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“Piacere di conoscervi. Spero che indoviniate il mio nome.”
VENTUNO
APRILE 2012
LIBRI
Life
di Keith Richards
SPORT
Rocky Balboa
e Ivan Drago
STORIE
La Comandante
Comanche
serie originale
in più parti
decima puntata
Vita rotolante
Life di Keith Richards
La sincera e coinvolgente storia di uno dei più grandi chitarristi della storia del rock.
Max Keefe è un
mensile creato,
disegnato e
diffuso da
Roberto Mengoni
Esce il 20
di ogni mese
Mar Keefe
è tollerante,
rinfrescante,
gratuito e
rifiuta la pubblicità.
1
C’è una foto nel libro in cui Keith
Richards posa con figli e nipoti su
un bel divano borghese. Il simbolo
della vita dissoluta, il modello negativo che i genitori degli anni sessanta non avrebbero mai voluto per i
loro figli: un pacifico nonno.
L’autobiografia di Keith si apre
invece con un episodio avvenuto
nel 1975, in Arkansas. Gli Stones
erano stati banditi dagli Stati Uniti
dopo che il loro tour del 1972 aveva provocato “atti di rivolta, disobbedienza civile, sesso illecito e violenza.” Il visto era stato concesso
solo a mille condizioni, tra cui quella di non mettersi nei guai con la
polizia, soprattutto nel sud cristiano
e conservatore.
E Keith ha la bella pensata di
stuzzicare i diavoli della Bible Belt.
Insieme a Ron Wood si mette alla
guida di un’auto piena di droga e
finisce in carcere in Arkansas. I
benpensanti sudisti gongolano ma
il processo è una farsa: il giudice è
ubriaco e sparisce per andare a
comprare una bottiglia di bourbon
che nasconde nel calzino. Il capo
della polizia minaccia di arrestare il
giudice per ubriachezza. Fuori del
tribunale si raduna una folla di fans
pronti alla rivolta. Alla fine Keith
viene assolto. E nel 2006 verrà ufficialmente perdonato dal governatore repubblicano dell’Arkansas,
Mick Huckabee.
Questo è un libro che consiglierei
ai membri di un “Bookclub”. Invece di poderosi romanzi intimistici,
qui c’è la vita vera di una rockstar
che ha fatto la storia, narrata con
onestà e candore, dai primi passi
nell’Inghilterra del dopoguerra ai
successi degli anni sessanta fino ad
oggi. In Life c’è tutto: famiglia,
amori, la scoperta del blues, gli
eccessi, la droga, l’amicizia tempestosa con Mick Jagger.
Ecco come Keith racconta, in
una lettera alla zia Patty dell’aprile
1962, il fatale incontro avvenuto
pochi mesi prima.
“Tu lo sai che mi piaceva Chuck
Berry e pensavo di essere l’unico
fan per miglia ma una mattina alla
stazione di Dartford tenevo in mano uno dei dischi di Chuck quando
un tizio che conoscevo dalle elementari mi si è avvicinato. Ha tutti
i dischi mai prodotti da Chuck Berry e tutti i suoi amici ce li hanno
pure, sono tutti fan del rhythm and
blues, veri fan voglio dire... Comunque il tipo alla stazione si
chiama Mick Jagger e tutti i ragazzi
e le ragazze s’incontrano ogni sabato mattina al “Carousel”, un posto
dove si balla e si beve. Bene una
mattina in gennaio ci sono passato
davanti e ho deciso di andare a
trovarlo. Tutti mi stanno intorno e
becco inviti per una decina di feste.
A parte che Mick è il più grande
cantante R&B da questo lato dell’Atlantico e non dico mica forse. Io
suono come Chuck la chitarra (elettrica), abbiamo un bassista e un
batterista e una chitarra ritmica e ci
diamo sotto 2-3 notti alla settimana. UNA FIGATA.”
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vano paura. Però capii che tutto poteva
cambiare quando la gente cominciò ad
applaudirmi alla fine del match.”
I: “Vorrei fare una domanda a Rocky.
Avresti immaginato che un giorno gli
Stati Uniti si sarebbero trovati in una
crisi economica così terribile?”
R: “No. No. Ma gli Stati Uniti si riprenderanno.”
