Come miele e neve

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Come miele e neve
Come miele e neve
Siro T. Winter
Copyright ©2015 Siro T. Winter
Copyright Cover art by Siro T. Winter.
All right reserved.
Questa è un opera di fantasia. Nomi, luoghi, personaggi ed eventi narrati sono il
frutto della fantasia dell’autrice. Qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi o
defunte, eventi o luoghi esistenti, sono da ritenersi puramente casuali.
Ai miei genitori,
che si tengono ancora per mano dopo più di mezzo secolo insieme, attraverso i temporali della vita.
Capitolo uno
Nella Terra dei Mille Laghi
Era ancora nel mondo dei sogni, ne era certa. O era sveglia?
Qualcuno canticchiava in lontananza. Strizzando forte gli occhi si girò a pancia in
giù tirandosi il cuscino sulla testa, cercando di riprendere a dormire.
La t-shirt informe che usava come pigiama però le si era attorcigliata al collo e ora
la stava strozzando. Si sollevò su quel tanto che bastava per rimetterla a posto in
modo fulmineo e si distese di nuovo, sbuffando.
Tornò sotto il cuscino, premendoselo forte sulle orecchie.
Niente da fare.
Aprì un occhio gemendo piano.
La luce grigia filtrava dalla finestra che aveva dimenticato aperta la sera
precedente, anzi quella stessa mattina, prima di crollare sfinita alle cinque e
trenta passate.
Cercando di non prestare troppa attenzione a quella voce così irritante, guardò il
display del suo cellulare: le nove e 45.
Non era ancora pieno giorno, la luce debole: stava appena albeggiando ma gli
effetti su di lei erano sempre gli stessi.
Moriva di sonno.
No. Non stava sognando. Qualcuno cantava a voce alta nella stanza accanto.
Si mise lentamente a sedere sul letto, scuotendo i capelli ricciuti che le si
gonfiarono dietro la schiena in una folta criniera leonina.
Decise che avrebbe fatto fuori quel “qualcuno”, alzandosi e trascinandosi
stancamente fuori dalla sua piccolissima stanza.
Il suo “piccolo scrigno”, come lei lo chiamava.
Le pareti erano dipinte di lilla chiaro e verde acqua, alternandosi sui quattro lati;
la scrivania era stata ricavata da un tavolo malandato che avevano trovato da un
rigattiere fuori città, con i piedi arcuati e traballanti, affettuosamente chiamato “il
monco”.
Era stato coccolato, rimesso a nuovo con amore e pazienza nei mesi estivi quando
il clima all'esterno era piacevole, rispetto alle abituali temperature che di norma
c'erano in quel paese, il “Paese dei Mille Laghi”;
Il suo scassatissimo portatile: suo fidato compagno, amico di notti insonni,
l’“Highlander” perché a dispetto degli acciacchi, della ventola che annaspava
affannosamente e l’anta dello schermo instabile, andava ancora alla grande, un
guerriero inamovibile anche se a volte rifiutava di accendersi, così, per capriccio,
senza un motivo valido, probabilmente solo per il gusto di farla impazzire.
Era sempre più convinta che i suoi elettrodomestici, capitanati dall' “infame
traditore”, fossero dotati di vita propria e congiurassero contro di lei,
inventandosene una nuova ogni giorno.
Infatti, non v’era giornata che non iniziasse senza che qualcosa, il phon o il forno a
microonde, decidesse di non accendersi o funzionare correttamente!
I poster e le stampe alle pareti, “La fata ignorante” di Magritte, ricordo tangibile
di una mostra dell'artista che anni prima aveva visto a Roma, così come gli altri
che si erano susseguiti: il “Blue Nude” di Matisse, “Danae” di Klimt, “Dream City”
di Klee, “Bild mit rotem Fleck” di Kandinsky, “Number 33” di Pollock; “The Radiant
Child” di Basquiat, “Sirène et poisson” di Marc Chagall “Campo di grano con corvi”
di Van Gogh, il suo preferito.
La colonnina porta cd che col tempo si era riempita di nuovi, innumerevoli
compact disc; il piccolo ma decoroso stereo; il tappeto rotondo fatto a mano,
enorme, che occupava gran parte della piccola stanza, viola scuro e morbidissimo.
L'armadio, anch'esso raccolto in giro ma talmente malconcio che era stato dipinto
di blu notte con spirali viola e bianco, chiamato “Il puffo” per le ridotte
dimensioni.
La lampada da terra, frutto di un bottino fortunato in Germania, di legno
intrecciato alla base e alla sommità un materiale ignoto ricoperto con carta di riso
color crema.
Le era piaciuta subito la luce che dava: calda, accogliente e rassicurante.
E poi ovviamente c’era la sua libreria.
Un’anonima, semplice e lineare struttura laccata di bianco, presa all’Ikea.
Ricolma di libri di ogni genere, dai romanzi rosa ai saggi, ma in prevalenza vi erano
libri d’arte e fotografia.
E poi ovunque ninnoli, vecchie foto, ricordi, carte di caramelle spianate con cura e
incorniciate in plexiglas.
All’età di quattordici anni aveva avuto la sua prima cotta devastante e ricordava
ancora il batticuore, il respiro mancante.
Il ragazzo per il quale aveva perso la testa le aveva offerto un chewing gum e lei
ne aveva conservato gelosamente, e stupidamente, l’involucro.
Non aveva più smesso da allora: ogni volta che voleva ricordare un momento, una
persona, portava con sé qualcosa che questa aveva toccato.
Continuava a farlo: una sorta di memoria visiva nella quale, spesso e volentieri,
sprofondava.
Numerosi biglietti del cinema erano infilati nella cornice dello specchio e una
gruccia per vestiti usata come originale e avveniristica porta collane e bracciali,
penzolava da un gancio fissato al muro;
un puff di colore nero, di pelo sintetico-non identificato, che chiamava
amorevolmente “il gatto morto”.
Amava i momenti preziosi che passava leggendo appoggiata con le spalle al
termosifone, una tazza di the in mano e un libro nell'altra, seduta sul quel puff
davanti alla porta-finestra che dava su un minuscolo balconcino.
Il suo mondo... un mondo sbriciolato, rattoppato, malconcio e dolorante, ma suo.
Passandoci davanti notò che il cielo era bianco e carico: neve!
Ormai Marzo era quasi al termine ma avrebbe nevicato di nuovo, lo sentiva
nell'aria.
Amava la neve, le ricordava casa.
Casa...
Uscendo dalla stanza la prima cosa che i suoi occhi misero a fuoco furono un paio
di natiche femminili, tonde e sode, perfette e ambrate che le passarono davanti
nella loro gloriosa nudità.
«Ah, eccoti! Buongiorno bella addormentata! Sei sveglia? Ti ho preparato il caffè,
my Darling!», disse la proprietaria delle natiche con voce trillante, gironzolando
seminuda con indosso solo un microscopico asciugamano fucsia acceso.
Piccole gocce d'acqua ancora brillavano sulla schiena, segno che era appena
uscita dalla doccia e da lì provenivano i gorgheggi che l'avevano svegliata poco
prima.
«Umpfh.», mugugnò dirigendosi rigidamente alla macchinetta del caffè.
«Prego!», rispose ridendo Nur.
Era abituata al suo umore funereo mattiniero; la divertiva un mondo il fatto che
Lou invece non carburasse prima di mezz'ora dal momento in cui si alzava dal
letto.
Nur che era sempre piena di energie e di vita, che faceva mille cose in una sola
giornata, che aveva l'agenda piena di impegni, che non stava mai ferma.
Si stancava solo a guardarla: Nur era una hostess, quasi sempre in viaggio.
Quando trovasse il tempo per vedere gli amici che si era fatta in pochissime
settimane al contrario di lei che invece, viveva lì da tre anni e le persone con cui
comunicava si contavano sulle dita di una mano, era ancora da capire.
Di solito quando tornava a casa restava due giorni e poi ripartiva.
Quarantotto ore durante le quali Nur riusciva a fare quello che per lei era
impensabile anche in una settimana intera.
Negli ultimi sei mesi le sue visite erano state sempre più rade: oltre che vitale era
anche corteggiatissima e gli uomini le morivano dietro.
Tutti.
Indistintamente.
E come poteva essere altrimenti?
Era una donna stupenda: trent'anni ma ne dimostrava a stento ventitré.
Alta, con gambe chilometriche e affusolate, vita sottile e seni alti tondi e perfetti:
se non fosse che l'adorava senza remore l'avrebbe presa volentieri a calci sui
denti.
Di origini arabe, era stata adottata da una facoltosa coppia inglese, borghesi e
ricchi; non avrebbe avuto bisogno certo di lavorare ma, come le aveva spiegato
con semplicità quella volta in cui le aveva chiesto perché facesse la hostess, un
lavoro sì affascinante ma decisamente stressante, le aveva risposto:
«Sono stata solo fortunata: nel mio Paese d'origine ci sono costantemente guerre,
le donne sono costrette ad una vita che io non potrei neanche concepire, sono
una “miracolata”! E sono grata ai miei genitori adottivi per tutto ciò che mi hanno
dato, ma non farò la mantenuta solo perché posso permettermelo, e poi non
riesco a rimanere ferma nello stesso posto per molto tempo.
Voglio la mia libertà. Voglio viaggiare, conoscere posti nuovi, gente nuova, voglio
assaggiare le pietanze del posto.
Voglio nuotare in tutti i mari del mondo e vedere mille tramonti diversi. Voglio
amare mille uomini e farmi amare da loro, voglio tutto dalla vita! È sbagliato?».
No, non lo era.
Ammirava la sua forza, la sua tenacia e il suo costante buonumore, che non era
affatto finto.
Era chiaro che scaturiva da una positività che aveva dentro, un sole che aveva e
riusciva a scaldare chi la circondava.
Anche lei.
«Sai che odio il caffè americano.», bofonchiò a denti stretti. «Non è vero caffè.»
«Oh, non essere noiosa, tu-e-il-tuo-fortissimo-e-imbevibile-caffè-ristretto-italianofatto-con-la-moka-perché-il-vero-caffè-è-solo-quello-fatto-con-la-caffettieranapoletana-e-con-rigoroso-caffè- macinato-ovviamente-caffè-rigorosamenteitaliano.
Ti fa male.
Ti rende nervosa, Lucia.», disse allegramente facendole il verso.
«Hai finito?», borbottò Lou alzando un sopracciglio.
Con aria di sfida prese dallo scaffale la SUA moka caricandola con il SUO caffè
macinato che i familiari le mandavano dall'Italia e la mise sul fuoco,
appoggiandosi al bancone per guardare la sua coinquilina che volteggiava per la
stanza, prendendo da questa o quella borsa un paio di calze, un jeans, un
reggiseno e lanciandoli disordinatamente sul divano verde.
«Quello che tu chiami caffè non è che brodaglia... e non chiamarmi Lucia.»,
aggiunse minacciosa.
«È il tuo nome! È bello e ha lo stesso significato del mio: LUCE. Quindi è bello!»,
decretò girandosi a guardarla divertita. «Okay, Lou! Va meglio?»
I suoi conoscenti e amici lì in Finlandia all’inizio storpiavano il suo nome in
“Lùcciiaa”, allungando le vocali o mettendo l’accento su quelle sbagliate, per cui
avevano iniziato a chiamarla Lou, e lei si era abituata ad essere Lou, tornando ad
essere Lucia, o Lù, solo quando era in Italia.
Si piazzò davanti alla finestra guardando fuori, con aria contrariata.
«Ma no, che disdetta! Sta iniziando a nevicare! Non è possibile!», strepitò ad alta
voce, dimenandosi.
«La pianti di agitarti davanti a quella finestra? Finirai per perdere quello straccetto
che usi per telo da doccia e rimarrai con le poppe al vento... farai venire un
coccolone ai vicini, così. E chiameranno la buoncostume che arresterà me, perché
tu nel frattempo, sarai già volata via! E inoltre vorrei farti notare che siamo in
Finlandia, non in California. Ovvio che nevichi a marzo.»
«Uff, sono tutti dei vecchi bacucchi noiosi e mosci... tranne Il Principe Misterioso»,
disse sognante. Spiaccicò il viso sul vetro per sbirciare in direzione del soggetto
del suo ciarlare. «Davvero non l'hai mai visto di persona? Ma abita a 200 metri in
linea d'aria da qui, com'è possibile? Voglio dire, io non ci sono quasi mai ed è
normale che non riesca a vederlo, ma tu che sei sempre qui, non esci mai o quasi,
se non per andare al lavoro o per fare la spesa, non l'hai mai incrociato? È
inaudito!», continuò d'un fiato.
“Il Principe Misterioso”. Vilhelmi Niemi.
Un musicista più o meno famoso che abitava nel loro stesso quartiere.
Occupava la soffitta di una vecchia costruzione disabitata e inquietante, in
mattoni rossi e pietra, con le finestre in stile gotico e vetri scuri, dall’aria vissuta.
Di certo lui si doveva trovare a suo agio in un contesto simile, pensò acida Lou,
tirando fuori la tazzina dal mobiletto, rimanendo in silenzio mentre la coinquilina
continuava il suo ciarlare agitandosi davanti alla finestra.
A quanto sembrava non era un tipo molto socievole e ad avvalorare la tesi c’erano
numerosi cartelli affissi sul cancello, alto e insormontabile di ferro nero, che
invitavano a non avvicinarsi.
Non poteva dargli torto: anche lei odiava i ficcanaso.
E non era neanche famosa.
In tre anni, da quando cioè viveva nello stesso calmo e bellissimo quartiere, non lo
aveva mai visto.
O se lo aveva visto, non se n’era mai accorta. A stento sapeva che aspetto avesse,
del resto.
Okay, lei era la fonte meno attendibile per dimostrare che lui esistesse davvero.
Solo che non era mai stata molto attenta a ciò che le succedeva intorno, ed era
distratta da altro, pensò ingoiando a vuoto il solito groppo in gola.
Come diceva Nur, non era una donna mondana e non usciva se non strettamente
necessario.
«Ti ho già detto tante volte che non l'ho mai visto, neanche da lontano. So che
esiste perché di sera l’interno è illuminato: per il resto potrebbe essere benissimo
una leggenda.», rispose distratta, prese una tazzina dal mobile inspirando
voluttuosamente l'aroma del caffè che iniziava a salire su per la caffettiera.
«Oh, è un tipo così affascinante, misterioso e mi piacerebbe conoscerlo!» - disse
piano Nur, guardando sempre verso la soffitta, forse con la speranza che ne
potesse intravedere l'abitante.
«Puoi provare ad andare a suonare alla sua porta così come sei adesso: sono
quasi sicura che ti aprirebbe, sai?», ribatté Lou spegnendo la fiamma sotto la
macchinetta, versando poi l’espresso nella tazzina che prese tra le mani cercando
di scaldarsele con il poco liquido bollente che vi era dentro.
Si avvicinò alla sua amica guardando il cielo carico di neve sorridendo tra sé.
«Uhm... sì, sono sicura anche io che mi aprirebbe!», rise compiaciuta. «Oh, fatti
dare un abbraccio: mi sembra un secolo che non ci vediamo!», proruppe poi
buttandole le braccia al collo con enfasi rischiando di ustionare entrambe con la
bevanda ancora bollente e le stampò un bacio sulla guancia.
«Ehi! Attenta...», si lamentò fiaccamente Lou, sorridendo dolcemente
prendendosi l'abbraccio e il bacio.
Nur era vulcanica in tutto; anche nel dimostrare il suo affetto agli altri.
Era un donna fisica: toccava costantemente chi le era di fronte e se questi erano
maschi la cosa quasi mai generava fastidio; prendeva le mani dell'interlocutore tra
le sue, sfiorandone il braccio, o dando pacche sulle spalle.
Nur era così.
E Lou amava anche questo calore che sapeva dare, al contrario di quanto facesse
lei.
