N° 2 - anno 2015

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N° 2 - anno 2015
N° 2 - anno 2015
la nautica a 360°
WWW.NAUTIGESTNEWS.IT
Rivista Nautica
Il golfo dei poeti e le Cinque terre
Un cult per i diportisti.
Il faro
Curiosità su un simbolo imprescindibile
legato al mare, tra storia e realtà di
oggi.
Amerigo Vespucci
«Non chi comincia, ma quel che persevera!»
La nave per eccellenza della Marina Militare
italiana.
Edizioni Nautigest
A gonfie vele!
Nautigest News, una nuova rivista di nautica nata
dall’idea del Prof. Gatenao De Vito.
Nautigest News è una rivista prodotta da Nautigest,
agenzia di intermediazione che opera con professionalità e successo a livello internazionale, trattando molti settori, ciascuno di essi è seguito e curato
da esperti professionisti; la nuova rivsita, nella ver-
sione online raggiungibile attraverso il sito
www.nautigestnews.it e nella versione PDF per
tablet, è nata con lo scopo di arricchire non solo l’offerta di servizi ma per porsi anche come un nuovo
punto di riferimento informativo nel campo della
nautica. A gonfie vele iniziamo un’altra avventura
ringraziando tutti gli appassionati che vorranno
seguirci anche in questa regata.
Indice
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il golfo dei poeti e le cinque terre
Il faro tra storia e realtà di oggi
Amerigo vespucci
Rosa dei venti e scala beufort
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il raddoppio del canale di suez
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bandiere blu 2015
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Capraia
Nautigest - Sede Operativa
Box 44 Marina Cala Galera
58015 Porto Ercole (Gr)
le correnti oceaniche
cucinare in barca
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2015
Il Golfo dei
Poeti e le
Cinque Terre
L’arrivo della bella stagione porta con sé giornate
che presentano condizioni ottimali per un’uscita
in barca: di nuovo le banchine cominciano a ripopolarsi dei natanti tirati in secca per l’inverno e
non è raro scorgere i proprietari intenti a metterli
in ordine, sicuri di una prossima partenza. Uno
degli itinerari più apprezzati dai diportisti è senza
dubbio quello compreso tra il Golfo dei Poeti e
le Cinque Terre, in provincia di La Spezia. Questo
tratto di mare è molto frequentato d’estate, quando il clima favorevole e le lunghe giornate consentono di prendere il largo e godere dalla barca
delle bellezze che il territorio offre. La qualità delle
acque rende ancor più prezioso questo ambiente,
ricco — oltre che di specie vegetali — dal punto di
vista ittico e faunistico.
Il Golfo dei Poeti, che da Portovenere — passando per La Spezia — si estende fino a Lerici, deve
questo nome al fatto che nel corso dei secoli molti letterati hanno trascorso periodi della loro vita
nei borghi dell’insenatura, colpiti dalla bellezza di
quello che è stato definito un ‘anfiteatro d’acqua’.
Fra i tanti personaggi troviamo lo scrittore David
Herbert Lawrence, il poeta Lord Byron, Mary Shelley, la scrittrice e pittrice George Sand e lo scrittore
Percy Bysshe Shelley. Oltre ai nomi della letteratura, il Golfo — più precisamente il paese di Lerici — ha dato i natali anche a un altro illustre personaggio: il Comandante del transatlantico ‘Rex’
Michele Tarabotto, che nel 1933 vinse il ‘Nastro
Azzurro’ completando la traversata dell’Atlantico
in soli quattro giorni. La Spezia è il centro princi-
Gli amanti
del vento e del mare
pale del Golfo mentre alle estremità è delimitato
da Lerici (Est) e Portovenere (Ovest). Tutti e tre i
Comuni allestiscono un servizio di battelli turistici
che consentono anche a chi non ha una barca di
scoprire il Golfo e le Cinque Terre.
Un cult per i diportisti
Tappa obbligata per tutti coloro che dal Golfo vogliono raggiungere
via mare i pittoreschi e suggestivi borghi che — riuniti — formano le
cosiddette Cinque Terre, è il passaggio vicino a tre piccole isolette che
si trovano di fronte al promontorio su cui si staglia il celebre borgo
di Portovenere. La più grande — e la più vicina alla terraferma — è
l’Isola Palmaria che, dal 1997 - insieme alle altre isole (Tino e Tinetto),
Portovenere, Riomaggiore, Manarola, Corniglia, Vernazza e Monterosso è stata inserita tra i patrimoni dell’umanità dall’Unesco. L’isola è
praticamente disabitata in quanto zona militare, ma con una barca
— o chiedendo un passaggio ad uno dei tanti pescatori della zona — è
oggi possibile sbarcare sull’isola e vedere da vicino le specie vegetali
e animali che la popolano come i pini, i lecci e le ginestre ma anche il
Phyllodactylus europaeus - il più piccolo dei gechi europei - il gheppio
o il cormorano dal ciuffo.
Seguendo in direzione Nordovest la linea costiera, che una volta oltrepassato il Golfo dei Poeti diventa particolarmente alta e frastagliata, dalla barca si può apprezzare la bellezza di una natura fortunatamente ancora poco antropizzata: nelle calette di Punta Bianca
e Punta Corvo — infatti — si riesce ad arrivare più facilmente venendo dal mare che dalla terraferma e ciò ne favorisce senza dubbio il
mantenimento allo stato naturale, risultando così di grande attrattiva
per coloro che desiderano prendere il mare per trovare una baia tranquilla con acque pulite e lontana dalle spiagge affollate e polverose.
In quest’area i diportisti praticano spesso la pesca, che non di rado
regala qualche bella soddisfazione con la cattura di dentici, spigole e
orate di buona taglia.
Proseguendo la rotta per alcune miglia — seguendo sempre la linea
di costa — si raggiunge il primo (per chi proviene da Sud) dei borghi
che compongono le Cinque Terre: Riomaggiore. Prima di proseguire
nella descrizione dell’itinerario è bene riportare quanto precisato
dall’Ente Parco delle Cinque Terre, il quale segnala che le boe destinate all’ormeggio delle imbarcazioni da diporto (< 24 metri), di colore
bianco, si trovano davanti a Monterosso, Vernazza e lungo la costa tra
Manarola e Riomaggiore.
L’ormeggio ai gavitelli predisposti dall’Ente Parco è gratuito. L’ancoraggio ai natanti e alle imbarcazioni è consentito, al di fuori dei campi
ormeggi predisposti dell’Ente, in Zona C dell’Area Marina Protetta.
