Nov - Centro Socio Culturale “Vittorio Bachelet”

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Nov - Centro Socio Culturale “Vittorio Bachelet”
Le lacrime
di mons. Bregantini
di Vincenzo Altomare
D
Mons. Bregantini
opo aver appreso la notizia del
trasferimento del vescovo Giancarlo
Bregantini, non sono riuscito a
trattenere la mia indignazione. E non perché
pensi che la lotta per una Calabria libera
termini qui, affatto! Anzi, penso che tra i frutti
permanenti dell’azione educativa di mons.
Bregantini resti, per noi calabresi, una nuova
coscienza: quella che ci spinge a diventare un
popolo, rinunciando ad ogni forma di
rassegnazione e proponendoci tutti “in prima
persona” (Vittorio Agnoletto) come soggetti
di cambiamento della (e nella) nostra terra.
Dunque, nessuna battuta d’arresto. La
‘ndrangheta non si illudi. Né ha vinto, né mai
vincerà. Forse potrà condizionare le
istituzioni, forse la massoneria deviata ad
essa organica potrà premere ancora qualche
bottone dalle stanze dei poteri costituiti e
asserviti; ma mai potrà spaventarci o anche
solo pensare per un attimo che il
trasferimento di un uomo-simbolo di questa
rivoluzione nonviolenta in Calabria possa
essere fermata.
No: noi calabresi siamo autori di un processo
irreversibile e l’abbiamo irrevocabilmente
deciso. Come lievito dentro la pasta di una
storia segnata dal sangue innocente versato,
vogliamo far crescere la partecipazione dei
cittadini, il coraggio della denuncia, la
fermezza dell’annuncio, la gioia della
rinuncia.
La denuncia, per dire che “la paura non ci fa
più paura”…
L’annuncio di una nuova lieta notizia: ci siamo
e siamo decisi più che mai ad impegnarci,
insieme e in prima persona, attuando “il
potere di tutti”, quell’omnicrazia di cui parlava
negli anni sessanta Aldo Capitini, il Gandhi
italiano, che libera la democrazia dalle sue
pastoie burocratiche e servili; la rinuncia alla
vecchia logica clientelare, partitocentrica,
deleghista, connivente con chi tenta di
ucciderci quotidianamente.
In Calabria la risposta di liberazione è già in
atto: con il consorzio cooperativo Goel,
animato da Vincenzo Linarello; con le
denuncie indignate di Pippo Callipo, con i
ragazzi di Locri e le mille associazioni che
fanno con essa “rete democratica”.
Bregantini ha lavorato per questo: ha fatto
germogliare fiori nel deserto. Adesso è l’ora
nostra, tocca a noi allargare il cerchio della
partecipazione. È questa l’eredità di mons.
Bregantini. Per questo, non ci sentiamo affatto
orfani, ma compagni di strada di un uomo
che sarà per sempre presente con noi.
IIIa Edizione
del Premio Francesco Terracina
Testimone di una umanità normale
È
di Luigi Perrotta
sulle splendide note della Corale
Polifonica Aura Artis che si apre questa
luminosa serata, fresca, come fresche
sono le persone e gli entusiasmi che vi
prendono parte. Nel bellissimo Auditorium
“Giovanni Paolo II” dell’Istituto Tecnico
Commerciale “Vincenzo Cosentino” di Rende,
si celebra la terza edizione del premio
intitolato a Francesco Terracina, persona dalla
grande dirittura morale e umana, che si è reso
esempio, con la sua vita improntata ai valori e
all’onesta generosità, per chiunque cerchi una
strada lungo la quale indirizzare la sua
esistenza. Il premio, organizzato e indetto dal
Circolo Culturale “Vittorio Bachelet”, ma
esteso su scala nazionale, è stato suddiviso in
Tavola Presidenza
due categorie di concorso: pittura e poesia,
espressione dei risvolti più sinceri e riposti
dell’animo umano, orientate verso un tema
Segue a pag. 2
La famiglia è stata uccisa
La violenza tra gli studenti
C
di Francesco Gagliardi
osa sta succedendo oggi mentre
scrivo nel mondo della scuola?
Cosa
sta
succedendo
nelle
Università italiane e straniere? In Finlandia
un ragazzo di appena 18 anni è entrato con
la pistola in pugno in un liceo e ha
compiuto una strage. Ha ucciso la Preside
dell’Istituto e sette studenti e una dozzina
di allievi sono rimasti feriti durante il corso
Segue a pag. 4
2
Oggi Famiglia
FAMIGLIA
Novembre 2007
IIIa Edizione del Premio
Francesco Terracina
Testimone di una umanità normale
di Luigi Perrotta
Corale Polifonica: Aura Artis
Continua da pag.1
comune, La vita è…
Coordina la serata il Presidente della Terza
Circoscrizione di Cosenza, Antonio Farina, il
quale, dopo i saluti e i ringraziamenti di rito,
cede la parola al Preside dell’Istituto
Commerciale, Mario Nardi, che plaude
l’attività culturale promossa dal Circolo
Culturale “Vittorio Bachelet”: esso, infatti, “con
dedizione seria e grandi risultati, applica
politiche giovanili rilevanti, nonché si fa
fautore di iniziative culturali e formative di
grande spessore. I giovani amano la poesia e
la pittura”, continua il Preside Nardi, “esse
sono aspetti che fanno parte della loro vita. Al
Circolo va il merito di coinvolgere i giovani
con grande interesse verso tematiche sempre
di notevole valore”.
Il breve intervento del Preside cede il passo a
quello dell’Assessore Gagliardi, il quale
stigmatizza l’andamento della Calabria
attuale mentre esalta quella Calabria rivolta
all’approfondimento e alla cultura che
rappresenta il sale della terra in vista di una
prospettica crescita futura. “Abbiamo un
enorme
problema
culturale”,
dice
l’Assessore, “è grande e va affrontato con
grande determinazione. Il ’68 è stato il
movimento più importante perché con la sua
opera rivoluzionaria ha concesso a tutti
un’opportunità sociale nella vita: c’era, infatti,
la necessità di accedere alle professioni e ai
mestieri da parte del popolo. Ma l’obiettivo di
quella generazione era la crescita culturale,
obiettivo verso il quale oggi ci si rivolge con
stanchezza. La scuola italiana è debole, ma la
responsabilità non è solo della scuola in
quanto tale: bisogna intervenire sul piano
istituzionale per portarla a quel livello
selettivo, formativo e specialistico cui
dovrebbero giungere gli studenti che la
frequentano.
“Per questo”, conclude Gagliardi, “ringrazio
il Circolo Bachelet per la sua dedizione alle
problematiche giovanili e familiari”.
È il turno del Presidente del Circolo Bachelet,
Maria Antonietta Filice, che legge il
telegramma del Presidente della Repubblica,
Giorgio Napoletano, che si dice dispiaciuto
per non essere presente, ma promuove in
maniera assoluta l’iniziativa del premio
Terracina: “Il Presidente”, recita il documento
del Quirinale, “esprime il suo apprezzamento
al Circolo Culturale Bachelet per l’attività
costante e per l’impegno verso l’educazione
dei giovani e la vicinanza al contesto
familiare”. Si passa quindi alla seconda fase
del programma, quella delle testimonianze, in
cui il primo a prendere la parola è Mons.
Vincenzo Filice, che, in un crescendo intriso di
commozione, ricordo e ferma rievocazione
della personalità dell’amico Francesco
Terracina, ci traduce risvolti e stati d’animo di
“una persona squisita e incrollabile, una
colonna del nostro Circolo. Francesco
Terracina era una figura pregnante, affettuosa,
limpida di educatore e di cittadino normale,
intendendo normale in tutto il suo valore
etimologico originale. Egli rappresentava la
norma, che deve essere il principio ispiratore e
regolatore della nostra società. Normale è ciò
che rende uomo l’uomo. Nella confusione
odierna, dove si scambiano il giusto con
l’errato, la vita di Francesco, priva di caratteri
ridondanti ed eccessivi, era carica e imbevuta
di questa normalità. Tratto del suo modo di
vivere era infatti la mitezza, che
inevitabilmente declinava in tenerezza. Grazie
a questo splendido aspetto della sua vita, egli
era un uomo sereno, potremmo dire
luminoso. Chi non possiede la virtus della
mitezza, infatti, è un’anima inquieta: il mite
non ha fretta, aspetta, ha pazienza, proprio
come “Ciccio”. Egli infatti, nelle pagine del suo
diario, si fa portavoce di messaggi sublimi e
delicati, impastati e cimentati dal suo
superiore rapporto con Dio. Scrive: “Signore,
illumina sempre i medici perché sotto la tua guida
possano essere gli strumenti con cui tu operi su di
noi”. È chiaro che la sua fede era forte, la sua
speranza rivolta sempre verso l’Altissimo. In
questo sta la mitezza dell’uomo: nell’apertura
verso gli altri e nell’abbandono più totale a
Dio: “Ho bisogno dell’aiuto di Gesù per superare il
momento di dolore”. Da ciò emerge il fatto che la
mitezza diviene dominio di sé: Terracina era un
uomo mansueto, dolce, proprio come San
Paolo voleva che fosse il suo discepolo
Timoteo. E Ciccio era un discepolo mite. Il suo
tratto gentile, pacato, affabile fece sì che egli
fosse amato con simpatia e affetto da tutti. Era
un uomo di fede, una fede pensata, motivata,
che non consente né la demonizzazione della
croce, né l’abbandono alla commiserazione e
alle lagnanze. La sofferenza gli ha fatto aprire
tutte le finestre dell’anima, laddove il suo
declino è stato preludio dell’alba di un giorno
nuovo: “La mia anima si isola ed è bello stare così
con te”, dice, con una forza e una semplicità
esemplari; “Mi affido a te, perché possa vivere
attraverso i medici”; e ancora: “Senza il tuo aiuto
non sono capace di nulla: dammi la forza per
affrontare la sofferenza”.
Concludendo il suo intervento, Mons. Filice ci
invita a ritrovare la normalità umana, della cui
azione l’uomo ha così disperatamente e
ineluttabilmente bisogno, proprio come la
testimonianza vivente di Francesco Terracina
palesemente ci ha mostrato.
L’altra testimonianza viene da Rosanna
Turano, che ricorda come “la vita di Franco è
stata ricca e intensa e questo concorso di
pittura e poesia lo fa rivivere proprio sotto
questi aspetti e Francesco Terracina non deve
diventare solo un nome, ma un’immagine,
un’icona esemplare. Puntiglioso, preciso, non
è possibile ricostruire la sua vita per chi non lo
ha conosciuto, ma egli non era un uomo
qualunque: era una persona straordinaria,
pervasa dalla scintilla della tenerezza,
dell’affabilità, della bontà, della generosità.
Ha combattuto e lottato per raggiungere i
suoi orizzonti e ha concluso la sua vita
magnificamente come un sole al tramonto
che inonda tutto il firmamento e i cui raggi ci
scaldano e ci scalderanno ancora”.
Terminate le testimonianze, in attesa di
proclamare i vincitori del premio, si esibisce
nuovamente la suadente Corale Polifonica
Aura Artis, che ci regala momenti di autentico
lirismo, con l’esecuzione di madrigali molto
toccanti.
Terminata la performance, vengono per
primi attribuiti i premi speciali: premio per
la Solidarietà e Legalità al Centro “Roberta
Lanzino” (perché punto di riferimento per
tutte le donne deboli e in difficoltà) e alla
Comunità “Arca di Noè” (perché ha fatto
della solidarietà il proprio stile di vita).
Premio per la Scuola al professor Vincenzo
Stancati, per l’eclettismo che lo caratterizza
e la generosità che lo rende unico e
amabile.
Vince il primo premio per la pittura: Luigi
Migliano, per aver espresso con slancio e
sapienza coloristica un connubio lirico tra
epurazione e astrazione.
Menzione di merito con targa va alla
signora Adriana Scola e alla signora Rosina
Tonissi, entrambe per aver evocato con
delicata passione il fascino cromatico della
natura. Il premio per la pittura giovani va a
Maria Clara Cariati, per l’originalità e
l’equilibrio compositivo dell’opera.
Per la poesia vincono ex aequo il primo
premio la signora Daniela Bruni Curzi e
Pino Veltri, mentre il premio per la poesia
giovani va, sempre ex aequo, ad Aldo
Ruffolo e Pasquale Baffa, entrambi studenti
dell’Istituto Commerciale “Cosentino”.
Menzione speciale per la poesia, con targa,
va al professor Francesco Gagliardi,
validissimo reporter del Circolo Bachelet.
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Oggi Famiglia
FAMIGLIA
Novembre 2007
Premio Terracina 2007
I
l 28 ottobre 2007 presso l’Istituto
Tecnico Commerciale Statale “V.
Cosentino” di Rende ha avuto luogo la
premiazione del Premio Nazionale di
Poesia e Pittura “Francesco Terracina”
terza edizione patrocinata dal Centro
Socio-Culturale “V. Bachelet”, Atlas e C,
Associazione Genitori e EventoArte. Ha
coordinato i lavori il Presidente del Premio
il dott. Antonio Farina.
la sua vita alla famiglia, alla scuola, alla
società che hanno commosso tutti i presenti
in sala. Il ricordo di questo educatore,
morto alcuni anni fa, non si è ancora
perduto nel tempo come ha voluto
evidenziare uno dei premiati della bella
serata. Francesco Terracina è stato un uomo
buono, mite, semplice, disponibile, che ha
speso tutta la sua vita donandosi agli altri.
Ed oggi tutti lo ricordano con affetto. Non
si è messo in evidenza, non è diventato
famoso perché ha partecipato ai “reality”
Premio di Pittura: Luigi Migliano
Sezione giovani: Maria Clara Cariati
di Francesco Gagliardi
Sono intervenuti il Preside dell’ Istituto
Prof. Mario Nardi e il Prof. Gagliardi in
rappresentanza del Comune di Rende e
della Provincia di Cosenza e l’Insegnante
Maria Antonietta Filice, Presidente del
Centro Socio-culturale “V. Bachelet”, che
ha letto una lettera inviata dal Presidente
della Repubblica On. Giorgio Napoletano.
Hanno testimoniato Mons. Don Vincenzo
Filice, direttore del periodico “Oggi
famiglia” e la Prof.ssa Rosanna Turano
Presidente dell’Atlas. Toccanti le parole di
Mons. Filice nel ricordare la figura di
Francesco Terracina, che ha dedicato tutta
Attestato di merito: Adriana Scala
Sezione Poesia: Pino Veltri
televisivi o ha “ballato sotto le stelle”.
Ha sofferto tantissimo negli ultimi anni
della sua vita terrena, ma non si è mai
lamentato di nulla. Ha sempre confidato in
Dio e nella sua misericordia.
Sezione artistica giovani:
Maria Clara Cariati di Cosenza
Sezione artistica adulti:
Luigi Migliano di Rota Greca
Sezione poesia giovani:
1° Premio ex-equo Aldo Ruffolo di
Cosenza e Pasquale Baffa di Cosenza.
Sono stati premiati:
Attestato di merito con targa:
Rosina Tonissi di Cosenza e Adriana
Scola di Cosenza
Sezione poesia adulti:
1° Premio ex-equo Daniela Bruni Curzi di
San Benedetto del Tronto e Pino Veltri di
Rende
Una segnalazione di merito con targa
ricordo è stata consegnata al nostro
collaboratore del giornale “Oggi famiglia”
Prof. Francesco Gagliardi per la poesia
“Dolce ricordo di un amico scomparso”.
A tutti i partecipanti al Premio “Terracina”
sono stati consegnati i Diploma di
partecipazione.
Riconoscimenti speciali per Scuola
Legalità e Solidarietà con targa a:
Prof. Vincenzo Scarnati
Fondazione “Roberta Lanzino”
Comunità “Arca di Noè”.
Sezione Poesia giovane: Aldo Ruffolo
Riconoscimento per la Solidarietà: Comunità “Arca di Noè”
Segnalazione di merito: Francesco Gagliardi
Riconoscimento per la legalità: Fondazione “Lanzino”
Ha concluso la serata la Corale Polifonica
“Aura Artis” diretta dal Maestro Lorenzo
Donati di Arezzo.
Riconoscimento per la Scuola: Vincenzo Scarnati
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Oggi Famiglia
FAMIGLIA
Novembre 2007
La famiglia è stata uccisa
La violenza tra gli studenti
di Francesco Gagliardi
Continua da pag.1
della sparatoria durata a lungo. Quando
sono arrivate le forze dell’ordine il ragazzo
si è barricato in un’aula scolastica e si è
sparato al volto.
A Perugia, bellissima città dell’Umbria,
una ragazza inglese molto bella e di
appena 22 anni che frequentava
l’Università degli stranieri è stata
barbaramente
sgozzata
dall’amica
americana, anche lei venuta a Perugia per
studiare e che divideva con lei la stessa
camera.
C’è qualche relazione tra il crimine
perugino e la strage finlandese?. Certo che
c’è. Tutte e due sono state annunciate
tramite computer. Il computer, questo
aggeggio che ha sconvolto la vita e le
abitudini di grandi e piccini, è il vero e
unico protagonista delle tristi vicende.
Eppure sono due fatti lontani tra di loro
maturati in due contesti diversi, in due
nazioni completamente diverse non solo
per la lingua, ma anche per gli usi, il
costume, la religione. La strage della scuola
di Tuusula era stata annunciata dal
protagonista attraverso il computer tramite
internet come pure la violenza, lo stupro e
l’uccisione della ragazza inglese. Sia
l’assassino finlandese sia la ragazza
americana avevano spedito, il primo
attraverso il famoso sito internazionale You
Tube, le immagini che lo ritraevano con
una rivoltella in mano nell’atto di compiere
il suo atto criminale, la seconda aveva
confessato in un racconto pubblicato in un
blog le vicende di una ragazza stuprata e
sgozzata. You Tube e Blog sono due
diavoleria di internet che i ragazzi di oggi
sanno usare alla perfezione. Passano ore ed
ore davanti al computer dimenticando
spesse volte la compagnia, l’amicizia e
l’amore vero e non virtuale. In tutte e due i
casi, così ha scritto Vincenzo Cerami:- Non
si è trattato di semplici, morbose fantasie:
dal vaneggiamento si è passati alle vie di
fatto. Il primo spara veramente uccidendo i
suoi compagni di scuola, la seconda assiste
alla morte per soffocamento della sua
amica-.
Continuando di questo passo, mentre ci
accingiamo a leggere questo articolo, al
delitto di Perugia e alla strage di Tuulusa si
aggiungeranno altri delitti efferati, magari
con scenari differenti, ma aventi come
protagonisti solo e sempre la scuola, gli
studenti, le preside, i bidelli, gli insegnanti.
C’è da rabbrividire. La vita delle persone
non conta più niente, il rispetto per la
persona non esiste più, l’amore non ha più
valore, l’amicizia una parola banale e vuota
di significati. Sono molto preoccupato e
spaventato mentre scrivo sul mio computer.
E penso, con le lacrime agli occhi, alle vite
distrutte e a questi giovani che entrano
prepotentemente nella quotidiana cronaca
nera riempiendo le pagine dei giornali per le
loro gesti criminali.
Per quaranta anni sono stato un insegnante e
ho sempre cercato di insegnare ai giovani i
veri valori della vita, mai avrei voluto
leggere che quei valori ai quali la mia
generazione ha sempre creduto venissero
calpestati e distrutti.
Stefano Zecchi ha scritto che la scuola,
l’Università non hanno responsabilità. -La
vera responsabilità della scuola è di non sapere,
volere, potere premiare chi merita, ma i giovani
criminali di cui stiamo parlando non hanno il
nulla al posto del cervello per colpa della scuola,
non hanno un pezzo di pietra al posto del cuore
per colpa della scuola-.
Questi giovani protagonisti di questi
orribili delitti le cui foto sono state sbattute
in prima pagina di tutti i giornali italiani e
stranieri, hanno una famiglia? Sì che ce
l’hanno. Spesse volte questo ce lo siamo
dimenticato e non mi stancherò mai di
ricordarlo e di scriverlo. Ma quale famiglia
oggi hanno? Hanno un padre o una madre?
Dove sono stati cresciuti? Hanno vissuto in
campagna o in città dai nonni? Chi hanno
frequentato? Che educazione hanno
ricevuto? Sono stati lasciati soli? Quanto
tempo sono stati davanti al televisore? Che
uso hanno fatto del computer? Quanti siti
erotici hanno visitato? I genitori sono stati
sempre presenti, assenti o disattenti? I
ragazzi di cui noi stiamo oggi parlando
provengono da una famiglia unita oppure
dove i genitori sono separati e che il padre
vede i propri figli soltanto una volta alla
settimana e per una sola ora? Mamma e
papà lavorano? Hanno un lavoro precario?
Riescono ad arrivare alla fine del mese con
il basso salario che percepiscono?
