Addio a Sandro Curzi, voce libera della sinistra italiana
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Addio a Sandro Curzi, voce libera della sinistra italiana
Organo ufficiale d’informazione della Federazione dei Verdi Anno IV - n.217 lunedì 24 novembre 2008 Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1 DCB - Roma • Direttore responsabile: Enrico Fontana • Editore: undicidue srl, via del Portofluviale, 9/a - Roma • Stampa: Rotopress, via E. Ortolani, 33 - Roma Registrazione Tribunale di Roma n. 34 del 7/2/2005 • Redazione: via del Portofluviale, 9/a - 00154 Roma - tel. 0645470700 - fax 0642013131 - [email protected] • Stampato su carta ecologica • La testata fruisce dei contributi di cui alla legge 7 agosto 1990 n. 250 No agli ogm, c’è solo un mese L’allarme del presidente dell’Associazione italiana agricoltura biologica. Dal 2009 nuovo regolamento Ue con soglia dello 0,9% Andrea Ferrante: “Zaia deve scegliere da che parte stare: da quella dei cittadini che non vogliono mangiare Ogm e dei 50 mila operatori certificati che non intendono offuscare la propria immagine, o da quella degli interessi dei pochi e dei soliti noti pro-Ogm” Cleto Romantini a pagina 2 I Comuni: stop ai bilanci Dura la posizione dell’Anci contro i tagli contenuti nella Finanziaria. Amministrazioni locali al collasso Diego Carmignani [email protected] La caduta dell’Impero Usa 2 Scuola, i danni della riforma 3 C on la manovra estiva, i Comuni italiani hanno partecipato al risanamento dei conti pubblici per una cifra di 1,340 miliardi di euro e hanno subìto una decurtazione del fondo ordinario pari a 200 milioni di euro. A ciò va aggiunto il mancato gettito Ici per la prima casa: un ammontare di 2,864 miliardi di euro per il 2008 e a 2,604 miliardi a decorrere dal 2009. Non solo. Sono stati ridotti i fondi da destinare ai Comuni: 55 milioni per le politiche giovanili; 23 per l’edilizia scolastica; 37 per il trasporto pubblico; 275 per le politiche sociali; 100 milioni per l’inclusione sociale, altrettanti per lo spettacolo. Una serie di “meno” che ha messo in crisi le realtà comunali di tutta Italia, ora uscite allo scoperto attraverso l’Anci, che chiede al Governo l’esclusione degli investimenti dal patto di stabilità interno e la restituzione integrale del gettito Ici sulla prima casa, come previsto dal Dpef. Cosa assai difficile, visto che il fondo che dovrebbe provvedere al rimborso è insufficiente, mancando ancora diverse centinaia di milioni alla cifra necessaria. Per i Comuni italiani è giunta l’ora di prendere delle opportune misure. A parlare senza mezzi Richiesta all’Esecutivo l’esclusione degli investimenti dal patto di stabilità interno e la restituzione integrale del gettito Ici sulla prima casa. Il presidente Domenici: “Dal Governo nessuna risposta precisa” termini è il presidente dell’Associazione, Leonardo Domenici, al termine della riunione a palazzo Chigi incentrata sull’emergenza dei bilanci dei Comuni: “Dal Governo non ci sono risposte precise: rimangono aperte tutte le questioni. Su bilanci dei Comuni e sugli investimenti attendiamo ancora di sapere qualcosa e Tre- monti si e’ detto disponibile a vedere di trovare una soluzione per i finanziamenti degli investimenti, anche attraverso alienazioni patrimoniali”. E’ necessario un cambiamento di rotta e misure estreme per far sentire la propria voce. Da qui, l’invito rivolto ai Comuni e alle città metropolitane a non procedere alla Addio a Sandro Curzi, voce libera della sinistra italiana Alessandro Curzi, giornalista e voce della sinistra, è scomparso sabato a 78 anni. Per il “ragazzo Comunista” - tessera del Pci già a 14 anni - diventato direttore di quotidiani e di tg e poi consigliere d’amministrazione della Rai, il ricordo commosso, unito all’affetto e al rispetto, arriva sia da amici e colleghi che da avversari politici. Primo fra tutti, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che lo ricorda come “uomo di schietta passione politica e di sempre viva non co- mune cordialità umana” e, in visita alla camera ardente allestita in Campidoglio, sottolinea “il generale riconoscimento della sua passione e del suo temperamento generoso”. Resistente a 13 anni, Comunista iscritto già a 14, chiamato a 19 anni da Enrico Berlinguer a ricostruire la Federazione giovanile Comunista italiana (Fgci), Alessandro Curzi, nato a Roma il 4 marzo 1930, ha vissuto tutta la sua vita fedele, pur senza rigidità, alle idee di gioventù passando con Fau- presentazione negli organi competenti dei bilanci di previsione per l’anno 2009 entro la data fissata per il 31 dicembre, in attesa che siano rivisti i contenuti della manovra finanziaria. Domenici sottolinea la “reale impossibilità per i Comuni di chiudere i bilanci per la rigidità delle voci di spesa e dunque l’oggettiva incapacità di programmazione delle attività e mantenimento dei servizi essenziali per cittadini e imprese”. A peggiorare questa situazione, è arrivata oltretutto la crisi economica e finanziaria, contraddistinta da un contesto economico e sociale totalmente diverso da quello che si configurava durante la presentazione della Finanziaria. Congiuntamente allo “sciopero dei bilanci”, l’Anci illustra le sue proposte per il rilancio: maggiori interventi nel campo delle infrastrutture da parte del Governo, la valorizzazione del patrimonio immobiliare dei Comuni e dello Stato, la