Nur si fermò, fissandola intensamente, analizzandole le occhiaie, la faccia stanca e
dal colorito spento, le labbra tirate, gli occhi bordati di rosso.
«Brutto sogno, eh?», mormorò carezzandole la guancia con delicatezza.
Si scostò impercettibilmente chinando la testa, deglutendo a vuoto.
«Come sempre. Sto bene. Ho solo dormito poco e lavorato fino a tardi...»,
mormorò indicando con un cenno il quadro che era appoggiato al cavalletto.
«Dovrei consegnarlo per questo fine settimana ma sono indietro... non so se ce la
faccio.»
«L'ho visto appena sono entrata, è bellissimo... come tutti i tuoi lavori! Riposati e
vedrai che ce la farai a finirlo, Lou...», esitò un momento, restando in silenzio per
qualche istante, poi continuò, vedendo che l'altra si era girata a guardarla per
indurla a proseguire. «Non è tornato alla carica, vero? Perché se così fosse gli
spacco la faccia stavolta! Giuro!», disse alzando la voce.
«No, non è tornato.», mormorò Lou. «Ti dispiace se non ne parliamo? Non oggi,
almeno...»
«Va bene, come vuoi tesoro, ma se quel gran figlio di... di… torna, devi dirmelo! Lo
strozzo con le mie mani!», concluse tornando ad abbracciarla e carezzarle la
schiena con vigore.
«Okay!», ridacchiò Lou tornando a rilassarsi. «Sarai avvisata, ma dubito
fortemente che avrà il coraggio di farsi vedere di nuovo dopo lo spavento che gli
hai fatto prendere l'ultima volta!», replicò a bassa voce.
Il ricordo della sceneggiata che Nur aveva fatto al suo ormai definitivamente ex,
era stata memorabile. Era stata sul punto di temere davvero per lui e la sua
incolumità: non era raro che Nur andasse in escandescenze, ma non l’aveva vista
così arrabbiata e aggressiva, con nessuno, mai.
Si era trasferita in Finlandia con il suo fidanzato tre anni prima, durante l'estate.
Non aveva amato subito quel paese: tutt'altro.
Faticava ad ingranare con un modo di fare completamente diverso da quello cui
era abituata in Italia.
Gli italiani casinisti, disordinati, allegri e vocianti.
E lei li amava per questo, anche se non seguiva propriamente le “tradizioni”.
Era sempre stata timida e di solito tendeva a rimanere in ombra rispetto alle sue
amiche e così era stato anche con il suo brillante fidanzato.
Aveva conosciuto Andrea durante il primo anno di Università: lei frequentava
l'Accademia di Belle Arti a Roma e lui con scarso profitto, la facoltà di
giurisprudenza.
Era un bellissimo ragazzo: oltre il metro e ottanta, muscoloso e scattante, occhi
neri e profondi, con lunghe ciglia, labbra ferme e virili, sorriso da malandrino sotto
una schiera di perfetti denti bianchi.
Pericoloso, si era detta la prima volta che lo aveva visto, restando palesemente a
bocca aperta e sconvolta dalla sua abbagliante perfezione.
Come quella di Nur, anche la famiglia di Andrea era ricca, per cui invece che
studiare cercando di laurearsi il prima possibile, non faceva che passare da una
festa all'altra.
Da una donna all'altra.
E proprio ad una di quelle famose feste lei lo aveva conosciuto.
A quei tempi era così diversa dalla persona che era diventata.
Curiosa del mondo e della nuova condizione di libertà che aveva, ora che
conviveva con altri ragazzi, rispetto a quando invece abitava ancora con la sua
famiglia - che consisteva nel padre, la madre e i due fratelli più piccoli di lei: la
classica famiglia italiana da pubblicità - era stata trascinata nel vortice delle feste
che organizzavano di continuo le varie facoltà.
Con i suoi coinquilini Simone e Mara, come lei in Accademia, era un correre
sempre di qua e di là.
Aveva incontrato Simone ad una lezione di orientamento i primi giorni; lui l'aveva
individuata subito nell'aula affollata e surriscaldata.
Le si era avvicinato sorridendo e con un sospiro si era lasciato cadere sulla sedia
accanto alla sua, sbottando ed esordendo con voce alta : «Santo cielo, perché non
aprono un po' quelle finestre? Qui dentro si muore di caldo e per il cattivo odore
che aleggia!»
Poi aveva allungato una mano elegante e liscia, prendendo quella di Lou senza
attendere che lei gliela tendesse, stringendogliela con vigore.
«Ciao, io sono Simone. Sai che hai i capelli più fantastici che io abbia mai visto?
Sono stupefacenti... è il tuo colore naturale vero? Posso?», aveva continuato
prendendole un lungo ricciolo tra le dita. «Sono davvero belli... sembri una di
quelle fatine dei libri illustrati che leggevo da piccolo!»
Lou era rimasta senza parole e lievemente sbalordita dalla sua parlantina, come
se la conoscesse da una vita. Le si rivolgeva in maniera semplice e naturale;
doveva essere abituato a fare amicizia con facilità al contrario di lei.
Affascinata dalla sua bellezza elegante ed eterea era arrossita e aveva mormorato
un “sì” imbarazzato prima di ricambiare la stretta di mano con un sorriso,
sbirciando timida i perfetti capelli biondo scuro, gli occhi grigi e il fisico asciutto e
scattante del ragazzo che le sorrideva divertito.
«Oh... anche le fossette! Sei vera?!», aveva esclamato lui ridendo, avvicinandosi al
suo viso per esaminarla meglio, facendola arrossire fino alla orecchie.
“Ci sta provando per caso?!”.
No, non ci stava provando e lo avrebbe capito esattamente due minuti dopo
quando Simone commentò con un’espressione colorita il didietro del ragazzo
appena entrato.
Probabilmente aveva intuito che era affascinata da lui e messo subito in chiaro
come stavano le cose, senza essere maleducato e prima di ogni fraintendimento.
Questo gli fece guadagnare stima eterna agli occhi di Lou che rispose ridendo al
suo commento altrettanto coloritamente, improvvisamente rilassata.
Era iniziata così la loro amicizia. Era venuto spontaneo cercare casa insieme.
Non c’era stato bisogno di parlarne tra di loro: semplicemente avevano iniziato a
sfogliare i giornali di annunci ed elencare cosa ognuno volesse nell'appartamento
dei lori sogni.
Lou si era appoggiata alla sua voglia di vivere e alla sicurezza con cui si muoveva in
ogni ambiente.
Sembrava che cadesse sempre in piedi, che avesse sempre successo in tutti i
progetti in cui si lanciava, fosse anche il più strampalato.
Avevano trovato il loro appartamento un po' fuori dal centro; avrebbero dovuto
fare un lungo percorso in metropolitana per non arrivare tardi ogni mattina in
accademia ma se n'erano innamorati subito, convinti anche dal prezzo che il
locatore aveva proposto loro. La casa poteva ospitare anche una terza persona,
così avevano affisso un foglio con i loro numeri di telefono e i requisiti del
probabile futuro coinquilino nella bacheca degli annunci messa a disposizione
dell'accademia.
Aveva riso fino alle lacrime quando aveva visto il foglio preparato da Simone.
“Cercasi coinquilino/a (meglio se maschio, preferibilmente alto, moro, palestrato e
ricco. Molto ricco.) dotato di senso di humour, amante del rosso e delle paillettes
(sappiate che le metterò ovunque: anche nel frigo, quindi siete avvisati!).
Non siamo interessati a gente che ha mazze infilate su per il … ( a meno che non
sia la mia...).
Per informazioni chiamate ore pasti e non prima delle 9.00 del mattino, perché
potrei anche mandarvi a quel paese!”
«Magari la storia della mazza è meglio evitarla!», rantolò Lou tra le risate.
«Uhm...», aveva risposto Simone con aria seria. «No: meglio che sappiano subito
in che guaio si vanno a cacciare!»
Due giorni dopo il telefono di Simone squillò esattamente alle 9.02 e una voce
pacata e seria di donna - con sommo dolore di lui - diceva di essere interessata
alla convivenza.
Presero appuntamento per conoscersi quel pomeriggio, in un bar del centro.
Mara li aspettava in piedi, tesa e seria, davanti al bar che avevano scelto.
I capelli neri, liscissimi e tagliati dritti appena sotto le orecchie, con una corta
frangia sul viso ovale e due occhi nerissimi, la bocca carnosa leggermente larga
per il suo viso minuto, magra e alta, quasi allampanata; era vestita di verde scuro,
con un basco sulla testa e un cappotto un po' fuori stagione, dal momento che
faceva ancora abbastanza caldo, una gonna corta sopra calze scure, coprenti e
basse ballerine nere.
Nel complesso sembrava un'istitutrice francese a metà fra gli anni ‘20 e ‘60 in
libera uscita nel giorno di paga.
Simone guardò Lou con gli occhi che luccicavano.
«La teniamo?!», chiese a bassa voce mentre si avvicinavano. «Dai adottiamola! Ti
prego, ti prego, ti prego!»
Lou ridacchiò sotto i baffi.
Nelle successive due ore ebbero modo di costatare che Mara, non solo era dotata
di humour, che variava spesso in humour nero, ma che aveva anche un “Amore
Spiccato Per i Glitter e le Paillettes”.
Simone quasi si era gettato ai suoi piedi in estasi quando disse che era una fan di
Cher e Madonna.
Faceva la commessa part time in un negozio di articoli di belle arti e questo la fece
immediatamente salire in cima nella loro classifica dei possibili candidati.
Senza pensarci su oltre decisero con una breve occhiata complice tra loro, che
non avrebbero visto altri e che Mara sarebbe stata con loro.
«È destino... e io ci credo al destino! Non appena vi ho visto, ho capito che
eravate le uniche donne con cui voglio dividere il mio bagno, il mio letto e la mia
crema idratante!», disse Simone con una faccia da bambino monello
Così era iniziata.
Al mattino era una lotta continua a chi dovesse usare per primo il bagno, uno,
piccolo e con lo scaldabagno elettrico, per cui soltanto colui o colei che si
svegliava all’alba godeva di una doccia calda dall'inizio alla fine.
I primi diciotto mesi erano stati scanditi da una sola cosa: affetto, risate, notti
insonni passate a preparare tavole, disegni, sommersi tra fogli, colori, tazze di tè e
caffè, briciole di biscotti ovunque.
Dopo qualche mese era arrivato un nuovo coinquilino: Natale, un soffice,
panciuto gatto rosso.
Lo avevano trovato la notte della vigilia di Natale ovviamente: da qui il nome
innocuo, scelto a furor di popolo dopo una lotta all'ultimo sangue con quello che
invece aveva suggerito Simone, un tantino eretico perfino per Mara, Messia.
Se chiudeva gli occhi poteva ancora sentire l'odore di quella vecchia casa, con gli
interni rivestiti di carta da parati degli anni '50, scura, marrone e orrenda; le
vecchie lampade che un tempo dovevano esser state a olio o roba del genere,
sostituite poi da lampadine; il bagno con la vasca e il lavandino che si otturava a
cadenza settimanale; la cucina stretta e lunga, con gli elettrodomestici disposti
lungo una sola parete, addossati l'uno all'altro.
Il “frigorifero dei puffi” come lo chiamava Simone, così piccolo che erano costretti
a dividerne i tre spazi e il congelatore, litigando fino allo sfinimento anche per i
millimetri che uno aveva in più o in meno rispetto all'altro.
Il tinello con l'eterna, fastidiosissima perdita che di notte sembrava un rintocco di
campana nel silenzio assoluto. La sala da pranzo, l'unico spazio grande rispetto al
resto, dove avevano deciso di spostare tutti i mobili lungo il muro per poter
lavorare meglio; le due camere da letto. Lou divideva la sua con Simone, mentre
Mara aveva preteso la singola con il matrimoniale per ospitare il suo ragazzo ogni
volta che lui avesse potuto raggiungerla, cosa che si ripeteva più o meno un volta
al mese.
Quel letto matrimoniale che puntualmente, per il resto dei giorni e delle notti del
mese diventava anche il loro e fungeva da tavolo al mattino per la colazione o la
sera mentre guardavano la tv con enormi ciotole di pop corn, col risultato che il
mattino dopo sembrava essere stato vittima del passaggio degli Unni.
Era stato bello.
Spensierato.
Si ritrovava spesso a desiderare di poter tornare indietro per rivivere anche solo
una di quelle giornate con loro. Poi era arrivato Andrea.
Era apparso a fine serata in una noiosissima festa, con una bionda mozzafiato
appesa al braccio, imbronciata, truccatissima, con addosso un vestito che poco
lasciava all'immaginazione, rosso e tempestato di lustrini ovunque.
«OH-MIO-DIO!», aveva urlato Simone non appena i due erano apparsi.
«Ragazze, abbiamo trovato il copri lampada che cercavamo!», disse facendo con
un segno con la testa verso la ragazza bionda.
Lou e Mara si erano girate per vedere cosa diavolo andasse blaterando ed erano
scoppiate a ridere; conoscevano bene la fissa di Simone per le paillettes e i colori
sgargianti.
Da stilista quale aspirava a diventare ed artista pazzoide quale invece era,
esasperava tutto ciò che faceva o diceva; come quel pomeriggio in cui si era
messo in testa di togliere i vecchi copri lampada della casa e sostituirli con
“qualcosa di rosso, brillante appariscente e totalmente, assolutamente kitsch!”.
«Ho trovato la mia Musa!», continuava a ripetere fissando platealmente la
coppia. «Devo assolutamente chiederle di darmi l'indirizzo del negozio dove ha
comprato quella roba!».
«La vuoi finire di indicarli e guardare come un maniaco verso di loro?!», sibilò
Mara cercando di reprimere la risata. «Non vedi che lui ci sta guardando? Non
vorrai mica finire per picchiarti con uno del genere? Ti ridurrebbe ad una
cotoletta!».
«Voi non capite! Io DEVO AVERE quel vestito a tutti i costi, dovessi anche
strapparlo, - Orrore! Dio non voglia!- di dosso a quella!», replicò con aria teatrale
agitando le mani e portandosele al cuore con aria sognante.
Lou lo adorava.
Anche lei tornò a guardare verso la coppia e il sorriso le si spense sulle labbra
quando si accorse che lui, non solo li aveva notati ma si stava dirigendo
velocemente verso loro tre con un' espressione per niente rassicurante.
«Ehm... ragazzi, lui sta venendo qui!», annaspò concitata cercando invano di
dissimulare con aria innocente di aver allertato gli altri due, che invece si
voltarono simultaneamente come un sol uomo per vedere l'avanzata, non si
poteva chiamarla altrimenti, del ragazzo.
«Porca di quella vacca! Simone, stavolta ti prendi un bel pugno sul naso e dopo ti
meno anche io: ci fai sempre finire nei guai con questo tuo modo di fare!», aveva
bisbigliato stridula Mara diventando rossa di rabbia fino alla radice dei capelli.
Simone al contrario, era rimasto calmo e sorridente.
«Beh, ragazze non so voi, ma io di conoscere questo dio dell'Olimpo non sono per
niente dispiaciuto!», con l’aria di un gatto che si leccava i baffi davanti ad una
ciotola di panna, si sistemò il ciuffo biondo.
Quando si fermò davanti a loro con le mani incrociate sul petto, con la camicia
che gli si tendeva sui muscoli, tutti e tre si erano avvicinati compatti come per
cercare conforto e forza nel gruppo: lui superava tutti loro di una buona testa e
come stazza avrebbe potuto benissimo prenderli insieme e farne un unico fagotto
informe con un solo braccio.
«C'è qualche problema?», aveva chiesto con voce profonda e fintamente calma.
«Ho notato che abbiamo attirato la vostra attenzione...»
Lasciò volutamente la frase in sospeso per creare forse più tensione, aspettando
che qualcuno di loro proferisse parola. Ma tutti e tre erano ammutoliti: ognuno
forse per motivi diversi.