Se la famiglia tradizionale non esiste più,
se in famiglia non c’è più un papà che può
essere preso da modello dai figli, una
mamma che riesce a parlare e dialogare con
i propri figli, per forza i ragazzi di oggi, di
fronte ai pericoli e agli insuccessi sia essi
amorosi, scolastici, lavorativi, essendo
molto fragili, non sapranno reagire e
affrontare la vita.
Chi dovrebbe dare a un giovane la forza di
rialzarsi dopo una sconfitta, se non la sua
famiglia? Così conclude Stefano Zecchi un
suo articolo sul “Giornale” :-I padri non ci
sono più: è la prima figura sociale che è
stata falciata nella sua autorevolezza e
nella sua funzione da una cultura modesta
e crudele che ha negato il valore della
famiglia-.
il mensile della famiglia
CONTRIBUTO VOLONTARIO
PER IL 2008
1) Contributo ordinario e 12,00
1) Contributo amico e 20,00, con regalo un libro di Vincenzo Filice, “Leggere la Storia”, o “Enrico VII di Svevia e le tombe regie di
Cosenza”, di V. Napolillo.
3) Contributo Più e 40, con regalo il libro di Vincenzo Filice, “Leggere la Storia”, e “Enrico VII di Svevia e le tombe regie di Cosenza”,
di V. Napolillo.
4) Contributi Enti e Sponsor e 60, con regalo libri “Leggere la Storia”, “Dentro la memoria”, “Questioni di bioetica” e “Enrico VII di
Svevia e le tombe regie di Cosenza”, di V. Napolillo.
5) Contributo sostenitore e 100 con regalo i libri Edizione SeF.
Recati presso il più vicino ufficio postale ed effettua il versamento prescelto
Sul C/C n. 12793873 intestato a “Oggi Famiglia” - Corso Luigi Fera, 134 – 87100 Cosenza – Tel./Fax 0984 483050
Si avvisano i signori lettori che il c.c. postale viene utilizzato come indirizzo e serve una sola volta per il contributo volontario
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Oggi Famiglia
FAMIGLIA
La fragilità dei legami
affettivo-amorosi fra i giovani
L
di Giovanni Cimino
a fragilità dei legami affettivi fra i
giovani è presente, oggi più che mai,
nella nostra società.
La fragilità trova terreno fertile se i genitori
non hanno dato un buon esempio ai propri
figli. La famiglia ha il dovere e la
responsabilità di dare un buon esempio, se
tutto questo non avviene la fragilità non tarda
a manifestarsi, già in età adolescenziale, nelle
diversificazioni già verificatisi e in altre
nuove e imprevedibili, che vanno ad
arricchire negativamente le prime Fra le
molteplici diversificazioni emergono quelle
amorose che, generalmente, hanno inizio
intorno ai quindici anni, ma con approcci
ancora prima.
Sono le prime esperienze affettive fra i due
sessi e, nella maggioranza dei casi, hanno fine
dopo alcuni mesi o al massimo un anno.
I legami affettivi fra due giovani alle prime
difficoltà spesso si sciolgono come neve al
sole.
In
tutto
questo
subentrano
l'impreparazione e la superficialità con la
quale si affronta un rapporto.
I legami affettivi diventano più duraturi nella
maggiore età. Molte coppie che si formano,
convivono senza sposarsi. La causa di tutto
questo è soprattutto quella della mancanza di
un lavoro sicuro. Un fattore negativo, da non
sottovalutare, è quello esterno, che con le sue
tentazioni porta a cedere, a non resistere. Le
tentazioni si presentano ad ogni angolo della
strada, dove i mali della società sono in
agguato, prima fra tutti la droga. Vi sono, poi,
canali di informazione che inquinano le
menti dei giovani non preparati e temprati
alle difficoltà della vita. E, inoltre, sono da
includere le cattive compagnie, che
conducono alla devianza.
La fragilità può portare, in casi estremi, anche
al suicidio o all'omicidio. Fra i due occupa il
primo posto l'omicidio, e, infatti,
apprendiamo spesso dalle fonti di
informazione che ex fidanzati diventano
assassini perché sono stati rifiutati, non
riaccettati a continuare una relazione affettiva
ormai finita.
La responsabilità di quanto avviene è, prima
di tutto, dei giovani, ma le cause sono da
ricercarsi nel nucleo familiare, poi anche nella
scuola, nella classe politica dominante e nella
chiesa. Una famiglia sana è difficile che
Le famiglie e le case
E
di Massimiliano D’Acri
mergenza casa in Italia. L’attacco del
pezzo pubblicato su “La Stampa” non
è dei più originali, ma lo studio di
Nomisma – che trova spazio su molti
quotidiani – non lascia molti dubbi sulla
portata del fenomeno.
Complessivamente le famiglie in difficoltà
sono 3,6 milioni. Per Nomisma, scrive il
quotidiano diretto da Giulio Anselmi, «una
famiglia si trova in condizioni di disagio
quando spende più del 30% del reddito
disponibile per l’abitazione. In questa
condizione si trovano soprattutto le famiglie
che affittano casa: su 4,5 milioni di nuclei, più
di un terzo (1,7 milioni) si trova in una
condizione precaria, non riesce a pagare il
canone. La percentuale scende a circa il 10%
per i proprietari; sono 1,9 milioni su 18,5
milioni le famiglie in difficoltà con la rata del
mutuo». Del resto, i costi degli affitti parlano
chiaro: «Servono quasi mille euro per affittare
una casa di 80 metri quadri nella periferia di
Firenze, Milano e Roma». In una condizione
simile il canone «può pesare fino all’80 per
cento del reddito». Ad aiutare la popolarità
dell’esecutivo, il titolo nella stessa pagina di
un retroscena sulla Finanziaria in via di
definizione firmato da Stefano Lepri: «Ma il
governo frena sugli sgravi fiscali».
Casa dolce casa. Perché in Italia si esca
dall’emergenza sono in molti a guardare alla
Finanziaria. Sia sul fronte fiscale con il taglio
dell’Ici e gli sconti sugli affitti. Sia sul fronte di
un nuovo piano di edilizia residenziale.
E proprio la casa, secondo il ministro delle
infrastrutture Antonio Di Pietro, dovrebbe
rappresentare il cuore della prossima
manovra. Nel corso della conferenza
nazionale sulle politiche abitative che si è
aperta il 20 settembre a Roma alla Luiss, il
ministro ha spiegato che le risorse necessarie
per la realizzazione del piano casa dovranno
essere pari a 1,7 miliardi di cui 530 milioni per
far fronte all’emergenza abitativa e tra 1 e 1,2
miliardi di euro per l’edilizia residenziale.
«Il governo deve inserire il piano casa in
questa Finanziaria, per rilanciare l’edilizia
residenziale pubblica e risolvere le
emergenze» relative agli sfratti”, ha spiegato
Di Pietro secondo cui nel pacchetto in 12
punti sulla casa figurano anche l’esenzione Ici
per gli alloggi degli enti locali e per gli ex Iacp,
la stabilizzazione degli sgravi al 36% per le
Novembre 2007
generi giovani soggetti ad essere fragili nei
legami affettivi. Una società si riconosce nella
scuola, se la scuola non funziona, non educa
e non prepara alla vita. Inoltre, la scuola non
immette nel mondo del lavoro; diventa
spesso una sorta di parcheggio.
Il potere politico dominante ha il dovere di
guidare un Paese, poiché i suoi
rappresentanti sono stati eletti dal popolo;
esso deve dare le direttive e mantenere alti i
valori della vita; deve assicurare un domani
lavorativo ai giovani e dare esempi positivi di
comportamento. La chiesa deve interessarsi
sia allo spirito, sia operare nel sociale.
Famiglia, scuola, potere politico dominante e
chiesa hanno compiti importanti da
assolvere, e tutti insieme sono tenuti a dare
buoni esempi, purtroppo nella realtà
quotidiana sono presenti, anche e spesso,
esempi negativi e la cronaca nera riempie
pagine di giornali e spazi televisivi.
I legami affettivi deboli, prima o poi, si
spezzano, non resistono e cedono facilmente
alle tentazioni e agli esempi negativi presenti
nella società odierna.
Legarsi ad un'altra persona affettivamente,
non è una moda che passa, o l'appagamento
di prestazioni sessuali, ma è molto di più, che
sprofonda nei valori della vita, nella
religiosità dei rapporti, avere stima reciproca
e rispettarsi, stare insieme con amore e per
amore e, in due, sentirsi una sola persona.
ristrutturazioni, 530 milioni di trasferimenti
diretti ai comuni nel 2008, l’utilizzo di
immobili militari nonché detrazioni fino al
30% per chi affitta a canone concordato il
fondo per il sostegno agli affittuari. E se per il
viceministro all’economia, Roberto Pinza, la
discussione sulla casa inizierà già oggi in
consiglio dei ministri, il ministro della
famiglia Rosy Bindi ha insistito sul fatto che
«quando i soldi sono pochi bisogna
inverventi mirati alla massima equità
sociale». Nell’augurarsi che un piano per la
casa possa essere finanziato almeno nella
prima parte con la Finanziaria, la Bindi è
intervenuta sia sul taglio dell’Ici (a patto che
si tenga in debito conto il reddito familire e il
numero dei componenti di ogni nucleo») sia
sugli affitti (perchè si possa dedurli dalla
dichiarazione dei redditi). In ogni caso per
Pinza è un dato indiscutibile che «la bandiera
della casa sia presente in qualche modo in
Finanziaria».
Sullo stesso tasto ha battuto anche il ministro
delle politiche giovanili, Giovanna Melandri,
secondo cui nel settore delle politiche
abitative esiste un problema specifico per i
giovani che va affrontato sia dal lato
dell’offerta che da quello della domanda «con
nuove case low cost e anche con lo strumento
del social housing». E se il ministro delle
politiche sociali Paolo Ferrero si è detto
contrario a un taglio generalizzato dell’Ici,
che invece dovrebbe essere agganciato ai
redditi a partire dai più bassi, il 15,7% delle
famiglie italiane, corrispondenti a poco più di
3,6 milioni di nuclei, vivrebbe per Nomisma
in forte disagio abitativo con un canone
d’affitto o una rata del mutuo che pesa per
oltre il 30% sul reddito.
6
Oggi Famiglia
FAMIGLIA
Caro Bimbo
A
di Lina Pecoraro
ppartieni all’anno zero………infatti,
hai soltanto una consistenza fisica
nell’ecografia, nella rotondità di tua
mamma. Certo non si sono fatti molti
calcoli per permetterti di venire al
mondo: altrimenti per te non sarebbe mai
stato il momento “ giusto”, come per tanti
feti risucchiati dal caldo ventre materno,
per diventare spazzatura. Hai attirato
subito l’attenzione su di te: si sono
centuplicati gli odori, i sapori, le analisi, i
testi da consultare, i gomitoli di lana, le
preoccupazioni, le notti per avvertire la
tua presenza, prima quasi un battito di
ali, poi sempre più definita, perché stesa
al buio, lei ti sente meglio.
Alcune settimane sono volate, altre sono
state interminabili…… Adesso si fa già
il conto alla rovescia..
L’attesa è scandita da ogni tuo
piccolo movimento, dal dolore
che è vita……
Mai la sofferenza è tanto
sublimata
come
nel
momento di mettere al
mondo
un
piccolo
essere……Ma chi sarai,
piccolo sconosciuto, già
tanto amato?
Ti immagino fissando, con
più attenzione, i bambini,
che
giocano,
che
camminano……forse
avrai……forse sarai…… Ma
poi ti preferisco come sogno
indefinito.
Penso già a te, come creatura da
difendere in una giungla, come
direbbe qualcuno, “liquida”, senza
nessuna consistenza, in una realtà dove
si chiede di vedere tante brutture, come se
questo fosse il mondo migliore per
combatterle.
Piccolino, apri subito gli occhi: c’è tanto
di bello da vedere; apri la mente: c’è tanto
di giusto da conoscere; spalanca le
braccia: c’è il mondo da racchiudere; apri
il tuo cuore: c’è tanto amore da dare.
Tenteranno di strattonarti da una parte
all’altra, per evitare di pensare, come
stanno facendo con questa generazione di
ragazzini, ubriachi di vuoto, imbambolati
da video games e da televisionespazzatura. Loro si battono per una libertà
che, per assurdo, come in un vortice, tenta
di travolgerli, perché è distorta allo stesso
modo della realtà vista attraverso l’effetto
Novembre 2007
di una droga o dell’alcol.
Come per la tua crescita, ci vorranno
gambe sempre più robuste, che ti
eviteranno di barcollare, acquisendo
sempre più stabilità e speditezza.
Per un po’ camminerai sulle spalle degli
adulti che ti daranno radici ed ali, poi,
quando spiccherai il volo, abbi lo sguardo
rivolto al cielo, ma sempre non perdendo
di vista gli ostacoli e gl’imprevisti
Non avventurarti in sentieri tortuosi, ma
scegli la via maestra, con un’adeguata
attrezzatura per un lungo viaggio.
Sbaglierai mille volte, la perfezione non è
degli umani, ma sempre rialzati con la
gioia nel cuore e la serena accettazione
dell’errore.
Ti aspetta un mondo d’amore il nostro.
Il 1 novembre 2007, in Campobello di Mazzara (Trapani), è deceduto
il signor Saverio Falco
uomo generoso, dedito alla famiglia e
sempre disponibile ad aiutare il prossimo.
Il Direttore di “Oggi Famiglia”, la
Redazione, il Presidente e i componenti del
Centro Socio Culturale “V.Bachelet” si
uniscono al dolore della famiglia e porgono
alla sorella Anna Falco, socia del Circolo e
al cognato Gino Vinceslao, Vice Presidente,
le più affettuose
condoglianze per il
lutto che li ha
colpiti.
7
Oggi Famiglia
FAMIGLIA
Novembre 2007
L’embrione umano – oggetto o persona?
Parte 1°: Lo zigote
“P
di Artur J. KATOLO
rodotto del concepimento”,
“ovocellula
fecondata”,
“amasso delle cellule” – è il
vocabolario usato spesso per nascondere la
verità che riguarda l’embrione umano.
Questo vocabolario serve anche per
tranquillizzare le coscienze... L’aborto? Ma
qui si tratta soltanto d’eliminare il
“prodotto del concepimento”. Spreco degli
embrioni durante la fecondazione
artificiale in vitro (non lo so perchè
chiamata “riproduzione medicamente
assistita”?) – ma questo è soltanto
eliminazione “dell’amasso delle cellule”.
Noi, quando diciamo che l’embrione
umano è la persona umana, spesso
veniamo accusati, che la nostra
convinzione deriva dalla fede (considerata
come sentimentalismo), e che questa
convinzione è priva del fondamento
scientifico. Per rispondere alle accuse
vorrei dimostrare che cosa dice oggi la
genetica e l’embriologia in riguardi. Dopo
aver fatto questa dimostrazione biologica,
negli
articoli
seguenti,
passerò
all’argomentazione filosofico-teologica e
risponderò alle alcune accuse.
Il “concepimento” di un individuo umano
è il punto finale di un complesso processo
– “processo di fertilizzazione”. Questo
processo consiste di parecchie tappe che
avvengono in un ordine obbligato1, che
inizia immediatamente quando lo
spermatozoo aderisce al compatto
rivestimento extracellulare dell’oocita, la
zona pellucida, alla quale si lega
strettamente attraverso la mediazione dei
recettori2. Il primo spermatozoo che
raggiunge l’esile spazio perivitellinico
(situato tra la zona pellucida e la
membrana plasmatica dell’ovocita), può
fondersi
con
quest’ultima,
dando
immediatamente avvio alla singamia
(l’inglobamento
dello
spermatozoo
nell’ovocita)3.
A seguito della fusione dei gameti s’inizia
lo sviluppo embrionale. Espressione di
questo sviluppo sono le variazioni nella
composizione ionica dell’oocita: si nota un
improvviso e transitorio aumento della
concentrazione intracellulare degli ioni
calcio sotto l’azione dell’oscilina, che
induce la propagazione “dell’onda ionica”
detta “onda del calcio”. La presenza
dell’onda del calcio è segno, che è apparso
il nuovo organismo unicellulare (lo zigote),
che si sviluppa4. Lo zigote incomincia ad
operare come un sistema unico (come una
unità). Una delle prime attività del nuovo
essere (ancora unicellulare) è la reazione
corticale, che porta all’inattivazione dei
recettori spermatici nella zona pellucida e
all’indurimento della stessa, impedendo
così la plispermia e favorendo l’isolamento
e la protezione del nuovo essere che segue
il suo proprio ciclo vitale5 .
L’altra attività dello zigote è la
riorganizzazione del nuovo genoma.
Quest’attività è più importante, perchè il
genoma rappresenta il centro principale
d’informazioni per lo sviluppo del nuovo
essere umano e per tutte le sue ulteriori
funzioni. Il processo della riorganizzaione
del genoma si avvia entro tre-sei ore
dall’incorporazione dello spermatozoo. I
due pronuclei, primo derivante dallo
spermatozoo, secondo dall’oocita, si
accostano strettamente l’uno all’altro. E’ la
fase detta cariogamia, che si verifica
attorno alla 15° ora dalla fertilizzazione6 .
L’esposizione di questi dati essenziali sulla
formazione dello zigote ci indicano con
tutta la evidenza:
1. Alla fusione dei gameti incomincia a
operare come una unità una nuova cellula
umana, dotata di una nuova ed esclusiva
struttura informazionale che costituisce la
base del suo ulteriore sviluppo.
2. Lo zigote esiste ed opera dalla singamia
come un essere ontologicamente unitario, e
con una precisa identità.
3. Lo zigote è intrinsecamente orientato e
determinato ad un ben definito sviluppo.
L’identità
e
l’orientamento
sono
essenzialmente dovute alla informazione
genetica di cui lo zigote è dotato.
4. L’informazione genetica (sostanzialmente
invariante!) è il fondamento della
appartenenza dello zigote alla specie umana e
della sua singolarità individuale.
Quest’informazione contiene un completo
programma codificato, che lo dota di
enormi potenzialità morfogenetiche che si
realizzeranno
autonomamente
e
gradualmente durante il processo
epigenetico rigorosamente orientato.
5. Queste potenzialità dello zigote sono le
capacità naturali intrinseche ad un essere,
che è già esistente, di realizzare, nelle
dovute
condizioni,
l’intero
piano
codificato7 .
Concludendo dobbiamo dire che non hanno
ragione quelli, che dicono: non si sa da
quando inizia la vita umana.
La genetica ed embriologia ci dimostrano
molto precisamente quando inizia la vita
umana. Umana, perchè lo zigote umano
deriva dalle gamete umani, non dell’elefante
o del cane. Dalle gamete dell’elefante
sempre deriverà un elefente; dalle gamete
del cane deriverà sempre un cane; dalle
gamete umane derivarà sempre un uomo.
1
Cfr. P. M. Wassarman, The Biology and Chemistry of Fertilization, “Science” 1987, n. 235, p. 553-556; A. Serra, R. Colombo, Identità e statuto dell’embrione: il contributo
2
Cfr. P. M. Wassarmam, Zona Pellucida Glycoproteins, “Annual Review of Biochemistry 1988, n. 57, p. 415-442; K. Ostrowski, Embriologia czlowieka, Ed. PZWL,
della biologia, in: Pontificia Academia Pro Vita, Identità e statuto dell’embrione umano, Ed. Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1998, p. 130.
Warszawa 1988, p. 20-21; M. G. O’Rand, Charecterization of the Human Zona Pellucida from Fertilized and Unfertilized Eggs, “Journal of Reproduction and Fertility”
1988, n. 82, p. 151-161; A. Serra, R. Colombo, Identità e statuto dell’embrione: il contributo della biologia, in: Pontificia Academia Pro Vita, Identità e statuto dell’embrione
umano, p. 130. La zona pellucida dei mammiferi è costituita da tre principali glicoproteine differenti: ZP1, ZP2 e ZP3.
3
Cfr. D. J. Anderson, A. F. Abbot, R. M. Jack, The Role of Complement Component C3b and Its Receptors in Sperm-Oocyte Interaction, “Proceedings of the National
Academy of Sciences” 1993, n. 90, p. 10051-10055; A. Serra, R. Colombo, Identità e statuto dell’embrione: il contributo della biologia, in: Pontificia Academia Pro Vita,
Identità e statuto dell’embrione umano, p. 131.
4
Cfr. P. M. Wassarman, The Biology and Chemistry of Fertilization, p. 554; M. Withaker, C. Swann, Lighitng the Fuse at Fertilization, “Development” 1993, n. 117, p. 1-
12; K. Swann, V. I. Shevchenko, A. K. Sesay, F. A. Lai, Calcium Oscilation in Mammalian Eggs Triggered by a Soluble Sperm Protein, “Nature” 1996, n. 32, p. 364-368; A.
Serra, R. Colombo, Identità e statuto dell’embrione: il contributo della biologia, in: Pontificia Academia Pro Vita, Identità e statuto dell’embrione umano, p. 131.