partecipazione attiva della Cassa depositi e prestiti. Infine, l’Associazione chiede che il termine per la presentazione delle certificazioni per il mancato gettito Ici, fissato al 30 aprile 2009, sia invece anticipato “di almeno due mesi” per poter rispettare il termine della presentazione del contemporaneo bilancio consuntivo 2008. sto Bertinotti a Rifondazione Comunista alla fine degli anni ‘90. Il suo impegno politico si è svolto all’interno dei mass media, dal primo articolo, quando era ancora adolescente, sull’Unità clandestina, per raccontare l’assassinio di uno studente da parte di fascisti repubblichini, al ruolo di capo redattore nel mensile della Fgci “Gioventù nuova”, diretto da Enrico Berlinguer, fino alla direzione dell’Unità. Alla Rai entra nel ‘75 e l’anno dopo, con Biagio Agnes e Alberto La Volpe, dà vita alla terza rete televisiva mentre nel 1978 è condirettore del Tg3 diretto da Biagio Agnes. Soprannominato per questo, dagli avversari politici, “Telekabul” (dalla capitale dell’Afghanistan occupata dall’Urss negli anni ‘70), il Tg3 cresce in spettatori (da poco più di 300 mila ai 3 milioni del ‘91) e autorevolezza. La Repubblica della tv Valerio Ceva Grimaldi [email protected] Qualche giorno fa la società Demos ha pubblicato un sondaggio sulle nuove ansie degli italiani, in particolare sulle preoccupazioni legate alla presenza della criminalità. La ricerca ha fornito risultati sorprendenti: ora ci sentiamo tutti più sicuri, mentre entrano prepotentemente ai primi posti della graduatoria le ansie legate alla crisi economica e alla mancanza di lavoro, la perdita dei risparmi, l’incerto futuro dei figli. A leggere tra le righe i dati, però, vengono da fare alcune riflassioni. A partire da settembre 2007 fino a tutto il primo semestre 2008, come riferisce l’Osservatorio di Pavia, c’è stato un aumento vertiginoso dello spazio dedicato dai tg ai fatti di cronaca nera, mentre nella realtà si verificava un calo dei reati. Si è concretizzato, quindi, un fenomeno di “dissociazione” dalla realtà dei cittadini-telespettatori, la cui percezione d’insicurezza aumentava a causa dei messaggi ansiogeni lanciati dalle tv, mentre lo stato della sicurezza vera, non quella percepita, migliorava. Una rappresentazione che non collimava con la realtà, che veniva raccontata in modo distorto, piegando spesso le ragioni dell’informazione a quelle della propaganda. Nella seconda metà del 2008, eletto il governo Berlusconi, si è poi verificato un brusco crollo dello spazio dedicato alle notizie di cronaca nera. Obiettivo raggiunto, dunque? Il centrodestra ha lavorato per montare una grancassa mediatica sull’allarme sicurezza e poi ha fornito in pasto alle tv, e quindi agli italiani, la sceneggiata dei militari e dei blindati che andavano a sconfiggere la camorra e la piccola criminalità. A questo punto, vale la pena di ricordare che l’Italia, e la vicenda della nomina del presidente della Commissione di Vigilanza ne è un’ulteriore, mortificante prova, è il Paese dove si verifica la più alta pervasività della politica nei mezzi d’informazione, in particolare nella televisione, “controllata” da tre autorità direttamente composte da parlamentari o di nomina politica. Tale pervasività non si concretizza solo in una bassa questione di spartizione di “posti”, ma diventa anche strumento fondamentale per assecondare un disegno e orientare la pubblica opinione. La potenza simbolica di un messaggio (negativo, il più delle volte) fornito attraverso la tv raggiunge milioni di case: un piatto troppo ricco per la propaganda. Una prova? I tg che hanno trasmesso più notizie sulla criminalità sono quelli Mediaset, mentre il tg3 è quello in cui lo spazio è stato minore. Sarà un caso: il centrodestra ha impostato la sua campagna sulla sicurezza, ed ha poi vinto le elezioni. Di fatto, tra le pieghe dei bilanci dello Stato, ha però attuato il più grave taglio alle risorse destinate alle forze dell’ordine degli ultimi dieci anni: oltre 3 miliardi di euro. Un taglio drastico, che non potrà che indebolire la capacità reale di controllo del territorio e di prevenzione dei reati. Ma ora, grazie alla tv, gli italiani si sentono più tranquilli, e allora non fa niente se i poliziotti non avranno più la benzina per le Volanti. Tanto la tv non ce lo dice. 2 lunedì 24 novembre 2008 “Il biologico italiano è a rischio” Legambiente: “Con la sperimentazione in campo aperto ci saranno enormi problemi per vite, ulivo, fragole e ciliegie nostrane” dalla prima C’ è solo un mese di tempo per salvare il biologico italiano dall’aggressione degli organismi geneticamente modificati. L’allarme è stato lanciato dal presidente dell’Aiab (Associazione Italiana Agricoltura Biologica), Andrea Ferrante, che ha rivolto un pubblico appello al ministro delle Politiche Agricole Luca Zaia. L’obiettivo è evitare l’introduzione della soglia di tolleranza da Ogm nel bio, prevista nel nuovo regolamento europeo per il biologico, che sarà in vigore dal 1 gennaio 2009. Secondo Ferrante “abbiamo ormai meno di 40 giorni per fare un decreto legge che risponda alla necessità dei produttori biologici italiani che vogliono continuare ad affermare senza ombra di dubbio che i propri prodotti sono totalmente esenti da qualsiasi contaminazione da Ogm, seppur accidentale. Abbiamo lo stesso esiguo tempo per difendere il diritto dei cittadini italiani di