Foglio della comunità italiana di Capodistria
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Foglio della comunità italiana di Capodistria
Anno 16 Numero 33 Foglio della comunità italiana di Capodistria Dicembre 2011 La città 2 Foto Katonar Foto Comune Capodistria 3 novembre. Visita a Capodistria della nuova ambasciatrice d’Italia in Slovenia, Rossella Franchini Sherifis. Ha incontrato una delegazione della CNI, visitato Radio e Tv Capodistria nonchè, a Isola, il Seminario di lingua italiana per gli insegnanti. 26 giugno. Reduce dal Festival internazionale delle bande militari svoltosi al Palasport Stožice di Lubiana, si è esibita a Capodistria la Fanfara Ariete dell’11.mo reggimento bersaglieri. I soldati hanno sfilato davanti alla Taverna dopodichè hanno tenuto un concerto nel vicino Piazzale Carpaccio. Accolto a Bruxelles il finanziamento del progetto »Friends for Emergencies« presentato dai comandi dei Vigili del fuoco di Trieste e Capodistria. Pevede corsi linguistici, esercitazioni, miglioramento delle comunicazioni radio, un sito web comune e l’acquisizione di software per gestione cartografica Restaurata la casa del ‘400 sul Piazzale dei pescatori. Dopo l’incendio l’edificio era rimasto senza tetto. Si pensava di collocarvi un Centro consulenza per il rinnovo degli edifici nel centro, ma il progetto non ha ottenuto il placet europeo. Sul lato-strada, è stato costruito il moderno Caffè »Veneziana«. 28 agosto. Festeggiata alla Casa dell’anziano di Isola la capodistriana Lucilla Pizzarello Gravisi che ha compiuto cent’anni. A farle gli auguri sono venuti rappresentanti comunali, del Consolato e delle Comunità degli italiani. Nella foto, con la festeggiata, Mario Steffè e Ondina Gregorich Diabatè della CI di Capodistria. La città Slovenia. Elezioni parlamentari 2011 al centro-sinistra Le urne hanno ribaltato in poche ore in Slovenia i pronostici della vigilia per le elezioni politiche anticipate. Gli elettori recatisi il 4 dicembre alle urne, si sono espressi a favore di “Slovenia positiva” del sindaco lubianese, Zoran Janković con il 28,8 per cento delle preferenze. È stato, invece, ridimensionato il Partito democratico di Janez Janša, che si è fermato al 26,1 per cento, dopo che i sondaggi per oltre un mese gli attribuivano anche il 35 per cento. Buono, considerate le critiche incassate negli ultimi tre anni di legislatura, il risultato dei Socialdemocratici del premier uscente Borut Pahor, che ha raggiunto il 10 per cento delle preferenze. In Parlamento entrano ancora il Partito popolare ed il Partito democratico dei pensionati DeSUS, con circa il 7 per cento, mentre gli ultimi quattro seggi disponibili vanno a Nuova Slovenia. Rimangono fuori i Partiti liberaldemocratico e Zares, facenti parte dal 2008 della coalizione di governo. Il voto minoritario per l’unico candidato al seggio specifico nel Parlamento sloveno, Roberto Battelli, ha visto un’affluenza alle urne del 42,4 per cento degli aventi diritto. Ecco quanto ha dichiarato il deputato alla Voce del popolo all’indomani del voto: “Il Paese ha fatto la sua scelta ed è nuovamente spaccato in due. La posizione che potrò esporre al premier incaricato è la richiesta di un sostegno, solido e immutato, all’attuazione dei nostri diritti che non dovrà essere ridotto nel nome della crisi economica. Se ciò avvenisse i cittadini appartenenti alle comunità nazionali si troverebbero nella condizione di pagare tale prezzo per due volte. La prima condividendo il destino di tutti e l’altra subendo lo scotto della riduzione delle risorse destinate alle minoranze. Dalle risposte che ci saranno date dipenderà anche il nostro rapporto con il nuovo governo”. Care e cari connazionali, consentitemi di cogliere questa opportunità cortesemente offerta da “La Città” per ringraziare sentitamente tutti coloro che hanno depositato la propria firma a sostegno della mia candidatura e tutti coloro che hanno votato per il seggio specifico, dando così un segno inequivocabile ed incontestabile della nostra presenza e vitalità. Avremo bisogno di entrambe nel prossimo futuro: come ben sapete, questo sarà non solo un mandato parlamentare difficile e forse molto breve, ma sarà anche un periodo in genere molto difficile per tutti. Dovremo saperlo gestire all’insegna della concordia e dell’unità di intenti di tutte le nostre strutture e forme organizzative. Sono convinto che insieme ce la faremo. Auguro a tutti Buon Natale e, per quanto possibile, un sereno 2012. Con affetto e stima Roberto Battelli La nuova, attesissima pubblicazione dello storico Salvator Žitko data alle stampe nella coedizione dell’Editrice Libris e del Centro »Carlo Combi« di Capodistria introduce alla storia, patrimonio artistico e monumentale, nonche informazioni e curiosità riguardanti la città di Capodistria. La presentazione del libro ha avuto luogo il 9 dicembre a Palazzo Pretorio. Maggiori informazioni a pag. 24. 3 La città Comunità di Capodistria: bilancio degli ultimi sei mesi di Mario Steffè Anche nel secondo semestre il programma dei gruppi artistico-culturali operanti presso la Comunità degli Italiani “Santorio Santorio” di Capodistria è stato intenso per quanto riguarda gli impegni in agenda, registrando un positivo intensificarsi delle attività soprattutto per le sezioni di più recente costituzione in seno al sodalizio. Il lavoro e l’esperienza sinora accumulata hanno permesso la pianificazione di un proficuo programma di trasferte, con un incremento di contatti con le altre Comunità degli Italiani, enti e istituzioni in Italia e Croazia, nonché la promozione delle diverse attività in campo artistico-culturale sul territorio d’insediamento e in ambito regionale e nazionale. Grazie all’esperienza travasata dai mentori ai membri delle rispettive sezioni e all’impegno dimostrato dai volonterosi attivisti si è riusciti a tradurre in proficuo risultato lo sforzo organizzativo e finanziario della Comunità a sostegno di tali attività, che hanno registrato nel complesso una crescita qualitativa e quantitativa. Accanto al tradizionale impegno nell’organizzazione di eventi culturali di richiamo in campo letterario, concertistico ed espositivo, la Comunità ha pertanto indirizzato buona parte del suo operato in campo culturale all’attività dei gruppi artistico-culturali, in quanto ritenuti di fondamentale interesse per il mantenimento e la diffusione della nostra identità e la promozione della stessa in ambito allargato. Un dovuto ringraziamento va a quanti hanno contributo, con il loro alacre impegno e disinteressato apporto, alla crescita sostanziale di un variegato tessuto culturale amatoriale di base presso la nostra Comunità. Gruppo di canto popolare spontaneo “La Porporela” della musica popolare tradizionale grazie alla generosità dell’approccio e alla verace vocalità che La Porporela infonde nelle sue esibizioni. Giova ribadire quanto importante sia il riscontro di tale attività nel rafforzare il sentimento di appartenenza e manifestarlo attraverso l’esperienza del “cantare assieme in dialetto”, il che si rivela al contempo uno strumento per riconoscersi in un nucleo antico di identità “cavresana” e promuoverne la conoscenza. Tra le recenti esibizioni de La Porporela annotiamo la partecipazione alla rassegna comunale e regionale dei cantori e musicisti popolari organizzate dal Fondo pubblico per le attività culturali amatoriali e le apparizioni a Zagabria e Beltinci nell’ambito dell’attività promossa dall’Associazione culturale etnomusicologica Folk Slovenija. Gruppo teatrale ’Cademia Castel Leon La Porporela si esibisce a Lubiana nell’ambito della rassegna folcloristica “Eno po domače” organizzata dall’Istituto di musicologia dell’Università lubianese) Dopo aver presentato nella scorsa stagione il Cd con le registrazioni del primo periodo di attività nell’ambito del festival FolkHistria ed essersi fatta conoscere prevalentemente in ambito locale, La Porporela ha partecipato a diversi festival e concerti, contribuendo a promuovere il repertorio musicale popolare istro-veneto. Tale contributo, che va ricercato essenzialmente nel valore della testimonianza dell’identità e dell’attaccamento alle nostre radici musicali, ha permesso in breve al gruppo di guadagnarsi una meritata attenzione negli ambienti 4 Acquisita sufficiente confidenza con la scena attraverso un tirocinio fatto di brevi pièce teatrali e il seguente primo allestimento di un certo impegno con la commedia dialettale in tre atti “La colpa de inveciar”, la filodrammatica capodistriana ha presentato in questa stagione al suo pubblico la farsa “La sponta”, che ha riconfermato la sua verve comico brillante di una certa compita arguzia, ben lontana da certi toni sbracati e di ridanciana faciloneria che contraddistingue purtroppo gran parte delle produzioni dialettali delle compagini teatrali amatoriali. In questo senso le maggiori soddisfazioni sono arrivate proprio in questo finire di stagione con la riproposta sulle scene dell’ormai ben rodata commedia dai toni agrodolci La città La filodrammatica capodistriana sbarca a Cherso! (foto Danilo Fermo) “La colpa de inveciar”, incentrata sull’eterno conflitto generazionale e sui piccoli e grandi drammi della vecchiaia. Il lavoro riconferma la sua bontà nel buon adattamento dialettale e nei riusciti intrecci scenici, con la compagnia che ha saputo trarre profitto da un lungo ciclo di repliche, culminato nell’impegnativa tournée quarnerina di Cherso e Lussinpiccolo di fronte a un numeroso e ben disposto pubblico. Un lungo percorso che si è chiuso idealmente a Trieste, con la presenza nell’ambito della XIX edizione del Festival teatrale dialettale Ave Ninchi. Mandolinistica della C.I. di Capodistria Un proposito che sembrava irrealizzabile ancora poco tempo addietro, quello di rifondare la sezione della mandolinistica in seno alla Comunità, è diventato nel frattempo una splendida realtà. Partendo da un primo nucleo di volonterosi composto dai tre fratelli Orlando, altri membri formatisi alla scuola dell’indimenticato maestro Scocir (storico dirigente della prima mandolinistica della Comunità degli Italiani), si sono aggregati a formare un ensemble musicale di una decina di elementi. In un lasso di tempo assai ristretto e sotto la guida del mentore Marino Orlando che ha assunto le redini della sezione, la mandolinistica capodistriana è riuscita nella non facile impresa di imbastire un programma di tutto rispetto, attingendo dal repertorio storico e arrangiando appositamente nuovi brani per il ricomposto organico a plettro. Dopo le prime sortite per verificare la risposta di fronte al pubblico ed affinare repertorio e coesione d’assieme, è seguito recentemente un concerto di più ampio respiro presso la Comunità ospitante Pasquale Besenghi degli Ughi di Isola, in attesa di perfezionare il programma per l’imminente e tanto atteso debutto con un concerto autonomo dinanzi al pubblico capodistriano. Brevi dal programma culturale della Comunità degli Italiani: La stagione estiva in campo culturale, oltre che per i concerti all’estivo della Comunità, è stata contraddistinta dalla mostra fotografica del riconosciuto maestro internazionale d’origine italiana Walter Carone, entrato di diritto nell’albo d’oro della fotografia quale reporter del Paris Match tra gli anni ‘50 e ‘70 del secolo scorso. A palazzo Gravisi è stata esposta un’impressionante galleria di ritratti di personaggi famosi dell’epoca, che non ha mancato di attirare un numeroso pubblico in occasione dell’inaugurazione, conclusasi con un omaggio musicale ad Edith Piaf nell’interpretazione di Eleonora Matijašič. La mandolinistica della C.I. di Capodistria in concerto a palazzo Manzioli 5 La città Inaugurazione della mostra di Walter Carone a palazzo Gravisi. (foto Igor Opassi) Più che un concerto, un viaggio appassionante tra i vari generi musicali con echi da ogni parte del globo, condito con la spigliatezza di un artista che fonde esperienze e culture apparentemente inconciliabili e distanti tra di loro. Un viaggio attorno al mondo nell’arco di novanta intensi minuti e una grande esperienza di apertura e multiculturalismo. Patrizia Laquidara canta le storie dell’Anguana (foto Igor Opassi) La cantante Patrizia Laquidara si è esibita a fine ottobre presso la sede della Comunità nel corso di un intenso concerto nel quale ha proposto in versione acustica alcuni brani dal suo vasto repertorio, rivelando quelle doti vocali e interpretative che le hanno valso il plauso della critica e del pubblico. A confermare il particolare stato di grazia della cantante è giunto recentemente l’importante riconoscimento al suo ultimo Cd »Il canto dell’Anguana«, targa Tenco per il miglior album in dialetto, dal quale sono stati proposti a conclusione di concerto alcuni suggestivi brani che ci hanno magicamente catapultato in un contesto di comune identità veneta, che segue antiche trame e arcani misteri della tradizione popolare. Il concerto di Bob Brozman ci ha regalato un’intensa emozione e fatto scoprire nella sua piena dimensione un meraviglioso interprete della chitarra acustica. Vincitore di innumerevoli premi e riconoscimenti internazionali, affidandosi solamente alla sua voce e a uno sterminato set di chitarre di varia foggia da lui personalmente elaborate, Brozman si è rivelato non solo straordinario virtuoso, ma fautore di un’esperienza musicale globale. 6 Bob Brozman in concerto »Guitar Radio Live« (foto I. Opassi) La città JEZIKLINGUA Il Centro Carlo Combi collabora inoltre, in qualità di partner al progetto europeo di Cooperazione Transfrontaliera Italia-Slovenia 2007-2013, JEZIKLINGUA (LINGUA-JEZIK:Plurilinguismo quale ricchezza e valore dell’area transfrontaliera italo-slovena), nell’ambito del quale ha commissionato i testi per una pubblicazione che uscirà nel 2012 sui proverbi istriani, detti, modi di dire e le massime popolari della tradizione della nostra gente andando in tal maniera a recuperare il patrimonio orale e le nostre radici. Per saperne di più: www.jezik-lingua.eu Sempre nell’ambito di tale iniziativa, nel corso del 2011, è stata avviata la ricerca scientifica intitolata: “Comprendere in che modo viene studiata, compresa e presentata la lingua italiana in Slovenia”. L’obiettivo della ricerca è quello di acquisire le dovute conoscenze per elaborare una strategia comunicativa che renda attraente ed invogli lo studio della lingua italiana. Nel corso del 2011 è stato elaborato un questionario somministrato a oltre 200 soggetti individuati nell’ambito del target group precedentemente definito, quali Comuni costieri, Unità amministrative, Tribunali, Istituti di collocamento, per l’assicurazione sanitaria e per la previdenza sociale, ospedali, uffici delle imposte, direzioni di polizia, Poste, Aziende di distribuzione di energia elettrica e d’acqua, aziende private maggiori, ecc. del Capodistriano, Goriziano e parzialmente della zona del Carso. Nel corso del 2012 i risultati ottenuti dalla ricerca verranno presentanti in un volume bilingue. Una novità a livello costiero rappresenta anche il nuovo sito internet della nostro Ente (www.centrocombi. eu), nel quale si possono visionare gli eventi organizzati dalle Istituzioni della Comunità Nazionale Italiana in un calendario aggiornato. Roberta Vincoletto La consegna degli attestati al termine del corso di italiano presso la stazione di polizia di Pirano. Al centro l’insegnante Nina Kasal, in fondo a destra Andrej Bertok. 7 La città »Noi eravamo per il referendum« A colloquio col capodistriano Giorgio Cesare, ex membro del CLN dell’Istria, residente a Trieste dal 1945. Giornalista Rai in pensione e presidente onorario del Gruppo cronisti giuliani, Cesare ricorda per la Città alcuni episodi interessanti della sua lunga esperienza politica. L’imbocco di Via della Riforma agraria (ex Via Verzi) dalla Calegaria. Signor Cesare, lei nasce a Capodistria. Da genitori Che ruolo ebbe il de Favento in quegli anni? Nessuno. Perché non ha potuto. capodistriani? Mio papà era nato a Trieste e lavorava nella farmacia in Calegaria. Sua nonna era di origine tedesca, mia mamma invece era nata Pisino. Abitavamo in Via Verzi (oggi Via della Riforma agraria, ndr) tra la Calegaria e il Liceo Combi. Il padre lavorava con Ghino de Favento. Sì, Ghino, ossia Domenico de Favento, era conosciutissimo a Capodistria, presidente del CLN locale. Di fatti nel maggio ’45 c’era un tentativo di metterlo alla guida della città, ma dopo qualche settimana aveva rifiutato. Era venuta subito la Vojna uprava. Pirano aveva tenuto per parecchi mesi. Pirano aveva un CLN italiano che era in comunicazione con Venezia, con il Veneto. C’era Antonio Sema, il figlio Paolo…a Capodistria la situazione era diversa. 8 Prima? Durante la guerra faceva parte del Comitato di liberazione nazionale di cui la farmacia era un po’ il centro. Con il marchese Girolamo de Gravisi…il “marchese rosso” lo chiamavano perché era socialista. Si teneva i contatti con il CLN di Trieste fino al giugno del ’45. Che fine ha fatto il marchese? Lui era rimasto alcuni anni a Capodistria, poi ci vedavamo a Trieste dove frequentava anche la sede del Partito socialista della Venezia Giulia. Lei lascia Capodistria molto presto invece… Sono andato via dopo lo sciopero. Infatti noi abbiamo organizzato quello sciopero generale contro l’introduzione della jugo-lira. Ci rendavamo conto che l’introduzione della jugo-lira era la separazione di Trieste e l’Istria e La città quindi l’esodo. Moltissimi capodistriani lavoravano a Trieste. Insomma, io ero coinvolto con lo sciopero generale che poi doveva estendersi a Isola e a Pirano. Lo sciopero era stato concordato tra tutti i partiti. Era stato concordato con un incontro proprio a casa nostra. Un comitato sorto spontaneo, era venuto Armando Cattonar, che era comunista, iscritto al Partito comunista di Trieste. Avevamo dato la presidenza del comitato dello sciopero al direttore della scuola elementare di Capodistria, Fioranti. Non si fece nulla a Isola e Pirano perché Capodistria fu invasa quel giorno da degli scalmanati i quali dicevano che a Capodistria erano tornati i fascisti. Un falso storico. Spaccarono vetrine, assalirono i cittadini che trovavano per la strada… Uccidendo vicino alla porta della Muda, il negoziante Zarli. Esatto. Di fatti, questo me lo disse dopo la frattura del Cominform, Sandro Destradi, che a Capodistria venne lui direttamente inviato da Trieste. E chi era Sandro Destradi? Segretario del Partito comunista a Trieste nel secondo dopoguerra. Mi disse che era venuto a Capodistria, perché fortemente allarmati da questa vicenda, per placare gli animi e impedire che ci fossero altri atti di violenza. La soppressione violenta di questo sciopero generale colpì molto, psicologicamente, gli abitanti di Capodistria? In quell’occasione ci recammo a Roma per riferire al governo di allora le vicende che erano accadute a Capodistria con l’introduzione della jugo-lira. Fu l’inizio dell’esodo da Capodistria. Mentre la popolazione del resto della Zona B esodò in massa dopo il memorandum di Londra del ’54. Attingendo da una cronologia di Aldo Cherini, mi sono segnato alcune date che la riguardano. 