Nov - Centro Socio Culturale “Vittorio Bachelet”
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Nov - Centro Socio Culturale “Vittorio Bachelet”
Le lacrime di mons. Bregantini di Vincenzo Altomare D Mons. Bregantini opo aver appreso la notizia del trasferimento del vescovo Giancarlo Bregantini, non sono riuscito a trattenere la mia indignazione. E non perché pensi che la lotta per una Calabria libera termini qui, affatto! Anzi, penso che tra i frutti permanenti dell’azione educativa di mons. Bregantini resti, per noi calabresi, una nuova coscienza: quella che ci spinge a diventare un popolo, rinunciando ad ogni forma di rassegnazione e proponendoci tutti “in prima persona” (Vittorio Agnoletto) come soggetti di cambiamento della (e nella) nostra terra. Dunque, nessuna battuta d’arresto. La ‘ndrangheta non si illudi. Né ha vinto, né mai vincerà. Forse potrà condizionare le istituzioni, forse la massoneria deviata ad essa organica potrà premere ancora qualche bottone dalle stanze dei poteri costituiti e asserviti; ma mai potrà spaventarci o anche solo pensare per un attimo che il trasferimento di un uomo-simbolo di questa rivoluzione nonviolenta in Calabria possa essere fermata. No: noi calabresi siamo autori di un processo irreversibile e l’abbiamo irrevocabilmente deciso. Come lievito dentro la pasta di una storia segnata dal sangue innocente versato, vogliamo far crescere la partecipazione dei cittadini, il coraggio della denuncia, la fermezza dell’annuncio, la gioia della rinuncia. La denuncia, per dire che “la paura non ci fa più paura”… L’annuncio di una nuova lieta notizia: ci siamo e siamo decisi più che mai ad impegnarci, insieme e in prima persona, attuando “il potere di tutti”, quell’omnicrazia di cui parlava negli anni sessanta Aldo Capitini, il Gandhi italiano, che libera la democrazia dalle sue pastoie burocratiche e servili; la rinuncia alla vecchia logica clientelare, partitocentrica, deleghista, connivente con chi tenta di ucciderci quotidianamente. In Calabria la risposta di liberazione è già in atto: con il consorzio cooperativo Goel, animato da Vincenzo Linarello; con le denuncie indignate di Pippo Callipo, con i ragazzi di Locri e le mille associazioni che fanno con essa “rete democratica”. Bregantini ha lavorato per questo: ha fatto germogliare fiori nel deserto. Adesso è l’ora nostra, tocca a noi allargare il cerchio della partecipazione. È questa l’eredità di mons. Bregantini. Per questo, non ci sentiamo affatto orfani, ma compagni di strada di un uomo che sarà per sempre presente con noi. IIIa Edizione del Premio Francesco Terracina Testimone di una umanità normale È di Luigi Perrotta sulle splendide note della Corale Polifonica Aura Artis che si apre questa luminosa serata, fresca, come fresche sono le persone e gli entusiasmi che vi prendono parte. Nel bellissimo Auditorium “Giovanni Paolo II” dell’Istituto Tecnico Commerciale “Vincenzo Cosentino” di Rende, si celebra la terza edizione del premio intitolato a Francesco Terracina, persona dalla grande dirittura morale e umana, che si è reso esempio, con la sua vita improntata ai valori e all’onesta generosità, per chiunque cerchi una strada lungo la quale indirizzare la sua esistenza. Il premio, organizzato e indetto dal Circolo Culturale “Vittorio Bachelet”, ma esteso su scala nazionale, è stato suddiviso in Tavola Presidenza due categorie di concorso: pittura e poesia, espressione dei risvolti più sinceri e riposti dell’animo umano, orientate verso un tema Segue a pag. 2 La famiglia è stata uccisa La violenza tra gli studenti C di Francesco Gagliardi osa sta succedendo oggi mentre scrivo nel mondo della scuola? Cosa sta succedendo nelle Università italiane e straniere? In Finlandia un ragazzo di appena 18 anni è entrato con la pistola in pugno in un liceo e ha compiuto una strage. Ha ucciso la Preside dell’Istituto e sette studenti e una dozzina di allievi sono rimasti feriti durante il corso Segue a pag. 4 2 Oggi Famiglia FAMIGLIA Novembre 2007 IIIa Edizione del Premio Francesco Terracina Testimone di una umanità normale di Luigi Perrotta Corale Polifonica: Aura Artis Continua da pag.1 comune, La vita è… Coordina la serata il Presidente della Terza Circoscrizione di Cosenza, Antonio Farina, il quale, dopo i saluti e i ringraziamenti di rito, cede la parola al Preside dell’Istituto Commerciale, Mario Nardi, che plaude l’attività culturale promossa dal Circolo Culturale “Vittorio Bachelet”: esso, infatti, “con dedizione seria e grandi risultati, applica politiche giovanili rilevanti, nonché si fa fautore di iniziative culturali e formative di grande spessore. I giovani amano la poesia e la pittura”, continua il Preside Nardi, “esse sono aspetti che fanno parte della loro vita. Al Circolo va il merito di coinvolgere i giovani con grande interesse verso tematiche sempre di notevole valore”. Il breve intervento del Preside cede il passo a quello dell’Assessore Gagliardi, il quale stigmatizza l’andamento della Calabria attuale mentre esalta quella Calabria rivolta all’approfondimento e alla cultura che rappresenta il sale della terra in vista di una prospettica crescita futura. “Abbiamo un enorme problema culturale”, dice l’Assessore, “è grande e va affrontato con grande determinazione. Il ’68 è stato il movimento più importante perché con la sua opera rivoluzionaria ha concesso a tutti un’opportunità sociale nella vita: c’era, infatti, la necessità di accedere alle professioni e ai mestieri da parte del popolo. Ma l’obiettivo di quella generazione era la crescita culturale, obiettivo verso il quale oggi ci si rivolge con stanchezza. La scuola italiana è debole, ma la responsabilità non è solo della scuola in quanto tale: bisogna intervenire sul piano istituzionale per portarla a quel livello selettivo, formativo e specialistico cui dovrebbero giungere gli studenti che la frequentano. “Per questo”, conclude Gagliardi, “ringrazio il Circolo Bachelet per la sua dedizione alle problematiche giovanili e familiari”. È il turno del Presidente del Circolo Bachelet, Maria Antonietta Filice, che legge il telegramma del Presidente della Repubblica, Giorgio Napoletano, che si dice dispiaciuto per non essere presente, ma promuove in maniera assoluta l’iniziativa del premio Terracina: “Il Presidente”, recita il documento del Quirinale, “esprime il suo apprezzamento al Circolo Culturale Bachelet per l’attività costante e per l’impegno verso l’educazione dei giovani e la vicinanza al contesto familiare”. Si passa quindi alla seconda fase del programma, quella delle testimonianze, in cui il primo a prendere la parola è Mons. Vincenzo Filice, che, in un crescendo intriso di commozione, ricordo e ferma rievocazione della personalità dell’amico Francesco Terracina, ci traduce risvolti e stati d’animo di “una persona squisita e incrollabile, una colonna del nostro Circolo. Francesco Terracina era una figura pregnante, affettuosa, limpida di educatore e di cittadino normale, intendendo normale in tutto il suo valore etimologico originale. Egli rappresentava la norma, che deve essere il principio ispiratore e regolatore della nostra società. Normale è ciò che rende uomo l’uomo. Nella confusione odierna, dove si scambiano il giusto con l’errato, la vita di Francesco, priva di caratteri ridondanti ed eccessivi, era carica e imbevuta di questa normalità. Tratto del suo modo di vivere era infatti la mitezza, che inevitabilmente declinava in tenerezza. Grazie a questo splendido aspetto della sua vita, egli era un uomo sereno, potremmo dire luminoso. Chi non possiede la virtus della mitezza, infatti, è un’anima inquieta: il mite non ha fretta, aspetta, ha pazienza, proprio come “Ciccio”. Egli infatti, nelle pagine del suo diario, si fa portavoce di messaggi sublimi e delicati, impastati e cimentati dal suo superiore rapporto con Dio. Scrive: “Signore, illumina sempre i medici perché sotto la tua guida possano essere gli strumenti con cui tu operi su di noi”. È chiaro che la sua fede era forte, la sua speranza rivolta sempre verso l’Altissimo. In questo sta la mitezza dell’uomo: nell’apertura verso gli altri e nell’abbandono più totale a Dio: “Ho bisogno dell’aiuto di Gesù per superare il momento di dolore”. Da ciò emerge il fatto che la mitezza diviene dominio di sé: Terracina era un uomo mansueto, dolce, proprio come San Paolo voleva che fosse il suo discepolo Timoteo. E Ciccio era un discepolo mite. Il suo tratto gentile, pacato, affabile fece sì che egli fosse amato con simpatia e affetto da tutti. Era un uomo di fede, una fede pensata, motivata, che non consente né la demonizzazione della croce, né l’abbandono alla commiserazione e alle lagnanze. La sofferenza gli ha fatto aprire tutte le finestre dell’anima, laddove il suo declino è stato preludio dell’alba di un giorno nuovo: “La mia anima si isola ed è bello stare così con te”, dice, con una forza e una semplicità esemplari; “Mi affido a te, perché possa vivere attraverso i medici”; e ancora: “Senza il tuo aiuto non sono capace di nulla: dammi la forza per affrontare la sofferenza”. Concludendo il suo intervento, Mons. Filice ci invita a ritrovare la normalità umana, della cui azione l’uomo ha così disperatamente e ineluttabilmente bisogno, proprio come la testimonianza vivente di Francesco Terracina palesemente ci ha mostrato. L’altra testimonianza viene da Rosanna Turano, che ricorda come “la vita di Franco è stata ricca e intensa e questo concorso di pittura e poesia lo fa rivivere proprio sotto questi aspetti e Francesco Terracina non deve diventare solo un nome, ma un’immagine, un’icona esemplare. Puntiglioso, preciso, non è possibile ricostruire la sua vita per chi non lo ha conosciuto, ma egli non era un uomo qualunque: era una persona straordinaria, pervasa dalla scintilla della tenerezza, dell’affabilità, della bontà, della generosità. Ha combattuto e lottato per raggiungere i suoi orizzonti e ha concluso la sua vita magnificamente come un sole al tramonto che inonda tutto il firmamento e i cui raggi ci scaldano e ci scalderanno ancora”. Terminate le testimonianze, in attesa di proclamare i vincitori del premio, si esibisce nuovamente la suadente Corale Polifonica Aura Artis, che ci regala momenti di autentico lirismo, con l’esecuzione di madrigali molto toccanti. Terminata la performance, vengono per primi attribuiti i premi speciali: premio per la Solidarietà e Legalità al Centro “Roberta Lanzino” (perché punto di riferimento per tutte le donne deboli e in difficoltà) e alla Comunità “Arca di Noè” (perché ha fatto della solidarietà il proprio stile di vita). Premio per la Scuola al professor Vincenzo Stancati, per l’eclettismo che lo caratterizza e la generosità che lo rende unico e amabile. Vince il primo premio per la pittura: Luigi Migliano, per aver espresso con slancio e sapienza coloristica un connubio lirico tra epurazione e astrazione. Menzione di merito con targa va alla signora Adriana Scola e alla signora Rosina Tonissi, entrambe per aver evocato con delicata passione il fascino cromatico della natura. Il premio per la pittura giovani va a Maria Clara Cariati, per l’originalità e l’equilibrio compositivo dell’opera. Per la poesia vincono ex aequo il primo premio la signora Daniela Bruni Curzi e Pino Veltri, mentre il premio per la poesia giovani va, sempre ex aequo, ad Aldo Ruffolo e Pasquale Baffa, entrambi studenti dell’Istituto Commerciale “Cosentino”. Menzione speciale per la poesia, con targa, va al professor Francesco Gagliardi, validissimo reporter del Circolo Bachelet. 3 Oggi Famiglia FAMIGLIA Novembre 2007 Premio Terracina 2007 I l 28 ottobre 2007 presso l’Istituto Tecnico Commerciale Statale “V. Cosentino” di Rende ha avuto luogo la premiazione del Premio Nazionale di Poesia e Pittura “Francesco Terracina” terza edizione patrocinata dal Centro Socio-Culturale “V. Bachelet”, Atlas e C, Associazione Genitori e EventoArte. Ha coordinato i lavori il Presidente del Premio il dott. Antonio Farina. la sua vita alla famiglia, alla scuola, alla società che hanno commosso tutti i presenti in sala. Il ricordo di questo educatore, morto alcuni anni fa, non si è ancora perduto nel tempo come ha voluto evidenziare uno dei premiati della bella serata. Francesco Terracina è stato un uomo buono, mite, semplice, disponibile, che ha speso tutta la sua vita donandosi agli altri. Ed oggi tutti lo ricordano con affetto. Non si è messo in evidenza, non è diventato famoso perché ha partecipato ai “reality” Premio di Pittura: Luigi Migliano Sezione giovani: Maria Clara Cariati di Francesco Gagliardi Sono intervenuti il Preside dell’ Istituto Prof. Mario Nardi e il Prof. Gagliardi in rappresentanza del Comune di Rende e della Provincia di Cosenza e l’Insegnante Maria Antonietta Filice, Presidente del Centro Socio-culturale “V. Bachelet”, che ha letto una lettera inviata dal Presidente della Repubblica On. Giorgio Napoletano. Hanno testimoniato Mons. Don Vincenzo Filice, direttore del periodico “Oggi famiglia” e la Prof.ssa Rosanna Turano Presidente dell’Atlas. Toccanti le parole di Mons. Filice nel ricordare la figura di Francesco Terracina, che ha dedicato tutta Attestato di merito: Adriana Scala Sezione Poesia: Pino Veltri televisivi o ha “ballato sotto le stelle”. Ha sofferto tantissimo negli ultimi anni della sua vita terrena, ma non si è mai lamentato di nulla. Ha sempre confidato in Dio e nella sua misericordia. Sezione artistica giovani: Maria Clara Cariati di Cosenza Sezione artistica adulti: Luigi Migliano di Rota Greca Sezione poesia giovani: 1° Premio ex-equo Aldo Ruffolo di Cosenza e Pasquale Baffa di Cosenza. Sono stati premiati: Attestato di merito con targa: Rosina Tonissi di Cosenza e Adriana Scola di Cosenza Sezione poesia adulti: 1° Premio ex-equo Daniela Bruni Curzi di San Benedetto del Tronto e Pino Veltri di Rende Una segnalazione di merito con targa ricordo è stata consegnata al nostro collaboratore del giornale “Oggi famiglia” Prof. Francesco Gagliardi per la poesia “Dolce ricordo di un amico scomparso”. A tutti i partecipanti al Premio “Terracina” sono stati consegnati i Diploma di partecipazione. Riconoscimenti speciali per Scuola Legalità e Solidarietà con targa a: Prof. Vincenzo Scarnati Fondazione “Roberta Lanzino” Comunità “Arca di Noè”. Sezione Poesia giovane: Aldo Ruffolo Riconoscimento per la Solidarietà: Comunità “Arca di Noè” Segnalazione di merito: Francesco Gagliardi Riconoscimento per la legalità: Fondazione “Lanzino” Ha concluso la serata la Corale Polifonica “Aura Artis” diretta dal Maestro Lorenzo Donati di Arezzo. Riconoscimento per la Scuola: Vincenzo Scarnati 4 Oggi Famiglia FAMIGLIA Novembre 2007 La famiglia è stata uccisa La violenza tra gli studenti di Francesco Gagliardi Continua da pag.1 della sparatoria durata a lungo. Quando sono arrivate le forze dell’ordine il ragazzo si è barricato in un’aula scolastica e si è sparato al volto. A Perugia, bellissima città dell’Umbria, una ragazza inglese molto bella e di appena 22 anni che frequentava l’Università degli stranieri è stata barbaramente sgozzata dall’amica americana, anche lei venuta a Perugia per studiare e che divideva con lei la stessa camera. C’è qualche relazione tra il crimine perugino e la strage finlandese?. Certo che c’è. Tutte e due sono state annunciate tramite computer. Il computer, questo aggeggio che ha sconvolto la vita e le abitudini di grandi e piccini, è il vero e unico protagonista delle tristi vicende. Eppure sono due fatti lontani tra di loro maturati in due contesti diversi, in due nazioni completamente diverse non solo per la lingua, ma anche per gli usi, il costume, la religione. La strage della scuola di Tuusula era stata annunciata dal protagonista attraverso il computer tramite internet come pure la violenza, lo stupro e l’uccisione della ragazza inglese. Sia l’assassino finlandese sia la ragazza americana avevano spedito, il primo attraverso il famoso sito internazionale You Tube, le immagini che lo ritraevano con una rivoltella in mano nell’atto di compiere il suo atto criminale, la seconda aveva confessato in un racconto pubblicato in un blog le vicende di una ragazza stuprata e sgozzata. You Tube e Blog sono due diavoleria di internet che i ragazzi di oggi sanno usare alla perfezione. Passano ore ed ore davanti al computer dimenticando spesse volte la compagnia, l’amicizia e l’amore vero e non virtuale. In tutte e due i casi, così ha scritto Vincenzo Cerami:- Non si è trattato di semplici, morbose fantasie: dal vaneggiamento si è passati alle vie di fatto. Il primo spara veramente uccidendo i suoi compagni di scuola, la seconda assiste alla morte per soffocamento della sua amica-. Continuando di questo passo, mentre ci accingiamo a leggere questo articolo, al delitto di Perugia e alla strage di Tuulusa si aggiungeranno altri delitti efferati, magari con scenari differenti, ma aventi come protagonisti solo e sempre la scuola, gli studenti, le preside, i bidelli, gli insegnanti. C’è da rabbrividire. La vita delle persone non conta più niente, il rispetto per la persona non esiste più, l’amore non ha più valore, l’amicizia una parola banale e vuota di significati. Sono molto preoccupato e spaventato mentre scrivo sul mio computer. E penso, con le lacrime agli occhi, alle vite distrutte e a questi giovani che entrano prepotentemente nella quotidiana cronaca nera riempiendo le pagine dei giornali per le loro gesti criminali. Per quaranta anni sono stato un insegnante e ho sempre cercato di insegnare ai giovani i veri valori della vita, mai avrei voluto leggere che quei valori ai quali la mia generazione ha sempre creduto venissero calpestati e distrutti. Stefano Zecchi ha scritto che la scuola, l’Università non hanno responsabilità. -La vera responsabilità della scuola è di non sapere, volere, potere premiare chi merita, ma i giovani criminali di cui stiamo parlando non hanno il nulla al posto del cervello per colpa della scuola, non hanno un pezzo di pietra al posto del cuore per colpa della scuola-. Questi giovani protagonisti di questi orribili delitti le cui foto sono state sbattute in prima pagina di tutti i giornali italiani e stranieri, hanno una famiglia? Sì che ce l’hanno. Spesse volte questo ce lo siamo dimenticato e non mi stancherò mai di ricordarlo e di scriverlo. Ma quale famiglia oggi hanno? Hanno un padre o una madre? Dove sono stati cresciuti? Hanno vissuto in campagna o in città dai nonni? Chi hanno frequentato? Che educazione hanno ricevuto? Sono stati lasciati soli? Quanto tempo sono stati davanti al televisore? Che uso hanno fatto del computer? Quanti siti erotici hanno visitato? I genitori sono stati sempre presenti, assenti o disattenti? I ragazzi di cui noi stiamo oggi parlando provengono da una famiglia unita oppure dove i genitori sono separati e che il padre vede i propri figli soltanto una volta alla settimana e per una sola ora? Mamma e papà lavorano? Hanno un lavoro precario? Riescono ad arrivare alla fine del mese con il basso salario che percepiscono? Se la famiglia tradizionale non esiste più, se in famiglia non c’è più un papà che può essere preso da modello dai figli, una mamma che riesce a parlare e dialogare con i propri figli, per forza i ragazzi di oggi, di fronte ai pericoli e agli insuccessi sia essi amorosi, scolastici, lavorativi, essendo molto fragili, non sapranno reagire e affrontare la vita. Chi dovrebbe dare a un giovane la forza di rialzarsi dopo una sconfitta, se non la sua famiglia? Così conclude Stefano Zecchi un suo articolo sul “Giornale” :-I padri non ci sono più: è la prima figura sociale che è stata falciata nella sua autorevolezza e nella sua funzione da una cultura modesta e crudele che ha negato il valore della famiglia-. il mensile della famiglia CONTRIBUTO VOLONTARIO PER IL 2008 1) Contributo ordinario e 12,00 1) Contributo amico e 20,00, con regalo un libro di Vincenzo Filice, “Leggere la Storia”, o “Enrico VII di Svevia e le tombe regie di Cosenza”, di V. Napolillo. 