sapere quello che mangiano e di non essere turlupinati da chi vuole offendere l’intelligenza di noi tutti dicendoci che 0,9 di contaminazione accidentale è come dire zero”. Ferrante chiede infine a Zaia di scegliere da che parte stare: “Se dalla parte del voto del Parlamento europeo contrario alla soglia, della stragrande maggioranza dei cittadini italiani che non vuole mangiare Ogm e dei 50 mila operatori certificati che non vogliono offuscare la loro immagine” o “da quella degli interessi dei pochi e dei soliti UN PO’ DI PEPE noti che vogliono introdurre le colture Ogm nel nostro Paese tentano di creare un ambiente favorevole affinché questo possa succedere”. Contro la sperimentazione indiscriminata in campo aperto degli organismi geneticamente modificati si è schierata anche la Fondazione Diritti Genetici, in una lettera indirizzata ai ministri dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo, delle Politiche Agricole Luca Zaia e al presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, ha chiesto, in vista dell’esame da parte della Conferenza Stato-Regioni del decreto ministeriale che dà il via a 9 protocolli per la sperimentazione di colture ogm in campo aperto. “Alle Regioni – si legge nella lettera – chiediamo espli- Loredana De Petris dei Verdi: “Il principio di precauzione impone che le sperimentazioni vengano svolte in ambienti controllati perché il rischio di contaminazione delle coltivazioni convenzionali è altissimo” citamente di non applicare deroghe sull’obbligo di effettuare le sperimentazioni presso siti di Enti pubblici di ricerca; alle Regioni, ai ministeri dell’Ambiente e delle Politiche Agricole chiediamo altresì di prescrivere, in sede di autorizzazione dei singoli eventi sperimentali, l’obbligo di pubblicazione periodica dei risultati sperimentali. Raccomandiamo – continua la lettera – che, prima delle sperimentazioni, che come noto si effettueranno caso per caso, siano attuate delle efficaci consultazioni pubbliche, peraltro già previste dalla normativa, nelle quali sia possibile discutere sull’oggetto e sulle finalità delle sperimentazioni stesse, al fine di garantire un processo di sviluppo innovativo realmente condiviso”. Contro la sperimentazione in campo aperto si schiera anche Legambiente, che con il responsabile Agricoltura Francesco Ferrante afferma che in questo modo “saranno a rischio alcune varietà ortofrutticole tra cui vite, ulivo, fragole e ciliegie nostrane”. In prima linea, infine, anche i Verdi, con la responsabile Agricoltura Loredana De Petris. “L’autorizzazione alla sperimentazione in campo aperto degli Ogm – ha dichiarato l’esponente del Sole che ride – mette a rischio la qualità e la tipicità della nostra agricoltura. Il principio di precauzione impone che le sperimentazioni vengano fatte in ambienti controllati perché il rischio della contaminazione delle coltivazioni convenzionali è altissimo”. Scuola, i danni della riforma Mentre il governo taglia i bilanci della pubblica istruzione, a Rivoli un ragazzo muore per un crollo in un liceo Antonio Barone [email protected] S Verona Protesta choc degli animalisti contro l’industria della moda “E’ aberrante vedere come l’utilizzo di capi derivanti dalla morte di milioni di animali, sia ancora, ai giorni nostri, sinonimo di moda”. Lo affermano i “100%animalisti”, formazione che ieri notte ha tappezzato di volantini le vetrine delle pelliccerie di Verona. “In questo negozio si vendono cadaveri di animali, non pellicce”, recita una delle scritte, e un’altra: “Tutto questo non lo accetteremo più”. “Purtroppo - affermano gli animalisti - non tutti sanno quanta sofferenza si nasconde dietro i capi in pelliccia: gli animali nascono e vivono negli allevamenti, all’interno di piccole celle anguste, esposti spesso al gelo al fine di rendere più folto il loro pelo e a volte costretti a vivere in uno stato di isolamento del tutto forzato”. “La loro fine - aggiungono - è altrettanto crudele: vengono scuoiati, gassati, viene spezzato loro il collo o uccisi tramite l’elettrocuzione anale”. Per fornire i capi in pelliccia, inoltre, “vengono abbattuti anche milioni di animali catturati direttamente in natura, come volpi e lepri, intrappolati con tagliole e lasciati agonizzare giorni, nell’attesa che il cacciatore venga a prenderne i corpi”. La formazione animalista ha anche annunciato che proseguirà le azioni contro la presenza del Circo di Moira Orfei nel Veneto e che ne renderà difficile la permanenza. cene che non dovremmo vedere in un paese civile. Lacrime che non si dovrebbero piangere in una nazione occidentale. Ed invece un tonfo, tanta polvere che invade il liceo Darwin di Rivoli ed un giovane studente muore. Altri venti ragazzi restano feriti. Vito Scafiti aveva diciassette anni ed una vita davanti, tante cose da imparare, tante sfide da vincere e tanti errori da commettere. È morto andando a scuola, non è una vittima del sabato sera, né delle violenze negli stadi. Ora resta solo un immenso dolore ed il senso di assoluta impotenza dinanzi a tragedie che non dovrebbero semplicemente accadere, rispetto all’assurdità di un dolore che semplicemente non dovrebbe esistere. Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi l’ha liquidata come una fatalità. Lo ha fatto mentre in una conferenza stampa all’Aquila dichiarava che ‘tutti vorrebbero essere abbronzati’ come Obama o la Campbell e che i conduttori Rai di sinistra complottano per insultarlo. Non so quanto i genitori di Vito, e quelli degli altri ragazzi in ospedale oggi possano sentirsi italiani, quanto possano sentirsi vicine le istituzioni. Quello che balza istantaneamente agli occhi è che Berlusconi è distante anni luce dalle istituzioni, viste come un orpello neutro rispetto alle sue personali priorità, che vanno al di là anche di una vita spezzata a diciassette anni. L’edilizia scolastica è da sempre una emergenza del nostro paese. Locali vecchi, collaudi che mancano, riscaldamenti che non funzionano. Le competenze, spesso, si perdono in mille rivoli, passano dalle Province ai Comuni. In qualche caso alle Regioni. Eppure ‘Giovanna D’Arco’ Gelmini, una eroina che non ha esitato ad intestarsi una riforma (realizzata in via XX Settembre) che scontenta tutti, in questi giorni in cui i cortei si sono moltiplicati e le proteste vibravano, non ha speso una parola sull’edilizia scolastica. Adesso a tragedia avvenuta si riscoprirà l’emergenza e si leverà un alto polverone sulle responsabilità. Durerà qualche giorno come successe già per San Giuliano. E poi nella confusione generale tutti si scorderanno dei rischi che ogni giorno corrono tanti ragazzi. Se ne scorderanno le leggi finanziarie, e se ne scorderà il governo. Nessun decreto, nessuna ordinanza. Qualche commemorazione, forse. O forse nemmeno quella. La crisi economica, l’Alitalia, la Secondo Berlusconi “è stata una fatalità”. Poi il premier torna a parlare dell’abbronzatura di Obama e della Campbell. Ma ormai la sua posizione è distante anni luce dal vero senso delle istituzioni: ciò che conta sono le sue personali priorità telenovela sulla Commissione di Vigilanza riprenderanno il sopravvento, e la politica continuerà a tagliare alcuni sprechi per vararne altri, senza incidere minimamente su quelle che sono priorità reali, vere. Se il ministro Gelmini avesse giustificato i tagli ‘scriteriati’ delle risorse per l’istruzione pubblica con la necessità di intervenire sull’edilizia scolastica da terzo mondo che l’Italia si ritrova, forse, i tanti ragazzi che vivono la quotidianità delle aule avrebbero potuto capire. Non l’avrebbero accettato, ma l’avrebbero capito. Ed invece no. I tagli sono autoreferenziali e non si sa cosa andranno a finanziare: di certo non l’edilizia scolastica che il governo non considera una priorità. Si aprirà un’inchiesta e tutto sfumerà nel limbo delle responsabilità ‘globali’ mentre i nostri ragazzi continueranno ad essere numeri su cui programmare risparmi di spesa. Il dolore per la morte di Vito diventerà una tragedia personale, nello strazio eterno di genitori che hanno perso un figlio. E l’Italia continuerà a non investire sul suo futuro. lunedì 24 novembre 2008 il libro Dario Parascandolo - [email protected] Il giornalismo secondo Giorgio Bocca Ultimo baluardo di una Resistenza che troppo spesso il revisionismo prova a riscrivere, Giorgio Bocca nasce professionalmente proprio dall’orgoglio partigiano, che ha segnato indelebilmente più di cinquant’anni di carriera giornalistica. Carriera che ha spaziato dal giornalismo d’inchiesta all’attualità politica, dall’analisi economica all’approfondimento storico e storiografico, percorrendo tutte le tappe dell’informazione italiana dal Dopoguerra ad oggi. Ma “il giornalismo di idee e informazioni, come lo intese il secolo borghese, è una specie in via d’estinzione, se non già estinta”. Sono queste le parole che introducono “E’ la stampa, bellezza! - La mia avventura nel giornalismo” (238 pagine, Feltrinelli), l’ultimo libro di Giorgio Bocca, in cui racconta le tappe fondamentali del suo percorso professionale, dalle prime inchieste al terrorismo, dal Generale Dalla Chiesa a Berlusconi, fino ad arrivare alla spietata analisi che vede inquisita la stampa contemporanea, che ha decretato la morte di un’informazione etica per far spazio alla pubblicità, “l’anima del commercio”. Una pubblicità che, producendo oltre il 60% del fatturato di ogni testata, “sostituisce la politica, predilige le interviste, numerose come nei telegiornali; ognuno dice la sua, che sommata alle altre finisce nel pentolone del niente”. Duecento pagine che si leggono d’un fiato, in cui l’autore, raccontando se stesso, racconta sessant’anni di un’Italia difficile, da sempre frammentata nei suoi provincialismi e nei suoi falsi valori. La scrittura di Bocca è come tutti la conosciamo, precisa, pungente provocatoria, ma sempre puntuale e sovente nostalgica, che impietosamente non risparmia nessuno, neppure il suo “piemontesismo” che da sempre ha caratterizzato il suo lavoro. La narrazione prende il via dagli esordi su “Giustizia e Libertà”, un giornale dove “la fraternità partigiana continuava a prevalere sugli egoismi”, e su “La Gazzetta del Popolo”, in cui un Giorgio Bocca poco più che ventenne muove i primi passi come cronista delle prime “cacce all’assassino”, come ama definirle. In questa prima metà del libro la narrazione diventa spesso incalzante e appassionante nel rimembrare la vita da cronista: il poco sonno, i tranquillanti, le partenze all’alba sulla “Topolino scassata” e la corsa alla notizia, spesso passata sottobanco da qualche carabiniere generoso. La storia di Giorgio Bocca giornalista passa per “L’Europeo” di Michele Serra e per “Il Giorno” di Mattei e Pietra, per il quale si recò in Vietnam negli