disappeared
from our tables.
“Broad beans and chicory”
is the symbol of a food philosophy, highest expression
of Mediterranean cuisine.
Prime dish of a cuisine
based on raw materials worked as less as possible, able
to enhance a poor product
like broad beans, without
compromises, obtaining a
dish with a strong taste but
very savoury and wholesome and nourishing at the
same time.
trova un baccello contenente
sette semi avrà un periodo di
grande fortuna.
Nelle nostre campagne la
pianta di fave cresce rigogliosa e all'inizio della primavera
con i suoi fiori bianchi, macchiati di nero, preannuncia
l'arrivo della bella stagione.
Non teme gli ultimi freddi che
i colpi di coda dell'inverno
qualche volta ci riserva, nè i
calori molto anticipati di una
primavera bizzarra. Ma c'è
un'altra pianta che è sua
nemica, un parassita vegetale,
che attacca le sue radici e ne
svuota i baccelli, portandola a
morte anticipata. E' la “spurchia”, come dicono in dialetto
i nostri contadini, “orobanca”
in Italiano, che, nei periodi in
cui le popolazioni hanno sofferto la fame, veniva anch'essa utilizzata in cucina. Se vi
capita, ma non è facile trovarla, assaggiatela, lessa con olio,
limone e un po' di pepe: è veramente delicata.
Ma ritorniamo alle nostre fave… Sicuramente le fave non sono gradite ai più piccoli, che
quando le vedono arrivare a tavola non fanno certo festa. Sicuramente “ai più grandi” fanno
ritornare in mente i giorni della scarsezza di cibo e di quell'unico piatto di cui ci si doveva
accontentare.
Eppure contengono proteine, fosforo, potassio, calcio, vitamine A e C. Sono ricche di fibre
e contribuiscono al controllo dei livelli di glucosio e colesterolo nel sangue. L'intera pianta, comprensiva di foglie, gambo, baccello e semi immaturi, contiene levodopa, sostanza chimica utilizzata nei farmaci per il trattamento del morbo di Parkinson. Questo legume, in
alcuni soggetti predisposti, però, può far insorgere una malattia molto grave, detta favismo
o anemia emolitica.
Oggi “fave e cicorie” è il piatto pugliese maggiormente conosciuto fuori dai confini regionali, è una prelibatezza servita nei migliori e raffinati ristoranti. Ma pochi sanno quante bocche ha sfamato, quanta fame ha placato! Provate ad assaggiare anche la meno nota “pignata” di fave con il guscio, “cu lu cappottu”, come dicono i contadini: rimarrete estasiati dalla
bontà di questa pietanza, che va perdendosi dalle nostre mense.
“Fave e cicorie” è il simbolo di una filosofia alimentare, massima espressione di mediterraneità. Piatto principe di una cucina fondata su materie prime, manipolate il meno possibile, che sa valorizzare un prodotto povero come le fave, senza ricorrere a compromessi, ottenendo un piatto dal gusto marcato, ma anche gustosissimo, per di più sano e nutriente.
Ingredients for 4 people
Ingredienti per 4 persone
1/4 pumpkin
1/4 zucca
200 g broad beans
200 g di fave
2 small bunches of basil
2 mazzetti di basilico
10 small tomatoes al pendolo
10 pomodorini al pendolo
cacioricotta, ricotta cheese
cacioricotta
extra virgin olive oil
olio di extra vergine d'oliva
salt to taste
sale q.b.
pepper to taste
pepe q.b.
1/2 kg. flour
1/2 kg. di farina 00
garlic
aglio
onion
cipolla
Procedimento:
Bake the pumpkin for about 10 minutes at 180°,
blend it, knead it with some lukewarm water and 1/2
kg of flour and put it in the fridge. Boil the broad
beans for half an hour, peel them and then blend
them with oil and cacioricotta.
Blend basil, add some water enough to make a stew
and cook it.
Let it boil for 10 minutes with salt and oil. Grill the
tomatoes, peel them, take off the seeds and blend
them: this will be used to decorate the dish. Roll out
the dough with the rolling-pin, divide it into small
sheets of pastry and fill them with the mixture of
broad beans, giving them the shape of small stars.
Cook them in salted water and serve them in a dish
with the stew of basil and decorate it with the small
tomatoes shake.
Cuocere la zucca in forno per 10 minuti a 180 gradi,
frullarla ed impastarla con un po' di acqua tiepida e
mezzo chilo di farina; far riposare il composto in frigo
per 1/2 ora.
Cuocere in abbondante acqua le fave per 1/2 ora,
pulirle e frullarle con olio e cacioricotta.
Frullare il basilico, aggiungervi acqua quanto basta per
fare un guazzetto e mettere sul fuoco. Lasciare bollire per 10 minuti, aggiungendo il sale e l'olio. Grigliare i pomodorini, spellarli, togliere i semini e frullarli;
infine, tenere da parte il composto per la decorazione
del piatto. Stendere la pasta con il mattarello, suddividerla in piccole sfoglie da riempire con l'impasto
delle fave e richiudere dando la forma di stelline.
Cuocere le stelline in abbondante acqua salata e servirle in un piatto con il guazzetto di basilico e l'aria
di pomodorini.
Ricet t a dello chef Domenico Cilent i del r isto r an te
“Rist orant e P ort a di Basso” di P eschici (F g )
di Sergio D’Oria
Small crustaceans, excellent natural resource,
paint the blue sea red.
A tingere di rosso l'azzurro del mare piccoli
crostacei, pregiatissima risorsa naturale.
A young crawfish thought: “Why do all the ones in my family walk backwards? I do want
to start walking forward, as the frogs do, and will my tail fall down if I don't succeed”. This
is the beginning of the famous fable “The young crawfish” by Gianni Rodari we read when
we were children. We have dreamt about this strange animal and we have always thought
this going backwards of its were a calamity, a disgrace it didn't deserve. This going backwards of its has inspired even a famous and amusing musical of 1986 “If the Time were a
Crayfish”.
In Gallipoli, in its beautiful sea, wonderful red crayfish are fished in plenty. Renowned and
in great demand at the same time, they are a delicacy when treated with the due consideration. This name identifies two species: Aristeus antennatus, called Imperial crayfish, and
Aristeomorpha foliacea. Its scientific name comes from Aristeus, Greek mythological figure
who had no relation to the
crayfish but he was honoured
as a god because he had
taught the beekeeping, the
production of the cheese and
the sheep-farming to men.
Our crayfish seems to be involved out of place: think of the
many trattorias, restaurants,
pizzerias whose names in Italy
are “The Crayfish”, “To the
Crayfish”, etc. and many of
them have never seen a red
crayfish. There is even the
hamlet “Madonna del Gambero” (Madonna of the Crayfish),
near
Gualdo
Tadino,
in
Umbria. Well so many crayfish
but none of the red ones from
Gallipoli.
Un giovane gambero pensò: "Perché nella mia famiglia tutti camminano all'indietro? Voglio
imparare a camminare in avanti, come le rane, e mi caschi la coda se non ci riesco". Così
comincia la famosa favola “Il giovane gambero” di Gianni Rodari, che da bambini abbiamo
letto. Intorno a questo strano animale abbiamo fantasticato e abbiamo sempre pensato che
questo suo andare a ritroso fosse una iattura, una disgrazia che non meritava. Questo suo
andare indietro ha ispirato anche una altrettanto famosa e divertente commedia musicale
del 1986 “Se il tempo fosse un gambero”.
A Gallipoli, nel suo mare stupendo, si pescano con una certa abbondanza i meravigliosi
gamberi rossi. Rinomati e ricercati allo stesso tempo, diventano una prelibatezza se trattati in cucina con la dovuta delicatezza. Con questo nome vengono di solito identificate due
specie: l'Aristeus antennatus, detto anche gambero imperiale, e l'Aristeomorpha foliacea. Il
nome scientifico deriva da Aristeus (Aristèo), figura mitologica greca che però con i gamberi non aveva nulla a che fare, visto che venne onorato come un dio per aver insegnato
agli uomini l'apicoltura, la produzione del formaggio e la pastorizia.
Il nostro gambero sembra sia destinato ad essere chiamato in causa a sproposito. Pensate
MEDMARE
And let's go back to our very delicious friends. The distinction between one species and the other is not
easy because they are very similar
both in the shape and the colour and
habits.
It is a gregarious species, it lives in
numerous and quite sedentary
groups, that moves vertically passing
from a depth of about 200 metres,
where it is present during the night,
to deeper depth of about 800 metres,
where it lives during the day. The
seasonal migrations compel it to
stand in less deep waters in the coldest periods.
The species is with separate sexes.
The females reach their sexual maturity in summer and the larvae are flat with long limb at
the opening up. They swim on the surface leading pelagic life, changing many times before becoming adult and moving on the bottom.
Our crayfish is a medium size crustacean, its body is laterally flattened and the front has the
head continuous with the thorax and the back, the abdomen, is divided into segments. Its
body is covered with a strong carapace and has 13 pairs of appendixes that is 2 pairs of
MEDMARE
alle tante, tantissime trattorie, ai ristoranti, alle pizzerie, che in Italia si chiamano “il Gambero”, “al Gambero” e simili. Eppure dei nostri gamberi rossi non hanno visto neanche l'ombra. E non vi meravigli sapere che esiste anche la frazione “Madonna del Gambero”, nel
Comune di Gualdo Tadino, in Umbria. Insomma tanti gamberi in giro, ma non di quelli rossi
di Gallipoli.
E ritorniamo ai nostri prelibatissimi amici. La distinzione tra una specie e l'altra non è semplice, perché molto simili tra di loro sia per forma e colore che per abitudini di vita.
E' una specie gregaria, che vive in gruppi numerosi, piuttosto stanziali, che si sposta più in
verticale, passando da profondità di circa 200 metri, dove è presente durante la notte, a profondità maggiori, di circa 800 metri, dove soggiorna durante il giorno. Le migrazioni stagionali poi lo spingono a stazionare, nei periodi più freddi, in acque meno profonde.