Mara era sinceramente atterrita; le persone aggressive la mettevano a disagio.
Lei che era sempre morigerata e pacata, controllata e seria, aborriva chi le si
rivolgeva con toni accesi reagendo con un silenzio mortificato.
Simone probabilmente stava pensando freneticamente a una balla credibile per
non venire alle mani con “Conan”.
Lou era pietrificata.
Non appena lui si era avvicinato aveva iniziato a sentire caldo e non per la paura.
Quando le era arrivato davanti con lo sguardo minaccioso e le labbra contratte le
si era bloccato il respiro. Era il ragazzo più bello su cui avesse posato gli occhi:
praticamente perfetto, una statua viva, ma fremente e nervosa. Lou aveva fissato
il viso tramortita dalla sua vicinanza e dal suo lieve profumo di muschio che lei,
nonostante tutto, aveva sentito ancor prima che lui si avvicinasse.
Si era rivolto a Simone con aria arrogante mentre faceva scorrere lo sguardo sulle
ragazze, alzando un sopracciglio mentre guardava Lou con aria distaccata e
sprezzante, per poi tornare a guardare Simone, che rispose serafico e in maniera
volutamente affettata ed esagerata.
«Scusaci tanto, “caro”, non ho potuto rimanere totalmeeeente, assoluuutamente
affascinato dalla tua compagna e dal suo fantaaaastico abito! Vedi io sono uno
stilista... o perlomeno aspiro a diventarlo e stavo dicendo alle mie amiche qui
presenti, Mara e Lucia, come dovrebbe essere una vera donna, per attirare gli
sguardi dei maschi. Volevo complimentarmi con lei e chiederle alcuni consigli:
sono certo che ha un gusto incontestabile!», concluse con il sorriso da paravento
che sfoggiava quando voleva prendere in giro, facendo passare un insulto per
complimento.
“Conan” si rilassò impercettibilmente continuando ad avere un'aria niente affatto
amichevole.
«Capisco... »
Non dava l’idea di capire e il fatto che fissasse Simone ad occhi socchiusi non
faceva che dar loro conferma
«Beh, se vuoi andare a chiederle informazioni hai il mio permesso. Io intanto
faccio amicizia con le tue accompagnatrici.», continuò con arroganza rivolgendo
un sorriso accecante verso le due ragazze che ora erano meno spaventate, ma
decisamente a disagio.
«Io sono Andrea.», disse porgendo a Mara una vigorosa mano con le vene a vista
sul dorso.
«Mara.», rispose freddamente con la schiena rigida prendendo la mano
dell’uomo.
Non le piaceva: era chiaro come la luce del sole.
«E tu?», spostando la sua attenzione su di lei, fissandola con i suoi occhi nerissimi.
«Chi sei?»
«Lu...», rispose con uno squittio fastidioso, per poi schiarirsi la voce e sorridergli
continuando tremante. «Sono Lucia, piacere di conoscerti!»
“Magari chiudi anche la bocca prima che la bava ti coli sul vestito... ”, si disse
mentalmente maledicendosi per aver bevuto quei due bicchierini di vodka che ora
la rendevano molle e languida.
Quel mix, insieme agli occhi di lui che non lasciavano scampo, stava decisamente
avendo un effetto che era inaspettato.
Mara la guardava sorpresa: non era da lei, infatti, essere così svampita. Con un
cenno della testa e occhiatacce assassine, le stava facendo segno di tagliare corto
e lasciare che si allontanasse. Lou l'aveva ignorata continuando a fissare Andrea,
senza riuscire a staccarne gli occhi dal viso, persa nell’ebbrezza che le sue
attenzioni la facevano sentire bella per la prima volta in vista sua.
Si riscosse dai pensieri tornando a guardare Nur rassicurandola con un sorriso.
L'amica la fissava ansiosa con gli occhi nocciola ed enormi nel viso splendido.
Si era ripromessa di farle un ritratto fin dalla prima volta che l'aveva vista: il volto
sembrava porcellana color miele, fine e delicato, occhi grandi a mandorla con
ciglia che parevano finte, tanto erano lunghe e folte; zigomi alti e un naso piccolo
e perfetto sopra una bocca piena e carnosa.
Sospirò davanti a tanta perfezione e ancora di più davanti all'evidente
preoccupazione di lei.
«Sto bene, credimi... sono solo stanca. E tu mi hai svegliata con i tuoi gorgheggi;
avevo intenzione di dormire fino a tardi, ma sei la solita egoista!»
«Oh, cara, perdonami ma avevo così tanta voglia di parlarti che non ho resistito:
perdonami, perdonami... mi perdoni?!»
Finse di battere le ciglia come un cerbiatto in attesa della sua risata, sentendosi
molto soddisfatta quando questa puntualmente arrivò.
«Piantala di fare la buffona!», ridacchiò Lou dandole una gomitata nel fianco. «Ti
perdono sempre io.»
«Bene! Che facciamo oggi? Ti va di fare shopping nel pomeriggio? E stasera c'è
una festa, ci andiamo?!», sparò a raffica senza fermarsi.
«Dai, dai, dai, ti prego non dire di no, voglio uscire e divertirmi con te, non stiamo
mai insieme e tu sei sempre dentro la tua stanza a fare chissà cosa, dai, dai, dai!»
«Oddio, fermati un attimo! Mi sento già stanca... per lo shopping si può fare ma
scordati la festa. Non se ne parla.», confermò il tutto fissandola negli occhi senza
sorridere con aria seria. «E non c'è occhio languido che tenga a farmi cambiare
idea.», aggiunse prima che l’ amica iniziasse con i suoi trucchetti.
«Okay, che barba che sei! Devi pur uscire ogni tanto, vedere gente, socializzare!
La conosci questa parola?», iniziò a borbottare sbuffando e lanciando sul divano il
microscopico telo, rimanendo nuda, e bellissima, rovistando in cerca di qualcosa
nel trolley che aveva portato con sé.
«Ho una cosa per te, direttamente da Paris! Aprilo!»
Tutta felice le porse il pacco elegante piatto e sottile, legato con un nastro di raso
viola, sedendosi come se nulla fosse sul divano così, nuda com'era.
La fissò per due secondi pensando che non si sarebbe mai abituata alla sua
naturale e così disarmante sfacciataggine.
«Nur, mi imbarazzano i regali... Io non ti regalo mai niente e tu sei sempre così
generosa con me…», mormorò pensando al suo armadio pieno di vestiti e
pensierini che Nur le aveva portato dai suoi viaggi, molte delle quali costose e
griffate. «Perché ti dis...»
«Oh, aprilo e non parlare!», la interruppe Nur mozzando la sua frase a metà. «Su,
su, su!»
Contagiata dal suo entusiasmo, scartò il pacco facendo attenzione a non rovinare
lo splendido nastro viola che chiudeva la confezione. All'interno di una scatola
bianca c'era una sottoveste color lilla, il suo colore preferito insieme al verde,
lucida e sottile, leggera come un velo; questa era coordinata con un cardigan di
lana sottilissima che lei temette fosse cachemire, di un colore melanzana, con una
sottile cintura fatta dello stesso morbido e prezioso materiale, entrambi erano
lunghi fin sotto il ginocchio.
Erano stupendi.
Si voltò verso Nur con occhi che volevano essere severi, ma si rimangiò tutto
quello che voleva dirle quando vide l'espressione gioiosa di lei, con gli occhi che le
brillavano come una bimba.
Sembrava che fosse stata lei a ricevere il regalo e non il contrario.
«È bellissimo, Nur! Ma ti sarà costato...», iniziò non riuscendo a trattenersi dal
dire, subito interrotta dall'abbraccio di Nur.
Felice di aver colto nel segno, disse: - «Ah-Ah-Ah-! Niente sensi di colpa: appena
l'ho visto, lì nella vetrina della Chanel ho pensato che ti sarebbe stato d'incanto,
con i colori della tua pelle e i capelli chiari che hai! Dai, provalo! Vediamo come ti
sta!»
"Chanel?" Era impazzita!
Non disse niente perché sarebbe stato inutile... accarezzò con la mano la stoffa
sensuale e liscia.
«Grazie Nur, davvero, è stupendo... Ma vorrei fare prima una doccia, okay?»,
disse sbadigliando.
«Tesoro, io penso che dovresti tornare a letto per riposarti ancora un po', mentre
io vado a sbrigare delle faccende: spero di tornare per ora di pranzo. Giapponese?
Cinese? Pizza?», chiese guardandola da sopra la spalla .
«O mi cucinerai quella tua favolosa pasta al pomodoro?!», aggiunse speranzosa.
Lou rise di gusto.
«Ti farò la pasta... niente di tutto ciò oggi! Magari stasera... Ti meriti una
ricompensa per questa meraviglia!»
«Oh, dormi sempre con quella orribile maglietta enorme e sformata e ho pensato
che ogni tanto volessi coccolarti con qualcosa di morbido e caldo...», disse Nur
con noncuranza. «Anche se io spererei che dormissi con niente addosso e che a
scaldarti ci fosse un uomo...», lasciò cadere lì la frase in sospeso.
«Magari fra dieci anni. E che hai contro la mia maglietta?», ribatté divertita Lou,
infilando un dito in uno dei tanti buchi della t-shirt grigio smorto che indossava.
«Davvero, ho bisogno di riposare ancora un po' o nel pomeriggio non reggerò
assolutamente il tuo ritmo e non ce la farò a correrti dietro per negozi... a più
tardi, Nur!», continuò dirigendosi con uno sbadiglio verso la camera da letto e
salutandola con la mano.
«Riposati, eh? Perché ho voglia di spese folli oggi! Yeah!»
Nur guardò con affetto la sua coinquilina dai chiari capelli leonini avviarsi stanca
verso la stanza; avrebbe voluto poter restare più tempo con lei, starle accanto e
non lasciarla sola in quella casa, in quel posto triste ma che stranamente Lou
pareva amare tanto.
La malinconica aria della Finlandia le si addiceva e la rassicurava sul fatto di essere
felice lì, ma gli ultimi due anni non erano stati tranquilli e felici per Lou. Pensò con
rabbia ad Andrea e chiuse stizzita con furia la lampo del trolley fucsia.
Quell'uomo odioso e crudele che aveva fatto a pezzi la vita di Lou, i suoi sogni e la
fiducia in se stessa. Aveva giurato che non gli avrebbe permesso di farle del male,
ma temeva che Lou fosse ancora succube di lui, anche se lo negava e forse era
ancora innamorata. In vita sua aveva conosciuto tanti uomini, ma mai le era
capitato di incontrare qualcuno di così bello eppure così crudele allo stesso tempo
come Andrea.
Non aveva avuto nessuno scrupolo a provarci anche con lei nei primi tempi in cui
vivevano insieme e puntualmente, lui si presentava sempre a casa loro quando
Lou era al lavoro.
Se solo fosse stata più ingenua e avesse voluto meno bene a Lou…
Se non avesse visto in che stato l'aveva ridotta, ci sarebbe cascata anche lei con
tutte le scarpe. Al contrario di quanto la maggior parte della gente pensasse,
nonostante la sua aria sempre spensierata e svampita, era una persona molto
attenta e raramente si faceva fregare. Specialmente da un uomo.
Si avvicinò alla cucina versando in una tazzina pulita il resto del caffè rimasto nella
moka e sorrise trovandolo ancora caldo, pensando che non ci fosse nulla come
l'amicizia a scaldarti il cuore.
E quella con Lou era calda quanto quel caffè forte e scuro e aromatico.
«Non verrò più con te a fare shopping per il resto dell'anno!», sbottò Lou posando
le buste che aveva in mano per terra accanto all'ingresso e lanciandosi sfinita sul
divano a braccia aperte.
«Sei una palla al piede, Lou! Hai comprato quel bellissimo paio di jeans che volevi
da mesi, o no? E quel maglione nero ti sta d'incanto, così come quel vestitino
delizioso scontato al 75% che ti fa sembrare...», iniziò la sua solfa bruscamente
interrotta da Lou.
«Nur! Hai passato quarantacinque minuti nel camerino di quel negozio e non hai
comprato nulla! Avevo i piedi gonfi come due zampogne, con tutto il resto della
tua roba addosso: ho sudato come un maiale lì dentro, per non parlare delle
occhiate omicide che i commessi lanciavano a me! Se avessero potuto sbatterci a
calci fuori quando hai detto che quello che avevi provato non era di tuo gusto, lo
avrebbero fatto! E anch’io se fossi stata al loro posto! Sei odiosa quando provi
qualcosa, lo sai? Voglio dire: hai un fisico perfetto... eppure ti trovi mille difetti!
Giuro che ti odio!», si lamentò Lou d'un fiato, sfilandosi gli stivali dai piedi
doloranti.
«Io cerco la perfezione, mia cara! Quella roba non mi valorizzava e mi rendeva
sciatta.», ribatté l'altra con tono accondiscendente come sempre faceva quando
parlavano di moda, cosa che faceva infuriare Lou. Aveva smesso di bisticciare da
tempo con la sua amica sulla moda: non avrebbero mai trovato un punto in
comune in quello.
Così come Lou era anonima, normale, quasi banale nel suo modo di vestire, di
regola sempre di nero o blu o viola, tanto Nur era appariscente.
E la sua amica poteva permetterselo: qualsiasi cosa indossasse la rendeva perfetta
e bellissima, così come il corto, o per meglio dire, microscopico vestito bianco che
aveva comprato e che avrebbe indossato quella sera alla festa. Evento al quale
aveva invano, cercato di convincerla a partecipare per tutto il pomeriggio. Non
sarebbe andata, soprattutto dopo il tour de force cui l'aveva appena sottoposta la
sua amica.
«Sei ridicola! Tu sei perfetta anche con una semplice t-shirt e dei jeans.», la
riprese Lou e lo pensava sul serio.
«Preferirei che restassi a casa a fare quattro chiacchiere con me... sei appena
tornata e già sei piena di impegni fuori casa... Non ti sei neanche riposata da
quando sei arrivata: come pensi di restare viva?»
Nur si bloccò per un istante con il vestito a mezz'aria e la guardò, attentamente.
«Devo andare anche per ragioni di lavoro, Lou: vorrei cambiare compagnia e
trovarne una locale, così da poter avere più tempo da passare a casa e l'invito mi
è stato fatto proprio da quelle persone che mi presenteranno a chi poi dovrà
assumermi. Non guardarmi con quella faccia!», s'inalberò vedendo l'aria scettica
di Lou. «Ho inviato regolare domanda, ma se mi presento di persona e in maniere
casuale e informale, magari gli resto impressa! Smettila di guardarmi così, mi fai
sentire come se stessi giocando sporco!»
«Non ho detto nulla...», mormorò piano l'altra. «Stavo solo pensando che forse
hai ragione, ma sul fatto che gli rimarrai impressa non ho dubbi! Specie se ti
presenti con quell'abito.», continuò acida.
«Magari è una donna e il mio piano andrà in fumo, ma almeno sarò stata ad una
festa!», concluse Nur divertita all'idea di sedurre una donna. «Mi trucchi tu,
vero?», chiese senza aspettare risposta, sicura che sarebbe stato un sì, prima di
scomparire nella sua stanza da letto.
«Okay... ma starai zitta senza intrometterti come sempre! Gli artisti vanno lasciati
liberi di creare!», le urlò dietro Lou.
«I miei sono consigli!», urlò l'altra a sua volta.
«Per quanto riguarda l'altra cosa: anche a me manchi e mi mancano le nostre
serate insieme a guardare i film e a parlare...», disse Nur tornando in salotto con
una maglia lunga color carta da zucchero, simile a quella viola che le aveva
regalato quella mattina. «Che ne dici di questa se la metto sopra il vestito? Solo
nel caso fosse donna!», continuò ridendo, strizzandole l'occhio.