anni ‘60 per ben quattro volte, raccontando uno scenario di guerra ben diverso dal “paradiso perduto” e dal “mito del buon selvaggio”, ovvero il vietcong idealizzato dalla sinistra democratica: “I contadini poveri stavano dalla parte dei viet, che però se occorreva li uccidevano senza pietà, e questo ai lettori di sinistra non lo si poteva raccontare”. Per “La Repubblica” di Eugenio Scalfari (“il migliore dei direttori possibili”), dopo i primi passi con un giornalismo sperimentale fra cronaca e letteratura, Bocca vive e racconta gli anni di piombo, e pubblica nel 1982 l’ultima intervista al Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, riportata integralmente nel libro, che si chiude con un’impietosa analisi della storia recente. Parole feroci e pungenti non vengono risparmiate a Berlusconi e al berlusconismo, che “ignora l’abc della democrazia”, diventando lo “sdoganatore del neofascismo”, dando “spazio sempre maggiore al revisionismo e alla diffamazione della Resistenza”. Parola di Giornalista. 3 La caduta dell’Impero Usa Presentato il report dell’intelligence sui problemi che gli Stati uniti dovranno affrontare nei prossimi anni Alessio Postiglione [email protected] politiche.wordpress.com L’ intelligence americana ha pubblicato, il 20 novembre, un rilevante report nel quale si afferma che entro il 2025 potrebbe consumarsi il definitivo declino dell’attuale sistema internazionale basato sulla supremazia degli Stati Uniti e la centralità delle istituzioni democratiche e liberali. Una rivoluzione, non solo geopolitica, ma sociale e culturale; con la fine dell’egemonia delle nazioni democratiche e l’affermazione di Paesi né laici e secolarizzati, ma autocratici e illiberali; una rete di regimi, gestita da oligarchie, dittature, o, addirittura, da corporazioni criminali e mafie. Il report, chiamato “Global Trends 2025: A World Transformed”, è frutto del lavoro – durato quattro anni – del National Intelligence Council (NIC), organismo che dipende dal direttore del National Intelligence (DNI) e che supporta direttamente la presidenza degli Stati Uniti. Global Trends descrive uno scenario non semplicemente multipolare ma frammentato, dove crescono esponenzialmente i conflitti per l’accaparramento delle risorse strategiche principali – in primis, cibo, acqua e petrolio -, sempre più scarse; si normalizza una situazione di instabilità endemica legata alla proliferazione di armi nucleari, soprattutto nel Medio oriente; si indeboliscono gli organismi internazionali che ricoprono funzioni arbitrali e di global governance. “La diffusione del modello occidentale di economia liberale, democrazia e secolarismo […] che molti considerano inevitabile, potrebbe perdere il giusto passo”, avverte il report. Si delinea una rivincita dello Stato, di tipo autocratico però, contro il mercato: “La ricchezza non si sta semplicemente muovendo da Occidente ad Oriente, ma tende a concentrarsi sotto il controllo dei governi”. La questione ambientale sembra giocare il ruolo di variabile indipendente; il fattore in grado di influenzare in modo decisivo attori, strategie e reazioni. Dal degrado del pianeta, infatti, dipendono le crisi alimentari e la siccità che sono la causa della diffusione dei micro conflitti e dell’indebolimento delle istituzioni democratiche. Un problema non solo per il Sud del mondo. Il report tratteggia uno scenario da blockbuster catastrofista, dove – nel 2020 – si immagina la Casa Bianca impegnata a contrastare un uragano che spazza New York City. Inoltre, il depotenziamento degli organismi internazionali e delle democrazie rende molto più complicato affrontare la questione del cambiamento climatico, incentivando i comportamenti di free riding da parte di molti attori della Comunità internazionale. In pratica, i regimi non democratici aspettano che siano le democrazie a realizzare quelle misure atte a contenere l’inquinamento, per beneficiare del miglioramento della situazione ambientale e scaricare i costi sugli altri. Mentre i regimi continuano a crescere in modo insostenibile. L’incapacità di far valere per tutti regole condivise, ovviamente, può portare l’intero sistema in un circolo vizioso. Il NIC sottolinea che la scelta, indicata da Obama in campagna elettorale, verso il multilateralismo è quella giusta; ma sarà sempre più difficile per la presidenza degli Stati Uniti realizzare un’agenda condivisa: il consenso dovrà essere ricercato, estenuantemente, punto per punto. Il report, inoltre, ridisegna una nuova geopolitica. Le regioni cruciali, nel 2025, saranno la Russia e il Medio oriente. Ma saranno anche le aree più tempestate dai micro conflitti permanenti. Il degrado ambientale è destinato a giocare il ruolo di variabile indipendente nella geopolitica del nuovo ordine planetario. Un mondo multipolare? No, solo frammentato. Con l’Europa costretta a ricoprire un ruolo secondario Le nazioni più influenti, invece, saranno Cina, India e Brasile: il cui potere sarà stato guadagnato alle spese degli Usa. Obama è avvisato. E l’Europa? Per il NIC, la Ue, incapace di colmare il “democracy gap” fra cittadini e istituzioni, sembra destinata al ruolo di “gigante azzoppato”. Ancora importante economicamente, ma ridotta allo status di nano diplomatico. Bunker e poligono per i “picciotti” Scoperto un centro di tiro sotterraneo ricavato nel quartiere Zen 2 di Palermo, feudo dei