3) Contributo Più e 40, con regalo il libro di Vincenzo Filice, “Leggere la Storia”, e “Enrico VII di Svevia e le tombe regie di Cosenza”, di V. Napolillo. 4) Contributi Enti e Sponsor e 60, con regalo libri “Leggere la Storia”, “Dentro la memoria”, “Questioni di bioetica” e “Enrico VII di Svevia e le tombe regie di Cosenza”, di V. Napolillo. 5) Contributo sostenitore e 100 con regalo i libri Edizione SeF. Recati presso il più vicino ufficio postale ed effettua il versamento prescelto Sul C/C n. 12793873 intestato a “Oggi Famiglia” - Corso Luigi Fera, 134 – 87100 Cosenza – Tel./Fax 0984 483050 Si avvisano i signori lettori che il c.c. postale viene utilizzato come indirizzo e serve una sola volta per il contributo volontario 5 Oggi Famiglia FAMIGLIA La fragilità dei legami affettivo-amorosi fra i giovani L di Giovanni Cimino a fragilità dei legami affettivi fra i giovani è presente, oggi più che mai, nella nostra società. La fragilità trova terreno fertile se i genitori non hanno dato un buon esempio ai propri figli. La famiglia ha il dovere e la responsabilità di dare un buon esempio, se tutto questo non avviene la fragilità non tarda a manifestarsi, già in età adolescenziale, nelle diversificazioni già verificatisi e in altre nuove e imprevedibili, che vanno ad arricchire negativamente le prime Fra le molteplici diversificazioni emergono quelle amorose che, generalmente, hanno inizio intorno ai quindici anni, ma con approcci ancora prima. Sono le prime esperienze affettive fra i due sessi e, nella maggioranza dei casi, hanno fine dopo alcuni mesi o al massimo un anno. I legami affettivi fra due giovani alle prime difficoltà spesso si sciolgono come neve al sole. In tutto questo subentrano l'impreparazione e la superficialità con la quale si affronta un rapporto. I legami affettivi diventano più duraturi nella maggiore età. Molte coppie che si formano, convivono senza sposarsi. La causa di tutto questo è soprattutto quella della mancanza di un lavoro sicuro. Un fattore negativo, da non sottovalutare, è quello esterno, che con le sue tentazioni porta a cedere, a non resistere. Le tentazioni si presentano ad ogni angolo della strada, dove i mali della società sono in agguato, prima fra tutti la droga. Vi sono, poi, canali di informazione che inquinano le menti dei giovani non preparati e temprati alle difficoltà della vita. E, inoltre, sono da includere le cattive compagnie, che conducono alla devianza. La fragilità può portare, in casi estremi, anche al suicidio o all'omicidio. Fra i due occupa il primo posto l'omicidio, e, infatti, apprendiamo spesso dalle fonti di informazione che ex fidanzati diventano assassini perché sono stati rifiutati, non riaccettati a continuare una relazione affettiva ormai finita. La responsabilità di quanto avviene è, prima di tutto, dei giovani, ma le cause sono da ricercarsi nel nucleo familiare, poi anche nella scuola, nella classe politica dominante e nella chiesa. Una famiglia sana è difficile che Le famiglie e le case E di Massimiliano D’Acri mergenza casa in Italia. L’attacco del pezzo pubblicato su “La Stampa” non è dei più originali, ma lo studio di Nomisma – che trova spazio su molti quotidiani – non lascia molti dubbi sulla portata del fenomeno. Complessivamente le famiglie in difficoltà sono 3,6 milioni. Per Nomisma, scrive il quotidiano diretto da Giulio Anselmi, «una famiglia si trova in condizioni di disagio quando spende più del 30% del reddito disponibile per l’abitazione. In questa condizione si trovano soprattutto le famiglie che affittano casa: su 4,5 milioni di nuclei, più di un terzo (1,7 milioni) si trova in una condizione precaria, non riesce a pagare il canone. La percentuale scende a circa il 10% per i proprietari; sono 1,9 milioni su 18,5 milioni le famiglie in difficoltà con la rata del mutuo». Del resto, i costi degli affitti parlano chiaro: «Servono quasi mille euro per affittare una casa di 80 metri quadri nella periferia di Firenze, Milano e Roma». In una condizione simile il canone «può pesare fino all’80 per cento del reddito». Ad aiutare la popolarità dell’esecutivo, il titolo nella stessa pagina di un retroscena sulla Finanziaria in via di definizione firmato da Stefano Lepri: «Ma il governo frena sugli sgravi fiscali». Casa dolce casa. Perché in Italia si esca dall’emergenza sono in molti a guardare alla Finanziaria. Sia sul fronte fiscale con il taglio dell’Ici e gli sconti sugli affitti. Sia sul fronte di un nuovo piano di edilizia residenziale. E proprio la casa, secondo il ministro delle infrastrutture Antonio Di Pietro, dovrebbe rappresentare il cuore della prossima manovra. Nel corso della conferenza nazionale sulle politiche abitative che si è aperta il 20 settembre a Roma alla Luiss, il ministro ha spiegato che le risorse necessarie per la realizzazione del piano casa dovranno essere pari a 1,7 miliardi di cui 530 milioni per far fronte all’emergenza abitativa e tra 1 e 1,2 miliardi di euro per l’edilizia residenziale. «Il governo deve inserire il piano casa in questa Finanziaria, per rilanciare l’edilizia residenziale pubblica e risolvere le emergenze» relative agli sfratti”, ha spiegato Di Pietro secondo cui nel pacchetto in 12 punti sulla casa figurano anche l’esenzione Ici per gli alloggi degli enti locali e per gli ex Iacp, la stabilizzazione degli sgravi al 36% per le Novembre 2007 generi giovani soggetti ad essere fragili nei legami affettivi. Una società si riconosce nella scuola, se la scuola non funziona, non educa e non prepara alla vita. Inoltre, la scuola non immette nel mondo del lavoro; diventa spesso una sorta di parcheggio. Il potere politico dominante ha il dovere di guidare un Paese, poiché i suoi rappresentanti sono stati eletti dal popolo; esso deve dare le direttive e mantenere alti i valori della vita; deve assicurare un domani lavorativo ai giovani e dare esempi positivi di comportamento. La chiesa deve interessarsi sia allo spirito, sia operare nel sociale. Famiglia, scuola, potere politico dominante e chiesa hanno compiti importanti da assolvere, e tutti insieme sono tenuti a dare buoni esempi, purtroppo nella realtà quotidiana sono presenti, anche e spesso, esempi negativi e la cronaca nera riempie pagine di giornali e spazi televisivi. I legami affettivi deboli, prima o poi, si spezzano, non resistono e cedono facilmente alle tentazioni e agli esempi negativi presenti nella società odierna. Legarsi ad un'altra persona affettivamente, non è una moda che passa, o l'appagamento di prestazioni sessuali, ma è molto di più, che sprofonda nei valori della vita, nella religiosità dei rapporti, avere stima reciproca e rispettarsi, stare insieme con amore e per amore e, in due, sentirsi una sola persona. ristrutturazioni, 530 milioni di trasferimenti diretti ai comuni nel 2008, l’utilizzo di immobili militari nonché detrazioni fino al 30% per chi affitta a canone concordato il fondo per il sostegno agli affittuari. E se per il viceministro all’economia, Roberto Pinza, la discussione sulla casa inizierà già oggi in consiglio dei ministri, il ministro della famiglia Rosy Bindi ha insistito sul fatto che «quando i soldi sono pochi bisogna inverventi mirati alla massima equità sociale». Nell’augurarsi che un piano per la casa possa essere finanziato almeno nella prima parte con la Finanziaria, la Bindi è intervenuta sia sul taglio dell’Ici (a patto che si tenga in debito conto il reddito familire e il numero dei componenti di ogni nucleo») sia sugli affitti (perchè si possa dedurli dalla dichiarazione dei redditi). In ogni caso per Pinza è un dato indiscutibile che «la bandiera della casa sia presente in qualche modo in Finanziaria». Sullo stesso tasto ha battuto anche il ministro delle politiche giovanili, Giovanna Melandri, secondo cui nel settore delle politiche abitative esiste un problema specifico per i giovani che va affrontato sia dal lato dell’offerta che da quello della domanda «con nuove case low cost e anche con lo strumento del social housing». E se il ministro delle politiche sociali Paolo Ferrero si è detto contrario a un taglio generalizzato dell’Ici, che invece dovrebbe essere agganciato ai redditi a partire dai più bassi, il 15,7% delle famiglie italiane, corrispondenti a poco più di 3,6 milioni di nuclei, vivrebbe per Nomisma in forte disagio abitativo con un canone d’affitto o una rata del mutuo che pesa per oltre il 30% sul reddito. 6 Oggi Famiglia FAMIGLIA Caro Bimbo A di Lina Pecoraro ppartieni all’anno zero………infatti, hai soltanto una consistenza fisica nell’ecografia, nella rotondità di tua mamma. Certo non si sono fatti molti calcoli per permetterti di venire al mondo: altrimenti per te non sarebbe mai stato il momento “ giusto”, come per tanti feti risucchiati dal caldo ventre materno, per diventare spazzatura. Hai attirato subito l’attenzione su di te: si sono centuplicati gli odori, i sapori, le analisi, i testi da consultare, i gomitoli di lana, le preoccupazioni, le notti per avvertire la tua presenza, prima quasi un battito di ali, poi sempre più definita, perché stesa al buio, lei ti sente meglio. Alcune settimane sono volate, altre sono state interminabili…… Adesso si fa già il conto alla rovescia.. L’attesa è scandita da ogni tuo piccolo movimento, dal dolore che è vita…… Mai la sofferenza è tanto sublimata come nel momento di mettere al mondo un piccolo essere……Ma chi sarai, piccolo sconosciuto, già tanto amato? Ti immagino fissando, con più attenzione, i bambini, che giocano, che camminano……forse avrai……forse sarai…… Ma poi ti preferisco come sogno indefinito. Penso già a te, come creatura da difendere in una giungla, come direbbe qualcuno, “liquida”, senza nessuna consistenza, in una realtà dove si chiede di vedere tante brutture, come se questo fosse il mondo migliore per combatterle. Piccolino, apri subito gli occhi: c’è tanto di bello da vedere; apri la mente: c’è tanto di giusto da conoscere; spalanca le braccia: c’è il mondo da racchiudere; apri il tuo cuore: c’è tanto amore da dare. Tenteranno di strattonarti da una parte all’altra, per evitare di pensare, come stanno facendo con questa generazione di ragazzini, ubriachi di vuoto, imbambolati da video games e da televisionespazzatura. Loro si battono per una libertà che, per assurdo, come in un vortice, tenta di travolgerli, perché è distorta allo stesso modo della realtà vista attraverso l’effetto Novembre 2007 di una droga o dell’alcol. Come per la tua crescita, ci vorranno gambe sempre più robuste, che ti eviteranno di barcollare, acquisendo sempre più stabilità e speditezza. Per un po’ camminerai sulle spalle degli adulti che ti daranno radici ed ali, poi, quando spiccherai il volo, abbi lo sguardo rivolto al cielo, ma sempre non perdendo di vista gli ostacoli e gl’imprevisti Non avventurarti in sentieri tortuosi, ma scegli la via maestra, con un’adeguata attrezzatura per un lungo viaggio. Sbaglierai mille volte, la perfezione non è degli umani, ma sempre rialzati con la gioia nel cuore e la serena accettazione dell’errore. Ti aspetta un mondo d’amore il nostro. Il 1 novembre 2007, in Campobello di Mazzara (Trapani), è deceduto il signor Saverio Falco uomo generoso, dedito alla famiglia e sempre disponibile ad aiutare il prossimo. Il Direttore di “Oggi Famiglia”, la Redazione, il Presidente e i componenti del Centro Socio Culturale “V.Bachelet” si uniscono al dolore della famiglia e porgono alla sorella Anna Falco, socia del Circolo e al cognato Gino Vinceslao, Vice Presidente, le più affettuose condoglianze per il lutto che li ha colpiti. 7 Oggi Famiglia FAMIGLIA Novembre 2007 L’embrione umano – oggetto o persona? Parte 1°: Lo zigote “P di Artur J. KATOLO rodotto del concepimento”, “ovocellula fecondata”, “amasso delle cellule” – è il vocabolario usato spesso per nascondere la verità che riguarda l’embrione umano. Questo vocabolario serve anche per tranquillizzare le coscienze... L’aborto? Ma qui si tratta soltanto d’eliminare il “prodotto del concepimento”. Spreco degli embrioni durante la fecondazione artificiale in vitro (non lo so perchè chiamata “riproduzione medicamente assistita”?) – ma questo è soltanto eliminazione “dell’amasso delle cellule”. Noi, quando diciamo che l’embrione umano è la persona umana, spesso veniamo accusati, che la nostra convinzione deriva dalla fede (considerata come sentimentalismo), e che questa convinzione è priva del fondamento scientifico. Per rispondere alle accuse vorrei dimostrare che cosa dice oggi la genetica e l’embriologia in riguardi. Dopo aver fatto questa dimostrazione biologica, negli articoli seguenti, passerò all’argomentazione filosofico-teologica e risponderò alle alcune accuse. Il “concepimento” di un individuo umano è il punto finale di un complesso processo – “processo di fertilizzazione”. Questo processo consiste di parecchie tappe che avvengono in un ordine obbligato1, che inizia immediatamente quando lo spermatozoo aderisce al compatto rivestimento extracellulare dell’oocita, la zona pellucida, alla quale si lega strettamente attraverso la mediazione dei recettori2. Il primo spermatozoo che raggiunge l’esile spazio perivitellinico (situato tra la zona pellucida e la membrana plasmatica dell’ovocita), può fondersi con quest’ultima, dando immediatamente avvio alla singamia (l’inglobamento dello spermatozoo nell’ovocita)3. A seguito della fusione dei gameti s’inizia lo sviluppo embrionale. Espressione di questo sviluppo sono le variazioni nella composizione ionica dell’oocita: si nota un improvviso e transitorio aumento della concentrazione intracellulare degli ioni calcio sotto l’azione dell’oscilina, che induce la propagazione “dell’onda ionica” detta “onda del calcio”. La presenza dell’onda del calcio è segno, che è apparso il nuovo organismo unicellulare (lo zigote), che si sviluppa4. Lo zigote incomincia ad operare come un sistema unico (come una unità). Una delle prime attività del nuovo essere (ancora unicellulare) è la reazione corticale, che porta all’inattivazione dei recettori spermatici nella zona pellucida e all’indurimento della stessa, impedendo così la plispermia e favorendo l’isolamento e la protezione del nuovo essere che segue il suo proprio ciclo vitale5 . L’altra attività dello zigote è la riorganizzazione del nuovo genoma. Quest’attività è più importante, perchè il genoma rappresenta il centro principale d’informazioni per lo sviluppo del nuovo essere umano e per tutte le sue ulteriori funzioni. Il processo della riorganizzaione del genoma si avvia entro tre-sei ore dall’incorporazione dello spermatozoo. I due pronuclei, primo derivante dallo spermatozoo, secondo dall’oocita, si accostano strettamente l’uno all’altro. E’ la fase detta cariogamia, che si verifica attorno alla 15° ora dalla fertilizzazione6 . L’esposizione di questi dati essenziali sulla formazione dello zigote ci indicano con tutta la evidenza: 1. Alla fusione dei gameti incomincia a operare come una unità una nuova cellula umana, dotata di una nuova ed esclusiva struttura informazionale che costituisce la base del suo ulteriore sviluppo. 2. Lo zigote esiste ed opera dalla singamia come un essere ontologicamente unitario, e con una precisa identità. 3. Lo zigote è intrinsecamente orientato e determinato ad un ben definito sviluppo. L’identità e l’orientamento sono essenzialmente dovute alla informazione genetica di cui lo zigote è dotato. 4. L’informazione genetica (sostanzialmente invariante!) è il fondamento della appartenenza dello zigote alla specie umana e della sua singolarità individuale. Quest’informazione contiene un completo programma codificato, che lo dota di enormi potenzialità morfogenetiche che si realizzeranno autonomamente e gradualmente durante il processo epigenetico rigorosamente orientato. 5. Queste potenzialità dello zigote sono le capacità naturali intrinseche ad un essere, che è già esistente, di realizzare, nelle dovute condizioni, l’intero piano codificato7 . Concludendo dobbiamo dire che non hanno ragione quelli, che dicono: non si sa da quando inizia la vita umana. La genetica ed embriologia ci dimostrano molto precisamente quando inizia la vita umana. Umana, perchè lo zigote umano deriva dalle gamete umani, non dell’elefante o del cane. Dalle gamete dell’elefante sempre deriverà un elefente; dalle gamete del cane deriverà sempre un cane; dalle gamete umane derivarà sempre un uomo. 1 Cfr. P. M. Wassarman, The Biology and Chemistry of Fertilization, “Science” 1987, n. 235, p. 553-556; A. Serra, R. Colombo, Identità e statuto dell’embrione: il contributo 2 Cfr. P. M. Wassarmam, Zona Pellucida Glycoproteins, “Annual Review of Biochemistry 1988, n. 57, p. 415-442; K. Ostrowski, Embriologia czlowieka, Ed. PZWL, della biologia, in: Pontificia Academia Pro Vita, Identità e statuto dell’embrione umano, Ed. Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1998, p. 130. Warszawa 1988, p. 20-21; M. G. O’Rand, Charecterization of the Human Zona Pellucida from Fertilized and Unfertilized Eggs, “Journal of Reproduction and Fertility” 1988, n. 82, p. 151-161; A. Serra, R. Colombo, Identità e statuto dell’embrione: il contributo della biologia, in: Pontificia Academia Pro Vita, Identità e statuto dell’embrione umano, p. 130. La zona pellucida dei mammiferi è costituita da tre principali glicoproteine differenti: ZP1, ZP2 e ZP3. 3 Cfr. D. J. Anderson, A. F. Abbot, R. M. Jack, The Role of Complement Component C3b and Its Receptors in Sperm-Oocyte Interaction, “Proceedings of the National Academy of Sciences” 1993, n. 90, p. 10051-10055; A. Serra, R. Colombo, Identità e statuto dell’embrione: il contributo della biologia, in: Pontificia Academia Pro Vita, Identità e statuto dell’embrione umano, p. 131. 4 Cfr. P. M. Wassarman, The Biology and Chemistry of Fertilization, p. 554; M. Withaker, C. Swann, Lighitng the Fuse at Fertilization, “Development” 1993, n. 117, p. 1- 12; K. Swann, V. I. Shevchenko, A. K. Sesay, F. A. Lai, Calcium Oscilation in Mammalian Eggs Triggered by a Soluble Sperm Protein, “Nature” 1996, n. 32, p. 364-368; A. Serra, R. Colombo, Identità e statuto dell’embrione: il contributo della biologia, in: Pontificia Academia Pro Vita, Identità e statuto dell’embrione umano, p. 131. 5 6 Cfr. B. M. Shapiro, Control of Oxidant Stress at Fertilization, “Science” 1991, n. 252, p. 533-536. Cfr. G. Palermo, S. Munné, J. Cohen, The Human Zygote Inherits Its Mitotic Potential from Male Gamete, “Human Reproduction” 1994, n. 9, p. 1220-1225; A. Serra, R. Colombo, Identità e statuto dell’embrione: il contributo della biologia, in: Pontificia Academia Pro Vita, Identità e statuto dell’embrione umano, p. 132. 7 Cfr. A. Serra, R. Colombo, Identità e statuto dell’embrione: il contributo della biologia, in: Pontificia Academia Pro Vita, Identità e statuto dell’embrione umano, p. 133. 