5
6
Cfr. B. M. Shapiro, Control of Oxidant Stress at Fertilization, “Science” 1991, n. 252, p. 533-536.
Cfr. G. Palermo, S. Munné, J. Cohen, The Human Zygote Inherits Its Mitotic Potential from Male Gamete, “Human Reproduction” 1994, n. 9, p. 1220-1225; A. Serra,
R. Colombo, Identità e statuto dell’embrione: il contributo della biologia, in: Pontificia Academia Pro Vita, Identità e statuto dell’embrione umano, p. 132.
7
Cfr. A. Serra, R. Colombo, Identità e statuto dell’embrione: il contributo della biologia, in: Pontificia Academia Pro Vita, Identità e statuto dell’embrione umano, p. 133.
8
Oggi Famiglia
EDUCAZIONE E SCUOLA
La stringente attualità
della non violenza
di Vincenzo Altomare
Mosca, 18 ottobre 2007
Un altro capitolo della storia della follia
umana sta per essere scritto a Mosca e
dintorni. E si aggiungerà ai capitoli, già editi,
scritti a Washington con i suoi cronici
fallimenti.
Putin lo ha detto chiaramente dopo la visita in
Iran: la Russia intende costruire e realizzare
nuove e sofisticatissime armi nucleari. Se gli
Usa perseguono legittimamente lo scudo
stellare, perché mai Ahmadinejad non può
procedere con il nucleare “per usi e scopi
civili” e la sua Russia con la produzione di
nuove armi?
Putin, dopo l’omicidio di Anna Politovskajia
si sente più libero. Scopre le carte in tavola.
Era ora, diremmo noi. Anche perché Bush, le
stesse carte militariste, le aveva scoperte fin
dal 2001 e non perde occasione di alimentare
un clima da “Guerra Fredda” con (voluti?)
incidenti diplomatici, come quello che ha
fatto arrabbiare i cinesi che gli hanno
contestato una esplicita accondiscendenza
con il Dalai Lama e la questione Tibet.
Le forze armate russe saranno, dunque,
arricchite di nuovi caccia di quinta
generazione, di sottomarini nucleari e di altri
complessi missilistici Topol-M, benchè dalla
base Plesestk le prove tecniche non si sono
fatte attendere.
Uno scenario sconcertante, questo autunnale.
Ho appena finito di leggere 1956 Budapest: i
giorni della rivoluzione (2007) di Enzo Bettiza,
serio e autorevole giornalista liberale, che non
ha sprecato una sola pagina nel celebrare la
fine del comunismo, a suo parere inscritta già
negli eventi dell’ottobre ungherese! Da anni
leggo libri sul comunismo sovietico, la guerra
fredda e la presunta vittoria del capitalismo
occidentale.
Dopo la Caduta del Muro di Berlino (9
novembre 1989) e l’implosione dell’Impero
sovietico (1991) sembrava che la storia avesse
parlato chiaro. E, invece…
Alleanze false e ipocrite al colmo della
teatralità (come quella attestata dalle immagini
di Bush e Putin insieme sorridenti con le
rispettive famiglie) hanno tentato di coprire un
conflitto in realtà mai superato. Lo scudo
stellare è stata la goccia che ha fatto traboccare
il vaso. Ma i rapporti fra le superpotenze sono
tesi da sempre.
Come un fiume carsico, il conflitto fra Russia e
Usa ha continuato a scorrere nelle vene
sotterranee della storia degli ultimi 18 anni,
alimentandosi con le guerre locali ed etniche
combattute dai due giganti mondiali. La
Russia in Cecenia, gli States dappertutto…
Questo ci autorizza a pensare che, se la Guerra
Fredda è finita nell’89, non è tuttavia finito il
conflitto fra due delle principali superpotenze
mondiali, appunto Russia e Usa. Nell’autunno
dell’89 la storia ha imboccato una nuova
direzione: nuovi sentieri si sono dischiusi sotto
le macerie del Muro di Berlino. Il mondo di
oggi non è più diviso in due blocchi geopolitici
e ideologici come avvenne da Yalta (febbraio
1945) al 1989. Oggi Russia e Usa sono
accomunate dall’unica ideologia rimasta:
quella militarista, il cui terreno di coltura è il
neoliberismo!
Ideologia che aggrega perfino i nuovi colossi
dai piedi d’argilla che montano sul proscenio
del nuovo millennio: India e Cina, acritiche
inseguitrici di un modello socio-economico,
quello occidentale, che l’Europa sta cercando
di correggere o addirittura superare. Che
paradosso:
Ciò che alimenta il conflitto è la mentalità
bellica che sottende la politica russa e
americana. Restano due colossi guerrafondai,
come del resto India (già, proprio l’India
indipendente, figlia di Gandhi, che è una delle
potenze mondiali detentrici della bomba
atomica. Il Mahatma starà rivoltandosi nella
Le battaglie di giovani disabili
T
di Teresa Cello
ra i tanti problemi della vita quotidiana,
quelli riguardanti le battaglie dei
disabili per la loro sopravvivenza
quotidiana, dovrebbero essere certamente tra i
più sentiti specialmente se il disabile è un
giovane o una giovane , che vorrebbero vivere
"tranquillamente" una loro vita normale pur
tra le tantissime difficoltà.
Uno dei tanti casi che mi ha sicuramente
colpito è quello letto su un settimanale
riguardo alla storia di una ragazza di 20 anni,
Samantha Dentis, affetta fin dalla nascita da
una grave malattia che le ha impedito lo
sviluppo delle ossa.
Samantha, nonostante il suo handicap, è
riuscita a conseguire il diploma di maturità e il
suo sogno è quello di diventare indipendente
(almeno economicamente) dai suoi genitori,
desiderio che , però , la sua malattia le
impedisce di realizzare pienamente ; infatti la
sua grave inabilità fisica non le permette di
essere iscritta nelle liste speciali per ottenere
un impiego, dal momento che ciò è possibile
solo alle persone diversamente abili ma
autosufficienti e Samantha purtroppo non è
completamente autosufficiente.
Marilena Demarie, impiegata, e Claudio Dentis, autotrasportatore, con la loro bambina
Ella comprende questa situazione e pur
tuttavia non si arrende di fronte a nulla
[. .. Sono vicina ai problemi dei disabili e cerco
di aiutare come posso... la mia è una piccola
battaglia, ma spero che sia utile non solo a me
ma a tutti coloro che hanno problemi come i
miei...] La madre della ragazza aveva scritto al
comune di Orbassano (To) dove esse risiedono
per far si che sua figlia non solo potesse andare
a votare utilizzando il servizio di
autotrasporto comunale ma anche di
"lavorare" per quei due/tre giorni come
scrutatrice nello stesso seggio.
Il funzionario del comune addetto le ha
risposto che ciò non era possibile in quanto le
Novembre 2007
tomba) e Cina, con il suo ibrido modello
sociale fatto di comunismo (quale?) e libero
mercato. È il tarlo militarista che “rosicchia”
lentamente ma inesorabilmente le società di
queste nazioni. È la connessione “economiamilitarismo” che affama i popoli, rendendoli
insicuri, fragili, incapaci di gestire
positivamente i conflitti aperti.
Spettatori di una rappresentazione già vista
ampiamente nel secolo scorso, ci sentiamo tutti
impotenti. Cosa fare? Come far si che la
mentalità bellica venga definitivamente
sconfitta? Io non ho risposte per l’immediato.
Ma so, quasi fossi un contadino dello spirito,
cosa coltivare per il futuro. L’ho imparato dal
Vangelo e da Gandhi, ma anche da molti
eventi
del
novecento:
si
chiama
“nonviolenza”.
Questo è l’unico sentiero che possiamo
percorrere per superare il militarismo come
sistema economico, come (pseudo)cultura,
come vita sociale. La nonviolenza porta alla
luce i conflitti, non li copre con scene miste di
teatralità e ipocrisia, ma li risolve con tecniche
e spirito alternativi a quelli proposti-imposti
dalla violenza. Stare nel conflitto è uno dei
principi fondanti della nonviolenza.
Forse, nel secolo scorso, si è pensato più ai
compromessi e alle strategie geopolitiche che
alla reale soluzione dei conflitti. Cercando
mezzi pacifici, perché la nonviolenza esige
coerenza fra “mezzi e fine”, chiama al
confronto anche serrato ma sempre dialogico.
Perché se si rinuncia al dialogo, anche nelle
relazioni più dirette e interpersonali, non resta
che lo scontro. Probabilmente, la vera
rivoluzione del nuovo millennio è la più bella
e grande eredità del secolo scorso. I testi e gli
eventi che hanno narrato la nonviolenza sono
stati copiosi ma dovranno essere raccontati
compiutamente. Ecco perchè il crocevia del
futuro si chiama, ancora una volta, formazione.
Consigli di lettura
MK Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza,
Einaudi, Torino 1996;
E. Bettiza, 1956. Budapest: i giorni della rivoluzione,
Mondadori, Milano 2007;
R. Darnton, Diario berlinese 1989-1990, Einaudi,
Torino 1992
difficoltà incontrate al seggio da parte di
persone handicappate utilizzate in passato nel
servizio del seggio stesso, per motivi vari e
soprattutto per motivi di praticità e di
organizzazione, erano state molte per cui si era
deciso di non servirsi più di persone
appartenenti a queste sfortunate categorie.
Un anno fa , Samantha è stata colpita da una
forma di influenza particolarmente grave che
l'ha costretta al ricovero in ospedale a Torino
dove è rimasta per due settimane in coma
farmacologico: il virus che l'aveva colpita le
aveva bloccato la respirazione e anche ora che
ha superato i momenti peggiori, è costretta di
notte a respirare con un macchinario ; avendo
richiesto al Comune , questa volta, in
occasione delle elezioni nazionali , la
possibilità di esercitare il diritto di voto a
domicilio, le è stato negato in quanto la legge
elettorale prevede che il voto a domicilio è
riservato soltanto a quelle categorie di persone
che sono tenute in vita da macchinari 24 ore su
24 per cui Samantha non ha potuto esercitare il
suo diritto¬dovere di cittadina italiana ; il
funzionario comunale ha chiarito che
l'amministrazione avrebbe potuto intervenire
(con il suo" amico bus" ) solo per prelevarla dal
domicilio e portarla nel seggio elettorale di
competenza accompagnata da un familiare a
ciò autorizzato e alla fine essere
riaccompagnata a casa ; ma per Samantha
questa situazione non è stata accettata. . .
9
Oggi Famiglia
EDUCAZIONE E SCUOLA
Novembre 2007
L’integrazione scolastica e la scoperta
dell’ambiente dei bambini non vedenti
O
di Domenico Ferraro
gni bambino disabile, per la sua
specifica minorità fisica, richiede un
intervento particolare, che è
sintetizzato nella didattica differenziale.
Essa consiste in particolari accorgimenti
educativi, che mettono in condizione
l’alunno “diversamente disabile” di
conseguire gli stessi obiettivi degli alunni
cosiddetti “normali”.
Naturalmente, i bambini non vedenti
necessitano, per la loro particolarità, una
precisa educazione sensoriale e motoria,
poiché attraverso questi strumenti possono
essere messi in grado di scoprire il mondo
che li circonda. L’insegnante, quando il
bambino entra per la prima volta a scuola,
cercherà di scoprirne le capacità che il
bambino ha acquisito nel saper scoprire il
suo ambiente e quali interessi egli vive.
Il primo obiettivo della scuola sarà quello
dell’educazione motoria, che gli permetterà
di conseguire una maggiore autonomia e
stimolerà la sua innata curiosità per
conoscere tutto ciò che forma il suo habitat.
Come per tutti i bambini, anche per il non
vedente, la scuola non è preparazione alla
vita, ma è vita completa, vissuta momento
per momento, in cui, da protagonista,
esprime le sue esigenze più profonde, le vive
ed opera in modo pratico per acquisire
conoscenze e scoprirne sempre di nuove.
Il bambino non vedente può conseguire la
sua capacità di apprendimento e sviluppare
i suoi interessi solo se raggiunge una piena
integrazione con il gruppo dei suoi
compagni, se anche lui agisce in piena
autonomia e in sintonia con tutti gli altri
compagni. Per creare un tale clima sociale
favorevole, si richiede una particolare
predisposizione
e
una
specifica
professionalità da parte dell’insegnante, che
non per una pietosa commiserazione, ma
solo sospinto da un amore profondo e da
una
incondizionata
disponibilità
nell’organizzare le attività da espletare e nel
facilitare i compiti che il bambino non
vedente deve svolgere.
Egli non è impedito e non è minorato nelle
capacità mentali e per tale motivo potrebbe
apprendere tutto in modo normale. La
differenza consiste nella carenza di
esperienze visive, nell’impossibilità di
vedere e, perciò, di conoscere tutto ciò che gli
altri bambini vedono. Ciò è un impedimento
che delimita lo sviluppo e la crescita delle
facoltà mentali e delimita la capacità di
apprendimento.
L’insegnante consegue il suo scopo
educativo solo se è capace di creare una
piena integrazione del bambino non vedente
e porlo nelle stesse condizioni di vita e di
apprendimento di tutti gli altri.
Per programmare un percorso educativo e di
apprendimento, l’insegnante deve conoscere
le capacità di base del bambino, le capacità
percettive, psicomotorie, manipolative, le
capacità logiche, comunicative, espressive e
sociali.
Quando il non vedente entra a scuola, non
possiede una conoscenza reale dello spazio,
in cui è vissuto, specialmente se ha avuto
una famiglia iperprotettiva, che gli ha
impedito di fare esperienze e di scoprire il
suo ambiente in modo autonomo.
Invece, se ha potuto vivere in modo più
libero e la famiglia ha avuto il coraggio e la
consapevolezza che il bene reale del figlio
consisteva nello stimolarlo ad affrontare le
difficoltà e a vivere le sue esperienze
motorie, sociali e comunicative senza
preclusioni e impedimenti, allora si troverà
più a suo agio nell’inserimento scolastico e
l’integrazione si attuerà senza eccessivi
problemi.
L’insegnante, come prima attività, dovrà far
scoprire al bambino la disposizione di ciò
che si trova nell’aula, affinché si possa
muovere con sicurezza e senza paura nel
nuovo ambiente e possa, così, da solo
memorizzare la disposizione dei banchi,
della cattedra, degli armadi e anche il suo
posto.
Dovrà anche essere stimolato a partecipare
ai giochi che i bambini organizzano
all’aperto durante l’ora di ricreazione.
L’insegnante sarà vigile, attento a quanto
avviene e cercherà di offrire gli aiuti più
opportuni quando si accorge che il bambino
non vedente incontra delle difficoltà, lo
incoraggerà a muoversi sempre nel gruppo
dei compagni al fine di superare ogni paura.
Se l’insegnante si dovesse accorgere che il
bambino non vedente si isola, non partecipa
alle conversazioni con i compagni, non
gioca, dovrà organizzare attività che
facilitino la sua integrazione nel gruppo, lo
stimolino a discutere, a dialogare, ad
esprimere le sue esperienze, le sue
riflessioni, le sue preferenze nei giochi.
Un’attività di studio interessante, che
provenga anche da un interesse vivo del non
vedente, lo stimolerà a partecipare, a dargli
sicurezza, a farlo sentire protagonista.
Le attività, in questo momento delicato,
dovranno riflettere le sue preferenze per
dargli quella carica emotiva, che lo sospinge
a conversare, a discutere, ad esprimere i
propri interessi, le proprie esigenze, le
proprie esperienze.
Un vecchio detto recita: “gli occhi del cieco
sono le sue mani”.
Allora, l’insegnante dovrà osservare come il
bambino scopre gli oggetti: se li tocca
globalmente per scoprirne la forma e se poi
si sofferma nei particolari, oppure se li tocca
globalmente con tutte e due le mani per
scoprirne la forma e la grandezza,
soffermandosi poi sui particolari, oppure se
scorre
superficialmente
la
mano
sull’oggetto.
E’ importante una educazione tattile, idonea
alla sua età, perché solo così il bambino
potrà arrivare alla conoscenza della realtà
come gli altri bambini vedenti.
E’ fondamentale che il bambino acquisisca la
sensibilità delle sue mani. Dal movimento
con cui prende gli oggetti si accorge se è
interessato alla forma, alla grandezza, alla
materia di cui è formato.
Da tale movimento ne consegue la
conoscenza che il bambino ha degli oggetti
che palpa. L’insegnante potrà programmare
le attività che si propongono di conseguire
una sensibilità tattile, poiché attraverso le
mani il non vedente scopre la realtà e, così,
acquisisce le capacità di apprendere come gli
altri che vedono.
Inoltre, l’insegnante, osservando il
movimento del non vedente, si accorge se ha
acquisito il concetto di lateralità, cioè la
destra e la sinistra, avanti e indietro, sopra o
sotto. Ciò facilita la conoscenza di un luogo,
lo spostamento per trovare un oggetto o per
incontrare una persona. Per il bambino
vedente ciò può essere anche superfluo,
poiché dirige il suo movimento attraverso la
vista.
Invece, per il non vedente è una carenza
grave, poiché non è in condizione di essere
autonomo nei suoi movimenti e
l’orientamento lo mette in relazione con
l’ambiente, con gli oggetti posti in esso, con
la natura tutta.
Quando egli acquisisce le immagini degli
ambienti che va scoprendo, allora il bambino
non vedente è in grado di ricostruire,
attraverso l’attività mentale, una sua
conoscenza e, perciò, può incominciare il suo
processo di apprendimento scolastico.
Il Romagnoli, sul piano didattico, distingue
due tipi di orientamento. Il dinamico
quando il bambino si sposta, si muove, cerca
e con l’immaginazione si crea l’ambiente in
cui si muove, la visione di un oggetto, di un
territorio. Lo statico, invece, si ha quando il
non vedente, in situazione di fermo, sa dove
si trova nel raffronto con lo spazio e sa
rappresentarlo graficamente o con gesti.
Naturalmente, le due forme di movimento
non sono distinti nell’educazione motoria,
ma sono contemporanei.
Quando si parla di spazio si deve intendere
non solo l’ambiente in cui ci muoviamo, ma,
anche, gli oggetti che vi si trovano, la loro
grandezza, il loro spessore, la loro forma e
anche quella di una persona.
Infatti, il bambino inizia la sua prima
scoperta dalla conoscenza del suo corpo,
come esso si muove, ma, purtroppo, non è in
grado di conoscere lo spazio verso cui
terminano i suoi movimenti. Specie quando
i genitori, per facilitare la sua vita, si sono
sostituiti
ai
suoi
movimenti
e,
inconsapevolmente, hanno impedito alcune
acquisizioni che lo avrebbero reso più
autonomo e indipendente dagli altri.
A questa carenza dovrà provvedere
l’insegnante per fare acquisire quelle abilità
che il bambino vedente ha potuto esercitare
nell’ambito familiare.
Quante azioni si possono realizzare con le
mani, quanti movimenti con le gambe, con i
piedi. Se il bambino conosce tutto ciò che
può fare con il suo corpo, allora, con
l’educazione motoria e l’educazione
sensoriale inizia la scoperta dell’ambiente.
Tale educazione, iniziata in famiglia, potrà
proseguire a scuola.
10
Oggi Famiglia
RELIGIONE
Novembre 2007
Centenario delle settimane sociali della Chiesa
D
di Carmensita Furlano
al 18 al 21 ottobre, si è svolta a Pistoia
e Pisa la 45ª Settimana Sociale dei
cattolici italiani, dedicata al tema «Il
bene comune oggi: un impegno che viene da
lontano». L’appuntamento ha assunto un
particolare significato in quanto quest’anno
ricorrono i cento anni dalla prima
«Settimana», indetta nel 1907 proprio a
Pistoia. È stata infatti inaugurata giovedì 18
ottobre alle 16 nella Cattedrale pistoiese,
mentre dal giorno successivo i lavori si sono
svolti al Centro congressi dell’Università di
Pisa, città dove Giuseppe Toniolo, di origine
trevigiana, ideò la Settimana sociale dei
cattolici italiani.