11 gennaio ’46, nasce a Trieste il Comitato istriano del CLN del quale fanno parte, tra gli altri, Giorgio Cesare e Rino Apollonio. Beh dopo lo sciopero andai a Roma e non tornai più a Capodistria fermandomi a Trieste, dove avevo gli zii. Sono entrato subito nel Partito socialista che poi abbiamo trasformato in Partito socialista della Venezia Giulia per evitare la scissione che era successa in Italia con palazzo Barberini. E quindi noi facevamo capo direttamente all’Internazionale socialista. Era difficile in quegli anni far capire il dramma che stavano vivendo gli istriani? Era difficile soprattutto…in Italia non si comprese la rottura del Cominform del ’48. Neanche a Trieste: molti pensavano che fosse un trucco. Io mi ricordo, noi ci avevano invitato invece al congresso del Partito socialista italiano a Genova e Riccardo Lombardi e gli altri, chiesero a me proprio di spiegare cosa stava succedendo, perché non si rendevano conto di questa rottura verticale tra Stalin e Tito. Ci sono tre periodi, secondo me, della Jugoslavia: Manifestazione dei primi anni dopo la seconda guerra mondiale. Si noti la scritta: »Qui siamo noi che decidiamo della nostra LIBERTA e del nostro AVVENIRE«. il periodo in cui Tito mantiene l’alleanza con l’Unione sovietica, pur mantenendo una certa indipendenza da Mosca; poi il periodo della neutralità in cui la Jugoslavia fa da cuscinetto tra i due blocchi; e poi, l’ultimo periodo, quando Tito si schiera apertamente con l’Occidente. Come vede il ruolo di Tito? Con elementi sia negativi che positivi? Positivi perché ha mantenuto l’alleanza con l’Inghilterra anche durante il periodo in cui la Jugoslavia, per ragioni di politica estera, era alleata a Stalin. Cioè alla Conferenza di Parigi, alla Conferenza della pace, la Jugoslavia era schierata dalla parte dell’Unione sovietica…ma ovviamente, perché c’era questa rivendicazione territoriale nei confronti dell’Italia. Il Comitato istriano del CLN a Trieste, che tipo di attività svolse? Diciamo che il fulcro dell’attività era la richiesta del plebiscito per la Venezia Giulia. C’è stato un pronunciamento dell’Internazionale socialista a favore dell’autodeterminazione dei popoli. Per noi il plebiscito non era visto con una scelta tra l’Italia e la Jugoslavia, ma per delimitare una linea etnica. Il che era molto difficile quella volta, come lo sarebbe ancora oggi… Avevamo la precisa convinzione che il plebiscito non sarebbe stato concesso, però era l’unica carta democratica che avevamo nelle mani. Perché l’Italia non vedeva di buon occhio questo ipotetico referendum? Perché l’Italia intanto non era in grado di decidere. E poi perché il plebiscito nella Venezia Giulia avrebbe comportato il plebiscito dell’Alto Adige. L’Italia non avrebbe potuto dire di no all’Austria, e quindi avrebbe perso la provincia di Bolzano. Era escluso un plebiscito nella Venezia Giulia, senza il consenso dell’Unione 9 La città Un’immagine di Alcide De Gasperi. sovietica e quindi con delle norme tali per cui… Avrà influito anche il fatto che c’era il trentino De Gasperi. De Gasperi era contrario al plebiscito, perché diceva ‘Noi perdiamo l’Alto Adige, e non riavremo Trieste’, perché il plebiscito si farebbe soltanto alle condizioni dell’Unione sovietica, o non si sarebbe fatto. Gli anglo-americani erano contrarissimi al plebiscito, ma noi come CLN dell’Istria, e della Venezia Giulia, non potevamo altro che appellarci a quest’arma democratica, il plebiscito, l’autodeterminazione dei popoli. Gli jugoslavi in quegli anni era arrabbiati quasi più con gli antifascisti italiani che non con i fascisti. E’ vero. Perché la minaccia era costituita dal CLN della Venezia Giulia. Perché il CLN sosteneva la tesi italiana di Trieste, la tesi del plebiscito. Non dimentichiamo che lo stesso, anzi in termini più drammatici, era successo a Fiume dove la Jugoslavia individuava il nemico numero uno nei locali autonomisti. Nel ’47 viene firmato a Parigi il Trattato di pace e nel gennaio ’48 lei fa parte della delegazione di quattro rappresentanti del CLN che viene ricevuta dal Ministro degli esteri Sforza al quale denunciate la scarsa intesa intercorrente tra il CLN, i partiti e le autorità di Trieste. Noi avevamo contatti continui con Sforza, con De Gasperi…Giuricin faceva parte della delegazione italiana alla Conferenza della pace di Parigi. Era anche una nuova 10 classe dirigente a Trieste, Botteri, Belci…non è come adesso. Era giovane anche lei. Io frequentavo l’Università di Trieste. Non mi sono laureato, mi mancavano cinque-sei esami; poi era difficile perchè avevamo contatti politici con esponenti dell’Università di Trieste, quindi a un certo momento ho scelto la carriera giornalistica. A quei tempi era più facile avere contatti con Roma che con Capodistria. I contatti con Roma erano continui. Con Capodistria, dopo l’introduzione della jugolira praticamente il confine era chiuso. C’erano dei contatti, ma saltuari. Il primo contatto, in forma quasi clandestina, è venuto dopo la firma del Trattato di pace quando si parlava della costituzione del Territorio libero di Trieste. In quell’occasione, dirigenti da Capodistria avevano chiesto tramite alcuni socialisti o comunisti di Muggia di avere un contatto con me e con altri del Partito socialista della Venezia Giulia. Chi fece questa richiesta, da Capodistria? Non ricordo chi, comunque ci vedemmo nel territorio tra Muggia e Capodistria che era ancora Zona A, comunicando a pochissimi…a Lucio Lonzar che era segretario del partito…anzi loro mi scoraggiavano, dicevano ‘Ma ti porteranno…’ Dove vi siete trovati, al confine? Proprio al confine, verso Crevatini. Avemmo un incontro di nascosto praticamente. C’erano anche alcuni esponenti di Muggia. Ricordo benissimo che loro avevano detto che il nostro partito, a Trieste, aveva una caratteristica internazionale, infatti facevano parte dell’Internazionale socialista, avevamo contatti diretti con l’Internazionale socialista. Parlammo della sistemazione amministrativa del TLT quando sarebbero cessate sia la Zona A che la Zona B. Questo, prima della rottura del Cominform. Tant’è vero che mi chiesero ‘Ma tu verresti a Capodistria, facciamo un incontro a Capodistria in modo da prefigurare come potrebbe venir amministrata l’attuale Zona B, d’accordo con i socialisti della Venezia Giulia e gli altri partiti democratici di Trieste. Teniamo conto che allora soltanto da Capodistria c’era stato un esodo notevole di popolazione italiana; nel resto della Zona B la popolazione era ancora rimasta sul posto. L’esodo aveva colpito la parte annessa alla Jugoslavia col Trattato di pace. Si presero degli impegni a quell’incontro? Ma no, c’era la ricerca di un’intesa su un’amministrazione comune, cioè della costituzione del Territorio libero di Trieste. Poi tutto crollò con la frattura tra Tito e Stalin, tra la Jugoslavia e il blocco sovietico nel giugno del ’48. Pochi mesi prima era ritornato a Trieste Vidali, e noi come Partito socialista della Venezia Giulia stabilimmo un contatto con il Partito comunista, con Vittorio Vidali. Ci incontravamo molto spesso nella Casa del popolo, l’attuale Miela. Vidali che opinione aveva? La città Vidali era contrarissimo alla soluzione jugoslava, dal momento in cui era venuto a Trieste, il suo obiettivo era quello di trasformare il Partito comunista, che era controllato dalla fazione titoista, in una federazione del Partito comunista italiano. Anche se i rapporti tra Vidali e Togliatti non erano idilliaci. Facciamo un passo indietro. Capodistria non era un monolite politico. C’erano tante correnti. Capodistria aveva una popolazione 100 per cento, direi, italiana. Le uniche elezioni libere che si sono svolte a Capodistria dopo la Prima guerra mondiale vennero vinte dai socialisti. Da Nobile, che abitava a Prade. Cesare, quanto ci ha fregato il fascismo? Credo che il fascismo ha provocato la perdita dei territori istriani italiani. Se non ci fosse stato, i capodistriani oggi sarebbero ancora a casa? Ma certamente. Sarebbe stato così, un passaggio. Però, ecco, parliamo di Capodistria: nel periodo dal ’54 in poi, quando si parlava di rapporti diretti italo-jugoslavi, De Gasperi puntava ad un accordo diretto tra Italia e Jugoslavia…la Jugoslavia avrebbe ceduto Capodistria all’Italia. Cioè io avevo avuto dei contatti con Velebit che era l’ambasciatore jugoslavo a Roma, che era tra l’altro in conoscenza diretta con Diego de Castro, consulente del governo italiano a Trieste. E allora si parlava di un accordo diretto che però l’Italia non poteva accettare: la Jugoslavia avrebbe ceduto la città di Capodistria, non oltre Semedella. In cambio di? In cambio di alcune retifiche nella zona carsica, nella zona slovena del Carso. Nei libri di storia non vengono fuori questi particolari… No, non vengono niente fuori. Beh nelle memorie di Taviani c’è un accenno…siccome avevamo questi contatti con Velebit, ha pubblicato Taviani queste memorie, io avevo il terrore che ci fosse…invece c’è un accenno che soltanto chi ha avuto questi contatti è in grado di comprenderli. Poi? De Gasperi voleva raggiungere un accordo con la Jugoslavia, tant’è vero che nel ’53 rifiutò la spartizione del TLT tra la Zona A all’Italia e la Zona B alla Jugoslavia. Cioè prima delle elezioni del ’53 ci fu da parte angloamericana la proposta a de Gasperi di passare Trieste all’Italia, per vincere le elezioni. E le avrebbe vinte. Ci fu allora la famosa legge-truffa…che truffa non era… ma l’accordo con Capodistria all’Italia comportava un accordo diretto, cioè l’Italia avrebbe dovuto firmare questo accordo rinunciando al resto della Zona B. Ha mai pensato di scrivere un libro Cesare? Io ho scritto sulla rivista ‘Trieste’, ho parlato in Consiglio comunale di queste cose…spinto da molti, ho pensato a volte di mettere insieme queste cose e scrivere, ma poi Il Territorio libero di Trieste. finivo sempre per dire ‘Leggete la rivista ‘Trieste’, è tutto scritto insomma. Facciamo un salto al ’54. Vedo che lavora alla radio collaborando con la rubrica “Fratelli giuliani” e poi dirigendo la rubrica “Gazzettino giuliano” dell’ente radiofonico. Inizialmente c’era una trasmissione diretta alle popolazioni della Venezia Giulia. E faceva capo a Quarantotti Gambini. Trasmettevano da Venezia e io collaboravo da Trieste. E poi sono entrato alla Rai dove sono rimasto fino al pensionamento. Che rapporto ha avuto con Quarantotti Gambini? Ma, io conoscevo Quarantotti Gambini da sempre, perché loro abitavano anche con De Berti, in Semedella. Con De Berti eravamo in rapporti di amicizia, poi anche a Trieste quando De Berti stava in Cavana. De Berti era contrarissimo alla costituzione del TLT, mentre io e in genere il CLN istriano, Giuricin, pensavamo all’ipotesi della costituzione del TLT…perchè la Zona B non sarebbe diventata jugoslava. E di fatti, durante un incontro dell’Internazionale socialista a Parigi, avemmo un lungo incontro con Quaroni, che era ambasciatore italiano a Parigi, prima era stato a Mosca. E ci invitò all’ambasciata, abbiamo passato una sera assieme, io e Lucio Lonza con 11 La città Giorgio Cesare con il redattore de La Città, Alberto Cernaz. Quaroni il quale ci dice testualmente: ‘Guardate, se non si costituisce il Territorio libero si va alla spartizione. Nessuno può mettere in dubbio la vostra politica per una soluzione italiana, però se voi volete evitare che la Zona B vada alla Jugoslavia, c’è soltanto la costituzione del Territorio libero di Trieste. Gli anglo-americani non lo vogliono, però non possono dire di no se la richiesta viene fatta dall’Italia’. E di fatti Quaroni ci spingeva, come socialisti della Venezia Giulia, a percorrere anche questa strada. Perché diceva ‘Ma, non capisco perché l’Italia si ostina a non sostenere le attese del TLT’, perché in prospettiva questo Territorio libero di Trieste sarebbe diventato italiano. Perché allora questo TLT le capitali non lo volevano? Perché per l’Italia (l’obiettivo principale) era ‘Trieste italiana’. Ma la popolazione lo appoggiava? Noi abbiamo fatto un sondaggio a Trieste e la contrarietà era assoluta da parte di Gianni Bartoli, del Municipio, cioè loro vedevano il Governo militare alleato e…qui viene l’Italia, mentre Territorio libero significa la frontiera sul Timavo, cioè Trieste non italiana. Eravamo ben coscienti di questo, di fatti nel ’53 venne a Trieste una delegazione dell’Internazionale socialista…io avevo dei rapporti molto stretti con i luburisti inglesi, i quali erano per la soluzione… volevano andar via da Trieste. Gli inglesi erano di gran lunga più decisi di lasciare Trieste degli americani, per ragioni economiche anche: oramai anche perché i rapporti tra Tito e Churchill ormai erano ottimi. Lo dicevano “La Jugoslavia ha rotto con l’Unione sovietica; il problema del confine orientale con il blocco sovietico si è spostato, non c’è più; l’Italia si prenda Trieste, la Jugoslavia si tiene la Zona B”. Questa era la posizione dell’Inghilterra. Rose, segretario del Partito laburista mi confermò che loro erano per la spartizione. Con Rose noi cercammo di trovare una soluzione migliore per Trieste e…i laburisti dissero “Va bene. Se voi riuscite a trovare una soluzione diversa noi vi appoggiamo. Noi non facciamo niente, noi 12 desideriamo soltanto lasciare Trieste”. E questa era una posizione anche in contraddizione con quello che era lo spirito degli italiani di Trieste che vedevano gli americani e gli inglesi come dei nemici quasi. Che non era vero. Noi strappammo ai laburisti questa concessione di fare un accordo con la Jugoslavia, un accordo diretto che non fosse quello della sola città di Capodistria. Di fatti l’Italia dice “’Noi non possiamo accettare” perché ciò comportava un accordo diretto, la firma di un accordo bilaterale italojugoslavo con il quale, oltre a Trieste, passava all’Italia la città di Capodistria. Non Isola e Pirano. Non era ancora sorto il porto di Capodistria…l’avrebbero fatto a Isola probabilmente. Ma naturalmente l’Italia non poteva accettare questa soluzione. In zona Cesarini si cambiò sovranità anche la striscia di territorio attorno a Crevatini. Perché era così importante quella striscietta? Per arrivare a Punta sottile. Cioè Muggia fino a Punta sottile all’Italia, in cambio di quel pezzetto in alto. Con panorama su Trieste… Sì, quando è venuto Fidel Castro che era andato con Tito, Castro ebbe l’imprudenza di domandare a Tito notizie di Vidali. Figurarsi, Tito ha detto ‘Vidali, ma chi lo conosce!?’. Nel ‘54 lei propone un’apertura verso gli italiani rimasti oltreconfine. Cosa che le fa attirare le critiche dei leader degli esuli che definiscono le sue posizioni “fuori linea”. Io presi atto…e mi diedero atto anche gli esponenti del Movimento sociale in Consiglio comunale che il problema di Trieste era risolto con il Memorandum di Londra dell’ottobre del ’54, e quindi io dicevo ‘Chiusa la vertenza italo-jugoslava, cerchiamo di difendere la presenza italiana nei modi in cui è possibile difenderla in Istria e Dalmazia’. Io stesso e Gianni Giuricin, assieme a Quarantotti Gambini rivolgemmo un appello dall’emittente di Venezia contro l’esodo. Non era che Radio Venezia Giulia invitava invece la gente a venire via? No, no. Questo è un falso. Nessuno da parte del governo italiano, e neanche dei partiti politici compreso il Movimento sociale, nessuno ha favorito l’esodo dall’Istria. L’esodo dall’Istria è stato un plebiscito alla rovescia. C’è chi ha detto “de là (Trieste, ndr) i ne tirava, de qua (Capodistria, ndr) i ne sburtava”. In nessun caso perché l’obiettivo era quello di mantenere gli italiani in Istria. Certo da parte jugoslava c’era la spinta all’esodo, non nella misura in cui si è svolto. Di fatti lo stesso governo jugoslavo non pensava ad un tale esodo dall’Istria, comprendente anche contadini e pescatori. L’esodo da Pola è avvenuto col governo militare alleato, prima del passaggio di Pola alla Jugoslavia. E il 90 per cento della popolazione di Pola è andato via. Da parte di De Gasperi e da parte di Sforza, ma anche da parte dei partiti di destra, c’era la preoccupazione di mantenere la La città presenza italiana in Istria. Però l’Arena di Pola all’epoca titolava “O Italia o esilio”. Ma sì perché a Pola c’era questo sentimento, però Pola era Governo militare alleato. Andiamo avanti. 18 giugno ’54. Lei partecipa all’assemblea dei profughi capodistriani presieduta da Piero Almerigogna, che a Capodistria era stato un funzionario fascista. Piero Almerigogna era un capoccia fino all’8 settembre del ’43. Poi no, a Trieste era diverso. Tant’è vero che Deste (Tuboli) diceva ‘Ma Piero Almerigogna dovrebbe fare qualche cosa per entrare nel campo antifascista’. Lui era mazziniano inizialmente, il fratello era fascista fanatico, ma Piero no. Allora in questa assemblea di profughi capodistriani, scrive Cherini, “vengono applaudite le relazioni dell’avv. Piero Ponis e di Giorgio Cesare. Parlano anche il dott. Dellasanta, il consigliere Delconte. Intervengono pure Licio Burlini, Relli e Decarli. Le elezioni portano l’avv. Ponis a fiduciario comunale, consiglieri Burlini, Ranieri Vergerio e Antonio Lonzar. Erano capodistriani, esponenti di varie correnti politiche. Licio Burlini lavorava a Radio Trieste con me, addirittura aveva rapporti costanti con il Console jugoslavo a Trieste, che era serbo; di fatti diceva ‘Io sono straniero qui’, perché erano tutti sloveni al Consolato jugoslavo. Le associazioni degli esuli capodistriani, la Comunità di Via Belpoggio e la Fameia dell’Unione istriani, nascono più tardi? Più tardi e sono profondamente diverse. Non hanno nessun rapporto politico, mentre le comunità di allora erano strettamente legate ai partiti politici, al CLN e alla giunta municipale di Trieste. Allora si parlava soprattutto degli indennizzi dei beni abbandonati, degli alloggi a Trieste. 4 agosto ’54. Ha luogo a Roma un colloquio dei delegati di Trieste in ordine alla dibattuta questione del TLT. Partecipano Lucio Lonza e Giorgio Cesare. Chi era Lonza? Lucio Lonza, capodistriano, era segretario del Partito socialista della Venezia Giulia. Una bravissima persona. Lui era professore, insegnava alle Magistrali a Trieste, ma era anche un bravo calciatore: Nereo Rocco lo voleva nella Triestina addirittura. Giocava benissimo, mezz’ala. Ma poi ha abbandonato il calcio. Lì nel ’54 abbiamo avuto un lungo incontro con Pella, a Roma. Eravamo soltanto Lucio Lonza, io e Pella. Abbiamo parlato per oltre un’ora a palazzo Chigi. Pella era presidente del Consiglio e Ministro degli esteri. L’avevate richiesto voi l’incontro? Sì, e lui ci ha ricevuto subito. Abbiamo parlato proprio ‘fuori dai denti’, di fatti Pella ci disse sì, se noi andiamo a Trieste, questo significa la spartizione del Territorio libero. Però Pella dice ‘Noi non possiamo rifiutare la Nota bipartita dell’8 ottobre’. Don Edoardo Marzari. Che cosa prevedeva questa nota bipartita? Era praticamente la spartizione del TLT, soltanto che la Jugoslavia reagì quando c’è stato un cambio di governo in Inghilterra tra i Laburisti e i Conservatori, e la Jugoslavia non ebbe la garanzia dell’accordo diretto con l’Italia per la spartizione del Territorio libero. Riteneva che l’Italia mirasse ancora a mantenere la Zona B. Mentre non è vero. Anche qui c’e’ un grosso equivoco a Trieste. Pella non aveva nessuna intenzione di fare la guerra alla Jugoslavia o di occupare Trieste. Però il clima era molto acceso. Era acceso a Trieste! Il discorso di Tito a San Basso… Era la conseguenza di una soluzione che era diversa da quella di cui avevamo io e Lucio Lonza con Pella a palazzo Chigi. Cioè Pella si rendeva conto di non poter dire di no agli anglo-americani che volevano a tutti i costi lasciare Trieste. E lasciare Trieste da parte del Governo militare alleato significava lasciare la Zona B alla Jugoslavia. Questo era evidente. Cioè la nota bipartita che poi è stata tradotta nel Memorandum di Londra, significava la spartizione del TLT. Tornaste a casa con Lonza, soddisfatti o amareggiati? Tornammo a casa… Noi non volevamo la separazione di fatto tra la Zona A e la Zona B. Eravamo daccordo per un accordo diretto italo-jugoslavo che avrebbe portato ad un confine diverso, oppure un plebiscito. Però dopo il 13 La città colloquio con Pella avemmo chiarissima percezione che si andava verso la spartizione. Presidente del CLN triestino fu un altro capodistriano, Don Edoardo Marzari. Con Don Marzari eravamo amici. Don Marzari era un sacerdote…di Serie A, diciamo. Il suo ‘errore’ è stato quello di rimanere a Capodistria e poi a Trieste. Se andava a Milano sarebbe stato come Turoldo. Era un cattolico vero, un antifascista vero. Il “Messaggero Veneto” di Udine pubblicò un articolo dal titolo “L’importanza di chiamarsi Cesare” in cui le danno addosso ‘per aver definito nazionalisti da strapazzo coloro che si battono per la Zona B’. Ma no…era il periodo in cui era direttore Tigoli, con Pagnacco che scriveva questi pezzi. Poi Pagnacco ha fatto mea culpa, eravamo tra l’altro in ottimi rapporti poi. Si rese conto che avevamo ragione noi. Ma a chi si riferiva quando parlava di ‘nazionalisti da strapazzo’? Coloro che contestavano la politica di apertura verso l’Istria, verso gli italiani al di là del confine, dopo il Memorandum di Londra del ’54; quando dicevamo che il Memorandum di Londra era la soluzione definitiva, un confine definitivo tra l’Italia e la Jugoslavia. 17 ottobre ‘54. Due fatti sono riportati sotto questa 14 data nella cronologia del Cherini: Nicolò Ramani è a Roma in sede governativa per la sistemazione dei profughi della Zona B… Ramani, altro capodistriano, era amicissimo di Scalfaro che all’epoca era sottosegretario alla presidenza del Consiglio e aveva trattato tutto il problema della sistemazione nel territorio di Trieste. Nicolò faceva parte del CLN dell’Istria come esponente della DC e poi era alla presidenza del Consiglio a Roma per la sistemazione dei profughi in Italia. L’altro fatto che si ricorda in quella data è che lei viene fermato dalla polizia per 24 ore nella sede di Via XXX Ottobre. Non sarebbe mai stato chiarito il perché… Era il periodo in cui il Governo militare alleato era retto da Winterton, un generale che non capiva assolutamente niente di politica. Evidentemente dalla polizia civile, che era composta per due terzi da poliziotti favorevoli alla soluzione italiana e un terzo favorevole al mantenimento del Governo militare alleato, avevano probabilmente detto che noi avremmo complottato contro il GMA, contro la soluzione di Londra…che non era assolutamente vero. Era probabilmente da parte di quel settore della polizia che era contrario alla soluzione italiana e per il mantenimento del GMA. Verso la fine del ’56 Giorgio Cesare si attira nuove critiche. Parla nella sede del Partito Socialdemocratico del nuovo indirizzo che il governo italiano dovrebbe seguire nei rapporti con l’Est. Secondo Cesare – scrive Cherini, attribuendole uno “stravolgimento intellettivo” – “i profughi non avrebbero dovuto lasciare le loro case”. Era un richiamo a quello che avevano detto De Gasperi e Sforza, cioè agli appelli che facemmo io e Gianni Giuricin perché gli istriani che non avevano nessun motivo politico di lasciare l’Istria, mantenessero la presenza italiana in Istria. Feci quell’accenno perché ritenevo definitivo l’accordo del Memorandum di Londra, e quindi che c’era la necessità di una politica nuova dell’Italia nei confronti dell’Est e della Jugoslavia. Cioè la politica che doveva fare l’Italia dopo la Prima guerra mondiale. Ma siamo nel ’56 e ormai è tardi. L’esodo si era già consumato… Ma sì, noi abbiamo chiuso nel ’54. Una posizione politica che oggi è sposata da tutti. Noi abbiamo anticipato semmai questa politica. Nel ’57 abbiamo a Capodistria il primo console generale d’Italia, il triestino Guido Zecchin, il quale porta al teatro di Via Verdi la Compagnia di Cesco Baseggio col “Sior Todero brontolon” del Goldoni. Vennero a Capodistria esponenti della vita politica e culturale cittadina: lo storico Cervani, il rettore Ambrosino, Manlio Udina, il direttore del Teatro nuovo Sergio D’Osmo, Biagio Marin. Tra il pubblico in sala c’era anche lei. Sì, ma già con Guido Miglia ero stato in Istria subito La città dopo il ’54, assieme al console francese Barbier, console che aveva la competenza anche su Trieste ma risiedeva a Venezia. Dopo il ’54, prima ancora di Baseggio, c’era stata a Capodistria la presenza del Piccolo teatro di Milano coll’“Arlecchino servitore di due padroni”. Non era venuto Strehler a Capodistria, ma Paolo Grassi. Considerato chiuso il problema territoriale bisognava ripartire con una politica di apertura e collaborazione da parte dell’Italia verso l’Est… ripeto, come avrebbe dovuto fare dopo la Prima guerra mondiale. E mantenere la presenza delle comunità italiane in Istria, Fiume e Dalmazia. Come ricorda quella serata in teatro. Me la ricordo benissimo. C’era stata una conferenza del dottor Ciacchi su Goldoni e poi una serata memorabile al Ristori con Baseggio. Poi abbiamo cenato assieme. Ma non era la prima volta che tornavo a Capodistria. Avevamo già scritto un’inchiesta per la rivista “Trieste”. Corrado Iona del Rotary triestino commentò allora: “Per troppo tempo la nostra reazione al trattamento riservato a terre a noi così care, ci ha impedito di recarci in luoghi che eravamo abituati a considerare la naturale propaggine di Trieste. Ma l’inibizione si è risolta tutta a nostro danno”. Beh…Iona faceva parte del gruppo massonico, che poi loro avevano aperto delle sedi anche a Fiume, già allora. Cioè Iona, come altri liberali, facevano parte di coloro che avevano considerato chiuso il problema dell’ottobre del ’54. “Bisogna constatare – secondo lui – che centinaia di italiani sarebbero rimasti