(qui la mappa dettagliata: http://www.parconazionale5terre.it/ormeggio-e-ancoraggio.asp?id_lingue=1). Riomaggiore è un paesino molto
pittoresco e, come praticamente tutti gli altri borghi delle Cinque
Terre, si sviluppa a ridosso del mare; uno spettacolo per occhi di chi
lo scorge davanti alla propria prua. Impossibile non rimanere colpiti
dai colori vivaci delle abitazioni che lo compongono. Poco distante da
Riomaggiore troviamo una sua frazione, Manarola, anch’essa a pieno
titolo paese che forma le Cinque Terre. Le case del borgo, coloratissime, si sviluppano sui resti delle antiche case-torri genovesi e vedendole dal mare sembra impossibile che vi siano strade che – seppur
di poco — le separino. Corniglia, paese mediano delle Cinque Terre,
si differenzia dagli altri in quanto è l’unico che non si affaccia direttamente sul mare ma si trova sulla cima di un promontorio circondato
da vigneti ricavati sui tipici terrazzamenti che i locali utilizzano per
sfruttare al meglio la ridotta percentuale di suolo coltivabile. Per raggiungere Corniglia è necessario salire una lunga scalinata costituita
da quasi 400 gradini ma una volta giunti in paese ogni sforzo sarà ben
ripagato dalla bellezza dei luoghi e dalla bontà dei prodotti tradizionali
che si trovano nei locali lungo la via principale. Navigando ancora per
circa 2 miglia si incontra il suggestivo borgo di Vernazza. Una delle
strutture di maggior rilievo presenti in paese è Santa Margherita di
Antiochia, una chiesa a tre navate in stile romanico-genovese eretta
nel XIII secolo. Sullo sperone più alto, invece, si trova la Torre Dorica,
edificio importante dal punto di vista storico e militare di cui esistono
varie ipotesi sulla data di edificazione. Monterosso al Mare è l’ultimo
dei paesi che formano le Cinque Terre. Il borgo, sorto intorno all’anno 1000 al centro di un piccolo golfo naturale a est di Punta Mesco,
custodisce numerose opere di rilievo come la Chiesa Parrocchiale di
San Giovanni Battista (1244 - 1307), il cui campanile era – in origine
– adibito a torre di guardia; il convento dei Cappuccini; il Santuario
di N.S. di Soviore (VII-XIII secolo) e la casa in cui soggiornò Eugenio
Montale.
di Davide Lazzini
CURIOSITà
Il faro, tra storia e
realtà di oggi
I fari continuano ad esercitare un fascino
particolare anche ai giorni nostri, pur essendo cambiato nel tempo il loro utilizzo
e la loro funzione. Ormai sono stati quasi
totalmente sostituiti nella navigazione dai
sistemi digitali (LORAN, GPS, ECC.), infatti
la costruzione di nuovi fari è praticamente
nulla. Inoltre per i fari ancora operativi è in
corso un processo di automazione totale,
con il comando a distanza via computer,
al fine di ridurre i costi di gestione e manutenzione.
Queste prime semplici costruzioni si arricchirono e perfezionarono nel tempo
dando origine nel III secolo a.C. anche a
strutture monumentali annoverate tra le
sette meraviglie del mondo: il Colosso di
Rodi ed il Faro di Alessandria. Il Colosso
di Rodi era un’enorme statua dell’altezza
di circa 32 metri che rappresentava Elios, dio del sole, ed era posizionata sopra
l’entrata del porto, visibile da lontano grazie al braciere acceso che teneva in una
mano.
Sembrerebbe quindi una strada in declino
quella dei fari, destinati solo a ricordarci
un passato di gloria partito nell’antichità.
La storia della navigazione e la storia dei
fari vanno infatti di pari passo. L’evolversi
di una ha portato allo sviluppo dell’altra
per un cambiamento di esigenze di navigazione commerciale che da costiera e
diurna divenne progressivamente anche
notturna e a mare aperto. I primi fari altro
non erano che falò di legna accatastata,
segnali di pericolo o di approdo in specifici punti della costa che il navigante usava
come riferimento nella propria rotta. Solo
successivamente, con la costruzione dei
primi porti lungo le rotte principali, si iniziò costruire i primi rudimentali fari in legno o ferro, con alla sommità un braciere di
metallo con del combustibile, posizionato
grazie ad un sistema di carrucole.
Il Faro di Alessandria era una torre alta tra
i 115 e i 135 metri, sulla quale era costantemente acceso un grande fuoco di legna
resinosa e oli minerali che, attraverso un
sistema di specchi ideato da Archimede, consentiva di emettere un segnale
luminoso con una portata di oltre 30
miglia, utile per aiutare i naviganti a non
rimanere incagliati nei fondali della retrostante palude Mareotide. Fu esattamente
dal nome dell’isola di Pharos, isolotto di
fronte ad Alessandria d’Egitto dove fu edificata questa torre, che deriva la parola
faro.
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I fari come siamo abituati a vederli, con
la tipica costruzione a torre prevalentemente in muratura e solitamente cilindrica per ridurre gli effetti del vento, con una
elevazione sufficiente per rendere visibile
alle navi in transito in tempo utile il segnale luminoso e colorata esternamente
per essere facilmente individuata anche
di giorno, sono modelli architettonici attraverso i quali leggere la Storia: dalle 30
torri di segnalazione adibite a fari lungo
le coste dei domini dell’Impero Romano,
di cui rimane il faro di La Coruña, l’antica
Brigantium, in Galizia; alle torri dei monasteri eremitici sulle coste atlantiche
di Inghilterra e Francia nel Medioevo;
alla fioritura di torri di segnalazione con
fuochi lungo le coste italiane nel periodo delle repubbliche marinare, che portò
alla costruzione di fari che sono diventati
monumenti nazionali come la Lanterna di
Genova e il Faro di Livorno, considerati tra
i più antichi di Italia; al prestigio architettonico dei fari rinascimentali e barocchi,
come il Faro di Cordouan costruito su volere del re di Francia all’inizio del Seicento,
in pieno mare al largo della Gironda; per
arrivare al XIX secolo, il cosiddetto secolo
della farologia, con la nascita di meraviglie dell’ingegneria e della loro evoluzione
tecnologica.
La valvola solare che permette l’accensione e lo spegnimento automatico con il
sole, l’elettrificazione e l’automazione dei
fari, hanno progressivamente reso inutile
la figura del guardiano del faro, che con lo
sviluppo anche dei sistemi di assistenza e
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CURIOSITà
soccorso alla navigazione, si è esautorata quasi totalmente della sua funzione.
Non può però essere messa la parola fine per queste architetture eroiche, da sempre in prima linea giorno e notte, solitario punto di riferimento per i naviganti
e per l’immaginario dello spettatore rapito dal suo ergersi immutato contro il logorìo del tempo e delle intemperie.
In Italia la situazione dei fari è drammatica. Nonostante rientrino sotto la competenza della Marina Militare che ha il compito di tenere in efficienza la lampada
che emette il fascio luminoso, la quasi totalità delle strutture sono abbandonate ad atti vandalici, oltre ad un deterioramento naturale per la mancanza di una
regolare manutenzione. Il rischio che si corre è la perdita irrimediabile di un patrimonio storico che andrebbe invece recuperato e reso fruibile ai cittadini, cosa
che attualmente avviene solo in pochissimi casi.