Ad inaugurare questa edizione è stato il
presidente della Cei, mons. Angelo Bagnasco,
che ha salutato dicendo: “L’ITALIA MERITA
UN AMORE PIÙ GRANDE, UNA
RESPONSABILITA’ PIU’ GRANDE. Nel
diretto impegno politico, i laici sono chiamati
a spendersi in prima persona attraverso
l’esercizio delle loro competenze e
contestualmente in ascolto del Magistero della
Chiesa, non è questo il tempo di disertare
l’impegno, ma semmai di prepararlo e di
orientarlo”, e subito dopo ha aggiunto: “A tal
fine la parola dei Pastori non potrà essere
assente. Sarà una parola chiara, ferma e
rispettosa, protesa anzitutto a ribadire i
principi non negoziabili. Chi sta vicino alla
gente – al contrario di quanti si muovono da
posizioni preconcette – percepisce che esiste
ed è forte l’attesa di una loro parola, dato che
il delicato momento vissuto dal Paese rende
ancora più forte l’esigenza di punti di
riferimento autorevoli”. Hanno portato il
saluto anche i vescovi di Pistoia, Mansueto
Bianchi, e di Pisa, Alessandro Plotti, oltre ai
sindaci delle due città, rispettivamente Renzo
Berti e Paolo Fontanelli. Sul tema prescelto,
appunto, il bene comune, ha osservato
Benedetto XVI, nel saluto al presidente della
Cei, che “non consiste nella semplice somma
dei beni particolari”; essendo “di tutti e di
ciascuno è e rimane comune, perché
indivisibile e perché soltanto insieme è
possibile raggiungerlo”. “In passato, e ancor
più oggi in tempo di globalizzazione il bene
comune va considerato e promosso anche nel
contesto delle relazioni internazionali” e “il
bene di ciascuna persona risulta naturalmente
interconnesso con il bene dell’intera umanità”.
Di qui l’importanza della solidarietà, definita
da Giovanni Paolo II “non un sentimento di
vaga compassione o di superficiale
intenerimento per i mali di tante persone” ma,
“la determinazione ferma e perseverante di
impegnarsi” per il bene “di tutti e di
ciascuno”. Bene comune che oggi poggia su
due idee fondamentali: la memoria – appunto
- del contributo dei cattolici e le nuove
responsabilità che il futuro comporta. Agli
occhi della storia, non si può non riconoscere
che i cattolici hanno dato un apporto
fondamentale alla società italiana e alla sua
crescita, nella prospettiva del bene comune. È
necessario alimentare la consapevolezza, non
solo fra i cattolici ma in tutti gli italiani, del
fatto che la presenza cattolica come pensiero,
come cultura, come esperienza politica e
sociale è stata fattore fondamentale e
imprescindibile nella storia del Paese, e in
questa prospettiva le Settimane Sociali svoltesi
nel corso di un secolo costituiscono un tassello
oggettivamente significativo e rilevante. Il
Catechismo della Chiesa Cattolica ci ricorda
che per bene comune si deve intendere
l’insieme di quelle condizioni della vita sociale
che permettono ai gruppi, come ai singoli
membri, di raggiungere la propria perfezione
più pienamente e più speditamente. Il bene
comune esige prudenza da parte di ciascuno e
più ancora da parte di coloro che esercitano
l’ufficio dell’autorità. Esso comporta tre
elementi essenziali: a) il rispetto della
persona, in forza del quale i pubblici poteri
sono tenuti a rispettare i diritti fondamentali e
inalienabili della persona umana. La società
ha il dovere di permettere a ciascuno dei suoi
membri di realizzare la propria vocazione. b)
il benessere sociale e lo sviluppo del gruppo.
Lo sviluppo è la sintesi di tutti i doveri sociali.
Certo, spetta all’autorità farsi arbitra, in nome
del bene comune, fra i diversi interessi
particolari. Essa però deve rendere accessibile
a ciascuno ciò di cui ha bisogno per condurre
una vita veramente umana: vitto, vestito,
salute, lavoro, educazione e cultura,
informazione conveniente, diritto a fondare
una famiglia ecc.; c) la pace, cioè la stabilità e
la sicurezza di un ordine giusto. Suppone
quindi che l’autorità garantisca, con mezzi
onesti, la sicurezza della società e quella dei
suoi membri. E se ogni comunità umana
possiede un bene comune che le consente di
riconoscersi come tale, è nella comunità
politica che si trova la sua realizzazione più
completa. È compito dello Stato difendere e
promuovere il bene comune della società
civile, dei cittadini e dei corpi intermedi.
Anche la Calabria ha partecipato con la
propria delegazione così come la nostra
diocesi di CS-Bisignano, grazie al nostro padre
arcivescovo mons. Nunnari che ha scelto
alcuni di noi (Carmensita Furlano consigliere
comunale, il sindaco di Cleto Amerigo
Cuglietta, Giorgio Marcello ricercatore
universitario, Giorgio Porro segretario
consiglio pastorale diocesano e Tonino Acri ex
sindaco di Castiglione Cosentino) a
rappresentare la diocesi. È stato un onore ma
anche un onere perché chiamati ad un
impegno maggiore per indire una
collaborazione – come è stato indicato dal
convegno di Verona - fra tutti ad educare alla
cittadinanza approfondendo il rapporto tra
carità e giustizia e riscoprendo la rilevanza
politica della carità e della solidarietà.
Solidarietà non concetto astratto, ma l’altro
nome della comunicazione tra le persone.
L’aver rimosso o svuotato il significato e il
valore della persona l’ha impoverita e oggi
giustifica scelte che portano in tre direzioni:
profitto, consumismo, precarietà. Tutte e tre
lontane e fuori dal tema della solidarietà.
Al mercato si chiede di produrre quanta
ricchezza è possibile, allo Stato di
ridistribuirla: equilibrare i compiti è tutt’altro
che facile. Ma, la lacuna è l’aver dimenticato
che non è sostenibile una società in cui,
assente la persona, si estingue il senso di
fraternità e si dissolve il principio di
solidarietà. Non è capace di progredire quella
società in cui hanno voce solo il “dare per
avere” oppure “il dare per dovere”. Anche in
campo economico, viene chiesto un
supplemento di progetto e azione. Ai cattolici
si aprono nuove possibilità “per continuare a
tessere una trama di responsabilità” capace di
incidere nella storia. Un percorso impegnativo
che esige competenza, lungimiranza per non
rimanere su una strada lastricata di buoni
propositi e utopie.
Inquietudine: potrebbe essere questa una
delle parole conclusive della Settimana Sociale
che si è chiusa Pisa.
Potrebbe sembrare fuori tema ma più di altre
esprime l’atteggiamento di chi, a fronte di una
sfida impegnativa come é quella della
costruzione del bene comune, percepisce il
senso del limite, prende coscienza della
complessità e nel contempo avverte anche la
grandezza e la bellezza di un impegno.
Un’avventura che attraversa i paesaggi della
fede e della cultura si ripropone oggi come
cento anni addietro quando, con la prima
Settimana Sociale, i cattolici italiani, entrarono
nello spazio sociale e politico non per esigenza
di visibilità ma per fedeltà alla loro duplice
cittadinanza. Fu subito evidente che in quello
scendere in campo non c’era la ricerca di un
interesse di parte ma la volontà di rispondere
anche con lo strumento della politica alla
domanda di giustizia, di solidarietà e di
futuro. Oggi, in una realtà profondamente
mutata, si sta riproponendo un’analoga
esigenza sui vita, famiglia, lavoro e
educazione, la gente si attende parole e gesti
di
verità
e
di
speranza.
Di questa attesa ci sono state conferme
inequivocabili in tempi recenti. Le riflessioni
della Settimana Sociale, a cominciare da quelle
di Benedetto XVI e del presidente della Cei,
hanno colto questo risveglio della coscienza e
hanno indicato la direzione da prendere per
raggiungere la meta. Al centro dei pensieri,
delle preoccupazioni e delle prospettive di
impegno si colloca la persona quale
irrinunciabile punto di riferimento per
ripensare l’economia e la politica, per liberarle
dall’ideologia e dal pensiero debole.
È nella persona, ribadisce questa Settimana
Sociale, che il bene comune prende il volto
definitivo ed è attorno al mistero della
persona, da cui prende origine la questione
dei diritti e della dignità, che può nascere il
consenso anche di chi non é cattolico.
L’inquietudine é allora nella fatica serena e
fiduciosa di allargare gli spazi della
razionalità, di costruire dialogo e consenso
attorno a quei principi non negoziabili che
sono a fondamento del bene comune. Questo
é stato uno dei segnali più forti e promettenti
della Settimana Sociale del centenario, la cui
continuità é affidata soprattutto ai laici.
La storia delle settimane sociale è fatta di
scelte di uomini e donne che seppero dare
risposte sociali e politiche alle esigenze del
territorio senza mai chiudersi in esso, senza
mai perdere la dimensione nazionale e
internazionale dei problemi e delle attese.
“L’essere cattolico –mons. Cataldo Naro – ha
significato in Italia per un buon numero di
fedeli, uno scommettersi sul piano civile, un
impegnarsi nella vita politica, un partecipare a
qualche organizzazione con finalità sociale o
assistenziale o caritativa in nome della fede
cristiana. E la partecipazione alla vita politica
é stata incoraggiata come esercizio esemplare
di vita cristiana”. Pagine scritte e pagine da
scrivere. Occorre ricucire uno strappo
comunicativo e andare oltre la separazione tra
una classe politica di professionisti che non
comunicano con la loro base e la pura e
semplice discussione permanente in cui le
mediazioni spariscono e rimane solo il gioco
della comunicazione strategica massificante..
Questa settimana possa diventare punto
di partenza di riflessione vera e di
rinnovato impegno dei cattolici verso il
loro paese, continuando una tradizione
ricca non solo per una cultura ed un
pensiero sociale profondamente radicati
nel vangelo ma anche per quelle figure di
cristiani che hanno saputo vivere il
vangelo ed incarnarlo nella società del
loro tempo.
11
Oggi Famiglia
SOCIETÀ
Novembre 2007
Enzo Rossi ha passato un mese come i suoi dipendenti
e dopo quest’esperienza ha deciso di dare aumenti a tutti
Industriale vive da operaio:
"Il 20 avevo già finito i soldi"
“L’ho fatto anche per le mie figlie, che non hanno mai provato privazioni”
di Massimiliano D'Acri
CAMPOFILONE (Ascoli Piceno) - Per un
mese ha provato a vivere con lo stipendio di
un operaio. Dopo 20 giorni ha finito i soldi.
Enzo Rossi, 42 anni, produttore della pasta
all’uovo Campofilone, ha deciso allora di
aumentare di 200 euro al mese, netti, gli
stipendi dei suoi dipendenti, che sono in gran
parte donne. Ha dichiarato di essersi
vergognato, perché non è riuscito a fare
nemmeno per un mese intero la vita che le
sue operaie sono costrette a fare da sempre.
Ha detto che “è giusto togliere ai ricchi per
dare ai poveri”.
Signor Rossi, per caso non sarà comunista?
“No. Non sono marxista. Sono un ex di
destra. Ex perché quelli che votavo non sanno
fare
nemmeno
l’opposizione”.
Perché allora questo mese da “povero” e
soprattutto la decisione di aumentare i salari
a chi lavora per lei?
“Perché stiamo tornando all’800, quando
nella mia terra c’erano i conti e i baroni da una
parte ed i mezzadri dall’altra, e si diceva che i
maiali nascevano senza coscia perché i
prosciutti dovevano essere portati ai padroni.
Negli ultimi decenni il livello di vita dei
lavoratori era cresciuto e la differenza con gli
altri ceti era diminuita. Adesso si sta tornando
indietro, e allora bisogna rimediare”.
Aveva bisogno davvero di provare a vivere
con pochi soldi? Non poteva chiedere a chi è
costretto
a
farlo,
senza
scelta?
“Certo, sapevo come vivono le donne che
lavorano per me. Ma ho fatto questa
esperienza soprattutto per le mie figlie, che
non hanno mai provato le privazioni. Ho
voluto fare toccare loro con mano come
vivono la grandissima parte delle loro
amiche”.
Come si è svolto l’esperimento?
“E’ stato semplice. Io mi sono assegnato 1.000
euro, e altri 1.000 sono arrivati da mia moglie,
che lavora in azienda con me. Duemila euro
per un mese, tante famiglie vivono con molto
meno. Abbiamo fatto i conti di quanto
doveva essere messo da parte per la rata del
mutuo, l’assicurazione auto, le bollette... Con
il resto, abbiamo affrontato le spese
quotidiane. Il risultato è ormai noto: dopo 20
giorni non avevamo un soldo. Mi sono
vergognato, anche se ero stato attento a ogni
spesa. Sa cosa vuol dire questo? Che in un
anno intero io sarei rimasto senza soldi per
120 giorni, e questa non è solo povertà, è
disperazione”.
Signor Rossi, lei è mai stato povero?
“Sì, anche se ero già un piccolo imprenditore.
Nel 1993 - erano già nate le mie figlie - ho
dovuto chiedere soldi in prestito agli amici
per mantenere la famiglia. Non mi vergogno
a dirlo, tanto quei soldi li ho restituiti. E’
anche per questo che nell’esperimento ho
coinvolto la famiglia. Volevo che le mie figlie
vivessero in una famiglia con pochi mezzi,
per trovare difficoltà e provare a superarle”.
Il momento peggiore?
“L’ultimo giorno, quando ho deciso di
arrendermi. Entro nel bar con 20 euro in tasca,
gli ultimi. Sono conosciuto in paese, siamo
1.700 abitanti in tutto e gli imprenditori non
sono tanti. Mentre entro un pensiero mi
fulmina: e se trovo sei o sette amici cui offrire
l’aperitivo? Non ho abbastanza soldi. Ecco, ci
sono tanti operai che, quando tocca il loro
turno, debbono pagare da bere agli altri,
perché non è bello fare sapere a tutti che si è
poveri. Sono in bolletta e non lo dicono a
nessuno. In quel momento ho pensato: tanti
di quelli che sono qui sono poveri davvero e
non per un mese. Mi sono sentito come
quando sei immerso in mare a 20 metri di
profondità e scopri che la bombola è finita”.
E allora ha deciso di aumentare i salari.
“E’ il minimo che potevo fare. Secondo l’Istat,
il costo della vita è aumentato di 150 euro al
mese. Per quelli come me non sono nulla. Per
gli operai 150 euro al mese in meno sono
quasi 2.000 all’anno, e questo vuol dire non
pagare le rate della macchina o non comprare
il computer al figlio. E poi, lo confesso, io ho
aumentato i salari anche perché sono un
egoista. Secondo lei, come lavora una madre
di famiglia che sa di non poter arrivare a fine
mese? Se è in paranoia, dove terrà la testa,
durante il lavoro? Le mani calde delle mie
donne che preparano la pasta sono la fortuna
della mia azienda. E’ giusto che siano
ricompensate”. Se aumenta gli stipendi, vuol
dire che l’azienda rende bene.
“Nel 1997, quando ho preso il pastificio
Campofilone, il fatturato era di 90 milioni di
lire. Quest’anno arriveremo a 1,6 milioni di
euro. Da due anni le cose vanno davvero
bene, e mi posso definire benestante. Non è
giusto che sia solo io a goderne. Il valore
aggiunto derivato dalla trasformazione della
farina e delle uova deve portare benefici sia ai
contadini che mi danno la materia prima che
ai lavoratori della fabbrica”.
Come l’hanno presa, i suoi colleghi
industriali?
“Mi sembra bene. Alcuni mi hanno telefonato
per sapere se l’aumento di 200 euro è uguale
per tutti e altre cose tecniche. Forse vogliono
imitarmi e questa è una cosa buona. Io ho
spiegato che sarebbe giusto non fare pagare
alle aziende i contributi relativi a questo
aumento. Se il governo capisce (mi ha
telefonato anche Daniele Capezzone, della
commissione imprese) l’idea di prendere ai
ricchi per dare ai poveri non resterà soltanto
un manifesto”.
mensile del centro socio culturale
“VITTORIO BACHELET”
-DIRETTOREVincenzo Filice
-VICE DIRETTOREDomenico Ferraro
-DIRETTORE RESPONSABILEFranco Bartucci
-COORDINATORE E AMMINISTRATOREAntonio Farina
-SEGRETARIA DI REDAZIONEEralda Giannotta
-IN REDAZIONE-
Vincenzo Altomare, Rosa Capalbo,
Giovanni Cimino, Francesco Cundari,
Mario De Bonis, Michele Filipponio,
Francesco Gagliardi, Giacomo Guglielmelli,
Vincenzo Napolillo, Antonino Oliva,
Oreste Parise, Lina Pecoraro,
Luigi Perrotta, Davide Vespier
-SPEDIZIONE-
Egidio Altomare-Lorenzo Zappone
Gino Vinceslao
-IMPAGINAZIONE E STAMPA:
F.lli Guido Arti Grafiche
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www.centrobachelet.it
E-mail: [email protected]
- Aut. Trib. Cosenza
n. 520 del 9 maggio 1992 –
Centro Socio-Culturale
“VITTORIO BACHELET”
Il Centro Socio Culturale V. Bachelet, costituito
nel 1981, ha modificato il proprio statuto con atto
Notarileper il Dott. Nicola Micciulli, notaio in
Cosenza il 23/09/1998 Al n. 4092, la sua sede
sociale è in Cosenza in Corso L. Fera, n. 134, cap
87100, telefax 0984/483050. Codice Fiscale
98002880783
Partita I.V.A. 01612500783 Codice e Natura
Giuridica n. 91.33.0
Ha ottenuto il riconoscimento della personalità
giuridica di diritto privato ai sensi dell’ art. 12 dei
CC. E dell’ art. 14 del D.P.R. 24.07.1977 n. 616, con
deliberazione del D.D.G. n. 375 del 20.9.2000 e
pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione
Calabria n. 105 dell’ 8/11/2000.
Risulta iscritto al n. 160 del Registro Regionale
del Volontariato con Deliberazione della G.R. n.
5991 del 4/11/1998. Con D.D. n. 7203 del
24/7/2001 della Regione Calabria, il Centro
Culturale “V. Bachelet” ai sensi della legge 16/85
-art. 6 – 3° comma è iscritto nel Registro Regionale
delle Associazioni, Fondazioni ed Istituti
Culturali della Provincia di Cosenza.
12
Oggi Famiglia
SOCIETÀ
Novembre 2007
Buona sanità da imitare
L’ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza”
di San Giovanni Rotondo
È
di Sante Casella
stato costruito per volontà di Padre
Pio da Pietrelcina (il frate morto nel
1968 e proclamato Santo nel 2002 da
Giovanni Paolo II); funziona bene, è
organizzato benissimo, è pulito ed
accogliente in tutti i suoi
reparti.
Soprattutto è improntato all’umanizzazione,
personalizzazione e rispetto dei pazienti che
vi si rivolgono per ricovero e o per
accertamenti specialistici.
Si chiama – per volere del suo Fondatore “Casa Sollievo della Sofferenza” ed è ubicato
vicino alla basilica e al convento dei
Cappuccini, dove il Santo delle stimmate è
stato dal 1916 alla data della morte.
L’abbiamo visitato, con la guida di una
gentile addetta allE public relations, con
religioso silenzio per non turbare l’attività
del personale e la privacy dei degenti.
Abbiamo preso atto che i gestori (che non
sono politici) e gli operatori sono motivati
e rispettosi appieno della volontà di Padre
Pio, di dover curare al meglio, nel corpo e
nello spirito, gli utenti provenienti da ogni
parte d’Italia ed anche dall’estero.
L’Ospedale
“Casa
Sollievo
della
Sofferenza” è stato costruito con fondi
derivanti dalle offerte dei fedeli italiani e
stranieri, senza finanziamenti pubblici,
eccettuata una croce di 40 metri donata
dalla Regione Puglia e collocata davanti
alla nuova chiesa di circa 7 mila posti
progettata da Renzo Piano in stile
moderno, che simbolicamente richiama
episodi del Vangelo. Dispone di 1100 posti
letto e di 2500 dipendenti. E’ collegato, per
la ricerca, con le maggiori Università e
Facoltà di Medicina d’Italia e del Mondo,
diventando un importante punto di
riferimento per convegni, ricerche e
scambio di studi ed esperienze. Utilizza
per i pasti ai degenti prodotti coltivati
biologicamente (carne, latte, formaggi,
conserve, verdure, frutta, ecc.) nelle
masserie di proprietà dello stesso Ospedale
(terreni donati da benefattori locali).
Accanto alla Casa Sollievo della Sofferenza
è stata realizzata una struttura di quattro
Apprendiamo che l'Associazione Il
Papavero d'oro di Bari ha premiato il
Preside Michele Filipponio per la poesia
"Su piani diversi".
La cerimonia di premiazione si è svolta in data 24 ottobre c.a. - nella Sala
piani dove sono stati allocati tutti gli
ambulatori specialistici e diagnosticostrumentali, nonché un reparto pediatrico
con annessa Unità di pediatria oncologica.
Questo
grande
poliambulatorio,
convenzionato col Servizio Sanitario
pubblico al pari del nosocomio, riesce a
dare risposte adeguate a tantissimi
cittadini che vi si rivolgono con
l’impegnativa del medico curante.
Senza costringere - come spesso avviene,
col tormentone dei tempi d’attesa, negli
ospedali pubblici del sud e della Calabria a pagare le visite specialistiche. Il
pagamento di visite specialistiche avviene
spesso in Calabria dopo la trovata
dell’INTRA MOENIA (legge Bindi n.
229/99) che ha dato facoltà ai medici
d’esercitare la libera professione a
pagamento anche all’interno degli ospedali
da cui dipendono….