La specie è a sessi separati. Le femmine raggiungono la maturità sessuale in estate e le larve,
alla schiusa, sono piatte, con lunghi arti. Nuotano in superficie conducendo vita pelagica,
per poi mutare più volte fino a diventare adulte e spostarsi sul fondo.
Il nostro Gambero rosso è un crostaceo di taglia media, con il corpo schiacciato lateralmente, con la parte anteriore che vede la testa fusa con il torace, e la parte posteriore, l'addome,
segmentata. Il suo corpo è ricoperto di una robusta corazza (carapace) ed è provvisto di 13
paia di appendici, tra cui un paio di antenne, 2 paia di mascelle e 5 paia di arti per la locomozione, quasi fosse una stazione ricetrasmittente. Il carapace è armato da un rostro munito, nella parte superiore, di tre denti. Il rostro presenta un dimorfismo sessuale, cioè è più
antennas, 2 pairs of jaws and 5 pairs of limbs for the locomotion. The carapace is armed with
a rostrum provided with three teeth in its upper part. The rostrum presents a sexual dimorphism, that is it is longer in females. This particular allows a simplified identification of sex.
Its big eyes, out of the orbits, are situated on a peduncle under the rostrum overlapping the
oral apparatus. Well, it is a quite complicate subject this friend of ours. The back region, the
one that makes lots of gourmands happy, is tied to head and thorax as a whole. This pulpy
part is formed by six articulated, smooth and longitudinally crossed by a fold segments. Its
colour goes from bright red to pale red with purple nuances on the upper part of its carapace and along the joints of the abdomen segments. It is no more than 22 cm long but the
average goes from 10 to 18 cm.
Our crayfish can be taken for the Atlantic red crayfish cause of its colour, but it is not as
tasteful as our Gallipoli crayfish. This family, as you know, is quite numerous and even they
are very much alike, the difference in taste is remarkable. Try a Gallipoli crayfish and one of
those found in any fish market in Italy and you will see the difference!
Don't waste Gallipoli crayfish for a risotto or for other dishes where it drowns in sauces.
Enjoy them raw or only grilled because they must be not very cooked and season them only
with few drops of extra virgin olive oil. Be sure you will never forget the taste of this delicacy. This excellent natural resource is unequalled: lobsters, caviar, oysters cannot be compared to it: the red Gallipoli crayfish are inimitable.
lungo nelle femmine. Particolare, questo, che permette una sommaria identificazione del sesso. I suoi grossi occhi, fuori dalle orbite, sono localizzati su un peduncolo
sotto il rostro, che sormonta l'apparato boccale. Insomma, un soggetto molto complicato, il nostro amico. Attaccata alla testa ed al torace, fuso in un unico sistema,
vi è la regione posteriore, quella che, per sua sventura, fa felice tanti palati. Questa
sua parte carnosa è costituita da 6 segmenti articolati, lisci ed intersecati longitudinalmente da una piega. Il suo colore, dal rosso vivo al rosso rosato, ha sfumature violacee nella parte superiore del carapace e lungo le giunture dei segmenti dell'addome. Al massimo è lungo 22 cm, ma quelli più comuni sono medi, da 10 a 18 cm.
Il nostro gambero può essere scambiato per la colorazione anche con il Gambero
rosso atlantico, che non è però gustoso come il nostro amico gallipolino. Questa
famiglia, come avrete capito, è piuttosto numerosa e pur se tra cugini si somigliano
un po' tutti, la differenza poi sotto il palato è notevole. Provate a gustare, per esempio, un gambero di Gallipoli e poi una di quelle “mazzancolle” che trovate in quasi
tutti i mercati ittici d'Italia. Vedrete che differenza!
Non sprecate i gamberi di Gallipoli per un risotto, né per ricette che lo vedono annegare miseramente in salsa aurora e simili. Gustateli, invece, crudi o al massimo grigliati perché, per gustarli al meglio, bisogna cuocerli poco e condirli solo con un filo
di olio extra addosso. Vi assicuro che non dimenticherete facilmente questa prelibatezza, il cui sapore vi rimarrà impresso. Pregiatissima risorsa naturale non teme confronti, non ci sono aragoste né caviale né ostriche che tengano. I gamberi rossi di
Gallipoli sono inimitabili.
MEDMARE
49
CARPACCIO* OF RED PRAWNS FROM
GALLIPOLI
CARPACCIO DI GAMBERONI ROSSI
GALLIPOLINI
Ingredients for 4 people
Ingredienti per 4 persone:
600 gr. fresh prawns peeled
600 di gamberoni freschi sgusciati e privati dal filo delle
interiora
500 gr. slim slices of Matera bread
500 gr di pane tipo Matera tagliato sottile all'affettatrice
the pulp of 30 fresh sea urchins
polpa di 30 ricci freschi
onions, garlic, parsley leaves and 2 small tomatoes
q.b di ristretto ottenuto con le teste dei gamberoni e sedano, carote, cipolle bianche, aglio, qualche foglia di prezzemolo, 2 pomodorini
5oo gr. celery (preferably the yellow central part)
5oo gr di sedano, possibilmente la parte gialla centrale
fumet made with the prawns heads, celery, carrots, white
extra virgin olive oil
olio extra vergine
dragoncello
tarragon
Cut in halves lengthways the prawns and put them between two films of acetate and beat them gently with
la ricetta
the meat mallet. Oil the paper-thin slices of bread and
lightly toast them in the oven at 140 °C. Mix the sea
urchins' pulp with extra virgin olive oil and the fumet
previously cooled in the fridge. Cut into batonette the
celery and put it in the centre of a large serving plate
and season it with oil and salt. Arrange the bread
around the plate, spread the slices of prawns on it then
pour the sauce of sea urchins. Add tarragon and some
drops of extra virgin olive oil.
* raw beef, veal or fillets of raw fish, sometimes thinly sliced or
pounded thin, with a dressing.
Tagliare a metà per lungo i gamberoni e ripartirli in
maniera uguale su quattro veli di carta acetata.
Ricoprire nuovamente con la carta acetata e battere delicatamente con il batticarne.
Dare ai gamberoni la forma di un carpaccio aiutandosi con
una spatola.
Ungere i veli di pane con olio extra vergine e tostarli appena in forno a 140 °C per il tempo necessario.
Con le teste dei gamberoni e verdure miste (sedano, carote, cipolle bianche, aglio, qualche foglia di prezzemolo, 2
pomodorini) ottenere un ristretto abbastanza strutturato.
Emulsionare la polpa di ricci con olio extra vergine e il
ristretto fatto freddare in frigo.
Tagliare a batonette il sedano e metterlo al centro del
piatto. Condire con un filo di extra vergine, una presa di
soffi di sale. Adagiarvi sopra i fogli di pane cercando di
dare un senso di rotondità; sovrapporvi il carpaccio di
gamberoni, versare la salsa di ricci di mare, aggiungere
dragoncello e, per chiudere, un filo di olio extra vergine.
Ricetta dello chef Donato Episcopo del ristorante
“Risorgimento Resort” di Lecce
ANTONIO
Gusto di Puglia meets Antonio Romano
Greying curly hair, nice face, smiling eyes. A lady would say he is a handsome man.
You meet him in Maglie and you say him hallo as you had never lost sight of him
because he comes here, to his native town, whenever he can. Maybe, at night, he falls
asleep with Capece square in his eyes thanks to his imagination. By working with “the
marks” he creates a trademark fixing an identity and he has sewn the Salento trademark on himself. He is fifty, he has a degree in architecture and is a Design for
Communication professor at La Sapienza University in Rome. When he was only twenty-three he founded his first structure of graphic design: Studio Romano. He has
always had the gift of communicating, not by words but by marks and shapes. He
started his career in Maglie designing trademarks for some local companies.
In 1991 he founds AReA Strategic Design, that soon becomes Italian leader in the
field of the corporate brand. Antonio Romano takes up the challenge of the internationalization, first exporting design, then opening new branches. From 2004 his network's name is Inarea and it has eleven branch offices in nine countries. Nowadays
Romano is its chairman and coordinates twenty-two partners' activities, point of reference of more than hundred members.
He has created the red square of the Cgil, Tim's and Stream's trademarks, the Rai's
“butterfly”. He has refashioned the Ferrovie dello Stato's brand and has created
Trenitalia's name: a raring “F” going at full speed towards future more than the
Italian railways would deserve. He has created Capitalia's and CartaSi's trademarks. He
has always worked for foreign trademarks such as the Lacoste's and Renault's, but
even for the American Sears & Roebuck and for Aventis Pharma, the first pharmaceutical group in Europe.
In 2005 the La Sapienza University in Rome and the provincial council of Rome have
organized a biographical exhibition at the Vittoriano complex about Antonio
Romano's experience as a brand designer whose title was “25 years of imagination”.
Why have you kept your domicile in Maglie even if you go on travelling the
world, dividing your time between Rome and Milan?
I've spent my first nineteen years of my life in Maglie, those that give you the imprint
to face the rest of your life: for this reason the “domicile” has a symbolic role for me
as everything for that matter. It's like fixing an important moment in your heart's
memory with the illusion that even the time has stopped there. In other words, I'm
afraid of old age and death, too. It's better to think of an endless boyhood!
What's there in Maglie that you can't find somewhere else?
Places and people are similar: unique and matchless. For this reason, when we love
someone or something we're able to love even her/his or its faults. Maglie has nothing
special, but it's special for me because it gives me back a love dimension that I can
find only here.
ROMANO
di Sergio D’Oria
Gusto di Puglia incontra Antonio Romano
INCONTRI
DI GUSTO
Capelli ricci brizzolati, viso simpatico, occhi con un sorriso accattivante. Bell'uomo,
direbbe di lui una signora. Lo incontri a Maglie e lo saluti come se non lo avessi mai
perso di vista, anche perché continua a venire nella sua città natale appena può. Forse
lui, che non manca di immaginazione, alla fine della giornata si addormenta con la
visione di piazza Capece negli occhi. Lui, che lavorando con “i segni” cerca di ideare
un marchio, di fissare un'identità, il marchio di salentino se lo è cucito sulla pelle.