8 Oggi Famiglia EDUCAZIONE E SCUOLA La stringente attualità della non violenza di Vincenzo Altomare Mosca, 18 ottobre 2007 Un altro capitolo della storia della follia umana sta per essere scritto a Mosca e dintorni. E si aggiungerà ai capitoli, già editi, scritti a Washington con i suoi cronici fallimenti. Putin lo ha detto chiaramente dopo la visita in Iran: la Russia intende costruire e realizzare nuove e sofisticatissime armi nucleari. Se gli Usa perseguono legittimamente lo scudo stellare, perché mai Ahmadinejad non può procedere con il nucleare “per usi e scopi civili” e la sua Russia con la produzione di nuove armi? Putin, dopo l’omicidio di Anna Politovskajia si sente più libero. Scopre le carte in tavola. Era ora, diremmo noi. Anche perché Bush, le stesse carte militariste, le aveva scoperte fin dal 2001 e non perde occasione di alimentare un clima da “Guerra Fredda” con (voluti?) incidenti diplomatici, come quello che ha fatto arrabbiare i cinesi che gli hanno contestato una esplicita accondiscendenza con il Dalai Lama e la questione Tibet. Le forze armate russe saranno, dunque, arricchite di nuovi caccia di quinta generazione, di sottomarini nucleari e di altri complessi missilistici Topol-M, benchè dalla base Plesestk le prove tecniche non si sono fatte attendere. Uno scenario sconcertante, questo autunnale. Ho appena finito di leggere 1956 Budapest: i giorni della rivoluzione (2007) di Enzo Bettiza, serio e autorevole giornalista liberale, che non ha sprecato una sola pagina nel celebrare la fine del comunismo, a suo parere inscritta già negli eventi dell’ottobre ungherese! Da anni leggo libri sul comunismo sovietico, la guerra fredda e la presunta vittoria del capitalismo occidentale. Dopo la Caduta del Muro di Berlino (9 novembre 1989) e l’implosione dell’Impero sovietico (1991) sembrava che la storia avesse parlato chiaro. E, invece… Alleanze false e ipocrite al colmo della teatralità (come quella attestata dalle immagini di Bush e Putin insieme sorridenti con le rispettive famiglie) hanno tentato di coprire un conflitto in realtà mai superato. Lo scudo stellare è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ma i rapporti fra le superpotenze sono tesi da sempre. Come un fiume carsico, il conflitto fra Russia e Usa ha continuato a scorrere nelle vene sotterranee della storia degli ultimi 18 anni, alimentandosi con le guerre locali ed etniche combattute dai due giganti mondiali. La Russia in Cecenia, gli States dappertutto… Questo ci autorizza a pensare che, se la Guerra Fredda è finita nell’89, non è tuttavia finito il conflitto fra due delle principali superpotenze mondiali, appunto Russia e Usa. Nell’autunno dell’89 la storia ha imboccato una nuova direzione: nuovi sentieri si sono dischiusi sotto le macerie del Muro di Berlino. Il mondo di oggi non è più diviso in due blocchi geopolitici e ideologici come avvenne da Yalta (febbraio 1945) al 1989. Oggi Russia e Usa sono accomunate dall’unica ideologia rimasta: quella militarista, il cui terreno di coltura è il neoliberismo! Ideologia che aggrega perfino i nuovi colossi dai piedi d’argilla che montano sul proscenio del nuovo millennio: India e Cina, acritiche inseguitrici di un modello socio-economico, quello occidentale, che l’Europa sta cercando di correggere o addirittura superare. Che paradosso: Ciò che alimenta il conflitto è la mentalità bellica che sottende la politica russa e americana. Restano due colossi guerrafondai, come del resto India (già, proprio l’India indipendente, figlia di Gandhi, che è una delle potenze mondiali detentrici della bomba atomica. Il Mahatma starà rivoltandosi nella Le battaglie di giovani disabili T di Teresa Cello ra i tanti problemi della vita quotidiana, quelli riguardanti le battaglie dei disabili per la loro sopravvivenza quotidiana, dovrebbero essere certamente tra i più sentiti specialmente se il disabile è un giovane o una giovane , che vorrebbero vivere "tranquillamente" una loro vita normale pur tra le tantissime difficoltà. Uno dei tanti casi che mi ha sicuramente colpito è quello letto su un settimanale riguardo alla storia di una ragazza di 20 anni, Samantha Dentis, affetta fin dalla nascita da una grave malattia che le ha impedito lo sviluppo delle ossa. Samantha, nonostante il suo handicap, è riuscita a conseguire il diploma di maturità e il suo sogno è quello di diventare indipendente (almeno economicamente) dai suoi genitori, desiderio che , però , la sua malattia le impedisce di realizzare pienamente ; infatti la sua grave inabilità fisica non le permette di essere iscritta nelle liste speciali per ottenere un impiego, dal momento che ciò è possibile solo alle persone diversamente abili ma autosufficienti e Samantha purtroppo non è completamente autosufficiente. Marilena Demarie, impiegata, e Claudio Dentis, autotrasportatore, con la loro bambina Ella comprende questa situazione e pur tuttavia non si arrende di fronte a nulla [. .. Sono vicina ai problemi dei disabili e cerco di aiutare come posso... la mia è una piccola battaglia, ma spero che sia utile non solo a me ma a tutti coloro che hanno problemi come i miei...] La madre della ragazza aveva scritto al comune di Orbassano (To) dove esse risiedono per far si che sua figlia non solo potesse andare a votare utilizzando il servizio di autotrasporto comunale ma anche di "lavorare" per quei due/tre giorni come scrutatrice nello stesso seggio. Il funzionario del comune addetto le ha risposto che ciò non era possibile in quanto le Novembre 2007 tomba) e Cina, con il suo ibrido modello sociale fatto di comunismo (quale?) e libero mercato. È il tarlo militarista che “rosicchia” lentamente ma inesorabilmente le società di queste nazioni. È la connessione “economiamilitarismo” che affama i popoli, rendendoli insicuri, fragili, incapaci di gestire positivamente i conflitti aperti. Spettatori di una rappresentazione già vista ampiamente nel secolo scorso, ci sentiamo tutti impotenti. Cosa fare? Come far si che la mentalità bellica venga definitivamente sconfitta? Io non ho risposte per l’immediato. Ma so, quasi fossi un contadino dello spirito, cosa coltivare per il futuro. L’ho imparato dal Vangelo e da Gandhi, ma anche da molti eventi del novecento: si chiama “nonviolenza”. Questo è l’unico sentiero che possiamo percorrere per superare il militarismo come sistema economico, come (pseudo)cultura, come vita sociale. La nonviolenza porta alla luce i conflitti, non li copre con scene miste di teatralità e ipocrisia, ma li risolve con tecniche e spirito alternativi a quelli proposti-imposti dalla violenza. Stare nel conflitto è uno dei principi fondanti della nonviolenza. Forse, nel secolo scorso, si è pensato più ai compromessi e alle strategie geopolitiche che alla reale soluzione dei conflitti. Cercando mezzi pacifici, perché la nonviolenza esige coerenza fra “mezzi e fine”, chiama al confronto anche serrato ma sempre dialogico. Perché se si rinuncia al dialogo, anche nelle relazioni più dirette e interpersonali, non resta che lo scontro. Probabilmente, la vera rivoluzione del nuovo millennio è la più bella e grande eredità del secolo scorso. I testi e gli eventi che hanno narrato la nonviolenza sono stati copiosi ma dovranno essere raccontati compiutamente. Ecco perchè il crocevia del futuro si chiama, ancora una volta, formazione. Consigli di lettura MK Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino 1996; E. Bettiza, 1956. Budapest: i giorni della rivoluzione, Mondadori, Milano 2007; R. Darnton, Diario berlinese 1989-1990, Einaudi, Torino 1992 difficoltà incontrate al seggio da parte di persone handicappate utilizzate in passato nel servizio del seggio stesso, per motivi vari e soprattutto per motivi di praticità e di organizzazione, erano state molte per cui si era deciso di non servirsi più di persone appartenenti a queste sfortunate categorie. Un anno fa , Samantha è stata colpita da una forma di influenza particolarmente grave che l'ha costretta al ricovero in ospedale a Torino dove è rimasta per due settimane in coma farmacologico: il virus che l'aveva colpita le aveva bloccato la respirazione e anche ora che ha superato i momenti peggiori, è costretta di notte a respirare con un macchinario ; avendo richiesto al Comune , questa volta, in occasione delle elezioni nazionali , la possibilità di esercitare il diritto di voto a domicilio, le è stato negato in quanto la legge elettorale prevede che il voto a domicilio è riservato soltanto a quelle categorie di persone che sono tenute in vita da macchinari 24 ore su 24 per cui Samantha non ha potuto esercitare il suo diritto¬dovere di cittadina italiana ; il funzionario comunale ha chiarito che l'amministrazione avrebbe potuto intervenire (con il suo" amico bus" ) solo per prelevarla dal domicilio e portarla nel seggio elettorale di competenza accompagnata da un familiare a ciò autorizzato e alla fine essere riaccompagnata a casa ; ma per Samantha questa situazione non è stata accettata. . . 9 Oggi Famiglia EDUCAZIONE E SCUOLA Novembre 2007 L’integrazione scolastica e la scoperta dell’ambiente dei bambini non vedenti O di Domenico Ferraro gni bambino disabile, per la sua specifica minorità fisica, richiede un intervento particolare, che è sintetizzato nella didattica differenziale. Essa consiste in particolari accorgimenti educativi, che mettono in condizione l’alunno “diversamente disabile” di conseguire gli stessi obiettivi degli alunni cosiddetti “normali”. Naturalmente, i bambini non vedenti necessitano, per la loro particolarità, una precisa educazione sensoriale e motoria, poiché attraverso questi strumenti possono essere messi in grado di scoprire il mondo che li circonda. L’insegnante, quando il bambino entra per la prima volta a scuola, cercherà di scoprirne le capacità che il bambino ha acquisito nel saper scoprire il suo ambiente e quali interessi egli vive. Il primo obiettivo della scuola sarà quello dell’educazione motoria, che gli permetterà di conseguire una maggiore autonomia e stimolerà la sua innata curiosità per conoscere tutto ciò che forma il suo habitat. Come per tutti i bambini, anche per il non vedente, la scuola non è preparazione alla vita, ma è vita completa, vissuta momento per momento, in cui, da protagonista, esprime le sue esigenze più profonde, le vive ed opera in modo pratico per acquisire conoscenze e scoprirne sempre di nuove. Il bambino non vedente può conseguire la sua capacità di apprendimento e sviluppare i suoi interessi solo se raggiunge una piena integrazione con il gruppo dei suoi compagni, se anche lui agisce in piena autonomia e in sintonia con tutti gli altri compagni. Per creare un tale clima sociale favorevole, si richiede una particolare predisposizione e una specifica professionalità da parte dell’insegnante, che non per una pietosa commiserazione, ma solo sospinto da un amore profondo e da una incondizionata disponibilità nell’organizzare le attività da espletare e nel facilitare i compiti che il bambino non vedente deve svolgere. Egli non è impedito e non è minorato nelle capacità mentali e per tale motivo potrebbe apprendere tutto in modo normale. La differenza consiste nella carenza di esperienze visive, nell’impossibilità di vedere e, perciò, di conoscere tutto ciò che gli altri bambini vedono. Ciò è un impedimento che delimita lo sviluppo e la crescita delle facoltà mentali e delimita la capacità di apprendimento. L’insegnante consegue il suo scopo educativo solo se è capace di creare una piena integrazione del bambino non vedente e porlo nelle stesse condizioni di vita e di apprendimento di tutti gli altri. Per programmare un percorso educativo e di apprendimento, l’insegnante deve conoscere le capacità di base del bambino, le capacità percettive, psicomotorie, manipolative, le capacità logiche, comunicative, espressive e sociali. Quando il non vedente entra a scuola, non possiede una conoscenza reale dello spazio, in cui è vissuto, specialmente se ha avuto una famiglia iperprotettiva, che gli ha impedito di fare esperienze e di scoprire il suo ambiente in modo autonomo. Invece, se ha potuto vivere in modo più libero e la famiglia ha avuto il coraggio e la consapevolezza che il bene reale del figlio consisteva nello stimolarlo ad affrontare le difficoltà e a vivere le sue esperienze motorie, sociali e comunicative senza preclusioni e impedimenti, allora si troverà più a suo agio nell’inserimento scolastico e l’integrazione si attuerà senza eccessivi problemi. L’insegnante, come prima attività, dovrà far scoprire al bambino la disposizione di ciò che si trova nell’aula, affinché si possa muovere con sicurezza e senza paura nel nuovo ambiente e possa, così, da solo memorizzare la disposizione dei banchi, della cattedra, degli armadi e anche il suo posto. Dovrà anche essere stimolato a partecipare ai giochi che i bambini organizzano all’aperto durante l’ora di ricreazione. L’insegnante sarà vigile, attento a quanto avviene e cercherà di offrire gli aiuti più opportuni quando si accorge che il bambino non vedente incontra delle difficoltà, lo incoraggerà a muoversi sempre nel gruppo dei compagni al fine di superare ogni paura. Se l’insegnante si dovesse accorgere che il bambino non vedente si isola, non partecipa alle conversazioni con i compagni, non gioca, dovrà organizzare attività che facilitino la sua integrazione nel gruppo, lo stimolino a discutere, a dialogare, ad esprimere le sue esperienze, le sue riflessioni, le sue preferenze nei giochi. Un’attività di studio interessante, che provenga anche da un interesse vivo del non vedente, lo stimolerà a partecipare, a dargli sicurezza, a farlo sentire protagonista. Le attività, in questo momento delicato, dovranno riflettere le sue preferenze per dargli quella carica emotiva, che lo sospinge a conversare, a discutere, ad esprimere i propri interessi, le proprie esigenze, le proprie esperienze. Un vecchio detto recita: “gli occhi del cieco sono le sue mani”. Allora, l’insegnante dovrà osservare come il bambino scopre gli oggetti: se li tocca globalmente per scoprirne la forma e se poi si sofferma nei particolari, oppure se li tocca globalmente con tutte e due le mani per scoprirne la forma e la grandezza, soffermandosi poi sui particolari, oppure se scorre superficialmente la mano sull’oggetto. E’ importante una educazione tattile, idonea alla sua età, perché solo così il bambino potrà arrivare alla conoscenza della realtà come gli altri bambini vedenti. E’ fondamentale che il bambino acquisisca la sensibilità delle sue mani. Dal movimento con cui prende gli oggetti si accorge se è interessato alla forma, alla grandezza, alla materia di cui è formato. Da tale movimento ne consegue la conoscenza che il bambino ha degli oggetti che palpa. L’insegnante potrà programmare le attività che si propongono di conseguire una sensibilità tattile, poiché attraverso le mani il non vedente scopre la realtà e, così, acquisisce le capacità di apprendere come gli altri che vedono. Inoltre, l’insegnante, osservando il movimento del non vedente, si accorge se ha acquisito il concetto di lateralità, cioè la destra e la sinistra, avanti e indietro, sopra o sotto. Ciò facilita la conoscenza di un luogo, lo spostamento per trovare un oggetto o per incontrare una persona. Per il bambino vedente ciò può essere anche superfluo, poiché dirige il suo movimento attraverso la vista. Invece, per il non vedente è una carenza grave, poiché non è in condizione di essere autonomo nei suoi movimenti e l’orientamento lo mette in relazione con l’ambiente, con gli oggetti posti in esso, con la natura tutta. Quando egli acquisisce le immagini degli ambienti che va scoprendo, allora il bambino non vedente è in grado di ricostruire, attraverso l’attività mentale, una sua conoscenza e, perciò, può incominciare il suo processo di apprendimento scolastico. Il Romagnoli, sul piano didattico, distingue due tipi di orientamento. Il dinamico quando il bambino si sposta, si muove, cerca e con l’immaginazione si crea l’ambiente in cui si muove, la visione di un oggetto, di un territorio. Lo statico, invece, si ha quando il non vedente, in situazione di fermo, sa dove si trova nel raffronto con lo spazio e sa rappresentarlo graficamente o con gesti. Naturalmente, le due forme di movimento non sono distinti nell’educazione motoria, ma sono contemporanei. Quando si parla di spazio si deve intendere non solo l’ambiente in cui ci muoviamo, ma, anche, gli oggetti che vi si trovano, la loro grandezza, il loro spessore, la loro forma e anche quella di una persona. Infatti, il bambino inizia la sua prima scoperta dalla conoscenza del suo corpo, come esso si muove, ma, purtroppo, non è in grado di conoscere lo spazio verso cui terminano i suoi movimenti. Specie quando i genitori, per facilitare la sua vita, si sono sostituiti ai suoi movimenti e, inconsapevolmente, hanno impedito alcune acquisizioni che lo avrebbero reso più autonomo e indipendente dagli altri. A questa carenza dovrà provvedere l’insegnante per fare acquisire quelle abilità che il bambino vedente ha potuto esercitare nell’ambito familiare. Quante azioni si possono realizzare con le mani, quanti movimenti con le gambe, con i piedi. Se il bambino conosce tutto ciò che può fare con il suo corpo, allora, con l’educazione motoria e l’educazione sensoriale inizia la scoperta dell’ambiente. Tale educazione, iniziata in famiglia, potrà proseguire a scuola. 10 Oggi Famiglia RELIGIONE Novembre 2007 Centenario delle settimane sociali della Chiesa D di Carmensita Furlano al 18 al 21 ottobre, si è svolta a Pistoia e Pisa la 45ª Settimana Sociale dei cattolici italiani, dedicata al tema «Il bene comune oggi: un impegno che viene da lontano». L’appuntamento ha assunto un particolare significato in quanto quest’anno ricorrono i cento anni dalla prima «Settimana», indetta nel 1907 proprio a Pistoia. È stata infatti inaugurata giovedì 18 ottobre alle 16 nella Cattedrale pistoiese, mentre dal giorno successivo i lavori si sono svolti al Centro congressi dell’Università di Pisa, città dove Giuseppe Toniolo, di origine trevigiana, ideò la Settimana sociale dei cattolici italiani. Ad inaugurare questa edizione è stato il presidente della Cei, mons. Angelo Bagnasco, che ha salutato dicendo: “L’ITALIA MERITA UN AMORE PIÙ GRANDE, UNA RESPONSABILITA’ PIU’ GRANDE. Nel diretto impegno politico, i laici sono chiamati a spendersi in prima persona attraverso l’esercizio delle loro competenze e contestualmente in ascolto del Magistero della Chiesa, non è questo il tempo di disertare l’impegno, ma semmai di prepararlo e di orientarlo”, e subito dopo ha aggiunto: “A tal fine la parola dei Pastori non potrà essere assente. Sarà una parola chiara, ferma e rispettosa, protesa anzitutto a ribadire i principi non negoziabili. Chi sta vicino alla gente – al contrario di quanti si muovono da posizioni preconcette – percepisce che esiste ed è forte l’attesa di una loro parola, dato che il delicato momento vissuto dal Paese rende ancora più forte l’esigenza di punti di riferimento autorevoli”. Hanno portato il saluto anche i vescovi di Pistoia, Mansueto Bianchi, e di Pisa, Alessandro Plotti, oltre ai sindaci delle due città, rispettivamente Renzo Berti e Paolo Fontanelli. Sul tema prescelto, appunto, il bene comune, ha osservato Benedetto XVI, nel saluto al presidente della Cei, che “non consiste nella semplice somma dei beni particolari”; essendo “di tutti e di ciascuno è e rimane comune, perché indivisibile e perché soltanto insieme è possibile raggiungerlo”. “In passato, e ancor più oggi in tempo di globalizzazione il bene comune va considerato e promosso anche nel contesto delle relazioni internazionali” e “il bene di ciascuna persona risulta naturalmente interconnesso con il bene dell’intera umanità”. Di qui l’importanza della solidarietà, definita da Giovanni Paolo II “non un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone” ma, “la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi” per il bene “di tutti e di ciascuno”. Bene comune che oggi poggia su due idee fondamentali: la memoria – appunto - del contributo dei cattolici e le nuove responsabilità che il futuro comporta. Agli occhi della storia, non si può non riconoscere che i cattolici hanno dato un apporto fondamentale alla società italiana e alla sua crescita, nella prospettiva del bene comune. È necessario alimentare la consapevolezza, non solo fra i cattolici ma in tutti gli italiani, del fatto che la presenza cattolica come pensiero, come cultura, come esperienza politica e sociale è stata fattore fondamentale e imprescindibile nella storia del Paese, e in questa prospettiva le Settimane Sociali svoltesi nel corso di un secolo costituiscono un tassello oggettivamente significativo e rilevante. Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci ricorda che per bene comune si deve intendere l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi, come ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente. Il bene comune esige prudenza da parte di ciascuno e più ancora da parte di coloro che esercitano l’ufficio dell’autorità. Esso comporta tre elementi essenziali: a) il rispetto della persona, in forza del quale i pubblici poteri sono tenuti a rispettare i diritti fondamentali e inalienabili della persona umana. La società ha il dovere di permettere a ciascuno dei suoi membri di realizzare la propria vocazione. b) il benessere sociale e lo sviluppo del gruppo. Lo sviluppo è la sintesi di tutti i doveri sociali. Certo, spetta all’autorità farsi arbitra, in nome del bene comune, fra i diversi interessi particolari. Essa però deve rendere accessibile a ciascuno ciò di cui ha bisogno per condurre una vita veramente umana: vitto, vestito, salute, lavoro, educazione e cultura, informazione conveniente, diritto a fondare una famiglia ecc.; c) la pace, cioè la stabilità e la sicurezza di un ordine giusto. Suppone quindi che l’autorità garantisca, con mezzi onesti, la sicurezza della società e quella dei suoi membri. E se ogni comunità umana possiede un bene comune che le consente di riconoscersi come tale, è nella comunità politica che si trova la sua realizzazione più completa. È compito dello Stato difendere e promuovere il bene comune della società civile, dei cittadini e dei corpi intermedi. Anche la Calabria ha partecipato con la propria delegazione così come la nostra diocesi di CS-Bisignano, grazie al nostro padre arcivescovo mons. Nunnari che ha scelto alcuni di noi (Carmensita Furlano consigliere comunale, il sindaco di Cleto Amerigo Cuglietta, Giorgio Marcello ricercatore universitario, Giorgio Porro segretario consiglio pastorale diocesano e Tonino Acri ex sindaco di Castiglione Cosentino) a rappresentare la diocesi. È stato un onore ma anche un onere perché chiamati ad un impegno maggiore per indire una collaborazione – come è stato indicato dal convegno di Verona - fra tutti ad educare alla cittadinanza approfondendo il rapporto tra carità e giustizia e riscoprendo la rilevanza politica della carità e della solidarietà. Solidarietà non concetto astratto, ma l’altro nome della comunicazione tra le persone. L’aver rimosso o svuotato il significato e il valore della persona l’ha impoverita e oggi giustifica scelte che portano in tre direzioni: profitto, consumismo, precarietà. Tutte e tre lontane e fuori dal tema della solidarietà. Al mercato si chiede di produrre quanta ricchezza è possibile, allo Stato di ridistribuirla: equilibrare i compiti è tutt’altro che facile. Ma, la lacuna è l’aver dimenticato che non è sostenibile una società in cui, assente la persona, si estingue il senso di fraternità e si dissolve il principio di solidarietà. Non è capace di progredire quella società in cui hanno voce solo il “dare per avere” oppure “il dare per dovere”. Anche in campo economico, viene chiesto un supplemento di progetto e azione. Ai cattolici si aprono nuove possibilità “per continuare a tessere una trama di responsabilità” capace di incidere nella storia. Un percorso impegnativo che esige competenza, lungimiranza per non rimanere su una strada lastricata di buoni propositi e utopie. Inquietudine: potrebbe essere questa una delle parole conclusive della Settimana Sociale che si è chiusa Pisa. Potrebbe sembrare fuori tema ma più di altre esprime l’atteggiamento di chi, a fronte di una sfida impegnativa come é quella della costruzione del bene comune, percepisce il senso del limite, prende coscienza della complessità e nel contempo avverte anche la grandezza e la bellezza di un impegno. Un’avventura che attraversa i paesaggi della fede e della cultura si ripropone oggi come cento anni addietro quando, con la prima Settimana Sociale, i cattolici italiani, entrarono nello spazio sociale e politico non per esigenza di visibilità ma per fedeltà alla loro duplice cittadinanza. Fu subito evidente che in quello scendere in campo non c’era la ricerca di un interesse di parte ma la volontà di rispondere anche con lo strumento della politica alla domanda di giustizia, di solidarietà e di futuro. Oggi, in una realtà profondamente mutata, si sta riproponendo un’analoga esigenza sui vita, famiglia, lavoro e educazione, la gente si attende parole e gesti di verità e di speranza. Di questa attesa ci sono state conferme inequivocabili in tempi recenti. Le riflessioni della Settimana Sociale, a cominciare da quelle di Benedetto XVI e del presidente della Cei, hanno colto questo risveglio della coscienza e hanno indicato la direzione da prendere per raggiungere la meta. Al centro dei pensieri, delle preoccupazioni e delle prospettive di impegno si colloca la persona quale irrinunciabile punto di riferimento per ripensare l’economia e la politica, per liberarle dall’ideologia e dal pensiero debole. È nella persona, ribadisce questa Settimana Sociale, che il bene comune prende il volto definitivo ed è attorno al mistero della persona, da cui prende origine la questione dei diritti e della dignità, che può nascere il consenso anche di chi non é cattolico. L’inquietudine é allora nella fatica serena e fiduciosa di allargare gli spazi della razionalità, di costruire dialogo e consenso attorno a quei principi non negoziabili che sono a fondamento del bene comune. Questo é stato uno dei segnali più forti e promettenti della Settimana Sociale del centenario, la cui continuità é affidata soprattutto ai laici. La storia delle settimane sociale è fatta di scelte di uomini e donne che seppero dare risposte sociali e politiche alle esigenze del territorio senza mai chiudersi in esso, senza mai perdere la dimensione nazionale e internazionale dei problemi e delle attese. “L’essere cattolico –mons. Cataldo Naro – ha significato in Italia per un buon numero di fedeli, uno scommettersi sul piano civile, un impegnarsi nella vita politica, un partecipare a qualche organizzazione con finalità sociale o assistenziale o caritativa in nome della fede cristiana. E la partecipazione alla vita politica é stata incoraggiata come esercizio esemplare di vita cristiana”. Pagine scritte e pagine da scrivere. Occorre ricucire uno strappo comunicativo e andare oltre la separazione tra una classe politica di professionisti che non comunicano con la loro base e la pura e semplice discussione permanente in cui le mediazioni spariscono e rimane solo il gioco della comunicazione strategica massificante.. Questa settimana possa diventare punto di partenza di riflessione vera e di rinnovato impegno dei cattolici verso il loro paese, continuando una tradizione ricca non solo per una cultura ed un pensiero sociale profondamente radicati nel vangelo ma anche per quelle figure di cristiani che hanno saputo vivere il vangelo ed incarnarlo nella società del loro tempo. 11 Oggi Famiglia SOCIETÀ Novembre 2007 Enzo Rossi ha passato un mese come i suoi dipendenti e dopo quest’esperienza ha deciso di dare aumenti a tutti Industriale vive da operaio: "Il 20 avevo già finito i soldi" “L’ho fatto anche per le mie figlie, che non hanno mai provato privazioni” di Massimiliano D'Acri CAMPOFILONE (Ascoli Piceno) - Per un mese ha provato a vivere con lo stipendio di un operaio. Dopo 20 giorni ha finito i soldi. Enzo Rossi, 42 anni, produttore della pasta all’uovo Campofilone, ha deciso allora di aumentare di 200 euro al mese, netti, gli stipendi dei suoi dipendenti, che sono in gran parte donne. Ha dichiarato di essersi vergognato, perché non è riuscito a fare nemmeno per un mese intero la vita che le sue operaie sono costrette a fare da sempre. Ha detto che “è giusto togliere ai ricchi per dare ai poveri”. Signor Rossi, per caso non sarà comunista? “No. Non sono marxista. Sono un ex di destra. Ex perché quelli che votavo non sanno fare nemmeno l’opposizione”. Perché allora questo mese da “povero” e soprattutto la decisione di aumentare i salari a chi lavora per lei? “Perché stiamo tornando all’800, quando nella mia terra c’erano i conti e i baroni da una parte ed i mezzadri dall’altra, e si diceva che i maiali nascevano senza coscia perché i prosciutti dovevano essere portati ai padroni. Negli ultimi decenni il livello di vita dei lavoratori era cresciuto e la differenza con gli altri ceti era diminuita. Adesso si sta tornando indietro, e allora bisogna rimediare”. Aveva bisogno davvero di provare a vivere con pochi soldi? Non poteva chiedere a chi è costretto a farlo, senza scelta? “Certo, sapevo come vivono le donne che lavorano per me. Ma ho fatto questa esperienza soprattutto per le mie figlie, che non hanno mai provato le privazioni. Ho voluto fare toccare loro con mano come vivono la grandissima parte delle loro amiche”. Come si è svolto l’esperimento? “E’ stato semplice. Io mi sono assegnato 1.000 euro, e altri 1.000 sono arrivati da mia moglie, che lavora in azienda con me. Duemila euro per un mese, tante famiglie vivono con molto meno. Abbiamo fatto i conti di quanto doveva essere messo da parte per la rata del mutuo, l’assicurazione auto, le bollette... Con il resto, abbiamo affrontato le spese quotidiane. Il risultato è ormai noto: dopo 20 giorni non avevamo un soldo. Mi sono vergognato, anche se ero stato attento a ogni spesa. Sa cosa vuol dire questo? Che in un anno intero io sarei rimasto senza soldi per 120 giorni, e questa non è solo povertà, è disperazione”. Signor Rossi, lei è mai stato povero? “Sì, anche se ero già un piccolo imprenditore. Nel 1993 - erano già nate le mie figlie - ho dovuto chiedere soldi in prestito agli amici per mantenere la famiglia. Non mi vergogno a dirlo, tanto quei soldi li ho restituiti. E’ anche per questo che nell’esperimento ho coinvolto la famiglia. Volevo che le mie figlie vivessero in una famiglia con pochi mezzi, per trovare difficoltà e provare a superarle”. Il momento peggiore? “L’ultimo giorno, quando ho deciso di arrendermi. Entro nel bar con 20 euro in tasca, gli ultimi. Sono conosciuto in paese, siamo 1.700 abitanti in tutto e gli imprenditori non sono tanti. Mentre entro un pensiero mi fulmina: e se trovo sei o sette amici cui offrire l’aperitivo? Non ho abbastanza soldi. Ecco, ci sono tanti operai che, quando tocca il loro turno, debbono pagare da bere agli altri, perché non è bello fare sapere a tutti che si è poveri. Sono in bolletta e non lo dicono a nessuno. In quel momento ho pensato: tanti di quelli che sono qui sono poveri davvero e non per un mese. Mi sono sentito come quando sei immerso in mare a 20 metri di profondità e scopri che la bombola è finita”. E allora ha deciso di aumentare i salari. “E’ il minimo che potevo fare. Secondo l’Istat, il costo della vita è aumentato di 150 euro al mese. Per quelli come me non sono nulla. Per gli operai 150 euro al mese in meno sono quasi 2.000 all’anno, e questo vuol dire non pagare le rate della macchina o non comprare il computer al figlio. E poi, lo confesso, io ho aumentato i salari anche perché sono un egoista. Secondo lei, come lavora una madre di famiglia che sa di non poter arrivare a fine mese? Se è in paranoia, dove terrà la testa, durante il lavoro? Le mani calde delle mie donne che preparano la pasta sono la fortuna della mia azienda. E’ giusto che siano ricompensate”. Se aumenta gli stipendi, vuol dire che l’azienda rende bene. “Nel 1997, quando ho preso il pastificio Campofilone, il fatturato era di 90 milioni di lire. Quest’anno arriveremo a 1,6 milioni di euro. Da due anni le cose vanno davvero bene, e mi posso definire benestante. Non è giusto che sia solo io a goderne. Il valore aggiunto derivato dalla trasformazione della farina e delle uova deve portare benefici sia ai contadini che mi danno la materia prima che ai lavoratori della fabbrica”. Come l’hanno presa, i suoi colleghi industriali? “Mi sembra bene. Alcuni mi hanno telefonato per sapere se l’aumento di 200 euro è uguale per tutti e altre cose tecniche. Forse vogliono imitarmi e questa è una cosa buona. Io ho spiegato che sarebbe giusto non fare pagare alle aziende i contributi relativi a questo aumento. Se il governo capisce (mi ha telefonato anche Daniele Capezzone, della commissione imprese) l’idea di prendere ai ricchi per dare ai poveri non resterà soltanto un manifesto”. mensile del centro socio culturale “VITTORIO BACHELET” -DIRETTOREVincenzo Filice -VICE DIRETTOREDomenico Ferraro -DIRETTORE RESPONSABILEFranco Bartucci -COORDINATORE E AMMINISTRATOREAntonio Farina -SEGRETARIA DI REDAZIONEEralda Giannotta -IN REDAZIONE- Vincenzo Altomare, Rosa Capalbo, Giovanni Cimino, Francesco Cundari, Mario De Bonis, Michele Filipponio, Francesco Gagliardi, Giacomo Guglielmelli, Vincenzo Napolillo, Antonino Oliva, Oreste Parise, Lina Pecoraro, Luigi Perrotta, Davide Vespier -SPEDIZIONE- Egidio Altomare-Lorenzo Zappone Gino Vinceslao -IMPAGINAZIONE E STAMPA: F.lli Guido Arti Grafiche C.da Lecco - Z.I - Rende (CS) Tel. 0984.837158 Articoli e Corrispondenze da spedire a C.P. 500 COSENZA Redazione – Corso L.Fera, 134 Tel. 0984 483050 – 87100 COSENZA www.centrobachelet.it E-mail: [email protected] - Aut. Trib. Cosenza n. 520 del 9 maggio 1992 – Centro Socio-Culturale “VITTORIO BACHELET” Il Centro Socio Culturale V. Bachelet, costituito nel 1981, ha modificato il proprio statuto con atto Notarileper il Dott. Nicola Micciulli, notaio in Cosenza il 23/09/1998 Al n. 4092, la sua sede sociale è in Cosenza in Corso L. Fera, n. 134, cap 87100, telefax 0984/483050. Codice Fiscale 98002880783 Partita I.V.A. 01612500783 Codice e Natura Giuridica n. 91.33.0 Ha ottenuto il riconoscimento della personalità giuridica di diritto privato ai sensi dell’ art. 12 dei CC. E dell’ art. 14 del D.P.R. 24.07.1977 n. 616, con deliberazione del D.D.G. n. 375 del 20.9.2000 e pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Calabria n. 105 dell’ 8/11/2000. Risulta iscritto al n. 160 del Registro Regionale del Volontariato con Deliberazione della G.R. n. 5991 del 4/11/1998. Con D.D. n. 7203 del 24/7/2001 della Regione Calabria, il Centro Culturale “V. Bachelet” ai sensi della legge 16/85 -art. 6 – 3° comma è iscritto nel Registro Regionale delle Associazioni, Fondazioni ed Istituti Culturali della Provincia di Cosenza. 12 Oggi Famiglia SOCIETÀ Novembre 2007 Buona sanità da imitare L’ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza” di San Giovanni Rotondo È di Sante Casella stato costruito per volontà di Padre Pio da Pietrelcina (il frate morto nel 1968 e proclamato Santo nel 2002 da Giovanni Paolo II); funziona bene, è organizzato benissimo, è pulito ed accogliente in tutti i suoi reparti. Soprattutto è improntato all’umanizzazione, personalizzazione e rispetto dei pazienti che vi si rivolgono per ricovero e o per accertamenti specialistici. Si chiama – per volere del suo Fondatore “Casa Sollievo della Sofferenza” ed è ubicato vicino alla basilica e al convento dei Cappuccini, dove il Santo delle stimmate è stato dal 1916 alla data della morte. L’abbiamo visitato, con la guida di una gentile addetta allE public relations, con religioso silenzio per non turbare l’attività del personale e la privacy dei degenti. Abbiamo preso atto che i gestori (che non sono politici) e gli operatori sono motivati e rispettosi appieno della volontà di Padre Pio, di dover curare al meglio, nel corpo e nello spirito, gli utenti provenienti da ogni parte d’Italia ed anche dall’estero. L’Ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza” è stato costruito con fondi derivanti dalle offerte dei fedeli italiani e stranieri, senza finanziamenti pubblici, eccettuata una croce di 40 metri donata dalla Regione Puglia e collocata davanti alla nuova chiesa di circa 7 mila posti progettata da Renzo Piano in stile moderno, che simbolicamente richiama episodi del Vangelo. Dispone di 1100 posti letto e di 2500 dipendenti. E’ collegato, per la ricerca, con le maggiori Università e Facoltà di Medicina d’Italia e del Mondo, diventando un importante punto di riferimento per convegni, ricerche e scambio di studi ed esperienze. Utilizza per i pasti ai degenti prodotti coltivati biologicamente (carne, latte, formaggi, conserve, verdure, frutta, ecc.) nelle masserie di proprietà dello stesso Ospedale (terreni donati da benefattori locali). Accanto alla Casa Sollievo della Sofferenza è stata realizzata una struttura di quattro Apprendiamo che l'Associazione Il Papavero d'oro di Bari ha premiato il Preside Michele Filipponio per la poesia "Su piani diversi". La cerimonia di premiazione si è svolta in data 24 ottobre c.a. - nella Sala piani dove sono stati allocati tutti gli ambulatori specialistici e diagnosticostrumentali, nonché un reparto pediatrico con annessa Unità di pediatria oncologica. Questo grande poliambulatorio, convenzionato col Servizio Sanitario pubblico al pari del nosocomio, riesce a dare risposte adeguate a tantissimi cittadini che vi si rivolgono con l’impegnativa del medico curante. Senza costringere - come spesso avviene, col tormentone dei tempi d’attesa, negli ospedali pubblici del sud e della Calabria a pagare le visite specialistiche. Il pagamento di visite specialistiche avviene spesso in Calabria dopo la trovata dell’INTRA MOENIA (legge Bindi n. 229/99) che ha dato facoltà ai medici d’esercitare la libera professione a pagamento anche all’interno degli ospedali da cui dipendono…. Vorremmo consigliare ai politici, che hanno “occupato” la sanità pubblica dal 1981 (entrata in vigore della riforma sanitaria ex legge n. 833/78) e segnatamente ai tecnici (sanitari, amministrativi, infermieri, ausiliari, ecc.) - costretti ad avallare il clientelismo affaristico dei mestieranti della politica e del potere che, Premiazione Consiliare del Comune di Bari, alla presenza di varie autorità e di un folto pubblico. Il Preside Filipponio ha ritirato personalmente il Premio, raggiungendo, così, la vetta di sessantuno premiazioni in Ospedale “Casa sollievo della sofferenza” trasversalmente, imperversano nelle aziende sanitarie ed ospedaliere e finanche in molte strutture private convenzionate di visitare l’Ospedale di Padre Pio di S. Giovani Rotondo. Per osservare quanto vi si verifica in fatto di ordine, pulizia, organizzazione, funzionalità, approccio umanizzato, personalizzato e rispettoso dei malati, familiari, ecc. Allo scopo di tentare, poi, un percorso d’imitazione, necessario in tanti ospedali calabresi. Dove, peraltro, risulta bloccato il processo attuativo della Carta dei Servizi e della trasparenza gestionale-operativa, impedendo di fatto il coinvolgimento dei cittadini al miglioramento dell’assistenza, attraverso i questionari, le proposte, i suggerimenti ed i reclami. Il processo era stato avviato nel 1995/96 tra il menefreghismo non casuale di mestieranti del potere e di baroni e mercanti della medicina, interessati a prolungare all'infinito le pratiche affaristico-clientelari, che, in nome del “dio denaro”, negano al cittadino il diritto ad essere tutelato nella salute e nel benessere psico-fisico e morale. Come dettano la nostra Carta costituzionale e le direttive dell’OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità. varie città d'Italia, meritate con saggi vari e poesie. Collaboratore assiduo di OGGI FAMIGLIA, il Preside Filipponio raccoglie i più sentiti auguri da parte di tutta la Redazione di questa importante Rivista. 