Vorremmo consigliare ai politici, che hanno
“occupato” la sanità pubblica dal 1981
(entrata in vigore della riforma sanitaria ex
legge n. 833/78) e segnatamente ai tecnici
(sanitari, amministrativi, infermieri,
ausiliari, ecc.) - costretti ad avallare il
clientelismo affaristico dei mestieranti
della politica e del potere che,
Premiazione
Consiliare del Comune di Bari, alla
presenza di varie autorità e di un folto
pubblico.
Il Preside Filipponio ha ritirato
personalmente il Premio, raggiungendo,
così, la vetta di sessantuno premiazioni in
Ospedale “Casa sollievo della sofferenza”
trasversalmente, imperversano nelle
aziende sanitarie ed ospedaliere e finanche
in molte strutture private convenzionate di visitare l’Ospedale di Padre Pio di S.
Giovani Rotondo. Per osservare quanto vi
si verifica in fatto di ordine, pulizia,
organizzazione, funzionalità, approccio
umanizzato, personalizzato e rispettoso
dei malati, familiari, ecc.
Allo scopo di tentare, poi, un percorso
d’imitazione, necessario in tanti ospedali
calabresi. Dove, peraltro, risulta bloccato il
processo attuativo della Carta dei Servizi e
della trasparenza gestionale-operativa,
impedendo di fatto il coinvolgimento dei
cittadini al miglioramento dell’assistenza,
attraverso i questionari, le proposte, i
suggerimenti ed i reclami. Il processo era
stato avviato nel 1995/96 tra il
menefreghismo non casuale di mestieranti
del potere e di baroni e mercanti della
medicina, interessati a prolungare
all'infinito le pratiche affaristico-clientelari,
che, in nome del “dio denaro”, negano al
cittadino il diritto ad essere tutelato nella
salute e nel benessere psico-fisico e morale.
Come
dettano
la
nostra
Carta
costituzionale e le direttive dell’OMS,
Organizzazione Mondiale della Sanità.
varie città d'Italia, meritate con saggi vari
e poesie. Collaboratore assiduo di OGGI
FAMIGLIA, il Preside Filipponio
raccoglie i più sentiti auguri da parte di
tutta la Redazione di questa importante
Rivista.
13
Oggi Famiglia
COSTUME E SOCIETÀ
Novembre 2007
Amos Oz: Contro il fanatismo
N
di Sandra Cuchetti
ato a Gerusalemme nel 1939, Amos
Oz, uno dei piu’ grandi scrittori
d’Israele, è autore di opere tradotte
in ventotto lingue. Saggista, trae la propria
forza letteraria dalla storia tormentata
della sua terra d’origine. Tra i suoi romanzi
ricordiamo:”La scatola nera”, “Conoscere
una donna”, “Tina”, “Una pantera in
cantina”, “Lo stesso mare”,”D’un tratto nel
folto del bosco” e “Una storia d’amore e di
tenebra”. Tra i piu’ belli certamente
l’ultima delle opere citate, un’autobiografia
in forma di romanzo, un’opera letteraria
che comprende le origini della famiglia di
Oz, la storia della sua infanzia e giovinezza
a Gerusalemme, l’esistenza tragica dei suoi
genitori, il suicidio della madre.
“Sono diventato scrittore osservando la
gente, immaginando, inventando, a tratti
captando brandelli di conversazione per
poi ricomporli e ricavare da trascurabili
frammenti di informazione una storia
intrigante. Osservo, immagino, fantastico,
mi metto nei panni o nella pelle di altri e
per questa mia abitudine “professionale”
io riesco a vedere i punti di vista del
prossimo”.
Un suo saggio “Contro il fanatismo” così
inizia: Un conto è dare la caccia ad un
manipolo
di
fanatici
sui
monti
dell’Afghanistan e per i meandri di Gaza e
Baghdad: Tutt’ altra cosa è invece arginare,
guarire dal fanatismo. Per parte mia non
ho alcuna specifica competenza sul campo
della caccia, ma serbo qualche pensiero
sulla natura del fanatismo e sui modi per
ammansirlo, se non redimerlo….
Credo profondamente nella mediazione. E’
la mia esperienza privata che mi ha fatto
capire che senza mediazione è difficile
concepire un rapporto tra un padre ed un
figlio, tra un marito ed una moglie, tra un
fratello ed una sorella, tra individui in
generale. Bisogna partire dal fatto che gli
esseri umani sono molti diversi tra loro, e
senza mediazione non è facile trovare un
punto d’incontro. Nel campo politico senza
mediazione sarà difficile che israeliani e
palestinesi possano vivere assieme nella
pace, mettendo fine ad un conflitto che ha
provocato morte e dolore. Per me la
mediazione è la capacità di vivere assieme,
il contrario della mediazione è il fanatismo.
Per i fanatici nessuna forma di mediazione
è possibile, pensano di possedere la verità
assoluta da imporre agli altri, ma anch’io
L’Io polifonico
Analisi del sé cosciente
O
di Michele Filipponio
ggi
l’uomo,
schiavo
della
tecnologia, finisce per perdere di
vista i sacri valori dell’Io. L’alter ego
è quello tecnologico . Ma, bussando alle
porte del nostro spirito, riscopriamo una
vita interiore intessuta di domande, di
perché, di ricerche lungo un processo che
conduce all’essenza della Verità. Pensiamo a
Tibullo, che ci suggerisce: “Sii una folla per
te stesso”. Quindi, nel silenzio, nella
meditazione, nell’isolamento, viviamo la
solitudine,
ma
contemporaneamente
avvertiamo la presenza e l’incidenza di tutta
la società.
La preghiera è avvicinamento a Dio, ai
nostri cari, all’amore di quanti si amano.
Ci si presenta spesso l’icona del mistero, che
non confina con l’utopia, ma dà un senso
alla realtà. L’utopia è la realtà dell’irreale,
ma contribuisce alla nostra esistenzialità.
L’utopia non è sic et simpliciter sogno o idea
irrealizzabile, ma è parte integrante del
pensiero e dell’azione. Ogni momento della
nostra vita, ogni nostro progetto, ogni
nostro programma è unità inscindibile di
teoria e di pratica. K. Lewin afferma:
“Niente è più pratico di una buona teoria” e
così veste il nostro pensiero, le nostre parole,
le nostre idee di un abito pratico.
L’utopia e la poesia percorrono strade
impervie e spesso portano al dolore. Ma noi
dobbiamo saper superare il negativo e
l’afflizione, offrendo versi come ciocche
della nostra anima, come orizzonti di bene
supremo e di vittorie.
L’Io è polifonico; emergono l’amore e la
sofferenza che hanno il loro comune
denominatore nell’intensità. Amore intenso
e sofferenza intensa: due aspetti che, al
guinzaglio del tempo, si compongono in
una visione superiore dei sacri valori della
vita.
Un atteggiamento filosofico di fronte al
mondo oggettivo e di fronte all’uomo ci
induce a porre l’accento su un termine e su
un concetto: universale.
Ma
l’universale
incorpora
tante
problematiche particolari come il rapporto
tra la certezza e il dubbio, tra opinabile e
dogmatico, tra libertà e coscienza, tra
individuo e collettività. Così scopriamo la
nudità dei nostri segreti, alziamo lo sguardo
verso l’assoluto nel frequente mutare delle
forme. Emergono, poi, i fantasmi
dell’inconscio
che ci agitano e ci assillano. Distruggere il
finito significa generare qualcosa di nuovo
in quell’immensa visione dell’infinito che
mai si oscura. Si tratta di una metamorfosi,
di un mistero
inviolabile in cui l’essere continua quale
parte e non causa nella monade infinita che
ho una verità assoluta: sono convinta che
sia sempre male infliggere dolore a
qualcuno. Questo è il punto fermo della
filosofia della mia vita. Il resto è relativo.
è Dio. Ne discende che l’uomo deve aprirsi
al mondo, offrendo a Dio il contenuto della
propria anima - res cogitans - in un impegno
di amore per il prossimo e per la vita, per il
presente e per il futuro che lo attende, per
risultati sempre più confortanti.
Consideriamo la scrittura come utopia,
ovverosia come seme della parola che si
dona continuamente, come Fede che fonda
la Verità, come salvezza dell’uomo, lungi da
ogni odio politico e da invidia sociale.
La parola, come cruna di una libertà
radicale, si svuota del proprio corpo per
nutrirsi del respiro coscienziale. Così si può
parlare di esperienza vissuta, che esprime il
sentimento come simbolo di civiltà e di
amore, nonché di dolore, che attende di
attingere alla sorgente misteriosa del
domani: nessuno può ipotecare il futuro,
che è nelle mani di Dio, ma possiamo
certamente conoscere l’avvenire con gli
occhi del cuore.
La parola ci salva. Così la poesia ci immerge,
con parole ispirate, nel grande mare della
salvezza; la poesia esprime il miracolo della
vita, l’epifania del bene e delle belle
speranze, nonostante l’utopia della scrittura
e la nuda realtà degli eventi.
Per concludere, l’Io è polifonico e poliedrico,
è fonte di sensazioni, di emozioni, di
esperienze attraverso l’arco della vita, in
vista del futuro e della realtà ultraterrena.
Ricercare le radici dell’Io è andare non solo
alla scoperta dell’attimo, ma soprattutto alla
fonte primaria della vita.
14
OPINIONE
Oggi Famiglia
Novembre 2007
La scuola e il vero scontro
di civiltà
fallimentari).
Questa favellizzazione del mondo cresce
G
a velocità vertiginosa: miete 25 milioni di
vittime ogni anno.
Ogni anno, cioè, l’equivalente della metà
di Vincenzo Altomare
della popolazione italiana subisce un vero
li eventi dell’11 settembre 2001
e proprio declassamento sociale che porta
sembravano aver confermato
milioni di persone, sparse in tutto il
quel ‘clash of civilization’ che
mondo, a precipitare in condizioni di
Samuel Huntington aveva descritto nel
assoluta povertà.
suo famoso libro del 1996 Lo scontro di
E’ questo il sogno occidentale? E’ questa
la civiltà planetaria che sa proporre?
civiltà e il nuovo ordine mondiale.
Oriana Fallaci, prima e Magdi Allam, poi
Dentro questo scenario, è certo che
non persero tempo: pubblicarono articoli
cresceranno i conflitti, la militarizzazione
e libri infuocati che intendevano suscitare
dei popoli, le barriere e i muri di
orgoglio e rabbia negli occidentali e
separazione fra le nazioni.
ispirare, secondo canoni moderni, una
I pochi ricchi, asserragliati nella “città”,
Adesso che la scrittrice fiorentina è morta,
il frutto di un vero e proprio saccheggio
nuova crociata contro i soliti “infedeli”.
saranno super addestrati per proteggere
il testimone passa al vice direttore del
del pianeta, mentre la sempre crescente
‘Corriere della sera’.
moltitudine dei poveri (che costituiranno
Benché sia fortemente tentato di mostrare
le favelas planetarie) dovrà pensare a
tutto ciò che Allam fa finta di non sapere
come sopravvivere e a come organizzare
e, perciò, non osa scrivere (la qual cosa si
la rivoluzione. Cosa si può fare per
potrà fare successivamente), restano
aperte
(e
volutamente
cambiare le cose?
ignorate
Si deve ripartire da una formazione
dall’occidente) le seguenti domande:
nuova, dalla coscientizzazione delle
perché nasce il terrorismo? Quali sono i
persone e dei popoli.
suoi terreni di coltura? L’occidente e il
E questo è il compito della politica e
saccheggio del mondo mediante l’azione
dell’educazione.
militarista ed economicista delle sue
multinazionali cos’ha da dire a proposito?
C’è bisogno di organismi planetari dotati
Si sente in qualche modo (almeno) co-
abitanti) e le baraccopoli che crescono
Rispondere non è affatto difficile. Basta
Sotto i marchi della Mac Donald’s e della
responsabile?
ricordare le percentuali di spesa che i
paesi ‘civili e democratici’ investono
annualmente in armi e nei processi della
new economy (un velenoso cocktail di
simmetricamente ad esse.
Coca Cola, si consolida, dopo averlo
creato, un nuovo conflitto di proporzioni
planetarie.
Davis (e con lui Leonardo Boff) parla di
internet e capitale finanziario) per aver
“favellizzazione
Ma il “fatto” davvero inquietante l’ho
figlio della globalizzaizone neoliberista e
un quadro più che chiaro della situazione.
scoperto leggendo un libro di Mike Davis
del
mondo”,
come
fenomeno sociale e politico crescente,
delle sue contraddizioni. Contraddizioni
davvero illuminante, che aiuta molto
che, ormai, esplodono anche nella vita
degli slum.
recente caso-mutui dimostra. L’ennesimo
nell’analisi della nostra epoca: Il pianeta
Nelle sue pagine, il sociologo americano
scrive che, se nel nostro mondo esiste
davvero uno “scontro di civiltà”, questo
pubblica interna degli States, come il
indicatore
di
una
società,
quella
americana, ammalata e incapace di
rispondere ai bisogni sociali della sua
non è fra l’islam e l’occidente, ma fra la
gente (vedi la precarietà dell’assistenza
ricchi) e le favelas (simbolo e luogo dei
latino-americani, gli enormi sprechi
città organizzata (simbolo e luogo dei
poveri). Ossia, fra le nuove e molteplici
megalopoli (dagli 8 ai 30 milioni di
sanitaria, la ghettizzazione dei neri e dei
dell’industria
contingenti
bellica
militari,
e
dei
sempre
suoi
più
di reale potere decisionale; ma anche di
scuole
che,
nell’ambito
dei
propri
percorsi educativi, parlino di queste cose
e rendano presenti gli strumenti culturali
e didattici per apprenderle (riviste e
giornali alternativi, libri come quello di
Davis, ecc..). Sono questi gli strumenti
pratici che abbiamo a disposizione per
prevenire la nascita e lo svolgimento dei
nuovi scontri di civiltà. Nella nostra
epoca, cambiare il mondo è un imperativo
categorico
ineludibile.
Ma
occorre
piccoli
focolai
costruirlo questo cambiamento.
Bisogna
accendere
rivoluzionari, nei quali persone e culture
“diverse”
si
incontrano,
discutono,
leggono, pensano, progettano, agiscono.
Il cambiamento non avviene per decreti
del re… Comincia dal basso, dalle
coscienze, dalle comunità locali.
Ovunque, in un mondo senza centro, ogni
periferia diventa la porta d’accesso ad un
futuro di speranza.
15
Oggi Famiglia
CULTURA
Novembre 2007
Il liberalismo
di Ludwig Von Mises
L
di Gerardo Gallo
udvig Von Mises, economista
austriaco naturalizzato statunitense
(1881-1973), fu un fiero avversario
del Socialismo e sostenne l’assurdità di
un’economia
pianificata
nell’opera
“L’azione umana” del 1949. E’ stato
esponente di primo piano del circolo
culturale “Grande Vienna” e uno dei più
importanti teorici del Liberalismo.
Cercherò di esporre, a grandi linee, il suo
pensiero.
Da convinto individualista metodologico,
ha contestato la dottrina di quanti fanno
diventare cose - reificano dice lui - i concetti
collettivi, quali Stato, partito, classe.
Esistono invece solo individui che pensano,
ragionano, agiscono. Tutta la sua
speculazione dottrinaria è stata rivolta a
dimostrare l’impossibilità del calcolo
economico in una società che abbia abolito
la proprietà dei mezzi di produzione, per la
ragione che essa risulta, così, privata della
bussola dei prezzi di mercato. L’economia
di mercato non solo produce di più, ma
diffonde ampiamente il benessere e la
libertà. Al concetto di libertà si associa
strettamente quello di pace, sicchè
Liberalismo e pace sono inscindibili. Un
lavoratore libero ha bisogno di pace per
realizzare l’oggetto del suo progetto e tanto
più s’impegna – diversamente dal
lavoratore statalizzato – quanto più
accresce il suo reddito. Quello non libero
lavora quanto basta per evitare le sanzioni
previste dai protocolli d’intesa.
Tre sono i pilastri del Liberalismo: proprietà
privata dei mezzi di produzione, libertà,
pace. “La pace – scrive – è la teoria sociale
del Liberalismo. L’unica cosa che fa
progredire l’umanità è la cooperazione
sociale; il lavoro crea ricchezza e pone le
basi materiali per il progresso spirituale
dell’uomo. Per queste ragioni il liberale ha
in orrore la guerra, che ha un solo
corollario: la distruzione di tutte le basi del
consorzio fra gli uomini”.
Per il mantenimento della pace va difesa
l’uguaglianza di tutti davanti alla legge. E’
impossibile mantenere la pace in una
società in cui siano differenti i diritti e i
doveri dei cittadini come avviene nelle
società non liberali. Chi delegittima una
parte del popolo deve aspettarsi che i
delegittimati si coalizzino contro i
privilegiati. E’ illogica e contraddittoria la
convergenza fra destra e sinistra, con la
quale si è pervenuto
a sostenere
paradossalmente che il liberale sia animato
da un dissennato odio contro lo Stato. Chi
nega lo Stato imprenditore non è contro di
esso. Afferma solo che quello Stato
accumula passività e accresce il rischio
della povertà. La funzione dello Stato deve
consistere unicamente nel garantire la
sicurezza della vita, della salute, della
libertà e della proprietà privata contro
chiunque voglia distruggerla con violenza e
nel promuovere le intraprese singole al fine
di far aumentare costantemente il prodotto
nazionale. Per il Liberalismo lo Stato è
necessario, ma deve stare alla larga
dall’imprenditoria. Se garantisce la
sicurezza, garantisce anche la pace,
assumendo la sua corretta funzione, cioè la
direzione democratica della società, perché
la democrazia è nient’altro che la forma di
costituzione politica che rende possibile
l’adattamento del governo al volere dei
governati senza lotte violente. Se la linea di
condotta del governo non corrisponde al
volere della maggioranza, vale a dire al
meccanismo delle elezioni con cui si può
cambiare pacificamente la classe politica al
potere, essa è delegittimato in nuce. La
democrazia ha l’obbligo – pena la sua
morte – di fronteggiare qualunque
minoranza avente la pretesa di dominare
lo Stato e di sottomettere la maggioranza.
La pretesa di una tale minoranza è
sopraffattrice della libertà e della giustizia
ed è figlia del razionalismo assolutista che
nutre in sé la presunzione di risolvere tutti i
problemi dell’umanità, indirizzandola
verso una meta delineata come ineluttabile
mediante teorismi volatili, senza alcun
aggancio con la realtà. Puro delirio
ontologistico. E’ la pretesa che nel secolo
scorso si è, come dire, incarnata in Lenin,
Trotckij, Ludendorff e Hitler, con i
disastrosi risultati che conosciamo,
grondanti
del sangue di milioni
d’innocenti. Il Liberalismo, però, vissuto,
per lungo tempo, in gran parte dell’Europa
nell’inferno della clandestinità,
ha
alimentato la fiaccola della dignità, della
libertà, dell’orgoglio dell’uomo, tuttavia
esso ha il dovere di essere intollerante
verso gli intolleranti. Nessun dialogo con
chi imposta la sua azione politica
Ludwing Van Mises
sull’annientamento della libertà. Se
lasciasse correre, si precostituirebbe la fine.
Permetterebbe, insomma, a una minoranza
di soggiogare la maggioranza, distruggere
la pace, abolire la divisione del lavoro,
cancellare il benessere. In tale dannata
eventualità, la politica diverrebbe l’arte di
impedire alla gente di occuparsi delle cose
che la riguardano e la preoccupazione per
una
assolutamente
teorica
lotta
all’ingiustizia sociale sarebbe uno dei
massimi ostacoli all’eliminazione della
povertà e un obiettivo consolidamento del
livello più alto di iniquità e di arbitrio.
La teoria politica di Von Mises si colloca nel
filone in cui il primato è tenuto dalla libertà
e per il quale la crisi della civiltà liberale,
angosciosa tra la prima e la seconda guerra
mondiale, non si abbia mai più a trovare
stretta tra nazionalismo, socialismo, guerra
e rivoluzione. Il Liberalismo ha assicurato
libertà di impresa, di stampa, di opinione,
di riunione e di associazione. Si faccia in
modo che tutto questo non diventi
abitudine neutra fino al punto di crederlo
acquisito per sempre.
Lo si apprezzi come l’aria che si respira, lo
si difenda,
vigilando con fedeltà e
costanza, perché, a chiudere anche un solo
occhio, si può perdere tutto, ricadendo nel
buio fitto di coscienze paralizzate dal
terrore. L’indifferenza, la mancanza di
partecipazione e d’interesse e l’inazione
prodotta dalla prospettiva della fine fisica o
spirituale farebbero rinascere la bestia
trinariciuta contro la quale ci ha messo in
guardia gran parte della cultura occidentale
del dopoguerra.
16
Oggi Famiglia
CULTURA
Novembre 2007
Quell’io altruista…
C
di Eralda Giannotta
’è un mondo tutto da scoprire, c’è
un mondo diverso da vivere, c’è
quanto dovrebbe esserci in
ognuno di noi per vivere meglio, per
vivere in comunione con tutti.