La Marina Militare può infatti dichiarare un faro non più utile alle esigenze di forza armata e restituirlo al demanio militare per le decisioni di competenza
(reimpiego della struttura da parte delle Capitanerie di Porto, di altre Forze Armate e/o forze di polizia, Enti Statali, Autorità Regionali, vendita a privati, alienazione, ecc.). Spesso la Marina Militare cede solo gli alloggi del faro e non la torre del faro che rimane di sua pertinenza al fine di consentirne la funzionalità della
sorgente luminosa del faro stesso. Qualora invece si decida di cedere anche la torre, l’ottica del faro viene smontata e il faro cessa la sua funzione di ausilio
alla navigazione marittima. Quindi negli ultimi decenni alcuni fari caduti in disuso sono stati messi in vendita dal Demanio dello Stato, e sono stati acquistati
da privati che li hanno recuperati per convertirli in luoghi dove è possibile soggiornare. Un esempio è il bellissimo Faro di Capo Spartivento nel sud-est della
Sardegna, struttura realizzata in origine dalla Marina Militare a cinquanta chilometri da Cagliari, e ora convertito magistralmente da un ingegnere di Cagliari in
un raffinato resort. La struttura è aperta tutto l’anno, con suite, due piccoli appartamenti ed una camera singola. Inoltre sul tetto è possibile ammirare il cielo
attraverso una vetrate, oltre ad avere a disposizione piscina, vasche idromassaggio, postazioni internet, oltre la vicinanza di spiagge meravigliose raggiungibili
a piedi, come Cala Cipolla e Su Giudeu. Il faro ha avuto numerose famiglie di faristi fino al 1980, e la sua lanterna è stata un punto di riferimento per i naviganti
dal 1856, ed è tuttora funzionante anche se divenuto di proprietà privata.
Tra i fari più antichi attualmente attivi in Italia ci sono: il Faro di Livorno, la cui prima edificazione risale al 1304 quando la città di Livorno, con il suo porto,
prese il posto dell’ormai insabbiato porto pisano, conteso tra Angioini, Genovesi e Guelfi. Fu realizzato per volere di Cosimo I dei Medici, è alto 47 metri, con
un basamento poligonale di ben 13 lati, e aveva al proprio interno undici piani ed una scala a chiocciola incorporata nella muratura. Era il faro funzionante più
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CURIOSITà
antico di tutte le coste italiane fin quando nel 1944 le truppe tedesche in
ritirata lo fecero saltare con potenti cariche di dinamite. Nel 1956 si avviò la ricostruzione per volere del popolo livornese, realizzato come copia
esatta di quello demolito, addirittura usando per la muratura in pietra le
stesse pietre recuperate tra le macerie. Da quel momento il faro è stato
dichiarato monumento nazionale; La Lanterna di Genova, la cui costruzione nel porto vecchio di Genova risale al 1326. Nel 1507 la città di Genova venne conquistata dai francesi e Luigi XII ordinò che fosse costruita
una roccaforte, la Briglia, addossata alla torre del faro. Dopo poco la torre
crollò sotto l’assedio degli stessi Genovesi, e rimase diroccata fino al 1543
quando il Magistrato dei Padri del Comune né ordinò la completa ricostruzione che ne cambiò profondamente l’architettura.
Ancora oggi costituisce il simbolo della città di Genova; il Faro di Punta
San Raineri in Sicilia, la cui costruzione è stata realizzata nel 1955 sul
torrione del bastione orientale del Forte Campana, costruito nel 1546 per
volontà di Carlo V. Il suo nome deriva dal monaco eremita Raineri che fece
scopo della propria vita il tenere acceso un fuoco ogni notte per aiutare
i navigatori e salvarli dai pericoli. Inizialmente il suo nome era Torre del
Garofalo, per il vortice che le correnti dello Stretto formano nei suoi pressi,
“’u garofulu”, il mitico gorgo di Cariddi.
Tra i fari di più recente recente realizzazione sono molti quelli da segnalare. Ne suggeriamo alcuni: il Faro della Vittoria, simbolo della città di
Trieste, i cui lavori di realizzazione iniziarono nel 1923 e si conclusero nel
1927 con una cerimonia di inaugurazione avvenuta alla presenza di Re
Vittorio Emanuele III. È il faro più singolare d’Italia perché la sua forma
architettonica assomiglia ad un fusto di una colonna. Inoltre è un mon-
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umento commemorativo perché venne realizzato in ricordo ai caduti in
mare. Si tratta di una enorme colonna progettata da Arduino Berlam, le
cui fondazioni sono realizzate sulle rovine del vecchio fortilizio austriaco
Kressich, inglobato nel basamento, e sulla cui lanterna, del diametro di
circa 5 metri, è posizionata una Vittoria alata, una statua alta 7.20 metri
e dal peso di circa 7 quintali, opera dello scultore Giovanni Mayer, autore
anche della statua del marinaio posta sul basamento. Le sue ali furono
progettate in maniera tale da opporre la minor resistenza al vento e sono
in grado di potersi flettere alle raffiche di bora, tanto che la leggenda narra
che molti triestini ricordano di aver visto le ali muoversi nelle giornate
in cui la bora soffia violentemente. L’àncora dell’incrociatore Audace, la
prima nave ad attraccare nel porto alla fine della prima guerra mondiale,
è stata affissa sul basamento assieme alla statua del marinaio. Il Faro
della Vittoria è uno dei pochi ad essere visitabile e accessibile al pubblico;
Cozzo Spadaro a Porto Palo di Capo Passero in Sicilia, capolavoro di architettura unico che assomiglia ad un faro francese, conservato in modo
impeccabile dal farista; e Capo Grecale nell’isola di Lampedusa, un faro
collocato a presidio del più bel mare d’Italia, unico per la sua posizione,
testimone della bellezza di quelle acque e purtroppo delle innumerevoli
tragedie che vi avvengono.
di Paola Mattavelli
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I Ricordi
I ricordi, un inutile infinito,
ma soli e uniti contro il mare, intatto
in mezzo a rantoli infiniti..
Il mare,
voce d’una grandezza libera,
ma innocenza nemica nei ricordi,
rapido a cancellare le orme dolci
d’un pensiero fedele…
Il mare, le sue blandizie accidiose
quanto feroci e quanto, quanto attese,
e alla loro agonia,
presente sempre, rinnovata sempre,
nel vigile pensiero l’agonia…
I ricordi,
il riversarsi vano
di sabbia che si muove
senza pesare sulla sabbia,
echi brevi protratti,
senza voce echi degli addii
a minuti che parvero felici…
Giuseppe Ungaretti
Amerigo Vespucci:
non chi comincia ma quel che persevera!
L’Amerigo Vespucci è la nave scuola italiana per eccellenza. Un veliero di straordinaria bellezza, ammirato e invidiato in tutto il mondo,
il cui nome deriva come si intuisce dall’omonimo navigatore che ha
dato il nome all’America. Progettato nel 1930, a cinque anni dall’ideazione iniziale, aveva in origine lo scopo di sostituire la nave scuola
della classe Flavio Gioia e permettere quindi l’addestramento per gli
allievi dell’Accademia navale della Marina Militare Italiana, affiancando il veliero Cristoforo Colombo, poi ceduto dopo la seconda guerra
mondiale. Solo nel 1952 il Vespucci verrà affiancato dall’Ebe, e dal
1955 dal Palinuro per gli addestramenti; resta quindi la nave più
«storica» della Marina Militare. Una nave storica che ha letteralmente
circumnavigato il mondo, passando dai mari dell’Europa del Nord per
trentasette volte a quelli del Nord America per sette volte, passando
quattro volte per l’Atlantico orientale e una volta per il Sud America,
rappresentando l’arma della Marina nelle più importanti manifestazioni nautiche e sportive, oltre a svolgere il suo originario compito di
nave scuola.