Cinquant'anni e una laurea in architettura, docente di Design per la comunicazione
all'Università La Sapienza di Roma, ha fondato a soli ventitre anni la sua prima struttura di graphic design, lo Studio Romano. La dote di comunicatore l'ha sempre avuta,
non con le parole, però, ma con i segni e le forme. Lo ricordano in molti a Maglie
muovere i primi passi nel settore, disegnando marchi per alcune aziende del territorio.
Nel 1991 dà vita ad AReA Strategic Design, società che in breve tempo diviene leader
53
Which of the trademarks you've created or refashioned has got you more satisfaction?
They all are like “children” so I can't find an immediate preference. I can only say that
I've infatuations, disclaimers of paternity and reclamations that sometimes surprise
even myself.
Actually, the logo's reputation often plays an important role: I mean, I'm aware of
being grateful to Cgil first and to Rai then, for the fame they've given to me not only
in Italy.
But the “private” catalogue is full of realizations often not remembered even by my
work team, some of them are very valid and have been made just for clients and
friends here in Apulia.
How do you feel when you see somewhere in the world the logo you have created for a bank, the trademark of a big company that it's actually a creature of
yours?
Once I felt very proud of it. Now it's a bit different: it's always a pleasure, mainly
when the distance from home is far, but my brain's associations change... I think of
what I'd have done today, the hypothesis the client has refused, the further develop-
INCONTRI
DI GUSTO
in Italia nel campo del corporate brand. Antonio Romano accetta da subito la sfida
dell'internazionalizzazione, prima esportando design e poi aprendo nuovi uffici. Dal
2004, il network prende il nome di Inarea ed è presente in nove paesi con undici sedi.
Oggi Romano ne è il presidente e coordina le attività di ventidue partner, cui fanno
riferimento oltre cento collaboratori.
Ha immaginato il quadrato rosso della Cgil, i marchi di Tim, Stream, la “farfalla” della
Rai. Ha rielaborato il brand delle Ferrovie dello Stato e creato il nome di Trenitalia,
dandogli, con quella “effe” scalpitante e lanciata nel futuro, forse più di quanto le ferrovie italiane meriterebbero. Ha creato i marchi Capitalia e CartaSi. Ha lavorato anche
su marchi stranieri come Lacoste, Renault, ma anche per l'americana Sears & Roebuck
e per il primo gruppo farmaceutico europeo, l'Aventis Pharma.
Nel 2005 l'Università La Sapienza di Roma e la Provincia di Roma hanno organizzato, al complesso del Vittoriano, una mostra dal titolo “25 anni di immaginazione”,
rassegna biografica sull'esperienza di brand designer di Antonio Romano.
Antonio, tu continui a girare il mondo, ti dividi tra Roma e Milano, perchè alla
fine hai conservato la residenza a Maglie?
A Maglie ho passato i primi diciannove anni della mia vita, quelli che ti danno l'impronta per affrontare tutti gli altri che ti restano da vivere: la “residenza” ha perciò
per me un ruolo simbolico, come tutto del resto. E' come fissare un momento importante nella memoria del cuore e nutrire l'illusione che anche il tempo si sia fermato lì.
In parole più semplici, ho paura anch'io della vecchiaia e della morte. Meglio pensare
ad una perenne adolescenza!
Che cosa trovi a Maglie che non trovi in altri luoghi?
I luoghi sono come le persone: unici e irripetibili. Per questo, quando amiamo qualcuno o qualcosa, riusciamo ad amare anche i difetti. Maglie non ha niente di specia-
55
ments about that design, etc.
Well, we're never satisfied!
You would describe him as a measured gourmet. He appreciates the good cuisine
but he prefers the Salento one. No vinegar please but peppers and aubergines
make him happy and he gratifies you with his smile, half-closing his eyes. His
wife Laura, who loves Salento too, does not lose sight of him. She is reassured on
his resistance to the food attraction and watches at him with complicity and satisfaction. A very well-tested couple, of those who can find their mutual understanding with a glance, you would say, a couple where none of the partners has
been compelled to make any renounce for the other's sake. He shows a great sense
of belonging, of identity even through his strong bond to his family and his
father, recently dead.
If you should create a logo representing the Romanos, your great family, which
image would you use?
Whenever my society's brand has been questioned I had to ask my team's and my colleagues' opinion.
It's difficult to make our own trademark because, as Pirandello said, we are “One, no
one and hundred thousand”. I can find instinctively metaphors telling about others
but I can't find (and I don't look for) any for me.
I “am” my family, in the correct sense of belonging, so of identity but I feel unable
to give this idea through a symbolic reference. Besides, as we are incomplete we need
the other to put back together our own symbol....
le, ma è speciale per me perché mi restituisce una dimensione affettiva che,
appunto, posso trovare solo qui.
Quale dei marchi da te ideati o rielaborati ti ha dato maggiori soddisfazioni?
Sono un po' tutti “figli” e quindi non riesco a trovare una preferenza immediata. Posso dire che ho infatuazioni, disconoscimenti di paternità e recuperi,
che a volte sorprendono anche me.
In realtà, spesso è la notorietà di un marchio a giocare un ruolo fondamentale: in questo senso, so di dover essere grato alla Cgil prima e alla Rai poi per
la visibilità che mi hanno portato in dote, non solo in Italia.
Ma il catalogo “intimo” è ricco di realizzazioni spesso non ricordate neanche
all'interno del mio gruppo di lavoro, comprese alcune cose molto valide fatte
proprio per clienti e amici, qui in Puglia.
Che effetto ti fa girare il mondo e vedere l'insegna di una banca da te ideata, il marchio di una grande azienda che è in sostanza una tua creatura?
Un tempo mi procurava un moto d'orgoglio che non riuscivo a contenere. Ora
è un po' diverso: mi fa sempre piacere, soprattutto se la distanza da casa è
grande, ma cambiano le associazioni che il mio cervello mi propone… penso a
cosa avrei fatto ora, all'ipotesi che il cliente ha scartato, agli sviluppi ulteriori
su quel progetto ecc.
Insomma, non si è mai contenti!
Buongustaio contenuto, lo definiresti. Gradisce la buona cucina, ma preferisce quella salentina. L'importante è tenere lontano l'aceto, allora peperoni e melanzane lo fanno felice e ti gratifica con quel suo sorriso che gli fa
socchiudere gli occhi. Laura, la sua metà, a cui ha saputo trasmettere lo
stesso amore per il Salento, non lo perde di vista e, rassicuratasi sulla sua
capacità di resistere ai richiami gastronomici, lo guarda con complicità e
soddisfazione. Una coppia super collaudata, di quelle che sanno trovare
l'intesa con uno sguardo, una coppia, diresti, dove nessuno dei due partners è stato costretto a fare grandi rinunce per amore dell'altro. Legato
fortemente alla sua famiglia, al papà da poco scomparso, dimostra anche
in questo un forte senso d'appartenenza, di identità.
Se dovessi ideare un marchio per contraddistinguere la famiglia Romano,
la tua grande famiglia, a quale immagine faresti ricorso?
Ogni volta che si è messo in discussione il “brand” della mia società, ho dovuto fare ricorso all'aiuto dei miei collaboratori e a volte di colleghi esterni, di
cui ho stima.
E' difficile fare il marchio a se stessi perché, come diceva Pirandello, siamo
“Uno, nessuno e centomila”. Riesco istintivamente a trovare metafore che “raccontino” gli altri, ma non ne trovo (e non ne cerco) per me.
Io “sono” la mia famiglia, nel senso corretto dell'appartenenza e quindi dell'identità, ma mi sento incapace di restituirne l'idea attraverso un riferimento
simbolico. Del resto, proprio perché incompiuti, abbiamo bisogno dell'altro per
ricomporre il simbolo di noi stessi....
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LATERZA BREAD, panedd'
Pleasant smell of freshly baked bread, loved bread conquering the taste.
The prohibition of baking any kind of bread or pies in people's houses, on pain of
paying considerable fines, ruled a restriction system destined to remain till a few
years ago. An essentially family productive process was under a rigorous public control that had to be very important since the beginning in fact the chapter about the
oven tax was the first in the progressive order among the municipal articles and the
toll extent corresponded to one third of the total cost of the bread-making. The
first phase of working took place at home where women prepared the dough in the
kneading trough, mixing yeast with flour, water and salt skilfully. When rising and
kneading were completed, the processing went on in the public ovens where the
loaves of leavened bread, wrapped into woollen and/or cotton clothes, were taken
on boards.
Bakers completed the kneading of the dough giving it the typical final shape: a
truncated cone with a cut in the middle, before marking with the owner's initials
PANE DI LATERZA, panedd'
di Gianni Sportelli
Profumo di pane impastato, lievitato e appena sfornato, un pane amato alla conquista del palato
LE VIE DEL PANE
Il divieto per i cittadini “d'ogni stato e conditione” di cuocere nelle loro abitazioni qualsiasi tipo di pane o focacce in “fornelli” o “sopra le taghelle di ferro o sopra le chianche
molegne nelli focarili”, pena il pagamento di rilevanti ammende, sanciva un sistema vincolistico destinato a conservarsi fino ad anni a noi vicini. Si definiva in questo modo un
processo produttivo di tipo essenzialmente domestico, ma soggetto a un rigoroso controllo pubblico che, fin dall'inizio, doveva essere di grande rilevanza, se si tiene conto del fatto
che il capitolo del dazio del forno era il primo in ordine progressivo tra quelli che componevano gli statuti municipali e che l'entità della gabella era tale da rappresentare un terzo
del costo complessivo della panificazione.
59
and baking it.