C’è il “ Volontariato” nelle sue
diverse forme di attività, c’è il
donarsi
senza
riserve
e
condizioni, il coraggio di essere
diversi attraverso scelte coraggiose
nell’ambito sociale.
E’ bello poter dire che nel nostro
Paese
il
fenomeno
dell’Associazionismo è in continua
crescita. C’è in ognuno di noi la voglia di
tenere alto il valore della vita, favorendo
iniziative solidali per una crescita
organizzativa ed educativa della società.
Viviamo tutti, in una situazione difficile, di
crisi e disagio, sempre alla ricerca di
qualcosa o di qualcuno che possa darci una
speranza, ma in realtà a pensarci bene, la
vera speranza per un futuro migliore sta in
noi e nel saperci rimboccare le maniche!
Di fronte a problemi non risolti o, non
considerati, nasce l’esigenza di dare il
proprio contributo attraverso le risorse che
annidano in noi. Il Volontariato è
un’attività libera e gratuita che nasce per
ragioni di giustizia sociale e di solidarietà,
senza logiche di profitto. Tra la gente, tra
scambi di culture diverse ma con la stessa
dignità che abbraccia un lavoro arduo fatto
di cuore e di intelligenza attraverso un
“posso” di prima persona rivolto ad
anziani, giovani in difficoltà sociale,
famiglie che vivono sulla soglia della
povertà.
Sostenere centri di solidarietà e
cooperazione, con coraggio e sforzo
costante è tra gli obbiettivi più belli di
ogni
Cristiano
ed
è
grazie
all’intervento di alcune Associazioni e
alla buona volontà di molti che si
realizzano tanti obbiettivi. Certo si può
fare di più, ma intanto con la nostra
testimonianza possiamo stimolare chi
non ha avuto ancora il coraggio di
incominciare, di assaporare la gioia di
“quell’io altruista”.
Riaccendendo la fiducia nella vita che è un
dono di Dio, cominciando da piccoli gesti,
condividendo e sapendo donare a volte
solo un sorriso a chi sta peggio di noi,
forse, almeno in parte riusciremo a curare
quel vuoto che, spesso, diventa allarme
sociale.
Combattere le cause invece che gli effetti
con un raggio di sole che entra tra le sbarre
dell’egoismo dell’uomo, grazie a quell’io
altruista che sa donare senza riserve.
Da dove ricominciare
C
di Giacomo Guglielmelli
he la nostra sia una società in crisi
nessuno può disconoscerlo. E
questa crisi investe ormai tutti i
settori, da quello internazionale a quello
economico, da quello istituzionale a quello
privato. E le cause di questa crisi sono di
difficile individuazione, non fosse altro
perché viviamo in una società globalizzata
e globalizzante, in cui ogni problema è
legato all’altro in uno stretto vincolo di
interconnessione. Così non riusciamo a
capire l’accentuazione dei fenomeni di
recessione economica a fronte di un
generale aumento dei consumi, né se lo
squilibrio del mercato del lavoro è dovuto
alla diminuzione della produzione o al suo
aumento; né se si fanno le guerre per
l’accaparramento delle risorse petrolifere o
se sia la loro scarsità a rendere ineludibile il
ricorso alle armi. E non sappiamo in quale
misura, per esempio, le politiche
internazionali hanno determinato i flussi
migratori dai paesi più poveri verso quelli
industrializzati, generando l’incremento di
episodi di discriminazione razziale.
Insomma, la complessità di detti fenomeni
ci impedisce di valutarne l’evoluzione, ma
soprattutto ci ostacola nell’individuare i
comportamenti giusti per arginare gli
effetti negativi o contribuire invece ad
incrementare quelli positivi, in vista di una
convivenza pacifica.
In queste contraddizioni la nostra sfera
d’azione, anziché espandersi, sembra
restringersi e la possibilità di intervenire in
fatti tanto macroscopici si riduce quasi a
zero. L’unica libertà che ancora ci è rimasta
è quella di muti osservatori, di silenziosi
spettatori di una realtà che diventa ogni
giorno più alienante, incerta, se non
angosciante. Non riusciamo più ad
indignarci di fronte al massacro
organizzato e programmato di popolazioni
inermi, davanti alle stragi di innocenti
eufemisticamente chiamate “missioni di
pace”, ma che sul campo lasciano morti,
feriti, orfani e vedove, case distrutte,
regioni inquinate per sempre. La morte in
televisione non fa più notizia e c’è sempre
qualcuno che ci dice chi sono i buoni e chi
i cattivi. Come uomini e come cittadini, del
nostro paese e del mondo, non abbiamo
più voce, perché i nostri rappresentanti
non ci hanno mai ascoltato, impegnati
come sono a difendere interessi di parte e
posizioni di comodo. Anche la democrazia
finisce per essere un concetto senza
sostanza, senza significato. Il diritto di
voto, in paesi con sistemi elettorali che
favoriscono le lobby ed i poteri forti
dell’economia, è svuotato di contenuto,
tanto da costringere molti a disertare le
urne.Ma si può rimanere solo a guardare?
O, peggio, far finta di non vedere? Si può
continuare ad essere complici di tali poteri
forti? Non è forse, invece, arrivato il
momento di cambiare i comportamenti,
svegliare le coscienze, informarsi,
pretendere chiarezza, trasparenza, sapere
di più e meglio chi opera le scelte
importanti e quali vere ragioni ci stanno
dietro?
Non possiamo più credere a chi ci dice
“stiamo lavorando per voi”, per cui ci
sentiamo legittimati a disinteressarci di
ogni cosa succeda intorno a noi e nel
mondo. No! Non ci è più consentito di
delegare all’infinito!
Noi abbiamo una grande responsabilità e
dobbiamo assumercela fino in fondo, a
costo di toccare i nervi scoperti dello
strapotere e della malapolitica, sollevare i
teli sotto i quali sono state nascoste le
nefandezze, le porcherie, le morti bianche,
i rifiuti tossici. La delega in bianco non è
democrazia: è ipocrisia, è connivenza, è
complicità, è anch’essa violenza. E non
abbiamo più alibi.
Perciò riprendiamoci la vita, a partire dal
nostro quotidiano, da ogni piccola scelta
che faremo da qui in avanti, da ogni
persona che incontreremo, da ogni
ingiustizia a cui assisteremo, che la
facciano a noi o al nostro prossimo.
Dobbiamo riscoprire i valori della
convivenza ma anche quelli della legalità,
diritti e doveri che si abbracciano, che si
fondono, per consentire una vita più
umana, più degna, più solidale, più
creativa.
17
Oggi Famiglia
CULTURA
Novembre 2007
Grazie Enzo!
L’Italia commossa e grata partecipa al funerale di Enzo Biagi
Eminente personalità di giornalista ispirata ad una laicità aperta e critica
che non conosceva padroni di sorta e che rifuggiva da tutti gli ordini di scuderia ideologica
L
di Luigi Perrotta
a notizia si è sparsa correndo veloce e
il mondo intero ha saputo che Enzo
Biagi è morto. Improvvisamente i
notiziari ci avevano messo al corrente del
malore del giornalista e del suo progressivo aggravarsi, fino a quando, verso le otto
del mattino di martedì sei novembre 2007,
non è giunta la fine.
Le sue condizioni di salute, sempre più critiche, consumavano lentamente quella vita
fatta di sogni, di speranze che gli ardevano
negli occhi sempre attivi, ma anche combattuta tra lotte, battaglie, incomprensioni.
Eppure, anche se si sentiva come una foglia
autunnale di Ungaretti, il grande Enzo
Biagi è riuscito a darci una certezza: la
forza della parola. Nella sua penna, nella
sua mano, e perciò nel suo cuore, vibravano tutte le sensazioni e le finezze che riusciva a plasmare con un prosare limpido e
lineare. La sua carriera, iniziata appena era
diciassettenne, ci mostra come il percorso
di un uomo, una volta incanalato in un
cammino etico e civile, diretto a un ideale
di vita intrisa di morale e di cultura, possa
giungere, con la forza della semplicità, a
toccare livelli altissimi, le sfere più alte che
muovono la società e da lì conquistare il
panorama circostante con un’arma quasi
scontata: la cultura, non in senso stretto di
erudizione, ma intesa sia come infrastruttura che come sovrastruttura. Biagi non era
un uomo che lasciava fare al caso.
Costruiva passo per passo ogni suo movimento, ogni sua azione, studiando bene
tutte le mosse condotte con abilità chirurgica. Per far ciò si era costruito una base culturale solida che aveva unito magistralmente ad una fluidità sensoriale e ad una
passione innata verso la comunicazione.
Enzo era un grande comunicatore: doveva
esserlo, per poter farsi conoscere, per poter
sfondare sin dal quel lontano 1937, quando
pubblicò, sull’Avvenire d’Italia, il suo primo
articolo. Doveva esserlo per poter conquistare un posto ne Il Resto del Carlino, nel
1940. E Biagi conosceva bene il linguaggio
del popolo per poter comunicare, per poter
divulgare non solo cultura, ma anche e
soprattutto per ravvivare il dibattito critico
sui problemi che affliggono la nostra nazione, il mondo che ci gira intorno, la politica… Il tutto condotto con un umorismo
leggero, mai volgare, sintetico, mirato. In
una parola: schietto. Sì, Biagi era schietto,
schietto e sincero come un buon bicchiere
di vino, che, invecchiato a dovere, fa riflettere sui drammi della vita senza cedere al
rimpianto, né alla commiserazione.
Ne sapeva bene qualcosa Enzo: con i pianti non si sarebbe costruita l’Italia,
quell’Italia che nacque libera dopo il 2 giugno 1946 e che lui vide splendere; con le
lagnanze non si sarebbe abbattuto l’odiato
regime fascista, contro il quale Biagi si
oppose fermamente, perché era un uomo
libero, libero di mente, libero di penna,
libero di coscienza.
Il suo obiettivo formativo di risvegliare dal
torpore le anime sopite e inerti rispetto alla
realtà circostante emerge dal taglio dei suoi
articoli, mai sbavati e sempre chiari: il
popolo ha bisogno di semplicità. Enzo era
un uomo semplice, che amava le tradizioni,
i legami affettivi e familiari, il suo
Appennino. Era un uomo normale che voleva fare della sua normalità uno stile di vita
che chiunque potesse imitare; ma si era
reso anche conto che di normalità, cioè di
aderenza alle regole, l’uomo (l’italiano) non
voleva sentir parlare, non ne aveva bisogno.
Ultimamente, i suoi libri avevano assunto
un aspetto malinconico, un sapore triste
che però non è mai fine a se stesso: in
Quello che non si doveva dire, infatti, l’amarcord di Biagi non è volto a rimpiangere bei
tempi andati o a far pesare eccessivamente
sugli altri colpe che avevano sancito il suo
ostracismo, la sua rovina. Il rammarico del
grande giornalista nasce dal fatto che,
dopo la sua cacciata non aveva potuto raccontare episodi rimasti oscuri, fatti che
avrebbe voluto portare alla ribalta, che
avrebbe voluto far conoscere, e non per
stupido pettegolezzo, ma puramente per
sensibilizzare i lettori ai problemi (veri!)
della vita, e non a ciò che scioccamente
sono abituati a vedere come tali. Quante
volte ripete nel libro: “Avrei potuto farvi una
puntata de Il Fatto…avrei voluto approfondire
questo con uno speciale… avrei voluto…”, rintocca amaramente Biagi, abbozzando persino la scaletta dell’ipotetico dossier intorno a un argomento degno di nota. Egli
chiedeva soltanto di fare il suo lavoro, tutto
qui. Così come aveva condotto interviste
importanti, così come aveva sempre
mediato, da direttore, da redattore, ma
sempre e soprattutto da giornalista, avrebbe tentato in ogni modo di mettere un po’
d’ordine, di fare chiarezza in un sistema
troppo a tinte fosche perché il fragile uomo
contemporaneo possa guardarci limpidamente dentro. Egli lamentava di non poter
più comunicare e, non potendo far ciò, soffriva a causa di quella forza della parola
che gli ruggiva dentro e che non poteva
estrinsecare. Il suo desiderio di tornare in
RAI era fortissimo, doloroso; il dolore più
grande era quello di essere stato vittima di
un sopruso, una prepotenza che fece chiudere Il Fatto, con una negazione dei diritti
simile (troppo simile) a quella compiuta
dal regime fascista quando soppresse il
giornale che Biagi, appena adolescente,
aveva fondato insieme ad alcuni compagni
di scuola, frequentanti come lui l’istituto
tecnico Pier Crescenzi. In questo giornalino,
che si chiamava Il Picchio, Biagi aveva già
manifestato la sua vocazione futura, occupandosi dei problemi della scuola, stampati su carta affinché essi potessero essere resi
noti al resto degli alunni e questi riuscissero a formare dentro di sé una coscienza critica e autonoma nel pensiero. La sua era
una missione, e questo lo si intuiva sin da
quando era ragazzo, da quando, cioè, si
faceva largo con le unghie e con i denti
della diplomazia e della ragione.
Quest’animo inquieto, questo spirito indomito continuerà a ringhiare, a scalpitare.
Continuerà ad amare la sua terra, la sua
amata Italia. E non dimentichiamo che,
proprio per questo benedetto, assurdo Bel
Paese, un uomo si è battuto per farlo crescere e progredire, risvegliarlo e scuoterlo,
percuoterlo quando serve, ma poi farlo
camminare appoggiato alla sua spalla fatta
di buon senso e amore paterno e condurlo
alle più alte vette della civiltà, della sensibilità, della cultura.
Poco importa se ci siamo scordati del maestro, avviene sempre così. Ciò che non
devono morire e che non morranno mai
sono le sue parole, il suo esempio e il suo
sorriso. Grazie Enzo!
18
POLITICA
Oggi Famiglia
Novembre 2007
Prepariamoci ad affrontare
un inverno nuovo e democratico
L
Francesco Gagliardi
'inverno è ormai alle porte, così hanno
sentenziato i meteorologi nostrani.
Presto comincerà a piovere, il freddo si
farà pungente per l'aria fredda proveniente
dai Balcani e dalla Siberia, cadrà sui monti la
prima neve, fuori dagli armadi sciarpe,
guanti e cappotti. Uscire di giorno e di sera a
fare lunghe passeggiate con gli amici, gli
aperitivi all'aperto sotto gli ombrelloni di
Corso Mazzini, le chiacchierate e le lunghe
conversazioni sulle cose che non vanno a
Cosenza e nel mondo, saranno ricordi
lontani. Presto arriverà il Santo Natale e poi
tutti insieme brinderemo al Nuovo Anno che
sarà senz'altro nuovo in tutti i sensi, sarà un
anno democratico come democratico e
nuovo è il partito uscito dalle elezioni
primarie del 14 ottobre u.s., dove si sono
recati alle urne una marea di gente anche chi
non aveva diritto al voto. Inesistenti i
sedicenni, a valanga i sessantenni che
ordinatamente si sono messi in fila
aspettando il proprio turno nelle sezioni, nei
bar, sotto i tendoni. Molti si sono recati a
votare per abitudine consolidata, tantissimi
perché credono che Berlusconi sia ancora una
minaccia alla democrazia.
Quest'anno dagli schermi televisivi a Natale
e Capodanno apparirà la faccia bonaria del
nuovo segretario del nuovo partito
democratico che augurerà a tutti gli italiani
democratici un Felice Natale democratico e
un prospero Nuovo anno democratico e ci
ricorderà ancora una volta, che le donne e gli
uomini democratici italiani hanno scritto una
delle pagine più belle del nostro continente.
Quali sarebbero queste pagine? Quelle di
essere andati a votare in massa e avere scelto
lui, Walter Veltroni, come nuovo segretario
democratico del nuovo Partito Democratico.
Ho l'impressione ma forse la certezza che in
tanti abbiano esagerato nell'enfatizzare gli
aggettivi nuovo e democratico. Nuovo stento
a crederci. Basta guardare gli eletti
all'Assemblea Costituente che si riunirà a
Milano il prossimo 27 ottobre. Sono quasi
tutti politici di professione provenienti dal
vecchio P.C.I. e dalla D.C. e che sono in
politica da 20, 30, 40 anni. Nuovo partito,
vecchie facce e che facce! Se ne è accorto
finanche il Ministro Fioroni, Ministro in
carica e amministratore delegato del
patrimonio ex popolare il quale già mette le
mani avanti:-Non è che facciamo un partito
nuovo che combatte l'antipolitica e poi
caliamo dall'alto le decisioni, le cooptazioni
anche se illuminate non vanno bene-. Va poi
considerato il fatto che la votazione è
avvenuta con lo stesso meccanismo adottato
nelle ultime elezioni politiche, con liste
bloccate e candidati scelti dagli apparati, che
con grande faccia tosta e ipocrisia Ds e Dl
Veltroni
hanno sempre criticato e vituperato. Se
l'elezione dello scorso anno è stata una vera
porcata, quella di quest'anno è stata una
porcata all'ennesima potenza.
L'altro aggettivo democratico andrebbe un
po' ridimensionato, anche perché alla gente
comune viene spontanea questa domanda:Ma allora prima di oggi DS e Margherita non
erano democratici?- Erano senz'altro
democratici, ma nessuno lo sapeva. Allora
per non creare confusione al centro e a
sinistra e volendo copiare in tutto e per tutto
il partito che fu di Clinton, Kennedy, Truman
e Rooselvelt, hanno voluto aggiungere
l'aggettivo democratico per distinguersi
dagli altri partiti politici italiani che secondo
Kennedy
loro non sono democratici e che sono una
minaccia alla democrazia. Abbiamo così
assistito il 14 ottobre ad una bella e simpatica
americanata, scimmiottando le vere elezioni
primarie che si svolgono negli Stati Uniti
d'America. In America le elezioni primarie
avvengono in un altro modo e servono
davvero a scegliere democraticamente i
candidati da opporre all'altro schieramento
politico nelle elezioni municipali, statali e
nazionali. Da noi tutti hanno potuto votare,
in America prima ti devi registrare e poi hai
diritto al voto. Walter Veltroni potrà dire
trionfalmente:- I have a dream. I care!- Quale
sarebbe il suo sogno? Defenestrare Romano
Prodi e prendere il suo posto a Palazzo Chigi.
E noi, per sopravvivere a questo lungo
inverno democratico che si preannuncia
piovoso, ventoso, molto freddo, con gas,
luce, telefono, pasta, pane, latte in continuo
aumento, dovremmo affidarci alle cure del
nuovo partito e del nuovo segretario.
Insieme a lui affronteremo le nuove serate
noiosissime ma democratiche e andremo a
pagare felici e contenti le nuove tasse
democratiche essendo, secondo il Ministro
Padoa Schioppa, bellissime.
Col nuovo partito e col nuovo segretario
democratico scelto da tre milioni di elettori
non ci sentiremo più tristi, guarderemo la
televisione con altro spirito e le
considerazioni dei nuovi politici democratici
sul welfare, sulle pensioni, sull'occupazione,
sui giovani in cerca di prima occupazione,
sulla sanità, sui trasporti, saranno davvero
interessantissime.
Non faremo più zapping passando da Matrix
a Porta a Porta, da Ballarò a Annozero, da
Otto e mezzo a Che tempo che fa.
Un'ora segnata dal destino è scoccata sul
quadrante della storia. Mamma mia! Tutti
noi sappiamo, però, come è andata a finire.
19
POLITICA
Oggi Famiglia
Novembre 2007
Riuscirà il nuovo Partito Democratico
a rinnovare il Paese abbattendo
il muro del clientelismo e dell’affarismo?
G
di Sante Casella
li interventi di politici e
intellettuali riportati dai giornali
nazionali e locali dimostrano che,
nonostante il vento dell’antipolitica e del
“grillismo” continui a soffiare, è diffuso
l’interesse verso la semplificazione del
quadro politico, funzionale al bipolarismo
e alla governabilità. Ci riferiamo ad un
quadro politico chiaro e non equivoco, che
tenga conto della necessità storica secondo
la quale, caduta insieme alle ideologie false
e bugiarde, ogni residua tendenza alla
delegittimazione reciproca tra i poli, la
coalizione che vince le elezioni governi ed
il polo perdente eserciti l’importante ruolo
d’opposizione e di controllo dell’esecutivo.
Sennonché per avere un bipolarismo
perfetto bisogna prima garantire il
funzionamento degli organi di controllo in
modo superpartes, come detta la carta
costituzionale. Perchè si tratta, appunto, di
organi di garanzia chiamati ad operare a
tutela della democrazia e del pluralismo.
Organi di garanzia che sono: la presidenza
della repubblica, il CSM, la Corte
Costituzionale, la magistratura, la stampa
indipendente e i Senatori a vita, criticati
attualmente perché appoggiano (e votano
sempre) il governo e la sua maggioranza.