Alla bellezza estetica della nave si accompagna l’eleganza e la raffinatezza persino dei gesti compiuti a bordo da tutto l’equipaggio
(composto da 72 sottufficiali, 14 ufficiali, 190 sottocapi e, durante
il periodo estivo, 140 cadetti dell’Accademia Navale di Livorno), che
seguono antiche tradizioni: tutte le manovre sono effettuate a mano,
le vele sono in tela olona, il suono del fischietto decreta l’effetto degli ordini, ogni sbarco e imbarco si svolge a seconda del grado degli
ospiti.
Dopo una manutenzione risalente al 1940 e le successive del ´64, ´73
e ´97, è partita il 24 ottobre 2013 l’ultima sosta del veliero per consentire i lavori di ammodernamento, finalizzati a consentire un impiego
a lungo termine per le attività operative dell’Amerigo Vespucci; le operazioni si sono concluse il 23 aprile e hanno riguardato l’aggiornamento di tutti gli elementi non funzionanti o obsoleti della nave, tra i
quali il sistema di propulsione dell’energia, il sistema elettrico, quello
delle telecomunicazioni e per la navigazione, la macchina del timone
STORIA
e l’elica, l’intero apparato degli alberi, la cura della carena attraverso
un processo anti-vegetativo, nonché la ristrutturazione delle strutture
adibite alla cucina e all’area medica, per sostenere un generale miglioramento degli standard di vita a bordo.
Tutto ciò sarà utile a favorire i viaggi di lunga e media durata, oltre
ad agevolare la permanenza a bordo del personale militare e civile
femminile, degli esterni (ricercatori, studiosi, reporter); una ristrutturazione all’insegna della convivenza di antico e moderno, di tradizione
e innovazione, fedeli al principio del motto della nave «signora dei
mari»:
mente regolate da associazioni veliche o nautiche che organizzano
visite guidate, o durante le soste dei viaggi di addestramento per gli
allievi dell’Accademia Navale.
Un auspicio e un invito, dunque: rivedere l’Amerigo Vespucci perseverare a largo dei mari di tutto il mondo, e cogliere l’occasione di salire — anche se solo per qualche ora — a bordo di questa splendida
nave, un gioiello e orgoglio italiano che non lascia indifferenti!
di Emanuela Tangari
«Non chi comincia, ma quel che persevera». Il grande veliero sarà
accessibile al pubblico come di consueto in poche occasioni, normal-
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Rosa dei venti e scala Beaufort, due
sistemi utili per tracciare l’identikit del vento
NORMATIVE
I moti orizzontali dell’aria dovuti al riscaldamento non omogeneo della Terra sono comunemente definiti ‘venti’. Le diverse temperature tra una zona e l’altra originano differenze di pressione atmosferica che, a loro volta, generano i venti. Essi rappresentano
la conseguenza del trasferimento d’aria dalla zona di pressione maggiore (area anticiclonica), verso quella in cui la pressione è minore (area ciclonica). L’aria quindi scende
da una zona di alta pressione verso una di bassa pressione, con una velocità che è
direttamente proporzionale al gradiente barico orizzontale cioè il ritmo con cui varia
orizzontalmente la pressione atmosferica in un dato spazio. Più le isobare (linee ideali
che uniscono i punti con uguale pressione atmosferica) sono vicine, più alto risulterà il
gradiente barico e più forte soffierà il vento.
Il meccanismo che regola la formazione e l’intensità dei venti è applicabile su diverse
scale: in ambito locale è più semplice da interpretare mentre diviene ben più complesso
in presenza di vaste aree cicloniche e anticicloniche che ricoprono centinaia di chilometri. In questa seconda opzione, infatti, alle variabili già citate occorre aggiungere due
altri fattori: la rotazione terrestre e l’attrito che il vento ha con la superficie del pianeta.
Tenendo conto del fatto che in presenza di basse pressioni è facile incontrare aree di
maltempo, si può sapere in che direzione conviene dirigersi in modo da allontanarsi
dalle zone perturbate: posizionandosi infatti con il vento alle spalle avremo la bassa
pressione davanti a sinistra mentre l’alta pressione sarà situata dietro a destra; quindi,
in vista di una perturbazione, conviene orientarsi verso destra evitando di affrontare
l’area di depressione.
I venti sono classificati in costanti, periodici e variabili. I primi spirano sempre nelle
stesse direzioni durante il corso dell’anno. Tra i principali venti costanti troviamo gli
Alisei (che ad altezza suolo soffiano dai tropici verso l’equatore) e i Controalisei (che si
trovano in quota e dall’equatore spirano verso i tropici). A differenza dei venti costanti,
quelli periodici - a causa delle differenti temperature e pressioni tra un’area e un’altra
- alternano la loro direzione a seconda della stagione o dell’ora del giorno. Tra questi
troviamo le brezze, che interessano zone ristrette dell’atmosfera, e i monsoni, tipici
delle fasce tropicali delle zone asiatiche. I venti variabili, infine, sono strettamente collegati alle condizioni meteorologiche particolari; questo spiega la loro irregolarità, che
ne rende anche complesso lo studio. Entrando nello specifico, l’Italia e il suo litorale sono
interessati prevalentemente da brezze e da venti variabili.
L’uomo, da quando ha appreso le tecniche di coltivazione – ma soprattutto da quando
ha imparato a navigare - ha capito l’importanza di comprendere e studiare il rapporto che
si crea tra la direzione dei venti e le condizioni meteorologiche. Per facilitarsi il compito
d’individuazione del tipo di vento e per misurarne la forza, nei secoli sono stati inventati
diversi strumenti e tabelle di rapporto. Tra queste invenzioni troviamo la rosa dei venti, un
diagramma che rappresenta schematicamente la provenienza dei venti che insistono in
una determinata regione durante un lungo periodo di tempo. La più semplice rosa dei venti è composta da quattro punte, corrispondenti ai punti cardinali: Nord, Sud, Est e Ovest. A
testimonianza dell’efficacia dello strumento, ottimo per prevedere che tempo farà in base
alla provenienza del vento, la rappresentazione più antica di rosa dei venti di cui si ha notizia è quella che compare sull’Atlante catalano realizzato – probabilmente - da Abraham
Cresques, cartografo del XIV secolo.
Il vento che proviene da Nord (N 0°) si chiama Tramontana; quello che spira da Est (E 90°)
Levante; da Sud (S 180°) invece arriva l’Ostro mentre da Ovest (W 270°) soffia il Ponente.
Tra i quattro punti cardinali principali si possono fissare ulteriori punti intermedi: Nordest (NE 45°), dal quale spira il Grecale (chiamato anche Greco); Sud-est (SE 135°) da cui
proviene lo Scirocco (o Garbino umido); Sud-ovest (SW 225°) per il Libeccio (Garbino secco) e Nord-ovest (NW 315°) per il Maestrale (Carnasein).