nelle loro sedi istriane se fossero stati consentiti prima d’oggi contatti sociali, culturali, visite, gite, giornali, riviste, conferenze, rappresentazioni teatrali… Beh sarebbero rimasti certamente molti di più, però la gran parte sarebbe andata via. Noi abbiamo fatto l’impossibile perchè coloro che non avevano nulla da temere dalla Jugoslavia non lasciassero le campagne, le barche da pesca. Pescatori di Bossedraga mi dissero che s’era creata una psicosi. “Un vicino di casa se ne va, il giorno dopo un altro…” L’esodo è stato determinato dal fatto che gli italiani dell’Istria non conoscevano ne’ lo sloveno ne’ il croato. Ha influito innanzitutto questo e il fatto religioso: cioè la Jugoslavia nell’immediato dopoguerra era atea, e la popolazione istriana era profondamente religiosa. Ottobre 1958. Alle elezioni amministrative di Trieste si presentano capodistriani in vari partiti: Mario Delconte - DC, Lucio Lonza e Giorgio Cesare – Socialisti, Giuseppe Relli MIS, Antonio Dellasanta – PLI, Marcello Minca – Fronte Indipendenza. Ormai eravate inclusi nell’ambiente politico locale triestino. Il sindaco Bartoli era istriano, il vescovo Santin era istriano…ma non bisogna dimenticare che nel 1918, con il passaggio di Trieste dall’Austria all’Italia, ci fu un’esodo Il Console Guido Zecchin dalla città di 40 mila persone. Erano per lo più austriaci che vivevano nell’amministrazione asburgica di Trieste, ma anche bavaresi, slovacchi, sloveni e quindi c’è stata questa diminuzione di 40 mila persone da Trieste, poi colmato da coloro che sono venuti dall’Italia meridionale e poi dai profughi dall’Istria e da Fiume, circa 60 mila. Trieste ha una popolazione molto composita. Anche la popolazione di Capodistria è oggi molto composita, solo che gli immigrati sono venuti da tutta la ex Jugoslavia. Capodistria è la città che ha subito maggiormente lo stravolgimento dell’esodo. Ma Capodistria si è vuotata di buona parte degli abitanti già dopo il ’45, con la costituzione del Governo militare jugoslavo a Capodistria. Perché il legame con Trieste di Capodistria era fortissimo. Chi furono i primi ad andarsene, dopo i funzionari fascisti? Coloro che lavoravano a Trieste, al San Marco o che viaggiavano col Lloyd Triestino, oppure professionisti. Nell’aprile ’61, durante un convegno dei Socialdemocratici a Gorizia, lei sostiene la necessità che le minoranze siano tutelate. Noi eravamo semplicemente per il rispetto della Costituzione italiana. Non facciamo differenza tra italiani, austriaci, sloveni. Lei è stato anche consigliere regionale del PSDI, per la 15 La città prima volta nel ’64. Che cosa ha caratterizzato il suo impegno politico in quella sede? Ero per un certo periodo segretario regionale e sostenevamo la costituzione della Regione a statuto speciale Friuli Venezia Giulia. Poi ci fu una rottura con i Socialdemocratici di Udine in quanto andavamo più d’accordo con i Socialisti di Udine, con Loris Fortuna. Su che cosa non vi trovavate d’accordo? Sul nazionalismo friulano che contraddiceva a Udine la posizione di alcuni democristiani e alcuni socialdemocratici. Lo Statuto speciale del FVG venne accolto nel 1964. E’ stato un fatto importante. Anche perché non vedevamo una soluzione diversa. Cioè coloro che sostenevano Trieste autonoma nell’ambito della Repubblica italiana erano in una posizione assurda. Doveva essere agganciata al Friuli. Nel ’65 lei è nominato assessore comunale di Trieste per le attività culturali. Io ero capogruppo del gruppo consigliare socialdemocratico al Comune di Trieste. Poi c’è stato un rimpasto alla giunta e a tutti i costi volevano che entrassi in giunta. Io ero contrario, perché preferivo fare il giornalista a tempo pieno. Poi, vabbè, accetto “se mi date le attività culturali”. Ho portato all’unificazione, a una politica comune tra il “Verdi” e il “Rossetti”, tra il Teatro di prosa e il teatro lirico sinfonico. E poi all’apertura del palazzo Costanzi; c’era Montenero, che era curatore del “Revoltella”, che era contrario ad aprire ai viventi palazzo Costanzi. Io ho detto, mi prendo io la responsabilità…certamente non apriremo gli spazi a coloro che partecipano alle extemporanee, ma pittori di chiara fama come Rossignano, Sormani, Mascherini, abbiamo Spacal e via dicendo vanno presentati. E di fatti abbiamo aperto palazzo Costanzi ai viventi. E’ vero che ha incontrato anche Tito? Nel ’76, dopo la fine della Guerra fredda, ci fu a Belgrado un congresso della Lega dei comunisti; si chiamava ancora così, ma di comunismo non aveva più niente. Avevano invitato tutti i partiti italiani DC, PCI, Socialisti e Socialdemocratici…e c’era Saragat. Siamo andati assieme ad Arnaldo Pittoni che era presidente del consiglio regionale. Viaggiato in aereo? No no, in macchina, a una velocità folle. La sera siamo arrivati abbiamo incontrato Craxi, che la mattina dopo sarebbe partito perché c’era stato l’attentato in Piazza della Loggia a Brescia. Siamo rimasti noi con Segre che era il responsabile per la politica estera del Partito comunista. E insomma a qualcuno balena l’idea “Perché non andiamo da Tito?”. Conoscevamo il console che era a Trieste, abbiamo chiesto e Tito…ha detto sì. E il giorno dopo siamo andati da Tito. Praticamente ho parlato per tre quarti d’ora solo io… Ma lui comprendeva l’italiano? 16 Comprendeva qualcosa, ma parlava in croato. E c’erano tutti: c’era Bakarić, Stane Dolanc…che andava a caccia assieme a Biasutti, Stambolić che poi è stato assassinato ai tempi di Milošević. Parlammo di tutto, di politica internazionale, di politica locale. C’era un momento in cui c’erano delle difficoltà alla frontiera tra l’Italia e la Jugoslavia, c’era il governo Fanfani. E di fatti poi queste difficoltà alla frontiera sono cadute, credo, per intervento dello stesso Tito. Si parlava anche della sua salute, ci riferì di un episodio che era andato a caccia e ci offrì caffè turco. Nell’82 muore sua padre Narciso a 94 anni. A Trieste era direttore della farmacia in piazza della Borsa. Aveva rapporti col teatro “Verdi”, Oliviero de Fabrizis, Gavazzini…che venivano in farmacia. Mio padre era repubblicano, tra l’altro erano amici con Nazario Sauro. A Capodistria era forse una delle persone più stimate. Cosa ha imparato da lui? Il senso democratico e di apertura verso tutte le comunità. Alla fine degli anni ’80, con la caduta del Muro di Berlino si discuteva del superamento dei confini anche dalle nostre parti. In più di vent’anni è stato fatto abbastanza? Si poteva fare di più ovviamente. Però bisognava fare di più da tutte le parti. La clarinettista Tilli Forlani di Capodistria ha conseguito il Baccellierato in Arte Musicale presso il Conservatorio della Svizzera italiana con sede a Lugano. Dopo questo corso di tre anni si è iscritta al Conservatorio “Tartini” di Trieste per la laurea specialistica. Complimenti vivissimi! La città Scatti dalla scuola elementare »Pier Paolo Vergerio il Vecchio« www.vergerio.si Visita alla biblioteca per ragazzi è svolta lungo il borgo di Sicciole nei pressi della foce del fiume Dragogna, a 152 metri di altezza dove si trova San Martino in Colle–Krog con la chiesa di Sant’Onofrio. Alla gara di orientamento hanno partecipato cinque scuole del comune di Capodistria, i nostri alunni hanno partecipato in due categorie e i più giovani hanno reso onore alla nostra scuola raggiungendo il primo posto nella propria categoria. Terzo mini Ex Tempore In ambito alle tradizionali visite alla biblioteca per i ragazzi, gli alunni della I e II classe di Capodistria sono stati accolti, nella sala di lettura, dalla bibliotecaria Daniela che ha attirato l’attenzione dei visitatori presentando “Le avventure di Pinocchio”. Gli alunni hanno seguito con molto interesse il contenuto accompagnato dalle immagini. Al termine della storia agli alunni è stato proposto un divertente “quiz” sulle varie situazioni e peripezie di Pinocchio. Ci siamo lasciati con la promessa di incontrarci spesso per avvicinare ai giovani lettori il piacere della lettura ed entrare nel magico mondo delle storie e scoprire nuove realtà. Gara di orientamento Sabato 19 novembre i giovani alpinisti della nostra scuola hanno partecipato alla tradizionale gara di orientamento organizzata dal Club alpino di Capodistria. La gara si Mercoledì, 9 novembre si è svolto lo spettacolo preparato dagli alunni del primo triennio della nostra scuola che ha visto la partecipazione in qualità di ospiti, dei bambini dell’asilo “Delfino blu” di Capodistria accompagnati dai rispettivi genitori. La serata rappresenta l’epilogo del III mini ex tempore svoltosi il 12 ottobre in Piazza Carpaccio, durante il quale gli alunni della nosta scuola e i bambini più grandi dell’asilo “Delfino Blu” hanno dato prova del proprio estro creativo con l’utilizzo della tecnica del collage. Alla fine dello spettacolo, i presenti 17 La città hanno potuto ammirare i risultati del laboratorio messi in mostra al piano terra della nostra scuola. Beneficenza a Punta Grossa bambini con la partecipazione delle scuole elementari di Zindis e Crevatini. Il progetto INTERREG è dedicato soprattutto alla creazione di occasioni di incontro fra le due realtà scolastiche volte al miglioramento della conoscenza reciproca e all’osservazione e alla conoscenza della regione confinaria che accomuna i due territori. »Giochi di scienze« a Muggia Martedì 25 ottobre, le alunne della IV e V classe della sezione periferica di Semedella sono state ospiti a PUNTA GROSSA. Con una breve recita hanno accolto i partecipanti alla seduta plenaria del Consiglio esecutivo della CROCE ROSSA. In quest’occasione le alunne hanno consegnato: occorrente scolastico, indumenti, calzature, occorrente per l’igiene personale, giocattoli ed altro da donare ai bambini provenienti da famiglie disagiate che trascorreranno le vacanze autunnali in questao luogo incantevole. Zindis in festa Collaborazione tra la sezione periferica di Crevatini e la Scuola Primaria “Zamola”, Muggia sezione di Zindis dell’I.C. “Giovanni Lucio”. Venerdì, 30 settembre, nel piazzale centrale di Borgo Zindis un momento di festa in occasione dell’avvenuto finanziamento del progetto europeo Interreg. Laboratori e giochi ecologici per i 18 Martedì, 27 settembre, la sezione periferica di Crevatini con le classi 2a e 4a e la sezione periferica di Bertocchi con le classi 1a e 3a abbiamo partecipato alla manifestazione “Giochi di Scienze” organizzata dall’Amministrazione Comunale di Muggia. Percorrere Muggia, fra calli e piazzette, in cerca delle meraviglie della scienza. Un’occasione stimolante e creativa per giocare, per avvicinare i bambini alle scienze, per uno scambio di conoscenze fra ragazzi. La città Fredi Radojkovič riscrive la storia della pallamano capodistriana Il 12 novembre 2009, all’indomani delle dimissioni di Matjaž Tominec, il presidente dello Cimos Koper, Krašovec, aveva deciso di riaffidare, dopo 5 anni, la squadra al connazionale isolano Fredi Radojkovič, una scelta che in molti non avevano condiviso. Dopo una stagione e mezza tutti si sono però dovuti ricredere, visto che lo Cimos Koper ha conquistato il “triplete” nella stessa stagione: campionato, Coppa Slovenia e Challenge Cup. Fredi Radojkovič lo incontriamo durante una pausa scolastica, è infatti professore di educazione sportiva presso il Ginnasio Italiano Gian Rinaldo Carli di Capodistria, che egli stesso ha frequentato fino al 1984. Nato a Capodistria il 20 luglio 1966 da genitori istriani, Fedora e Ferruccio di Torre per la precisione vive da sempre a Isola. Figlio unico, frequenta la scuola elementare italiana a Isola e a 10 anni inizia a giocare a pallamano. Lo farà fino all’età di 27 anni, poi l’ennesimo infortunio lo convincono a diventare allenatore. Nel frattempo ultima gli studi alla Facoltà dello Sport a Lubiana e mette su famiglia, tutta appassionata di pallamano, a partire dalla moglie Mariella, al figlio 21.enne Jan, nazionale italiano, che quest’anno con Trieste ha riconquistato la Serie A e alla figlia 15.enne Tea, che naturalmente segue le orme familiari. “Certo è un bel vantaggio trovarsi circondato da persone che hanno giocato o giocano a pallamano. Per uno sportivo è importante avere al proprio fianco una famiglia che ti dà conforto, che ti stimola e motiva, soprattutto quando le cose non vanno bene”. Dopo aver allenato l’Isola e lo Cimos Koper in Prima Lega, nel 2005 è selezionatore della nazionale juniores slovena, con la quale conquista il settimo posto ai Mondiali in Ungheria. La stagione seguente accetta l’offerta di Trieste, dove rimane per tre stagioni e mezza nonostante le gravi difficoltà economiche. In questo periodo viene nominato anche selezionatore della nazionale italiana juniores. Poi arriva una nuova occasione a Capodistria, e Fredi con il beneplacito del presidente di Trieste, il leggendario prof. Giuseppe Lo Duca, ritorna al Bonifica, dove in 561 giorni riscrive la storia. “Questo era il mio obiettivo. Certo che non immaginavo tutti questi trofei, anche se devo confessare che prima dell’inizio della stagione avevo fatto un fioretto che adesso non voglio svelare, visto che mi ha portato bene e che ho ripetuto anche quest’anno – e ride a squarciagola, poi prosegue –. Nella mia carriera ci sono stati momenti difficili, ma non ho mai smesso di credere in me stesso. Per questo motivo sono andato ad allenare a Trieste, dove sono maturato e cresciuto, e questo lo hanno capito a Capodistria e mi hanno dato una nuova occasione. Penso di averla sfruttata più che bene. Se mi sento appagato? Un allenatore non lo deve mai essere. Quando giocavo, giovanissimo, sentivo forte il desiderio di partecipare alle Olimpiadi. Purtroppo, il mio fisico non era adeguato e quindi mio malgrado ho dovuto smettere di giocare – a questo punto a Fredi si illuminano gli occhi –. Se non ci sono riuscito da giocatore un giorno vorrei andare alle Olimpiadi da allenatore. Sono ancora giovane e ho tutto il tempo per esaudire questo mio sogno”. Grazie ai successi Fredi ha conquistato tutti, da Sicciole a Plezzo, visto che è stato votato personaggio per il mese di aprile dai lettori del quotidiano Primorske Novice e dagli ascoltatori di Radio Koper. E se continuerà su questa strada potrebbe essere anche il personaggio dell’anno soprattutto se si considera che in Champions League ha già centrato la storica qualificazione agli ottavi di finale con ben 4 turni d’anticipo dopo il doppio successo di novembre con i russi del San Pietroburgo (35-26 in trasferta, 30-23 al Bonifica). Certamente tutte queste attenzioni gli fanno piacere, ma da allenatore navigato qual’è, è consapevole che alla fine sono solo i risultati quelli che contano. Per il piccolo mondo della Comunità Nazionale Italiana Fredi rappresenta un vanto, un esempio da seguire. Per concludere in bellezza, una domanda provocatoria vista la grande rivalità tra Capodistria e Isola, Fredi l’isolano più amato dai capodistriani? “E sì – con un sorriso smagliante –, ma sono sicuro che sono anche il più amato di Isola”. E la sua ex squadra, l’Istrabenz Plini Isola gli ha procurato una delle più grandi delusioni in carriera quando il 16 ottobre, tre giorni dopo la prima storica vittoria in trasferta in Champions League (con i romeni del Costanza per 27-25), gli ha inferto una cocente sconfitta per 28-27. Una macchia che resterà indelebile visto che si è trattato anche della prima partita in assoluto nella massima serie slovena. Arden Stancich Fredi festeggia con la moglie Mariella dopo l’ennesima vittoria dei pallamanisti capodistriani (Foto Primorske novice) 19 La città Per celebrare il 450.mo anniversario del medico Santorio Santorio l’Università del Litorale e l’Università degli Studi di Padova hanno organizzato due convegni in suo onore. Nel primo (Capodistria, 29 marzo) è stata trattata la prospettiva storica dell’opera di Santorio e l’ambiente universitario della sua epoca. Il secondo convegno si è tenuto il 6 ottobre a Padova, in occasione del 400.mo anniversario della nomina del medico capodistriano al ruolo di professore ordinario presso l’Università patavina. La conferenza ha trattato le invenzioni di Santorio e l’ambiente intellettuale in cui operava. I due eventi sono stati un’opportunità di collaborazione tra le due università, sia nell’ambito della ricerca che in quello pedagogico. Riportiamo l’intervento del dott. Rado Pišot dell’Università del Litorale nel quale illustra la proposta di intitolare al Santorio il riconoscimento annuale ai migliori studenti del corso di kinesiologia. Santorijevo priznanje – priznanje za najuspešnejše študente Aplikativne kineziologije dr. Rado Pišot, Univerza na Primorskem Poimenovati priznanje ali nagrado po nekomu zahteva od tistih, ki se o tem odločajo, veliko več kot le trenutek navdiha in dobre volje, da se nekoga spomnimo in omogočimo drugim priznavanje njegovega dela. V akademskem prostoru pomeni taka odločitev zavestno sprejeti odgovornost in obveze – odgovornost do velikih osebnosti, katerih imena si dovolimo prevzeti, ker so naši družbi v preteklosti prispevali veliko več kot običajno vemo ter obveze do poglabljanja in nadgrajevanja njihovega dela in upoštevanja kriterijev odličnosti, ki so jih postavili. Zahteva pa taka odločitev tudi poglobljen premislek ali so tisti, ki bodo morebiti deležni te nagrade ali priznanja, s svojim trudom, delom in rezultati, opravičili ime, čigar priznanje nosijo s seboj. Kot je običajno in kot se v takih primerih tudi spodobi, se mozaik, ki v sebi nosi tisočero dogodkov, tudi v življenju in delu velikega Koprčana, gradi počasi in vztrajno. Ker je njegov zgodovinski prispevek naravoslovni znanosti, akademiji, univerzalni misli in prostoru, v katerem je delal, še posebej pa Kopru, nemogoče predstaviti v nekaj odstavkih, pa tudi zato, ker bodo to storili kolegi, ki so po stroki primernejši, bom poskušal v tem kratkem povzetku Il prof. Natale De Santo dell’Università di Napoli accanto al dott. Rado Pišot dell’Università del Litorale (Capodistria). Sotto, i professori Pietro Enrico Di Prampero dell’Università di Udine e Carlo Reggiani dell’Università di Padova. 20 osvetliti le nekaj temeljnih izhodišč. Ta so nas vodila do odločitve, da proslavimo Santoria Sanctoria, velikega, žal večkrat pozabljenega Koprčana in ga preko mostu znanja in odličnosti povežemo s sodobnim Koprom, mlado univerzo, ki se je rodila nekaj stoletij kasneje in akademijo – s profesorji in študenti, ki še danes razvijajo prenekatero njegovo misel in davno tega jim ponujeno znanje. Obstajajo vsaj trije pomembni razlogi, ki opravičujejo dejstvo, ali morda bolje rečeno, nam nalagajo odgovornost in obvezo, da Santoria vrnemo v ta prostor z vsemi častmi. Prvi je dejstvo, da je Santorio Sanctorii prav gotov eden največjih in najpomembnejših naravoslovcev, rojenih v Kopru, ki je svoje rojstno mesto vselej in povsod s ponosom izpostavljal. Ali je bil oče, iz Čedada tudi rodom Slovenec (Svetina – kot predstavljajo nekateri viri, Šercer, 1950) niti ni pomembno, saj področja, katerim je posvetil svoje delo in življenje, nikoli niso in niti ne bodo poznala meja. Ko smo se kot otroci podili po koprskih ulicah, je do nas seglo le ime ene od teh, ki je nosila ime po velikem zdravniku, raziskovalcu, znanstveniku, izumitelju. Kasneje smo v šoli izvedeli, da je med številnimi drugimi instrumenti pomembno prispeval k razvoju termometra. Veliko več od tega, in tega je ogromno, pa je žal številnim Koprčanom kot tudi Slovencem in širšemu svetu, še neznano. Drugi razlog, ki priznanju daje poseben pomen, je Santorijeva akademska zavest in vloga akademizma, katero je posebej cenil in se ji povsem podredil. Prav gotovo se takratni častitljivi profesor najbližje Kopru (v svetovnem merilu druge najstarejše) padovanske univerze, ob ustanovitvi koprskega znanstvenega društva Accademia Palladiana, ni ukvarjal z mislijo o primorski univerzi, kar pa ne zmanjša njegovega prispevka, da se je ta veliko kasneje tudi zgodila. Tudi ko je v svoji oporoki posebej izpostavil, da mora biti kar 6 od 10-ih študentov iz Kopra, katerim finančno podporo naj omogoči sklad, ki naj bo po njegovi smrti ustanovljen iz njegove zapuščine (Grmek, 1953), si gotovo ni zamišljal, da bodo ravno v tem prostoru nastali študijski programi, katerim osnove in znanja je pričel razvijati prav on. La città Tretji razlog pa je njegova velika zapuščina znanja, izumov in instrumentov. Njegov nemirni raziskovalni duh nas posebej obvezuje in nam nalaga odgovornost, da pri svojem raziskovalnem in pedagoškem delu sledimo kriterijem odličnosti, ki jih je že dolgo tega postavil naš someščan. Ko smo pred dobrimi desetletjem pričeli s prvimi raziskovalnimi projekti, ki so pomenili pomembno osnovo kasnejšemu Inštitutu za kineziološke raziskave (IKARUS) na ZRS Koper, nato razvoju laboratorija IKARUS v ortopedski bolnišnici Valdoltra in še kasneje, že v okviru Univerze na Primorskem, tudi novim študijskim programom Aplikativne kineziologije, moram priznati da tudi še nismo uvideli težo in vrednost, ki jo je našim osnovam pred nekaj stoletji postavljal Santorio. Šele ko danes premišljamo njegova dela in občudujemo zamisli, ki so ga vodile do neverjetnih izumov in poizkusov, se zavemo njegove veličine in pomena. Santorio je namreč prispeval nekaj temeljnih orodij in ključev za razumevanje delovanja človeškega organizma, izhodišča za razvoj fiziologije, patologije, podlago biomehaniki. Kot začetnik eksperimentalne metodike je naravoslovni znanosti, posebej medicini odprl novo poglavje. Z vključevanjem matematike, obravnavo fizikalnih in kemičnih procesov, eksperimentov, merjenjem je zarisal pot fiziologiji, biometriji, termodinamiki, …, in področjem, ki so z izzivom po obravnavi delovanja človeškega organizma v specifičnih okoljih in aktivnostih razvili, kineziologiji, biomehaniki, kineziometriji, ergonomiji. Njegovo sodelovanje z nekaterimi drugimi velikani svojega časa (še posebej s prijateljem Galileom Galileiem) mu odpira široko obzorje prepleta različnih znanj in disciplin. Veliko let je minilo, ko smo (žal še večinoma le na deklarativni ravni) ponovno doumeli, da je dodana vrednost interdisciplinarnega ali morda še bolje, integrativnega pristopa, tisto, kar je v obravnavi človeka, kot dinamičnega in odprtega sistema edini pravi in celosten pristop. In ravno kineziologije si brez takih usmeritev in pristopov ne moremo zamisliti! Njegovo največje delo »De medicina statica« si ocene take popolnosti (Nullus liber in re medica ad eam perfectionem scriptus est, H. Boerhaave, 1726) verjetno ne bi prislužila, če se ne bi s ciljem preučevanja in razumevanja zdravja kot popolnega ravnovesja telesnih tekočin, kot harmonijo notranjih nasprotij, skozi VIII temeljnih poglavij Santorio natančno poglobil v vsa temeljna področja delovanja človeka. Med njimi so za nas še posebej pomembna poglavja o količini in odnosu vidne in nevidne perspiracije; o hrani in pijači; počitku in aktivnosti; gibanju in mirovanju. Številne ugotovitve in izrečene misli so še danes, ne le izredno aktualne, temveč še vedno tudi nepresežene. Morda jim bomo z dodano noto sodobnosti ponovno odprli obravnavo in jih kot pomembne končno umestili v življenje posameznika in družbe. Ob zavedanju, da nobene znanosti (sploh pa naravoslovja) ne moremo razlagati brez kritične analize in eksperimenta ter ob dejstvu, da znanstvene teorije in znanje nasploh ne more biti plod osamljenih posameznikov, temveč del zgodovinskega razvoja, smo se na osnovi predstavljenih dejstev odločili poimenovati priznanje za najuspešnejše študente Aplikativne kineziologije po velikem Koprčanu Santoriu Sanctoriu. Hkrati s tem pa sprejmemo v imenu sedanjih in bodočih generacij tudi vso ustrezno in pripadajočo odgovornost in obvezo, do njegovega imena in vseh bodočih nagrajencev. Začasni senat Fakultete za ergonomske in kineziološke študije Univerze na Primorskem (v ustanavljanju) je na svoji seji, na dan 29.3. 