In recent times this operation was made by using iron marks kept at the oven, while
in the distant past they were produced by the farmers and the shepherds whose ability in carving wood allowed a conspicuous production of utensils: from ladles to
the bread marks. They were kept at
home, among the personal things,
often in the mistress' linen, and
traditionally they were left to the
sons. The bread marks, with their
patterns full of symbolic references, generally recall an agro-pastoral culture in which the holy gesture of making bread has its origins
in countryside of Laterza: an articulated land with its ravines, cradle
of rupestral civilization.
Bread was the barycentre of a solid
peasant culture when it marked
days and seasons. It was the reward
for the men and propitiatory gift
on the Saints' days. It is tasty, not
insipid. Externally crisp, soft inside,
it can be conserved for more than
three days. It is not a dream, it
really exists and it is the Laterza
Bread, in the local dialect “i
panedd'“. It is baked in wood-burning ovens according to the old
tradition of Laterza. Its peculiarity
is that it can keep its friability and
softness, the particular taste of its
soft part and the golden brown
La prima fase della lavorazione, quindi, avveniva entro le
mura domestiche, protagoniste le donne che preparavano
l'impasto nella madia, mescolando con grande perizia il
lievito con farina, acqua e
sale. Ultimati lievitazione e
impasto, le operazioni di confezione del pane continuavano nei forni pubblici, dove
venivano portate le assi con le
forme di pasta lievitata avvolte in panni di cotone e/o di
lana.
I fornai provvedevano a completare la lavorazione della
massa, a cui davano la caratteristica forma finale a tronco di cono con taglio centrale,
prima di marchiarla con le iniziali del proprietario e di infornarla.
Tale operazione avveniva utilizzando dei marchi che solo in epoca piuttosto recente sono
stati realizzati in ferro e custoditi nel forno, mentre in un passato più lontano essi erano
tutti prodotti dai contadini e dai pastori, la cui abilità nell'intagliare il legno permetteva
una cospicua produzione di utensili casalinghi, dai mestoli ai marchi da pane, appunto.
Marchi che erano conservati nelle case tra gli oggetti personali, spesso nella biancheria
della padrona di casa, e che erano lasciati per tradizione in eredità ai figli maschi. I marchi da pane, con le loro figurazioni a riferimento simbolico, in genere rimandano ad una
cultura agro-pastorale entro la quale trova radici il gesto sacro della produzione del pane
in un territorio articolato con le sue gravine, culla della civiltà rupestre come l'agro di
Laterza.
Era il baricentro di una solida cultura di matrice contadina quando scandiva le giornate e
le stagioni, veniva offerto come ricompensa agli uomini e come dono propiziatorio ai
LE VIE DEL PANE
61
crust given by the baking in wood-burning ovens and the working, the preservation
and the seasoning: they start from the day before with the making of the yeast, the
day after the durum wheat semolina is kneaded with yeast, water and salt.
The dough must be worked slowly but vigorously, then it rises for two hours and a
half on wooden tables. Then it is weighed and divided into round pieces of 1,2 kg
(panelline), 4 kg (panedd')
with respectively a diameter
of 25 ,35, 45 cm. it is put
on boards (tavelun') to
stand at adequate temperature and humidity to grant
their rising. After preheating
the
direct-heating
oven with faggots and/or
olive tree firewood, when it
reaches the temperature of
400°, the bread bakes on a
slow heat for two hours on
the stone (chianche). Can
you smell it? Eating this
bread is a real emotion and
you must experience it.
Santi. Un pane saporito e non sciapo. Un pane croccante all'esterno e soffice all'interno.
Un pane conservabile per più di tre giorni. Non è un sogno, un pane così esiste, è il Pane
di Laterza, nel dialetto locale i panedd'. E' un pane cotto in forni a legna, come vuole l'antica tradizione che a Laterza sembra non essere mai passata. La caratteristica saliente è
quella di riuscire a conservare la friabilità e la morbidezza, il particolare sapore della mollica e della crosta dal caratteristico colore marrone scuro dorato che è conferito dalla cottura in forni a legna, ma anche dalla lavorazione, conservazione e stagionatura. Fasi che
avvengono sin dal giorno prima con la preparazione del lievito, il giorno successivo poi si
impasta la farina di semola rimacinata di grano duro, il lievito madre, l'acqua e il sale.
Preparato l'impasto, che deve essere lavorato lentamente ma energicamente, lo si ripone
per circa due ore e mezzo, affinché avvenga la lievitazione della massa acida, rigorosamente su basi di legno.
Successivamente si procede con la pesatura e formatura dei pezzi circolari da 1,2 kg
(panelline), 4 kg (panedd') con diametri rispettivamente di 25 ,35, 45 cm. Essi vengono
riposti su assi di legno (tavelun') dove riposano ancora per 45 minuti per un' ultima e breve
lievitazione che nei forni antichi, di puro spirito artigianale (per forni si intendono sia i
laboratori di produzione che il vero e proprio forno per la fase di cottura), deve avvenire al riparo da correnti d'aria e in ambiente caldo, a temperatura e umidità adeguate
per garantire la giusta crescita.
Si procede poi con il preriscaldamento del forno a riscaldamento diretto con fascine di
legna di bosco e/o di ulivo o nocciolino di albicocca o di mandorle, raggiunta la temperatura di 400 gradi, il pane cuoce a fuoco lento per due ore su pietra (chianche). Ecco lo
sentite il profumo? Mangiare questo pane è un'emozione da provare.
LE VIE DEL PANE
63
Barsento, from eco-system to ecomuseum
Strategic site and crossroads of exchange in Longobards' aims, old Barsentum charms even today, immersed in the countryside peace and dry-stone walls, landscapes uncorrupted by the passing of the time.
Large pastures, olive groves and rural settlements are the background of a rich casket
of naturalistic treasures and architectonical evidence of remote epochs still untouched
by the anthropic phenomenon. In the ideal pentagon contained among the villages of
Noci, Putignano, Alberobello, Castellana Grotte and Monopoli, the area named
Barsentum, or Barsento (from the toponym of the abbey dominating the surrounding
territory) represents a valid example of ecomuseum that welcomes those who visit it
surprising everyone. During the Middle Ages this pleasant place had an important role
for the subsistence economy of the peasant people. The transhumant sheep-farming,
for example, preferred the axis passing through Barsentum that joined Molise to
Apulia. As a skilful sculptor the karst phenomenon has created open hollows and
underground caves spontaneously. Moreover the peculiarity of this morphologically
complex area is made of swamps and dolines (typical ground depressions originated by
the continuous solvent effect of the rainwater or by the erosion of an old river on the
calcium carbonate of the friable karst rocks. Editor's Note). But the real wealth of this
area has always been the abundant water resource, and the numerous water wells for
the fields' irrigation are the evidence of it. An impressive constellation of Jazzi scattered all over the country for the cattle's shelter, trulli of different shape and size, and
wonderful farms, heritage of an ancient seigniorial power, give the idea of XII and XIII
Barsento, da eco-sistema a eco-museo
di Alessandro Stajano
Sito strategico e crocevia di scambi nelle mire dei Longobardi, l'antica Barsentum incanta
ancora oggi immersa nella quiete di campagne e muretti a secco, paesaggi incorrotti dallo
scorrere del tempo.
Ampi pascoli, uliveti e insediamenti rurali fanno da sfondo a un prezioso scrigno di
tesori naturali-stici e testimonianze architettoniche di epoche remote non ancora
compromesse dal fenomeno antropico. Nel pentagono ideale racchiuso tra i territori
di Noci, Putignano, Alberobello, Castellana Grotte e Monopoli, l'area conosciuta col
nome di Barsentum, o Barsento, dal toponimo della chiesa abbaziale che domina il
territorio circostante, rappresenta un valido esempio di eco-museo che accoglie chi lo
visita riservando sorprese ad ogni passo.
Fino a tutto il Medioevo, quest'amena località, ha svolto un ruolo cardine attorno al
quale s'incentrava l'economia di sussistenza delle genti contadine. La pastorizia transumante, ad esempio, prediligeva proprio l'asse passante da Barsentum e che congiungeva il Molise alla Puglia.
Come un abile scultore, il fenomeno carsico ha spontaneamente creato cavità a cielo
aperto e grotte sotterranee. Oltre a queste ultime, la peculiarità di questa zona mor-
METE
65
centuries lifestyle. Even the strategic aspect of
this site was important: it guaranteed an excellent defence from the frequent pirates raids and
the perfect visibility of the coasts. Barsentum
was the centre of a communication network and
it became a lively village of flourishing trade;
thanks to a strong religious feeling that contributed to the settling of a monastic congregation. Apulia was continuously under foreign rule
so the building of the beautiful abbey was not
only the right reply to the growing people's
request but a point of reference for the neighbouring communities. It is difficult to date it:
the experts think it was built around 1300 or in
the early Middle Ages. Anyway, according to the
Salento archaeologist Francesco D'Andria, not
before 840. Probably these were the reasons why
the first Messapic settlers chose this place as the
archaeological finds along the crest prove.
Barsentum, in fact could derive from the compound word of Messapic origin: barza (high) and
entum (that is). According to the local chronicles
of XVII century (the bishop of Bisceglie Pompeo
Sarnelli's, papers) Barsento's church was built
around 591, for pope Gregorio Magno's will,
with the purpose of evangelizing the local people in the period of the Longobardic invasions. The abbey was given to the monastic
order founded by Sant'Equizio and dedicated to Santa Maria Assunta, called Madonna
di Barsento by the natives. Nowadays church and surrounding places attract tourists's
and local people's attention after centuries of indifference and neglect. The complex
and the farm, that in ancient times was a convent, have been tied up according to the
fologicamente complessa è costituita da lame e doline (caratteristiche depressioni del
suolo che si originano per il continuo effetto solvente dell'acqua piovana, o per l'erosione di un antico corso d'acqua, sul carbonato di calcio presente nelle friabili rocce
carsiche, ndr).