In mancanza di strumentazione adeguata è comunque possibile misurare empiricamente
anche l’intensità dei venti utilizzando la scala Beaufort, creata nel 1805 dall’ammiraglio
britannico Francis Beaufort.
di Davide Lazzini
Scegliere una vacanza in barca significa scegliere
forti emozioni
Il raddoppio del canale di Suez
minaccia il Mediterraneo
NORMATIVE
Il Mare Nostrun è in serio pericolo, la comunità scientifica internazionale avverte e si mobilita per la salvaguardia del Mediterraneo. L’ultima minaccia è rappresentata dal
raddoppio del Canale di Suez che dovrebbe terminare a breve e che potrebbe rivelarsi una vera e propria bomba ecologica.
Inaugurato nel 1869, in origine il canale misurava 164 km di lunghezza, 8 m di profondità, 53 m di larghezza, consentendo il transito di navi con pescaggio massimo di 6,7
m. Dopo i lavori di allargamento del 2010, il canale fu portato a 193,30 km di lunghezza, 24 m di profondità, 205/225 metri di larghezza, permettendo così il transito di navi
con pescaggio massimo di 20,12 m. Il recente ampliamento consiste nella costruzione di un nuovo percorso di 72 km, parallelo a quello attuale.
In particolare, si tratta di 35 km di «scavo a secco» e di 37 km di «espansione e approfondimento» di quello scavato circa un secolo e mezzo fa. Ciò permetterà di rendere
più veloce il transito delle navi, riducendo i tempi di percorrenza dalle odierne 11 ore si passerà a 3 ore, grazie alla riduzione dei tratti dove l’accesso era consentito unicamente a senso unico alternato, con la possibilità di raddoppiare il traffico giornaliero delle navi, che passerebbero da 49 a 97, diminuendo i costi aggiuntivi a carico degli
armatori dovuti ai ritardi. Il Canale di Suez rappresenta una delle maggiori fonti di valuta straniera per l’Egitto, e gli introiti stimati sono dell’ordine di 13 miliardi di dollari
entro il 2023, contro i 5,3 miliardi incassati nel 2013.
Oltre ad introiti maggiori, la sua apertura spalancherebbe però le porte ad un’ulteriore invasione biologica di nuove specie marine tropicali dell’ordine di centinaia di esemplari.
Il Canale di Suez rappresenta infatti il principale accesso delle specie non autoctone. Prendendo in considerazione tutti i mari europei, le cosiddette specie marine «straniere» sono ormai 1416, di cui quasi 300 nel solo nel Mediterraneo, con 41 di queste divenute ormai comuni. Di queste specie aliene moltissime provengono dal Mar Rosso;
ad esempio nelle acque intorno alla Sicilia ora vivono nuove specie di triglie, un nuovo tipo di cernia, di tonnetto, oltre al barracuda del Mar Rosso, fino a qualche anno fa
assolutamente assenti nel Mediterraneo.
Il Mar Rosso è diventato una via preferenziale per la colonizzazione del nostro mare e della sua modificazione nel tempo. Le molte specie giunte nel Mediterraneo sono
ancora limitate nelle loro condizioni ambientali, ma la minaccia di tropicalizzazione di queste acque costringe ad intensificare tutti gli sforzi per monitorare il cambiamento
in atto e poter così intervenire in modo veloce e concreto, prima che sia troppo tardi.
L’intrusione di specie non indigene, estranee all’ambiente in cui sono arrivate, chiamate specie «aliene» appunto o, usando il termine scientifico, specie «alloctone», evidenzia come sia determinante l’uomo nella diffusione delle specie viventi. Non solo il riscaldamento globale all’origine di questo fenomeno, ma anche la complicità dell’uomo
per far superare grandi distanze e barriere ambientali e fisiche che rimarrebbero invalicabili, con conseguenze imprevedibili. Infatti, nel caso le nuove specie dovessero
trovare condizioni favorevoli al loro sviluppo, come la mancanza degli antagonisti naturali che nella zona d’origine ne regolavano l’espansione, potrebbero insediarsi e diffondersi, provocando guasti ambientali, danni economici e pericoli per la salute umana. Inoltre, se una specie alloctona entra in competizione con le specie tipiche di una
determinata area, può causare cambiamenti nelle comunità, alterando la biodiversità e il funzionamento dell’ecosistema.
L’arrivo di nuove specie ittiche provenienti da aree tropicali extramediterranee ha avuto un incremento significativo negli ultimi trent’anni, con un decorso però non sempre
costante. Solo dopo la costruzione della diga di Aswuan nel 1965 si è incominciato a osservare un crescente aumento nel numero delle specie, attribuibile alla drastica
riduzione della portata del Nilo, con il conseguente sblocco dello sbarramento rappresentato dalla soglia di bassa salinità che, di fatto, rappresentava una barriera per le
specie provenienti da un mare ad alta salinità come il Mar Rosso.
I nuovi arrivi più temuti sono rappresentati dalle meduse velenose (Rhopilema nomadica), che sono dannose per l’ecosistema, oltre ad infastidire i turisti, ostruire le prese
di aspirazione delle centrali elettriche o degli impianti di desalinizzazione; dai pesci palla (Lagocephalus sceleratus), che rilasciano una neurotossina pericolosa per gli
altri pesci e per gli umani che se ne cibano; dal pesce coniglio (Siganus luridus) che ha fatto sparire lunghi tratti di alghe dalle coste della Turchia; per finire con i gamberi
stranieri che mettono a repentaglio le nostre mazzancolle.
L’Egitto ha informato la Commissione europea che è in corso una valutazione d’impatto ambientale sull’intero bacino che dovrebbe essere pronta entro maggio, anche se
non è certo che vi sia incluso il problema delle specie invasive. Quindi per il momento manca una stima certa, «trasparente e solida a livello scientifico, seguita da un’analisi
del rischio e da misure di controllo e mitigazione», come spiegato da Bella Galil dell’Istituto Oceanografico Israeliano, la promotrice della lettera-appello di oltre 450 scienziati da 39 Paesi: «Fra loro ci sono almeno un centinaio di italiani, da Trieste a Palermo. Non siamo contrari ai lavori di allargamento del canale, ma il Mediterraneo è un
mare di cui bisogna prendersi cura e necessita di un periodo fra i sei e i dodici mesi» per avere una valutazione completa che riunisca i dati di tutti i Paesi dell’area. Tempi
lunghi insomma, rispetto alle rassicurazioni che arrivano dal Cairo.
Paola Mattavelli
Bandiere Blu 2015
dove l’acqua è sempre più blu
Con una costa lunga più di 7000 km, l’Italia mette a disposizione degli amanti del mare, un’invidiabile possibilità di scelta, oltre agli innumerevoli ed incantevoli specchi d’acqua delle acque interne. Non
sempre affidarsi al caso si rivela però la scelta vincente. Mare sporco ed inquinato, spiagge dove regna l’incuria e la disorganizzazione,
sicuramente rendono le proprie vacanze indimenticabili nel modo
sbagliato. A soccorrere il viaggiatore ci pensa annualmente Bandiera
Blu, un riconoscimento internazionale, assegnato annualmente a 48
Paesi, non solo europei come era stato inizialmente pensato quando è stato istituito dalla FEE (Foundation for Environmental Educati
on, ovvero una fondazione non governativa e no-profit per l’educazione ambientale) nel 1987, Anno europeo dell’Ambiente, ma anche
extra-europei, attraverso la collaborazione di due agenzie dell’ONU:
UNEP (Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente) e UNWTO (Organizzazione Mondiale del Turismo) con cui la FEE ha sottoscritto un
protocollo di partnership globale.