13 Oggi Famiglia COSTUME E SOCIETÀ Novembre 2007 Amos Oz: Contro il fanatismo N di Sandra Cuchetti ato a Gerusalemme nel 1939, Amos Oz, uno dei piu’ grandi scrittori d’Israele, è autore di opere tradotte in ventotto lingue. Saggista, trae la propria forza letteraria dalla storia tormentata della sua terra d’origine. Tra i suoi romanzi ricordiamo:”La scatola nera”, “Conoscere una donna”, “Tina”, “Una pantera in cantina”, “Lo stesso mare”,”D’un tratto nel folto del bosco” e “Una storia d’amore e di tenebra”. Tra i piu’ belli certamente l’ultima delle opere citate, un’autobiografia in forma di romanzo, un’opera letteraria che comprende le origini della famiglia di Oz, la storia della sua infanzia e giovinezza a Gerusalemme, l’esistenza tragica dei suoi genitori, il suicidio della madre. “Sono diventato scrittore osservando la gente, immaginando, inventando, a tratti captando brandelli di conversazione per poi ricomporli e ricavare da trascurabili frammenti di informazione una storia intrigante. Osservo, immagino, fantastico, mi metto nei panni o nella pelle di altri e per questa mia abitudine “professionale” io riesco a vedere i punti di vista del prossimo”. Un suo saggio “Contro il fanatismo” così inizia: Un conto è dare la caccia ad un manipolo di fanatici sui monti dell’Afghanistan e per i meandri di Gaza e Baghdad: Tutt’ altra cosa è invece arginare, guarire dal fanatismo. Per parte mia non ho alcuna specifica competenza sul campo della caccia, ma serbo qualche pensiero sulla natura del fanatismo e sui modi per ammansirlo, se non redimerlo…. Credo profondamente nella mediazione. E’ la mia esperienza privata che mi ha fatto capire che senza mediazione è difficile concepire un rapporto tra un padre ed un figlio, tra un marito ed una moglie, tra un fratello ed una sorella, tra individui in generale. Bisogna partire dal fatto che gli esseri umani sono molti diversi tra loro, e senza mediazione non è facile trovare un punto d’incontro. Nel campo politico senza mediazione sarà difficile che israeliani e palestinesi possano vivere assieme nella pace, mettendo fine ad un conflitto che ha provocato morte e dolore. Per me la mediazione è la capacità di vivere assieme, il contrario della mediazione è il fanatismo. Per i fanatici nessuna forma di mediazione è possibile, pensano di possedere la verità assoluta da imporre agli altri, ma anch’io L’Io polifonico Analisi del sé cosciente O di Michele Filipponio ggi l’uomo, schiavo della tecnologia, finisce per perdere di vista i sacri valori dell’Io. L’alter ego è quello tecnologico . Ma, bussando alle porte del nostro spirito, riscopriamo una vita interiore intessuta di domande, di perché, di ricerche lungo un processo che conduce all’essenza della Verità. Pensiamo a Tibullo, che ci suggerisce: “Sii una folla per te stesso”. Quindi, nel silenzio, nella meditazione, nell’isolamento, viviamo la solitudine, ma contemporaneamente avvertiamo la presenza e l’incidenza di tutta la società. La preghiera è avvicinamento a Dio, ai nostri cari, all’amore di quanti si amano. Ci si presenta spesso l’icona del mistero, che non confina con l’utopia, ma dà un senso alla realtà. L’utopia è la realtà dell’irreale, ma contribuisce alla nostra esistenzialità. L’utopia non è sic et simpliciter sogno o idea irrealizzabile, ma è parte integrante del pensiero e dell’azione. Ogni momento della nostra vita, ogni nostro progetto, ogni nostro programma è unità inscindibile di teoria e di pratica. K. Lewin afferma: “Niente è più pratico di una buona teoria” e così veste il nostro pensiero, le nostre parole, le nostre idee di un abito pratico. L’utopia e la poesia percorrono strade impervie e spesso portano al dolore. Ma noi dobbiamo saper superare il negativo e l’afflizione, offrendo versi come ciocche della nostra anima, come orizzonti di bene supremo e di vittorie. L’Io è polifonico; emergono l’amore e la sofferenza che hanno il loro comune denominatore nell’intensità. Amore intenso e sofferenza intensa: due aspetti che, al guinzaglio del tempo, si compongono in una visione superiore dei sacri valori della vita. Un atteggiamento filosofico di fronte al mondo oggettivo e di fronte all’uomo ci induce a porre l’accento su un termine e su un concetto: universale. Ma l’universale incorpora tante problematiche particolari come il rapporto tra la certezza e il dubbio, tra opinabile e dogmatico, tra libertà e coscienza, tra individuo e collettività. Così scopriamo la nudità dei nostri segreti, alziamo lo sguardo verso l’assoluto nel frequente mutare delle forme. Emergono, poi, i fantasmi dell’inconscio che ci agitano e ci assillano. Distruggere il finito significa generare qualcosa di nuovo in quell’immensa visione dell’infinito che mai si oscura. Si tratta di una metamorfosi, di un mistero inviolabile in cui l’essere continua quale parte e non causa nella monade infinita che ho una verità assoluta: sono convinta che sia sempre male infliggere dolore a qualcuno. Questo è il punto fermo della filosofia della mia vita. Il resto è relativo. è Dio. Ne discende che l’uomo deve aprirsi al mondo, offrendo a Dio il contenuto della propria anima - res cogitans - in un impegno di amore per il prossimo e per la vita, per il presente e per il futuro che lo attende, per risultati sempre più confortanti. Consideriamo la scrittura come utopia, ovverosia come seme della parola che si dona continuamente, come Fede che fonda la Verità, come salvezza dell’uomo, lungi da ogni odio politico e da invidia sociale. La parola, come cruna di una libertà radicale, si svuota del proprio corpo per nutrirsi del respiro coscienziale. Così si può parlare di esperienza vissuta, che esprime il sentimento come simbolo di civiltà e di amore, nonché di dolore, che attende di attingere alla sorgente misteriosa del domani: nessuno può ipotecare il futuro, che è nelle mani di Dio, ma possiamo certamente conoscere l’avvenire con gli occhi del cuore. La parola ci salva. Così la poesia ci immerge, con parole ispirate, nel grande mare della salvezza; la poesia esprime il miracolo della vita, l’epifania del bene e delle belle speranze, nonostante l’utopia della scrittura e la nuda realtà degli eventi. Per concludere, l’Io è polifonico e poliedrico, è fonte di sensazioni, di emozioni, di esperienze attraverso l’arco della vita, in vista del futuro e della realtà ultraterrena. Ricercare le radici dell’Io è andare non solo alla scoperta dell’attimo, ma soprattutto alla fonte primaria della vita. 14 OPINIONE Oggi Famiglia Novembre 2007 La scuola e il vero scontro di civiltà fallimentari). Questa favellizzazione del mondo cresce G a velocità vertiginosa: miete 25 milioni di vittime ogni anno. Ogni anno, cioè, l’equivalente della metà di Vincenzo Altomare della popolazione italiana subisce un vero li eventi dell’11 settembre 2001 e proprio declassamento sociale che porta sembravano aver confermato milioni di persone, sparse in tutto il quel ‘clash of civilization’ che mondo, a precipitare in condizioni di Samuel Huntington aveva descritto nel assoluta povertà. suo famoso libro del 1996 Lo scontro di E’ questo il sogno occidentale? E’ questa la civiltà planetaria che sa proporre? civiltà e il nuovo ordine mondiale. Oriana Fallaci, prima e Magdi Allam, poi Dentro questo scenario, è certo che non persero tempo: pubblicarono articoli cresceranno i conflitti, la militarizzazione e libri infuocati che intendevano suscitare dei popoli, le barriere e i muri di orgoglio e rabbia negli occidentali e separazione fra le nazioni. ispirare, secondo canoni moderni, una I pochi ricchi, asserragliati nella “città”, Adesso che la scrittrice fiorentina è morta, il frutto di un vero e proprio saccheggio nuova crociata contro i soliti “infedeli”. saranno super addestrati per proteggere il testimone passa al vice direttore del del pianeta, mentre la sempre crescente ‘Corriere della sera’. moltitudine dei poveri (che costituiranno Benché sia fortemente tentato di mostrare le favelas planetarie) dovrà pensare a tutto ciò che Allam fa finta di non sapere come sopravvivere e a come organizzare e, perciò, non osa scrivere (la qual cosa si la rivoluzione. Cosa si può fare per potrà fare successivamente), restano aperte (e volutamente cambiare le cose? ignorate Si deve ripartire da una formazione dall’occidente) le seguenti domande: nuova, dalla coscientizzazione delle perché nasce il terrorismo? Quali sono i persone e dei popoli. suoi terreni di coltura? L’occidente e il E questo è il compito della politica e saccheggio del mondo mediante l’azione dell’educazione. militarista ed economicista delle sue multinazionali cos’ha da dire a proposito? C’è bisogno di organismi planetari dotati Si sente in qualche modo (almeno) co- abitanti) e le baraccopoli che crescono Rispondere non è affatto difficile. Basta Sotto i marchi della Mac Donald’s e della responsabile? ricordare le percentuali di spesa che i paesi ‘civili e democratici’ investono annualmente in armi e nei processi della new economy (un velenoso cocktail di simmetricamente ad esse. Coca Cola, si consolida, dopo averlo creato, un nuovo conflitto di proporzioni planetarie. Davis (e con lui Leonardo Boff) parla di internet e capitale finanziario) per aver “favellizzazione Ma il “fatto” davvero inquietante l’ho figlio della globalizzaizone neoliberista e un quadro più che chiaro della situazione. scoperto leggendo un libro di Mike Davis del mondo”, come fenomeno sociale e politico crescente, delle sue contraddizioni. Contraddizioni davvero illuminante, che aiuta molto che, ormai, esplodono anche nella vita degli slum. recente caso-mutui dimostra. L’ennesimo nell’analisi della nostra epoca: Il pianeta Nelle sue pagine, il sociologo americano scrive che, se nel nostro mondo esiste davvero uno “scontro di civiltà”, questo pubblica interna degli States, come il indicatore di una società, quella americana, ammalata e incapace di rispondere ai bisogni sociali della sua non è fra l’islam e l’occidente, ma fra la gente (vedi la precarietà dell’assistenza ricchi) e le favelas (simbolo e luogo dei latino-americani, gli enormi sprechi città organizzata (simbolo e luogo dei poveri). Ossia, fra le nuove e molteplici megalopoli (dagli 8 ai 30 milioni di sanitaria, la ghettizzazione dei neri e dei dell’industria contingenti bellica militari, e dei sempre suoi più di reale potere decisionale; ma anche di scuole che, nell’ambito dei propri percorsi educativi, parlino di queste cose e rendano presenti gli strumenti culturali e didattici per apprenderle (riviste e giornali alternativi, libri come quello di Davis, ecc..). Sono questi gli strumenti pratici che abbiamo a disposizione per prevenire la nascita e lo svolgimento dei nuovi scontri di civiltà. Nella nostra epoca, cambiare il mondo è un imperativo categorico ineludibile. Ma occorre piccoli focolai costruirlo questo cambiamento. Bisogna accendere rivoluzionari, nei quali persone e culture “diverse” si incontrano, discutono, leggono, pensano, progettano, agiscono. Il cambiamento non avviene per decreti del re… Comincia dal basso, dalle coscienze, dalle comunità locali. Ovunque, in un mondo senza centro, ogni periferia diventa la porta d’accesso ad un futuro di speranza. 15 Oggi Famiglia CULTURA Novembre 2007 Il liberalismo di Ludwig Von Mises L di Gerardo Gallo udvig Von Mises, economista austriaco naturalizzato statunitense (1881-1973), fu un fiero avversario del Socialismo e sostenne l’assurdità di un’economia pianificata nell’opera “L’azione umana” del 1949. E’ stato esponente di primo piano del circolo culturale “Grande Vienna” e uno dei più importanti teorici del Liberalismo. Cercherò di esporre, a grandi linee, il suo pensiero. Da convinto individualista metodologico, ha contestato la dottrina di quanti fanno diventare cose - reificano dice lui - i concetti collettivi, quali Stato, partito, classe. Esistono invece solo individui che pensano, ragionano, agiscono. Tutta la sua speculazione dottrinaria è stata rivolta a dimostrare l’impossibilità del calcolo economico in una società che abbia abolito la proprietà dei mezzi di produzione, per la ragione che essa risulta, così, privata della bussola dei prezzi di mercato. L’economia di mercato non solo produce di più, ma diffonde ampiamente il benessere e la libertà. Al concetto di libertà si associa strettamente quello di pace, sicchè Liberalismo e pace sono inscindibili. Un lavoratore libero ha bisogno di pace per realizzare l’oggetto del suo progetto e tanto più s’impegna – diversamente dal lavoratore statalizzato – quanto più accresce il suo reddito. Quello non libero lavora quanto basta per evitare le sanzioni previste dai protocolli d’intesa. Tre sono i pilastri del Liberalismo: proprietà privata dei mezzi di produzione, libertà, pace. “La pace – scrive – è la teoria sociale del Liberalismo. L’unica cosa che fa progredire l’umanità è la cooperazione sociale; il lavoro crea ricchezza e pone le basi materiali per il progresso spirituale dell’uomo. Per queste ragioni il liberale ha in orrore la guerra, che ha un solo corollario: la distruzione di tutte le basi del consorzio fra gli uomini”. Per il mantenimento della pace va difesa l’uguaglianza di tutti davanti alla legge. E’ impossibile mantenere la pace in una società in cui siano differenti i diritti e i doveri dei cittadini come avviene nelle società non liberali. Chi delegittima una parte del popolo deve aspettarsi che i delegittimati si coalizzino contro i privilegiati. E’ illogica e contraddittoria la convergenza fra destra e sinistra, con la quale si è pervenuto a sostenere paradossalmente che il liberale sia animato da un dissennato odio contro lo Stato. Chi nega lo Stato imprenditore non è contro di esso. Afferma solo che quello Stato accumula passività e accresce il rischio della povertà. La funzione dello Stato deve consistere unicamente nel garantire la sicurezza della vita, della salute, della libertà e della proprietà privata contro chiunque voglia distruggerla con violenza e nel promuovere le intraprese singole al fine di far aumentare costantemente il prodotto nazionale. Per il Liberalismo lo Stato è necessario, ma deve stare alla larga dall’imprenditoria. Se garantisce la sicurezza, garantisce anche la pace, assumendo la sua corretta funzione, cioè la direzione democratica della società, perché la democrazia è nient’altro che la forma di costituzione politica che rende possibile l’adattamento del governo al volere dei governati senza lotte violente. Se la linea di condotta del governo non corrisponde al volere della maggioranza, vale a dire al meccanismo delle elezioni con cui si può cambiare pacificamente la classe politica al potere, essa è delegittimato in nuce. La democrazia ha l’obbligo – pena la sua morte – di fronteggiare qualunque minoranza avente la pretesa di dominare lo Stato e di sottomettere la maggioranza. La pretesa di una tale minoranza è sopraffattrice della libertà e della giustizia ed è figlia del razionalismo assolutista che nutre in sé la presunzione di risolvere tutti i problemi dell’umanità, indirizzandola verso una meta delineata come ineluttabile mediante teorismi volatili, senza alcun aggancio con la realtà. Puro delirio ontologistico. E’ la pretesa che nel secolo scorso si è, come dire, incarnata in Lenin, Trotckij, Ludendorff e Hitler, con i disastrosi risultati che conosciamo, grondanti del sangue di milioni d’innocenti. Il Liberalismo, però, vissuto, per lungo tempo, in gran parte dell’Europa nell’inferno della clandestinità, ha alimentato la fiaccola della dignità, della libertà, dell’orgoglio dell’uomo, tuttavia esso ha il dovere di essere intollerante verso gli intolleranti. Nessun dialogo con chi imposta la sua azione politica Ludwing Van Mises sull’annientamento della libertà. Se lasciasse correre, si precostituirebbe la fine. Permetterebbe, insomma, a una minoranza di soggiogare la maggioranza, distruggere la pace, abolire la divisione del lavoro, cancellare il benessere. In tale dannata eventualità, la politica diverrebbe l’arte di impedire alla gente di occuparsi delle cose che la riguardano e la preoccupazione per una assolutamente teorica lotta all’ingiustizia sociale sarebbe uno dei massimi ostacoli all’eliminazione della povertà e un obiettivo consolidamento del livello più alto di iniquità e di arbitrio. La teoria politica di Von Mises si colloca nel filone in cui il primato è tenuto dalla libertà e per il quale la crisi della civiltà liberale, angosciosa tra la prima e la seconda guerra mondiale, non si abbia mai più a trovare stretta tra nazionalismo, socialismo, guerra e rivoluzione. Il Liberalismo ha assicurato libertà di impresa, di stampa, di opinione, di riunione e di associazione. Si faccia in modo che tutto questo non diventi abitudine neutra fino al punto di crederlo acquisito per sempre. Lo si apprezzi come l’aria che si respira, lo si difenda, vigilando con fedeltà e costanza, perché, a chiudere anche un solo occhio, si può perdere tutto, ricadendo nel buio fitto di coscienze paralizzate dal terrore. L’indifferenza, la mancanza di partecipazione e d’interesse e l’inazione prodotta dalla prospettiva della fine fisica o spirituale farebbero rinascere la bestia trinariciuta contro la quale ci ha messo in guardia gran parte della cultura occidentale del dopoguerra. 