Vera ricchezza del luogo è, però, sempre stata l'abbondante risorsa idrica, testimoniata dai numerosi pozzi d'acqua per l'irrigazione dei campi, ben delimitati da muretti a
67
secco. Una spettacolare costellazione di Jazzi, disseminati nella campagna per il ricovero degli animali da pascolo, trulli di differente forma e dimensione e splendide masserie, retaggio di un antico potere signorile, rendono bene l'idea di quale stile di vita
si conducesse tra il XII e XIII secolo. Tutto questo senza trascurare, poi, l'aspetto strategico del sito, che garantiva un'eccellente difesa dalle frequenti incursioni piratesche, e l'ottima visibilità della costa.
Al centro di una fitta rete di comunicazioni, Barsentum divenne assai presto un borgo
vitale di fiorente commercio, anche grazie a un forte sentire religioso che dovette
influire non poco sull'insediamento di una congregazione monastica. In una Puglia
continuamente nella morsa delle dominazioni straniere, la costruzione della bellissima
abbazia divenne non solo la giusta risposta alla crescente richiesta del popolo, ma un
punto di riferimento per le comunità vicine. Divide, però, la sua datazione: un vivace
dibattito tra gli studiosi la vuole ora risalente al 1300 ora all'alto Medio-evo, comunque non oltre l'840, stando all'archeologo salentino Francesco D'Andria. Queste, verosimilmente, le ragioni che determinarono la scelta di quel luogo da parte dei primi
coloni messapici, come dimostrato dai ritrovamenti archeologici lungo il crinale.
legislative decree 490/99. The increased public spirit and the need of improving life
quality in a wealthy environment have seen to it that the whole area of 1100 hectares
has become a “conservation area” since 1986. The procedure to enact the local government law 19/97, through which this territory could be recognized as a regional nature reserve, is slower. It is not a quirk, considering the landscape beauty with its woods
of oaks (quercus trojana) and wild orchids, impressive swallow-holes and the depression of the Canale di Pirro. The latter is a large system of fractures of karst origin,
extending among Putignano, Castellana and Fasano, for about 12 kilometres. The bottom of the canal is flat and covered by a very fertile red soil mixed with a thin layer
of alluvial soil. Excellent cultivations, such as the grapevine, find in this canal-bed the
best place where taking root.
Barsentum, infatti, potrebbe derivare dalla parola composta di derivazione messapica
barza (alto) e entum (che è). Secondo le cronache locali del XVII secolo (gli scritti di
Pompeo Sarnelli, vescovo di Bisceglie) la chiesa di Barsento fu edificata intorno al 591,
per volere di papa Gregorio Magno, con lo scopo di evangelizzare le genti del posto
nel periodo delle invasioni “barbariche” da parte dei Longobardi. Affidata così all'ordine monastico fondato da Sant'Equizio, l'abbazia fu dedicata al culto di Santa Maria
Assunta, chiamata dagli oriundi Madonna di Barsento.
Chiesa e territorio circostanti, oggi, richiamano l'attenzione di turisti e popolazione
locale dopo secoli d'indifferenza e abbandono. Il complesso e l'annessa masseria, che
anticamente era un convento, sono stati vincolati ai sensi del decreto legislativo
490/99. Il diffondersi di un accresciuto senso civico e della necessità di migliorare la
qualità della vita in un ambiente salubre, hanno fatto si che l'intera area sviluppata
per 1100 ettari diventasse dal 1986 “Oasi di protezione”. Pare, invece, più lento l'iter
della legge regionale 19/97 attraverso cui, inoltre, si vuol ricomprendere questa porzione di territorio tra i futuri parchi naturali regionali. Non un semplice vezzo, vista
la bellezza paesaggistica che include tra i boschi di fragno (quercus trojana) e le orchidee selvatiche, anche gli impressionanti inghiottitoi e gli sprofondamenti del Canale
di Pirro. Quest'ultimo è un ampio sistema di fratture di origine carsica, che si estende tra Putignano, Castellana e Fasano, per circa 12 chilometri. Il fondo del canale è
pianeggiante e coperto da una fertilissima terra rossa mista a un sottile strato di terreno alluvionale. Colture pregiate, come la vite, trovano in quest'alveo il luogo ottimale per l'attecchimento.
METE
69
ORSARA DI PUGLIA,
dai Calatrava alle zucche di Halloween
di Alessandro Stajano
Orsara di Puglia lies in a medieval mood where ancient
rites mixed with the simple life of its people surprise
the visitors with a warm welcome.
Cristallizzata in un'atmosfera medievale in cui riti antichi
si mescolano alla vita di una popolazione semplice,
Orsara di Puglia punta tutto su una spiccata vocazione
all'accoglienza.
Here the time seems to go by with a different rhythm as it were in slow motion.
History and culture are parts of this region by the reclamation of ancient traditions,
the very good wine and the excellent dishes linked to the country economy.
Tastes and Secrets of Orsara
Orsara's economy feels the distance from the big towns and its secret is to keep an
excellent standard of living: the Productive Activities Councillor Biagio Dedda has
told us that Orsara is one of the three Apulian Slow Food towns (the other ones are
Cisternino e Trani) chosen among only 60 all over Italy. Thanks to the great effort
of the municipal administration that has renewed the old town, the whole road network (still made up by basoli and sampietrini), the enogastronomic performances
and some very interesting Consortia of Production. Processes and products mix
manufacturing mastery and tradition, carrying out a virtually perfect close cycle
chain. The discarded parts of the dairy production are used to enrich the feedstuff
for the cattle-breeding. Cattle, swine and sheep (such as the Dauno sub Appenine
goat) provide very tasty typical
salami and cheese and satisfy
the local and tourist request
from the Orsara restaurants.
The whole local production is
prepared according to the tradition and eaten in situ.
Moreover Orsara is famous for
its “Orsara Jazz” music festival
and the “Wine festival” that
attract thousands of visitors
from all over the nation.
Speaking of wines: passing
through Orsara di Puglia you
cannot miss the body and
round
notes
of
the
“Tuccanese”, an excellent red
wine coming from an autochthon vine that, by itself,
makes the trip worthy.
Popular tradition
The eve of 15th of August in
Orsara di Puglia is the memory day. Since early in the morning a roll of drums beats the
slow rhythmic tread of the
warrior monks who, on the
same day of 1225, went into
the Apulian town to take possession of the Diocese under
the Sant'Angelo Abbey (for-
Sorprendere il visitatore per la gente di questo paese, a due passi dal confine con la
Campania, è la regola. Qui il tempo sembra scorrere con un ritmo differente, come al
rallentatore. Un tempo pregno in cui storia e cultura s'intessono nella trama del territorio regionale attraverso il recupero di tradizioni millenarie, ottimo vino ed eccellenti pietanze legate all'economia contadina.
Sapori e segreti di Orsara
Ad Orsara, dove l'economia risente alquanto della lontananza dai grandi centri urbani, il segreto è mantenere un tenore qualitativo d'eccellenza. Basti considerare, come
ci ha illustrato l'assessore comunale alle Attività produttive, Biagio Dedda, che Orsara
rappresenta una delle tre città Slow Food della Puglia (le altre sono Cisternino e Trani,
ndr) tra le sole 60 scelte in tutt'Italia. Scusate se è poco. Merito del grande sforzo
dell'Amministrazione comunale che ha scommesso tutto sul recupero dei caseggiati
del borgo antico, dell'intera rete viaria (costituita ancora di basoli e sampietrini), delle
manifestazioni enogastronomiche e, cosa di certo interesse, dei Consorzi di produzione.
Processi e prodotti coniugano sapienza manifatturiera e tradizione, realizzando una
filiera a ciclo chiuso virtualmente perfetta. In buona sostanza i materiali di scarto della
lavorazione casearia sono utilizzati per arricchire il mangime per l'allevamento. Bovini,
suini e ovini, come la capra del sub Appennino Dauno, pur fornendo salumi e formaggi tipici di gran gusto, soddisfano la richiesta locale e turistica finendo direttamente
sulle tavole dei ristoratori orsaresi. Tutto ciò che si produce localmente, insomma,
viene preparato secondo tradizione e consumato in situ. Alla faccia della NewEconomy.
Orsara, ad ogni buon conto, è nota al pubblico d'appassionati anche per il festival di
METE
73
med by the Hamlets of Montecalvelo, Ponte Albaneto e Castelluccio Val Maggiore).
Grand Master, Knights and Ladies wearing very rich reconstruction of the costumes
parade through the streets in the town centre faking the capture of the “Laure”,
that is the farm properties constituted by the Byzantine monks. The simple people
of this land commemorate their own origins that go back to the Middle Age when
the knights' battles protected Christianity and its outposts from the Muslims' siege.
During this commemoration, the
historical procession recalls the deeds
of the knights of the monastic order
of the Calatravas (from Kalaat Rawah:
the name of the fortress situated
along the Spanish river Sabalan).
After the Knights Templar's refusal to
perform the duty, they had to protect
the Iberian fortress in 1155. In the old
town of Orsara, during the commemoration there is the tasting of dishes
prepared according to Medieval recipes.
In Orsara people use to hollow out
the pumpkins giving them the shape
of skulls, putting candles into them.
The so called “cocce priatorje” are
situated on the windowsills or on the
stairs of the houses, while big fires
light the night. This rite reminds of
the American Halloween and maybe it
has even inspired it thanks to the
great emigration of Orsara people to
musica “Orsara Jazz” che,
insieme alla “Festa del vino”,
richiama migliaia di visitatori
da tutta la nazione. A proposito di vino: passando da Orsara
di Puglia non si può evitare di
farsi conquistare dalle note
rotonde
e
corpose
“Tuccanese”,
un
del
eccellente
vino rosso ottenuto da un vitigno autoctono che, da solo, val
bene il viaggio.