La Bandiera Blu viene assegnata alle località turistiche balneari che
rispettano alcuni parametri qualitativi ritenuti fondamentali, come la
pulizia delle acque e delle spiagge ed i servizi che vengono offerti,
seguendo però criteri di valutazione differenti per spiagge ed approdi
turistici. Quindi questa certificazione non solo è un efficace indicatore
della bellezza e fruibilità di un luogo, ma svolge la sua utilità andando
incontro alle diverse esigenze di chi viaggia.
L’adesione dei Comuni interessati al programma di valutazione della
FEE avviene per via gratuita, come gratuite sono le visite di controllo effettuate e la conseguente certificazione, integralmente a carico
della Fondazione. Per conquistare la Bandiera Blu il Comune deve
garantire il suo impegno per assicurare e sostenere gli standard di
qualità richiesti.
La Bandiera Blu ha valore solamente per l’anno nel quale avviene l’assegnazione e può essere tolta in qualunque momento se dovessero
cadere i requisiti di eccellenza richiesti, divisi tra quelli ritenuti un imperativo imprescindibile e quelli invece richiesti nel maggior numero
possibile.
Un lungo elenco di 33 punti divisi tra l’educazione ambientale e informazione, qualità delle acque, gestione ambientale, servizi e sicurezza,
nei quali si chiede ad esempio di svolgere un minimo di attività di
educazione ambientale ogni anno per i bagnanti, di affiggere le informazioni sulla qualità delle acque di balneazione, oltre alla mappa della
spiaggia con indicati i servizi, il rispetto di tutti i parametri chimici e fisici della spiaggia e dell’acqua e relativo campionamento, conformità
alle Direttive sul trattamento e qualità delle acque reflue e di scarico,
di operare tutto ciò che è necessario per mantenere la spiaggia pulita,
di favorire la conservazione e biodiversità degli ecosistemi marini, di
avere misure appropriate di controllo della sicurezza con un adeguato numero di personale e/o attrezzature di salvataggio disponibili, un
accesso sicuro in spiaggia con almeno una spiaggia per Comune per
i disabili. I parametri presi in considerazione dalla FEE internazionale
sono molti come si può ben vedere, uniti anche ad una valutazione
dei criteri di gestione sostenibile del territorio relativa alla raccolta
differenziata dei rifiuti o la depurazione delle acque reflue, iniziative
ambientali, turismo e pesca professionale.
La conclusione della valutazione effettuata dalla FEE ha portato per
l’edizione 2015 alla premiazione di 147 Comuni italiani: ben 280 spiagge (che rappresentano il 7% delle premiate a livello internazionale) e
66 approdi turistici, con 9 nuove spiagge ad aver ricevuto il riconoscimento.
La Liguria si conferma come la Regione con più località a potersi fregiare della Bandiera Blu, ben 23 bandierine (3 in più rispetto al 2014),
a seguire Toscana con 18, Marche con 17, la Campania arriva a 14
grazie ad una nuova bandiera, la Puglia a 11, l’Emilia Romagna rimane
invariata a 9, l’Abruzzo scende da 10 a 8, il Veneto passa da 7 a 8,
come il Lazio e la Sardegna, che ne guadagna 2. A seguire la Sicilia,
che passa da 6 a 5, perdendone 2 ma conquistandone 1, la Calabria
con 4, il Molise con 3, il Friuli Venezia Giulia rimane a 2 e la Basilicata
a 1. La Lombardia conquista 1 bandiera per i laghi, 2 il Piemonte e 5
per il Trentino Alto Adige.
Sono 11 i Comuni in più che hanno meritato di poter far sventolare
la bandiera blu, 4 invece quelli che l’hanno persa. Un trend assolutamente positivo che ha visto entrare nella rosa delle più meritevoli:
Capaccio (Campania); Terracina (Lazio); Borghetto Santo Spirito, Taggia, Santa Margherita Ligure (Liguria); Cannobio (Piemonte); Castellaneta (Puglia); Castelsardo, Sorso (Sardegna); Tusa (Sicilia); Rosolina
(Veneto). Retrocedono invece: Silvi, Rocca San Giovanni (Abruzzo);
Ragusa, Marsala (Sicilia).
La Bandiera Blu rimane un alleato indiscusso per il rafforzamento
dell’immagine e per il gradimento dei turisti come evidenziato da una
ricerca condotta dagli atenei di Urbino e di Perugia. L’impegno speso
per mantenere all’eccellenza tutti i parametri richiesti, si rivela quindi
un ottimo investimento non solo per l’ambiente ed il benessere di chi
ne usufruisce, ma per gli stessi Comuni che investono forze, tempo e
risorse.
Paola Mattavelli
Capraia:
bella, unica e
selvaggia
un’isola tutta da scoprire
L’arcipelago toscano è formato da un
gruppo di sette isole maggiori; tra queste
– che avremo modo di trattare più nel
dettaglio con nuovi itinerari – c’è la
Capraia. L’isola è situata a 35 miglia nautiche da Livorno, 30 dal promontorio di
Piombino, 23 dall’isola Gorgona e solo 15
dalla Corsica. L’unico Comune – Capraia
Isola – ha poco più di 400 abitanti ma
nella bella stagione – date le particolarità dell’area – il paese si riempie di turisti e amanti del mare che ben conoscono
le bellezze di questo piccolo scrigno nel
Mar Tirreno. Da punta Teglia, a nord, a
punta dello Zenòbito, a sud, l’isola è lunga circa 8 km e larga 4. L’origine vulcanica di Capraia è testimoniata da un cono
ancora ben visibile per metà nella Cala
Rossa, sicuramente una delle aree più
caratteristiche dell’isola e di tutto l’Arcipelago: spiccano, infatti, i contrasti tra
il rosso dell’alta parete rocciosa e il blu
del mare dal quale essa si erge quasi perpendicolarmente.
La Capraia presenta coste aspre, alte
e rocciose; eccezion fatta per qualche
caletta di ciottoli, sull’isola non ci sono
spiagge mentre il rilievo principale è
il Monte Castello (447 mt) che sul versante occidentale si presenta con una
parete impervia mentre su quello orientale scende
verso il porto con declivi meno marcati poiché formati da piccole valli torrentizie. La vegetazione è ricca e
presenta alcune specie endemiche uniche. Tra queste
spiccano le tre (lumaca, lucertola e ginestra) specie
dell’isolotto della Peraiola: uno scoglio distante solo
pochi metri dall’isola principale in cui sono rimasti isolati esemplari che si sono evoluti diversamente
dalla vicina Capraia. Sul versante dell’isola orientato
verso la Corsica vive anche la palma nana, una specie molto antica quanto rara e che oggi si trova solo in
aree dal clima tipicamente tropicale. Altra specie endemica è il Fiordaliso di Capraia, che fiorisce proprio in
questo periodo ed è possibile ammirarne i colori lungo
la strada che dal paese conduce fino al porto. Sul versante Nord-Est, alla sommità di uno sperone roccioso,
si trova Forte San Giorgio, una costruzione difensiva
eretta dai genovesi per proteggere meglio gli isolani
dalle incursioni via mare.