capimafia Salvatore e Sandro Lo Piccolo Simone Di Meo L [email protected] ontano da occhi indiscreti, in uno stretto cunicolo scavato a 10 metri di profondità, insonorizzato, sicari di Cosa nostra e criminali Comuni provavano indisturbati le armi: un poligono di tiro sotterraneo ricavato nel quartiere Zen 2 di Palermo, feudo in cui i capimafia Salvatore e Sandro Lo Piccolo reclutavano picciotti pronti a sparare ed esattori del pizzo. La polizia l’ha scoperto per caso, seguendo i movimenti di un pusher di 29 anni, Antonio Grimaldi, riuscito a fare il salto di qualità e a passare tra i ranghi dei fornitori di cocaina. All’ambiente, una sorta di corridoio buio, lungo una decina di metri, si accedeva attraverso una fitta rete di cunicoli scavati sotto un box abusivo, ricavato da Grimaldi a pochi metri dalla sua abitazione: un appartamento a piano terra di uno dei padiglioni dello Zen, zone franche su cui le “vedette” di Cosa nostra vigilano 24 ore su 24. Nel bunker, arredato di tutto punto, secondo gli inquirenti, si sarebbero rifugiati latitanti dei clan. I due ambienti erano praticamente invisibili dall’esterno. Un cancello azionabile solo attraverso un telecomando e una porta blindata proteggevano il box da visitatori sgraditi. Il locale sarebbe sfuggito anche agli investigatori se, durante la perquisizione della casa del pregiudicato, non fosse stata trovata una chiave. Così, gli inquirenti, che indagavano sullo spaccio nel quartiere, sono riusciti a penetrare nei sotterranei della mafia. La chiave ha aperto la porta blindata del rifugio: una stanzetta di 10 metri quadrati dotata di tutti i confort. Aria condizionata, tv, lettore dvd, per rendere meno pesante il soggiorno dei latitanti che vi si rifugiavano. All’interno la polizia, oltre a 7.000 euro in contanti, ha trovato 100 dosi di cocaina pronte per la vendita e diverse munizioni. La sorpresa degli investigatori è aumentata alla vista di una seconda porta: varcata la soglia, gli agenti, attraverso stretti corridoi sotterranei, che sarebbero stati usati anche come via di fuga, sono giunti al poligono fai da te. Le decine di buchi di proiettile sulle pareti della stanza e i bossoli a terra sarebbero segni inequivocabili che il cunicolo è stato usato per testare le armi. Come bersagli i tiratori della mafia, ma anche criminali Comuni del quartiere, avrebbero usato secchi per vernice e barattoli. A pochi metri dal padiglione in cui viveva Grimaldi, il 23 ottobre scorso, la polizia ha arrestato uno dei luogotenenti dei boss Lo Piccolo, Fabio Chianchiano, esattore del pizzo e “armiere” della cosca di San Lorenzo. Sarebbe lui il tra- Il locale sarebbe sfuggito anche agli investigatori se, durante la perquisizione della casa del pregiudicato, non fosse stata trovata una chiave. Così gli inquirenti, che indagavano sullo spaccio nel quartiere, sono riusciti a penetrare nei sotterranei di Cosa nostra mite tra l’ex pusher dello Zen e la mafia. “In certi quartieri della città, come quello dello Zen 2 di Palermo, la criminalità, anche per la configurazione dei luoghi, può contare su una sorta di sistema di vigilanza, organizzato dalle bande, sempre attivo, che rende difficilissimo il lavoro degli investigatori”, ha commentato il dirigente del commissariato San Lorenzo di Palermo, Sara Fascina, che ha scoperto il bunker. “Vere e proprie vedette - ha aggiunto - avvertono i criminali dell’arrivo della polizia. I padiglioni dello Zen sono delle roccaforti a cui è impossibile accedere non visti”. E il sistema dei cunicoli ideato da Grimaldi, che è ora accusato di spaccio e detenzione di armi, secondo gli investigatori non sarebbe isolato. Una specie di città sotterranea attraverserebbe le viscere dello Zen e consentirebbe la fuga ai criminali avvertiti dell’arrivo della polizia dalle loro vedette. 4 lunedì 24 novembre 2008 Europa chiama Italia di Alessandro Zan [email protected] Quale federalismo per l’Italia? La riforma del titolo V, per molti costituzionalisti, è stata il volano che ha dato il via a un iter legislativo molto insidioso (vedi la bozza Calderoli) con una proposta di federalismo che richiederebbe molte risorse a scapito soprattutto delle regioni più povere. Molti politici continuano a dire: «dobbiamo rimediare». Il problema è come rimediare. È sufficiente aggiustare il mal fatto ridisegnando con il bilancino del farmacista politico le competenze fra Stato e Regioni? O è necessario affrontare il vero problema che rende ingestibile l’assetto istituzionale italiano: il federalismo già esistente? L’Italia è già una Repubblica federale. Vige un federalismo non territoriale ma funzionale. Quello che è emerso in seguito all’approvazione del decreto Bersani: un primo timido tentativo di “liberalizzazione” sociale. Un mercato in cui sono scesi i campo, senza veli, le lobby economiche, le cordate finanziarie, le corporazioni artigiane e mercantili, gli ordini professionali, le gilde dei tassisti ecc. In un limbo particolare di questa galassia di poteri forti sono da annoverare le gerarchie cattoliche e le strutture che ad esse fanno riferimento privilegiate e tutelate dal regime concordatario. I partiti e i sindacati, designati dalla Costituzione ad organizzare le istanze economiche e le scelte politiche dei cittadini, sono stati scavalcati. Del resto essi stessi si sono adeguati lasciando emergere al loro interno le burocrazie sindacali, le