La tradizione popolare
La vigilia di Ferragosto a Orsara
di Puglia è il giorno della
memoria. Sin dalle prime ore
del mattino un rullo di tamburi scandisce il lento passo cadenzato dei monaci guerrieri che, lo stesso giorno del 1225, entrarono nella cittadina pugliese per prendere
possesso della Diocesi facente capo all'Abbazia di Sant'Angelo (formata dai Casali di
Montecalvelo, Ponte Albaneto e Castelluccio Val Maggiore). Gran Maestro, cavalieri e
dame con indosso pregiatissimi rifacimenti dei costumi d'epoca sfilano per le vie del
centro simulando la presa delle “Laure”, ovvero i fondi agricoli costituiti dai monaci
bizantini.
Questa schietta gente del nostro
territorio commemora le proprie
origini
che
si
perdono
nel
Medioevo dei cavalieri e delle
battaglie per la difesa della cristianità e dei suoi avamposti dall'assedio dei Musulmani. Durante
la rievocazione storica, con il corteo che attraversa il paese, tornano in scena le gesta dei cavalieri
dell'Ordine
monastico
dei
Calatrava (da Kalaat Rawah: il
nome della fortezza sita lungo il
fiume spagnolo Sabalan). A questi ultimi, dopo il rifiuto dei cavalieri Templari di assolvere al compito, toccò la difesa della fortezza iberica nel 1155.
Nel borgo orsarese, naturalmente,
durante la manifestazione non
mancano le degustazioni di pietanze preparate secondo ricette
medievali.
METE
75
America at the beginning of the last
century. On the night between 1st
and 2nd of November, the eternal
fight between good and evil comes
back among the living exorcizing
fears and driving out misfortune.
While the still fresh branches of the
Spanish brooms cheerfully crackle
through the village, the small flames
from the pumpkins drive out the penitents' souls from the houses. Attracted
by the sparks of the fires rising to the
night sky, they find their way to the
Purgatory again after a well-deserved refreshment: on the corners of the streets, on
the balconies and the rails, along the pavements and the stairs, delicious sweets and
brimming of wine jugs are waiting for the sprites before their long journey. Orsara
children dressed up as witches, skeletons and ghosts, are waiting nervously the
“Fucacoste”, this “religious Carnival”, paying their attention to the thrilling stories
told by their grandparents after libations and games, before going to bed.
METE
A Orsara, inoltre, vige l'usanza di far assumere alle zucche l'aspetto di teschi, svuotandole e mettendo al loro interno delle candele. Le cosiddette “cocce priatorje” vengono poi messe sui davanzali delle finestre o sulle scale delle case, mentre grandi falò
illuminano la notte. Un rito che ricorda assai da vicino l'Halloween americana e, forse,
lo ha addirittura ispirato, grazie alla forte emigrazione degli Orsaresi oltre oceano, sui
primi del secolo scorso.
Nella notte tra l'1 e il 2 novembre, l'eterna lotta tra bene e male torna a compiersi tra
i vivi esorcizzando le paure e scacciando la malasorte. E mentre i rami ancora freschi
delle ginestre scoppiettano di viva allegria per tutto il paese, le fiammelle delle zucche allontanano dalle abitazioni le anime penitenti. Queste ultime, attratte dalle faville dei falò che s'innalzano nel cielo notturno, ritrovano la strada per far ritorno in
Purgatorio, non prima, però, di un meritato ristoro. Agli angoli delle strade, su balconi e parapetti, lungo i marciapiedi e le scale di ogni casa, deliziosi dolciumi e boccali traboccanti di vino attendono gli spiritelli prima del lungo viaggio. I bambini di
Orsara vestiti da streghe, scheletri e fantasmi attendono con ansia il “Fucacoste”, questo “carnevale religioso”, dedicando tutta la loro attenzione, dopo libagioni e giochi,
ad ascoltare le storie da brivido narrate dai propri nonni prima di andare a letto.
77
STRELITZIA,
eleganza di forme, armonia di colori
di Sabrina Sansonetti
Its unique and rich flower captures your eyes
waking sweet emotions.
Il suo fiore, unico e pregiato, colpisce lo sguardo suscitando dolci emozioni.
What a lot of harmony between shape and colour there is in nature! Any silhouette recalls another one and it happens even in the rich and variegated world of flowers and plants.
The Strelitzia is a nature's masterpiece, named “Bird-of-paradise flower”, it is really surprising for its shape similar to a bird.
It is incredible how beauty, elegance and harmony combine perfectly in this plant
native to South Africa and introduced into Europe by the end of 1700 by Banks,
curator of the Royal Botanic Gardens, Kew, in London. Both the genus and the species were named after the King George III's widow, the Queen Charlotte Sofia of
Mecklenburg-Strelitz.
It is a bush-shaped flower plant belonging to the family of Musaceae, it is an evergreen and perennial plant, usually very long-lived with big fleshy and fascicled roots
that, if grown up in the open, develop for 1 metre in depth. It has grey-green large
ovate or lanceolate leaves with a very long petiole. Its inflorescence is composed by
boat-shaped bracts containing four or five asymmetric flowers with three small and
three large petals, two of the
latter joined together.
The Strelitzia flowers from
autumn to spring and in this
period it is at its best, decorating parks and gardens. Above
all in Apulia, with its favourable climate, this warm-loving
plant is silhouetted, superb
and proud, against the deep
blue sky. The glaring sunbeams of our region exalt the
orange, the white, the blue of
its flowers and then light and
colours magically melt together.
The genus Strelitzia comprehends different species such
as: the best known Strelitzia
Reginae, Strelitzia Alba or
Augusta, Strelitzia Juncea and
Strelitzia Nicolai, all of them
of extraordinary beauty.
Its propagation is by seed or
simply and quickly by division
of the plant. This is made by
the
numerous
floricultural
firms that grow it at industrial
level, above all in Bari area, in
the village of Terlizzi, and in
Salento, in the villages of
Leverano
and
Taviano.
ORIZZONTI
FIORITI
Quante corrispondenze di forme e colori esistono in natura! Ogni cosa per il suo
aspetto ne richiama alla mente subito un'altra, accade così anche nel ricco e variegato mondo dei fiori e delle piante.
La Strelitzia, capolavoro della natura, chiamata “Fiore del Paradiso” o “Uccello del
Paradiso”, sorprende per la sua forma davvero del tutto simile a un volatile.
E' incredibile come bellezza, eleganza ed armonia si coniughino perfettamente in
questa pianta originaria del Sud Africa e introdotta in Europa alla fine del 1700 da
Banks, curatore dell'orto botanico di Kew Gardens di Londra. Essa fu dedicata alla
vedova di Re Giorgio III, la regina Carlotta Sofia di Meclemburg-Strelitz da cui deriva sia il nome del genere che della specie.
Si tratta di una pianta fiorita di forma cespugliosa, appartenente alla famiglia delle
Musaceae, sempreverde e perenne, solitamente molto longeva, con grosse radici
carnose e fascicolate che, se coltivata all'aperto, si sviluppano nel terreno per un
metro di profondità. Presenta grandi foglie ovate o lanceolate di un colore verde
glauco con picciolo molto lungo. Le sue infiorescenze sono composte da brattee a
forma di barca che contengono quattro o cinque fiori asimmetrici con tre petali
piccoli e tre grandi, due di questi ultimi saldati insieme.
La Strelitzia fiorisce dall'autunno fino alla primavera inoltrata ed è in questo periodo che fa bella mostra di sé adornando parchi e giardini. Ed è soprattutto in Puglia,
81
Nowadays the Strelitzia is considered very important even in the cut flowers trade,
becoming as precious as the Orchid.
Since ever its exotic and mysterious charm has made this flower unique and rich,
able to create a magic atmosphere, giving flair, elegance and fantasy to the place
where it is.
ORIZZONTI
FIORITI
grazie al suo clima favorevole, che questa pianta, amante del caldo, si staglia
superba e altera contro l'azzurro specchiante e intenso del cielo. Il sole abbagliante della nostra regione esalta con i suoi raggi l'arancio, il bianco, l'azzurro e il blu
scuro dei fiori ed è allora che luce e colori si fondono magicamente insieme.
Il genere Strelitzia comprende diverse specie tra le quali ricordiamo: la Strelitzia
Reginae, sicuramente la più conosciuta, la Strelitzia Alba o Augusta, la Strelitzia
Juncea e la Strelitzia Nicolai, accomunate tutte da straordinaria bellezza.
La riproduzione può avvenire per seme oppure più semplicemente e velocemente
per divisione della pianta, cosa che viene effettuata nelle numerose aziende floricole che la coltivano a livello industriale, soprattutto nel barese, nel comune di
Terlizzi, e nel Salento, nei comuni di Leverano e Taviano. La Strelitzia, infatti, ha
ormai assunto una posizione di primissimo piano anche nel commercio dei fiori
recisi, diventando preziosa quanto le Orchidee.
Da sempre il fascino esotico e misterioso ha reso questo fiore unico e pregiato,
capace di creare suggestive atmosfere, aggiungendo quel tocco in più di estro, eleganza e fantasia all'ambiente in cui si trova.
83
Turcinieddi, past memory
From the crackling barbecue to the sumptuously laid table, a typical dish and characteristic of Salento cuisine.
Sheep farming has been very common in Apulia for a long time; the farming of
lambs, goats, sheep has certainly influenced the dietary habits of the people. The
Apulian recipes made of mutton are still many and most of them come from the
past. Not only at Easter but all year round the regional cuisine presents lamb, kidbased dishes. Among the cult recipes undoubtedly there are the turcinieddi that,
with their simplicity, evoke the link of Apulia with its humblest country culture.
The ingredients of this recipe are the lamb's or kid's intestine, tangible evidence
of the will of not to waste any part of these excellent animals. People tell that
during the celebrations, while lords banqueted with the noble parts, the servants
used the “waste” to prepare unique and tasty roulades. There aren't written historical documents telling of the origin or the development of this dish because the
Turcinieddi, memoria del passato
di Federica Sgrazzutti
Dalla brace scoppiettante alla tavola imbandita, un piatto antico e caratteristico della cucina salentina.