2011, ob 450 letnici rojstva Santoria Sanctoriia sprejel naslednji sklep: » Začasni senat UP FENIKS na osnovi predložene utemeljitve imenuje priznanje za najboljše študente študijskih programov Aplikativne kineziologije po koprskem zdravniku, naravoslovcu, znanstveniku in izumitelju Santoriu Sanctoriiu. Podrobna opredelitev vrste priznanj, njihovo število, postopke izbora kandidatov in druga vprašanja povezana s priznanji, se določijo s posebnim pravilnikom o priznanjih UP FENIKS.« Il medico Santorio interpretato da Giorgio Visintin nel documentario »Istria nel tempo« prodotto da Tv Capodistria 21 La città Crevatini: Culture a confronto e Dialetti in cucina È stato un semestre denso di attività anche alla Comunità degli italiani di Crevatini. L’ultimo fine settimana di settembre la comunità ha organizzato la sesta edizione degli ormai tradizionali “Incontri culturali”. Quest’anno con una novità, ad incontrarsi sono state le cucine di Muggia, San Ginesio, Buie, Lendava e Crevatini. Un’edizione emozionante: enogastronomia con degustazione di piatti tradizionali. Da segnalare che la Comunità degli italiani di Crevatini ha aperto un proprio sito Internet (www.comunita-crevatini.org).. Marco Orlando è stato nominato nuovo presidente dell’A.S.C.I (Associazione sportiva Comunità italiana) di Capodistria. Subentra a Igor Pekica. Nel mandato quadriennale appena inaugurato, Orlando si propone di offrire ai giovani sempre maggiori opportunità di fare sport. Attualmente, in seno all’A.S.C.I. operano tre squadre: calcetto (guidata dallo stesso Orlando), Tennis tavolo – mentore Roberto Richter, e la nuova sezione di pallavolo – responsabile Gregor Basiaco. Altra novità importante la pubblicazione di “Purissima”, semestrale della CI di Crevatini. Nel primo numero, il redattore Diego Samsa, spiega il nome della testata: “La Purissima, la strada che porta a Crevatini, qui in mezzo ai Monti di Muggia. Qui che se ti giri a destra vedi Trieste e se ti giro a sinistra vedi Capodistria. Qui dove la gente molte volte “non sa chi essere”. Qui dove in una vita si riesce a cambiare cinque stati senza mai muoversi. La terra dei rimasti, dei venuti, degli andati e dei tornati. La terra dei confini contesi, degli spari e delle vite perdute 22 cercando nell’oscurità delle “graje” l’abbaglio di una vita migliore. Terra sconosciuta persino dai propri abitanti, perché il giallo avvertimento delle tabelle “Mejni pas – “Area di confine” non permetteva a tutti di conoscere il proprio monte. Terra che ha visto famiglie tagliate a metà, sorelle che alla distanza di un chilometro non potevano vedersi nemmeno per il matrimonio di una di esse… e poi il cambiamento. Non c’è più il “Mejni pas” e si può liberamente scorazzare per il nostro monte (…). Arriva la notte del 21 dicembre 2007 quando il Monte tagliato a metà si ricongiunge e c’è festa a Cerei. Una festa spontanea, bella, commovente, specialmente per chi ha una certa età; una festa per… una cosa già vista! Si festeggia infatti quello sessant’anni fa era una cosa quotidiana. E la vita va avanti. C’è il “fenomeno Crevatini”, la scuola dove da Muggia si portano i propri figli nella scuola d’oltreconfine, dove s’insegna la lingua italiana, ma con il surplus d’imparare anche la lingua slovena, quella lingua che dava tanto fastidio. Proprio come per tanto tempo dava fastidio la lingua italiana parlata dai rimasti. Come cambiano le cose, chi l’avrebbe mai detto… Sì, le cose cambiano, ma non cambiano per se stesse. Ci vogliono forza e coraggio”. La città Alla Comunità degli italiani di Bertocchi Melodie da uno stivale Il 19 novembre presso la sala della Casa di cultura a Bertocchi si è tenuta la IX edizione dell’Incontro delle tre regioni, quest’anno dedicato ai 150 anni dell’Unità d’Italia. Già da nove anni la Comunità degli Italiani di Bertocchi organizza questa manifestazione culturale che vede esibirsi cori, gruppi strumentali e filodrammatiche di Italia, Slovenia e Croazia, con particolare attenzione ai gruppi operanti presso le CI. Protagonisti Miriam Monica (regia e voce) e Neven Stipanov (voce e clarinetto), Lucienne Lončina (pianoforte e voce), Marsell Marinšek (fisarmonica) ed ospite d’onore Francesco Squarcia alla viola, noto musicista fiumano residente a Roma. Gli interpreti hanno proposto una ventina di brani sia di musica classica di compositori quali Tartini, Monti, Rossini, Leoncavallo e Verdi sia di musica leggera italiana proponendo canzoni ben note e apprezzate dal pubblico, come ad es. Parlami d’amore Mariù, Il cielo in una stanza, Perdere l’amore, ‘O surdato ‘nnammurato e via dicendo. Non è mancata la sorpresa finale, i musicisti hanno eseguito il Va pensiero di Giuseppe Verdi accompagnati dai Miriam Monica e Neven Stipanov Francesco Squarcia gruppi corali riuniti delle Comunità degli Italiani di Pirano e Momiano, diretti dalla maestra Milada Monica. Miriam Monica è un’attrice diplomata presso l’Accademia d’arte drammatica »Nico Pepe« di Udine e collabora col Dramma Italiano di Fiume. Presso la CI di Pirano conduce laboratori teatrali e cura le regie di spettacoli. Neven Stipanov si è diplomato al Conservatorio “Tartini” di Trieste in clarinetto e in canto lirico. Ha svolto attività pedagogica e ha all’attivo seminari di musica classica e jazz nonché concerti in Slovenia, Croazia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Austria, Belgio, Danimarca, Germania, Italia e Polonia. Lucienne Lončina è un’affermata pianista professionista e cantante di origine inglese. Oltre a comporre testi musicali si esibisce come solista o con la Big Band della RTV Slovenia o con complessi musicali. Marsell Marinšek ha frequentato le Scuole di musica di Pirano e Capodistria e ha suonato nel gruppo folcloristico di Pirano. Ha vinto diversi premi come solista al Concorso internazionale per solisti e complessi di fisarmonica di Castelfidardo (Italia) nella categoria jazz. Il fiumano Francesco Squarcia, ha studiato all’Accademia musicale di Lubiana nella classe del prof. Rok Klopčič conseguendo il Premio Prešeren. Premiato al concorso “Istria nobilissima”, è membro dell’orchestra sinfonica dell’Accademia di Santa Cecilia di Roma che lo ha portato a collaborare con prestigiose istituzioni concertistiche internazionali. La serata è stata realizzata nell’ambito del programma culturale della Comunità Autogestita della Nazionalità Italiana di Capodistria e grazie al supporto finanziario da parte del Comune città di Capodistria e del Ministero per la cultura della Repubblica di Slovenia. Roberta Vincoletto 23 La città Il 2011 al Centro Italiano “Carlo Combi”: dalla ricerca scientifica alla nuova guida turistica su Capodistria Il Centro Italiano “Carlo Combi” alla fine dello scorso anno è stato contattato dalla Libreria Libris di Capodistria, con la quale ha proficuamente collaborato nel passato, la quale stava progettando la realizzazione di una nuova guida turistica su Capodistria, i cui testi sono stati prodotti dal noto storico dell’arte, dr. Salvator Žitko. Il Centro Italiano Carlo Combi ha ritenuto importante aderire da subito a tale iniziativa per promuovere e valorizzare la città di Capodistria, la sua ricca storia ed il suo patrimonio, includendo così anche la nostra realtà. Dopo più di un anno di intenso lavoro congiunto agli inizi di dicembre è stata pubblicata la nuova guida turistica di Capodistria intitolata Capodistria. La città e il suo patrimonio, in tre versioni linguistiche: sloveno ed inglese edite dalla Libreria Libris nonché in lingua italiana a cura dal Centro Italiano “Carlo Combi”. Le edizioni sono pubblicate separatamente ma con un’unica veste grafica. Con la nuova guida turistica si è voluto presentare la città di Capodistria nei suoi aspetti più ricchi e suggestivi anche mediante l’utilizzo di numerose fotografie ed un ampio materiale documentario. Tale pubblicazione sarà pertanto interessante e coinvolgente anche per il lettore nostrano, che potrà così riscoprire la propria città sotto una nuova luce. Il volume è suddiviso in dieci capitoli (introduttivo, dati generali, storia, passeggiando per la città, itinerario breve, itinerario lungo, patroni cittadini, stemmi di Capodistria, patrimonio dei dintorni e l’ultimo riguardante musei, gallerie e manifestazioni tradizionali), attraverso i quali si presenta l’Atene dell’Istria ed il suo immediato entroterra, con particolare riferimento alle ricchezze architettoniche ed artistiche oltre alle peculiarità naturali e geografiche. Il visitatore potrà scegliere tra due itinerari (breve e/o lungo), tramite i quali conoscerà i più significativi monumenti, le istituzioni, i noti personaggi e le famiglie capodistriane, che hanno caratterizzato la vita di questa città. Nella guida è stata inserita anche la pianta cittadina con evidenziati il percorso (lungo e breve) ed i Foto Andrej Medica 24 monumenti presentati. Non mancano curiosità ed approfondimenti presenti in appositi riquadri, che danno un tocco in più alla pubblicazione. Con tale iniziativa si è voluto, oltreché presentare degnamente la città di Capodistria ed il suo ricco patrimonio, anche promuovere il superamento delle barriere mentali ancora presenti, in quanto tale pubblicazione è il risultato di una cooperazione congiunta tra la maggioranza e la minoranza a dimostrazione che il patrimonio e l’amore per la propria città possono unire e favorire iniziative propositive. Tutti gli interessati all’acquisto dei volumi possono rivolgersi al Centro Italiano “Carlo Combi” ossia visitare il sito (www.centrocombi.eu) tramite il quale sarà possibile ordinare la propria edizione. La città Se ne va la Console Marina Simeoni. Il Consolato chiude? Il linguista Francesco Sabatini a Capodistria Lascia un gran bel ricordo di se’ la dottoressa Marina Simeoni che fino ad agosto è stata Console Generale d’Italia a Capodistria. Sempre presente, quando gli impegni glie lo permettevano, alle manifestazioni delle nostre Comunità, sempre disponibile e gentile con tutti. Una recente normativa italiana in materia di quiescenza ha comportato anche per lei l’obbligo di anticipare i tempi del pensionamento. »Due anni trascorsi in questo splendido territorio - ha detto prima di partire da Capodistria - mi hanno arricchita non solo professionalmente, ma soprattutto umanamente«. Pare che la Simeoni non sarà sostituita. Il Ministero degli Affari Esteri italiano, nel quadro del programma di ristrutturazione della rete estera, avrebbe infatti decretato la chiusura di 19 consolati italiani nel mondo. Tra questi compaiono anche i consolati di Spalato e Capodistria, la cui attività si sarebbe notevolmente ridotta negli ultimi anni. Foto Gianni Katonar Il Dipartimento di Italianistica dell’Università del Litorale dedica ogni anno un ciclo di lezioni ai docenti di italiano delle scuole di ogni ordine e grado in Slovenia. Quest’anno si è deciso di proporre un ciclo di lezioni sulla scrittura e sull’oralità. A Palazzo Gravisi, sede della nostra Comunità, è intervenuto il prof. Paolo Balboni dell’Università Cà Foscari di Venezia che ha coinvolto i presenti con una relazione dal titolo: »Verba volant, ma, se ben gestite, forse manent«. All’Università è intervenuto invece il dott. Fabio Caon, esperto di insegnamento dell’italiano agli stranieri. L’iniziativa si snoderà durante tutto lanno scolastico e l’ultimo incontro si è tenuto il 16 dicembre con un ospite d’eccezione: il prof. Francesco Sabatini, presidente onorario dell’Accademia della Crusca, che molti ricorderete per la sua rubrica nel programma di Rai 1 »Mattina in famiglia«. A Capodistria il prof. Sabatini ha parlato della grammatica valenziale e dei criteri di valutazione. Foto santeramo.it Nell’anno Monaldino, celebrata una messa nella ex chiesa conventuale di San Francesco 9 novembre. Dopo oltre due secoli è stata celebrata una messa nella ex chiesa capodistriana di San Francesco. L’edificio venne chiuso, assieme al Duecentesco convento, dalle autorità napoleoniche nel 1806. Più tardi l’ex chiesa venne ridotta dagli austriaci in palestra, ruolo mantenuto fino a pochi anni fa. Ora per l’edificio, proprietà del Comune, si prospettano tempi migliori: si intende adattarlo a sala concerti e ambiente per cerimonie protocollari. Nei prossimi mesi se ne occuperanno gli archeologi, dopodichè partirà l’opera di restauro. L’occasione per la celebrazione della messa è stata data dalla commemorazione del Beato frate Monaldo, conventuale di Capodistria, a 800 anni dalla sua nascita. Il religioso, considerato uno dei massimi giuristi ecclesiastici del 13.mo secolo, era sepolto infatti in questa chiesa e oggi le sue spoglie si trovano in Santa Maria Maggiore a Trieste. Nell’ambito dell’anno Monaldino, sono previsti ancora due eventi: l’esposizione alla Biblioteca centrale (Palazzo Brutti) di un’edizione originale della »Summa Monaldina« e la restituzione al convento di Sant’Anna della biblioteca sottratta ai minoriti nel 1948. Foto Primožič/FPA 25 La città Foto Jana Belcijan l 24 novembre il Piccolo teatro di Capodistria ha messo in scena “I speak gulasch”. Il testo, in origine saggio radiofonico scritto da Kenka Lekovich, era stato il contributo dell’autrice al progetto »Die Poetik der Grenze« (La Poetica del confine), per Graz capitale europea della cultura nel 2003. Un testo ironico con sfondo riflessivo. Il gulasch del titolo è, infatti, quella mescolanza di lingue, di dialetti, di culture e di appartenenze nella quale tutti gli abitanti delle zone di confine si ritrovano a doversi dibattere e del quale l’autrice si fa strenua paladina, rivendicando il diritto di non scegliere ed esaltando quella mescolanza, che come il gulasch, insaporisce la vita di tutti noi. Lo spettacolo - attori principali Elke Burul, Rosanna Bubola e Mirko Sodano, per la regia di Livio Crevatin – è stato organizzato in collaborazione con l’Unione italiana e l’Università popolare di Trieste. 15 agosto. Nella fessura di un muro del bar Cameral, in Calegaria, è stato rinvenuto un foglio firmato Degrassi 1897 (foto). Sul fronte c’è questo curioso messaggio: »In questo nascondiglio venne nascosta la somma di Fiorini 2748 in moneta sonante, che troverete percorrendo 5 volte al giorno la Calegaria«. 26 novembre. La 40.esima edizione del Festival »Voci nostre« si è svolta al Teatro di Pola. Ha vinto la concorrente di Buie. Se la sono cavata molto bene anche le capodistriane Staša Galvani e Maristella Di Leva (al centro della foto) col brano “L’arca di Noè” (ContinoloPunis). Mentore Edoardo Milani. 1 ottobre. Alberto Zetto ha aperto il caffè “Bandèr”. Al pianterreno di casa, quasi di fronte al Museo, ha ricavato uno spazio dove prima teneva un magazzino e dove suo padre Arrigo svolgeva il lavoro indicato nel nome del bar. Era stato infatti, assieme a Guido Ponis, l’ultimo bandaio di Capodistria. Il selciato delle vie principali è costituito da pesanti blocchi di arenaria. Nelle vie periferiche, dove abitavano soprattutto contadini, le vie erano lastricate con sassi minori disposti in modo irregolare. Gli ultimi esempi di questo tipo si trovavano nel rione di Ognissanti, dietro il Videocenter. Pochi mesi fa infatti le stradine sono state asfaltate. Prima che l’asfalto coprisse le pietre, ho scattato una foto ricordo…j 26 La città Nel 1872 il prof. Torquato Taramelli dell’Istituto tecnico di Udine redasse uno studio geognostico- agrario del territorio di Capodistria. Ne riportiamo il testo assieme alla carta in scala 1:50.000. Studi geognostico-agrari del territorio di Capodistria del prof. Torquato Taramelli Il territorio di Capodistria è formato dai bacini idrografici dei due torrenti Risano e Fiumicino, i quali con direzione a tramontana si svasano nel mare, e dall’anfiteatro di Isola. Essendo lo spartiacque tra i primi due torrenti meno elevato in confronto dei colli, che si elevano a levante ed a ponente e quindi meno projettandosi quello nel mare, ne risulta un seno, che si svolge dalla Punta Grossa alla Punta di S. Marco. In questo seno appunto, sopra un’isoletta alta 12 metri sul livello marino sorge amenissima la cittadella di Capodistria. Una lingua di alluvioni trasportate dal Fiumicino e dalle Lovisato d’Isola un esemplare di Conoclypus; grosso correnti di marea accumulate dietro l’isoletta congiunge echinide emisferico o conico, che compare a questo livello la città alla terraferma. Più a levante, si protende in o poco sopra in tutta l’Istria, come nel Veneto. Vi osservai mare stretto e tortuoso il delta del Risano, colla forma anche abbastanza copioso un Pecten ed un’Ancillaria, caratteristica dei delta mediterranei e con uno sviluppo che notai comunissimi nella Foiba di Pisino, nel Carso di proporzionato alla somma erodibilità delle rocce prevalenti Albona, nella valle della Dragogna e nei pressi di Sterna, nella corrispondente vallata. di Matterada e di Carsette, presso Buje. A ponente della Punta di S. Marco si apre un grazioso La complessiva potenza di questo calcare, dietro analogia anfiteatro di colline, in mezzo al quale sopra uno scoglio col più vicino punto di affioramento sulla sinistra sponda pur collegato alla terraferma con un cordone alluvionale della rada di Pirano, non deve esere maggiore di metri sorge la cittadella di Isola. La natura 50, e più sotto esiste indubbiamente però della roccia di questo scoglio il calcare a Radioliti della Creta toglie ogni analogia geologica superiore; roccia che non affiora in tra queste due orografie cotanto alcun punto del territorio, mentre somiglianti. costituisce gran parte dell’altipiano Infatti, l’isoletta di Capodistria è dell’Istria occidentale e meridionale, per natura del terreno perfettamente ricoperta da uno strato più o meno analoga alle colline della spiaggia; potente di Terra rossa. Siccome lo scoglio di Isola invece, consta di però, tanto tanto nell’Istria, come un terreno che indarno si ricerca nei in tutte le Alpi Giulie meridionali, colli circostanti. Epperò chiunque si quest’ocra ricopre indifferentemente faccia a studiare un po’ da vicino la il calcare nummulitico inferiore serie di terreni nel territorio stesso ed il calcare-cretaceo; così, anche sviluppati, sarà portato certamente ad Isola, essa viene accusata dal a dare non lieve importanza a coloramento superficiale della quest’ultimo punto, che sull’azzurro massa calcare e dal terriccio, che ne delle onde spicca soltanto per ricolma i meati. Un filo di Acqua l’ammasso biancheggiante di case termale, solfurea, che sgorga dallo quivi accumulate. Dal mare in cui fu scoglio, è quasi l’ultima traccia generata, colà affiora una compatta dell’attività vulcanica, che travagliò Torquato Taramelli congerie di organiche reliquie di non poco questa regiona, quand’era roccia calcare; conservatissime ancor sepolta di qualche centinajo di tuttora dopo migliaia di secoli, dopo varie oscillazioni, metri nel mare. Poiché la Terra rossa, così ricca di ossidi dopo che dal mare stesso le fu contesto e quindi rapito metallici, così assolutamente destituita d’ogni avanzo di un potente involucro di rocce più recenti, meno compatte, vita vegetale od animale, così omogenea ed uniforme chimicamente e meccanicamente diversissime, le quali ovunque si presenta nelle Alpi orientali come in alcuni formano la spiaggia e la regione circostante. Il calcare di punti della valle padana, non si può a mio avviso spiegare Isola, specialmente sotto la chiesa di S. Pietro, è formato altrimenti se non considerandola quale un prodotto di da grosse Alveoline, allungate e globulari, da Operculine, salse sottomarine. da Nummuliti e da un’infinità di altre foraminifere Il calcare di Isola, tanto negli strati nummulitici, quanto politalamiche. Le Nummuliti prevalgono negli strati negli inferiori distinti dalle Operculine, appartiene alla superiori, e quivi appunto venne rinvenuto dal signor prof. formazione dell’Eocene inferiore, riferita all’Epicretaceo 27 La città dai signori Cornalia e Chiozza, e quindi distinta col nome di Liburnico negli ulteriori lavori del sig. G. Stache. Un ultimo lembo di questo calcare si rinviene anche nel Friuli nei dintorni di Gradisca ed al colle di Medea. Esso scompare sotto le rocce arenaceo-marnose, che formano quasi totalmente il territorio capodistriano; né accade di rintracciarlo altrove, se non accostandosi all’altipiano dello Schlaunig (Slavnik, ndr), la cui base tutta di calcare nummulitico decorre da San Servolo (Socerb, ndr) alle origini del F. Risano. Precisamente ove il temporaneo filo d’acqua, che discende dalla valle di Villadol (Dol, ndr), riceve il copioso e costante tributo della Sorgente del Risano, là appunto si presenta nuovamente il calcare nummulitico di Isola. Sotto questo, coll’intermezzo di alcuni banchi marnosi, ricompare il calcare ad Alveolina, coi caratteri litologici, che conserva in tutto l’altipiano dell’Istria orientale sino alla Punta di Fianona. Più a ponente, il calcare nummulitico compare a Covedo (Kubed, ndr), ed avanzandosi verso San Antonio (Sv. Anton, ndr) costituisce il dosso, che si protende a N del paese, quasi spoglio di vegetazione. Quivi