oligarchie di partito incapaci di trasformare bisogni diffusi e richieste particolari in rivendicazione sindacale compatibile con gli interessi generali. Si ha così la mappa dei nuovi poteri. Se a queste nuove/vecchie strutture, che ormai sono parte integrante delle istituzioni di una Repubblica Per assicurare che si vuol far diistituzioni pubbliche ventare ancor più “federale”, si agcapaci di garantire giungono il partito dei sindaci e quelal tempo stesso lo dei governatori regionali, con le sviluppo economico schiere degli elete servizi ai cittadini ti nei loro listini e la pletora dei non serve rafforzare loro consulenti, si riesce a cogliere carrozzoni costosi o quanto la dialetaprire altri enti inutili tica politica reale sia ben diversa con relativi consigli di da quella prevista dalla Costituzione amministrazione formale. Diventa pertanto ambigua ogni proposta di revisione della Costituzione che non abbia chiarito se intende essere un adeguamento di questa allo sviluppo della società o piuttosto un suo stravolgimento per legittimare i nuovi poteri. Per assicurare istituzioni pubbliche capaci di garantire al tempo stesso sviluppo economico e servizi ai cittadini non serve rafforzare carrozzoni costosi o aprire altri enti inutili con relativi consigli di amministrazione. Lo sviluppo della telematica e l’accelerazione del sistema dei trasporti rendono assolutamente superflue e inutilmente costose strutture amministrative e livelli di rappresentanza retaggio del passato, come le province, o di nuova generazione come le agenzie specializzate finalizzate solo a moltiplicare posti e a nutrire clientele e per di più fonti primarie d’inquinamento e condizionamento nella selezione della classe dirigente. Ogni progetto riformatore è benvenuto purché sia realmente funzionale al miglioramento della qualità della vita dei cittadini e non delle lobby, delle corporazioni, delle oligarchie e delle burocrazie. Annaffia i fiori con acqua piovana, conservata in recipienti, e con l’acqua usata per sciacquare verdure e frutta, e possibilmente la sera: con meno caldo, l’acqua ha più tempo per essere assorbita (evapora di meno) Francesco Benetti [email protected] La nuova economia (utile) Ecco come vengono viste le nuove sfide dell’ecologia sulle maggiori testate giornalistiche internazionali. Anche l’India, nella sua rincorsa alla crescita, ha dichiarato che presto applicherà dei limiti alle proprie emissioni e assumerà un ruolo attivo nella riduzione dei gas serra. Gli unici a voler mettere ancora in contrapposizione la salvezza finanziaria e l’ambiente sono in Italia. L e foreste immagazzinano carbonio, e lo mantengono “imprigionato” nel suolo invece che libero di aggiungersi ai gas serra nell’atmosfera, rallentando il cambio climatico. Inoltre mantengono e regolano le riserve mondiali d’acqua e generano importanti componenti farmaceutici. “E’ ora che ci rendiamo finalmente conto che questi servizi sono di grande valore per noi”, ha concluso qualche tempo fa un tecnico ambientale del governo tedesco ad una conferenza sul clima. Il settimanale Der Spiegel ne riportava le parole raccontando dell’ennesimo conflitto tra la lotta alla povertà e la protezione della natura, in quel caso in Congo, dove la distruzione delle foreste pluviali, fondamentali nella lotta al cambio climatico, stava creando i presupposti per un primo rilancio economico delle regioni più povere del Paese. L’importanza, ormai anche economica, della tutela dell’ambiente, è ormai nota. Con un pizzico di invidia, per esempio, il francese Le Monde ha riportato la notizia che “la Gran Bretagna ha fissato un obiettivo ambizioso di riduzione dei gas serra”: oltre l’obiettivo comune all’Unione Europea, il 20% di riduzione entro il 2020, infatti, il governo di Londra è divento il primo al mondo con un obiettivo di così lungo termine, l’80% entro il 2050. Secondo gli esperti britannici, sarebbe “difficile ma non impossibile”. Nel frattempo, durante un convegno sull’energia nucleare, tenutosi invece a Roma giovedì 20 novembre, esponenti del nostro Governo hanno ancora una volta sostenuto la posizione della vergogna: l’obiettivo firmato irresponsabilmente dal precedente Governo [il famigerato 20-20-20] è fuori dalla nostra portata, le nostre aziende falliranno e saremo invasi dalle cavallette. Al contrario, secondo il commentatore del Guardian Kevin Smith, quella dell’immediato futuro potrebbe diventare la “nostra economia verde”: “I Governi dovrebbero usare le loro posizioni di forza come azionisti delle nuove banche ricapitalizzate per promuovere dei cambiamenti positivi dall’interno”. L’idea è che il salvataggio incondizionato del sistema finanziario e bancario, che ci hanno condotto alla crisi, potrebbe essere invece condizionato da un semplice punto: invece di permettere che la situazione di difficoltà economica ricada sugli impegni in materia di lotta la cambio climatico e di protezione dell’ambiente, diminuendo l’impegno in queste direzioni, i Governi sono oggi nella posizione di indirizzare le mosse future delle banche. “Politiche di prestiti etici si sono già dimostrate attraenti per gli investitori”, e non c’è motivo per cui la ricerca dell’efficienza energetica, delle energie rinnovabili e della riduzione di gas serra non diventino “privilegiate” rispetto agli investimenti meno “salutari” degli ultimi decenni. Si è accennato