PUGLIA MADRE
In Puglia, la pastorizia è stata per lungo tempo molto diffusa; l'allevamento di
agnelli, capre, pecore ha certamente influenzato le abitudini alimentari della popolazione. Ancora oggi le ricette pugliesi che vedono l'impiego di carne ovina sono
moltissime e, in buona parte, restano memoria del passato. Non solo a Pasqua, perciò, ma tutto l'anno la tavola regionale lascia spazio a specialità a base di agnello
e capretto. Tra le ricette cult c'è, senza dubbio, quella dei turcinieddi che, nella loro
semplicità, evocano il legame della Puglia con la propria cultura contadina più
umile.
85
oral tradition has handed down it, from generation to generation, from mother to
daughter. The Italian word is turcinielli, but in dialect, besides turcinieddi there
are numerous versions, according to the area: gnumerieddi, ghiemeriedde or
mbojcate. The ingredients are the intestines such as liver, kidney, spleen, heart,
87
Gli ingredienti di questa specialità sono le interiora dell'agnello o del capretto da
latte, segno tangibile della volontà di non sprecare nessuna parte di un animale
tanto pregiato. Si racconta che durante le ricorrenze, mentre i signori banchettavano con le parti nobili, i servitori utilizzavano gli “scarti” per la preparazione di
involtini dal gusto e dall'aroma inconfondibili. Non vi sono documenti storici scritti che narrino l'origine o l'evoluzione di questo piatto, ciò perché è stata la tradizione orale a tramandarlo, di generazione in generazione, di madre in figlia.
Il termine italiano con il quale identificare questa pietanza è turcinelli, ma in dialetto, oltre a turcinieddi, ci sono moltissime varianti, a seconda della provincia:
gnumerieddi, ghiemeriedde o mbojcate. Come detto gli ingredienti sono le interiora, quali fegato, rognone, milza, cuore, polmoni e le budella. Queste devono essere prima “aperte” e lavate accuratamente con acqua e sale grosso, per pulirle e
togliere i residui, quindi lasciate a bagno con limone. Rognone e milza richiedono
la lessatura e poi, come le altre frattaglie, devono essere tagliati a tocchetti, per
procedere alla preparazione di piccoli involtini, ai quali si va ad aggiungere pecorino, prezzemolo, sale e pepe. La forma tipica del turcinieddo (il cui diametro è di
3-4 centimetri e la lunghezza non supera i 12 centimetri) è data dalla membrana
peritoneale che racchiude tutti i componenti e dalle budella con le quali viene
legato.
La cottura ideale degli involtini, che ne esalta il sapore e i profumi, è allo spiedo,
sulla brace, con foglie d'alloro, ma ne esiste una versione, all'uso dei pastori della
lungs and entrails. The latter must be “opened” and accurately washed with water
and kitchen salt in order to clean them and remove the residues, then soaked with
lemon juice. Kidney and spleen must be boiled first and then, as the other offal,
must be cut into cubes, in order to prepare small roulades, adding some pecorino cheese, parsley, salt and pepper. The typical shape of the turcinieddi (whose
diameter is 3-4 centimetres and the length no over 12 centimetres) is given by the
peritoneal membrane containing all the components and the entrails that it tie
up. The ideal cooking of the roulades is on the spit, barbecued with laurel leaves,
that exalts its taste and smell; but there is another version, from the shepherds of
Murgia, according to which the turcinieddi are cooked in an earthenware pan,
covered with water and seasoned with celery, winter tomatoes, parsley and onion,
and served with grated cheese. There is even a recipe of the gnumerieddi baked
with potatoes, perfect even for the marro (somewhere named "cibreo" and in dialect "cazzamarro"), having the roast's size but the same preparation of the smaller turcinieddo.
Considering the care and the time it takes, it is more and more uncommon that
the turcinielli are home made for this reason all the butchers sell them already
made, and their request is quite high: there is no mixed grill in Apulia -at home
or at the restaurant- that does not propose the turcinieddi, together with bombettas, roast meet, and spare ribs. It is very common that Apulia people before
leaving to other Italian towns or abroad stock up on turcinieddi in order to enjoy
them “far from home”, because they are one of the main symbol of the regional
gastronomy with the flavour of their own land.
Murgia, secondo la quale i turcinieddi vengono cucinati in una pentola di terracotta, coperti di acqua e conditi con sedano, pomodorini invernali, prezzemolo e
cipolla, e infine serviti in brodo con formaggio grattugiato. C'è anche la ricetta
degli gnumerieddi al forno con patate, perfetta anche per il marro (chiamato in
alcune zone "cibreo" e in dialetto "cazzamarro"), che ha le dimensioni di un arrosto, ma il processo di preparazione è lo stesso del più piccolo turcinieddo.
Considerato l'impegno e il tempo richiesto, è sempre più raro che i turcinelli vengano fatti in casa, poiché tutte le macellerie li propongono già pronti, andando
incontro ad una richiesta di mercato piuttosto alta: non c'è grigliata in Puglia, tra
le mura domestiche o al ristorante, che non preveda, insieme a bombette, arrosticini e costine, anche una porzione di turcinieddi. Ed essendo questa pietanza uno
dei principali simboli della gastronomia regionale, molto di frequente i pugliesi in
partenza per altre città d'Italia o all'estero non esitano a farne scorta, per una
degustazione “fuori porta”, con il sapore della propria terra.
PUGLIA MADRE
89
With Albano, Apulia: a land to be bitten and sipped
You cannot get to the Tenuta of Albano Carrisi by chance, you must go there intentionally. You do not need to know the way, when you get to Cellino San Marco it's
enough to ask somebody where it is and he'll take you there with pleasure. The first
impact is amazing. The dazzling glare of the sun hacking the buildings made of calcareous stone against the Ocean of ancient olives and havens of green, gives friendly and meditative peace. He lives in his stone creation, that grows day by day, together with the nature surrounding him. The village is the result of his lively and creative mind and represents a man whose heart beats in order to sing life. Here life goes
by timeless and in a place continuously invented; it is as changeable as the olives'
bark looking for the sun. In Albano's kingdom Apulia draws long shades between
dawn and sunset joining present and past.
Scattered about there are signs and symbols of his songs, notes recalling Lecce stone
and tufa used to erect the building of his own existence. Albano is there, wherever,
like his music. It is enough to listen, it is enough to be amazed in front of this figure whose disarming simplicity, loved and criticized at the same time, represents the
magic word to enter the Garden of Eden. An enchanted place that can be just in
Cellino San Marco.
What does all of this represent for you? Who is the man longing for taking in
these places at a glance from the top of a stone tower after every journey in far
off lands or just at few steps from home?
Con Albano, una Puglia da mordere e sorseggiare
di Alessandro Stajano
BISBIGLI NEL
VENTO
Alla Tenuta di Albano Carrisi non si arriva per caso, ci si deve andare di proposito. Non
importa conoscere la strada, quando si arriva a Cellino San Marco. Una volta lì è come chiedere a un romano dove si trova San Pietro: qualcuno saprà indicarvi la via o vi ci porterà
ben volentieri.
Il primo impatto è strabiliante, ma lo sguardo, che subito si perde tra l'abbacinante riverbero del sole che staglia gli edifici di pietra calcarea in un oceano d'ulivi secolari e oasi di verde
pregno di vita, dona pace accogliente e meditativa.
Lui è tutto proiettato nella sua creazione lapidea, che cresce di giorno in giorno, insieme alla
natura che lo circonda. Il villaggio, nato dalla sua mente fervida e creativa, proietta l'essenza di un uomo il cui cuore batte per cantare la vita. Quella che, a casa sua, trascorre lontano dal tempo e in uno spazio inventato di continuo, mutevole come la corteccia degli ulivi
che cercano il sole. Nel regno di Albano c'è una Puglia tutta tesa, tra ogni alba e tramonto,
a disegnare lunghe ombre che uniscono il presente al passato. Qua e là segni e simboli intessuti nella fitta trama delle sue canzoni, note che rimandano a mattoni di carparo e tufo con
cui ha innalzato l'edificio della sua stessa esistenza. Albano è lì, in ogni cosa, come la sua
musica. Basta saper ascoltare, basta sapersi stupire di fronte a questo personaggio la cui
disarmante semplicità, così visceralmente amata e criticata al tempo stesso, rappresenta la
91
Years ago I'd never have thought that once run away from this land- it was just an
escape- I'd have been so lucky to rediscover Apulia, Salento. I left my family to follow my exigency of stirring up what I knew was unmoving. Cellino life was like an
already seen movie, with the same actors, an already declaimed dialogue, a break
made just in that exact moment, a full stop at the end of that endlessly repeated
sentence. Even if my house, my family and all the moments I had loved, were deeply in my heart, sudden blazes gave rise to inner fires urging something extraneous
to that. I thought I had found somewhere else an ideal dimension where I could
escape from the straits and the daily hardship of a poor village, of a stagnating life.
Then, in a dark small room in Milan, in a building in Giambellino road where I worked as a carpenter, I realized I felt a tremendous sense of vacuum. I was alone and
I had to get by in a town where I didn't know anyone. When, suddenly, you happen
to live cultural and material wealth that doesn't belong to you, you realize that
you're going in the direction opposite to your origins. My “poverty”, the poverty of
a life in a land of country traditions and culture, was my treasure. But I realized this
only many years later. That tower dominating the 130 hectares of the Tenuta, represents my experience: it reminds me the sacrifices I made to obtain all of this; because I have always wanted to live among these
rows of vines, watching the colours of the land
that fed and made me famous. Wherever I am I
miss it so, when I'm at home I get on the
highest place to watch as far as the eye can see,
and to buck up of renewed energy.
What kind of change did you notice when
you got back? What do you see in the eyes of
those people you have left here?