M: “Ivan, il tuo nome è apparso tra i
manifestanti contro la rielezione di Putin. Eppure, in passato lo avevi sostenuto. Sia nel 2000 che nel 2004.”
I: “Ho fatto sempre lo stesso sbaglio.
Credevo nell’Unione Sovietica, ho creduto a Eltsin e poi a Putin. Ma adesso,
a cinquant’anni, forse, voglio credere
solo al popolo russo.”
M: “Ti manca l’Unione Sovietica?”
I: “Molti della mia generazione sono
nostalgici. La vita era più semplice. I
ruoli erano chiari. E non si viveva con
questa frenesia per il denaro. Io non ho
Rocky Balboa, sedici anni più anziamai guadagnato nulla con la boxe fino
no di Ivan, siede accanto al suo rivale.
Ingrassato e sofferente delle molte ferite al 1990. Ma non voglio guardarmi insubite nel corso della sua vita professio- dietro. Andiamo avanti.”
M: “Rocky, a te manca un nemico
nistica, parla più speditamente ma è
Le vecchie glorie del pugilato al tempo
come
l’URSS?”
rimasto
il
semplice
campione
della
stradella guerra fredda.
R:
“Sì,
mi manca. Sono un combatda
che
abbiamo
conosciuto
all’inizio
Come ai bei tempi della guerra fredda
tente.
Ma
voglio dire una cosa. Comdella
saga.
l’incontro tra i due antichi rivali avviene
L’incontro
tra
Ivan
Drago
e
Rocky
battevo
per
me. Per Apollo. Per Adriain territorio neutrale, in Svizzera, ospiti
Balboa,
sponsorizzato
da
Google
per
na.
Questo
è
ciò che vuol dire essere
di Google. Ma l’atmosfera questa volta
americano.
Il
resto non m’importa. Che
è tutt’altro che ostile. “Come diceva la
ricordare i venti anni dalla fine delne
so
di
quello
che fanno i politici? Non
mia ex moglie, siamo pugili non soldati” l'URSS, è il primo dal 1985.
sono
gente
comune.
Non li capisco. E
afferma Ivan Drago, l’avversario di
Max: “Quali emozioni provate dopo
voglio
dire
un’altra
cosa.
Ivan è stato un
Rocky Balboa nel memorabile incontro più di vent’anni?”
grande
pugile.
E’
stato
un
onore sfidarlo
Rocky: “Ehi, non me lo ricordavo così
del natale 1985 a Mosca.
e
batterlo.
Andai
in
Russia
con odio e
Era un secolo fa. Lo scontro ideologi- grasso. No. No. Ho aspettato molto
tornai
con
rispetto.”
co con gli Stati Uniti era al massimo e il questo momento.”
M: “Puoi immaginare un incontro di
Ivan: “Erano ventisette anni che volepericolo della terza (ed ultima) guerra
vo dirgli che è stato un bel match.”
boxe del genere oggi, magari con
mondiale molto presente. Al cinema
M: “Ivan, all’inizio dicesti a Rocky
un’atleta cinese?”
andavano film tipo The day after e Rambo
R: “Oh dio mio, no. Non ci sarà mai
II - La vendetta. Alla Casa Bianca c’era
‘Ti spiezzo in due’”.
un attore di serie B ossessionato da Star
I: “Esagerazioni del cinema. All’epo- più un’atmosfera di tale odio. Noi l’abbiamo fatto sparire. Vero, Ivan?”
Wars, al Cremlino si era appena installa- ca non sapevo una parola di inglese.
I: “Sono d’accordo con Rocky.”
to Gorbaciov, dopo una lunga serie di
Anche per questo, quando in America
R: “Se dovessi fare un nuovo incontro
mi facevano domande, rispondeva mia
cariatidi immortali.
e dio sa quanto vorrei, anche a 65 anni,
moglie.”
Ivan Drago oggi ha quasi cinquanta
vorrei combattere con uno che porti il
R: “Non mi ricordo quella frase. A
anni. Sempre imponente, non ha perso
marchio di una banca.”
molto dello smalto e dei muscoli con cui me non fregava niente. Mi bastava
M: “All’epoca voi rappresentavate due
impressionò le folle americane. Ha per- guardarlo negli occhi. Aveva paura.”
I: “Tu eri piccolo. Mi facevi pena.”
scuole di pensiero. Ivan era l’atleta iperso semmai qualcos’altro.