al ritorno del nucleare. Il dibattito è al centro dell’attenzione in tutti i principali Paesi europei, meno in Francia dove quasi l’80% dell’energia è prodotta dalle centrali nucleari. In Spagna, il primo governo Zapatero aveva addirittura pianificato la chiusura di tutti gli impianti e la sostituzione della quota nucleare con le energie rinnovabili. “Ma – scrive El Mundo – la crisi energetica e finanziaria e l’impennata del prezzo del petrolio hanno cambiato le prospettive”. Attualmente è attivo un forte dibattito in terra iberica sulla convenienza dei due percorsi. In Italia, invece, alle dichiarazioni del Governo sulla nuova alba nucleare ha fatto da contraltare la quasi silenziosa risposta dell’opposizione: “Il nucleare va bene, ma non come lo vuole Berlusconi”, ovvero il più presto possibile e senza porsi troppi problemi. Le sensibili corde dell’economia, in tutto il mondo, stanno spostando gli assi decisionali in favore della tutela ambientale: anche l’India, nella sua rincorsa alla crescita, ha dichiarato che presto applicherà, per la prima volta, dei limiti alle proprie emissioni e che assumerà un ruolo attivo nella riduzione dei gas serra. Gli unici a voler mettere ancora in contrapposizione la salvezza finanziaria e l’ambiente, pare, stanno seduti nel nostro Parlamento. Area marina protetta “Capo Carbonara” Gianni Milano - [email protected] Anche questo lunedì condividerò con i lettori di Notizie Verdi una sintesi della pubblicazione che ho personalmente curato per conto del ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare intitolata “Alla scoperta delle ventisei Aree Marine Protette italiane”, attualmente distribuita gratuitamente dallo stesso ministero. Visitiamo allora insieme, seppur virtualmente, un’incantevole parte di Sardegna. L’AMP “Capo Carbonara” è situata nella costa sud-est della Sardegna, nel territorio di Villasimius, ed occupa una superficie di circa 8,9 Kmq. È delimitata da Capo Boi ad ovest e da Punta Proceddus ad est. Capo Carbonara è il nome della punta estrema sud-orientale della Sardegna, che si erge sul mare di fronte l’isola dei Cavoli, perla incontaminata di un paradiso costituito da lunghe spiagge di sabbia bianca e quarzosa, intervallate da piccole colline, costoni di granito, ciottoli levigati, deliziose calette nascoste, scogliere a strapiombo e accoglienti insenature, lambite da un mare dalla surreale trasparenza. Una sorta di istmo, con al centro lo stagno di Notteri, circondato da un tratto costa tra le più varie e affascinanti del Mediterraneo. L’AMP è stata istituita per custodire un autentico paradiso, terrestre e marino, con l’obiettivo non solo di salvaguardare il patrimonio naturale, ma soprattutto di valorizzare e promuovere le risorse ambientali, lo sviluppo sostenibile e la divulgazione di una sempre maggiore coscienza ambientale nella popolazione locale e dei turisti. Il piccolo Comune di Carbonara, che solo nel 1862 divenne Villasimius, prese il nome dall’intenso sfruttamento del carbone di legna, attività praticata un tempo nella zona. Le sue coste sono sempre state, nei secoli passati, un’area strategica per il controllo dei traffici marittimi: ne sono testimonianza le numerose torri d’avvistamento, presenti sin dall’epoca medievale, spesso sorte sulle rovine di un antico nuraghe. Le invasioni della costa dei pirati barbareschi erano infatti frequenti. Tra le costruzioni ancora visibili vi sono la Torre di San Luigi, sull’isola di Serpentara, la Torre di Porto Giunco, sull’omonima collina, la Torre dell’isola dei Cavoli, la Torre di Capo Boi e la Fortezza Vecchia. In Comunicazione visiva fra loro, facevano parte di un sistema d’avvistamento che sorvegliava dall’alto l’intero golfo di Cagliari. Numerosi naufragi hanno regalato, per secoli, ai fondali sottomarini di Villasimius, reperti di tutte le epoche, il più antico dei quali è rappresentato da una nave romana datata al 250 a.C., che trasportava anfore e ceramiche. Tra gli altri ritrovamenti vanno ricordati quelli di un intero galeone spagnolo e di un carico di vasellame medioevale. Il museo Archeologico di Villasimius è il punto di riferimento per chi voglia studiare nel dettaglio queste ed altre testimonianze del passato. Custodito nelle profondità del mare vi è persino un relitto recente, quello del piroscafo “Egle”, affondato nel 1943. Gli scenari sommersi sono caratterizzati da rocce granitiche che formano pinnacoli e bastioni, avvallamenti, spaccature e tafoni, sovente colorati dal giallo oro delle margherite di mare (Parazoanthus axinellae) o dal rosso carminio delle gorgonie (Paramuricea clavata). Nei pressi dei Variglioni dell’isola dei Cavoli è usuale l’incontro con banchi di barracuda mediterranei; grazie alla ragguardevole trasparenza dell’acqua, li si può seguire nei loro pattugliamenti alla ricerca di cibo. Nei pressi della Secca di Cala Caterina si ammira lo spettacolo sommerso fornito dalle grosse frane granitiche, abitate da una tranquilla popolazione di cernie e da orate di grandi dimensioni. Gli splendidi fondali marini di Villasimius sono meta costante di immersioni, in tutte le stagioni dell’anno. All’interno dell’AMP “Capo Carbonara” le attrazioni degne di nota sono numerose: bellezze naturali, rocce e dirupi sommersi, specie tipiche di fauna e flora rigogliosa, oltre ad affascinanti relitti, alcuni dei quali risalenti al secolo scorso.