precisamente si può constatare la reale sopraposizione di quel calcare ai letti di marne scagliose, che affiorano là e ricompaiono nel Carso. Tranne le accennate località, ove compare il calcare nummulitico, il territorio di Capodistria è totalmente formato da un’alternanza di marne e di arenarie con alcuni banchi di conglomerato calcare fossilifero. È la formazione del Tassello, che tra gli altipiani del Carso e quello meno elevato dell’Istria occidentale si stende in ampia zona, dal Golfo di Trieste al Quarnero. Le rocce, che costituiscono questa Formazione, sono così varie e finamente stratificate e tanto bizzarmente le une alle altre si sovrapongono, che per ciascuna di esse è difficile indicare le aree e le località ove prevalgono. Quasi in ogni campo, lungo tutti i sentieri che si aggirano pei lieti oliveti e per le vigne, lungo tutti i torrenti che solcano profondamente quella massa di terreni erodibilissimi, occorre di osservare la stessa miscela di elementi arenacei e marnosi; onde par sempre di essere 30 nel luogo medesimo. Anche gli accidenti stratigrafici e specialmente quel facilissimo e assai marcato clivaggio romboidale delle arenarie e la frequenza e l’uniformità dei problematici Fucoidi, fanno ancor più vivamente risaltare la grande uniformità dei piani, di cui risulta la formazione arenaceo-marnosa. Tuttavia, partendo dal calcare suaccennato e gradatamente accostandosi ai piani superiori e più recenti della formazione stessa, si ponno stabilire dei fatti di valore abbastanza generale. Prima di esporli però, conviene brevemente esaminare le condizioni stratigrafiche del territorio e trarre da queste una guida sicura per giudicare dell’epoca relativa e della equivalenza dei vari orizzonti. Gli affioramenti di Isola e di Covedo rappresentano naturalmente due centri, da cui gli strati devono divergere più o meno rapidamente; poiché a questi due punti corrisponde il colmo delle curve prodotte dal sollevamento. Dobbiamo alla esportazione della superiore formazione arenaceo-marnosa se quivi in luogo di un rilievo si osserva una depressione. Analogamente nella catena del Giura e più presso a noi nel Vicentino in terreni identici agli istriani, simili volte stratigrafiche, rotte ed erose, furono convertite in veri anfiteatri a gradinate concentriche, prodotte dalla ineguale erodibilità degli strati. Vediamo infatti dalla punta Ronco a quella di San Marco affiorare le testate degli strati inclinati a S O e S E; mentre che a San Antonio, a Rosariol (Rožar, ndr), sotto Antignano (Tinjan, ndr) nel dosso arenaceo di Covedo ed alle sorgenti del Risano prevale la inclinazione a N E e N O. Congiungendo poi con un profilo questi due punti di affioramento della inferiore formazione calcare (com’è indicato dallo spaccato A B della tavola annessa) e tenedo dietro all’andamento degli strati, si rileva che tra queste due volte o anteclinali non si incurva una semplice sinclinale, come potrebbe essere il caso se si trattasse di rocce compatte ed a banchi molto potenti; ma che invece si presenta una sinclinale assai compressa in corrispondenza del dosso di San Antonio, e che quindi si incurva piuttosto dolcemente una anticlinale intermedia, avente il suo asse ad un dipresso nella direzione da Maresego (Marezige, La città ndr) a Capodistria. Poiché questa direzione coincide per un certo tratto a quella del T. Fiumicino o Cornalunga, accade che lungo i suoi versanti affiorino quei terreni stessi, che si osservano nel seno di Isola, e si presentino opposte inclinazioni a S O ed a N E. Lo scoglio arenaceo marnoso di Capodistria appartiene alla gamba orientale di tale curva. La inclinazione N E che quivi si osserva prevale anche in tutte le colline dalla Punta Grossa ad Antignano. Al colle di Antignano, verso la vetta, la inclinazione si cambia bruscamente e spesso gli strati si fanno verticali, con direzione verso le Scoffie (Škofije, ndr), ed è assai probabile che quivi si ricurvi una sinclinale parallela a quella di San Antonio. Ad ogni modo è certo che presso Antignano, a San Antonio e presso Paugnano (Pomjan, ndr) devono trovarsi i piani più recenti della serie; mentre che avvicinandosi agli affioramenti calcari di Isola e di Covedo, oppure discendendo lungo i versanti del T. Fiumicino, si troveranno gradatamente gli strati più antichi. Difatti nelle accennate direzioni si può rilevare una serie di terreni, che corrisponde perfettamente non solo alla serie istriana, ma a quella del Friuli occidentale, del quale l’Istria è la naturale continuazione geologica. In relazione coll’accennata disposizione stratigrafica, ove le curve sono più compresse, cioè nella vallata del Risano, la continuità degli strati è meno conservata e le rocce sono più frantumate e più interrotte da salti. Per la ragione stessa i rilievi di Antignano, Paugnano e Cossianciz (Kocjančiči, ndr) toccano ad un’altezza assai maggiore di quella che corrisponderebbe al reale spessore della Formazione arenaceo-marnosa; poiché gli strati sono variamente inclinati e ripiegati. Le notate particolarità stratigrafiche (che si rilevano abbastanza facilmente qualora si prescinda dalle singole contorsioni, tanto più frequenti e bizzarre quant’è minore la potenza dagli strati) sono sufficienti per intendere la successione delle rocce prevalenti ed il loro vario affioramento nella superficie esaminata. Al contatto del calcare nummulitico inferiore di Isola e di Covedo si osserva, al pari che in tutta l’Istria eocenica, la prevalenza delle marne. Sono povere di carbonati; hanno un colore ceruleo quando sono in banchi potenti giallognolo presso la superficie degli strati, lungo le fratture ed anche in tutta la massa, se la stratificazione è assai fitta. È manifesto che il coloramento giallo, dato dal sesquiossido idrato di ferro, è conseguente al coloramento originario azzurrognolo, dato dal sesquiossido. In queste marne inferiori è assoluta la mancanza di fossili. Nemmeno i fucoidi, che si presentano ovunque in orizzonti più elevati; nemmeno le foraminifere, che ricomparivano numerosissime appena che i deposito si faceva più calcare ed arenaceo; nemmeno un rappresentante della numerosa classe degli Echinidi, comunissimi nei terreni eocenici più antichi e più recenti. Si rinvengono soltanto delle geodi ocracee, che probabilmente provengono da nuclei di pirite decomposti. Sarebbero forse anche queste argille azzurrognole, almeno in parte, un prodotto endogeno collegato colla rapida cessazione del deposito calcare e quindi coll’improvviso mutamento orografico, che deve aver causato la cessazione stessa? Non sarebbe facile né opportuno il dilucidare ora questo dubbio. Giovi piuttosto considerare come la presenza di queste marne prive di fossili ad immediato contatto del calcare nummulitico inferiore sia comune a tutta la regione eocenica dell’Istria, con varia potenza e con varia compattezza. Ad esse corrisponde precisamente il nome di Tassello; distinguendosi poi col nome di masegno la forma arenacea, prevalente nei piani superiori. Dove l’argilla azzurrognola ha una assoluta prevalenza, il terreno è singolarmente sterile; vuoi per la troppo facile erodibilità, vuoi per troppo rapido asciugarsi nelle prolungate siccità, che sgraziatamente travagliano la penisola. L’agricoltore, con opportuni terrazzi facendo più dolce il pendio e raccogliendo le acque in apposite fosse, diminuisce in parte il dannoso effetto di queste due cause. Questa zona del Tassello si tiene presso le falde dei colli, che circondano Isola; quindi affiora a più riprese lungo le valli del Fiumicino e del Risano. Si sviluppa specialmente presso Rosariol e tutt’attorno al dosso del calcare di Covedo. 31 La città Sopra queste marne riposano generalmente alcuni straterelli arenacei; poscia sui banchi di conglomerato nummulitico, di calcare a piccole foraminifere e di calcare leggermente marnoso. Queste tre rocce affiorano sempre associate in zone della complessiva potenza dai 2 ai 6 metri, e perché meno erodibili segnano il ciglio di terrazzi orografici spesso assai marcati e continui. Discendendo da Paugnano a Capodistria in linea normale alla direzione della formazione arenaceo-marnosa si incontrano quattro di tali zone, delle quali le intermedie corrispondono a due gradini orografici assai distinti lungo tutto il versante occidentale del seno di Capodistria. Questi banchi calcari rappresentano nel loro complesso la formazione dei Conglomerati fossiliferi, che riposa sul Tassello in tutta la penisola e nella striscia eocenica dell’Isola di Veglia. Il decorso di questi banchi è segnato sulla unita Carta geognostico-agraria, ed il loro affioramento indica ad un dipresso la direzione della formazione areaneo-marnosa nell’area esaminata. Uno di questi banchi si osserva anche in Capodistria ed è lo stesso che più a mezzogiorno ricompare alle falde dei colli di Canzan (San Canziano, ndr) e di San Bastian (Tribano, ndr). Più a levante, da Antignano alla Punta Grossa ed al colle di Sermino (isolato nelle alluvioni del Risano) non mi accadde di osservarne, e probabilmente non ve ne esistono di fatto; poiché quivi si sviluppano le rocce superiori, giammai calcari, delle formazione in discorso. Queste rocce, in parte già comparse nei piani più antichi ed in parte esclusive agli orizzonti superiori ai conglomerati calcari, sono: 1. 2. 3. 4. Arenarie quarzoso-minacee, di colore azzurrognolo all’interno e giallo nelle porzioni idratate; Arenarie quarzose a cemento poco tenace; Arenarie calcareo-quarzose con piccolissime foraminifere monotalamiche; Marne giallognole, più o meno compatte, a strati assai sottili, erodibilissime, meno sterili del Tassello propriamente detto. Queste si alternano colle arenarie precedenti. Le arenarie n.1 gradatamente aumentano in potenza dal basso all’alto delle serie. Sono comunissime arenarie a Fucoidi, che caratterizzano i piani superiori dell’Eocene medio, e son note ai geologi alpini sotto il nome di Flysch. Si scavano attivamente presso la Punta Grossa, e somministrano il migliore materiale di costruzione. Ben scelte, sono tenacissime e resistono alle meteore (piogge, ndr). Occorre però che non sieno marnose, né di struttura fogliettata, né inquinate da solfuri in decomposizione; nei quali casi si sgretolano miseramente. Le arenarie quarzose a cemento poco tenace sono meno comuni e più recenti. Prevalgono specialmente al M. Moro, al colle di Antignano, e tra Paugnano e Monte (Šmarje, ndr), ed il loro sfacelo sembra essere ormai acconcio per la vegetayione boschiva. Le arenarie calcareo-quaryose a foraminiferi compajono colle precedenti tra Antignano e 32 le Scoffie e nel tratto da Paugnano e Maresego. Hanno uno sviluppo affatto subordinato e corrispondono al piano dei conglomerati quaryosi del Friuli orientale, che mancano all’Istria. Le marne finalmente si alternano costantemente colle arenarie; man on raggiungono giammai potenya delle argille inferiori. Hanno un colore piuttosto sbiadito, si impastano poco coll’acqua, si sgretolano facilissimamente, e danno una sensibile effervescenza cogli acidi. Sono anch’esse povere man on assolutamente mancanti di tracce organiche. Spesso poi presentano delle concrezioni calcari, che senza avere una forma definita, pure accennano a qualche forza biologica, che abbia contribuito alla loro formazione. Potrebbero essere coproliti o spongiari. La mancanza di fosfati però, constatata dall’egregio collega prof. Nallino, rende più accetta la seconda ipotesi. Qualunque sia la loro origine, ne accenno la presenza perchè sono comunissime a questo livello in tutta l’Istria e nel Friuli, e quand’anche altro non fossero che concrezioni calcari formate per sedimentazione chimica ponno avere tuttavia un certo valore come carattere litologico. Le relazioni stratigrafiche e più ancora le proporzioni di potenza di queste rocce superiori ai conglomerati calcari, variano dall’uno all’altro estremo del territorio. È abbastanza costante una zona di marne giallicce a straterelli sottili, alternate con straterelli arenacei, che ricopre il più recente banco di conglomerato a Paugnano e Maresego colla media potenza di 30 metri. È la ripetizione di una serie identica, che affiora lungo la vallata del Fiumicino tra il secondo ed il terzo dei banchi nummulitici indicati sulla Carta. Nell’alta valle del Risano queste zone di marne superiori ai potenti banchi di conglomerati quivi affioranti sono più sviluppate, più estese e più contorte, in causa dell’arrovesciamento stratigrafico, che a breve distanza ritorce e capovolge tutta la serie eocenica. In generale le arenarie e le marne sono equabilmente sviluppate nell’area del territorio di Capodistria, per guisa che io credo quivi avvenga la transizione tra la prevalenza di arenarie, che si osserva nelle valli del Vipacco (Vipava, ndr), della Poika e del Friuli, e la prevalenza delle marne, che in tutta l’Istria si rimarca al contatto od a breve distanza dalle zone fossilifere. Ovunque po igli strati più recenti di questa zona arenaceo-marnosa presentano una struttura più grossolana e più frequente la presenza delle sabbie quarzose e micacee. Nelle arenarie di osservano anche dei grandi verdi di clorite, che hanno una speciale importanza per le relazioni cronologiche colle formazioni laviche dell’Eocene, le quali contemporaneamente a questi depositi e a breve distanza si espandevano per vulcani insulari e sottomarini là dove al presente ondeggiano ridenti e feraci i colli Berici ed Euganei. Questi granelli verdi si rinvengono anche nei calcari arenacei e fossiliferi di Nugla, presso Pinguente e del M. Camus, presso Pisino, ed accennano ad emersioni doloritiche o basaltiche di qualche periodo anteriore ma parimenti eocenico. Le arenarie quarzose e le marne arenacee, giallognole, sono i terreni più recenti, che si osservano nel territorio. La città Stante l’accennata disposizione stratigrafica, prevalgono lungo i dossi delle colline che circondano Capodistria. Nel suo complesso, la formazione arenaceo-marnosa, coi banchi nummulitici compresi, appartiene all’Eocene medio. Presenta un graduale passaggio dalla forma argillosa, prevalente all’aurora di questo periodo, alla forma arenacea, che facevasi sempre più mcomune verso la fine del periodo stesso. Nel periodo dell’Eocene superiore la regione emerse e le forze endogene ed esogene tracciarono la sua stratigrafia e l’abbozzo della sua orografia. A questo primo periodo di emersione corrisponde la profonda abrasione per azione meteorica e torrenziale della formazione arenaceo-marnosa nelle aree ove è messo a nudo il calcare nummulitico. Ad esso tenne dietro una sommersione, in epoca miocenica, durante la quale venne eruttata e dispersa la Terra rossa. Dal Miocene medio in poi la regione che abbiamo brevemente esaminata rimase emersa e si stabilirono in essa, per opera diuturna della causa accennata, quei dettagli orografici ed idrografici ond’è morbidamente plasmata e profondamente solcata, in relazione colla grande erodibilità della prevalente formazione arenaceomarnosa. Nelle epoche posterziarie perdurò attivissimo e tuttogiorno continua questo lavorio dagli agenti esogeni; instancabile, utilmente o dannosamente efficace, a seconda del partito che ne sa trarre l’industria agraria. Il prodotto di questo lavorio erosivo, esercitato per una sequela non solo di periodi, ma di intere epoche geologiche, venne quasi interamente ingojato dal mare; meno il piccolo tratto delle accennate alluvioni del Risano e del Fiumicino. Alluvioni finissime, marnose, acquitrinose, pochissimo elevate sul livello marino; quantunque la potenza ne debba essere ragguardevole. La scomparsa, o meglio diremo, la sommersione dei prodotti dell’alluvione posmiocenica è una prova non dubbia di una sommersione della regione intera dal miocene in poi, forse continuatasi anche in epoca antropozoica. I poco estesi tratti alluvionali serpeggiano tortuosi e sempre più assottigliati lungo i torrenti, generalmente mantenendo la loro natura argillosa e la scarsezza di ciottoli. La natura delle rocce formanti i rispettivi bacini idrografici e più ancora l’indole torrenziale dei corsi d’acqua (esagerata dalle locali condizioni climatologiche, per cui rovesci di acque diluviali e piene fangose e temporanee si alternano con lunghi periodi di siccità e di magra, o di assoluto esaurimento) sono le cause dell’accennata mancanza di ciottoli, che può dirsi generale nelle alluvioni della penisola istriana. Le stesse cause d’altronde rendono assai bizzarro il regime degli accennati torrenti. Ognora strozzati da confluenti, che apportano uno straordinario tributo di dejezione, si aggirano tortuosi e lenti laddove dovrebbero essere rapidi. Un filo d’acqua diventa poco presso uno stagno profondo; quindi ricompare putrido e schiumoso per disperdersi poco dopo nella fangosa macerie, che ingombra il letto. Il fiume-torrente Risano presenta una copia maggiore e più costante di acque; poiché trova una fonte perenne a levante di Covedo al contatto della marna con un potente banco di calcare nummulitico. La prima serve di strato coibente; il secondo di strato bibulo, unitamente agli altri strati calcari, che si incurvano bizzarramente nell’adiacente altipiano da Podpecchio (Podpeč, ndr) a Cernical (Črni kal, ndr) e ricompaiono a ponente colla cresta da Covedo a Figarolla (Smokvica, ndr). * * L’opuscolo di conclude con l’elenco dei fossili rinvenuti nei territori di Isola e Capodistria Paesaggio lunare sul Sermino 33 La città Scorci di Capodistria nelle poesie di Luciana Artioli Luciana Artioli, nata Scher, è stata insegnante di classe a Bertocchi, Sicciole, S. Lucia e infine nella sua Capodistria. Da quando è in pensione (2005) si diletta a scrivere anche qualche poesia. »Le scrivo in pochi minuti« ci ha confidato » trovando l’ispirazione da scene, immagini e pensieri che incontro passeggiando«. Luciana ha scritto decine di poesie. Per questo numero de La Città ne ha scelte quattro. Nebbia Non si vedono più le pittoresche vette immacolate che dividono all’orizzonte: il mare dal cielo; ne’ le fertili colline racchiudono a semicerchio la ridente baia. Il grigio perla predomina e copre il tutto. L’intricatissima e fittissima ragnatela dello zucchero filato avvolge le persone rendendole diafane, eteree pronte a prendere il volo verso mondi e destini ignoti ed inverosimili. La passeggiata della Semedella E arrivò la Candelora …portando bora… E come da vecchia usanza… Sole e tanta speranza. Anche Capodistria Ne fu miracolata, da morta…a nuova linfa fu beneficiata. Il tratto più ammirato? Il ponte di Semedella appena ultimato! 34 Ora, largo ed ampio Come una pista d’aeroporto A grandi e piccoli offre conforto. I piccolini su pattini o in carrozzina offrono davvero una bella vetrina Giovani ed adolescenti aspirano ad un incontro duraturo che li veda protagonisti anche nel futuro Adulti ed anziani Passeggiano lentamente Tenedosi a braccetto o per mano Teneramente Bella l’idea appena realizzata. Porta forza e vigore a tutti coloro che l’hanno sempre amata. Effetto bora Fa freddo. Imposte e finestre sono chiuse quasi ermeticamente ma contro i vetri intirizziti le tende della cucina si gonfiano e sgonfiano ritmicamente afflosciandosi infine ormai esauste In piazza le foglie rattrappite ed infreddolite ballano il loro ultimo girotondo. In riva al mare la carreggiata e i marciapiedi sono coperti da tappeti multicolori di sacchetti di plastica di varie grandezze; tra poco saranno raggiunti da altri coetanei protagonisti in questo momento di invidiabili e vertiginose contorsioni, capovolte, acrobazie risultando migliori artisti di strada del momento, coadiuvati da raffiche di bora che oltrepassano i 110 km orari Assonnato e muto il porto. La fontana infreddolita La fontana ha indossato la camicetta bianca; sembra una ballerina classica dal tutù bianco molto elegante. Ieri nel pieno del suo fulgore sprizzava acqua da tutti i pori e roteandola con mille girandole la lanciava in tutte le direzioni per poi… farla cadere sotto forma di un lanugginoso fungo. Ora, stende Le sue braccia inermi In attesa Di giorni migliori, non offrendo refrigerio ma pur sempre spettacolo. La città La scorsa estate su Radio Capodistria è andata in onda una trasmissione dal titolo “Cervelli in fuga”. Sono stati contattati diversi giovani istriani e fiumani che oggi vivono o hanno avuto esperienze di lavoro all’estero. Per gentile concessione del caporedattore dell’emittente, Aljoša Curavić, riportiamo la trascrizione delle interviste ad alcuni ragazzi provenienti da Capodistria. Barbara Visintin, promotore turistico in Dalmazia Barbara Visintin Dove sei e di che cosa di occupi? Io girovago tra Spalato e il delta della Neretva. Stiamo facendo un po’ di promozione turistica della zona. Spalato è già ben nota, invece questa zona più a sud lo è di meno anche se meriterebbe perchè vive ancora delle sue tradizioni naturalistiche e storiche. Recentemente a Vid, l’antica Narona, sono stati scoperti i resti di un tempio dedicato ad Augusto, primo imperatore romano, con sedici statue quasi intatte alte tre metri. Tu nasci a Capodistria. Dove hai abitato? Sempre a Semedella e ho fatto l’asilo, l’elementare e il ginnasio italiani a Capodistria. Che cosa avresti voluto fare da grande? Ricordo che già a 13 anni cominciavamo a collaborare col »Cantuccio dei bambini«, programma scolastico che andava in onda su Radio Capodistria. Da lì ho iniziato un percorso che poi ho seguito anche i miei studi. Tuo padre è Giorgio Visintin, giornalista, attore di teatro. Quanto hanno influito i genitori sulle scente che hai fatto? Beh, ho sempre bazzicato quest’ambiente, tra radio e televisione, essendo mio padre per tanto tempo impegnato in questo campo. Ma penso che, a prescindere dai genitori, è una cosa che nasce dentro di te. O la senti o non la senti. Per fare radio, per fare televisione devi avere qualcosa dentro. E non esser timido, non avere paura. Che poi tuo padre, Visintin, ha sposato tua mamma che di cognome faceva Vižintin… Loro si sono incontrati in radio proprio per questo motivo, perchè mio padre era curioso di vedere questa fanciulla appena arrivata che portava lo stesso cognome, o quasi. Stanno insieme ormai da più di cinquant’anni. Gli studi ti portano a Bologna. A Bologna perchè ho seguito gli studi inerenti alla comunicazione di massa presso il Dams. E lì ho passato un periodo bellissimo.Tra l’altro a Bologna ho trovato parecchi studenti istriani. Quale argomento hai scelto per la tesi di laurea? L’informazione e la multiculturalità in un territorio di confine, tesi tra l’altro anche pubblicata a Bologna. Vent’anni dopo il destino ti porta ancora più lontano da casa, nel sud della Dalmazia. Un incontro con un’ex simpatia dalmata dopo più di vent’anni. Ero in vacanza e rivedo questo ragazzo, ormai uomo, di cui non ricordavo neanche il nome. E poi mi ha convinta a restare lì. A Komarna, 70 km a nord di Dubrovnik. E lì ti sei dedicata al turismo. Alla promozione soprattutto per gli ospiti italiani e francesi. Gli italiani poi apprezzano molto questi luoghi già dominio della Repubblica veneta. Pensa che nei vecchi libri catastali vedi comparire prima l’italiano e Le statue romane di Vid presso Metković 35 La città Paradiso dei surfisti subito dopo la lingua croata. Anche giovani che fanno il kite-surfing. nel dialetto ci sono un sacco di termini Molti di noi passerebbero volentieri che derivano da quelli veneti. una settimana in Dalmazia. Ma Com’è stata la stagione viverci è un’altra cosa. Cosa ti quest’anno? manca dell’Istria? La crisi si sente. Le vacanze durano Mi mancano certe cose legate alle di meno, sette invece di 14 giorni. attività culturali, certe specialità Comunque non ci lamentiamo. culinarie…però adesso mi sto Un consiglio per visitare una impegnando a scoprire le peculiarità Dalmazia diversa? dei posti che frequento. Recentemente La valle della Neretva. Molti sloveni ho scoperto le isole Elafiti, davanti a vengono per fare nuove esperienze Dubrovnik, dove si scoprono storie naturalistiche, anche a raccogliere i interessanti. E’ bello instaurare un famosi mandarini di queste parti. Il rapporto con la gente del posto. I fiume, nella parte finale, è amato dai dalmati sono molto socievoli, noi siamo forse un po’ più riservati. E questo mi ha dato un po’ fastidio all’inizio, ma poi ci si adatta. Con tuo figlio parli italiano e o croato? Io in italiano, il papà in croato. Lui è bravo perchè a due anni ha già capito che con la mamma si parla in una lingua, col papà in un’altra. Gli devo fare i complimenti. Hai detto che passi alcuni mesi all’anno a Spalato, sai che c’è una Comunità degli italiani? So dove si trova, ma non ho ancora avuto il piacere di visitarla. A Zara tra l’altro stanno aprendo un asilo con lingua di insegnamento italiana. Io mi augurerei, un giorno, che si potesse replicare questa cosa anche a Spalato. Fra l’altro qui ci sono un sacco di stranieri, ho avuto l’opportunità di conoscere delle coppie miste, per cui il bilinguismo tra i bambini è una cosa abbastanza diffusa. A volte capita di sentir parlare questi bambini in tre, quattro lingue diverse. C’è una radio a Spalato che trasmette anche in italiano. Potresti chiedere di collaborare? Mi piacerebbe. Non sono ancora riuscita ad organizzarmi da questo punto di vista, però sicuramente un incontro sarebbe benvenuto. I famosi mandarini della valle del Narenta (Neretva). 