«Dico che è un'ottima idea, dal momento che sta nevicando da questa mattina,
c’è un freddo cane e vuoi evitare di prenderti un accidenti»
Passarono il resto delle due ore successive a cenare sedute sul pavimento, con
una pizza comprata per strada, appoggiate allo schienale del divano, a ridere delle
disavventure di Nur al lavoro, dello stuart che le faceva una corte serrata, del
pilota sposato con cui aveva una storia infuocata e segretissima, dei posti nuovi
che aveva visitato. A Lou sembrava di essere con lei a vivere quegli aneddoti, paga
in qualche modo di viaggiare con la sua amica, anche se di fatto non si spostava
da casa da molto, troppo tempo. Quando Nur fu pronta per uscire, Lou
soddisfatta del suo capolavoro la rimirò ancora una volta prima di augurarle buon
divertimento; l'altra le lanciò un bacio con la punta delle dita chiudendosi dietro la
porta lasciando una nuvola di profumo costoso nell'aria.
Come ogni sera Lou si concesse un lungo bagno caldo.
Ringraziava il cielo ogni giorno da quando avevano trovato quell'appartamento
che nonostante fosse sprovvisto del bidet avesse sia la doccia che la vasca . L e
serate passate a fare chiacchiere con Nur immerse in oli profumati e schiuma che
debordava, era uno dei momenti che preferiva. Si rilassò contro il bordo
chiudendo gli occhi, inspirando il profumo di gardenia che si sprigionava in
molecole minuscole a contatto con il caldo dell'acqua e del vapore. Era sfinita ma
non avrebbe preso sonno, lo sapeva già. Cercò di rilassare i muscoli con scarso
successo; la schiena era un unico fascio di nervi tesi e doloranti. Improvviso come
un flash le tornò alla mente quando a farla rilassare con un massaggio erano le
mani di Andrea.
Respirò seccamente, furiosa con se stessa perché dopo tanto tempo il ricordo di
lui le facesse sempre male, come una ferita sanguinante che stentava a
rimarginare.
Ferita che lui aiutava a non lasciar chiudere, dal momento che tornava
ciclicamente alla carica, nonostante non stessero più insieme da più di due anni,
ormai.
Quando dopo la festa in cui si erano conosciuti avevano iniziato a frequentarsi
assiduamente (con sommo sgomento di tutti gli amici), era iniziato uno dei
momenti più belli e intensi della sua vita.
Andrea era sempre pieno di idee e iniziative, un vulcano attivo dall'inizio della
giornata fino a quando chiudeva gli occhi la sera. Totalmente travolta dalla sua
personalità, aveva perso la testa per lui immediatamente; era completamente
cotta.
Per la prima volta aveva conosciuto la passione travolgente verso qualcuno e ne
era stata risucchiata fino a diventarne succube.
E lui consapevole del potere che aveva su di lei, ne aveva fatto quello che voleva.
Per i dieci anni in cui era durata la loro relazione, lui era entrato ed uscito dalla
sua esistenza come e quando voleva, lasciandosi dietro sempre macerie dopo il
suo passaggio.
Lou aveva dolorosamente preso atto che non era l'uomo adatto a lei, eppure non
era mai stata capace di respingerlo ogni qual volta lui tornava: sapeva sempre
come prenderla, come ammaliarla, come ferirla. Per anni era stata come cera
molle nelle sue mani.
Per anni aveva tollerato i mille tradimenti e bugie che era costretto ad ammettere
ogni volta che venivano a galla; ogni volta si era illusa di poterlo cambiare e
soddisfare con il suo amore totalizzante; ogni volta era stata lei a venirne fuori
con il cuore a brandelli e l'anima pesta.
Con un sospiro uscì dalla vasca, dedicandosi qualche minuto di coccole
cospargendosi con la crema corpo profumata che Nur aveva lasciato in bagno. Poi
asciugò la massa di capelli ricci che le ricaddero fino alla vita in una cascata
voluminosa e lucente. L'unica cosa che le piacesse in lei; per il resto si trovava
alquanto banale. Studiandosi allo specchio, con i suoi occhi castano chiaro
lievemente obliqui, la pelle chiara, la bocca piccola e ben disegnata, il viso a forma
di cuore, il naso dritto ma con una piccolissima gobbetta, in ricordo di una parata
spettacolare di quando aveva dieci anni. Si divertiva a giocare a calcio non
capendoci granché, con i suoi due fratelli e con i ragazzi del suo vicinato; quella
parata che le aveva procurato un immediato successo tra tutti quanti e della
quale andava orgogliosa quasi quanto una cicatrice di guerra. Indossò la sottana
lilla e la maglia che la accompagnava, lasciandole scivolare sul corpo come una
carezza, stupita che tenesse così caldo nonostante fosse sottile e lieve.
Si preparò una tazza di tisana rilassante alla melissa, spense tutte le luci della casa
ad eccezione della lampada da terra e da rito si raggomitolò sul gatto morto come
ogni sera.
Con la schiena premuta contro il calorifero, con il libro che stava leggendo e la
lampadina da libro che ne illuminava solo le pagine, si immerse nella lettura.
Il libro era umoristico, di una famosa attrice comica italiana.
Rise di gusto alle descrizioni sugli uomini che l’autrice faceva, delle varie situazioni
tragicomiche che segnano il rapporto uomo-donna. Prendere la vita con ironia
anche quando tutto va storto, non è facile e non è cosa da tutti: troppo spesso ci
si lascia andare al melodramma, piangendosi addosso... aveva promesso a se
stessa che non si sarebbe mai più concessa il lusso di lasciarvisi andare.
Non avrebbe permesso che chi la amava, i suoi amici più cari raccogliessero
ancora i cocci.
Un movimento impercettibile alla sua destra attirò la sua attenzione e si girò,
guardando verso l'esterno.
«Uh!», esclamò sorpresa quando vide un'ombra muoversi all'interno delle
finestre dell'ultimo piano della famosa soffitta. «Allora esiste davvero!»
Incuriosita fissò intenta per qualche istante sperando di vederne l’abitante
misterioso, ma la luce si spense e lei tornò a leggere.
Capitolo due
Principi e Pirati
Nel dormiveglia, quando sei ancora addormentato ma con un piede nella realtà, è
come se varcassi una porta invisibile, tra un mondo e l'altro. Per Lou quel confine
era molto netto e ogni volta tornare alla triste realtà dopo aver vissuto avventure
nel mondo onirico, era sempre un trauma.
Il mattino successivo, prima ancora di svegliarsi del tutto, Lou ebbe la sensazione
che qualcuno la osservasse.
Aprì gli occhi rapidamente e udì la voce di Nur, che stesa accanto a lei, tratteneva
una risatina divertita.
«Finalmente...»
«Nur, quando fai così sei inquietante lo sai?», disse Lou con la voce impastata.
«Che ore sono?», continuò lamentosa, guardando verso l'orologio. Le dieci.
Maledizione!
«A che ora sei tornata? Non ti ho sentito rientrare.»
«Le quattro e tu dormivi alla grande. Sei andata a letto presto?»
«Non ricordo, penso di essere crollata verso le due dopo l'alzataccia e la giornata
di ieri con te... Beh, allora? Com'è andata la festa? Era donna o uomo? Dimmi che
quel vestito almeno è servito a qualcosa.»
«Era uomo e sì, è servito: penso che la mia richiesta verrà accettata dopotutto...
ma devo dirti una cosa! Non indovinerai mai chi ho incontrato! »
Sorrideva come chi avesse un segreto che non vedeva l'ora di raccontare.
«Chi? Brad Pitt che si è innamorato pazzamente di te e ha mollato la Jolie?»,
chiese sbadigliando rumorosamente.
«No. Ho incontrato il nostro vicino di casa.»
«Il signor Korhonen era alla festa della tua Compagnia Aerea?»
Chiese con finto stupore pensando al loro vicino, un simpatico vecchietto che
abitava al di là della strada e con cui ogni tanto Lou scambiava qualche frase, le
poche che conosceva in finlandese.
Si incontravano spesso nel supermercato in cui entrambi facevano la spesa e Lou
si offriva sempre di portargli i sacchetti. Era così che avevano stretto amicizia: lui
un giorno l'aveva riconosciuta e agganciata con un sorriso gentile e la frase più
carina e dolce da molto tempo a quella parte.
«Ecco la vicina di casa più simpatica e carina del mondo!»
Lei gli aveva portato il sacchetto della spesa. Era il loro rituale.
Anche se ormai il Sig. Korhonen si era attrezzato di un carrellino da spesa con le
fiammanti rotelle, facevano sempre la strada di ritorno insieme.
Le piaceva quel vecchio signore dai brillanti e vispi occhi azzurri.
Pensava non ci fosse nessuna signora Korhonen o perlomeno non aveva mai visto
con lui un’ipotetica moglie o altri che potessero essere figli.
Sentiva una tenerezza infinita verso il suo “amico anziano”, come lo chiamava
Nur; andava pazzo per la sua pizza. Ogni volta che Lou si cimentava nel farla in
casa, così come le aveva insegnato sua madre, c'era sempre un'abbondante
porzione che attraversava la strada per arrivare nelle fauci dentierate del Sig.
Korhonen, che come per magia appariva sulla porta prima ancora che lei suonasse
al cancello. Ridendo si toccava il naso, dicendole che aveva sentito il profumo
arrivare dalla loro casa.
«Piantala di dire scemenze! Ho incontrato LUI!», sapeva bene a chi si riferisse ma
la divertiva stuzzicarla fino all'esasperazione.
«Uhm?! Lui chi?», chiese ancora con le labbra strette fra loro per non ridere in
faccia alla sua amica.
«Ti odio! Lui! Il Principe Misterioso!», sbottò esasperata.
Lou continuava a guardarla con sufficienza come se le avesse detto di aver
incontrato il fornaio.
«E che ci faceva il tuo Principe alla festa? Era a caccia di modelle?», chiese Lou
con tono supponente, dando per scontato che nonostante la sua fama di uomo
ritirato a vita privata non fosse diverso da tutti gli altri uomini.
«No, non era alla festa!», scandì Nur, irritata. «È successo dopo, quando un
gruppo ristretto di noi ha deciso di continuare in un pub... e lui era lì!», continuò
concitata.
«Quindi?! Voglio dire... com'è? È vivo? Respira?»
Evitò di riferire alla sua amica che anche lei lo aveva visto aggirarsi nella sua
famosa soffitta. Probabilmente non era neanche lui, visto che era al pub.
Nur sbuffò girandosi a pancia in su, portando le mani dietro la testa.
«È... figo. Cioè se non fosse famoso e non lo conoscessero anche le pietre, penso
che passerebbe facilmente inosservato. Mi sono avvicinata per parlargli, ma non è
stato molto disponibile...», continuò ricordando con fastidio che il musicista era
stato gentile ma distaccato quando gli si era avvicinata. Nur odiava non avere gli
uomini ai suoi piedi a ogni battito di ciglia e lui non aveva mostrato segni di
particolare interesse di fronte alla sua avvenenza, pur continuando a sorriderle e
ad essere gentile. Allora lei gli aveva detto che era sua vicina.
Raccontò alla sua amica le battute che si erano rivolti.
«Davvero?», aveva chiesto lui con la sua voce, bassa e roca.
«È strano: non mi sono mai reso conto di avere delle vicine di casa così carine,
giovani ed interessanti… Dove abiti di preciso?»
Lei gli aveva spiegato che non viveva sempre lì e che era quello il motivo per cui
forse non si erano mai incontrati, spiegandogli quale fosse la casa.
«Ah! Sì, ho capito di quale casa stiamo parlando. Pensavo fosse infestata dai
fantasmi...», aveva detto con un mezzo sorriso.
«Fantasmi?! No! Santo cielo, no! Vivo con la mia amica Lou e lei c'è sempre in
casa...», aveva mormorato basita, Nur.
Il principe aveva stretto gli occhi verdi.
«Uhm... quindi la donna con i lunghi capelli chiari e mossi non è un fantasma? Che
peccato... pensavo apparisse solo per me...», aveva sospirato.
Nur, vagamente imbarazzata e incerta se la stesse prendendo in giro o parlasse
sul serio, aveva deciso di uscirsene con una risatina.
«Lou un fantasma! No, è vera... ma è lei che infesta la nostra casa, questo è
vero!»
«Fammi capire bene: QUELLO ha creduto che io fossi un fantasma?!», sbottò Lou
indispettita.
«Sì, credo che stesse scherzando comunque! Ma non ne sono così sicura, sai? É un
uomo misterioso, strano...»
«Bah!», proruppe Lou. «A parte questa sua simpatica uscita, che altro vi siete
detti?»
«Oh, niente di che... mi ha chiesto che lavoro facessi, da quanto vivevo qui... le
solite cose; mi ha chiesto se poteva offrirmi da bere, abbiamo chiacchierato
ancora un po' e poi si è offerto di darmi un passaggio a casa... a piedi.», lasciò
cadere lì, in modo misterioso.
«A piedi? Che sfigato. E poi?», chiese acida.
«E abbiamo parlato di musica e di arte – una vera noia! Mi ha accompagnato fino
al cancello e poi mi ha salutato. Ah! E mi ha chiesto di porgere i suoi omaggi
al fantasma.»
«Ma… tutto qui?! Niente notte di sesso sfrenato con il Principe Misterioso?»
«No... non penso sia scattata la scintilla.», disse mesta Nur con una leggera nota
infastidita nella voce. «In compenso però ha salutato dicendo che potevamo
vederci qualche volta, come dettano le regole del buon vicinato.»
«Ah, certo! Come no!»
Nur si distese sul fianco con un gomito puntellato sotto la testa e la fissò con gli
occhi che brillavano.
«Infatti l'ho invitato stasera, per una cenetta... qui.», sussurrò.
«Davvero? Non perdi tempo! Che cosa romantica…E cucineresti tu?»
Lou soffocò una risatina: la sua amica era nota per non avere grandi abilità
culinarie.
«No, ovviamente. Tu invece sei una cuoca fantastica e lasciamelo dire: quell'uomo
ha bisogno davvero di cibo!»
Nur aveva l'aria più angelica del mondo. Lou la fissò per qualche secondo,
sperando che la sua amica scherzasse.
Nur continuava a guardarla speranzosa e con un sorriso capace di sciogliere anche
i ghiacciai.
«Scordatelo! Non cucinerò per lui.», sbottò Lou.
«Perché no? Dai Lou: sai che io sono negata per queste cose.»
«Nur! Io... Io... Io Ti STROZZO!», urlò l'altra schizzando fuori dal letto e
guardandola con gli occhi che lanciavano fiamme.
«Come ti è venuto in mente di invitare uno che manco conosciamo, qui in casa
nostra e sbolognare a ME la cena?! Ti sei bevuta il cervello?! Almeno potevi
chiedermelo prima di invitarlo! Tu sei pazza!»
Nur guardava calma e rilassata la sua amica mentre blaterava senza sosta,
sbattendo roba a casaccio per la camera.
«Cioè questa mi invita un estraneo a casa e manco me lo dice e pretende che io
cucini! Eh, certo! Ne parla come se fosse uno normale!»
Sparò velocemente fuori la tiritera in italiano come le accadeva sempre quando
era agitata.
«Ehm... Lou, se parli in italiano non capisco cosa dici...»
Nur cercava disperatamente di reprimere una risata. «Avanti, che sarà mai? È solo
un uomo come un altro. Non capisco perché ti agiti in questo modo!»
«Eh?! Guarda che non è solo perché è un musicista famoso... avrei reagito allo
stesso modo con chiunque altro! Sai che non mi piacciono le sorprese! E poi non
ho voglia di conoscerlo, okay?», disse furiosa, puntandole la spazzola contro.
«Non è affatto vero: ogni volta che ti ho chiesto di cucinare per qualche mio
amico, non hai mai fatto storie! Non vedo perché ora ne fai una tragedia! E come
sarebbe a dire che non hai voglia di conoscerlo?! Santo cielo, Lou! È quasi una
star, non uno qualunque!»