Pur essendo priva di spiagge, l’isola è ricca di piccole
calette che possono essere raggiunte sia a piedi che in
barca (è attivo anche un servzio di taxi in barca, che
conduce i turisti nelle piccole baie disseminate lungo
la costa. Tra le principali segnaliamo la Cala di Porto
Vecchio, Cala della Mortola, Cala del Ceppo e Punta
della Teglia. Gli elementi comuni a tutte le cale sono la
bellezza del paesaggio naturale e di quello sottomarino
ma ognuna ha delle proprie peculiarità che meritano
di essere scoperte e apprezzate singolarmente. L’isola è
nota per la bellezza dei fondali; la Capraia è un vero e
proprio paradiso sia per chi ama semplicemente nuotare in acque limpide, sia per coloro che desiderano esplorarne i fondali ricchi di vita marina, caratteristica
tipica delle isole toscane. La particolare struttura della
costa crea i presupposti per fare snorkeling in acque
dai bassi fondali, che grazie alle tutele dal Parco offrono un vero e proprio spettacolo sottomarino anche
nei pressi del Porto e del Paese.
Sotto la superficie si estendono vasti prati di posidonie
(specie indicatrice di ottima qualità dell’acqua), pareti
di roccia e insenature che, data la presenza dell’area
marina protetta, sono popolate da una numerosa fauna ittica degna delle ben più rinomate – e distanti isole tropicali.
Chi volesse visitare l’isola ma non ha a disposizione
una barca per poterla raggiungere, può rivolgersi a
un servizio di collegamento che da Livorno conduce
i turisti fino a Capraia Porto in poco meno di 3 ore di
navigazione
(http://www.directferries.it/livorno_traghetto.htm).
Indipendentemente dal fatto di possedere o meno una
barca per raggiungere l’isola, chi decide di visitarla potrebbe anche imbattersi in qualche gradita sorpresa:
durante la navigazione non è raro scorgere gruppi di
delfini che nuotano in queste acque limpide, testimoniandone ancora una volta la qualità e la ricchezza
di vita che custodiscono. Per coloro che decidessero
di attraccare al porto, o comunque abbiano intenzione di visitare l’isola con la propria barca, ricordiamo
che l’area è sottoposta a tutela ambientale e per questo motivo è bene visitare questo sito, che predispone
informazioni dettagliate sul regolamento del Parco e
sulle tariffe di attracco a Capraia Porto:
(http://www.portodicapraia.it/index.php?option=com_content&view=article&id=48&Itemid=56)
di Davide Lazzini
Le correnti oceaniche
NORMATIVE
Tra i grandi fattori che influenzano il globo terrestre bisogna sicuramente annoverare quello delle correnti oceaniche, fondamentali nell’ecosistema generale del mondo. Per quanto esse siano ancora un campo di studio per la scienza, è certo che si tratta di qualcosa di necessario per l’equilibrio del mondo. Esse determinano la temperatura, i venti e le maree (connessi all’azione della gravità del sole e della luna),
le onde, le caratteristiche marittime, attraverso il passaggio e il corso delle acque. Le correnti oceaniche determinano inoltre le piogge,
l’umidità e il grado di resistenza per i venti caldi e freddi; tutti elementi espressamente connessi alla vita delle persone. Molti studi certificano infatti come i fattori ambientali abbiano ripercussioni dirette sullo stesso stato d’animo, sui problemi fisici e del comportamento, sulla
sintomatologia generale del corpo umano.
Alla circolazione marina provvede essenzialmente l’azione del sole. La prima può essere specificata in una circolazione termoalina, data
dalla differenza di densità della massa d’acqua con la conseguente diminuzione di calore, incremento di densità e sprofondamento delle
masse d’acqua, e in un’altra determinata dal vento (wind-driven circulation). Quest’ultima incide sulla superficie marina e sul movimento
«orizzontale» delle masse, mettendole in movimento per l’azione dell’attrito che si produce.
Recentemente all’Università dello stato dell’Oregon è stato intrapreso uno studio, coordinato da Christo Buizert su Nature, dal quale si evince
un dato già immaginato: esiste una comunicazione oceanica tra Antartide e Artico. Lo studio ha messo infatti in rilievo il cambiamento
inversamente proporzionale tra il surriscaldamento dell’uno e il raffreddamento dell’altro. Effettuato attraverso i «carotaggi», è stato possibile effettuare una ricostruzione delle differenze di temperatura degli ultimi 68.000 anni, con scarti temporali a volte di 200 anni. Le analisi
potrebbero essere funzionali a produrre parametri sempre più esatti per stabilire le previsioni dei cambiamenti climatici, senza dimenticare
il determinante effetto della presenza e dell’azione umana. Se in passato si trattava infatti di variazioni dovute alla circolazione oceanica,
si tratta oggi di fare i conti con cause fortemente determinate dall’uomo, come l’incremento dell’anidride carbonica nell’atmosfera.
Ora, il crescente processo di disgelamento del ghiaccio marino dell’Artico potrebbe limitare o persino arrestare le correnti nell’Oceano Atlantico, provocando importanti conseguenze climatiche (con temperature più basse di 5-10 gradi Celsius). A determinare le correnti oceaniche si aggiunge infatti la possibilità che il disgelamento del ghiaccio nel Mar Glaciale Artico provochi un versamento di acqua dolce
nell’Atlantico del Nord. Al disgelamento corrisponde l’incremento di superficie oceanica, con conseguente aumento di umidità atmosferica
e di precipitazioni.
Gli oceanografi, che si occupano di studiare esattamente tali fenomeni, sono preoccupati e gli studi confermano tale preoccupazione.
di Emanuela Tangari
Cucinare
in barca
di Roberta Raise
Indipendentemente dai gusti di ciascuno, quando si vive in barca è bene
osservare alcune semplici regole per la
gestione della cambusa.
Anche se sulle barche sono presenti i
frigoriferi, si consiglia di limitare la conservazione dei cosiddetti freschissimi,
carne e pesce, che andrebbero preferibilmente acquistati e consumati nel
brevissimo periodo.
Una buona cambusa, ben scelta e conservata, consente di alimentarsi in
modo sano e gustoso, anche se si scende
a terra molto poco.
Tra i cibi che non dovrebbero mai mancare, alcuni permettono la preparazione
di svariate ricette, facili e squisite. Tra
questi sicuramente pasta, riso, farro,
farina, legumi in scatola (preferite per
questi alimenti quelli nella cui etichetta
vengano riportati come ingredienti solo
acqua e sale, e prima di consumarli sciacquateli abbondantemente con acqua,
per togliere il sale in eccesso, risulteranno molto più leggeri), pomodori (anche
quelli secchi), patate, acciughe sottolio,
bottarga, zafferano, tonno, olive (quelle
taggiasche denocciolate sono squisite
ed ottime per cucinare), frutta secca,
pane in cassetta, uova, latte a lunga conservazione, yogurt (quello greco è buonissimo per la preparazione di salse per
condire le insalatone).
Scegliete i salumi preferibilmente sottovuoto, oppure quelli preaffettati in vaschetta, che si conservano molto bene, ricordate solo
in questo caso di aprire le confezioni mezz’ora prima di servirli, per facilitare il distacco delle fette.