36 La città Luca Jankovič, tra le ramblas di Barcellona Lui si definisce un meticcio istro-vojvođan, sua madre è la rovignese prof. Daniela Paliaga, ex preside del Liceo »Sema« di Pirano, suo padre è Stevan Janković ex responsabile tecnico di Radio Koper-Capodistria nato in Vojvodina. Ha frequentato l’elementare italiana a Capodistria. Oggi vive in Spagna, a Barcellona. ¿Como estas, todo bien Luca? Todo bien. Un saluto grandissimo a tutti i connazionali, gli amici dell’Istria e dei Balcani. Da quanti anni sei a Barcellona? Vivo in Catalogna praticamente dal 2000. Sai che hai già un po’ di accento catalano? Come se fossi nato qua, tutti me lo dicono. La conoscenza dell’istro-veneto t’ha aiutato ad assimilare la loro lingua? Sì, evidentemente conoscendo sia l’istro-veneto che l’italiano ho imparato velocemente entrambe le lingue. Qui ci sono il catalano, la lingua autoctona che si parla qui a Barcellona, e il castigliano, lo spagnolo conosciuto nel mondo. Ma sono simili, no? Sono due lingue romanze simili però diverse, con le loro particolarità. Hai vissuto l’infanzia a Capodistria. Asilo e primi anni scolastici a Semedella… L’asilo e poi la prima e la seconda dov eranamo eravamo in sei. Ho dei ricordi bellissimi della scuola di San Marco. Facevamo un pezzo di strada insieme con gli alunni della scuola slovena Anton Ukmar, poi ci dividevamo all’incrocio. Fanno un buon caffè a Barcellona? Insomma, lascia abbastanza a desiderare in confronto al caffè sia da noi che in Italia. Hai vissuto 14 anni a Capodistria. Ricordi particolari? Ricordi molti. Io ho vissuto a San Marco quando ancora il cucuzzolo del monte non era urbanizzato, non c’erano ancora tutti quegli edifici e si correva per il verde delle campagne, a rubare la frutta o a far ne delle nostre, a picchiarci o scemenze come fumare delle liane. Parliamo dei primi anni ‘80. Amici di allora? Gregor, Damian, Dimitri…con questi sono rimasto in contatto e sempre quando torno a casa facciamo una rimpatriata. Ma anche con altri, perchè a partire dalla terza classe sono andato alla scuola di Capodistria. Poi la famiglia si trasferisce a Pirano. E lì hai suonato con l’orchestra a fiati. Sì, suonavo il bombardino o corno tenore. Un gruppo fantastico capitanato dall’allora presidente dell’orchestra Radojkovič. Abbiamo fatto anche molte gare internazionali. Hai frequentato il Liceo »Antonio Sema« di Pirano, dov’era preside tua madre. Era un bene avere la madre come preside, o era più difficile? Io direi che non ho avuto facilitazioni, semmai ho avuto (interni miei) più problemi relazionati con i sensi di odio profondo verso mia madre quando la vedevo fare da preside. Poi negli anni di studio vai a Siena. Come mai? Ho fatto prima un’incursione a Trieste a Economia e Commercio. E’ andata male, non era la mia vocazione. Poi ho deciso di cambiare ambiente, avevo la passione della biologia e della medicina. Scelsi scienze infermieristiche e a Siena ho passato tra i migliori anni della mia vita giovanile. In autonomia, in solitario nella Casa dello studente di Siena. Un’esperienza bellissima che consiglio a chiunque abbia la possibilità di mandare i propri figli a studiare fuori. E poi hai conosciuto degli studenti spagnoli. All’ultimo anno conobbi un gruppo di spagnoli coi quali uscivamo. Conobbi Marta, la mia odierna moglie e da quel momento non ci siamo più separati. Parliamo di Barcellona, città della Spagna, capoluogo catalano. Come convivono queste due culture? Fui piacevolmente sorpreso quando venni qui e vidi come sono integrate queste due culture. E’ una cosa interessantissima da vedere quando persone diverse parlano in una conversazione uno il catalano l’altro il castigliano e non c’è nessun problema. Sono situazioni che per noi non sono nuove, no? Certo. Anche se da noi, almeno questa era la mia esperienza, se entrambi parlavano italiano si parlava in italiano, se uno dei due parlava sloveno era più facile passare alla sua lingua. In Istria capita anche di mescolare i due idiomi, qua non mescolano. Hai una figlia di due anni e mezzo. In che lingua le parli. Io le parlo in serbo, con non poche difficoltà. Ho deciso di parlarle in serbo perchè abbia almeno un po’ di background 37 La città di lingue slave. E l’italiano lo imparerà? L’italiano Lara lo parla già. Con la nonna parla italiano. Con me e il nonno parla in serbo. Con la nonna materna parla in castigliano e con sua madre parla catalano. Quindi parla quattro lingue distinguendole perfettamente. E dice anche qualche parola in inglese. Di che cosa ti occupi a Barcellona? Cominciai facendo di tutto, poi approfittai di quello che era il miracolo spagnolo legato alla costruzione. Feci un master di prevenzione sui rischi del lavoro. Poi ho aggiunto alle mie competenze le norme ISO, mi occupo di certificazioni per diverse ditte. È impegnativo? È impegnativo però ti da anche un grado di libertà perchè puoi pianificarti le cose che hai da fare. Hai definito la Spagna come un Balkan na Zapadu, ossia Balcani d’Occidente. Perchè? Perchè hanno parecchi elementi del carattere balcanico. Fare le cose lentamente, il gusto di fare festa, vivace vita sociale. Se penso a Barcellona mi viene in mente innanzitutto la Sagrada familia di Gaudì. Tu che ci vivi, vedi la città con occhi diversi… Barcellona secondo me ha bisogno di più di un giorno per essere visitata. Se uno si cala nella dimensione storica di quella che è stata l’evoluzione urbanistica e socioeconomica di questa città, può trovare delle piacevoli sorprese. Barcellona fa un salto di qualità bestiale, a cavallo tra il XIX e il XX secolo, con notevoli innovazioni urbanistiche aportate dal piano urbanistico Ildefons Cerdà 38 e con il grande architetto dell’art noveau Antoni Gaudì che incastona delle gemme fantastiche nel nucleo urbano. Ma non c’è solo Barcellona: nei dintorni ci sono sia cittadine sia posti con una bellezza naturale di rilievo. Parliamo di cucina. Cosa ci puoi dire in merito? La cucina è strepitosa. I dolci sono migliori da noi, ma il loro prosciutto (il jamon) è il re, non ha rivali nel mondo. Hanno piatti semplici ma buoni: uno, tipico della Catalogna, è il pa am tumata, che vuol dire pane col pomodoro. Prendono il pezzo di pane, lo spalmano con un pomodoro tagliato a metà, un po’ d’olio e di sale. E’ un elemento che accompagna i pasti e non manca mai sulle tavole catalane. Cosa ti piace della Spagna e cosa ti manca dell’Istria? Dell’Istria mi manca tantissimo l’aria, la bora. Mi manca quella sicurezza che ti da lo stare vicino alla tua famiglia, ai tuoi amici. La Spagna è un paese molto accogliente, dove si sta molto bene e ha tantissime cose positive che non basterebbe un’ora per spiegarle tutte. Non ti hanno mai fatto pesare il fatto di essere uno straniero? No, mai. Anche se è stato difficile far capire da dove venivo. Specie quando la Slovenia non era ancora entrata nella Comunità europea, sapevano qualcosa della Jugoslavia, poi confondevano con la Slovacchia. Adesso questo non succede. Tutti sanno dov’è la Slovenia. Ti manca il dialetto? Molto. Ma ogni tanto mi scappa qualche ‘nostra’ parolaccia. Qualche consiglio per visitar la Spagna. Ciodeve tempo. Merita andar al sud, nord, centro, i paesi baschi, le Asturie, in Galizia. Xe posti belissimi, la gente xe fantastica. E po’ andar a Madrid che xe una città favolosa. E vegnir a Barcellona che ga una vita diurna e notturna portentosa. Qualsiasi stagion va ben, perchè qua no fa mai fredo, l’unica se i vien in estate fa abastanza caldo. Se uno che ti conosce viene a Barcellona, può contattarti? Ha l’obbligo di contattarmi, se no m’incavolo. Un saluto a tutti quelli che mi conoscono, mi mancate tantissimo. La città Sara Bičić, traduttrice al Parlamento europeo Sara da quanto tempo sei in Lussemburgo? Sono venuta nell’ottobre del 2005, dunque sono sei anni. Di che cosa ti occupi? Lavoro all’unità di lavoro slovena nel Parlamento europeo. Gli uffici si trovano a Lussemburgo anche se il Parlamento lavora per la maggior parte a Bruxelles. Faccio un po’ di traduzione, poi siccome ho studiato giurisprudenza mi occupo della terminologia legale. Traduci da che lingua? Quando sono venuta qui traducevo dall’italiano e dall’inglese. Poi ho aggiunto anche il francese. Tra l’altro quali sono le lingue ufficiali in Lussemburgo? Il lussemburghese - che prima non sapevo nemmeno esistesse - si parla molto francese e quasi tutti parlano anche il tedesco. Sei nata a Capodistria. Hai frequentato le scuole italiane? Sono andata solo all’asilo italiano, e quando i miei genitori hanno constatato che non sapevo niente di sloveno hanno pensato bene di mandarmi alle scuole slovene: l’elementare “Pinko Tomažič”, il Ginnasio sloveno e Giurisprudenza a Lubiana. Quand’ero piccola parlavo sempre in italiano e devo dire che sono sempre rimasta in contatto con alcuni miei compagni di asilo. Col padre, il giornalista Eros Bičić, parlavi in lingua o dialetto? Sempre dialetto. Anche adesso con i parenti di Albona parlo sempre istro-veneto. Frequentando la scuola slovena, all’ora di italiano eri, suppongo, la più brava… Sì, però non ero l’unica a parlare italiano a casa. Sai com’è da noi: non tutti quelli che parlano italiano frequentano le scuole italiane. Come ci sono tanti bambini di madrelingua slovena che frequentano le scuole italiane. Esatto. Penso anche che questo sia il bello di Capodistria e delle nostre parti. Perché hai scelto Giurisprudenza? Un po’ per caso. Avevo i voti per andare dove volevo, ma non avevo le idee chiare su dove proseguire. Mi sono sempre piaciute le lingue, però pensavo che se studi lingue poi devi andare a insegnare. Non ero certa di voler far questo. Allora, con un po’ di fortuna, ho scelto Giurisprudenza ed ho fatto la cosa giusta. Ho trovato un lavoro che combina le due cose. Prima ho lavorato per tre anni dall’avvocato Starman, dove ho imparato tantissimo. Poi ho aderito a un bando per un posto di lavoro a Lussemburgo e adesso sono qua. A cosa bisogna adattarsi quando si va all’estero? Prima di tutto la lingua. Ho dovuto imparare il francese perché molti non comprendono l’inglese. Poi il modo di vivere, i prezzi. Raccontami una tua giornata tipo. Se il Parlamento non è in sessione si viene in ufficio verso le 9 e si lavora fino alle 17 o 18, a seconda di quanto si ha da fare. Otto ore lavorative con un’ora in mezzo per il pranzo. Se il Parlamento è in sessione si lavora in turni a volte anche fino a mezzanotte. Ci sono dei testi che arrivano a ora tarda dalle sessioni che bisogna tradurre in tempi brevi. Quanti siete nell’unità di traduttori in sloveno? Trenta traduttori e altri venti tra assistenti e stagisti. Ma non sarebbe più facile se gli eurodeputati adottassero una sola lingua? Sai che risparmio… Il fatto del multilinguismo è l’anima del Parlamento europeo. Penso sia affascinante sentire i deputati che si alzano prendendo la parola nella loro lingua. Già adesso si fa ricorso a lingue franche come il francese e l’inglese, però se non si usassero più le lingue dei Paesi si perderebbe, 39 La città Il Parlamento europeo secondo me, l’essenza del Parlamento europeo. Lussemburgo, mezzo milione di abitanti. Come si vive? Lo standard è molto alto. Le paghe sono alte ma anche i prezzi sono alti. Uno che lavora in banca può guadagnare cinque-sei mila euro, ma poi paga due mila euro di affitto o 500 mila euro un appartamento, un cocktail 15 euro. In Svizzera, in Norvegia è la stessa cosa. Però se viene in vacanza qui da noi se la passa bene. Eh sì, questo sì. Cosa ti manca dell’Istria? Dirò una cosa banalissima, ma dico il mare. Non ho mai sofferto il tempo, la pioggia…però adesso cosa darei per un po’ più di sole e avere il mare vicino. Quando ti chiedono di dove sei, cosa rispondi? Dico Slovenia. Per chi non la conosce, cerco di spiegare. Qualcuno ti ha mai chiesto come mai parli così bene l’italiano? Sì, specialmente i miei colleghi italiani ai quali spiego che questa caratteristica vale per noi che viviamo vicino al confine, specialmente per l’Istria. Lussemburgo 40 La città Nicola Klemenc, studia effetti speciali a Hollywood Nicola, che fai di bello a Hollywood? In questo momento mi trovo qui per un corso di effetti speciali. Sono sponsorizzato da una borsa di studio offerta dalla CRT, una fondazione bancaria del Piemonte. Sto seguendo le lezioni, sono praticamente tutti i giorni a scuola; lavoriamo tranquillamente tra le 10 e le 14 ore al giorno. Ti sarai fatto una passeggiata. Hai trovato qualche spiaggia stile Baywatch? Si, ho esplorato un po’ i dintorni. Sono andato a Santa Monica, Venice beach, quindi ho avuto modo di vedere di persona la spiaggia sabbiosa dove hanno girato Baywatch. Tuo padre Lean è produttore musicale e leader del gruppo musicale Calegaria, tua mamma Bruna Alessio è stata conduttrice a Radio Capodistria e oggi guida la filodrammatica della CI di Capodistria. Quanto hanno influito su di te? A modo loro hanno influito tantissimo, anche se in realtà non mi sarei mai aspettato di finire a lavorare nello stesso campo della produzione multimediale. Ho iniziato i miei studi nell’ambito della fisica, ho fatto prima ingegneria fisica, poi alla fine sono passato a ingegneria del cinema e poi mi sono ritrovato a Hollywood. Come nasce la tua passione per i film? L’ho scoperta nel corso dei miei studi universitari, soprattutto negli ultimi due anni. Seguendo i corsi per ottenere la laurea di Ingegneria del cinema ho scoperto un po’ il mondo della produzione audiovisiva. Che genere di film prediligi? Mi piacciono i film che riescono a coniugare un alto contenuto tecnologico con un significato che non si fermi alla superficie. Mi rendo conto di non essere proprio nel luogo ideale da questo punto di vista, visto che qui il primo pensiero – quando si produce un film – è quanto sarà il margine di guadagno. Dove hai abitato a Capodistria? Da bambino in centro, in una viuzza vicino al museo. Poi ci siamo trasferiti a Semedella. Hai frequentato la scuola elementare “Vergerio il Vecchio” nei primi anni novanta, agli albori dell’indipendenza della Slovenia. Che ricordi hai? Sono ricordi abbastanza vaghi. Ricordo nitidamente solo un episodio particolare, quando ci fu un allarme aereo e non mi stavo rendendo bene conto di cosa stesse succedendo. Passammo una giornata veramente particolare. Per fortuna non successe niente. Comunque nella mia adolescenza a Capodistria la vita trascorreva abbastanza tranquilla. Passavo qualche pomeriggio con i miei compagni di scuola. Sono ancora in contatto con diversi compagni delle elementari. Nico, come parlavate e parlate tra voi? Lingua, dialetto o sloveno? Tendenzialmente in italiano, poi ogni tanto si parlava in sloveno, dipendeva dagli altri partecipanti alla conversazione. Ci si adattava, spesso… I primi due anni di scuola media li fai al Ginnasio “Carli”. Questo periodo ha rappresentato un cambiamento che poi è stato accelerato dalla possibilità che mi è stata offerta di studiare in Italia. E’ stato un periodo in cui stavo iniziando a crescere. Certo il tutto avrebbe preso una piega diversa se me non me ne fossi andato. Infatti dopo due anni sei andato al Collegio del Mondo unito di Duino. Un’esperienza che personalmente vorrei potessero vivere tutti, perché entrare in contatto con così tante persone da tante parti diverse del mondo, in un’età giovane, permette di sviluppare una certa visione. Finito il Liceo uno va a lavorare o studia. Tu decidi di iscriverti al Politecnico di Torino. Mi sono trovato di fronte a una scelta difficile, da un lato mi sentivo attratto dalla medicina, dall’altro l’ingegneria. Alla fine ho scelto quest’ultima ed essendo il Politecnico una delle scuole migliori in Italia, ho deciso di andare a Torino. Anche per scoprire un po’ il mondo e vivere una grande città. Di che cosa ti sei occupato in particolare? Nicola, con gli occhiali da sole, assieme a colleghi di corso. 41 La città Un’aula della Gnomon School of Visual Effects. All’inizio ho seguito i corsi per ottenere la triennale in Ingegneria fisica che si occupa principalmente di microelettronica e di temi tecnologici abbastanza avanzati. Poi, sapendo che i miei interessi non erano strettamente legati a quel campo, decisi di cambiare e passare a Ingegneria del cinema, quella che mi ha portato in America. Di Torino che mi dici? Torino è una città particolare. I primi anni sono stati difficili, anche per via del cambiamento che può rappresentare per una persona che viene da un posto piccolo. Dopo qualche anno però, a viverci, a conoscere un po’ i torinesi e a scoprire i lati più nascosti di questa città, si crea una sorta di legame che… potrebbe portarmi a ritornarci. Che rapporto hai mantenuto invece con l’Istria, la Slovenia? Dei legami molto forti. Ci abita la mia famiglia e rappresenta comunque le mie radici, anche se spesso mi definisco italiano, poi dico che vengo dalla Slovenia. Molti non capiscono questa mia natura duplice. Diciamo che vive in me un certo lato dell’Istria, quella in cui convivono culture diverse. Una cosa che non si dimentica. Una volta laureato? Di solito si inizia con uno stage. Ho cercato che cosa offriva Torino e ho trovato il Festival View Conference che si occupava, e si occupa tutt’ora, di computer grafica. E ho fatto domanda per andare a fare un po’ di pratica e vedere come funzionano questi eventi che vertono sul mondo cinematografico e la tecnologia legata ad esso. Ultima tappa in ordine di tempo…ma chissà quante te ne aspettano ancora…Hollywood! Il progetto si propone di mandare un numero variabile tra i 70 e i 90 studenti laureati, ogni anno accademico, in giro per il mondo. Quindi io sono solo uno dei fortunati vincitori di questa borsa di studio. Nel mio caso specifico la borsa includeva anche due mesi di corso alla Gnomon school of visual effects, qui a Hollywood. Due parole su questa scuola. Diciamo che è una scuola particolare perchè rappresenta una via di mezzo tra un vero studio di produzione e una scuola di alta specializzazione nel campo della computer grafica. Molti degli istruttori nei periodi dell’anno in cui 42 non insegnano contribuiscono a produrre i film che tutti o gran parte di noi vanno a vedere al cinema. Quindi le grandi produzioni di Hollywood vengono prodotte anche da studenti di questa scuola. Per cui lavorate sempre al computer? Passiamo almeno una dozzina di ore seduti di fronte a uno schermo. Abbiamo delle work-station professionali; computer di potenza simile vengono utilizzati anche negli studi di produzione. Interi sistemi possono venire a costare anche decine di milioni di dollari. Come trovi il loro modo di insegnare? Si punta molto sulla conoscenza pratica e tecnica. Il livello dell’istruzione è molto elevato, così come la conoscenza dei professori che sono…iper-specializzati nel loro campo. Questo lo posso dire per la scuola che frequento, poi non so per le altre. Quali opportunità si aprono per uno che finisce questo corso? Il vero problema è riuscire a farsi notare. Nel mondo della computer grafica, come anche in quello della fotografia o pittura – qualunque disciplina che implichi la produzione di un contenuto - si valuta sul contenuto stesso. Insomma oltre alla tecnica ci vuole anche creatività e originalità… Proprio così. Passadi sei mesi in America cossa ti farà? Devo veder un poco perché qua le occasioni vien e bisogna cercar de coglierle. Go comunque tanta voia de tornar in Europa. La città David Francesconi, dall’Accademia di Brera a Capodistria David, hai vissuto 14 anni a Milano. Perché sei tornato? Capodistria