«Hai appena detto che è un uomo come un altro.», sibilò minacciosa, stringendo
gli occhi a fessura e incrociando le braccia sul petto.
«Sei impossibile, amica mia! È ora che tu la finisca di evitare gli uomini! L'unico
che frequenti con tranquillità è il Sig. Korhonen! Devi ricominciare a vivere: non
puoi lasciare che un'unica storia andata male ti segni per il resto dei tuoi giorni!
Sei giovane e bella e hai tantissime altre qualità che non sto qui ad elencarti!
Perché ti castighi in questo modo?! Vivi la tua vita!»
Nur si alzò dal letto per andarle vicino e scuoterla.
«Che c'entra questo col fatto che non voglio cucinare per questo tizio e che non
mi interessa conoscerlo? Perché tiri sempre in ballo il mio passato quando non ce
n'è motivo, Nur?», sbottò astiosa, divincolandosi dalla stretta dell’amica.
«Perché che sia lui o un altro, tu scappi alla velocità della luce non appena un
uomo sotto i 60 anni ti si avvicina! Non è normale!»
«Non mi interessa conoscere uomini al momento, okay? Neanche per una
semplice cena, neanche se venisse Brad Pitt in persona. Perché stiamo
discutendo?!», chiese all'improvviso fermandosi sfinita. «Senti, non ho voglia di
discutere con te, non continuare con questa storia degli uomini, per cortesia!»
«Io mi preoccupo per te: sei qui da sola, non esci mai, sei sempre solitaria... vorrei
vederti felice, vorrei che t’innamorassi di nuovo e vorrei che tu facessi sesso,
perdinci! Hai così tanto amore da dare...»
«Non sono pronta. Non insistere: non è con la filosofia del chiodo scaccia chiodo
che mi sentirò pronta... ho bisogno di tempo per stare con me stessa e
concentrarmi su di me, come non ho mai fatto in dieci anni. Lo capisci?»
«Lo capisco, anche se non lo condivido e lo sai... ma per favore, non chiuderti: non
vuoi una storia? Va benissimo! Ma almeno fatti nuovi amici.»
Lou la fissò in silenzio per qualche istante.
«E chi sarebbe quest’amico? Il tuo Principe Misterioso?! Sai che figata...»
«Beh, lui figo lo è!»
«Non l'ho mai visto e non credo sia il mio tipo.»
«Se non l’hai mai visto come fai a dire che non è il tuo tipo? Antipatica! Allora
cucinerai la tua pasta? O Meglio la pizza: so che lui la adora...», riprese con
noncuranza tornando a stendersi sul letto.
“Anche su ordinazione devo cucinare per quel tipo, ora?”.
Lou decise di odiarlo.
«Ti preparo la pizza ma non sarò presente alla tua cena: ho un impegno stasera!»,
disse uscendo a testa alta dalla stanza.
Nur balzò dal letto e le tenne dietro.
«Come sarebbe a dire che hai un impegno?! TU?! Dove devi andare e con chi?!»,
volle sapere senza fiato.
«Devo lavorare: mi ha chiamato Matleena e dobbiamo allestire una mostra.»
«Di sabato?», sbraitò Nur troncando le parole dell'amica.
«Sì, di sabato.», rispose con calma l'altra, mettendo la sua amata moka sul gas.
«Deve essere tutto pronto per lunedì ed io ho dato la mia disponibilità. Inoltre
voglio conoscere l'artista di persona: mi piacciono le sue istallazioni.»
«Questa è una scusa che stai usando per non essere qui a cena con me!», la
accusò Nur puntandole un dito contro. «Sei infima...», sussurrò quasi con rispetto.
«Non è una scusa: Matleena mi ha chiamata ieri sera sul tardi, disperata, perché
non trovava nessuno disponibile e mi ha pregata di andare; Nur è il mio lavoro e
mi piace, non prenderla come un affronto personale! Avrai la tua cena e la tua
pizza!»
«Me ne frego della pizza! Volevo ci fossi anche tu!», si lamentò Nur. «Almeno
cerca di sbrigarti velocemente, così magari quando torni lo trovi ancora!»
“Ma anche no.”, pensò ghignando.
«Non era un appuntamento galante?»
«Certo che lo è. E sai che non vado a letto mai con nessuno al primo
appuntamento. Tu mi servi come diversivo.»
«Farò del mio meglio.», rispose evasiva sorseggiando voluttuosamente il caffè.
«Ti odio.» Decise Nur.
«No, mi ami. Soprattutto quando cucino per te, quindi fai la brava e metti un po'
d'ordine in questo porcile...», continuò velocemente accortasi che l'altra già
apriva la bocca per protestare. «Mentre io vado a fare la spesa per la TUA cena.
Come avrai notato in frigo c'è ben poco e anche nella dispensa, quindi tu farai
quello che ti dico se vuoi fare bella figura con il tuo principe. Oppure ordina al
ristorante in fondo alla strada.»
«Ti detesto. Sai che odio fare le pulizie di casa!», strillò Nur. «Mi si rovina lo
smalto! Ho appena speso un capitale per la manicure.»
Alzando gli occhi al cielo, Lou la scansò senza tante cerimonie e si diresse in bagno
senza risponderle.
Prima di chiudere la porta dietro di sé, lanciò un sorriso a trentadue denti alla sua
amica accigliata che la osservava con odio, battendo un piede a terra e le braccia
incrociate sul petto.
«Ricordi dov'è tutto l'occorrente per la perfetta casalinga, vero? Se vuoi ti do le
coordinate...», chiese ridendo, chiudendo di scatto la porta prima che una costosa
ciabatta firmata vi si schiantasse contro.
Come ogni sabato Lou si recò al supermercato più vicino, dove incontrò come
sempre il Sig. Korhonen che girellava per le corsie con il suo carrellino rosso.
«Buongiorno Sig. Korhonen!», disse nel suo finlandese zoppicante, avvicinandosi
trafelata e togliendo il capello di lana bianca con la sciarpa in tinta.
«Buongiorno mia cara! Come stai oggi?», rispose lui con gli occhi azzurri ridenti e
luminosi.
«Sto bene, grazie… e lei?»
«Bene cara, bene!»
«Sono qui se le serve aiuto.»
«D'accordo, d'accordo!», le disse con un gesto veloce della mano, mentre si
allontanava verso il bancone del pane.
Sorridendo si girò per fare la sua spesa; prese dei pomodorini rigirandoli tra le dita
con occhio scettico: le sembravano simili ai pachino ma dei quali non voleva
sapere la provenienza.
Preferiva rimanere nell'oblio dell'ignoranza.
Mozzarella. Come sopra.
Verdure varie: di quelle ne trovò in abbondanza e freschissime.
Olive, quelle almeno erano in barattolo.
“Ah, quanto mi manca l'Italia in questi momenti...”, pensò sospirando.
Si affrettò quando vide che il Sig. Korhonen la attendeva già all'uscita, per cui
prese al volo la confezione di bagnoschiuma e shampoo che stava scegliendo e si
avviò alle casse.
«Eccomi, Sig. Korhonen, sono pronta! Posso aiutarla?», chiese indicando il
sacchetto con il pane che aveva nella mano libera.
«Faccio da solo, cara: dammi solo il braccio, sai... con questo ghiaccio...», sospirò.
«Certo! Ah, stasera c'è la pizza!», disse con un sorrisino complice.
«Davvero? Bene, mia cara ragazza! Ti aspetto allora!», rispose lui ridendo felice
come un bimbo.
Nessuno dei due si accorse dell'uomo, con un largo cappello di lana calato sui
capelli castani e mossi, che fermo vicino alle casse, li osservava incuriosito con i
suoi occhi verde chiaro.
«Sto morendo di fame e non so se riesco a resistere fino a stasera!»
Nur, gironzolando intorno a Lou che si affaccendava in cucina si beccò un colpo di
cucchiaio sulle nocche quando allungò una mano per rubare un pezzo di pizza
appena sfornata.
«Ferma lì!», la riprese Lou. «Non ti azzardare a toccare la mia pizza prima del
tempo!»
«Despota.»
«Bimba monella... a che ora dovrebbe venire il tuo amico? Sai, voglio farmi una
doccia prima di andare in galleria e non voglio ritrovarmi uno sconosciuto a
ciondolare per casa mentre esco dal bagno.», chiese Lou, leccandosi le dita dal
pomodoro che aveva appena tagliato a dadini.
«Gli ho detto di venire quando voleva.», rispose Nur riuscendo a rubare un pezzo
di mozzarella prima che l'altra la colpisse di nuovo sulle dita, facendole la
linguaccia.
«Ah bene, anche con comodo...», rise Lou.
«Quindi è meglio che mi affretti se voglio evit... arrivare in galleria prima che il tuo
ospite arrivi.».
«Odiosa di un'acida frigida.»
Lou scoppiò in una risata allegra e dopo due secondi Nur si unì a lei.
Contemplando la mole di pizza che aveva preparato, pensò che probabilmente
avrebbe sfamato il principe per il resto del mese. Ne aveva di scelta: pomodoro e
basilico, mozzarella, patate e verdure varie dal momento che Nur le aveva detto
che il “tizio” non mangiava carne, così si era fatta prendere la mano nello
sperimentare nuove combinazioni con ogni sorta di ortaggi e verdure.
«Allora, ripetimi cosa devi fare.», disse a Nur che la guardava attenta come una
scolaretta.
«Sì, okay: metto la pizza nel forno, aspetto che sotto sia dorata poi aggiungo la
mozzarella e aspetto che si sciolga.», ripeté diligente la scolara.
«Perfetto. Vedi di non incendiare casa.»
«Sarà fatto, capo!», scattò sull'attenti sbattendo i piedi e portandosi la mano alla
fronte.
«Tsk! Ora vado a preparami: voglio fare una buona impressione sul gallerista e
non puzzare di pizza.»
«Mettiti un vestito sexy!», le urlò dietro quando era già in bagno.
«Devo allestire una mostra non fare una sfilata, stupidina!», rispose urlando di
rimando l'altra, mentre cercava di sciogliere i muscoli delle spalle sotto il getto
d'acqua calda.
«Puoi essere sexy ugualmente, anche con un vestito comodo!», continuò Nur.
Non sarebbe riuscita ad essere sexy neanche se avesse messo i tacchi alti 15
centimetri e uno spacco fino alla gola.
Uscì velocemente dalla doccia sette minuti dopo, si asciugò e strizzò i capelli in un
asciugamano mentre cercava di essere presentabile con un po' di trucco.
Indossò una maglia nera a collo alto e un pantalone anch'esso nero, stivali e fu
pronta.
I capelli però erano un disastro: se voleva evitare di fare tardi e beccare il
musicista in casa sua, doveva darsi una mossa, per cui optò di legarli in una
crocchia stretta faticando non poco a trattenerli mentre i riccioli cercavano di
sgusciare da tutte le parti.
Quando uscì, Nur fischiò con apprezzamento.
«Wow! Mi hai presa in parola! Vedi che sei sexy anche senza scollacciarti? Sembri
Eva Kant! Stai per andare a svaligiare una banca con Diabolik?»
«Mi hai beccata...»
Prese al volo cappotto e sciarpa, si infilò delicatamente il cappello evitando di fare
altri danni alla sua già indomabile chioma, mise a tracolla la sua borsa, prese le
porzioni che aveva preparato per il Sig. Korhonen e filò dritta alla porta salutando
Nur, che la guardava sbalordita.
«Ehi, che fretta hai?! Sono solo le 19 e trenta!», chiese Nur con ansia.
«Devo prendere il tram e di sabato a quest'ora c'è traffico, non voglio rimanere
imbottigliata e fare tardi!»
Era una balla. Non sapeva per quale motivo, ma non voleva correre il rischio di
incontrare il loro vicino. E inoltre, rimanere imbottigliati nel traffico di Helsinki era
pressoché impossibile.
Nur infatti la guardò con sufficienza.
«Non le sai dire le balle, fidati.», disse truce limandosi un’unghia già perfetta.
Non aveva nessun motivo valido, non lo aveva mai visto se non di sfuggita in
qualche programma tv, né ascoltato una sua canzone o mai visto un suo video.
Eppure era così e non si spiegava il perché.
Consegnò il suo dono al Sig. Korhonen che come sempre l'attendeva trepidante
sulla porta, lo salutò augurandogli buon appetito e una buona serata e a passo
veloce si diresse verso la fermata del tram.
Alle otto in punto entrò nella galleria, dove ad attenderla c'era Matleena che
parlava con un uomo alto e moro che le dava la schiena.
Matleena come al solito si agitava dando ordini sulle disposizioni e quando la vide
le fece un segno brusco con la testa a mo’ di saluto.
“Brutta serata...”, pensò Lou sospirando rassegnata, togliendosi cappotto e
cappello.
Matleena, una donna energica di cinquanta anni era una despota, come si suol
dire.
Una che non si accontentava mai, che esigeva sempre la perfezione e tutto
doveva essere così come lei aveva deciso.
Alta e slanciata, capelli neri lisci e portati sciolti sulle spalle, opera di qualche hair
stylist che doveva aver rinchiuso in qualche stanza della sua enorme villa, dal
momento che erano sempre perfetti, un viso fresco e pulito nonostante l'età;
sempre elegante e raffinata, vestiti semplici ed essenziali che lei faceva risaltare
con accessori spettacolari.
Quella sera indossava un completo blu scuro con pantaloni stretti, che le
donavano in particolar modo, una camicia di seta bianca e la collana che Lou in
assoluto preferiva tra tutte quelle che le vedeva sfoggiare da due anni, da quando
Matleena l'aveva scelta tra altre ragazze e ragazzi come sua assistente e
responsabile ai contatti con i clienti.
La prima volta che si erano viste le aveva fatto una cattiva impressione: ne era
rimasta affascinata e terrorizzata. Per tutto la durata del colloquio non aveva
sorriso una volta, né dato segni di interesse per il suo scarno curriculum, tanto
meno per quello che lei le diceva.
Alla domanda secca e fredda: «Perché pensa che dovrei assumerla?», Lou era
rimasta pietrificata e per qualche secondo aveva sbattuto gli occhi nel panico più
totale.
Allora lei aveva risposto con sincerità e schiettezza: «Perché sono una che impara
presto e non ha vincoli di orari, né fidanzati, mariti o prole a carico. Mi piace
quello che faccio e un giorno voglio avere un mio spazio espositivo e magari una
galleria».
“O la va o la spacca”, si era detta convinta stanca di quella pressione.
Matleena l'aveva guardata per la prima volta con interesse e con un mezzo sorriso
gelido le aveva detto: «Perfetto. Inizia lunedì prossimo. Ora mi lasci lavorare.»,
congedandola senza rivolgerle un altro sguardo di più tornò alle sue carte.
Lou aveva sbarrato gli occhi non credendo alle sue orecchie, aveva mormorato un
“grazie” e con gambe malferme era uscita dallo studio.
Col tempo aveva imparato non solo a gestire il carattere di Matleena ma anche ad
apprezzarla per le sue qualità umane.
Una volta superato l'iniziale gelo, tra loro si era instaurato pian piano un rapporto
di stima reciproca, poi di fiducia e infine di complicità. Non potevano dirsi amiche,
ma Lou contava su Matleena e Matleena contava su Lou.
Insieme formavano una squadra efficiente e la loro macchina era oliata sempre
alla perfezione.
Riuscivano a capirsi al volo: Lou indovinava sempre cosa voleva Matleena e come
voleva che fosse fatto. Matleena le piaceva e nessuno dei suoi colleghi riusciva a
capire perché loro due andassero così d'accordo.
Si avvicinò con discrezione ai due che stavano parlando, in attesa che Matleena la
presentasse al loro artista.