“Mia moglie mi ha mollato nel 1991,
M: “Il 1985 è stato l’apice della guer- tecnologico e Rocky era il pugile genuino scaturito dalla natura. In realtà già
poco prima della fine dell’Unione Sora fredda. Potevate immaginare che
allora in America la tecnologia aveva
vietica. Si mise con un neomiliardario
dopo pochi anni sarebbe tutto finito?”
invaso lo sport. Come la pensate sullo
amico di Eltsin. Ma è stato più doloroso
I: “Il crollo dell’URSS? No, quello
sport oggi?”
no, ma si sentiva che sarebbe accaduto
perdere il paese che amavo.”
I: “A me diedero di tutto. Non so
Se non altro, Ivan adesso ha imparato qualcosa. In Russia c’era già un’atmoneppure cosa ho preso, ma la mia fatica
sfera diversa. Anche per questo fu posa parlare per sé stesso. “Perdere Ludc’era tutta.”
milla è stato quasi positivo. Ho impara- sibile il match tra noi due.”
R: “Prima di partire non sapevo nulla
R: “Ivan era un’atleta naturale. Come
to a vivere da solo, a combattere per me
dei russi, dell’URSS. Non mi interessa- me. Lo capivi subito. Eravamo molto
stesso anche con le parole. Ringrazio
più simili di quanto ci dipingessero.”
Rocky per questo.”
va la politica, però i comunisti mi face-
Storie di sport
Rocky & Ivan
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M: “Rocky, dopo il tuo ritiro definitivo, sei apparso raramente sui giornali.
Perché?”
R: “Non ho mai pensato di essere un
simbolo di qualcosa. Mi dànno fastidio i
politici perché cercano di usarmi. Nel
2008 Sarah Palin è venuta a Philadelphia per dirmi che dovevo sostenere i
valori americani. Con lei? Mi fa ridere.
Non basta tenere il mitra per essere un
combattente. Poi mi ha contattato l’ufficio di Obama. Diceva che io rappresentavo il sogno americano dell’uomo umile. Me lo diceva un grassone da 200mila
dollari l’anno.”
M: “Per questo sei apparso accanto ai
manifestanti di Occupy Wall Street?”
R: “Quelli sono ragazzi che combattono contro qualcosa di più grande di
loro. Hanno una grande speranza. Sono
dei combattenti. Come me.”
I: “Alla fine in America e in Russia gli
individui combattono contro un sistema
che li schiaccia. Rocky ed io siamo
sempre stati due individui e due combattenti leali.”
M: “Un’ultima domanda ad entrambi. Chi è il vostro modello di sportivo
per i giovani di oggi?”
R: “Lance Armstrong. Non si è mai
arreso.”
M: “Anche se c’è qualche sospetto di
doping sul suo conto.”
R: “Non ne so nulla. Ha vinto sette
Tour de France no? Voglio dire, quando
ha fatto l’ultimo Tour nel 2010 c’è andato per divertirsi. Andava a passeggio.
Mi piace l’atteggiamento.”
I: “Visto che Rocky sceglie un americano, io scelgo una russa. Yelena
Isinbayeva, campionessa di salto con
l’asta. E’ una tosta. Ha cervello. E poi
anche lei è ufficiale dell’esercito russo.”
M: “Vi piacerebbe rifare un match?”
I: “Sa cosa mi ha seccato di più in
tutti questi anni? Non c’è mai stata la
possibilità di una rivincita. Adesso, però, Rocky è troppo vecchio (ride). Lo
spiezzerei in quattro.”
R: “Sei morbido come una torta al
formaggio... (ride).”
I: “Sei pronto per l’ospizio.”
R: “Sei cecato. Non beccheresti un
elefante stanco.”
I due campioni improvvisano un
match sul parquet della sala conferenze.
Sono ancora agili e con ottimi riflessi.
Ivan è più pronto sulle gambe, Rocky è
più attento in difesa. Un pubblico di
adolescenti si ferma a guardarli. Scattano delle foto con il cellulare. Ancora
adesso i due vecchi pugili attirano le
folle. Un motivo forse c’è.
La Comandante
Comanche
Kitetsu
Dal diario della Comandante Comanche.