Dovrebbero essere questi gli obiettivi
prioritari del Partito Democratico, i cui
dirigenti dovrebbero riflettere bene sui
percorsi organizzativi e politici. Perché il
Partito Democratico non può nascere
collegato a partiti e movimenti socioculturali della sinistra radicale (che spesso,
purtroppo, condizionano o frenano le
spinte riformiste) e con la sommatoria dei
Pietro Nenni
Napolitano
partiti che si richiamano alla cultura
cattolico-liberale. Sono tutte forze politiche
collocate a livello europeo su versanti
diversi e non coincidenti, in ogni caso, con
le forze socialiste e riformiste di cui il
nuovo Partito Democratico dovrebbe
diventare la sintesi unitaria (basti citare la
presa di posizione della Margherita che si
rifiuta d’entrare a far parte del PSE). A
meno che prevalga il disegno “antistorico”
di chi vuole affiancare il diavolo e l’acqua
santa. Per motivi di mera gestione del
potere.
Si tratta di equivoci e/o ostacoli che, se non
verranno rimossi fino in fondo, lasceranno
irrisolte tanto la questione socialista (i
socialisti della diaspora dovrebbero
ritrovarsi nella costituente socialista)
quanto la questione comunista. Ed il caso
italiano continuerebbe ad essere anomalo
in riferimento alle vicende storiche e
politiche dei paesi democratici occidentali
in generale ed europei in particolare (in
Germania il partito socialdemocratico,
rifiutando l’alleanza con la sinistra
radicale, ha preferito perdere le ultime
elezioni generali).La storia del novecento obbliga e richiede
chiarezza e visibilità al quadro politico
italiano. Iniziando dall’evoluzione dei DS
(partito post-comunista, il cui segretario
On. Fassino ha accelerato i tempi della
nascita del nuovo partito democratico). Al
riguardo molto interessante è stata la
sortita del presidente della Repubblica On.
Napoletano, il quale, dopo 50 anni dalla
tragica repressione sovietica della
rivoluzione d’Ungheria, ha riconosciuto
che aveva ragione Pietro Nenni, quando,
nel 1956, condannò il comunismo
sovietico, restituì il premio Stalin ed avviò
il nuovo corso autonomo del socialismo
italiano con l’accettazione, senza se e senza
ma, della democrazia occidentale.
Ne discende che eventuali accordi di
potere del Partito Democratico non
servirebbero (al pari della sommatoria dei
partiti della sinistra e dei partiti del
cattolicesimo liberale) neanche a realizzare
le riforme istituzionali di cui l’Italia ha
urgente bisogno. Come la riduzione del
numero degli eletti nei vari consessi
nazionali, regionali e locali e dei faraonici
emolumenti percepiti dagli stessi eletti, che
fanno aumentare il debito pubblico.
Non servirebbero neppure ad eliminare,
nel sud e in Calabria, la piaga del
clientelismo
e
dell’affarismo
dei
mestieranti della politica e del potere, che –
trasversalmente operano nei due poli
attuali. Piaga che non si estirpa con
l’intervento della sola magistratura, ma
soprattutto con scelte serie e morali della
Politica (con la “P” maiuscola). -
20
Oggi Famiglia
POLITICA
Dum Romae consulitur,
Saguntum expugnatur
C
di Francesco Gagliardi
hi ha studiato il latino ricorda
certamente questa frase proverbiale
tratta da un passo di Tito Livio e la
ricordano senza dubbio i nostri cari
parlamentari i quali nei Consigli dei
Ministri, nella Camera dei Deputati e nel
Senato della Repubblica, oggi come ieri,
parlano, parlano, parlano per ore e ore e
indugiano a prendere decisioni drastiche,
mentre i cittadini italiani inermi corrono
seri pericoli nelle fermate degli autobus,
nelle metropolitane, negli androni dei
palazzi, negli ascensori, lungo le vie e
finanche nelle proprie abitazioni. Ma loro
se ne fregano, perché non corrono nessun
pericolo. Hanno la scorta, viaggiano con le
macchine dello Stato e i loro familiari e le
loro abitazioni sono sempre sorvegliate e
protette. E così ogni giorno leggiamo nelle
prime pagine dei giornali che una ragazza
è stata aggredita e seviziata, un’altra è stata
prima scippata e poi violentata, un’altra
malmenata e poi sgozzata, un’ altra ancora
rapinata, violentata e poi gettata in un
burrone. Lor Signori si fingono indignati
ma nel frattempo indugiano in inutili
discussioni e così alcuni Ministri che fanno
parte del Governo in carica, per motivi
ideologici non approvano il pacchetto di
sicurezza presentato dal Ministro Amato e
si perdono in discussioni lunghe ed
elaborate, mentre, nel frattempo, a Roma,
nelle vicinanze della stazione ferroviaria di
Tor di Quinto, maturano eventi
irreparabili.
Veltroni, il Sindaco di Roma, e candidato
alla successione di Romano Prodi a Palazzo
Chigi, convoca una conferenza stampa in
Campidoglio e critica il disegno di legge
che la sera prima i suoi amici di cordata
avevano presentato al Parlamento sul
pacchetto di sicurezza. Pretende, esige che
Prodi riunisca d’urgenza il Consiglio dei
Ministri e approvi immediatamente un
decreto legge, perché la situazione che si è
venuta a creare in Italia dopo il fatto
gravissimo che si è verificato a Roma ha
sconvolto tutte le coscienze.
E così Prodi e Amato che avevano proposto
quel disegno di legge perché secondo loro
non c’era nessuna urgenza, sull’onda delle
indignazioni e delle proteste che
giungevano da ogni parte d’Italia,
chiamando a raccolta i loro compagnucci,
trasformano senza vergogna il decreto
legge in disegno di legge e che viene
finanche questa volta votato all’unanimità,
turandosi il naso e nascondendo la faccia
dalla vergogna per la figuraccia che hanno
fatto di fronte agli italiani e al mondo
intero, da quei Ministri che la sera prima si
erano astenuti.
Prodi ha alzato la voce, ha detto basta, tutti
hanno dovuto votare compatti senza
indugio quel decreto legge.
E subito sono scattati i primi
provvedimenti
con
disinfestazioni,
sgomberi, abbattimenti di baracche
abusive lungo gli argini del fiume Aniene e
del Tevere.
Le aree dei quartieri di Tor di Quinto, Eur,
Nomentano e Porta Portese erano da tutti
conosciute, tutti sapevano che erano
popolate da migliaia di persone immigrate
e clandestine che vivevano tra vegetazione
e sporcizia, che di giorno e di notte si
arrangiavano come potevano, rubando
nelle abitazioni, scippando i passanti,
malmenando chi si opponeva, stuprando e
uccidendo, ma nessuno è mai intervenuto.
I cittadini onesti hanno sempre protestato e
le lettere indirizzate alle redazioni dei
Novembre 2007
giornali della capitale sono rimaste sempre
senza risposta.
Ora che quelle baraccopoli sono state
fotografate e che le televisioni di tutto il
mondo hanno trasmesso quelle immagini
che fanno rabbrividire ed indignare, tutti
gridano che è giunta l’ora di dire basta e
chiedono a gran voce il ripristino della
legalità e la bonifica integrale di tutte le
zone periferiche romane.
Ed è scattata immancabilmente la rabbia di
alcuni cittadini, i quali, non vedendosi
tutelati dalle leggi italiane, hanno
compiuto blitz punitivi nei confronti di
cittadini romeni inermi e di altri gruppi
etnici. Quello che fino ad ieri si paventava,
oggi è diventato realtà.
E’ accaduto proprio quello che temevamo.
La gente scende in piazza e si fa giustizia
da sola. Una decina di persone col volto
coperto
di
passamontagna
hanno
aggredito a Roma nel parcheggio del
Centro commerciale Liedl di Via Casilina
quattro
rumeni
picchiandoli
selvaggiamente.
La vendetta che si è consumata a Roma, i
bastoni, le spranghe, i volti incappucciati, i
raid punitivi vanno subito condannati, ma
sono, purtroppo, l’amara conseguenza del
lassismo, del menefreghismo, della
tolleranza che albergano in ciascuno di noi,
ma soprattutto, diciamolo una buona volta
senza indugi, sono la conseguenza
dell’eccesso di buonismo e solidarismo che
ormai pervadono in alcuni settori della
società italiana.
Se chiediamo più legalità e rispetto delle
leggi veniamo tacciati di razzisti. Se
chiediamo pene severe per i delinquenti
incalliti veniamo tacciati di fascisti. Se
chiediamo più fermezza e misure adeguate
nell’affrontare
i
problemi
legati
all’immigrazione clandestina veniamo
tacciati di xenofobia. Se chiediamo più
rigore e severità veniamo tacciati di
ignoranti ed ipocriti.
Ma nel frattempo i delinquenti incalliti
continuano a rubare e a uccidere, ad
aggredire e a stuprare cittadini inermi,
sgomenti ed impauriti.
Ogni giorno che passa ci accorgiamo
di diffidare sempre piu’ della politica
B
di Franco Pulitano
uona parte del popolo italiano
denuncia stanchezza e delusione
per la qualità della politica e per la
modalità con cui essa opera nel nostro
Paese.
Le famiglie italiane vedono sempre di più
assottigliarsi le possibilità di una vita
dignitosa e ciò costituisce motivo di
sofferenza, sia materiale che morale, per
quanti credono nel valore della giustizia.
E’ sotto gli occhi di tutti che i nostri
politici, in sede nazionale e locale, si
trincerano spesso dietro i loro privilegi,
ormai tipici della democrazia conoscitiva.
Ciò comporta, nel comune sentire, un
senso di disgusto per la politica attuale,
per il fatto che assume così più la
configurazione di una <<casta>> che
quella di una rappresentanza popolare.
I fatti di corruzione di cui in ogni
momento si viene a conoscenza e la poca
trasparenza dell’azione politica generano
in ciascuno di noi un diffuso sentimento
negativo verso chi ci governa. Pertanto il
nostro auspicio è che tale situazione, al
momento
opportuno,
indirizzerà
l’elettore verso una scelta che garantisca
l’affermarsi di una classe politica dotata
di qualità morali e virtù sociali, che abbia
veramente a cuore la crescita di ogni
persona e lo sviluppo pienamente umano
dell’intera società.
Il “potere” non deve servire al “potere”
ma al bene comune.
Abbiamo
bisogno
di
leggi
e
provvedimenti che siano segno di
trasparenza e moralità dell’agire politico,
volti a realizzare il bene di tutti.
La gente si aspetta dalla politica risposte
razionali e non stravaganti.
21
Oggi Famiglia
POLITICA
Novembre 2007
4 Novembre a Marzi
Commemorazione dei caduti in guerra
Il discorso del Vicesindaco Francesco Dominianni, che riportiamo
integralmente, stempera la retorica dell’eroe di guerra e apre gli occhi delle
nuove generazioni sulla ottusità del potere e sulla risibilità di certa democrazia
Carissimi,
Questa giornata dedicata alla memoria dei
caduti in guerra, riporta al nostro cuore tanti
nostri compaesani che hanno lottato e
sacrificato la vita, nella speranza fiduciosa,
spesso tradita e delusa, di garantirci libertà,
maggiore benessere e, soprattutto, uno stato
di diritto capace di dare il primato alla legge
e ai diritti umani inviolabili prima che agli
interessi e ai privilegi di parte.
Questa ricorrenza del 4 novembre fu istituita
dal Fascismo all’indomani della vittoriosa (si
fa per dire!) prima guerra mondiale del 191518, combattuta contro l’Austria, allo scopo di
trasformare le vittime di quella guerra
spietata, quanto “inutile strage”, in eroi
generosi e forti, in martiri immolatisi per la
difesa della Patria. Come sappiamo, l'esercito
Italiano respinse gli attacchi austriaci e
ottenne la vittoria decisiva a Vittorio Veneto.
Proseguì verso Trento e Trieste dove entrò il
3 novembre. Il 4 Novembre fu firmato
l'armistizio con l'Austria. La prima guerra
mondiale alle nazioni europee costò 6 milioni
e 70mila morti di cui 650mila morti e
1milione di mutilati e feriti all’Italia. Una
vera carneficina subita dalle famiglie dei
nostri padri, poveri, semianalfabeti e senza
diritti costretti da una minoranza furba e
potente a dare la loro vita per difenderne i
privilegi e gli interessi.
L’idea di quella “grande” guerra ( che, in
realtà, fu grande solo per i disastri!), negli
anni successivi al conflitto, qualcuno ritenne
che doveva essere tenuta in piedi nella
memoria degli Italiani attraverso cerimonie
pubbliche, l’erezione, in tutti i comuni, di
monumenti
ai
caduti,
le
lapidi
commemorative inneggianti all’eroismo e al
martirio civile etc. Il fascismo, infatti,
annegato nella retorica militarista, ci teneva a
che gli italiani, fin dalle scuole elementari,
interiorizzassero l’idea della guerra come
una sofferenza giusta e necessaria, fonte di
martirio e di eroismo per il bene della Patria.
Oggi, e mi auguro che possiate condividere il
mio sentire, è legittimo e doveroso, ripensare
più criticamente anche i risvolti di quel
sacrifico cruento. Noi e i nostri figli abbiamo
bisogno, sia pure attraverso circostanze
celebrative come questa di oggi, di
riaffermare una “una memoria critica” della
guerra e di purificare, dalla vuota retorica, il
mito eroico dei nostri caduti in guerra.
Certo, oggi ricordiamo anche i caduti
dell’ultima guerra mondiale che è stata,
anche se non per tutte le nazioni coinvolte,
una guerra di liberazione dai totalitarismi
liberticidi. Una guerra, dunque, che aveva
tutta l’aria di essere giusta e doverosa e,
perciò, destinata a perpetuare il mito eroico
della difesa della Patria. Oggi, così sembra,
noi godiamo di uno stato democratico, del
riconoscimento di tutti i diritti e di una libertà
totale a tutti i livelli: etico, economico,
sociale, culturale, religioso.
Tuttavia anche quella guerra che ha reso eroi
i figli di Marzi morti per la libertà e la
democrazia fu, pure, una guerra imperialista
che porta con sé la macchia indelebile di
1miliardo e 899 mila morti ( in media 35,9
morti per ogni 1000 abitanti!), di cui 443 mila
in Italia. Di quella guerra, anche oggi,
abbiamo rimosso la lezione vitale. La libertà
stessa, obiettivo primario di quella lotta
fratricida, oggi appare corrotta e corruttrice,
concepita com’è, come assenza di vincoli,
essa ha assunto un carattere individualistico
fino all’idolatria, fino alla caduta dei valori
universali e perenni per l’affermazione di
quelli individualistici, eccentrici ed effimeri.
In Occidente il parlamentarismo è divenuto
un dogma della politica e, come tale, tende
ad affermarsi, anche con la forza delle armi o
con quella della economia capitalistica, come
modello da esportare a tutti i popoli.
Oggi l’Italia che non è un’isola, e’ situata nel
ribollire del mondo. E’ una frontiera calda e
non solo per il clima mite e mediterraneo, ma
perché ai suoi annosi problemi legati alla
dipendenza succube delle mafie e delle
camorre e alla litigiosità sterile dei partiti che
pretendono di governarla, si vede aggiunti
quelli dei popoli frontalieri, africani e
orientali. Su tutto il pianeta ci sono bene 14
conflitti aperti, dal Guatemala, all’Africa,
all’Iraq, alle Filippine. La violenza dilaga e
semina terrorismo e morte, bambini orfani,
centinaia di milioni di profughi, miseria e
distruzioni di massa. La pace, nonostante gli
appelli degli uomini costruttori di pace, è un
miraggio mentre cresce, quotidianamente,
l’angoscia per i Kamikaze islamici e mentre
in paesi come l’Uganda l’esercito della
resistenza contro il governo ha rapito 20.000
bambini per farne dei combattenti. Il mondo
intero, in tutte le latitudini, è una polveriera e
le grandi potenze non sono abbastanza
grandi da rispondere alla violenza diffusa,
con la solidarietà e la forza della promozione
umana dei popoli schiavi del sottosviluppo
economico e culturale e preda, per questo, di
regimi teocratici e disumani.
Purtroppo, a distanza di anni, il mito della
guerra “giusta” perdura ancora nella
coscienza distorta di tanti e la guerra, oggi
molto più distruttiva e perversa, continua ad
apparire, ai soliti noti: industriali delle armi,
capitalisti, politici, funzionari e ufficiali
dell’esercito, come facile soluzione dei
frequenti e problematici rapporti tra gli stati
e le derive nichiliste di movimenti e gruppi
che, sul terrore seminato, in nome del
comunismo, o addirittura, di Dio, o della
razza, ammorbano le società di tutto il
mondo.
Per questo, io credo, che bisognerà lavorare
per una cultura nuova improntata al dialogo,
alla tolleranza di chi non la pensa come noi,
alla non violenza, alla solidarietà e alla
cooperazione fraterna tra i popoli di tutta la
terra, ad una più equa distribuzione della
ricchezza, e, soprattutto, al ripudio della
guerra che non potrà mai essere considerata
compiutamente giusta. Non solo. Bisognerà
guidare le nuove generazioni, già in famiglia,
all’acquisizione definitiva che “la pace non è
semplice assenza di guerra, né si riduce solo
a stabilizzare l’equilibrio delle forze
contrastanti, né è effetto di una dispotica
dominazione, ma è opera della giustizia. Per
la costruzione della pace ( anche in un
piccolo paese come il nostro), sono
assolutamente necessarie la ferma volontà,
da parte di tutti e di ciascuno, di rispettare gli
altri, tutti popoli e la loro dignità” (Gs. 79).
Carissimi, stretti, come ogni anno, attorno a
questo monumento dei nostri caduti,
possiamo sentire il bisogno di trovarci in
sintonia con tutta la storia umana che ci ha
preceduto. Tutta la storia umana, infatti, sia
pure tra mille contraddizioni e tradimenti,
testimonia che l’uomo è un essere destinato
alla pace e che l’imperativo al quale nessuno
può sottrarsi è quello di essere “costruttori di
pace” per essere felici e beati insieme
nell’unica vera patria di tutti che è questa
terra bellissima.
22
BIBLIOTECA
Oggi Famiglia
Novembre 2007
Le Case Editrici sono invitate a inviare pubblicazioni a “Oggi Famiglia”
La rubrica è a cura di Domenico Ferraro
Il diario delle avventure
di Pietro Viggiani
S
di Domenico Ferraro
enza preamboli, con spontaneità e
sincerità, Pietro Viggiani incomincia il
diario dei suoi viaggi di lavoro, che lo
portano in giro per il mondo.
Le sue espressioni sono immediate.
Telegrafico il suo pensiero. Non si sofferma in
inutili riflessioni. La decisione è presa. Vuole
conoscere, vuole vedere, vuole osservare le
differenze dei costumi e delle culture dei
popoli. Per sottrarsi al dorato involucro
familiare, vuole partire. Solo così può
raggiungere la completa indipendenza,
l’autonomia di pensiero, la possibilità di agire
in piena libertà.
Il suo viaggio nella vita si coniuga con il
desiderio di crescere e la volontà di
rapportarsi agli altri, di essere utile e
collaborare allo sviluppo del benessere.
Nella descrizione delle sue vicende non vi
sono parole inutili. Riesce ad essere
essenziale.
Poche
espressioni,
una
colorazione adeguata del linguaggio ed
abbiamo un riquadro, che ritrae la realtà nella
sua razionale e concreta evidenza.
La sua formazione culturale, il suo schema
mentale lo spingono a penetrare in profondità
ciò che osserva, a rilevarne le manifestazioni
più penetranti, ad evidenziarne le sfumature
più significative.
I personaggi, gli amici, i colleghi di lavoro
non sfuggono all’analisi del suo pensiero. Li
inquadra, ne rileva le fattezze, li descrive nelle
loro forme esterne, li fotografa nelle loro
movenze, nei loro gesti, nei loro
atteggiamenti. Dalla esteriorità penetra nel
loro intimo. Rileva il loro carattere, emerge la
loro personalità, il loro temperamento.
Anche il suo linguaggio si adegua alle
situazioni che descrive. Il pennello, che
utilizza, ritrae l’originalità di personalità, che
si caratterizzano per il loro modo di
muoversi, di parlare, di gesticolare.
Abbiamo, così, una miriade di personaggi,
che popolano la sua giovanile esperienza
esistenziale, dai quali apprende la bellezza
della diversità e la varietà della vita.
Pietro Viggiani si sofferma, inoltre, a
descrivere i luoghi e gli ambienti dei suoi
svariati viaggi. Alla sua attenzione non
sfugge nulla. Riesce a rilevare e a individuare
gli aspetti più caratteristici. S’incanta ad
ammirare la bellezza della natura, la
suggestione dei paesaggi, le opere della
civiltà decorsa e quelle della civiltà moderna.