«Julian, lei è Lou, il mio braccio destro: si occuperà di tutto quello che concerne
l'organizzazione. Lou, ti presento Julian, il nostro artista.», disse Matleena, concisa
come sempre.
L'artista in questione si girò con un sorriso.
“Porca vacca!”, pensò arrossendo.
«Encantado, signorina...», disse con voce suadente una bocca carnosa, occhi neri
e profondi.
Julian le porse la mano e quando lei gli tese la sua, con suo enorme imbarazzo si
piegò in un elegante baciamano.
«Ehm, piacere mio...», rispose con un soffio di voce tirando via la mano alla
velocità della luce.
Intanto Matleena se la rideva sotto i baffi di fronte al suo imbarazzo.
Dopo le presentazioni e i convenevoli di rito, Matleena la mise subito al lavoro e
lei accolse con gioia di allontanarsi dall'artista che ogni tanto le lanciava occhiate
di fuoco, facendola avvampare ogni volta.
“Ehi, ma allora è una congiura?! E piantala di arrossire come una scolaretta, Lou!
Sei una donna, non una bimba: che diamine!”, si ripeteva fra sé, furiosa.
Cercando di concentrarsi sul suo lavoro, pena una lavata di testa di Matleena, Lou
passò le successive due ore e mezzo ad allestire secondo le direttive le opere che
Julian esponeva per la prima volta fuori dalla Spagna, suo paese d'origine.
Ammirò con stupore le opere di carta che Julian creava, maneggiandole con
estrema cura. I suoi lavori erano così minuziosi e geniali; con carta, colla creava
oggetti e concetti originali e dall’effetto scenico impressionante. L'opera che più
la colpì fu un pugnale con la lama che altri non era che un leggera e candida
piuma bianca.
Incantata da tanta fantasia e leggerezza, non si accorse che Julian le si era
avvicinato alle spalle e le chiese con un sussurro cosa ne pensasse delle sue
opere.
«Sono spettacolari davvero!», rispose di slancio. «Il “Castello delle fiabe” di carta:
è stupendo!»
«Sono contento che ti piacciano... nel castello manca solo una principessa. Magari
posso istallarti all'interno, saresti perfetta.», disse con gli occhi neri ridenti.
Lou cincischiò una risposta schernendosi non riuscendo a mettere in fila un
pensiero coerente.
“Accidenti a te! Reagisci!”, si urlò nell'intimo.
«Possiamo provarci!», disse con finta disinvoltura.
«Non mi tentare: potrei chiedere alla tua draghessa il permesso di usarti...»,
rispose facendo scivolare con lentezza lo sguardo di fuoco sul corpo di Lou, prima
di ritornare sul viso.
“Stava parlando dell'istallazione, spero...”, pensò annaspando.
«Come l'hai chiamata?!», chiese subito dopo ridendo.
«Draghessa: colei che difende il castello della principessa da brutti ceffi poco
affidabili, ma affascinanti... I principi sono sempre noiosi nelle favole, non trovi?
Sempre così impeccabili e bellissimi. Sempre con gli occhi azzurri e i capelli biondi
e una condotta irreprensibile...
Ogni favola finisce sempre con “E vissero felici e contenti” ma nessuno ci ha mai
detto cosa succede dopo un anno. Secondo me la principessa in questione tenta il
suicidio dalla noia! Vuoi mettere se fosse scappata invece con il pirata? Di certo
non si sarebbe annoiata...»
Il discorso non faceva una piega e lei rise di gusto alla breve ma fantasiosa arringa.
“Scommetto che lui si identifica con il pirata.”, pensò improvvisamente rilassata
Lou.
«Sei per caso il portavoce della Congrega dei Pirati?!»
«Ovviamente. Con questi colori o facevo il pirata o mi mettevano a vogare con le
frustate a ritmo di tamburo.»
Lou scoppiò di nuovo in una risata. Non era solo bello e talentuoso ma anche
simpatico e arguto. Quell'esperienza le sarebbe piaciuta, ne era certa.
Lui la fissava con occhi maliziosi e un ghigno che si sforzò di far sembrare
piratesco. Santo cielo!
Era piegata in due dalle risate.
«Bene, vedo che avete fatto amicizia.», disse piccata Matleena arrivando di
soppiatto alle loro spalle.
Subito Lou si riprese e si girò con aria seria, temendo una lavata di testa, ma la sua
draghessa aveva un sorriso rilassato sul viso, segno che il lavoro era di suo
gradimento.
«Ottimo lavoro, Lou. Ora vai pure a casa o farai molto tardi. Io non posso
accompagnarti stasera, devo controllare le ultime cose. Ti spiace?», chiese
distrattamente con la mente al prossimo impegno.
«Ma no figurati, non c'è problema. Ci vediamo lunedì allora, capo!», disse Lou
sorridendo.
«Se non ti spiace e se la mia presenza qui non è più indispensabile mi farebbe
piacere accompagnare a casa Lou, Matleena. Non posso lasciare che una ragazza
giri per strada a quest'ora di notte... non si sa mai chi potrebbe incontrare: girano
brutti ceffi oggi.», si intromise Julian rivolgendosi a Matleena come per chiederle
il permesso e di sfuggita fece un occhiolino a Lou che soffocò una risata.
«Ma certo, te lo avrei chiesto io... dritti a casa! E un’ultima cosa: Julian? Tu mi
servi domani pomeriggio invece, ci sono ancora alcuni dettagli di cui vorrei
discutere con te.»
«Ci sarò, a domani Matleena e grazie ancora!», disse Julian allegro mentre aiutava
Lou ad indossare il cappotto.
“Anche galante... non sarà troppo perfetto? Vuoi vedere che è gay?!”, pensò Lou
divertita come non mai.
Uscirono nella notte fredda e pungente, tirandosi addosso le sciarpe.
«Bene, mia Eva Kant, dove andiamo a fare baldoria ora?», chiese con aria
complice Julian, prendendole il braccio e infilandolo sotto il suo.
«Anche la mia coinquilina mi ha chiamata così!», rispose ridendo con le guance
rosse Lou.
«Beh, somigli a Eva con quella tenuta da ladra... vado bene come Diabolik anche
se non ho gli occhi azzurri?!»
«Vai benissimo!»
Le piaceva il suo accento spagnolo sotto l'inglese quasi perfetto. La faceva sentire
come a casa la sua voce calda e gli occhi neri e maliziosi. Gli spagnoli erano molto
simili agli italiani: pronti al riso, al divertimento, alla musica... decise che Julian le
piaceva e strano a dirsi non era più a disagio con lui, anche se continuava a
guardarla con interesse.
«Dove vuoi che ti porti? Pub, ristorante? Hai fame?», chiese improvvisamente
Lou. «Io sto morendo.»
«Anch’io, muoio di fame... presumo che qui non ci sia un ristorante italiano, tanto
meno uno spagnolo giusto?»
«Sì, ce ne sono, ma... non te li consiglio, credimi. Meglio optare per la cucina
locale...», rispose sospirando e in quel sospiro era concentrata la sua idea sul cibo
finlandese. «Ma a quest’ora trovare una cucina aperta è quasi impossibile.
Possiamo provare però!»
«Bene, allora sono nelle tue manine, bionda... mi fido di te.», disse spingendola
gentilmente verso un'auto nera e scattante come lui, aprendole la portiera.
Vagarono per le strade, chiacchierando amabilmente, in cerca di un posto dove
rifugiarsi.
Riuscirono a trovare un ristorantino piccolo ma carino.
Lou gli consigliò di assaggiare il delizioso “Karjalanpiirakka” , una focaccia fatta
con riso e patate, che lei adorava; Julian ordinò poi del classico salmone, bevvero i
deliziosi liquori tipici fatti con i frutti di bosco e infine optarono per il dolce,
il “Mammi”, un dessert di segale e malto.
Julian le faceva domande a raffica, parlava di continuo accompagnando le sue
parole con grandi gesti delle mani; Lou era rilassata e a suo agio, con le guance
soffuse di rosso e gli occhi brillanti seguiva i discorsi del suo nuovo amico.
Una mente acuta e un fascino latino potevano fare danni, ma stranamente non
era agitata e il resto della serata passò velocemente, che quasi dimenticò Nur e la
sua cena con il Principe Misterioso.
Quando Julian la riaccompagnò a casa, Lou si chiese se l'ospite era ancora in casa
o fosse già tornato a rintanarsi nella sua soffitta decadente e bohemien; Julian
fermò l'auto proprio di fronte al vialetto che portava a casa sua.
Gettando uno sguardo dal finestrino verso la soffitta, Lou vide che le luci erano
spente, per cui ne dedusse che lui aleggiasse ancora in casa loro.
“Merda!”, pensò infastidita.
Per fortuna Julian, spento il motore sembrava non avere fretta di lasciarla andare:
si era sistemato contro i sedili di pelle, girato verso di lei e la guardava in silenzio.
«E ora che succede? Perché non parli?», chiese Lou con un senso di agitazione
crescente.
«Stavo ascoltando le parole di questa canzone.», rispose lui.
«Non la conosco...», rimase qualche istante in silenzio prestando attenzione alle
parole della musica in sottofondo. Il cantante aveva una profonda voce da
baritono, roca, calda e sensuale, avvolgente.
E le parole erano bellissime: tante volte anche lei si era sentita come se l'amore
continuasse a spargere sulle sue ferite il sale non lasciandole mai chiudere, così
come stava cantando l’uomo.
«Come sarebbe a dire che non la conosci?! Dimmi un po’, non sarai l'unica in
Finlandia a non conoscere i Lisiferin Harput?», rise Julian.
«I Lisiferin Harput? Questa è una loro canzone?», chiese piano Lou.
«Sì, ovviamente: fa parte di uno dei primi dischi... ma stai parlando sul serio? Non
la conoscevi?», chiese lui sinceramente stupito.
Lou fece segno di no con la testa, ancora concentrata sulle parole, sulla voce e...
ora finalmente sapeva che voce aveva il suo vicino di casa.
E si sentiva strana. Aveva improvvisamente caldo.
Sentiva il suo viso in fiamme. E lo stomaco in subbuglio.
Probabilmente aveva bevuto troppo, pensò rifiutando a priori l’idea che a farle
effetto fosse la voce del suo vicino che lei aveva deciso di odiare.
«Non ho mai ascoltato questo tipo di musica.», disse Lou. «Non è il mio genere,
anche se questo testo non mi dispiace.»
«I testi sono tutti profondi, dovresti ascoltarli sai? Secondo me ti piacerebbero
molto.»
Era un fan. Che cosa avrebbe detto Julian se avesse saputo che il cantante di
quella band ora era in casa sua?
«Non ne sono sicura, ma ascolterò il tuo consiglio... credo di poter fare questo
sforzo!», rispose piano Lou, guardando Julian con un sorriso di scuse.
«Dovresti...», sussurrò Julian, avvicinandosi ad accarezzarle una guancia col dorso
della mano.
Un attimo solo e lei si era già tirata indietro istintivamente.
Julian accortosi di aver fatto un passo falso le chiese immediatamente scusa
guardando distrattamente fuori dal parabrezza, tornando ad appoggiarsi al sedile.
«Scusa, non volevo essere precipitoso, ma vedi... mi sei piaciuta subito ed è nella
mia natura istintiva lasciarmi andare alle emozioni; non volevo sembrarti uno che
ci prova la prima sera con la prima donna che ha sottomano.»
Lou rimase in silenzio schiacciata contro la portiera dove si era rintanata, con lo
sguardo basso e le guance in fiamme.
«Lo so... cioè non lo so come sei, come ti comporti di solito con le donne, Julian...
Anche tu mi piaci, ma non è il momento adatto per me. Non prenderla come un
rifiuto a te... davvero sono stata benissimo stasera, a mio agio come non mi
accadeva da tempo. Non voglio che si rovini quello che... insomma non voglio
rovinare questa serata.», continuò annaspando imbarazzata.
«Lou, è colpa del mio sangue 'caliente' di pirata spagnolo!», disse Julian di slancio
prendendole una mano, cercando di farla ridere. «Scusami ancora... vuoi?»
«Okay…»
Gli sorrise. Non voleva aumentare ulteriormente l' imbarazzo dal momento che
sarebbero dovuti stare a stretto contatto per parecchie settimane. Non era
successo niente del resto e non era il caso di ingigantire solo perché lei se la
faceva addosso ogni volta che un uomo le dimostrava di trovarla bella e
desiderabile. Con la coda dell'occhio vide un uomo uscire dalla porta di casa sua e
attraversare il vialetto: un uomo alto e slanciato, anzi decisamente magro, in
vestiti che sembravano fin troppo larghi per lui.
Camminava con le mani ficcate in tasca, lentamente, con la testa nascosta da un
cappello che gli copriva gran parte del viso.
Un viso pallido, di cui non vide i lineamenti.
Passò davanti all' auto, gettando uno sguardo distratto all'interno: Lou si schiacciò
ancora di più contro la portiera, nascondendosi.
“Ma perché mi nascondo?!”, si chiese furiosa con se stessa.
Tornò a girarsi osservando la camminata elegante e allo stesso tempo dinoccolata
dell'uomo, che qualche istante dopo girò l'angolo e sparì dietro il muro di mattoni
rossi.
Julian osservò tutta la scena con curiosità ma non disse nulla; per essere un fan
era alquanto distratto.
«Tutto bene?», chiese Julian dopo qualche secondo. «Conosci quell'uomo?»
«No. E tu?», chiese con gli occhi maliziosi lei.
«Io? Dovrei?», Julian la guardava con aria interrogativa.
«Sì, dovresti. Hai detto che sei un fan dei Lisiferin Harput, giusto?», domandò con
un sorriso furbo, al suo cenno d'assenso continuò con tono basso, per creare la
suspense. «Bene... quello che è appena uscito da casa mia e che ci è passato
davanti, era il loro leader.»
«Certo!», Julian scoppiò a ridere. «Come no!»
«È lui, fidati di me: abita proprio lì in quella soffitta.», indicò la costruzione
decadente alla loro destra.
«Porca vacca! Non mi ero reso conto... cioè, cazzo! Tu abiti di fronte a Vilhelmi
Niemi e non lo conosci?! Ma... aspetta un momento! Hai detto che è uscito da
casa tua?!», Julian la fissava come se lo stesse prendendo in giro o fosse pazza.
Gli spiegò velocemente i fatti accaduti negli ultimi giorni; la festa della sua amica,
l'incontro con Niemi al pub, l'invito a cena, la pizza.
«E tu hai preferito venire ad allestire la mia mostra che stare a cena con Vilhelmi
Niemi? Sei matta?», chiese ridendo Julian ma sotto sotto lusingato.
Lei fece spallucce. «Amo il mio lavoro.», disse concisa imitando Matleena.
Julian rideva di gusto, facendo ondeggiare la macchina.
«Sei un fenomeno... sono pazzo di te, giuro!»
«Smettila di ridermi in faccia!», gli diede un pugno leggero sul braccio. «Ora però
è meglio andare. Domani la mia Draghessa ti metterà sotto e sarà meglio per te
arrivarci in forma.»
«Adoro quando le donne mi mettono sotto...», sospirò lui.
«Non avevo dubbi!», rise Lou.
Julian aprì la portiera, precipitandosi a girare intorno alla macchina per farla
uscire.
«Ma che galante...», disse passandogli accanto e precedendolo verso la porta.
«Grazie Julian. Davvero. Mi sono divertita tanto e sono contenta di averti
conosciuto. ».
«Piacere mio, donzella...», rispose prendendole la mano gelida e baciandola di
nuovo. «Spero di vederti presto. Ce la farò ad aspettare Lunedì?», chiese ridendo.
«Spero di sì!»
«Sogni d'oro, Eva...»
«’Notte Diabolik... e grazie ancora!»
Julian aspettò che lei si chiudesse la porta alle spalle prima di avviarsi alla
macchina e tornare nel suo albergo.