16 Oggi Famiglia CULTURA Novembre 2007 Quell’io altruista… C di Eralda Giannotta ’è un mondo tutto da scoprire, c’è un mondo diverso da vivere, c’è quanto dovrebbe esserci in ognuno di noi per vivere meglio, per vivere in comunione con tutti. C’è il “ Volontariato” nelle sue diverse forme di attività, c’è il donarsi senza riserve e condizioni, il coraggio di essere diversi attraverso scelte coraggiose nell’ambito sociale. E’ bello poter dire che nel nostro Paese il fenomeno dell’Associazionismo è in continua crescita. C’è in ognuno di noi la voglia di tenere alto il valore della vita, favorendo iniziative solidali per una crescita organizzativa ed educativa della società. Viviamo tutti, in una situazione difficile, di crisi e disagio, sempre alla ricerca di qualcosa o di qualcuno che possa darci una speranza, ma in realtà a pensarci bene, la vera speranza per un futuro migliore sta in noi e nel saperci rimboccare le maniche! Di fronte a problemi non risolti o, non considerati, nasce l’esigenza di dare il proprio contributo attraverso le risorse che annidano in noi. Il Volontariato è un’attività libera e gratuita che nasce per ragioni di giustizia sociale e di solidarietà, senza logiche di profitto. Tra la gente, tra scambi di culture diverse ma con la stessa dignità che abbraccia un lavoro arduo fatto di cuore e di intelligenza attraverso un “posso” di prima persona rivolto ad anziani, giovani in difficoltà sociale, famiglie che vivono sulla soglia della povertà. Sostenere centri di solidarietà e cooperazione, con coraggio e sforzo costante è tra gli obbiettivi più belli di ogni Cristiano ed è grazie all’intervento di alcune Associazioni e alla buona volontà di molti che si realizzano tanti obbiettivi. Certo si può fare di più, ma intanto con la nostra testimonianza possiamo stimolare chi non ha avuto ancora il coraggio di incominciare, di assaporare la gioia di “quell’io altruista”. Riaccendendo la fiducia nella vita che è un dono di Dio, cominciando da piccoli gesti, condividendo e sapendo donare a volte solo un sorriso a chi sta peggio di noi, forse, almeno in parte riusciremo a curare quel vuoto che, spesso, diventa allarme sociale. Combattere le cause invece che gli effetti con un raggio di sole che entra tra le sbarre dell’egoismo dell’uomo, grazie a quell’io altruista che sa donare senza riserve. Da dove ricominciare C di Giacomo Guglielmelli he la nostra sia una società in crisi nessuno può disconoscerlo. E questa crisi investe ormai tutti i settori, da quello internazionale a quello economico, da quello istituzionale a quello privato. E le cause di questa crisi sono di difficile individuazione, non fosse altro perché viviamo in una società globalizzata e globalizzante, in cui ogni problema è legato all’altro in uno stretto vincolo di interconnessione. Così non riusciamo a capire l’accentuazione dei fenomeni di recessione economica a fronte di un generale aumento dei consumi, né se lo squilibrio del mercato del lavoro è dovuto alla diminuzione della produzione o al suo aumento; né se si fanno le guerre per l’accaparramento delle risorse petrolifere o se sia la loro scarsità a rendere ineludibile il ricorso alle armi. E non sappiamo in quale misura, per esempio, le politiche internazionali hanno determinato i flussi migratori dai paesi più poveri verso quelli industrializzati, generando l’incremento di episodi di discriminazione razziale. Insomma, la complessità di detti fenomeni ci impedisce di valutarne l’evoluzione, ma soprattutto ci ostacola nell’individuare i comportamenti giusti per arginare gli effetti negativi o contribuire invece ad incrementare quelli positivi, in vista di una convivenza pacifica. In queste contraddizioni la nostra sfera d’azione, anziché espandersi, sembra restringersi e la possibilità di intervenire in fatti tanto macroscopici si riduce quasi a zero. L’unica libertà che ancora ci è rimasta è quella di muti osservatori, di silenziosi spettatori di una realtà che diventa ogni giorno più alienante, incerta, se non angosciante. Non riusciamo più ad indignarci di fronte al massacro organizzato e programmato di popolazioni inermi, davanti alle stragi di innocenti eufemisticamente chiamate “missioni di pace”, ma che sul campo lasciano morti, feriti, orfani e vedove, case distrutte, regioni inquinate per sempre. La morte in televisione non fa più notizia e c’è sempre qualcuno che ci dice chi sono i buoni e chi i cattivi. Come uomini e come cittadini, del nostro paese e del mondo, non abbiamo più voce, perché i nostri rappresentanti non ci hanno mai ascoltato, impegnati come sono a difendere interessi di parte e posizioni di comodo. Anche la democrazia finisce per essere un concetto senza sostanza, senza significato. Il diritto di voto, in paesi con sistemi elettorali che favoriscono le lobby ed i poteri forti dell’economia, è svuotato di contenuto, tanto da costringere molti a disertare le urne.Ma si può rimanere solo a guardare? O, peggio, far finta di non vedere? Si può continuare ad essere complici di tali poteri forti? Non è forse, invece, arrivato il momento di cambiare i comportamenti, svegliare le coscienze, informarsi, pretendere chiarezza, trasparenza, sapere di più e meglio chi opera le scelte importanti e quali vere ragioni ci stanno dietro? Non possiamo più credere a chi ci dice “stiamo lavorando per voi”, per cui ci sentiamo legittimati a disinteressarci di ogni cosa succeda intorno a noi e nel mondo. No! Non ci è più consentito di delegare all’infinito! Noi abbiamo una grande responsabilità e dobbiamo assumercela fino in fondo, a costo di toccare i nervi scoperti dello strapotere e della malapolitica, sollevare i teli sotto i quali sono state nascoste le nefandezze, le porcherie, le morti bianche, i rifiuti tossici. La delega in bianco non è democrazia: è ipocrisia, è connivenza, è complicità, è anch’essa violenza. E non abbiamo più alibi. Perciò riprendiamoci la vita, a partire dal nostro quotidiano, da ogni piccola scelta che faremo da qui in avanti, da ogni persona che incontreremo, da ogni ingiustizia a cui assisteremo, che la facciano a noi o al nostro prossimo. Dobbiamo riscoprire i valori della convivenza ma anche quelli della legalità, diritti e doveri che si abbracciano, che si fondono, per consentire una vita più umana, più degna, più solidale, più creativa. 17 Oggi Famiglia CULTURA Novembre 2007 Grazie Enzo! L’Italia commossa e grata partecipa al funerale di Enzo Biagi Eminente personalità di giornalista ispirata ad una laicità aperta e critica che non conosceva padroni di sorta e che rifuggiva da tutti gli ordini di scuderia ideologica L di Luigi Perrotta a notizia si è sparsa correndo veloce e il mondo intero ha saputo che Enzo Biagi è morto. Improvvisamente i notiziari ci avevano messo al corrente del malore del giornalista e del suo progressivo aggravarsi, fino a quando, verso le otto del mattino di martedì sei novembre 2007, non è giunta la fine. Le sue condizioni di salute, sempre più critiche, consumavano lentamente quella vita fatta di sogni, di speranze che gli ardevano negli occhi sempre attivi, ma anche combattuta tra lotte, battaglie, incomprensioni. Eppure, anche se si sentiva come una foglia autunnale di Ungaretti, il grande Enzo Biagi è riuscito a darci una certezza: la forza della parola. Nella sua penna, nella sua mano, e perciò nel suo cuore, vibravano tutte le sensazioni e le finezze che riusciva a plasmare con un prosare limpido e lineare. La sua carriera, iniziata appena era diciassettenne, ci mostra come il percorso di un uomo, una volta incanalato in un cammino etico e civile, diretto a un ideale di vita intrisa di morale e di cultura, possa giungere, con la forza della semplicità, a toccare livelli altissimi, le sfere più alte che muovono la società e da lì conquistare il panorama circostante con un’arma quasi scontata: la cultura, non in senso stretto di erudizione, ma intesa sia come infrastruttura che come sovrastruttura. Biagi non era un uomo che lasciava fare al caso. Costruiva passo per passo ogni suo movimento, ogni sua azione, studiando bene tutte le mosse condotte con abilità chirurgica. Per far ciò si era costruito una base culturale solida che aveva unito magistralmente ad una fluidità sensoriale e ad una passione innata verso la comunicazione. Enzo era un grande comunicatore: doveva esserlo, per poter farsi conoscere, per poter sfondare sin dal quel lontano 1937, quando pubblicò, sull’Avvenire d’Italia, il suo primo articolo. Doveva esserlo per poter conquistare un posto ne Il Resto del Carlino, nel 1940. E Biagi conosceva bene il linguaggio del popolo per poter comunicare, per poter divulgare non solo cultura, ma anche e soprattutto per ravvivare il dibattito critico sui problemi che affliggono la nostra nazione, il mondo che ci gira intorno, la politica… Il tutto condotto con un umorismo leggero, mai volgare, sintetico, mirato. In una parola: schietto. Sì, Biagi era schietto, schietto e sincero come un buon bicchiere di vino, che, invecchiato a dovere, fa riflettere sui drammi della vita senza cedere al rimpianto, né alla commiserazione. Ne sapeva bene qualcosa Enzo: con i pianti non si sarebbe costruita l’Italia, quell’Italia che nacque libera dopo il 2 giugno 1946 e che lui vide splendere; con le lagnanze non si sarebbe abbattuto l’odiato regime fascista, contro il quale Biagi si oppose fermamente, perché era un uomo libero, libero di mente, libero di penna, libero di coscienza. Il suo obiettivo formativo di risvegliare dal torpore le anime sopite e inerti rispetto alla realtà circostante emerge dal taglio dei suoi articoli, mai sbavati e sempre chiari: il popolo ha bisogno di semplicità. Enzo era un uomo semplice, che amava le tradizioni, i legami affettivi e familiari, il suo Appennino. Era un uomo normale che voleva fare della sua normalità uno stile di vita che chiunque potesse imitare; ma si era reso anche conto che di normalità, cioè di aderenza alle regole, l’uomo (l’italiano) non voleva sentir parlare, non ne aveva bisogno. Ultimamente, i suoi libri avevano assunto un aspetto malinconico, un sapore triste che però non è mai fine a se stesso: in Quello che non si doveva dire, infatti, l’amarcord di Biagi non è volto a rimpiangere bei tempi andati o a far pesare eccessivamente sugli altri colpe che avevano sancito il suo ostracismo, la sua rovina. Il rammarico del grande giornalista nasce dal fatto che, dopo la sua cacciata non aveva potuto raccontare episodi rimasti oscuri, fatti che avrebbe voluto portare alla ribalta, che avrebbe voluto far conoscere, e non per stupido pettegolezzo, ma puramente per sensibilizzare i lettori ai problemi (veri!) della vita, e non a ciò che scioccamente sono abituati a vedere come tali. Quante volte ripete nel libro: “Avrei potuto farvi una puntata de Il Fatto…avrei voluto approfondire questo con uno speciale… avrei voluto…”, rintocca amaramente Biagi, abbozzando persino la scaletta dell’ipotetico dossier intorno a un argomento degno di nota. Egli chiedeva soltanto di fare il suo lavoro, tutto qui. Così come aveva condotto interviste importanti, così come aveva sempre mediato, da direttore, da redattore, ma sempre e soprattutto da giornalista, avrebbe tentato in ogni modo di mettere un po’ d’ordine, di fare chiarezza in un sistema troppo a tinte fosche perché il fragile uomo contemporaneo possa guardarci limpidamente dentro. Egli lamentava di non poter più comunicare e, non potendo far ciò, soffriva a causa di quella forza della parola che gli ruggiva dentro e che non poteva estrinsecare. Il suo desiderio di tornare in RAI era fortissimo, doloroso; il dolore più grande era quello di essere stato vittima di un sopruso, una prepotenza che fece chiudere Il Fatto, con una negazione dei diritti simile (troppo simile) a quella compiuta dal regime fascista quando soppresse il giornale che Biagi, appena adolescente, aveva fondato insieme ad alcuni compagni di scuola, frequentanti come lui l’istituto tecnico Pier Crescenzi. In questo giornalino, che si chiamava Il Picchio, Biagi aveva già manifestato la sua vocazione futura, occupandosi dei problemi della scuola, stampati su carta affinché essi potessero essere resi noti al resto degli alunni e questi riuscissero a formare dentro di sé una coscienza critica e autonoma nel pensiero. La sua era una missione, e questo lo si intuiva sin da quando era ragazzo, da quando, cioè, si faceva largo con le unghie e con i denti della diplomazia e della ragione. Quest’animo inquieto, questo spirito indomito continuerà a ringhiare, a scalpitare. Continuerà ad amare la sua terra, la sua amata Italia. E non dimentichiamo che, proprio per questo benedetto, assurdo Bel Paese, un uomo si è battuto per farlo crescere e progredire, risvegliarlo e scuoterlo, percuoterlo quando serve, ma poi farlo camminare appoggiato alla sua spalla fatta di buon senso e amore paterno e condurlo alle più alte vette della civiltà, della sensibilità, della cultura. Poco importa se ci siamo scordati del maestro, avviene sempre così. Ciò che non devono morire e che non morranno mai sono le sue parole, il suo esempio e il suo sorriso. Grazie Enzo! 18 POLITICA Oggi Famiglia Novembre 2007 Prepariamoci ad affrontare un inverno nuovo e democratico L Francesco Gagliardi 'inverno è ormai alle porte, così hanno sentenziato i meteorologi nostrani. Presto comincerà a piovere, il freddo si farà pungente per l'aria fredda proveniente dai Balcani e dalla Siberia, cadrà sui monti la prima neve, fuori dagli armadi sciarpe, guanti e cappotti. Uscire di giorno e di sera a fare lunghe passeggiate con gli amici, gli aperitivi all'aperto sotto gli ombrelloni di Corso Mazzini, le chiacchierate e le lunghe conversazioni sulle cose che non vanno a Cosenza e nel mondo, saranno ricordi lontani. Presto arriverà il Santo Natale e poi tutti insieme brinderemo al Nuovo Anno che sarà senz'altro nuovo in tutti i sensi, sarà un anno democratico come democratico e nuovo è il partito uscito dalle elezioni primarie del 14 ottobre u.s., dove si sono recati alle urne una marea di gente anche chi non aveva diritto al voto. Inesistenti i sedicenni, a valanga i sessantenni che ordinatamente si sono messi in fila aspettando il proprio turno nelle sezioni, nei bar, sotto i tendoni. Molti si sono recati a votare per abitudine consolidata, tantissimi perché credono che Berlusconi sia ancora una minaccia alla democrazia. Quest'anno dagli schermi televisivi a Natale e Capodanno apparirà la faccia bonaria del nuovo segretario del nuovo partito democratico che augurerà a tutti gli italiani democratici un Felice Natale democratico e un prospero Nuovo anno democratico e ci ricorderà ancora una volta, che le donne e gli uomini democratici italiani hanno scritto una delle pagine più belle del nostro continente. Quali sarebbero queste pagine? Quelle di essere andati a votare in massa e avere scelto lui, Walter Veltroni, come nuovo segretario democratico del nuovo Partito Democratico. Ho l'impressione ma forse la certezza che in tanti abbiano esagerato nell'enfatizzare gli aggettivi nuovo e democratico. Nuovo stento a crederci. Basta guardare gli eletti all'Assemblea Costituente che si riunirà a Milano il prossimo 27 ottobre. Sono quasi tutti politici di professione provenienti dal vecchio P.C.I. e dalla D.C. e che sono in politica da 20, 30, 40 anni. Nuovo partito, vecchie facce e che facce! Se ne è accorto finanche il Ministro Fioroni, Ministro in carica e amministratore delegato del patrimonio ex popolare il quale già mette le mani avanti:-Non è che facciamo un partito nuovo che combatte l'antipolitica e poi caliamo dall'alto le decisioni, le cooptazioni anche se illuminate non vanno bene-. Va poi considerato il fatto che la votazione è avvenuta con lo stesso meccanismo adottato nelle ultime elezioni politiche, con liste bloccate e candidati scelti dagli apparati, che con grande faccia tosta e ipocrisia Ds e Dl Veltroni hanno sempre criticato e vituperato. Se l'elezione dello scorso anno è stata una vera porcata, quella di quest'anno è stata una porcata all'ennesima potenza. L'altro aggettivo democratico andrebbe un po' ridimensionato, anche perché alla gente comune viene spontanea questa domanda:Ma allora prima di oggi DS e Margherita non erano democratici?- Erano senz'altro democratici, ma nessuno lo sapeva. Allora per non creare confusione al centro e a sinistra e volendo copiare in tutto e per tutto il partito che fu di Clinton, Kennedy, Truman e Rooselvelt, hanno voluto aggiungere l'aggettivo democratico per distinguersi dagli altri partiti politici italiani che secondo Kennedy loro non sono democratici e che sono una minaccia alla democrazia. Abbiamo così assistito il 14 ottobre ad una bella e simpatica americanata, scimmiottando le vere elezioni primarie che si svolgono negli Stati Uniti d'America. In America le elezioni primarie avvengono in un altro modo e servono davvero a scegliere democraticamente i candidati da opporre all'altro schieramento politico nelle elezioni municipali, statali e nazionali. Da noi tutti hanno potuto votare, in America prima ti devi registrare e poi hai diritto al voto. Walter Veltroni potrà dire trionfalmente:- I have a dream. I care!- Quale sarebbe il suo sogno? Defenestrare Romano Prodi e prendere il suo posto a Palazzo Chigi. E noi, per sopravvivere a questo lungo inverno democratico che si preannuncia piovoso, ventoso, molto freddo, con gas, luce, telefono, pasta, pane, latte in continuo aumento, dovremmo affidarci alle cure del nuovo partito e del nuovo segretario. Insieme a lui affronteremo le nuove serate noiosissime ma democratiche e andremo a pagare felici e contenti le nuove tasse democratiche essendo, secondo il Ministro Padoa Schioppa, bellissime. Col nuovo partito e col nuovo segretario democratico scelto da tre milioni di elettori non ci sentiremo più tristi, guarderemo la televisione con altro spirito e le considerazioni dei nuovi politici democratici sul welfare, sulle pensioni, sull'occupazione, sui giovani in cerca di prima occupazione, sulla sanità, sui trasporti, saranno davvero interessantissime. Non faremo più zapping passando da Matrix a Porta a Porta, da Ballarò a Annozero, da Otto e mezzo a Che tempo che fa. Un'ora segnata dal destino è scoccata sul quadrante della storia. Mamma mia! Tutti noi sappiamo, però, come è andata a finire. 