I made myself this question many times and I
asked myself if it was me to be changed instead of the people who had stayed. Anyway
something had happened. Paradoxically, when I
attended the school Pietro Siciliano in Lecce I
remember the happiness on my teachers' faces
on the pay day. They didn't like teaching.
Money was more necessary than the concretizing of a project. I was sure that my
dream couldn't come true. Those years my people had to leave in order to support
their families. We were a people of emigrants compelled to leave the sun, the land
to seek our “fortune” in the North. Which fortune? The one I have found is different and has made me aware of who and what I was going to sacrifice. Nowadays I
meet those same eyes and they are only more tired but full of stories of life to be
taught and remembered together. They are loved people, spontaneous smiles, generous gestures. It is a priceless treasure and, when we were troubled, it has made us
to get over all the difficulties making me richer and full of hope. Even under the
worst blows. But this is the beauty of my life.
In your intense autobiography “E' la mia vita”, for the first time you deal with
situations you've kept silent about so far. Why now?
Well, it's not easy to open out; mainly to oneself. You suffer something, you chew
parola magica per entrare nel
giardino dell'Eden. Un luogo
incantato che, perché no,
potrebbe trovarsi proprio a
Cellino San Marco.
Cosa rappresenta tutto questo per te? Chi è l'uomo che
dopo ogni viaggio in terre
lontane, o a due passi da
casa, brama di tornare ad
abbracciare con lo sguardo
questi luoghi dall'alto di una
torre di pietra?
Io non avrei mai immaginato,
anni fa, che una volta scappato da questa terra, perché proprio di fuga si trattò, avrei
avuto la fortuna di riscoprire la
Puglia, il Salento. Qui lasciavo
la stabilità degli affetti, che
non è poca cosa, seguivo la
mia esigenza di smuovere ciò
che sapevo immobile. La vita a
Cellino era come un film già
visto, interpretato dagli stessi attori, era un dialogo già declamato, una pausa fatta in quel
preciso momento, un punto alla fine di quella frase ripetuta all'infinito. Pur portandomi dietro la fotografia mentale della casa, della mia famiglia, dei momenti che ho amato, improvvise fiammate davano luogo a incendi interiori che reclamavano qualcosa di estraneo a tutto
ciò: mi illudevo d'aver trovato altrove una dimensione ideale nella quale rifugiarmi dalle difficoltà economiche e dalla sofferenza quotidiana di un paese povero, di una vita stagnante. Poi, al buio di una stanzetta di Milano, in quello stabile di via Giambellino, in cui il buon
Gaber animò il suo Cerruti Gino, dove lavoravo come edile imbiancando pareti, “mamma
nostalgia” mi fece rendere conto di provare un tremendo senso di vuoto. Ero solo e dovevo
tirare a campare in una città dove non conoscevo nessuno. Quando improvvisamente ti trovi
a vivere una ricchezza che non ti appartiene, culturalmente e materialmente, qualcosa dentro di te grida per farti capire che stai andando nella direzione opposta alle tue origini. La
mia “povertà”, la povertà del vissuto in una terra di tradizioni e cultura contadine, era la mia
ricchezza, ma questo l'ho capito molto tempo dopo. Quella torre, che domina i 130 ettari
della Tenuta, simboleggia un po' la mia esperienza: l'ho voluta perché mi ricorda i sacrifici
che ho fatto per ottenere tutto questo, perché ho sempre desiderato vivere tra questi filari,
osservare i colori della terra che mi ha nutrito e mi ha reso famoso. Ovunque mi trovi ne
sento la mancanza e quando sono a casa salgo sul punto più alto per guardare lontano, a
perdita d'occhio, e ricaricarmi di nuova energia.
Che tipo di cambiamento hai riscontrato al tuo ritorno? Quando guardi negli occhi le
persone che hai lasciato qui cosa vedi?
E' una domanda che mi sono fatto parecchie volte e, spesso, mi sono chiesto se ero io ad
essere cambiato o la gente che era rimasta. Qualcosa, ad ogni modo, era accaduto.
Paradossalmente, ricordo, quando frequentavo la scuola Pietro Siciliano di Lecce l'immagi-
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over grief, you metabolize your emotions and then, maybe, everything changes
into... music. I couldn't attend great schools; I'm a self-taught person, one who
sings what he feels inside. When I do it I open out to my public and I tell them my
life. But it's harder through a book. It was a night, there was Roberto Allegri, a dear
friend of mine and we were talking just to relax, drinking some good wine together.
Then I realized I was telling non-stop about what I had hidden in the deep of me
since years as if nothing was the matter. Evidently his company, his sincere friendship have moved a clock that had been stopped since long time. It was the right
moment to do it. It was a duty for those who still love me and haven't left me yet
(particularly his public, as he says in the dedication on the book, Editor's Note).
So, the meeting of a short interview becomes an unexpected invitation to dinner in
the country privacy of his kitchen. What with a chat and lots of laughing, the “singer of the people”, the man used to be side by side with the powerful of the world,
becomes the friend as ever, the confident, the host anyone would like to meet. And
while the carrots crème of the risotto is cooking in the pan and the “impepata” of
mussels is puffing airily, a journey in the memory has begun, to find out a lost
identity now recovered into
a glass of wine, behind a
smile
telling
just
“my
friend, you're welcome”.
Chatting and tasting the
homemade flavours, the
time stops and the cicadas'
chirp accompanies us. I
have known Albano Carrisi
for less than one day, but
now I'm sitting on his table
and I'm having dinner and
I'm laughing together with
his children and I'm realizing he, the “warrior” (as he
likes to name himself), has
won the battle against the
stupidity, that foolishness
that close the imagination's
eyes and the truth's ears.
Looking into his eyes I see
the flame glowing into the
convictions of those who
are proud of being what
they are and welcome you
as a brother. Now I am realizing that Albano Carrisi
has
always
Apulian.
been
an
ne della felicità che leggevo sul volto dei miei professori era direttamente collegata al giorno di “San Paganino” (il 27 del mese, ndr). Mancava la voglia
d'insegnare, di comunicare. I soldi erano una necessità, prima che il concretizzarsi di un progetto. E io avevo raggiunto la convinzione che a Cellino il
mio sogno non si sarebbe realizzato. In quegli anni i vicini, i parenti, gli amici
dovevano partire per sostenere le proprie famiglie. Eravamo un popolo d'emigranti che abbandonavano il sole e la terra per cercare “fortuna” al Nord.
Quale fortuna? Quella che ho trovato io, ad esempio, è di tutt'altra natura.
Mi ha fatto ricordare chi e che cosa stavo per sacrificare. Oggi quegli stessi
occhi che incontro per strada sono solo più stanchi, ma sono pieni di storie
di vita da insegnare, da ricordare insieme. Sono affetti ritrovati, sorrisi sempre spontanei, gesti generosi. E' un tesoro inestimabile che nei momenti di
vera difficoltà, mia e della mia famiglia, mi ha fatto superare tutto lasciandomi ogni volta più ricco e pieno di speranza, anche quando le sberle erano
così forti da capovolgermi. Ma è il bello della mia vita.
Proprio nella tua intensa autobiografia “E' la mia vita” affronti per la
prima volta temi che avevi taciuto finora. Perché adesso?
Vedi, aprirsi non è cosa facile, soprattutto con se stessi. Si subisce qualcosa,
si mastica il dolore, si metabolizzano le emozioni e poi, magari, tutto si trasforma in musica. Io non ho avuto la possibilità di frequentare grandi scuole, sono un autodidatta, uno che canta ciò che sente dentro. Quando lo faccio mi apro al pubblico e gli racconto la mia vita. Con le parole di un libro,
però, è mestiere più duro. La decisione una sera, con me c'era un caro amico, Roberto Allegri,
con il quale chiacchieravamo per rilassarci e raccontarci le novità bevendo insieme del buon
vino. Poi, come se nulla fosse, mi accorsi che avevo preso a parlare senza sosta di ciò che
avevo sigillato nel profondo di me, ormai da anni. Evidentemente la sua compagnia, la sincerità della sua amicizia avevano fatto scoccare il primo rintocco di un orologio che era
fermo da tanto tempo. Era il momento giusto per farlo. Era un atto dovuto a chi mi ama
ancora e non mi ha mai abbandonato (specialmente il pubblico, come egli stesso dichiara
nella dedica del libro, ndr).
Così capita che l'incontro fissato per una breve intervista si trasformi in un inatteso invito a
pranzo, nella rustica intimità della sua cucina. Tra quattro chiacchiere e tante risate il “cantante della gente”, l'uomo abituato a stare al fianco dei potenti del mondo, diventa l'amico di sempre, il confidente, l'ospite che ognuno vorrebbe incontrare. E quando in padella
sta sfumando una crema alle carote per condire un risotto dalle reminiscenze iberiche e la
terrina con l'impepata di cozze sbuffa allegramente, è già iniziato un viaggio nella memoria, alla ricerca di un'identità perduta e poi ritrovata, sul fondo di un bicchiere di vino, dietro un sorriso che non dice altro se non “benvenuto, amico mio”. Immersi nella conversazione, gustando i sapori di casa nostra il tempo si ferma e il frinire delle cicale ci accompagna
sulle note dell'estate che avanza.
Conosco Albano Carrisi da meno di una giornata, ma adesso che siedo alla sua tavola, mangio e rido insieme ai suoi figli, mi accorgo di che regalo enorme mi ha fatto. Lui, l'uomo che
ama definirsi il “guerriero”, ha vinto la battaglia contro la stupidità, quella follia che chiude
gli occhi all'immaginazione e le orecchie alla verità. Guardandolo negli occhi, senza il filtro
catodico, scorgo quella fiamma che arde viva nelle convinzioni di chi è fiero d'essere ciò che
è, e ti accoglie in casa come un fratello. Ora capisco che Albano Carrisi è stato sempre un
pugliese. Quando il sole tornerà, domani, anch'io lo sarò di più.
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