Lou una volta dentro casa si appoggiò alla porta con gli occhi chiusi.
«Chi diavolo era quello?! Sono le due passate! Dove diavolo sei stata?», sbraitò
Nur con gli occhi che mandavano lampi.
«Buonasera anche a te! Com'è andata la tua cena principesca?», chiese ridendo
togliendosi il cappotto.
«Non cambiare discorso! Chi era quello?»
«L'artista che ospitiamo in galleria.»
Nur era di cattivissimo umore.
La guardò camminare dritta verso la cucina e prendere una bottiglia di acqua dal
frigo e bere meccanicamente.
«Com'era la pizza?», chiese nella speranza che si calmasse.
«La pizza era buona.», rispose piccata.
«Ma...?! – la incalzò notando l’aria afflitta della sua amica - Che è successo,
perché sei di cattivo umore? L'ho visto uscire poco fa, quindi ho presupposto
fosse andata bene...»
«È andata bene, tutto sommato. Tranne il fatto che mi ha elegantemente
respinto! Abbiamo passato l'intera serata a flirtare e lui alla fine quando mi sono
fatta avanti, dopo due ore che lanciava sguardi assassini, ha sorriso e ha detto
solo: “Mi spiace... non credo sia il caso...”
Non credo sia il caso? A me?!»
Se Nur non fosse stata così furiosa avrebbe riso come una matta, tanto la sua
amica era indispettita: era uscita prima che l'altra si preparasse quindi vedeva
solo ora quanto impegno avesse messo nell' agguato. Quella sera aveva scelto un
abito nero, corto ovviamente, in modo da mettere in mostra le perfette gambe
affusolate, leggermente scollato; i lunghi capelli lasciati sciolti in onde
voluminose, il trucco perfetto e sensuale e ai piedi un paio di tacchi alla cui vista
lei provò senso di vertigini tanto erano alti. Era favolosa, ma forse un po' troppo
ricercato per una pizza con un vicino di casa. Era probabile che Niemi si fosse
sentito vagamente braccato?
Ne dubitava: ogni uomo che conosceva avrebbe fatto carte false per trovarsi una
donna del genere ogni sera della loro vita.
«È impazzito? Cioè se non fossi certa dei miei gusti sessuali, ti salterei addosso
anch’io: sei favolosa! Gioca a fare il bello e impossibile?», sbottò indignandosi in
nome della solidarietà femminile.
«Non lo so, è probabile che volesse veramente solo una pizza tra vicini ed io ho
forzato la mano; ma lui è un tipo affascinante, mi era parso di capire ieri sera che
non mi trovasse affatto repellente... forse ho capito male io...», mormorò esitante
Nur sedendosi e scalciando via le scarpe nervosa.
Lou sgranò gli occhi incredula: in quasi due anni che la conosceva era la prima
volta che vedeva la sua amica insicura e depressa per un uomo! Che diavolo aveva
combinato Niemi per fiaccare la fiducia della sua indistruttibile mangia uomini?!
«Sono proprio curiosa di sapere che diamine gli è passato per la testa!»
«Uhm... mi spiace tesoro, probabilmente vuole solo tirarsela per farti capitolare...
- buttò lì Lou cercando di consolarla e darle fiducia in se stessa – Vuoi rivederlo?»
«Non ne ho idea... odio quando un uomo mi respinge! Come osa?! – inveì,
riprendendo un po' di fiducia in se stessa. - Adesso non ha fatto altro che
scatenare la mia voglia di rivalsa!»
«Probabile che era proprio questo il suo scopo: che volesse essere corteggiato!
Uomini!», sbuffò Lou, scalciando anche lei gli stivali rannicchiandosi sul divano
accanto all'amica.
«A proposito di uomini: com'è andata la tua serata? Ti vedo particolarmente
accalorata e hai una luce negli occhietti che non me la conta giusta! Spara tutto,
Lou! Ora!»
«Beh, è andata bene: lui è un artista interessante ed anche un ragazzo
simpaticissimo. Siamo andati a mangiare qualcosa insieme da soli, quando
abbiamo finito e sono stata bene.»
«Ma?», chiese Nur, intuendo che c'era altro.
«Ma niente: lui ci ha provato e io l'ho respinto. Normale amministrazione. Almeno
per me. Ma voglio conoscerlo, mi piace stare con lui. Mi è solo sembrato
eccessivo che si facesse avanti la prima sera, dopo poche ore che ci eravamo
conosciuti.», disse pensando improvvisamente al fatto che quella sera entrambe,
avevano vissuto più o meno la stessa situazione, solo nel modo inverso.
«Bah...», sbottò la sua amica nervosa. «Non capisco neanche te: lui ti piace, sei
stata bene, non capisco perché non ti sei lasciata andare! Sei come Niemi?!»
«Nur, non so come sia lui, ma so come sono io e lo sai anche tu. Per stare con
qualcuno ho bisogno di qualcosa in più che un rimescolamento di ormoni. Voglio
conoscere una persona un pochino meglio prima di andarci a letto! Mi trovi
esagerata? Per me è così: non riesco a lasciarmi andare con qualcuno che ho
appena conosciuto. È già difficile farlo con qualcuno che conosci, figuriamoci con
uno sconosciuto!»
«Sì, lo so come sei, tesoro...», sospirò e subito dopo rise divertita. «Forse saresti
stata meglio con Niemi stasera ed io con il tuo artista! Sicuramente ognuno di noi
sarebbe stato contento, senza nessun imbarazzo!»
«Non ne sono mica sicura che sarei stata meglio con Niemi! Neanche mi piace!»
«Ma se neanche lo conosci! Credimi, non sarà un super muscoloso abbronzato
Adone, ma è molto molto sexy... me ne intendo!», ribatté l'altra.
«Se lo dici tu...», sospirò Lou alzandosi con uno sbadiglio, andando verso la cucina.
«Ti va una tisana prima di andare a letto?»
«Certo... calmante, per favore: ho gli ormoni che saltellano per casa!», rispose
acida strappandole una risata.
«Tu, mia cara, hai sempre gli ormoni che ti saltellano intorno! Sei una bomba ad
orologeria ambulante... hai spaventato il piccolo, indifeso Niemi...»
«Umpfh...»
«Quando riparti hai detto?»
«Lunedì pomeriggio... spero di tornare Domenica però, poi starò a casa per
un’intera settimana: non so se tornare dai miei per qualche giorno. Non li vedo
davvero da troppo tempo, quasi mi sono dimenticata di casa mia!»
«Mi sembra giusto... dovresti andare.»
Lou pensò che anche lei sentiva la mancanza della sua famiglia: era tanto che non
tornava a casa, infatti aveva già prenotato un biglietto per quella estate e
finalmente avrebbe rivisto i suoi cari.
Tornò con le due tazze fumanti verso il divano e ne porse una a Nur che la prese
ringraziandola.
«Uhm... mi ci voleva proprio qualcosa che mi scaldasse.»
«Uhm... chissà perché non credo che fosse questo il tipo di riscaldamento che
avevi in mente per stasera.»
«Uhm... no!», rise Lou continuando la raffica di ‘Uhm’. «Vedremo... ho intenzione
di non dare tregua al Principe Sfuggente!»
Povero Niemi! Non sapeva in che guaio si era cacciato!
Il mattino seguente si svegliarono molto tardi, pranzarono facendo la colazione e
decisero di fare una passeggiata; anche se c'era ancora la neve dei giorni
precedenti era spuntato il sole ed entrambe aveva voglia di fare quattro passi e
prendere una boccata d'aria, prima che facesse di nuovo buio.
Infilarono cappotti, guanti e sciarpe e si lanciarono ridendo in strada sottobraccio.
Passeggiarono senza una meta precisa nei dintorni, chiacchierando allegramente;
si fermarono a bere una cioccolata calda in uno dei tanti coffee-bar che
incontrarono per strada.
Tornarono a casa a pomeriggio inoltrato, fradice per aver improvvisato una lotta
di palle di neve sotto casa. Entrarono inciampando e rotolando per rincorrersi;
Lou aveva ancora in mano un ultimo proiettile che voleva a tutti i costi lanciare.
Girò intorno al tavolo basso del salottino mentre Nur girava in senso contrario.
«Prima o poi dovrai uscire allo scoperto e ti sparo questa palla di neve su quella
faccia truccata alla perfezione!»
«Prova a prendermi, Ranocchia! Se sporchi casa pulirai tu, ti avviso! Stiamo già
facendo un macello con gli stivali.»
«Tranquilla ho una mira eccellente...», disse Lou calcolando una finta, scartando a
destra si girò velocemente per scattare in avanti quando Nur colta di sorpresa
inciampò nei suoi stessi piedi, (e nei suoi stivali costosi) cadendo col sedere per
terra con un “anf!” di disappunto.
La palla colpì il centro esatto della fronte e colò lentamente sul viso di Nur,
finendo con un “plop” sul jeans. Lou esultava per casa dandosi arie e prendendo
in giro la sua amica, ancora seduta a terra offesa.
«Me la paghi, Ranocchia!», disse alzandosi e a testa alta, con un ciuffo di capelli
fradici che le pendeva davanti al viso, le passava davanti impettita e fintamente
offesa. Lou si stava letteralmente rotolando dalle risate, allontanandosi dall'amica
temendo ripercussioni fisiche, raccolse la neve che era caduta per terra.
«Non provarci! Sei proprio scorretta!», urlò filando via alla velocità della luce Nur,
chiudendosi in bagno.
Ridacchiando Lou aprì la porta finestra per buttare fuori la neve ridotta in
poltiglia.
Un movimento impercettibile attirò la sua attenzione verso l'alto.
Alzò il viso.
Vilhelmi Niemi.
Immobile alla finestra che guardava in giù verso casa loro. Lou si chiese se avesse
assistito a tutta la scena della lotta nella neve con Nur.
Sembrava sogghignasse. Probabilmente sì, aveva visto.
Con un gesto lento, lui si portò la mano al viso a mo’ di saluto militare, con un
leggero sorriso, o almeno tale sembrava dal punto in cui lei si trovava, dal
momento che non riusciva a distinguerne i lineamenti.
“Oh!”.
Presa alla sprovvista lasciò cadere la neve dalla mano, in un istante di
smarrimento.
Poi con un gesto altrettanto lento ed elegante, un gesto per cui il suo amico
Simone sarebbe andato letteralmente in estasi, sprofondò in una lenta e
aggraziata riverenza, chinando il capo.
Quando si rialzò buttando un occhio in su, vide che lui era appoggiato con un
braccio al lato della finestra, con una mano al cuore, con aria colpita e teatrale.
“Niemi 0 – Lou 1.”, pensò esultante.
Lou girò sui tacchi e tornò dentro casa con un ghigno soddisfatto sul viso.
Capitolo tre
Come miele e neve
Uno starnuto. Due. Tre. Quattro.
“Doh! Ti prego l'influenza no!”.
Rabbrividì violentemente e si rannicchiò sotto il tepore delle coperte, ma non
riusciva a respirare: aveva male alla gola, le ossa le dolevano come se un tir le
fosse passato sopra e la testa le pesava come un macigno.
“Così imparo a giocare nella neve come una bambina!”.
Un altro sonoro starnuto.
Le lacrimavano anche gli occhi e aveva il naso tappato e colante.
Gemette piano cercando di mettere a fuoco tra le lacrime il suo cellulare per
vedere che ore erano: le dieci di lunedì mattina.
Nel pomeriggio Nur sarebbe ripartita: si chiese se anche la sua amica fosse nelle
sue stesse condizioni. Si trascinò stancamente fuori da letto, buttandosi una
coperta addosso ci si avvolse completamente e arrancò fuori dalla stanza, per
trovare una Nur affaccendata a preparare la colazione, raggiante, ancora in
pigiama, ma a quanto poteva vedere, in ottima salute.
«Che hai? Stai male?», chiese Nur sbocconcellando una fetta biscottata coperta di
miele.
Come se non fosse evidente!
«Segondo de?», chiese l'altra accompagnando l'ultima sillaba con uno starnuto.
«Sdo bale... benzo di avede la vebbre... Guesda don ci boleba brobrio! Gome
vaggio ad addare id gadderia oggi?!», chiese crollando sul divano.
«Sei una pappa molla, Ranocchia... hai il sistema immunitario di una vecchia!»
Lou borbottò parole incomprensibili, continuando a rabbrividire alternando gli
starnuti alle tirate su col naso.
«C'è poco da fare: chiama Matleena e dille che stai male.», si avvicinò alla sua
amica mettendole una mano sulla fronte, trovandola bollente. «Scotti! Hai la
febbre... Ti sostituirà con qualcun altro, vedrai. Sa che se stai male è perché
effettivamente è così: sei sempre stata disponibile ed efficiente, anche quando eri
moribonda e saresti dovuta rimanere a casa. Ecco, ora copriti. Ti prendo il
termometro: vediamo quanto è alta questa febbraccia cattiva.»
Tornò poco dopo con il termometro digitale e glielo infilò senza tante cerimonie
fra le labbra.
Un minuto di attesa ed ecco il bip del segnale.
«38 e mezzo. Devi rimanere decisamente a casa. Ti prendo qualcosa per far
scendere la febbre...», disse preoccupata rovistando nella scatola che aveva
portato con sé dal bagno, in cerca di qualcosa di utile. Le fece ingoiare degli
antipiretici con dell'acqua. La guardava con aria afflitta.
«Mi spiace che ti sei ammalata... forse hai preso freddo ieri pomeriggio giocando
a fare l'idiota nella neve con me. E mi spiace di lasciarti qui a casa da sola in
queste condizioni.», disse prendendole le mani fredde tra le sue, cercando di
scaldargliele.
«Don breoccubardi! È sodo invluenza... etccciuùùù!»
«Senti facciamo così: chiamo io Matleena: sembri Mami di “Via Col Vento”! Non si
capisce un accidenti di quello che dici. Parlo io con lei e le spiego la situazione,
omettendo la parte ludica di ieri pomeriggio, ovviamente.»
Preso il cellulare di Lou scorse velocemente la rubrica trovando il numero di
Matleena e attese che rispondesse, battendo impaziente con le unghie lunghe e
laccate di rosso fuoco sul ripiano del tavolo basso. Qualche secondo e dall'altra
parte qualcuno rispose.
«Matleena? No, sono Nur, come stai? Ciao! Oh, io bene bene, grazie! Sì, sono
passata velocemente per il week end e riparto fra qualche ora... sì, è qui. Ecco. È
per questo che ti chiamo... no, non sta bene... penso si sia presa una brutta
influenza, non riesce neanche a parlare e tenere la testa su. E' uno straccio... lo so,
me lo ha detto... sì, certo...», facendo delle boccacce all'indirizzo di Matleena,
roteò gli occhi all'insù. «Ha la febbre alta. Ci chiedevamo se puoi sostituirla finché
non starà meglio... ma certo, ci penso io, sta' tranquilla, chiamerò il dottore.»
“Il dottore?! Non sono mica moribonda!”
Lou riservò un'occhiataccia a Nur che le strizzò l'occhio, complice.
«Ha una pessima cera. Penso che stia anche per vomitare... sì, ti chiamerà non
appena starà meglio, la conosci bene, no? Sai che se non stesse male sul serio,
verrebbe anche strisciando sui gomiti!» Risata scrosciante.
“La stavano per caso prendendo in giro?!”
«Ma certo, mi assicurerò personalmente che stia a letto. Certo, certo... ok, grazie
Matleena! A presto! Ciao! Ecco fatto!», disse posando il cellulare sul tavolino con
aria soddisfatta e professionale. «Missione compiuta: ora potrai riposarti
finalmente!»
«Grazzie! Botevi varla anghe medo draggiga!», gracchiò Lou.
«Non capisco che dici, torna a letto: ti porto del latte con il miele. Avanti!» Nur la
aiutò ad alzarsi per riportarla a letto, dove lei si accasciò senza forze come se
avesse scalato una montagna.