“L’astronave giunse sul pianeta Kitetsu
dove era stata segnalata la presenza di
Cavallo Pazzo. Atterrammo nel lato
oscuro, poco prima dell’alba. Uno dei
privilegi della navigazione spaziale è
quello di poter scegliere l’ora di arrivo.
Di solito preferisco l’alba, perché mi dà
l’idea di uno sconfinato giorno davanti.
Di terrestri a queste latitudini galattiche se ne son visti pochi. Ebbi anzi
l’impressione che noi fossimo i primi su
Kitetsu. Lo spazioporto era un lungo
spazio erboso con quattro casupole di
controllo, senza un’anima, al centro di
una vasta pianura dove sorgevano giganteschi agglomerati di tende coloratissime con bandiere svolazzanti tutt’intorno, le città del pianeta, ci dissero.
Eravamo l’unica astronave nello spazioporto. Gruppi di donne con in braccio neonati e bambini attaccati ai loro
pantaloni ci circondarono incuriositi.
Erano delle belle creature, del genere
umanoide, dalla pelle scura, lievemente
pelose, più alte, con teste rotonde e ben
proporzionate ed una lunga coda prensile, a cui si aggrappavano i bambini.
L’abbigliamento era variato. Alcune
erano vestite di pelli, altre di pantaloni,
altre di tuniche, altre erano seminude
dalla cintola in sù. Come accade alle
razze più evolute della galassia, la tecnologia era dissimulata.
Mancavano i rappresentanti del genere maschile adulto. Nel gruppo vede-
vamo dei bambini e delle bambine bellissime vestiti di bianco ma neppure un
uomo. Ciò indusse qualche sensazione
poco piacevole nella componente maschile del mio equipaggio.
Ma non vi era da temere. Sappiamo,
del resto, che il 99% delle popolazioni
culturalmente avanzate sono pacifiche,
tranne quell’1% che non ti lascia neppure il tempo di un avvistamento reciproco prima di essere vaporizzato in
una nuvoletta di carbonio. Le kitetsu
alzarono il medio in alto, l’universale
segno della pace, valido anche tra le
creature senza mani.
Finiti i convenevoli e gli scambi di
regali tra due popoli che non si conoscono e forse non si rivedranno per anni-luce, passammo alle domande più
interessanti. La prima venne da una
ragazzotta che si fece passare come autorità della zona, la Megera Suprema.
Mi chiese se gli esseri glabri intorno a
me erano maschi. Sì, perché le sarebbe
piaciuto verificare se erano geneticamente compatibili per fare degli sfregamenti assieme. Difficile rendere meglio il significato, anche con un traduttore automatico privo di inibizioni.
Durante la giornata aprimmo i magazzini della nave per raggranellare un
po’ di soldi per pagarci il rifornimento
di plutonio. Le nostre pellicce di sauro
suscitarono grande meraviglia. Anche
l’intimo piacque. Peccato solo per la
coda che costringeva a dolorosi lavori di
sartoria sui merletti.
Gli uomini dell’equipaggio erano
preoccupati e attratti dalle amazzoni,
che non lesinavano attenzioni verso di
loro. Se fossero state terrestri, le avrei
definite occhiate languide. Peccato per i
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loro occhi fissi. Si mettevano in gruppo
a otto e dieci e chiacchieravano con i
miei ragazzi. Volevano toccargli i muscoli e anche il sedere. Ridevano dei
pantaloni. Li prendevano in giro. Una
più intraprendente delle altre chiese se
poteva vedere l’organo riproduttore
maschile. Disse proprio così. Nel vedere
quelle mani lunghe e affusolate, con
quelle unghie sottili e affilate come rasoi, nessuno ebbe la sfrontatezza di accontentarle.
Gli indigeni maschi continuavano ad
essere assenti. Quando ne chiesi la ragione alla Megera Suprema le arrossì e
disse “stasera.”
La sera partecipai ad una curiosa
cerimonia. Per prudenza lasciai gli uomini sulla Great-Gig-In-The-Sky. Capii
subito che avevo fatto bene.