19 POLITICA Oggi Famiglia Novembre 2007 Riuscirà il nuovo Partito Democratico a rinnovare il Paese abbattendo il muro del clientelismo e dell’affarismo? G di Sante Casella li interventi di politici e intellettuali riportati dai giornali nazionali e locali dimostrano che, nonostante il vento dell’antipolitica e del “grillismo” continui a soffiare, è diffuso l’interesse verso la semplificazione del quadro politico, funzionale al bipolarismo e alla governabilità. Ci riferiamo ad un quadro politico chiaro e non equivoco, che tenga conto della necessità storica secondo la quale, caduta insieme alle ideologie false e bugiarde, ogni residua tendenza alla delegittimazione reciproca tra i poli, la coalizione che vince le elezioni governi ed il polo perdente eserciti l’importante ruolo d’opposizione e di controllo dell’esecutivo. Sennonché per avere un bipolarismo perfetto bisogna prima garantire il funzionamento degli organi di controllo in modo superpartes, come detta la carta costituzionale. Perchè si tratta, appunto, di organi di garanzia chiamati ad operare a tutela della democrazia e del pluralismo. Organi di garanzia che sono: la presidenza della repubblica, il CSM, la Corte Costituzionale, la magistratura, la stampa indipendente e i Senatori a vita, criticati attualmente perché appoggiano (e votano sempre) il governo e la sua maggioranza. Dovrebbero essere questi gli obiettivi prioritari del Partito Democratico, i cui dirigenti dovrebbero riflettere bene sui percorsi organizzativi e politici. Perché il Partito Democratico non può nascere collegato a partiti e movimenti socioculturali della sinistra radicale (che spesso, purtroppo, condizionano o frenano le spinte riformiste) e con la sommatoria dei Pietro Nenni Napolitano partiti che si richiamano alla cultura cattolico-liberale. Sono tutte forze politiche collocate a livello europeo su versanti diversi e non coincidenti, in ogni caso, con le forze socialiste e riformiste di cui il nuovo Partito Democratico dovrebbe diventare la sintesi unitaria (basti citare la presa di posizione della Margherita che si rifiuta d’entrare a far parte del PSE). A meno che prevalga il disegno “antistorico” di chi vuole affiancare il diavolo e l’acqua santa. Per motivi di mera gestione del potere. Si tratta di equivoci e/o ostacoli che, se non verranno rimossi fino in fondo, lasceranno irrisolte tanto la questione socialista (i socialisti della diaspora dovrebbero ritrovarsi nella costituente socialista) quanto la questione comunista. Ed il caso italiano continuerebbe ad essere anomalo in riferimento alle vicende storiche e politiche dei paesi democratici occidentali in generale ed europei in particolare (in Germania il partito socialdemocratico, rifiutando l’alleanza con la sinistra radicale, ha preferito perdere le ultime elezioni generali).La storia del novecento obbliga e richiede chiarezza e visibilità al quadro politico italiano. Iniziando dall’evoluzione dei DS (partito post-comunista, il cui segretario On. Fassino ha accelerato i tempi della nascita del nuovo partito democratico). Al riguardo molto interessante è stata la sortita del presidente della Repubblica On. Napoletano, il quale, dopo 50 anni dalla tragica repressione sovietica della rivoluzione d’Ungheria, ha riconosciuto che aveva ragione Pietro Nenni, quando, nel 1956, condannò il comunismo sovietico, restituì il premio Stalin ed avviò il nuovo corso autonomo del socialismo italiano con l’accettazione, senza se e senza ma, della democrazia occidentale. Ne discende che eventuali accordi di potere del Partito Democratico non servirebbero (al pari della sommatoria dei partiti della sinistra e dei partiti del cattolicesimo liberale) neanche a realizzare le riforme istituzionali di cui l’Italia ha urgente bisogno. Come la riduzione del numero degli eletti nei vari consessi nazionali, regionali e locali e dei faraonici emolumenti percepiti dagli stessi eletti, che fanno aumentare il debito pubblico. Non servirebbero neppure ad eliminare, nel sud e in Calabria, la piaga del clientelismo e dell’affarismo dei mestieranti della politica e del potere, che – trasversalmente operano nei due poli attuali. Piaga che non si estirpa con l’intervento della sola magistratura, ma soprattutto con scelte serie e morali della Politica (con la “P” maiuscola). - 20 Oggi Famiglia POLITICA Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur C di Francesco Gagliardi hi ha studiato il latino ricorda certamente questa frase proverbiale tratta da un passo di Tito Livio e la ricordano senza dubbio i nostri cari parlamentari i quali nei Consigli dei Ministri, nella Camera dei Deputati e nel Senato della Repubblica, oggi come ieri, parlano, parlano, parlano per ore e ore e indugiano a prendere decisioni drastiche, mentre i cittadini italiani inermi corrono seri pericoli nelle fermate degli autobus, nelle metropolitane, negli androni dei palazzi, negli ascensori, lungo le vie e finanche nelle proprie abitazioni. Ma loro se ne fregano, perché non corrono nessun pericolo. Hanno la scorta, viaggiano con le macchine dello Stato e i loro familiari e le loro abitazioni sono sempre sorvegliate e protette. E così ogni giorno leggiamo nelle prime pagine dei giornali che una ragazza è stata aggredita e seviziata, un’altra è stata prima scippata e poi violentata, un’altra malmenata e poi sgozzata, un’ altra ancora rapinata, violentata e poi gettata in un burrone. Lor Signori si fingono indignati ma nel frattempo indugiano in inutili discussioni e così alcuni Ministri che fanno parte del Governo in carica, per motivi ideologici non approvano il pacchetto di sicurezza presentato dal Ministro Amato e si perdono in discussioni lunghe ed elaborate, mentre, nel frattempo, a Roma, nelle vicinanze della stazione ferroviaria di Tor di Quinto, maturano eventi irreparabili. Veltroni, il Sindaco di Roma, e candidato alla successione di Romano Prodi a Palazzo Chigi, convoca una conferenza stampa in Campidoglio e critica il disegno di legge che la sera prima i suoi amici di cordata avevano presentato al Parlamento sul pacchetto di sicurezza. Pretende, esige che Prodi riunisca d’urgenza il Consiglio dei Ministri e approvi immediatamente un decreto legge, perché la situazione che si è venuta a creare in Italia dopo il fatto gravissimo che si è verificato a Roma ha sconvolto tutte le coscienze. E così Prodi e Amato che avevano proposto quel disegno di legge perché secondo loro non c’era nessuna urgenza, sull’onda delle indignazioni e delle proteste che giungevano da ogni parte d’Italia, chiamando a raccolta i loro compagnucci, trasformano senza vergogna il decreto legge in disegno di legge e che viene finanche questa volta votato all’unanimità, turandosi il naso e nascondendo la faccia dalla vergogna per la figuraccia che hanno fatto di fronte agli italiani e al mondo intero, da quei Ministri che la sera prima si erano astenuti. Prodi ha alzato la voce, ha detto basta, tutti hanno dovuto votare compatti senza indugio quel decreto legge. E subito sono scattati i primi provvedimenti con disinfestazioni, sgomberi, abbattimenti di baracche abusive lungo gli argini del fiume Aniene e del Tevere. Le aree dei quartieri di Tor di Quinto, Eur, Nomentano e Porta Portese erano da tutti conosciute, tutti sapevano che erano popolate da migliaia di persone immigrate e clandestine che vivevano tra vegetazione e sporcizia, che di giorno e di notte si arrangiavano come potevano, rubando nelle abitazioni, scippando i passanti, malmenando chi si opponeva, stuprando e uccidendo, ma nessuno è mai intervenuto. I cittadini onesti hanno sempre protestato e le lettere indirizzate alle redazioni dei Novembre 2007 giornali della capitale sono rimaste sempre senza risposta. Ora che quelle baraccopoli sono state fotografate e che le televisioni di tutto il mondo hanno trasmesso quelle immagini che fanno rabbrividire ed indignare, tutti gridano che è giunta l’ora di dire basta e chiedono a gran voce il ripristino della legalità e la bonifica integrale di tutte le zone periferiche romane. Ed è scattata immancabilmente la rabbia di alcuni cittadini, i quali, non vedendosi tutelati dalle leggi italiane, hanno compiuto blitz punitivi nei confronti di cittadini romeni inermi e di altri gruppi etnici. Quello che fino ad ieri si paventava, oggi è diventato realtà. E’ accaduto proprio quello che temevamo. La gente scende in piazza e si fa giustizia da sola. Una decina di persone col volto coperto di passamontagna hanno aggredito a Roma nel parcheggio del Centro commerciale Liedl di Via Casilina quattro rumeni picchiandoli selvaggiamente. La vendetta che si è consumata a Roma, i bastoni, le spranghe, i volti incappucciati, i raid punitivi vanno subito condannati, ma sono, purtroppo, l’amara conseguenza del lassismo, del menefreghismo, della tolleranza che albergano in ciascuno di noi, ma soprattutto, diciamolo una buona volta senza indugi, sono la conseguenza dell’eccesso di buonismo e solidarismo che ormai pervadono in alcuni settori della società italiana. Se chiediamo più legalità e rispetto delle leggi veniamo tacciati di razzisti. Se chiediamo pene severe per i delinquenti incalliti veniamo tacciati di fascisti. Se chiediamo più fermezza e misure adeguate nell’affrontare i problemi legati all’immigrazione clandestina veniamo tacciati di xenofobia. Se chiediamo più rigore e severità veniamo tacciati di ignoranti ed ipocriti. Ma nel frattempo i delinquenti incalliti continuano a rubare e a uccidere, ad aggredire e a stuprare cittadini inermi, sgomenti ed impauriti. Ogni giorno che passa ci accorgiamo di diffidare sempre piu’ della politica B di Franco Pulitano uona parte del popolo italiano denuncia stanchezza e delusione per la qualità della politica e per la modalità con cui essa opera nel nostro Paese. Le famiglie italiane vedono sempre di più assottigliarsi le possibilità di una vita dignitosa e ciò costituisce motivo di sofferenza, sia materiale che morale, per quanti credono nel valore della giustizia. E’ sotto gli occhi di tutti che i nostri politici, in sede nazionale e locale, si trincerano spesso dietro i loro privilegi, ormai tipici della democrazia conoscitiva. Ciò comporta, nel comune sentire, un senso di disgusto per la politica attuale, per il fatto che assume così più la configurazione di una <<casta>> che quella di una rappresentanza popolare. I fatti di corruzione di cui in ogni momento si viene a conoscenza e la poca trasparenza dell’azione politica generano in ciascuno di noi un diffuso sentimento negativo verso chi ci governa. Pertanto il nostro auspicio è che tale situazione, al momento opportuno, indirizzerà l’elettore verso una scelta che garantisca l’affermarsi di una classe politica dotata di qualità morali e virtù sociali, che abbia veramente a cuore la crescita di ogni persona e lo sviluppo pienamente umano dell’intera società. Il “potere” non deve servire al “potere” ma al bene comune. Abbiamo bisogno di leggi e provvedimenti che siano segno di trasparenza e moralità dell’agire politico, volti a realizzare il bene di tutti. La gente si aspetta dalla politica risposte razionali e non stravaganti. 21 Oggi Famiglia POLITICA Novembre 2007 4 Novembre a Marzi Commemorazione dei caduti in guerra Il discorso del Vicesindaco Francesco Dominianni, che riportiamo integralmente, stempera la retorica dell’eroe di guerra e apre gli occhi delle nuove generazioni sulla ottusità del potere e sulla risibilità di certa democrazia Carissimi, Questa giornata dedicata alla memoria dei caduti in guerra, riporta al nostro cuore tanti nostri compaesani che hanno lottato e sacrificato la vita, nella speranza fiduciosa, spesso tradita e delusa, di garantirci libertà, maggiore benessere e, soprattutto, uno stato di diritto capace di dare il primato alla legge e ai diritti umani inviolabili prima che agli interessi e ai privilegi di parte. Questa ricorrenza del 4 novembre fu istituita dal Fascismo all’indomani della vittoriosa (si fa per dire!) prima guerra mondiale del 191518, combattuta contro l’Austria, allo scopo di trasformare le vittime di quella guerra spietata, quanto “inutile strage”, in eroi generosi e forti, in martiri immolatisi per la difesa della Patria. Come sappiamo, l'esercito Italiano respinse gli attacchi austriaci e ottenne la vittoria decisiva a Vittorio Veneto. Proseguì verso Trento e Trieste dove entrò il 3 novembre. Il 4 Novembre fu firmato l'armistizio con l'Austria. La prima guerra mondiale alle nazioni europee costò 6 milioni e 70mila morti di cui 650mila morti e 1milione di mutilati e feriti all’Italia. Una vera carneficina subita dalle famiglie dei nostri padri, poveri, semianalfabeti e senza diritti costretti da una minoranza furba e potente a dare la loro vita per difenderne i privilegi e gli interessi. L’idea di quella “grande” guerra ( che, in realtà, fu grande solo per i disastri!), negli anni successivi al conflitto, qualcuno ritenne che doveva essere tenuta in piedi nella memoria degli Italiani attraverso cerimonie pubbliche, l’erezione, in tutti i comuni, di monumenti ai caduti, le lapidi commemorative inneggianti all’eroismo e al martirio civile etc. Il fascismo, infatti, annegato nella retorica militarista, ci teneva a che gli italiani, fin dalle scuole elementari, interiorizzassero l’idea della guerra come una sofferenza giusta e necessaria, fonte di martirio e di eroismo per il bene della Patria. Oggi, e mi auguro che possiate condividere il mio sentire, è legittimo e doveroso, ripensare più criticamente anche i risvolti di quel sacrifico cruento. Noi e i nostri figli abbiamo bisogno, sia pure attraverso circostanze celebrative come questa di oggi, di riaffermare una “una memoria critica” della guerra e di purificare, dalla vuota retorica, il mito eroico dei nostri caduti in guerra. Certo, oggi ricordiamo anche i caduti dell’ultima guerra mondiale che è stata, anche se non per tutte le nazioni coinvolte, una guerra di liberazione dai totalitarismi liberticidi. Una guerra, dunque, che aveva tutta l’aria di essere giusta e doverosa e, perciò, destinata a perpetuare il mito eroico della difesa della Patria. Oggi, così sembra, noi godiamo di uno stato democratico, del riconoscimento di tutti i diritti e di una libertà totale a tutti i livelli: etico, economico, sociale, culturale, religioso. Tuttavia anche quella guerra che ha reso eroi i figli di Marzi morti per la libertà e la democrazia fu, pure, una guerra imperialista che porta con sé la macchia indelebile di 1miliardo e 899 mila morti ( in media 35,9 morti per ogni 1000 abitanti!), di cui 443 mila in Italia. Di quella guerra, anche oggi, abbiamo rimosso la lezione vitale. La libertà stessa, obiettivo primario di quella lotta fratricida, oggi appare corrotta e corruttrice, concepita com’è, come assenza di vincoli, essa ha assunto un carattere individualistico fino all’idolatria, fino alla caduta dei valori universali e perenni per l’affermazione di quelli individualistici, eccentrici ed effimeri. In Occidente il parlamentarismo è divenuto un dogma della politica e, come tale, tende ad affermarsi, anche con la forza delle armi o con quella della economia capitalistica, come modello da esportare a tutti i popoli. Oggi l’Italia che non è un’isola, e’ situata nel ribollire del mondo. E’ una frontiera calda e non solo per il clima mite e mediterraneo, ma perché ai suoi annosi problemi legati alla dipendenza succube delle mafie e delle camorre e alla litigiosità sterile dei partiti che pretendono di governarla, si vede aggiunti quelli dei popoli frontalieri, africani e orientali. Su tutto il pianeta ci sono bene 14 conflitti aperti, dal Guatemala, all’Africa, all’Iraq, alle Filippine. La violenza dilaga e semina terrorismo e morte, bambini orfani, centinaia di milioni di profughi, miseria e distruzioni di massa. La pace, nonostante gli appelli degli uomini costruttori di pace, è un miraggio mentre cresce, quotidianamente, l’angoscia per i Kamikaze islamici e mentre in paesi come l’Uganda l’esercito della resistenza contro il governo ha rapito 20.000 bambini per farne dei combattenti. Il mondo intero, in tutte le latitudini, è una polveriera e le grandi potenze non sono abbastanza grandi da rispondere alla violenza diffusa, con la solidarietà e la forza della promozione umana dei popoli schiavi del sottosviluppo economico e culturale e preda, per questo, di regimi teocratici e disumani. Purtroppo, a distanza di anni, il mito della guerra “giusta” perdura ancora nella coscienza distorta di tanti e la guerra, oggi molto più distruttiva e perversa, continua ad apparire, ai soliti noti: industriali delle armi, capitalisti, politici, funzionari e ufficiali dell’esercito, come facile soluzione dei frequenti e problematici rapporti tra gli stati e le derive nichiliste di movimenti e gruppi che, sul terrore seminato, in nome del comunismo, o addirittura, di Dio, o della razza, ammorbano le società di tutto il mondo. Per questo, io credo, che bisognerà lavorare per una cultura nuova improntata al dialogo, alla tolleranza di chi non la pensa come noi, alla non violenza, alla solidarietà e alla cooperazione fraterna tra i popoli di tutta la terra, ad una più equa distribuzione della ricchezza, e, soprattutto, al ripudio della guerra che non potrà mai essere considerata compiutamente giusta. Non solo. Bisognerà guidare le nuove generazioni, già in famiglia, all’acquisizione definitiva che “la pace non è semplice assenza di guerra, né si riduce solo a stabilizzare l’equilibrio delle forze contrastanti, né è effetto di una dispotica dominazione, ma è opera della giustizia. Per la costruzione della pace ( anche in un piccolo paese come il nostro), sono assolutamente necessarie la ferma volontà, da parte di tutti e di ciascuno, di rispettare gli altri, tutti popoli e la loro dignità” (Gs. 79). Carissimi, stretti, come ogni anno, attorno a questo monumento dei nostri caduti, possiamo sentire il bisogno di trovarci in sintonia con tutta la storia umana che ci ha preceduto. Tutta la storia umana, infatti, sia pure tra mille contraddizioni e tradimenti, testimonia che l’uomo è un essere destinato alla pace e che l’imperativo al quale nessuno può sottrarsi è quello di essere “costruttori di pace” per essere felici e beati insieme nell’unica vera patria di tutti che è questa terra bellissima. 