Due minuti dopo era di nuovo addormentata.
Quando si svegliò erano le due del pomeriggio e le sembrava di stare un po'
meglio. Per lo meno il mal di testa era passato. Nur fece capolino dalla stanza in
penombra e vedendo che si era svegliata si sedette sul letto; era già vestita e
stava per andarsene.
Con l’espressione da cucciolo abbandonato, Lou tirò su col naso.
«Dai non fare quella faccia che già mi sento in colpa!», tastò con la mano la fronte
e fu soddisfatta di trovarla meno calda. «La febbre almeno è scesa. Vado via fra
un'ora: prendo l'aereo successivo, non mi andava di lasciarti senza averti
salutato... Ti va ora del latte?», le sorrise dolcemente.
Lou fece segno di sì con la testa.
L'altra uscì per tornare subito dopo con una tazza fumante che sprigionava un
delizioso profumo di miele e cannella. Si aggrappò alla tazza bevendo piano e
soffiando, guardando Nur da sopra l'orlo.
«Grazie… ci hai messo la cannella come piace a me.», ora che il naso era libero
parlava decisamente meglio.
«Beh, dai, era per coccolarti un po'...»
Nur si stese al suo fianco appoggiandosi ai cuscini.
«Uhm, non ho voglia di andare via. Mi piacerebbe rimanere qui ancora qualche
giorno...»
«Per Niemi?»
«Anche... soprattutto per te, però: non mi piace lasciarti qui sola, specie in queste
condizioni.»
«Ma passerà in pochi giorni, vedrai. É solo un raffreddore, non ho mica preso il
colera! Starò meglio domani, ne sono sicura!»
«Lo spero... magari puoi chiedere al tuo spagnolo di venire a farti da infermiere!
Io lo farei!», disse ridendo maliziosa.
«Ah, non ho dubbi che tu lo faresti, ma penso proprio che me ne starò qui chiusa
a leggere sotto le coperte e al calduccio!»
«Cioè farai quello che fai ogni giorno. Che noiosa che sei.», disse ridendo.
Parlarono ancora per un po' e poi con un'occhiata all'orologio da polso pieno di
cristalli lucenti, Nur si alzò di malavoglia e si chinò per baciarla sulla fronte,
abbracciandola stretta.
«Mi raccomando, cerca di stare davvero a letto! Non fare come al tuo solito che ti
metti a girare per casa, come un’anima in pena! Ti chiamo appena arrivo a
Londra, okay? Fai la brava!»
«Okay, parola di scout: starò a letto!»
« Bene, allora io vado.»
Con un ultimo bacio sui capelli, si avviò decisa alla porta, voltandosi a lanciarle un
ultimo sguardo. Si sentì improvvisamente sola e abbandonata: represse il magone
con un singulto sonoro, finì il suo latte caldo e si alzò immediatamente.
Ciabattò fino in cucina per posare la tazza vuota e prendere un'altra cucchiaiata di
miele. Decise di fare una doccia calda nella speranza che la potesse riscaldare.
Con un sospiro di sollievo accolse l'acqua sui muscoli doloranti e rimase per oltre
dieci minuti sotto il getto, lasciandola scivolare sul corpo e sui capelli.
Dopo essersi asciugata alla perfezione anche la massa di capelli ribelli, si avvolse
di nuovo nella coperta. Non aveva voglia di tornare a letto; aveva già dormito fin
troppo per il suo standard e temeva avrebbe passato una notte insonne.
Così decise di accendere Highlander e controllare le mail che sicuramente si erano
accumulate in quei giorni. Pubblicità e spam che cestinò senza neanche darci
un’occhiata e in più news letter che al momento non le interessavano.
Una mail da Simone.
L'avrebbe letta per ultima: come lui, le sue mail erano impegnative e stressanti
oltre che divertenti da morire, quindi decise di godersela solo alla fine.
Una mail da un indirizzo che non conosceva.
Di mezz'ora prima.
Lesse l'oggetto dell'intestazione: “Il pirata sta cercando la sua principessa...”.
Julian! Come aveva fatto a trovare la sua mail?
Con tutta probabilità era stata Matleena e lui doveva essere stato molto
convincente, dal momento che la sua Draghessa difendeva la privacy dei suoi
collaboratori quasi quanto la sua.
L'aprì elettrizzata.
“Ciao,
Sì, sì… Lo so: ti stai chiedendo che cosa voglio e soprattutto come ho fatto ad
avere la tua mail. Ebbene, ho corrotto la Draghessa con il mio charme latino.
(Sapevi che le donne apparentemente fredde sono quelle che più cedono al fascino
dei pirati come me?); non è stato così difficile come credevo. Mi ha squadrato con
quei suoi occhi freddi ed io imperterrito ho sostenuto il suo sguardo, cercando di
convincerla che avevo DAVVERO bisogno di scriverti...
Ed è così.
Cos' è questa storia dell'influenza? Hai preso freddo sabato sera? Spero di no...
Speravo di vederti questo pomeriggio...
Anzi, devo dirti la verità: morivo dalla voglia di rivederti...
Mi chiedevo se hai bisogno di qualcuno che ti prepari una tazza di brodo caldo e ti
tenga costretta a letto (oh di’ di sì, di’ di sì...).
Correrò subito da te, a salvarti dalla noia! ;)
Ti lascio il mio numero di cellulare... chiamami. Mi chiamerai vero? :)
J.”
Oh signore!
Lou avvampò solo a leggere le parole... Di certo non ci andava leggero!
Menomale che aveva detto che non avrebbe forzato di nuovo la mano!
Nonostante tutto le fece piacere che fosse preoccupato per lei, lusingata dal fatto
che avesse corrotto la sua Draghessa per arrivare a lei.
Fissò il numero di cellulare che aveva scritto in fondo alla mail.
Anche il fatto che avesse scelto la posta elettronica per corrompere Matleena e
non aveva chiesto il suo numero, era un chiaro segno di rispetto e di discrezione
in un certo senso: ora lasciava a lei la scelta di chiamarlo.
Si morse nervosamente le unghie: Julian non faceva mistero di cosa volesse da lei.
La domanda era: cosa voleva lei? Julian le piaceva e molto.
Non la metteva in imbarazzo nonostante la sua passionalità.
La divertiva.
Ma lei non voleva storie.
Le sarebbe piaciuto frequentarlo ma senza coinvolgere la sfera sentimentale.
Le era tornato il mal di testa.
«Uff...», sbottò depressa.
Avrebbe riflettuto sulla cosa, decise.
Passò alla mail di Simone.
“Grace,
vacchetta che non sei altro!
Sono settimane che aspetto che ti faccia viva e tu niente!
Cerca di avere una buona scusa per questa mancanza e come minimo la scusa
deve avere almeno 23 cm di buoni motivi!
Che mi combini in quella terra fredda e desolata che ti sei scelta come casa?
Nessun vichingo che ti colpisce con una clava? (non è affatto un eufemismo: per
clava intendo proprio quello che tu pensi!)
Che ti stordisca a furia di randellate?! (Come sopra : vedi clava).
Hai intenzione di rimanere lì anche questa estate? No, perché nel caso ti vengo a
prendere e ti rapisco. No, sul serio. Sto pensando di venire a trovarti per qualche
giorno.
Posso? (Tanto vengo lo stesso) :)
Pensavo di passare tra due settimane: per te va bene?
Ho un sacco di cose da raccontarti... e vorrei farlo di persona!
Mi manchi da morire. E non ti sto prendendo per il culo! ;)
A presto, tuo Will”.
Rise di gusto: avevano iniziato a chiamarsi “Will&Grace”, quando aveva scoperto
la sit-com e si erano ritrovati nel rapporto speciale che c'era fra i due protagonisti
della serie tv.
Oh, cielo! Simone che andava lì da lei! Erano anni che cercava di convincerlo a
passare una settimana con lei, ma era sempre preso da mille impegni e mille flirt
amorosi e rimandava sempre.
Aveva una nostalgia tremenda anche lei del suo amico.
Chissà che aveva di così importante da dirle per farlo smuovere dalla sua amata
Roma per raggiungerla!
Gli rispose al volo:
“Will!
Sogno o son desta?! Vieni davvero qui da me? Davvero davvero?!
Di’ la verità: chi hai ucciso?
Ti serve una che ti copra, eh?
Sarò la tua complice sempre e comunque, lo sai!
Non vedo l'ora di riabbracciarti... mi manchi anche tu e anche Mara...
Anzi, è da un bel po' che non la sento: le scrivo subito una mail!
Ti aspetto, ti aspetto, ti aspetto... queste settimane saranno lunghissime!
Ps: Nessun vichingo all'orizzonte, ergo nessuna clava o randello! :P
Per sempre,
tua Grace.”
Subito dopo mandò una mail alla sua amica Mara, che si era sposata da circa due
anni.
Dopo un lungo fidanzamento con Enzo, suo fidanzato storico per più di sette anni,
Mara aveva incontrato il suo attuale marito Karl, un pittore tedesco, durante uno
stage in Germania anni prima.
Era stato amore a prima vista.
Mara aveva mollato il noioso Enzo, commercialista in un altrettanto noiosissimo
studio contabile, ed era scappata in Germania, subito dopo il suo ritorno; il tempo
di mettere al corrente Enzo che, com'era nel suo stile aveva accolto la notizia con
aria pacata, seria e indifferente, fare una valigia striminzita, dare a lei e Simone un
bacio al volo e tornare tra le braccia del suo biondo teutonico.
Lei e Simone avevano accolto la notizia meno stoicamente di Enzo: per tutto il
tempo (un paio d'ore appena) che Mara era rimasta in casa, le erano stati dietro
come due avvoltoi, passando dalle minacce, alle lagne, ai ricatti morali, ai musi
lunghi.
Mara li rassicurava che era solo una situazione momentanea ma era stata via per
mesi e pur continuando a pagare la sua quota d'affitto in ogni caso, loro due si
erano sentiti abbandonati.
Mara era tornata in Italia con il suo Karl e poco dopo erano andati a vivere
insieme mettendo fine così alla loro allegra convivenza, ma non aveva smesso di
frequentare assiduamente la loro casa.
Nonostante tutto, erano stati felici di vedere la loro amica appagata e innamorata
come non mai. Attualmente era una moglie e madre in attesa del primo figlio: per
qualche tempo aveva lavorato come scenografa per la tv italiana, ma aveva
abbandonato tutto non appena aveva scoperto di essere rimasta incinta.
Finita la mail per Mara decise di rimettersi a letto: la stanchezza e il malessere
stavano tornando di nuovo. E non dipendeva solo dall'influenza.
Decise anche di non rispondere alla mail di Julian.
“Codarda! La regola del chiodo scaccia chiodo con lui può essere anche
piacevole.”, pensò.
Tornò a infilarsi sotto il piumone, sentendo il solito groppo in gola che
l'attanagliava ogni volta che pensava al suo passato... e ai suoi sogni spezzati.
Lei e Andrea erano da un anno in Finlandia e tutto sembrava andare alla
perfezione o almeno era quello che lei voleva vedere, innamorata persa e
dipendente da lui in tutto e per tutto.
Avevano trovato quella casa piccola ma decorosa, pensando che, non appena
avessero trovato un lavoro e una maggiore stabilità economica, ovviamente senza
l'aiuto del portafoglio del papà di Andrea, avrebbero cambiato casa per
prenderne una più grande.
Andrea, nonostante la sua stentata laurea in Legge e quindi in grado di cercare un
lavoro in qualche studio legale della città, aveva invece intrapreso la carriera di
modello con disappunto della sua famiglia e della stessa Lou.
Ricordava i mesi passati da sola in quella casa, in quella città dove non aveva
nessuno e che le sembrava così ostile e fredda, a macerarsi al pensiero del suo
fidanzato che passava il suo tempo lontano da lei; aveva accumulato tanta di
quella tensione che bastava un sms sul cellulare di lui a scatenare la sua gelosia ed
erano scenate, con pianti e urla.
Andrea la rassicurava come poteva, ma anche lui stava iniziando a non reggere
più la tensione: tornare a casa era diventato sempre più difficile, se ne rendeva
conto adesso... ma allora era come accecata dalla gelosia divorante e
dall'insicurezza.
Col passare dei mesi Andrea era diventato sempre più sfuggente e tornava a casa
ogni sera più tardi: Lou era ridotta ad uno straccio, lo ricordava bene.
Non riusciva a mangiare, non riusciva a dormire, non riusciva a pensare ad altro
che a lui circondato da bellissime modelle.
Di notte faceva sogni dove lui era abbracciato a donne stupende con fisici
mozzafiato, dai quali si svegliava piangendo.
Col senno di poi aveva pensato che se solo fosse stata meno oppressiva, meno
gelosa, meno insicura, probabilmente non sarebbe andata a finire così.
Lei era sola: i suoi amici, la sua famiglia erano lontani e il suo mondo girava
intorno ad Andrea.
Il suo mondo era Andrea.
Con lui aveva davvero pensato che sarebbe stato amore per sempre... finché non
era entrata in scena Sophie.
La bellissima, perfetta Sophie: modella tedesca bionda, altissima, dalle forme
perfette, dal viso di porcellana.
Quando aveva scoperto che Andrea la frequentava fin dai primi mesi dal loro
trasferimento in Finlandia era andata fuori di testa.
Proprio nel momento in cui lei pensava che finalmente avrebbero costruito
qualcosa d’importante e di duraturo, Andrea era andato via di casa per vivere con
Sophie.
Qualche settimana dopo, lei aveva scoperto di aspettare un bambino.
Come nella più classica delle telenovela.
Per giorni e giorni aveva pianto da sola nella loro stanza, rigirandosi nel letto
matrimoniale che ora apparteneva a Nur, cercando una soluzione. Se avesse detto
ad Andrea del bambino lui avrebbe pensato che era una trappola per tenerlo
legato a lei e non poteva neanche pensare di disfarsene come se fosse un intralcio
alla sua vita.
Non aveva pensato all'aborto neanche per un istante.
Aveva deciso in un moto di orgoglio, che sarebbe tornata a casa in Italia e avrebbe
avuto quel bambino da sola e lo avrebbe cresciuto con l’aiuto della sua famiglia e i
suoi amici intorno.
Non aveva parlato con Andrea, nonostante Mara e Simone con mail e telefonate e
conseguenti bollette telefoniche astronomiche, le avevano detto fino allo
sfinimento che lui aveva il diritto di sapere e che era una sua responsabilità
occuparsi del bambino.
Lei era stata irremovibile: non gli avrebbe detto nulla.
Non avrebbe implorato il suo aiuto, la sua attenzione, il suo amore per qualcosa
che aveva ucciso con le bugie e la leggerezza.
Aveva già prenotato il biglietto di sola andata per l'Italia.
Da qualche giorno sentiva fitte all'addome che divennero via via più forti con il
passare delle ore. La sera precedente al suo rientro, era quasi svenuta per i dolori
e aveva chiamato Matleena, l'unico punto di riferimento che avesse all'epoca.
Mat, aveva fatto i dieci chilometri che la separavano da casa sua in meno di 5
minuti e aveva chiamato un suo caro amico che lavorava nel pronto soccorso della
città, avvisandolo che la stava portando in ospedale.
L'aveva caricata in macchina ed era ripartita alla velocità della luce.
Nelle ore successive i suoi ricordi erano diventati solo brevi flash.
Quando si era svegliata in una lussuosa stanza d'ospedale, Matleena aveva
allontanato le infermiere che le giravano intorno, chiedendo di rimanere sola con
lei.
Con dolcezza, una dolcezza che lei non avrebbe mai detto che la sua despotica
datrice di lavoro potesse avere, le aveva preso le mani fra le sue e guardandola
dritto negli occhi aveva spiegato con voce ferma ma dolce, cosa fosse successo.
Fine dell'estratto Kindle.
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