Benissimo i formaggi, stagionati e non, ricotta (da gustare anche a colazione, in sostituzione del burro, magari con del miele profumato).
Ogni momento della giornata sarà piacevolmente scandito dai pasti, dalla colazione, che consigliamo di fare sempre, e abbondante.
Questo permette di fare il pieno di energie e di affrontare la navigazione e la giornata con la giusta carica.
Un pranzo leggero ma gustoso, con insalate colorate e profumate di spezie, pane e frutta.
La sera, spazio alla fantasia in cucina, per preparare qualcosa di speciale e sfizioso e godersi in compagnia una cena sotto le stelle.
Ecco alcune ricette da ricordare:
Tartine al salmone e tartine ai
pomodori secchi
Cari amici, oggi vorrei proporvi un’idea fresca e particolare per il vostro aperitivo in barca. Mi è capitato
di prepararle un giorno, seguendo la mia fantasia, ed i
miei ospiti mi hanno fatto molti complimenti, e naturalmente le hanno divorate!
Pochi ingredienti e poco lavoro, un pochino di destrezza nelle mani per questa preparazione. Serviranno
alcune piadine, del formaggio fresco spalmabile, salmone affumicato, aneto e cetrioli, pomodori secchi,
pasta di acciughe e origano.
Stendete il formaggio fresco spalmabile sulle piadine, siate generosi! Stendete a questo punto i pezzetti di salmone, come se steste
preparando una pizza. Spolverate con dell’aneto (io in barca ho quello secco, lo trovo buonissimo).
Una volta finito, iniziate a tagliare la piadina a metà, e poi realizzate delle strisce di 5 cm. (centimetro più, centimetro meno!).
Le strisce vanno ripiegate su loro stesse, tre volte. Otterrete cosi le tartine. Tagliate ora a fettine sottilissime il cetriolo, e usate queste
ultime per decorare le tartine, appuntandole con uno stuzzicadenti.
Se volete un gusto più deciso, eccovi un ‘idea in più. Farcite la piadina con formaggio fresco spalmabile, pomodorini secchi e qualche goccia di pasta di acciughe. Spolverate con dell’origano. Realizzate le tartine e decoratele con fettine sottilissime di pomodoro
ciliegino.
A presto amici, e buon vento!
La cartografia nautica
nell’era dell’e-navigation
Nell’era odierna informatizzata anche la cartografia nautica si adegua, digitalizzando la cartografia
ufficiale attraverso software speciali e utilizzando
come standard di cartografia elettronica l’E.C.D.I.S.,
ovvero Electronic Chart Display Information System, un sistema elettronico di visualizzazione e di
divulgazione istantanea di informazioni di sicurezza
alla navigazione.
E.C.D.I.S. è un sistema informatizzato che permette
di avere un’alternativa alle carte nautiche grazie ad
un computer di navigazione conforme alle norme
IMO (International Maritime Organization). Nel 2008
l’IMO ha stabilito, con emendamenti della convenzione internazionale per la SOLAS (Safety of Life at
Sea), che questo strumento innovativo venisse adottato obbligatoriamente su vari livelli, procedendo a
step con un calendario di scadenze graduali associato alla tipologia ed alla grandezza della nave, con
l’intento di renderlo operativo su tutte le grandi navi
mercantili e passeggeri. Di conseguenza tutte le
navi costruite nella seconda metà del 2012 devono
avere l’E.C.D.I.S. nella dotazione di plancia, mentre
tutte le altre navi esistenti si dovranno conformare
seguendo il calendario prestabilito, fissato per le
navi commerciali entro il 2018. Il tempo stimato per
il passaggio dalla navigazione con le carte nautiche
a quello digitale come gestione primaria delle fonti
di informazione è di poco superiore ai vent’anni.
Questo strumento rende più facile tracciare una rotta, oltre ad essere utile nella registrazione di qualunque informazione e nella gestione operativa riguardanti la navigazione e la sua sicurezza. L’E.C.D.I.S.
è infatti in grado di indicare costantemente la posizione della nave rispetto alla terra, ad oggetti, altre imbarcazioni o pericoli, consentendo il controllo
continuativo ed in tempo reale dei più importanti
parametri secondo il tipo e le dimensioni delle unità
sulle quali è usato, ma è necessario avere un’attitudine mentale differente rispetto alla lettura delle
carte nautiche tradizionali.
La cartografia elettronica è la nuova frontiera per
l’industria dei trasporti, oltre ad essere una sfida importante per chi deve utilizzarla perché per essere
efficace come strumento deve innanzitutto esserci
un corretto ed appropriato addestramento che qualifichi l’ufficiale di guardia preposto al suo utilizzo,
perché con un uso improprio e superficiale si corre il
rischio di imbattersi in errori grossolani che minano
la sicurezza che dovrebbe invece garantire.
Quindi, prerequisiti imprescindibili e fondamentali
per aumentare l’efficienza e la sicurezza della navigazione, oltre a diminuirne i costi, sono una corretta
configurazione ed utilizzo del sistema sulla nave e
nella sede della compagnia di navigazione, oltre ad
un equipaggio addestrato. Solo così il potenziale
dell’E.C.D.I.S. viene sfruttato, diminuendo fino al
38% i rischi di collisioni ed incagli, riducendo il consumo di carburante ed il tempo necessario per la
pianificazione e la preparazione dei rapporti e dei piani di viaggio, con un costante approvvigionamento
e correzione di carte e pubblicazioni nautiche.
L’E.C.D.I.S. infatti integra radar (ARPA) e GPS, utilizzando il sistema di identificazione automatica
(AIS: Automatic Identification System), adoperato per trasmettere la posizione della nave ad altri
utenti (navi e stazioni a terra) tramite segnali radio.
Ogni informazione viene quindi visualizzata su una
mappa elettronica in tempo reale, con l’indicazione
dei dati idrografici della zona navigata. La complessità dei software utilizzati obbliga di conseguenza
le Compagnie di Navigazione ad un adeguamento,
compiuto in Italia richiedendo ai propri Ufficiali di
dotarsi di certificati abilitanti l’addestramento operativo dell’E.C.D.I.S., conseguiti nei vari centri di formazione superiore specializzati ed accreditati dal
Ministero dell’Infrastrutture e dei Trasporti.
Nell’era dell’e-navigation non si può prescindere da
una formazione che non solo compensi le lacune
teoriche ed operative, ma che aiuti l’ufficiale a cambiare proprio il suo approccio alla navigazione, mentale e metodologico. Se prima la determinazione del
“punto nave” verificava l’attendibilità della traiettoria
attraverso l’utilizzo di una carta-nautica che restituisse i dati, adesso sono i “way-point” a determinare
la traiettoria. Il concetto base della navigazione è
stato quindi completamente ribaltato, oggi si parla
di «Positioning», branca dell’ingegneria sistemica
che studia la posizione degli oggetti, attuale ed in
previsione futura, ed è assolutamente necessario
avere un E.C.D.I.S. a bordo.
di Paola Mattavelli
Vacanze in barca
ACQUISTA O NOLEGGIA
BARCHE A VELA
BARCHE A MOTORE
oltre
OGNI
fugace
PASSIONE
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