mi ha dato una cosa che Milano non è riuscita a darmi. Certi valori. Milano è una città che ha fretta, che ha bisogno di correre. Capodistria invece mi ha dato dei valori che riesco coltivare nuovamente con questo mio ritorno. Qual’è uno di questi valori? Innanzitutto la dimensione umana della città. Milano è una città umana che ruba la dimensione umana, per gli spostamenti necessari per andare da casa al posto di lavoro o semplicemente per incontrare degli amici. Questi tempi vengono molto dilatati. Per cui resta poco tempo da passare con le persone care. Sei figlio di una voce storica di Radio Capodistria, Rosa Lojk Francesconi, hai fatto l’elementare italiana a Capodistria. Che ricordo hai di quel periodo? La Radio era il mio parco giochi. Io ho passato buona parte della mia infanzia girando tra questi studi con i tecnici che sono stati un po’ i miei baby sitter. Ho anche un bel ricordo della scuola. Vuoi per una questione legata all’italianità, il numero degli alunni nelle classi era molto esiguo, per cui gli insegnanti hanno avuto veramente la possibilità di dedicarci più tempo e più attenzione. Erano tempi in cui fra i banchi di scuola si parlava ancora in dialetto. Devo dire di sì. Difatti io, con il fatto che ho entrambi i genitori di madrelingua italiana, ho fatto forse un po’ di fatica a imparare lo sloveno perché con la nonna e con i compagni di classe parlavo in dialetto e con i genitori in lingua. La nonna di Verteneglio, se non sbaglio. La nonna di Verteneglio. E con la nonna si coltivavano le sane tradizioni istriane. Ho imparato a fare gli gnocchi all’età di dieci anni. Ho un ricordo molto vivo di questo periodo e soprattutto molto bello. Lo sloveno l’avrai imparato con i bambini in strada… Naturalmente. E questo è un altro grande pregio, che forse uno trascura e poi comincia ad apprezzare nelle grandi città: il poter abbandonare il proprio figlio davanti alla porta di casa…che tanto sta lì e gioca coi bambini in strada, mentre a Milano hai il terrore di lasciargli la mano anche al supermercato. La mia infanzia è trascorsa in mezzo a queste calli dove, assieme a tanti amici, appunto, ho parlato dialetto e contemporaneamente ho migliorato il mio sloveno. Hai una sorella, Anna, che si trova Bruxelles e un fratello maggiore, Piero, a Trieste. Anna è a Bruxelles dopo aver vissuto per un periodo a Udine e Roma. La spinta inerziale che ricevi con il primo salto da casa verso un’altra destinazione, continua poi nel tempo perché ti sposti in un’altra città che però non necessariamente è quella definitiva. Diventa semplicemente un porto di attracco. Vale anche per te che sei tornato a Capodistria? Non escludo di ripartire se dovesse capitarmi un’altra possibilità che a questo punto però viene rielaborata su una serie di altri valori, come può essere la famiglia. Anche se, devo dire, son contento di essere di nuovo a Capodistria e spero di poter fermarmi qui. Hai frequentato il Liceo piranese. Quella al Liceo “Sema” è stata un’esperienza fantastica. Avevamo un rapporto unico coi professori che non ho mai rivissuto in quel modo lì. Noi siamo stati la prima classe della nuova sede di Portorose. Col passaggio abbiamo trovato una scuola nuova, in perfette condizioni alla quale abbiamo dato l’anima. Io sono portato per l’arte però ho scelto un liceo scientifico per dire ‘Voglio imparare bene questa cosa e poi metterla da parte’. Un insegnante che ricordo in maniera particolare è il prof. Ravasi; era uno che viveva l’insegnamento come una vocazione. Lo ricordo intelligente e preparato, che aveva avuto la possibilità di insegnare ad una cattedra universitaria e che aveva rinunciato a questa possibilità per il contatto con i ragazzi e per un insegnamento genuino e autentico. Io in matematica sono stato sempre al limite della sufficienza, però devo dire che l’insegnamento era il vero cuore 43 La città L’Accademia di belle Arti di Brera. delle sue lezioni. Il suo modo di fare lezione, la sua comunicazione coi ragazzi era genuina e sincera. Dopo Pirano decidi di iscriverti all’Accademia di Belle Arti di Brera. C’era la possibilità di fare l’Accademia a Venezia, però Milano era più lontana, era una sfida. Venni rifiutato il primo anno all’esame di ammissione. Mi faccio un anno di scuola serale di disegno, più un’altra accademia privata per prepararmi l’anno dopo a rifare l’esame di ammissione al Brera. Andò bene e cominciai l’esperienza in accademia con professori come Luciano Fabbro, artista contemporaneo molto esigente perché oltre a farci studiare pittura, disegno, esigeva da noi che conoscessimo anche la filosofia. Perché diceva ‘Il pittore stolto fa poca strada. Un’infarinatura di filosofia non vi farà mai male nella vita”. La formazione al Brera aiuta ad aprire la mente. Non dà però un indirizzo. Apre l’orizzonte ma non punta su una meta. Una volta che uno fa il Brera ha veramente un’altra mentalità, un altro modo di guardare alle cose. Hai tutti gli strumenti per iniziare una professione come quella dell’art director o del grafico pubblicitario, ma non hai le capacità. E’ come un cuoco che ha la dispensa più fornita del mondo, però non sa cucinare. Quanto è durata per te l’accademia? Lo studio è durato cinque anni, perché nell’ultimo anno che ho preso per fare la tesi, in contemporanea ho deciso di realizzare anche il mio desiderio professionale, ossia lavorare nel mondo della pubblicità. Ho fatto uno stage presso un’agenzia di pubblicità con due anni di gavetta, non retribuiti. Coi lavori più banali: ritagliare i fogli per i lay out, poi pian piano ti veniva dato il biglietto da visita, poi la piccola brochure…insomma in questi anni ho cambiato almeno cinque agenzie. Ho lavorato sui profumi, nel ramo farmaceutico, sulla moda, nell’editoria, sono stato responsabile per un paio d’anni della rivista d’arte contemporanea ‘Tema celeste’. Dopo 14 anni ti son tornà a Capodistria. Fondamentalmente son andà a Milano con l’intenzion un po’ de cambiar el mio mondo. Forsi no ghe go rivà, e alora go dito ‘Se no rivo cambiar el mondo, almeno voio cambiar el panorama’. Capodistria ga uno stupendo panorama e volaria che fussi lo sfondo, el panorama de fondo dela mia vita. La rivista d’arte Tema celeste. La Città è il periodico semestrale della Comunità degli Italiani Santorio Santorio di Capodistria. Viene pubblicato nell’ambito dell’attività editoriale prevista dal programma culturale della Comunità autogestita della nazionalità italiana di Capodistria cofinanziato dal Ministero per la Cultura della Repubblica di Slovenia e dal Comune città di Capodistria, e con il contributo finanziario dell’Unione Italiana. Redattore responsabile: Alberto Cernaz. Stampa: Pigraf s.r.l. Isola. Tiratura: 1.300 copie. Distribuzione gratuita a mezzo posta riservata ai soci della Comunità. Indirizzo: Comunità degli italiani Santorio Santorio di Capodistria, Redazione de La Città, Via Fronte di Liberazione 10, 6000 Koper-Capodistria (SLO). E-mail: [email protected]. Copertina: finestra di Via Krelj. Retro: il coretto dell’asilo “Delfino blu” durante la spettacolo per scuole e asili organizzato in piazza il 2 dicembre. 44 La città Immagini di famiglia. La cresima di Blandina Spadaro (1936) Osservo una fotografia di gruppo, al centro un bel quadrupede e due bambine vestite di bianco. La più piccola, con il velo sulla testa, attira la mia attenzione. Cerco di ricordare quello che mi aveva detto mia madre, sì la bambina è Blandina, mia cugina. Chiederò a lei, che ora vive a Trieste, ciò che ricorda di quel giorno. Riporto le parole che mi ha scritto, con il suo stile conciso (è stata impiegata sia a Palazzo Tarsia sia al Comune di Capodistria). “Questa foto è stata scattata in occasione della Santa Cresima di Blandina Spadaro nel lontano giugno 1936 nella corte interna della casa della signora Luigia Decarli, madre di due frati cappuccini, in via dell’Annunziata. Con la cresimante si vede la santola Luigia che tiene le redini del suo “mussetto”. La nonna materna Anna chiamata “nonna Giorgia”, la mamma, la zia, il nonno Giorgio Ponis, 2 famigli e la cugina Argia. La Cresima è stata impartita dal vescovo di Trieste e Capodistria, Sua Eccellenza Fogar. Al pomeriggio la cresimante si è recata al seminario per recitare davanti al vescovo una poesia inerente alla fede, si è conclusa così una giornata emozionante e religiosa.” Grazie Blandina per aver riportato in superficie i ricordi di una bambina di 9 anni. Figlia di una sorella di mio padre, zia Giorgina, che faceva la bidella, (rimasta vedova giovanissima, con due bambini, l’anno precedente) alle Scuole, in via Carlo Combi di fronte a Palazzo Baseggio (oggi Via S. Krelj) qui a Capodistria. Graziella Ponis Sodnikar Da sinistra, l’anziana signora con lo scialle è mia nonna Anna Busan (vedova Ponis). Seguono Giorgina Spadaro (sua figlia e sorella del papà Guido), Iolanda Vergerio (sorella di Giorgina), Giorgio Ponis (il nonno, marito di nonna Anna), vicino al muro un fameio con la moglie. La signora che tiene le redini del mus è Luigia Decarli (Gigia Carlona) santola di cresima di Blandina Spadaro (figlia di Giorgina). L’ultima ragazza a destra, col vestito bianco è Argi Vergerio. La foto è stata scattata nel 1936 nella corte dei Carloni in Via dell’Annunziata (oggi Via Marušič). 45 La città “Letere dal Siam” Bangkok, 17 Otobre 2011 Alsazia, viaggio nel centro d’Europa Caro Alberto, prima de tornar al caldo del Siam son passà, sto ano, per quel che xe comunemente considerà el “centro” de Europa. De no confonder con la Mitteleuropa che questa ultima xe el “centro geografico” d’Europa mentre la region che go pena visità, la xe un poco s’centrada rispeto al centro geografico, ma xe el centro, amministrativo e “storico” de la Unione Europea che, a chi piase e a chi no, fassemo parte integrante. Varé za capì, anca sensa leger el titolo, che se trata de l’Alsazia, una strana region con tante afinità con le varie zone de confin che go visità per el mondo in sti ultimi ani, ma anca con carateristiche diverse da dute le altre che, almeno secondo la prima impression che ven dada al foresto che riva, in parte le me ga stupì e in parte le ga confermà quel che ‘vevo za indovinà in viagi precedenti, quando ancora el problema de le zone miste, no jera un dei miei obietivi predominanti. La prima volta son sta nel ’54 quando ancora la bufera de la guera mondial no la jera ancora stada digerida, po’ son tornà nel ’62 e l’impression xe stada za sai diversa, po’ altre sirca 3 o 4 altre volte, sia subito prima che subito dopo la costitussion de l’Unione Europea. Sta volta xe stada invesse una “full immersion” come che xe de moda ciamarla ‘desso, che ga completà le impressioni dei ani passai. La prima roba che ne colpissi, co’ se entra in Alsazia (almeno per noi), xe la completa assenza de scrite bilingui: i nome dei paesi rivela, duti o squasi, origini tedesche patoche, ma po’ i xe stai francesizai; i nomi de fameja, almeno restando a quei che se vedi su le insegne de le boteghe, xe completamente tedeschi o de origine tedesca ma, per el resto, dute le indicazioni xe scrite in francese e solo in francese e anche girando per cità, ti senti parlar noma che francese. Po’ gratando e gratando, ti vedi che no xe proprio cussì. Ti va nei paesi e ti senti parlar un dialeto alsazian, de ciara fameja tedesca, la scrite sule lapidi antiche, le xe in tedesco, qualchiduna perfin scrita in caratteri gotici, ma le tabele ufficiali, anche nei L’afolatissima via dele boteghe a Mulhouse (a le 10 de matina de un giorno qualsiasi de lavor). 46 paesi, le resta dute francesi e basta. La region ga subì un no indiferente sforzo de francesisazion, ben riuscì d’altra parte, se se pensa che la gente se senti più francese che tedesca, nonostante le origini, nonostante che le usanze e i costumi, evidenti anche ne la culinaria, le sia rimaste atacade a le origini tedesche. I ga dele fantastiche vigne, dove ven prodote le più note qualità de vin, specialmente bianchi (Riesling, Gewürztraminer, el Pinot grigio, che saria el vecio Tocaj, el Muscat e altri famosissimi) ma, paradossalmente, xe la region francese che produsi e consuma più bira. Un dei piati più caratteristici dell’Alsazia xe un piato de evidente origini tedesche composto, per la magior parte, de capuzi garbi e porzina, che se ga difuso in duta la Francia (se lo trova anche in tante bancarele de Parigi) con un nome francese, la Choucroute, che noi ciamaressimo “capussi garbi”, dato che chou in francese xe el capusso e croute saria “crosta” ma pol passar anca per garbo (in alsazian se ciama apunto Sürkrüt - cavolo acido, garbo) e che i ristoranti francesi reclamiza con la frase “choucroute chaude à toute heure” (capussi garbi caldi, sempre pronti). La ven servida con le patate. A proposito, le patate in tedesco se ciama Kartoffeln o Erdäpfeln (che saria pomi de terra), in francese se ghe disi “pommes de terre”, appunto pomi La città de terra e in alsazian?? Grumbiiri. Ve disi qualcossa? Ghe xe anche e se imponi, per la sua importansa in campo enogastronomico e turistico, anche la “strada del vino” che se slunga per oltre 170 km da sud verso nord (nel senso percorso de mi), parallela alla cadena dei Vosgi. Xe dele vigne curade al massimo che se apogia a le prime pendici dei Vosgi (una cadena de montagne che cori paralela al Reno), per ciapar duto el sol possibile, con i filari assai vicini, uno all’altro, che no permeti la raccolta a macchina. La vendemia quindi se fa ancora e esclusivamente a man. E lungo la strada xe duto un susseguirse de villaggi, forse mejo ciamarli cittadine, da le carateristiche case a graticio. Qualchidun de questi vilagi ga più curà el lato turistico, con i centri rigorosamente a trafico limitado, mentre altri se ga più butà sul lato comerciale. Ma xe duti belissimi e i merita, da soli, un viagio. Nel periodo natalizio i sfruta la situazion con i lori mercatini de Nadal (anche quei, de ispirasion tedesca), come se li trova in Alto-Adige e in duta l’Austria e i turisti riva anca in quei periodi che noi ciamemo “stagion morta”, ma che morta, per lori, no xe. Oviamente l’Alsazia no ga solo de presentar atrative gastronomiche. I sportivi de una volta, specialmente i tifosi de la bicicleta, ricordarà el “Ballon d’Alsace”, una salita terribile, che spesso xe stada inclusa nel Tour de France. E questo “passo” cussì dificile de afrontar, traversava apunto i Vosgi. Ma no xe che in Alsazia sia duto rico de bei ricordi. Ricordemo che lungo i Vosgi, coreva la famosa “linea Maginot”, che i Francesi decantava come un sbaramento insuperabile in caso de ataco tedesco prima de la seconda guera mondial e che invesse, nonostante i sforzi de ingegneri e i salassi alle casse dello stato, no ga servì a gnente. Quando i tedeschi ga atacà la Francia, i ga semplicemente ignorà la “Maginot” e i la ga agirada, passando dal Belgio e ciapandola, dopo, a le spale. Xe stada una beffa terribile per lo stato maggior francese. De più, quela zona xe stada, disemo, la residenza per un per de ani, anche se assolutamente non gradita, de un scritor che duti noi conossemo. Triestin, de lingua slovena, famoso per gaver scrito un interessantissimo libro su questo suo “sogiorno”. Se trata de Boris Pahor e el libro xe “Necropoli”. El jera sta internà, dai tedeschi ne l’unico campo de lavoro coatto, che se trovava in Francia (dixi i Francesi ma, secondo i tedeschi, la jera tedesca, dato che in quel periodo - 1940/44 l’Alsazia, insieme con la Lorena, la jera stada anessa al Reich tedesco), cioè nel lager de Natzweiler-Struthof, come lo ga ciamà i Americani, dopo la liberasion, ma Le Struthof, per i Francesi, Natzweiler per i Tedeschi e Natzwiller, in francese ufficiale attuale, che se trova a una sinquantina de chilometri de Strasburgo. Apunto sui Vosgi, da dove vigniva tirado fora un granito rosato, bellissima piera de costrusion, ‘doperada anche nei tempi lontani per gran parte de le ciese e dei palassi alsaziani (compresa la famosa Catedral de Strasburgo), e i prigionieri i jera usadi proprio per l’estrassion de quela piera da quele cave. E le piere, le ghe piaxeva tanto ai nazisti che i voleva ‘doperarle per la costrusion de edifici a Norimberga, che jera la città preferida da Hitler. Cussì, parlando del più e del meno, de robe bele e de robe tristi, vemo cità due passagi dell’Alsazia da Francia a Germania e viceversa, in pochi ani. Ma l’aventura internazionale de la region ‘veva scominsià, circa 11 secoli prima. All’epoca de Carlo Magno che ga diviso el suo enorme impero, erede dell’impero roman, fra i tre suoi fioi e ga assegnà la parte centrale dell’Europa al fio Ludovico che in pratica ga messo le fondamenta de quel che saria po’ diventà l’Impero Germanico. E l’Alsazia jera fra questi teritori, e ga scominsià, cussì, a far parte del futuro Impero Germanico. Certamente a quell’epoca no se fasseva distinsioni fra etnie e i sudditi scominsiava a parlar, per convenienza, o per obligo, la lingua che parlava el loro Signor. In più l’Alsazia jera allora abitada da genti alemanne (no per gnente i Francesi ciama la Germania, Allemagne), de stirpe tedesca, arivade tre secoli prima e affini alle tribu che più tardi varia costituì la Svizzera Tedesca. Tipiche case a graticio, alsaziane, nella piassa principal de Kaysersberg, la citadina del dr. Schweitzer 47 La città De conseguensa no podemo che assegnar l’Alsazia de quel periodo alla “cultura tedesca”. Parti de là el fato che squasi duti i nomi de località dell’Alsazia ga origini tedesche, dalle grandi città come Strasburgo (Strassen Burg = città delle strade, dove se incrociava le strade), a Mulhouse (Mülhausen = le case del mulino, per el fato che sto borgo xe sta fondà atorno a un mulin dove la mulinera, come che dixi la legenda, ga fato tanti fioi con un soldà sbandà de passaggio, tanti da formar una città), ai piccoli paesi che ga tantissimi nomi che finissi in –heim (in tedesco, casa, residenza) o –berg (che in tedesco vol dir monte) e proprio in uno de questi ultimi, Kaysersberg (monte dell’imperatore) xe nato un grande omo de pase, un certo Albert Schweitzer (altro nome puramente tedesco – vol dir “svizzero”), un omo che ga sacrificà duta la vita ai maladi in Africa, dove che al ga fondà a Lambaréné, nell’Africa Equatorale, (dove che al xe morto nel 1965, a 90 ani) un ospedal particolarmente dedicato a la cura de la malaria. Tipiche l’esperienze de sto grande omo, che xe finì in una preson francese, perché tedesco e in una preson tedesca, perché francese (questa ultima notizia dela preson tedesca, la go sentida sul posto, ma no go conferma). Ma po’ duti d’acordo de assegnarghe el premio Nobel per la paxe. Kaysersberg xe un villaggio fantastico, con le sue case a graticcio, tipiche della cultura alsaziana, con i tetti a grandi spioventi per la neve che casca abondante de inverno, e le fontane che no serviva tanto per l’acqua, quanto per el vin. No che el vin vignissi fora de le fontane (adesso in qualche ocasion, per i turisti, i fa anca questo); le fontane serviva per misurar la quantità de vin che se trovava ne le boti. I meteva la bote piena ne la fontana, l’acqua che vigniva fora de la fontana, la colava in un recipiente graduado e dava la misura del peso del vin contenudo ne la botte. Questo dimostra che el vin ga fato sempre parte de la cultura locale, podemo dir fin dall’epoca dei Romani che ga introdoto la cultura de la vide anche oltre le Alpi. Me son dilungà un poco su Kaysersberg, perché xe un paese famoso, sia per el Dr. Schweitzer, sia per le sue bellezze, ma de duti i paesi saria de contar qualcossa, ognidun xe in un certo senso simile ai altri, ma La strada più centrale de Colmar con le tipiche case con le altane, come a Capodistria, zo pel porto. 48 duti ga caratteristiche diverse che li differenzia un de l’altro. Come ‘vevo za acenà in precedenza, el turismo xe sviluppatissimo e i fa de duto per valorizzar quel che i ga, anche se, in qualche posto, xe poco. De pensar che in un paesin de questi, anca abastansa picio, fra l’altro, se trova ‘diritura 5 musei. In duti sti vilagi, xe vietado o limitado l’accesso alle machine e allora, fora dell’abitato se trova grandi parcheggi, munidi de duti i servizi, oviamente anche quei igienici e alora, nonostante la tanta gente che ven, sia in machina privata che in pullman, el trafico xe quasi inesistente, se pol passeggiar tranquilamente, sentarse sui ristoranti o caffè all’aperto, sensa esser amorbai dai gas de scarico. Dixemo che xe località vivibilissime e vignude su a misura de l’omo e no de la machina. Ma questo che ‘vemo dito, no val solo per i paesi, anca le cità più grandi, el pedon trova una situasion privilegiada. Grandi parcheggi s’centrai e una rede de tram e autobus, de far invidia a duti noi. I tram cori in sedi separate, per cui no i ven mai intralciadi dal trafico e el spostamento risulta comodo e veloce. Le fermate ga i marciapiedi sopraelevai e, alora per montar in tram no ti devi far scalini, comodo anca per i veci e handicapai. Ricordo in particolare a Mulhouse, verso le 10 de matina, de giorno de lavor, poca gente per le strade, machine rarissime, pareva squasi de sognar e de esser in un altro mondo Ma continuemo con la storia de l’Alsazia dopo la division de l’Impero de Carlo Magno. La gavemo lassada soto el regno de Ludovico (ciamà apunto el germanico), fio de Carlo e con lui e i suoi discendenti, la xe restada per tanti ani, magari solo formalmente, perché in efeti l’Alsazia no ga mai vudo una sua unità politica precisa. Quei che di fato comandava in Alsazia xe stada duta una serie de “signori”, completamente autonomi dall’Impero central (i xe stadi anca per un certo periodo sotto el dominio dei Asburgo, fin al 1648) anca La città se, ufficialmente, sempre sotto la “protezione” de l’Imperador. Xe sta solo dopo la “guerra dei trent’anni”, provocada da la Riforma protestante e la conseguente guera fra i “catolici” francesi e i “protestanti tedeschi”, e a la relativa sconfita dei Imperiali, che l’Alsazia xe passada soto lo stato francese (1648 – pace de Westfalia), anche se non in maniera totale. Xe sta solo soto Luigi XIV che la Francia xe entrada in possesso, non solo formale, de duta l’Alsazia (1681). Ma con questo no vol dir che la Germania gavessi definitivamente rinuncià al suo possesso e con la guera franco-prussiana del 1870 (sconfita de Napoleone III e fine definitiva dell’Impero Napoleonico), la Germania (ancora Prussia in quela volta) la se la jera ripresa, ma solo per una sinquantina de ani, cioè fin a la fine dela prima guera mondiale, quando la sconfita dei Imperi centrali (Austria e Germania) ga bu per conseguensa el ripassagio de l’Alsazia, da la Germania a la Francia. Ancora gnente de definitivo: infati con l’inizio dela II guera mondiale, l’avansada tedesca in Francia (1940) e la resa sensa condissioni de questa, ga bu per conseguensa, el passagio de l’Alsazia ancora una volta soto la Germania (1940), fin a la fine de la guera, che qua xe finì con la fine de la ocupassion hitleriana e cioè nel 1944 (ti trovi lapidi tacade su duti i municipi, che ricorda l’arivo del general de Gaulle, rivado qua a liberar (o ocupar, secondo le idee de chi che parla), e riunir “definitivamente” (fin a quando?) l’Alsazia a la Francia. Insoma pezo de Capodistria! In sti ultimi ani me son ocupà spesso de problemi de zone bilingui, multietniche, de problemi insoma che veva a che far con la missiansa de genti, lingue e culture, in generale. Ma, al mondo, no semo duti compagni e quel che per qualchidun xe sta, e continua a esser, un trauma no indiferente, per altri xe sta un vantagio e no de poco conto. Podemo dir che proprio questa situassion, ga portà l’Alsazia e Strasburgo in particolar, a esser una delle regioni più fortunade d’Europa. Ovviamente per una insieme de concause, ma che la gente del posto ga savesto ciapar al volo e sfrutarle per ben, mentre per qualchidun altro questa simile situassion xe stada causa de scontri e de problemi de varia natura. Questa missiansa de costumi e de culture, ma anca la speransa de risolver i problemi comuni a le altre zone similari, xe sta quela che ga ispirà, oltre una sessantina de anni fa, i politici dei do paesi più interessai, Germania e Francia, apogiai da Lussemburgo e Belgio, a formar la prima comunità europea. Qualchidun se la ricorda ancora? Se ciamava la CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio). La xe stada formada per meter in comune la produzioni de queste due materie prime che, a quei tempi, jera la base dell’industria. No per gnente l’ideatore de questa comunità xe sta un ministro degli esteri francese (Schumann) che ‘veva un nome tipicamente tedesco. Lu po’ a jera nato in Lussemburgo da un pare lorenese (la Lorena xe in una situazione simile a quela alsaziana e confina apunto con l’Alsazia) nato in Francia, ma de citadinanza e lingua tedesca, e da una mare lussemburghese. Cossa mejo de Un tipico quartier vecio de Strasburgo con le case che jera le sedi de le varie corporasioni dei artigiani (la petite France). 