22 BIBLIOTECA Oggi Famiglia Novembre 2007 Le Case Editrici sono invitate a inviare pubblicazioni a “Oggi Famiglia” La rubrica è a cura di Domenico Ferraro Il diario delle avventure di Pietro Viggiani S di Domenico Ferraro enza preamboli, con spontaneità e sincerità, Pietro Viggiani incomincia il diario dei suoi viaggi di lavoro, che lo portano in giro per il mondo. Le sue espressioni sono immediate. Telegrafico il suo pensiero. Non si sofferma in inutili riflessioni. La decisione è presa. Vuole conoscere, vuole vedere, vuole osservare le differenze dei costumi e delle culture dei popoli. Per sottrarsi al dorato involucro familiare, vuole partire. Solo così può raggiungere la completa indipendenza, l’autonomia di pensiero, la possibilità di agire in piena libertà. Il suo viaggio nella vita si coniuga con il desiderio di crescere e la volontà di rapportarsi agli altri, di essere utile e collaborare allo sviluppo del benessere. Nella descrizione delle sue vicende non vi sono parole inutili. Riesce ad essere essenziale. Poche espressioni, una colorazione adeguata del linguaggio ed abbiamo un riquadro, che ritrae la realtà nella sua razionale e concreta evidenza. La sua formazione culturale, il suo schema mentale lo spingono a penetrare in profondità ciò che osserva, a rilevarne le manifestazioni più penetranti, ad evidenziarne le sfumature più significative. I personaggi, gli amici, i colleghi di lavoro non sfuggono all’analisi del suo pensiero. Li inquadra, ne rileva le fattezze, li descrive nelle loro forme esterne, li fotografa nelle loro movenze, nei loro gesti, nei loro atteggiamenti. Dalla esteriorità penetra nel loro intimo. Rileva il loro carattere, emerge la loro personalità, il loro temperamento. Anche il suo linguaggio si adegua alle situazioni che descrive. Il pennello, che utilizza, ritrae l’originalità di personalità, che si caratterizzano per il loro modo di muoversi, di parlare, di gesticolare. Abbiamo, così, una miriade di personaggi, che popolano la sua giovanile esperienza esistenziale, dai quali apprende la bellezza della diversità e la varietà della vita. Pietro Viggiani si sofferma, inoltre, a descrivere i luoghi e gli ambienti dei suoi svariati viaggi. Alla sua attenzione non sfugge nulla. Riesce a rilevare e a individuare gli aspetti più caratteristici. S’incanta ad ammirare la bellezza della natura, la suggestione dei paesaggi, le opere della civiltà decorsa e quelle della civiltà moderna. Nota le sue riflessioni e rapporta il suo pensiero al comportamento umano. Anzi, la natura vergine e selvaggia, l’ambiente umano costituiscono, nelle descrizioni, l’elemento essenziale delle sue considerazioni, della visione che raffigura. Pietro Viggiani è giovane, ha un atteggiamento goliardico nei rapporti con gli amici. E’ sornione quando scherza. Ama la vita nelle sue piacevolezze, ma affronta anche il sacrificio, la sofferenza del lavoro. Non se ne fa un cruccio. Anzi, sospinge il suo essere a provare emozioni nuove, a distinguere le differenze di comportamento. Denota ed annota quanto avviene intorno a sé. Non sottovaluta nulla. Il suo pensiero è una pittura policroma di svariate sfumature. Gli amici, i conoscenti, l’ambiente di lavoro, i colleghi costituiscono il suo campo privilegiato di osservazione, il suo oggetto di riflessione, di critica, di apprezzamento, di sferzante ironia. Qualche volta, in certe situazioni, è anche un simpatico istrione. Non risparmia nessuno. Con la sua sferza tagliente gioca a divertirsi. Gli amici, i compagni di ventura e di avventura collaborano a rendere l’ambiente piacevole, divertente. Tutto è affrontato con spirito spensierato, allegramente. Il lavoro è una utile opportunità, che costituisce il centro delle descrizioni di Viggiani. Esso cementa il rapporto del gruppo di colleghi, che s’incontrano al di fuori degli impegni, nell’allegria di una mensa, nella burla degli scherzi, nella bonomia dei nomignoli con cui si conoscono e si chiamano. Viggiani dimostra di possedere una grande capacità descrittiva degli incontri e degli scontri delle persone. Infatti, la sua è una comitiva che sa divertirsi e, anche, litigare. In questi rapporti vengono messi in evidenza gli atteggiamenti più buffi, i comportamenti spassosi, il ridicolo delle smorfie e, infine, la psicologia più profonda della loro personalità. Il gruppo si riconosce, non quando è impegnato nel lavoro, ma solo quando s’incontra nel divertimento, nella gioia ironica di scherzare e di rendere la vita piacevole anche nelle difficoltà. Le analisi di Viggiani hanno il merito di essere introspettive. Se apparentemente si sofferma a descrivere gli aspetti esteriori è solo per farti intravedere la complessità dell’animo umano, quegli atteggiamenti che definiscono una personalità nella sua più autentica originalità. L’analisi psicologica segue ogni azione, e la semplicità espressiva, la naturalizza del linguaggio ne caratterizzano l’esposizione del pensiero, che non è mai futile, anche quando vuole apparire superficiale. In questa formulazione di pensiero si denota l’abilità stilistica di Viggiani. Una poeticità soffusa caratterizza situazioni che vive intensamente, o che, con convinta e sincera spontaneità, riesce ad inventare. E’ patetico, non nelle parole, ma nelle situazioni che analizza. Il suo diario, in fondo, è una bella pagina descrittiva, che ci sospinge in un mondo di giovani, che vive le proprie esperienze goliardicamente e nella più esasperata ironia, senza rancori e senza comportamenti offensivi. In questo maremoto di allegre e spensierate esperienze, non sfuggono all’attenzione e agli interessi intellettuali di Viggiani le differenze culturali, che caratterizzano il suo gruppo di lavoro e gli aspetti antropologici ed etnici della popolazione che li ospita. La sua è Pietro Viggiani, Il viaggio di Viggio, Robin Edizioni, Roma www.il-viaggio-di.viggio.it [email protected] un’analisi condotta quasi di sfuggita, non intenzionale. Si sottrae alla noia di una intellettualità accademica e si evidenzia, invece, la sua spontanea e semplice concretezza. Il realismo e il razionalismo, allora, della sua prosa si caratterizzano per questo efficiente interesse, che manifesta tutta la sua realtà nel modo come è vista ed è vissuta. Il suo viaggio, dunque, è una ricerca di cultura antropologica, che si radica negli atteggiamenti della gente ed evidenzia le contraddizioni che si visualizzano nel rapporto con i comportamenti occidentali. Significativa, inoltre, e di rara bellezza, è l’intercalare di espressioni dialettali o di lingua inglese. Denotano le proprie radici culturali e la vanitosa e giovanile importanza di espletare una funzione professionale di un lavoro internazionale nel Medio Oriente. Donano, inoltre, al dialogo quella vivacità espressiva, che rende la conversazione intensamente umana e confidenziale. Non trascura, poi, di descrivere il ricordo dei piacevoli giorni festivi della sua infanzia. Si commuove nel riandare con il pensiero alle persone care, quelle che hanno maggiormente determinato la formazione e lo sviluppo della sua personalità. La tenerezza e l’affetto lo travolgono. Rimpiange quei giorni sereni e l’emotività dei suoi pensieri ti travolge e ti coinvolge nei suoi stessi sentimenti. Appare, allora, in tutta la sua intensa capacità espressiva, una denotazione poetica, che esalta la cultura originaria e fondamentale della sua personalità. La lettura del diario di viaggio di Pietro Viggiani ci insegna a riscoprire non solo le problematiche lavorative del mondo postmoderno, la psicologia delle nuove generazioni, l’immediatezza del loro linguaggio discorsivo e comunicativo, ma, anche, la determinante importanza, che assume, per ognuno di noi, la cultura di un mondo ridotto ad un piccolo “villaggio globale”. Dunque, la cronaca del viaggio di Pietro Viggiani è un’esperienza esistenziale vissuta e resa viva ed emozionante da uno stile immediato, fluido, semplice, pittorico, ed è la storia del costume delle nuove generazione. 23 BIBLIOTECA Oggi Famiglia Novembre 2007 Le Case Editrici sono invitate a inviare pubblicazioni a “Oggi Famiglia” La rubrica è a cura di Domenico Ferraro Il romanzo tra cronaca, storia e immaginazione I di Domenico Ferraro l romanzo si snoda tra gli anni della prima guerra mondiale e la contestazione giovanile degli anni ‘70. Gli ambienti e le ambientazioni sono familiari all’autore. Egli vi s’immerge: li descrive, li analizza, ne racconta la storia. Non sfugge alla sua attenzione la motivazione culturale che muove e sospinge il comportamento dei numerosi personaggi che s’incontrano lungo lo svolgimento del racconto. La natura stessa, nella stesura degli avvenimenti, assume una sua propria vitalità e vivacità. Si sofferma a spiarla, ad evidenziane le sfumature, a descriverla nella sua autentica e naturale spontaneità. La natura e le ambientazioni si identificano con gli stessi fatti e con i comportamenti dei personaggi. La bellezza del linguaggio di Gerardo Gallo, l’originalità espressiva del suo stile letterario, descrittivo e comunicativo coinvolgono persone, animali, cose. I fatti raccontati, i personaggi incontrati, i luoghi visitati sono letterariamente e artisticamente inventati da Gerardo Gallo. La loro rappresentazione è arricchita da un realistico senso storico e da uno storicismo narrativo, che non sfugge al condizionamento di una cultura antropologica ed etnologica. Gerardo Gallo quando si sofferma a osservare questi personaggi, usa tutta la sua raffinata e sottile ironia. Sembra che si compiaccia, e ne condivida il loro verboso eloquio, che ne esalti il loro fecondo sapere, la centralità sapiente del loro esistere, la saggezza delle loro opinioni e la verità previggente dei loro giudizi. Ma, poi, affonda nel più amaro disprezzo la vacuità di una cultura, che si connota di notizie superficiali, che nessuna relazione hanno con le vere cause che l’hanno originata. Essi esprimono il vanto di un vaniloquio, che caratterizza la psicologia di persone vanesie, che, solo così, cercano di primeggiare in un ambiente, il cui costume di vita non ha alcuna relazione con loro, ma essi ne esprimono gli aspetti più poveri e più negativi. Quando, invece, incontra la vera sofferenza umana, Gerardo Gallo si commuove e nei suoi spontanei sentimenti trascina il lettore. Il suo linguaggio diventa snello, rapido, sfugge all’attardarsi di parole superflue. Il colloquio, il dialogo, l’espressività linguistica assumono la naturalezza della conversazione familiare, la colloquialità dell’intimità interiore, la tenue colorazione di sfumature psicologiche e sociologiche, che donano al contesto rappresentato una realistica concretezza di verità, non solo osservata, ma, anche, intensamente vissuta. Il centro vitale del romanzo è costituito dalla storia di una famiglia calabrese di un piccolo paese, da dove si osservano, si giudicano i fatti dell’Italia, dell’Europa, del Mondo. I costumi, la cultura antropologica rispecchiano in modo autentico il modo di essere, di pensare, di vivere della gente. L’autore stesso si sente partecipe di tali avvenimenti, di tali vissuti, anzi sembrerebbe che racconti la propria autobiografia intellettuale. Infatti, i comportamenti, gli avvenimenti costituiscono gli aspetti caratteristici dei personaggi. Emerge tutta la loro umanità, la loro speranza, la loro fiducia nel futuro, nella vita. Nelle vicende della famiglia al centro del romanzo vi è lo sviluppo di un costume individuale e sociale, che consegue dalla condivisione di una moralità ideale, che ritrova il suo riferimento nella saggezza del pensiero di Bossuet. Tale filosofia accompagna, sostanzia e motiva gli atteggiamenti esistenziali dei protagonisti. Quando Gallo si trova a descrivere situazioni di disagio sociale, di sofferenza materiale e spirituale, la sua prosa assume l’ampiezza armoniosa di un canto, che esalta la moralità dignitosa di chi soffre e l’asprezza di una condanna, di una politica, che, anche, nella solitudine di un piccolo paese meridionale ha fatto risentire i suoi efferati effetti. La famiglia, dunque, segue il corso della vita sociale, politica, ed economica della società. La chiave di lettura degli avvenimenti, delle peripezie, delle avventure, delle persecuzioni, dei fatti che connotano la storia d’Italia e del mondo è riposta nel pensiero, nelle idee, nella formazione culturale dei suoi personaggi. Ognuno parla il linguaggio della sua personalità, del suo modo di vedere e giudicare la vita, i costumi che si sente di condividere. Gerardo Gallo, mentre costruisce il suo romanzo, ti fa partecipe della evoluzione culturale del paese in cui si svolgono le vicende raccontate, ti descrive il fallimento ideologico e militare del regime fascista, ti fa conoscere il dramma di tante vittime innocenti, analizza come la gente abbia assorbito e imitato gli atteggiamenti, i comportamenti, i costumi dei conquistatori. La vita dei personaggi muta radicalmente. In alcuni si percepisce il rimpianto di una moralità perduta per sempre. Gallo riflette Gerardo Gallo Il compasso di Bossuet, Editrice Crathis sulle trasformazioni non sempre condivisibili. Condanna severamente. Il suo giudizio storico proviene da quelle idealità morali e filosofiche della dottrina esistenziale di Bossuet. Egli è il vero interprete di tale saggezza e la commisura alla personalità dei personaggi, che più fedelmente rispecchiano il suo ideale di vita, la sua concezione esistenziale. E’ sarcastico, tagliente, è brutale con chi tradisce i veri valori dell’esistenza. I personaggi sono la creazione intellettuale e morale della saggezza, dell’esperienza sociale e individuale di Gerardo Gallo. La sua è un’esperienza sofferta, vissuta emblematicamente nella sua personalità di studioso e di attento e perspicace critico degli avvenimenti storici, politici e culturali. Gerardo Gallo, attorno ai suoi personaggi, costruisce la storia dell’Italia, ne riassume la cronaca, il cambiamento dei costumi, il rinnovamento economico, la decadenza morale, l’emancipazione da una ipocrita tradizionale etica, l’evolversi e la formazione di una gioventù, che, ormai, guardava ai miti propinati dalla tv e provenienti da altre culture, e che non avevano alcun rapporto con la tradizione culturale in cui erano cresciuti i loro padri. La cronaca della contestazione giovanile degli anni ’70, s’identifica con la scomparsa dei protagonisti del romanzo. La loro fine ti sconvolge l’animo, ti adombra una amara tristezza, ti soggioga un senso di impotenza e di delusione per aver visto lentamente scomparire un mondo che, in definitiva, viveva e si sostanziava di profonda umanità, di virtuosa saggezza, di raffinata ironia, di convinta riprovazione e di condanna del male individuale e sociale. 24 Oggi Famiglia Novembre 2007 Lo scoglio di Paganini S di Luigi Scarpelli ta lì, piantato nel Mediterraneo, di fronte alla Costa Azzurra e a Cannes la sua perla, Saint-Ferrèol, un isolotto enigmatico e solitario, sperduto e corroso dalle onde, popolato da migliaia di gabbiani, che gli fanno corona come a una divinità scacciata dall’Olimpo per colpe misteriose. Codesta concrezione di roccia, che tanto impressionò Guy de Maupassant (Sur l’eau), divenne celebre quando per ben cinque anni custodì i resti mortali di Niccolò Paganini, e da allora – 1840 - venne indicata come “lo scoglio di Paganini”. Ma chi era Niccolò Paganini? Perché le autorità ecclesiastiche di Nizza, dopo averne proibito la tumulazione in un cimitero, ne esiliarono i poveri resti mortali su quel solitario isolotto sperduto in mezzo alle onde del Mediterraneo? Niccolò Paganini, il più grande violinista di tutti i tempi, compositore di notevole livello, nacque a Genova il 27 ottobre 1782, fu quello che solitamente si definisce un “fanciullo prodigio”, in un certo senso figlio d’arte visto che il padre, Antonio, arrabbiato giocatore del lotto, era anche un esperto e applaudito suonatore di chitarra e di mandolino. All’età di otto anni, il piccolo violinista Niccolò fu costretto a licenziare i vecchi maestri Servetto, Gnocco e Costa, che non sapevano che altro insegnargli e, sponsorizzato dal marchese di Negro, si recò prima a Firenze da Salvatore Tinti e poi a Parma dal celebre Alessandro Rolla. Quest’ultimo, restìo a essere importunato e, quel giorno, oltretutto indisposto, non voleva assolutamente ricevere il giovinetto, il quale, presente il padre, in un’altra stanza, scalpitava impaziente. Lì, sul leggìo, c’era uno spartito aperto su una composizione dello stesso Rolla; improvvisamente, Niccolò estrasse dalla custodia il suo violino(un Gaspare da Salò) ed eseguì l’intera difficilissima sonata, sbalordendo il Maestro che, apparso sulla soglia, seppe solo balbettare <Non ho altro da insegnarvi…>. Rimase tuttavia a Parma per avere dal Rolla lezioni di contrappunto e, nel frattempo, studiava e componeva musica, la più difficile; provava e riprovava per molte ore una battuta, un passo, cercando di ottenere dal suo strumento effetti assolutamente nuovi e originali, talora shockanti, che i suoi predecessori (Corelli, Viotti, Locatelli, Tartini),probabilmente avevano intuito senza però attingere i risultati sperati. Va comunque precisato che nella musica paganiniana ci sono, è vero, difficoltà difficilmente sormontabili (I 24 capricci per violino solo;Variazioni e parafrasi su temi diversi…), ma anche numerosissime pagine di incantevole bellezza lirica, che il violino esalta: gli “adagi” e gli “andanti” dei sei concerti per violino e orchestra, le stupende romanze per violino e orchestra o quelle per violino e piano o chitarra, melodie di profonda e nobile ispirazione. Schubert, alla fine di un concerto, così si espresse:”Ho sentito suonare un angelo”. Fu paradossalmente la sua eccezionale bravura di compositore, ma soprattutto di esecutore – lo scintillio dell’arco sulle corde, la spettacolarità delle lunghissime dita sulla smilza tastiera, le ubriacanti scale e i sonori “pizzicati”con la mano sinistra apprezzata anche da grandi geni come:Liszt, Schumann, Rossini…ad accreditare la leggenda di un patto da lui stipulato col Diavolo, e la cosa fu presa tanto sul serio anche dalla Chiesa che, come già detto prima, alla sua morte ne vietò, presumibilmente non solo per la fantasiosa diceria, la tumulazione del corpo in terra consacrata. Intanto, i clamorosi successi che dovunque salutavano le sue esecuzioni, prima in Italia, poi in Europa, nella musicalissima Vienna, a Londra… ne accrescevano la fama e il fascino. Lui, non bello, quasi scheletrico, profilo aquilino, occhi ardenti, lunghi capelli, andatura dondolante, era diventato in breve e ciononostante l’idolo delle donne, di tutte le donne: principesse, marchesine, ma anche popolane – alla maniera di Don Giovanni - fra le altre, la principessa di Lucca e di Piombino Elisa Bonaparte, la di lei sorella, la bellissima Paolina, la misteriosa Dida, tante, tantissime altre ne furono volontarie e soddisfatte “vittime”. Dalla cantante Antonia Bianchi, di cui forse fu veramente innamorato, ebbe l’unico figlio, Achille, sul quale riversò il più puro e sentito affetto di padre. Se ne son dette tante a proposito delle sue numerose relazioni con le donne. A F. Josepf Fètis (musicologo, compositore e didatta belga) egli stesso racconta tra l’altro:<…Per esempio si dice che io, avendo sorpreso un rivale presso la mia amante, lo avrei ucciso colpendolo coraggiosamente di dietro, nel momento in cui egli era fuori combattimento. Altri pretendono che il furore della mia gelosia siasi direttamente esercitato sulla mia amante, ma non tutti si mostrano d’accordo circa il modo in cui avrei messo fine ai suoi giorni…> Ma non fu solo un collezionista di donne, Niccolò Paganini, ebbe anche, e sviluppatissimo, il vizio del gioco fino a punto di dare in pegno e perdere il violino; e quando se ne ritrovò senza e doveva dare un concerto a Livorno, fortunatamente ne ricevette in dono un altro, un magnifico Guarneri del Gesù, da un negoziante francese, suo sfegatato ammiratore, un certo Livron; strumento che poi lasciò per testamento al municipio di Genova. Quella infelicissima esperienza gli servì tuttavia per allontanare e finalmente perdere il brutto vizio. Si è pure detto e scritto che Paganini fosse un avaro. Fu invece un generoso, fece del bene a tutti i familiari, ai parenti e anche ad altri. H. Berlioz, ad esempio, grande musicista francese, alla fine di un concerto comprendente sinfonie dallo stesso composte ricevette “…in segno di omaggio ben ventimila franchi.”. Eseguì gratuitamente diversi concerti di beneficenza. Certo non fu uno stinco di santo Niccolò Paganini, fu l’antesignano del divismo più spinto, capace di suscitare ammirazione e fanatismi fino alla follia. Un grandissimo artista come lui, corteggiato da una folla di donne, può anche avere, ha, le sue debolezze, i suoi cedimenti, negli ultimi anni, peraltro, aggravati dal pessimo stato di salute: la tisi, oltre ad indebolirlo notevolmente, l’aveva reso infatti completamente àfono. Dopo morto, gli fu così intentato un processo di eresia, nonostante fosse stato battezzato il 27 ottobre 1782 nella chiesa di San Salvatore in Sarzano, per quella sua vita disordinata e dissoluta, molto lontana dalla moralità corrente, e, per aver rifiutato i Sacramenti in punto di morte. Secondo il Vescovo di Nizza, era proprio il violinista del Diavolo. L’avvocato Tito Rebaudo, teste a difesa, invece ammise che veramente Paganini avrebbe di buon grado trascritto sulla lavagna i suoi peccati, data la sua grave afonìa. Possibilità che non gli fu accordata dal canonico penitenziere P.R.Caffarelli. Un processo, quindi, senza un alito di misericordia, quella misericordia implorata dall’Artista nel suo testamento. A distanza di molti anni, la salma, dopo molte peripezie, fu definitivamente trasferita a Parma e inumata nel cimitero della Villetta.