Nota le sue riflessioni e rapporta il suo
pensiero al comportamento umano. Anzi, la
natura vergine e selvaggia, l’ambiente umano
costituiscono, nelle descrizioni, l’elemento
essenziale delle sue considerazioni, della
visione che raffigura.
Pietro Viggiani è giovane, ha un
atteggiamento goliardico nei rapporti con gli
amici. E’ sornione quando scherza. Ama la
vita nelle sue piacevolezze, ma affronta anche
il sacrificio, la sofferenza del lavoro. Non se ne
fa un cruccio. Anzi, sospinge il suo essere a
provare emozioni nuove, a distinguere le
differenze di comportamento. Denota ed
annota quanto avviene intorno a sé. Non
sottovaluta nulla. Il suo pensiero è una pittura
policroma di svariate sfumature.
Gli amici, i conoscenti, l’ambiente di lavoro, i
colleghi costituiscono il suo campo
privilegiato di osservazione, il suo oggetto di
riflessione, di critica, di apprezzamento, di
sferzante ironia.
Qualche volta, in certe situazioni, è anche un
simpatico istrione. Non risparmia nessuno.
Con la sua sferza tagliente gioca a divertirsi.
Gli amici, i compagni di ventura e di
avventura collaborano a rendere l’ambiente
piacevole, divertente. Tutto è affrontato con
spirito spensierato, allegramente. Il lavoro è
una utile opportunità, che costituisce il centro
delle descrizioni di Viggiani. Esso cementa il
rapporto del gruppo di colleghi, che
s’incontrano al di fuori degli impegni,
nell’allegria di una mensa, nella burla degli
scherzi, nella bonomia dei nomignoli con cui
si conoscono e si chiamano.
Viggiani dimostra di possedere una grande
capacità descrittiva degli incontri e degli
scontri delle persone. Infatti, la sua è una
comitiva che sa divertirsi e, anche, litigare. In
questi rapporti vengono messi in evidenza gli
atteggiamenti più buffi, i comportamenti
spassosi, il ridicolo delle smorfie e, infine, la
psicologia più profonda della loro
personalità. Il gruppo si riconosce, non
quando è impegnato nel lavoro, ma solo
quando s’incontra nel divertimento, nella
gioia ironica di scherzare e di rendere la vita
piacevole anche nelle difficoltà.
Le analisi di Viggiani hanno il merito di essere
introspettive. Se apparentemente si sofferma
a descrivere gli aspetti esteriori è solo per farti
intravedere la complessità dell’animo umano,
quegli atteggiamenti che definiscono una
personalità nella sua più autentica originalità.
L’analisi psicologica segue ogni azione, e la
semplicità espressiva, la naturalizza del
linguaggio ne caratterizzano l’esposizione del
pensiero, che non è mai futile, anche quando
vuole apparire superficiale.
In questa formulazione di pensiero si denota
l’abilità stilistica di Viggiani. Una poeticità
soffusa caratterizza situazioni che vive
intensamente, o che, con convinta e sincera
spontaneità, riesce ad inventare.
E’ patetico, non nelle parole, ma nelle
situazioni che analizza. Il suo diario, in fondo,
è una bella pagina descrittiva, che ci sospinge
in un mondo di giovani, che vive le proprie
esperienze goliardicamente e nella più
esasperata ironia, senza rancori e senza
comportamenti offensivi.
In questo maremoto di allegre e spensierate
esperienze, non sfuggono all’attenzione e agli
interessi intellettuali di Viggiani le differenze
culturali, che caratterizzano il suo gruppo di
lavoro e gli aspetti antropologici ed etnici
della popolazione che li ospita. La sua è
Pietro Viggiani,
Il viaggio di Viggio, Robin Edizioni, Roma
www.il-viaggio-di.viggio.it
[email protected]
un’analisi condotta quasi di sfuggita, non
intenzionale. Si sottrae alla noia di una
intellettualità accademica e si evidenzia,
invece, la sua spontanea e semplice
concretezza. Il realismo e il razionalismo,
allora, della sua prosa si caratterizzano per
questo efficiente interesse, che manifesta tutta
la sua realtà nel modo come è vista ed è
vissuta. Il suo viaggio, dunque, è una ricerca
di cultura antropologica, che si radica negli
atteggiamenti della gente ed evidenzia le
contraddizioni che si visualizzano nel
rapporto con i comportamenti occidentali.
Significativa, inoltre, e di rara bellezza, è
l’intercalare di espressioni dialettali o di
lingua inglese. Denotano le proprie radici
culturali e la vanitosa e giovanile importanza
di espletare una funzione professionale di un
lavoro internazionale nel Medio Oriente.
Donano, inoltre, al dialogo quella vivacità
espressiva, che rende la conversazione
intensamente umana e confidenziale.
Non trascura, poi, di descrivere il ricordo dei
piacevoli giorni festivi della sua infanzia. Si
commuove nel riandare con il pensiero alle
persone
care,
quelle
che
hanno
maggiormente determinato la formazione e
lo sviluppo della sua personalità. La
tenerezza e l’affetto lo travolgono. Rimpiange
quei giorni sereni e l’emotività dei suoi
pensieri ti travolge e ti coinvolge nei suoi
stessi sentimenti. Appare, allora, in tutta la
sua intensa capacità espressiva, una
denotazione poetica, che esalta la cultura
originaria e fondamentale della sua
personalità. La lettura del diario di viaggio di
Pietro Viggiani ci insegna a riscoprire non
solo le problematiche lavorative del mondo
postmoderno, la psicologia delle nuove
generazioni, l’immediatezza del loro
linguaggio discorsivo e comunicativo, ma,
anche, la determinante importanza, che
assume, per ognuno di noi, la cultura di un
mondo ridotto ad un piccolo “villaggio
globale”. Dunque, la cronaca del viaggio di
Pietro Viggiani è un’esperienza esistenziale
vissuta e resa viva ed emozionante da uno
stile immediato, fluido, semplice, pittorico, ed
è la storia del costume delle nuove
generazione.
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BIBLIOTECA
Oggi Famiglia
Novembre 2007
Le Case Editrici sono invitate a inviare pubblicazioni a “Oggi Famiglia”
La rubrica è a cura di Domenico Ferraro
Il romanzo tra cronaca,
storia e immaginazione
I
di Domenico Ferraro
l romanzo si snoda tra gli anni della
prima guerra mondiale e la
contestazione giovanile degli anni ‘70.
Gli ambienti e le ambientazioni sono
familiari all’autore. Egli vi s’immerge: li
descrive, li analizza, ne racconta la storia.
Non sfugge alla sua attenzione la
motivazione culturale che muove e
sospinge il comportamento dei numerosi
personaggi che s’incontrano lungo lo
svolgimento del racconto. La natura stessa,
nella stesura degli avvenimenti, assume
una sua propria vitalità e vivacità. Si
sofferma a spiarla, ad evidenziane le
sfumature, a descriverla nella sua autentica
e naturale spontaneità. La natura e le
ambientazioni si identificano con gli stessi
fatti e con i comportamenti dei personaggi.
La bellezza del linguaggio di Gerardo
Gallo, l’originalità espressiva del suo stile
letterario, descrittivo e comunicativo
coinvolgono persone, animali, cose.
I fatti raccontati, i personaggi incontrati, i
luoghi visitati sono letterariamente e
artisticamente inventati da Gerardo Gallo.
La loro rappresentazione è arricchita da un
realistico senso storico e da uno storicismo
narrativo,
che
non
sfugge
al
condizionamento
di
una
cultura
antropologica ed etnologica.
Gerardo Gallo quando si sofferma a
osservare questi personaggi, usa tutta la
sua raffinata e sottile ironia. Sembra che si
compiaccia, e ne condivida il loro verboso
eloquio, che ne esalti il loro fecondo sapere,
la centralità sapiente del loro esistere, la
saggezza delle loro opinioni e la verità
previggente dei loro giudizi. Ma, poi,
affonda nel più amaro disprezzo la vacuità
di una cultura, che si connota di notizie
superficiali, che nessuna relazione hanno
con le vere cause che l’hanno originata.
Essi esprimono il vanto di un vaniloquio,
che caratterizza la psicologia di persone
vanesie, che, solo così, cercano di
primeggiare in un ambiente, il cui costume
di vita non ha alcuna relazione con loro,
ma essi ne esprimono gli aspetti più poveri
e più negativi.
Quando, invece, incontra la vera sofferenza
umana, Gerardo Gallo si commuove e nei
suoi spontanei sentimenti trascina il
lettore. Il suo linguaggio diventa snello,
rapido, sfugge all’attardarsi di parole
superflue. Il colloquio, il dialogo,
l’espressività linguistica assumono la
naturalezza della conversazione familiare,
la colloquialità dell’intimità interiore, la
tenue
colorazione
di
sfumature
psicologiche e sociologiche, che donano al
contesto rappresentato una realistica
concretezza di verità, non solo osservata,
ma, anche, intensamente vissuta.
Il centro vitale del romanzo è costituito
dalla storia di una famiglia calabrese di un
piccolo paese, da dove si osservano, si
giudicano i fatti dell’Italia, dell’Europa, del
Mondo. I costumi, la cultura antropologica
rispecchiano in modo autentico il modo di
essere, di pensare, di vivere della gente.
L’autore stesso si sente partecipe di tali
avvenimenti, di tali vissuti, anzi
sembrerebbe che racconti la propria
autobiografia intellettuale.
Infatti, i comportamenti, gli avvenimenti
costituiscono gli aspetti caratteristici dei
personaggi. Emerge tutta la loro umanità,
la loro speranza, la loro fiducia nel futuro,
nella vita. Nelle vicende della famiglia al
centro del romanzo vi è lo sviluppo di un
costume individuale e sociale, che
consegue dalla condivisione di una
moralità ideale, che ritrova il suo
riferimento nella saggezza del pensiero di
Bossuet. Tale filosofia accompagna,
sostanzia e motiva gli atteggiamenti
esistenziali dei protagonisti. Quando Gallo
si trova a descrivere situazioni di disagio
sociale, di sofferenza materiale e spirituale,
la sua prosa assume l’ampiezza armoniosa
di un canto, che esalta la moralità dignitosa
di chi soffre e l’asprezza di una condanna,
di una politica, che, anche, nella solitudine
di un piccolo paese meridionale ha fatto
risentire i suoi efferati effetti.
La famiglia, dunque, segue il corso della
vita sociale, politica, ed economica della
società.
La chiave di lettura degli avvenimenti,
delle peripezie, delle avventure, delle
persecuzioni, dei fatti che connotano la
storia d’Italia e del mondo è riposta nel
pensiero, nelle idee, nella formazione
culturale dei suoi personaggi. Ognuno
parla il linguaggio della sua personalità,
del suo modo di vedere e giudicare la vita,
i costumi che si sente di condividere.
Gerardo Gallo, mentre costruisce il suo
romanzo, ti fa partecipe della evoluzione
culturale del paese in cui si svolgono le
vicende raccontate, ti descrive il fallimento
ideologico e militare del regime fascista, ti
fa conoscere il dramma di tante vittime
innocenti, analizza come la gente abbia
assorbito e imitato gli atteggiamenti, i
comportamenti,
i
costumi
dei
conquistatori.
La vita dei personaggi muta radicalmente.
In alcuni si percepisce il rimpianto di una
moralità perduta per sempre. Gallo riflette
Gerardo Gallo
Il compasso di Bossuet, Editrice Crathis
sulle
trasformazioni
non
sempre
condivisibili.
Condanna severamente. Il suo giudizio
storico proviene da quelle idealità morali e
filosofiche della dottrina esistenziale di
Bossuet. Egli è il vero interprete di tale
saggezza e la commisura alla personalità
dei personaggi, che più fedelmente
rispecchiano il suo ideale di vita, la sua
concezione esistenziale.
E’ sarcastico, tagliente, è brutale con chi
tradisce i veri valori dell’esistenza. I
personaggi sono la creazione intellettuale e
morale della saggezza, dell’esperienza
sociale e individuale di Gerardo Gallo. La
sua è un’esperienza sofferta, vissuta
emblematicamente nella sua personalità di
studioso e di attento e perspicace critico
degli avvenimenti storici, politici e
culturali.
Gerardo Gallo, attorno ai suoi personaggi,
costruisce la storia dell’Italia, ne riassume
la cronaca, il cambiamento dei costumi, il
rinnovamento economico, la decadenza
morale, l’emancipazione da una ipocrita
tradizionale etica, l’evolversi e la
formazione di una gioventù, che, ormai,
guardava ai miti propinati dalla tv e
provenienti da altre culture, e che non
avevano alcun rapporto con la tradizione
culturale in cui erano cresciuti i loro padri.
La cronaca della contestazione giovanile
degli anni ’70, s’identifica con la scomparsa
dei protagonisti del romanzo.
La loro fine ti sconvolge l’animo, ti
adombra una amara tristezza, ti soggioga
un senso di impotenza e di delusione per
aver visto lentamente scomparire un
mondo che, in definitiva, viveva e si
sostanziava di profonda umanità, di
virtuosa saggezza, di raffinata ironia, di
convinta riprovazione e di condanna del
male individuale e sociale.
24
Oggi Famiglia
Novembre 2007
Lo scoglio di Paganini
S
di Luigi Scarpelli
ta lì, piantato nel Mediterraneo, di
fronte alla Costa Azzurra e a Cannes
la sua perla, Saint-Ferrèol, un isolotto
enigmatico e solitario, sperduto e corroso
dalle onde, popolato da migliaia di
gabbiani, che gli fanno corona come a
una divinità scacciata dall’Olimpo per
colpe misteriose. Codesta concrezione
di roccia, che tanto impressionò Guy
de Maupassant (Sur l’eau), divenne
celebre quando per ben cinque anni
custodì i resti mortali di Niccolò
Paganini, e da allora – 1840 - venne
indicata come “lo scoglio di Paganini”.
Ma chi era Niccolò Paganini? Perché le
autorità ecclesiastiche di Nizza, dopo
averne proibito la tumulazione in un
cimitero, ne esiliarono i poveri resti mortali
su quel solitario isolotto sperduto in mezzo
alle onde del Mediterraneo?
Niccolò Paganini, il più grande violinista
di tutti i tempi, compositore di notevole
livello, nacque a Genova il 27 ottobre 1782,
fu quello che solitamente si definisce un
“fanciullo prodigio”, in un certo senso
figlio d’arte visto che il padre, Antonio,
arrabbiato giocatore del lotto, era anche un
esperto e applaudito suonatore di chitarra
e di mandolino. All’età di otto anni, il
piccolo violinista Niccolò fu costretto a
licenziare i vecchi maestri Servetto, Gnocco
e Costa, che non sapevano che altro
insegnargli e, sponsorizzato dal marchese
di Negro, si recò prima a Firenze da
Salvatore Tinti e poi a Parma dal celebre
Alessandro Rolla. Quest’ultimo, restìo a
essere importunato e, quel giorno,
oltretutto
indisposto,
non
voleva
assolutamente ricevere il giovinetto, il
quale, presente il padre, in un’altra stanza,
scalpitava impaziente. Lì, sul leggìo, c’era
uno spartito aperto su una composizione
dello stesso Rolla; improvvisamente,
Niccolò estrasse dalla custodia il suo
violino(un Gaspare da Salò) ed eseguì
l’intera difficilissima sonata, sbalordendo il
Maestro che, apparso sulla soglia, seppe
solo balbettare <Non ho altro da
insegnarvi…>. Rimase tuttavia a Parma
per avere dal Rolla lezioni di contrappunto
e, nel frattempo, studiava e componeva
musica, la più difficile; provava e
riprovava per molte ore una battuta, un
passo, cercando di ottenere dal suo
strumento effetti assolutamente nuovi e
originali, talora shockanti, che i suoi
predecessori (Corelli, Viotti, Locatelli,
Tartini),probabilmente avevano intuito
senza però attingere i risultati sperati. Va
comunque precisato che nella musica
paganiniana ci sono, è vero, difficoltà
difficilmente sormontabili (I 24 capricci per
violino solo;Variazioni e parafrasi su temi
diversi…), ma anche numerosissime
pagine di incantevole bellezza lirica, che il
violino esalta: gli “adagi” e gli “andanti”
dei sei concerti per violino e orchestra, le
stupende romanze per violino e orchestra o
quelle per violino e piano o chitarra,
melodie di profonda e nobile ispirazione.
Schubert, alla fine di un concerto, così si
espresse:”Ho sentito suonare un angelo”.
Fu paradossalmente la sua eccezionale
bravura di compositore, ma soprattutto di
esecutore – lo scintillio dell’arco sulle
corde, la spettacolarità delle lunghissime
dita sulla smilza tastiera, le ubriacanti scale
e i sonori “pizzicati”con la mano sinistra apprezzata anche da grandi geni
come:Liszt,
Schumann,
Rossini…ad
accreditare la leggenda di un patto da lui
stipulato col Diavolo, e la cosa fu presa
tanto sul serio anche dalla Chiesa che,
come già detto prima, alla sua morte ne
vietò, presumibilmente non solo per la
fantasiosa diceria, la tumulazione del
corpo in terra consacrata. Intanto, i
clamorosi
successi
che
dovunque
salutavano le sue esecuzioni, prima in
Italia, poi in Europa, nella musicalissima
Vienna, a Londra… ne accrescevano la
fama e il fascino. Lui, non bello, quasi
scheletrico, profilo aquilino, occhi ardenti,
lunghi capelli, andatura dondolante, era
diventato in breve e ciononostante l’idolo
delle donne, di tutte le donne: principesse,
marchesine, ma anche popolane – alla
maniera di Don Giovanni - fra le altre, la
principessa di Lucca e di Piombino Elisa
Bonaparte, la di lei sorella, la bellissima
Paolina, la misteriosa Dida, tante,
tantissime altre ne furono volontarie e
soddisfatte “vittime”. Dalla cantante
Antonia Bianchi, di cui forse fu veramente
innamorato, ebbe l’unico figlio, Achille, sul
quale riversò il più puro e sentito affetto di
padre. Se ne son dette tante a proposito
delle sue numerose relazioni con le donne.
A F. Josepf Fètis (musicologo, compositore
e didatta belga) egli stesso racconta tra
l’altro:<…Per esempio si dice che io,
avendo sorpreso un rivale presso la mia
amante, lo avrei ucciso colpendolo
coraggiosamente di dietro, nel momento
in cui egli era fuori combattimento. Altri
pretendono che il furore della mia
gelosia siasi direttamente esercitato
sulla mia amante, ma non tutti si
mostrano d’accordo circa il modo in
cui avrei messo fine ai suoi giorni…>
Ma non fu solo un collezionista di
donne, Niccolò Paganini, ebbe anche,
e sviluppatissimo, il vizio del gioco
fino a punto di dare in pegno e perdere
il violino; e quando se ne ritrovò senza e
doveva dare un concerto a Livorno,
fortunatamente ne ricevette in dono un
altro, un magnifico Guarneri del Gesù, da
un negoziante francese, suo sfegatato
ammiratore, un certo Livron; strumento
che poi lasciò per testamento al municipio
di Genova. Quella infelicissima esperienza
gli servì tuttavia per allontanare e
finalmente perdere il brutto vizio.
Si è pure detto e scritto che Paganini fosse
un avaro. Fu invece un generoso, fece del
bene a tutti i familiari, ai parenti e anche ad
altri. H. Berlioz, ad esempio, grande
musicista francese, alla fine di un concerto
comprendente sinfonie dallo stesso
composte ricevette “…in segno di omaggio
ben ventimila franchi.”.
Eseguì gratuitamente diversi concerti di
beneficenza. Certo non fu uno stinco di
santo Niccolò Paganini, fu l’antesignano
del divismo più spinto, capace di suscitare
ammirazione e fanatismi fino alla follia. Un
grandissimo artista come lui, corteggiato
da una folla di donne, può anche avere, ha,
le sue debolezze, i suoi cedimenti, negli
ultimi anni, peraltro, aggravati dal
pessimo stato di salute: la tisi, oltre ad
indebolirlo notevolmente, l’aveva reso
infatti completamente àfono.
Dopo morto, gli fu così intentato un
processo di eresia, nonostante fosse stato
battezzato il 27 ottobre 1782 nella chiesa di
San Salvatore in Sarzano, per quella sua
vita disordinata e dissoluta, molto lontana
dalla moralità corrente, e, per aver rifiutato
i Sacramenti in punto di morte. Secondo il
Vescovo di Nizza, era proprio il violinista del
Diavolo. L’avvocato Tito Rebaudo, teste a
difesa, invece ammise che veramente Paganini
avrebbe di buon grado trascritto sulla lavagna i
suoi peccati, data la sua grave afonìa.
Possibilità che non gli fu accordata dal
canonico penitenziere P.R.Caffarelli. Un
processo, quindi, senza un alito di
misericordia,
quella
misericordia
implorata dall’Artista nel suo testamento.
A distanza di molti anni, la salma, dopo
molte peripezie, fu definitivamente
trasferita a Parma e inumata nel cimitero
della Villetta.