Contrariamente alle abitudini pacifiche finora dimostrate, si trattava di una
danza di guerra. Riunite in uno stadio
gigantesco ricavato in una vastissima
conca circondata da montagne boscose,
c’erano migliaia di giovani donne. Gli
occhi scuri, le ciglia gigantesche, la pelle
truccata di colori fosforescenti, collane,
bracciali, orecchini ed anelli alle dita,
con pantaloni sgargianti e camice trasparenti, danzavano e correvano sotto
gli occhi del pubblico di sole donne che
applaudivano e lanciavano urla strazianti. Le guerriere si fronteggiavano a
gruppi di dieci. Correvano incontro alle
altre, si fermavano e si mostravano i
4
I precedenti racconti
La Comandante Comanche è un’astronauta del XXII secolo in
cerca dell’amore impossibile, chiamato Cavallo Pazzo. A bordo
della Great-Gig-in-the-Sky, finisce su pianeti bizzarri, bellissimi o
del tutto incomprensibili. Nelle sette puntate del primo ciclo
(maggio-novembre 2011) la Comandante ha visitato: Ichimachi, il
pianeta con una sola città; Karuhito, il pianeta degli uomini leggeri; Ugokushima, il pianeta delle isole mobili; Tomesei, il pianeta
degli uomini trasparenti; Kodomomono, il pianeta dei bambini;
Wasurenai, il pianeta dei collezionisti di memorie; Daiyou, il pianeta ostile. Il secondo ciclo di sette puntate è cominciato nel numero di gennaio 2012 con Fumochitai, il pianeta della perfezione,
seguito da Okane, il pianeta che dà un prezzo a tutto, e da Hanashi, il pianeta delle parole, e proseguirà fino a luglio.
seni in segno di sfida. Si preparavano a
combattere contro chissà quale nemico.
Quelle grida, cariche di feromoni
esotici, avevano risvegliato i miei uomini che, scesi dall’astronave, erano apparsi sulle gradinate dello stadio. Al
termine di due ore di queste danze
guerresche ed erotiche, la Megera Suprema pronunciò un discorso di cui il
traduttore automatico non capì quasi
nulla, tranne frasi come “siete donne
complete.... fatevi onore.... non risparmiatevi... falciate le verghe.”
Rabbrividii. Ma gli uomini erano
come ipnotizzati e non percepivano il
pericolo imminente.
Non era ancora l’alba. Con un ultimo
grido in incitamento, le giovani guerriere partirono alla battaglia. Un gruppo
vide i miei compagni e lanciarono contro di loro oscene grida, eccitandoli e
richiamandoli con feroci gesti di sfida.
Bene, a me sembrarono atti di guerra,
ma gli uomini li percepirono come i
canti delle sirene ed uno ad uno corsero
incontro alle selvagge amazzoni. Furono inutili le mie invocazioni, le mie preghiere. Li minacciai con il laser e quelli
mi passarono oltre. “Ci vediamo più
tardi. Noi andiamo a divertirci” dicevano. Pensai che non li avrei mai più visti
vivi.
Chiamai allora la Megera Suprema
per minacciarla che se fosse accaduto
qualcosa ai miei uomini, gliel’avrei fatta
pagare. Lei mi guardò stupefatta e rispose “non pensi che sia stupendo questo rimescolamento genetico?”
Non capivo cosa volesse dire. “I maschi vivono per conto loro nelle foreste.
Mangiano quello che trovano, dormono
e giocano a carte, si divertono tra di
loro, non si curano dell’aspetto né del
cibo. Ma sono molto felici, senza figli e
senza famiglie. Anche noi siamo felici
senza di loro. Una volta alla settimana
le donne partono. Alcune tornano gravide. Ma la maggior parte ha solo voglia
di divertirsi. I bambini sono di tutte noi.
Così si fa nel nostro pianeta da secoli.”
“E se qualcuno degli uomini volesse
rimanere a vivere con voi?”
La Megera Suprema rise.
Il giorno seguente le donne guerriere
tornarono, con volti che esprimevano la
gioia della lunga piacevole battaglia dei
sessi. Ma non potevo dimenticare perché ero venuta su Kitetsu. Interrogai
una per una le amazzoni per sapere se
Cavallo Pazzo viveva nella foresta. Ma
nessuno aveva incontrato un uomo con
questo nome, preda ambita da più di
una donna.
Una mi disse. “Ho visto in sogno quest’uomo bellissimo con un animale a
quattro zampe. Andava verso le stelle
del Binario.”
Era una bugia pietosa. L’unica traccia
che avevo per ritrovare Cavallo Pazzo.”
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