49 La città cussì? Un bastardon squasi come mi. A la facia de la “razza pura”! Xe proprio sto omo che, ispirà da la situazione del suo paese e de la concomitante presenza ne la zona delle due materie prime, ga pensà e ga messo in atto, questa prima comunità internazionale. Se ga unì anca l’Olanda perché la jera in comunità doganale col Belgio e el Lussemburgo (ricordé el Benelux??) e furbescamente anca l’Italia che con quela zona poco veva de spartir, ma che quela volta, per fortuna, la veva come primo Ministro un ex austriaco lungimirante, De Gasperi, che xe riuscì a entrare ne la comunità, anche se in modo poco ovvio, e diventar quindi un dei padri dela Comunità Europea. E grazie proprio a questa missiansa, Strasburgo, in Francia ma quasi su le sponde del Reno che la dividi da la Germania, quasi come simbolo dell’unione dei popoli, xe diventada sede del Parlamento Europeo e de altre istituzioni comunitarie. Jera za una bela cità, quando la go vista le prime volte, ma ogi xe duta de amirar. Neta, ordinada, con palassi antichi e modernissimi ispirai dai magiori architeti. Piano regolator aveniristico, vivibilissima con dute le atrezature che l’omo moderno desidera, strade comode e con poco traffico. Facilità de spostamenti. Ga savù sfrutar ben la montagna de soldi che, proprio perché capital europea (sia pur in condominio), duti noi gavemo mandà. No parlo del viagio de ritorno, perché saria avvilente, per noi. Mejo fermarse là, almeno col pensier. Ma, per ultimo volaria ricordar un monumento de Strasburgo, visto in mezo a la bellissima e enorme piassa de la Repubblica. Dopo la guerra franco-prussiana del 1870 e la sconfitta francese de Napoleone III, l’Alsazia jera tornada tedesca e i Tedeschi voleva far de Strasburgo la capitale del quel Land. Questa piassa doveva diventar el centro aministrativo e politico de la città e la xe circondada de palazzi, belissimi, duti in stile tedesco, apunto. Ben, adesso xe Francia, la piassa fata dai Tedeschi e nel mezo de la piassa i Alsaziani i ga messo un monumento ai caduti, opera del scultor Driver, che par el sunto de duta la storia che ‘vemo contà. In quela guera, che veva diviso anca le fameje, qualchidun combateva per la Francia, qualche altro per i Tedeschi (prima Prussia e po’ Germania) e el scultor al ga volesto rapresentar una mare, con do fioi morti, in brazo, un morto per la Francia e un per la Germania. Li ga rapresentai nudi, apunto per evitar de vestirli con una divisa, che varia rapresentà l’ultima drammatica divisione per el cuor de quela mare. Lucio Nalesini La catedral de Strasburgo (no se riva de nissuna parte ciapar duta la faciata) 50 Se qualchiudun ghe interessa, me pol contatar per posta eletronica a [email protected] La città Freschi di stampa Cesarsko-Kraljevo možko učiteljišče v Kopru 1875-1909. Slovenski oddelek L’Imperial Regio Istituto Magistrale di Capodistria venne istituito nel 1872 e operò fino al 1909. In questa scuola quadriennale che aveva sede dove oggi si trova il Ginnasio sloveno in Via Cankar, si insegnava in ben quattro lingue: italiano, sloveno, croato e tedesco. Un libro, edito dall’Archivio regionale, con testi in sloveno e brevi riassunti in italiano e inglese, fa luce su quella che fu la sezione slovena. Un gruppo di autori, coordinati da Mirjana Kontestabile Rovis e Jasna Čebron, ha presentato professori e allievi che hanno dato lustro all’istituto; dai linguisti Ivan Koštial e Ferdo Kleinmeyr, ai letterati Josip Ribičič e Vladimir Nazor, dal compositore Srečko Kumar, al fisico Josip Belušić inventore del »velocimetro«, al pittore Saša Šantel e via dicendo. La scuola accoglieva allievi da tutto il Litorale austriaco, ossia da un’area che va da Plezzo (Bovec) a Pola. Dei 47 allievi sloveni iscritti alle Magistrali di Capodistria nel 1880, 21 provenivano dall’area di Gorizia, 8 dall’Alto isontino, 7 da Sesana (Sežana), 6 da Trieste, 3 da Capodistria e 2 da Gradisca. La sezione croata dell’Istituto venne trasferita nel 1906 a Castua (Kastav), quella slovena invece nel 1909 a Gorizia. La sezione italiana rimase in attività fino al 1923. Di quest’ultima, in cui tra l’altro insegnò educazione artistica il pittore capodistriano Bortolo Gianelli, finora è stato scritto poco. L’Archivio regionale ne conserva numerosi documenti inediti. L’orchestra degli allievi sloveni dell’Istituto magistrale nel 1906. In piedi l’insegnante di musica Ivan Sprachman, dietro di lui in abito bianco Srečko Kumar di Kojsko, che nel 1948 costituirà la Scuola di musica di Capodistria. I libri di Elena Spacamonti Elena Spacamonti (1964) è nata a Trieste da genitori capodistriani. Spacamonti è il cognome che ha scelto per firmare i suoi libri, ma in realtà si tratta del soprannome della sua famiglia, gli Schipizza. Affetta da un male incurabile è scomparsa a quarant’anni, Elena ha raccontato nei suoi libri la sua storia di donna affetta da una rara malattia e le vicende della sua famiglia esodata da Capodistria. In »Caro Scricciolo« (Mauro Baschirotto – Vicen- za, 2002) parla della sua esperienza di vita e vuole fungere da sprone per tante altre delle circa 250 mila donne malate di Lam nel mondo. Nel 2008 ha presentato «Come onde del mare» (SBC edizioni), che ripercorre le vicende dell’esodo. In copertina uno scorcio di San Pieri, la casa veneta che oggi ospita il Museo etnologico. Nel 2009 è uscito il terzo libro di Elena Spacamonti dal titolo »Un sogno da infrangere« (Editore Oppure). 51 La città Repertorio italiano di corrispondenza alle voci dialettali capodistriane Tratto dall’appendice al Dizionario storico fraseologico etimologico del dialetto di Capodistria di Giulio Manzini S Sabato – sabo Sabbia – sabion Sacca – bàlego; (della rete) cogòl, (di retino con manico) volega Sacchetto – scartosso; bàlego Sacello – capitel Sagrestano – sagrestan, nonsolo, zago Saetta – saieta Saggina (veg.) – sorgo Sagomare – carenar Sagrato – sagrà Salice – seleghèr, venchèr Salire – andar su, montar Salita – rato in su, (se lastricata) grisa Saliva – spudacia Salma – cadavero Salmastro – salmastrin Salpare – salpar (v. trans.); molarse Salsiccia – luganega Salso – salà Saltellare – saltussàr Saltello – saltìn Saltimbanco – paiàsso Saltuariamente – calche volta Salubre – san Salvadanaio – musìna Salvare – salvar, meter via Sancire – stabilir Sangue – sangue, (la) sangue Sanguigno (colore) – rosso rovàn Sanguisuga – sangueta Santonina (veg.) – santònego Sapere – saver Sapore – savor, gusto Saporito – gustoso, bon Saputello – bardassòn Saraceno (grano) – saresìn Sarago fasciato (pesce) – sparo Sarago pizzuto (pesce) – spìsso Sardina (pesce) – sardela Sartia (mar.) – sarcia, (mobile) pateràsso Sarto – sartor, sarto (el) sarte Sasso – piera, (liscio) bobolo Satira – remenada Sauro (pesce) – suro Sazietà – sgiònfa, sgnònfa Sbadiglio – sbadejo Sbagliare – sbaiar, falar Sbaglio – sbaio, falo, capela Sbarcare – desbarcar Sbattere – sbater; smacàr, sgnacàr 52 Sbavare – sbavassàr Sberla – sberla, stramusòn Sbieco – sbiego Sbirciare – cucar Sbornia – bala, ciuca, pionba Sbottare – s’ciopar, sfogarse Sbottonare – desbotonar Sbozzare – sgrezar Sbriciolare – sfregolar Sbrigare – distrigar Sbucare – capitar fora; spupàr Sbucciare – spelàr Sbucciatura – russòn, speladura Scabro – ruspedo, rùspio Scacciare – cassàr via Scagliare – tirar, butar Scala – scala, (mar.) grisèla Scalfire – sfrisàr, sgrafàr, russàr Scalogno (veg.) – scalogna Scalpellare – scarpelàr Scaltrezza – furbissia Scaltro – furbo, bergnifo, navigà Scalzarsi – descalsarse, cavarse le scarpe Scalzo – descalso Scanno – banco, scagno Scansare – schivar Scapaccione – scopasson Scapestrato – barcastranba Scappatella – scapussàda Scappellotto – scopeloto Scarabeo – torciòn Scarabocchiare – scrabociàr Scarafaggio – bàcolo Scaraventare – smacàr Scarpata – corona, coronasso, coronar, rivasso Scarrocciare (mar.) – tratanàr Scarrozzare – sdrondenàrse Scassare – romper, spacar, rovinar Scaturire – nasser Scamare – calàr Scheggia – sgènsa Scheggiare – schincar Schiacciapatate – strucapatate Schiacciare – mastrussàr, fracagnàr Schiaffeggiare – s’ciafisàr, sberlotàr Schiaffo – s’ciafa, papìn Schiera – clapa, brigada Schietto – s’ceto Schiuma – spiuma Sciacallo – spoianegài Sciacquare – resentàr La città Sciacquato – resentà, slavassà Scialuppa – caìcio Sciame – ciapo Scintilla – falisca Scintillante – lustro Scintillare – lusìr, slusegàr Sciocchezza – senpiesso, monada Sciogliere – disligar, molar; desfar, squaiar Scivolare – sbrissàr Scivolata – sbrissada Scocciare – secàr Scodella – scudela; fondìna Scolapiatti – coladòr Scolorire – smarìr Scombinato – sbalà, fora de squara Sconquassato – roto, a remengo Sconquasso – squaquaciò, sbrataverun Sconvolgimento – rebalton, (di stomaco) missiamento Scoppiettare – s’ciocar, s’ciochetar Scoppio – s’cioco, tiro Scoprire – trovar Scorciatoia – scurtariola, curta Scordare – dismentegar Scorfano (pesce) – scarpena Scorgere – veder, lumàr Scorpacciata – magnada Scorpione – scarpiòn Scossa – scorlàda, scorlòn Scottare – sbrovàr Scottatura – sbrovada, (da sole) solana Scricchiolare – cricolàr Scricciolo (ucc.) – scrìch, saltafossi Scure – manèra Se (cong. pron.) – si, se Sebbene – sibèn Seccare – secàr, sugàr Secchia – secio, buiol, stagnaco Secco – suto Sedano (veg.) – seleno Sedia – carega Sega – sega, siega Segare – segar, siegar Seggiolino – caregheta Seggiolone – caregon Segnalare – mostrar Segnale (mar.) – garofolin Segreto – secreto Seguire – andar drio Seguitare – andar ‘vanti Selciare – salisàr Selciato – salìso Sellaio – selèr Selvatico – salvadego Sembrare – parer Seme – semensa Seminare – semenar, (ant.) serìr Semolino – gries Seno – sen; teta Sensibile – dilicato Sentiero – troso, cavìn Sentinella – vardia Sentire – sintìr Senza – sensa Seppia – sepa Seppiola – zòtolo Serbare – salvar, meter via Seriamente – da sèno Serie – fila, sfìlsa Serpe – bissa Serra – conserva Servile – licacùl Setacciare – tamisàr Setaccio – tamiso, crièl, carièl Settentrione – tramontana Settore – parte, toco Sfamare – dar de magnar Sfasciato – molà, desfasà; in tochi Sfera – bala Sferruzzare – (a maglia) guciar Sferza – scuria Sfibrato – scunì, sbasì, (del legno) saboì, disnonbolà Sfinirsi – scunirse, descunirse Sfociare – sbocar, sbucar Sfoggiare – far mostra, bater mafia Sfoltire – s’ciarir Sformare (-rsi) – inberlar(se) Sfortunato – inpegolà Sfuggire – scanpar Sfuriata – sigada Sgambata – scampinada, sganbetada Sgarbato – rustego, vilan, sensa sesto Sgobbare – sgobar, travaiar Sgocciolare – iossàr Sgombro (pesce) – sconbro, lansardo Sgonfiare – fiati Sgonfio – fiapo Sgorgare – butar, sbocar, corer Sgottare (mar.) – secar Sgradevole – bruto, cativo Sgrovigliare – distrigar, disgaiar Sguaiato – sproto, bardassòn Sgualcire – mastrussar Sguinzagliare – molar Sibilare – fis’ciar Siccità – sicùra Siepe – graia Sigaretta – spagnoleto Signorina – putela, puta Silenzio – (sost.) sito Silenzioso – (agg.) sito Simile – che someia, compagno Sindacare – ‘ver de dir Singhiozzare – piansotar, fifotar Singhiozzo – sangiosso Sinistra – sanca Sinistro – (sost.) dano, disgrassia; (agg.) sanchin; cativo Sintetizzare – strenzer Sintomo – segno, moto Sinuoso – incurvà, a bisaboba Sistemare – meter a posto, in cònso, distrigar Slacciare – desligar Slancio – briva Slegare – desmolar, molar Smargiasso – fanfaron Smarrire – perder 53 La città Lauro Decarli (1929-2011) Conobbi Lauro Decarli una ventina d’anni fa. Da allora passavo spesso a trovarlo a Sistiana, dove abitava con la moglie Bianca, o alla casetta a ridosso del mare di Grignano dove trascorreva le estati. Lui mi riforniva di libri e studi su Capodistria usciti a Trieste, io gli portavo volumi che uscivano qui da noi. Ho imparato tanto da lui, specialmente sull’ambiente capodistriano prima dell’esodo. Lauro era nato in una famiglia di paolani (i Decarli, detti Carloni) in quella grande casa che fa angolo tra Calle della posta vecchia (ex Vittori) e Via Marušič (ex dell’Annunziata). Era una famiglia benestante, avevano campagne in sette luoghi diversi. Non da lui, ma da altri capodistriani, ho saputo che sua madre era solita preparare parecchie »struzze« di pane che poi distribuiva ai poveri davanti alla porta di casa. Ha sofferto molto Lauro per aver lasciato Capodistria, »sotto minaccia«, nel 1950. Faceva un sogno ricorrente: di giocare coi bambini in Brolo, di esser chiamato a casa dalla mamma e, una volta arrivato davanti al portone di casa…di non riuscire a aprirlo. A quel punto scoppiava in lacrime e si svegliava. Ma era anche una persona allegra, dalla battuta pronta, spesso irriverente. Non c’è spazio per ricordare ciò che Decarli ha pubblicato. Vorrei ricordarlo attraverso un suo componimento che firma con lo pseudonimo di Làverno Carlon. (a.c.) Razzista? »No! No me sento rassista! Slavi, Taliani, Bianchi, Neri, Zali o de meso color, per mi Omo xe Omo! Semo duti uguali! No vemo miga sielto noi de nasser de una lingua o un color diverso de ‘naltro. Odio! Se le nostre mare le vessi podù a sièlzer, alora saria un altro descorso. Chissà che missiamenti in sto mondo. O se vignissi tirà a sorte come i bilieti dela lotaria… ‘sai poche speranse gavessi un bianco de tignirse el su color. Se vedaria pitosto in Cina qua e là oniqualtanto a nasser tondi, come un felomeno. E qua de noi quanti zali coi oci a mandola! No stemo esser rassisti che se femo a rider! No per questo che se se podessi a sièlzer dimandaria de esser negro. No son rassista. Mi! Ma el mondo sì! E con lui bia far i conti! No volaria no esser nato negro per no frontar dute le angarie che a quei povareti ghe toca. Ansi mejo sens’altro bianco! Che dopo me vansaria senpre tenpo de no ciaparmela coi altri. E, senpre se se podessi a sèlier, mejo europeo che merican o altro. Quei magari i sarà più richi, i varà più possibilità ma el vecio continente ga el su prestigio, la su storia, la su belessa che si… mejo qua, mejo qua… Senpre a podendo sièlzer. Ma anca el clima ga la sua inportansa. Volè meter a nasser in Norvegia, magari drento un fiordo che el sol te riva a mesa matina, senpre che no sia caligo. Zo! Zo! Mejo paesi caldi. 54 Lauro Decarli a Capodistria durante la presentazione del suo libro sui soprannomi Gavendo la sièlta, se capissi. No digo Bora Bora che fussi l’ideal, ma massa fora del mondo. Senpre qua in Europa; ma in quela del Sud. E duto somà, mejo in Italia, che la xe bela e piena de robe bele, de musei, de arte. Ma, senpre se podessi a sèlier, no proprio in Sicilia, e gnanca al Centro. Mejo al Nord che a te dà più possibilità in duto e no ghe manca gnante. Ma via dei calighi, se capissi! In Riviera presenpio. Anca se no me par che i Liguri i sia tanto socievoli. I me par ansi bastansa serài e massa tegne. Sens’altro mejo i Veneti, senpre che se podessi a sièlzer. Però, na volta sielto, ti vol meter la costa o l’interno? El mar a ghe piasi a tanti che xe nati in drento; ma no s’à mai visto un, nato sul mar, che disi volarìa a starghe lontan! El mar xe el mar! In duto el mondo chi che sta sul mar a xe stà senpre mejo. Serto che le lagune propio propio mar no le se pol ciamar. Aqua salada no basta. Palù resta palù. El mar xe altro. E la spiasa? Volè meter butarse zo de un scojo o pedegar de ore vanti de sopar i zenoci? Lignan e Grado le sarà bele; ma no la ga confronti cole marine istriane. Senpre a podendo a sèlier, se capissi. Loghi come Rovigno chi se l’insogna al mondo? Opur se a un i ghe piase più pici, penseghe un poco a Orsera, a Umago, magari anca Salvore. Ma, senpre se i me lassassi a sièlzer, penso più arente Trieste. Starghe via dela sità, se capissi, che la xe massa anonima. Ma rente de ela per serte comodità che xe mejo verle vissin: teatri, ospedali, canpi sportivi. Presenpio Muja. Ma mi se propio podaria a sèlier anca el pel sul vovo, credo che preferiria a nasser Caveresan, per quela serta pàtina de superiorità che no disturba. Per via del Conbi. Per via del Vèner Santo cole garuse sora la fontana. Per via de Bossedraga cole vele al sol a sconder l’ignoransa e la miseria. Stè a vèder, alora, che son nato propio intel posto giusto. Solo che devo gaver sbalià el momento!” Làverno Carlon La città In memoriam Ricordando Fiore Fiorenza Zadeu inizia molto presto la sua carriera pedagogica. Le viene chiesto di insegnare inglese presso il Ginnasio sloveno di Capodistria. Un lavoro che svolge molto bene per un paio di anni, poi si impiega presso le scuole italiane di Pirano, prima al Ginnasio e poi alle scuole elementari. Tantissime le generazioni che hanno imparato con lei a parlare e scrivere bene l’inglese. Aveva un buon metodo d’insegnamento, conosceva bene la sua materia ed amava comunicare con i ragazzi. Amava le cose semplici, amava la natura e ringraziava sempre per i benefici, che ne traeva. »Ricolma di beni gli affamati, rimanda i ricchi a mani vuote«. Questa per Fiorenza non era solo una frase fatta. Ha sempre aiutato chi ha potuto. Con i tuoi pensieri, resterai sempre presente nei miei. Amalia Petronio Bambine si attraversava il Brolo saltellando nei nostri grembiulini a quadretti bianchi, rientrando a casa dall’asilo. Giochi, passioni e desideri condivisi nei viaggi. Correva libera e veloce come il vento, in sintonia con la natura… Graziella Anni felici passati insieme sui banchi di scuola. Una vita modesta e semplice, ma erano le piccole cose a dar luce al nostro mondo di allegria e spensieratezza. Grazie per essermi stata accanto. Mi manchi. Rosa Ho trascorso con Fiore il periodo più bello della mia vita e cioè il tempo studentesco. Durante la scuola ci ha unito la musica nella mandolinistica del Maestro Scocir. Durante gli studi universitari intraprendemmo assieme molti viaggi per l’Europa, spinte dal desiderio di conoscere, imparare; e per Fiore in particolare, approfondire le sue conoscenze linguistiche. La sua scomparsa mi ha infinitamente colpito,siamo nate lo stesso giorno…tre aprile 1944. Ada L’ho conosciuta nel lontano 1950, in prima classe e da allora sempre in classe assieme fino all’ultimo anno di liceo. Assieme abbiamo condiviso momenti bellissimi, spensierati e momenti meno belli. Ma ciò che ci piaceva ricordare quando ci incontravamo, le nostre irresistibili ed interminabili risate. Luciana Di Fiorenza mi piaceva il suo senso dell’umorismo. Il periodo più bello è stato quello che abbiamo trascorso assieme ai nostri figli quando erano ancora piccoli. A lei piaceva guidare la macchina ed era anche molto abile, così spesso caricava i bagagli nella Seicento e più tardi sulla sua “Katrca”. E si partiva, senza nessuna meta. Non ci piaceva fare programmi per il viaggio e, anche se non sempre le cose andavano come si sperava, ci si divertiva molto. Miranda Siamo state colleghe ed amiche per oltre trent’anni. Alcune intemperanze di mio nipote, suo studente, non misero in crisi il nostro buon rapporto, per altro, alla fine del Ginnasio onestamente dovette riconoscerle: “Maestra, con lei ho imparato l’inglese”. E lo sa davvero. Era un’amica cui non facevi in tempo a chiedere aiuto, te lo aveva già offerto spontaneamente. Non mi chiamò mai Liliana o Lili, ma Dugan. Nella lingua di Covedo, per lei Kubed, voglio dirle “Se štimam (mi stimo), sono orgogliosa di aver avuto la tua amicizia”. Che purtroppo oggi è già rimpianto. Lili Antonia Urbanaz – Antonia, detta Eta, era nata nel 1932 a Salara nella famiglia contadina dei Viola. Aveva un fratello, morto ancora giovane, e quattro sorelle traferitesi a Trieste. Eta ha frequentato la scuola elementare di Salara dopodichè ha lavorato nella »fabrica de scove«. Si è sposata con Mario Urbanaz dei Petirossi di Bossamarino, dal quale ha avuto il figlio Narciso. A casa, in stalla, sui campi in Solame e a riva del Fiumisin il lavoro non mancava. Testimone di una Capodistria d’altri tempi, Eta era una delle poche che portava ancora a vendere il latte a domicilio. È mancata il 17 luglio 2011. 55 Buone feste