Perché il volley può salvare l`Italia.

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Perché il volley può salvare l`Italia.
Perché il volley può salvare l’Italia.
Oggi l’Italia intera è racchiusa in una goccia nel piacentino, appena superato il Po.
La domenica di gara quattro ci svegliamo un po’ tardi. C’è Piacenza - Trento e solo questo vale la pena
di scacciare i demoni mattutini dal sabato notte. Passato insieme a festeggiare la salvezza all’ultima
giornata della nostra squadra universitaria nel campionato federale. Un rapido tour di magioni
meneghine (con collezione di facce sconvolte, mentre varcano portoni milanesi colpite dalla luce delle
3 e mezza di pomeriggio) e siamo in autostrada per Piacenza.
Studiamo economia nello stesso ateneo e condividiamo una passione viscerale per il volley. Abbiamo
esercitato pressioni sulla “cupola” del nostro sport team fino a che non siamo riusciti a farci “quotare”
nel campionato lombardo di serieD. Ci stava tutta, questa mossa un po’ azzardata. La frontiera di
rischio/rendimento si impenna inesorabilmente in alto a destra, quando ci si lancia in iniziative un po’
avventate. 20 bocconiani alle prese con la serieD, il primo anno, sembrava un’eresia. Ma abbiamo
battuto tutte le squadre del girone tranne un paio, finendo a metà classifica. Siamo stati la mediana, e la
scheggia impazzita della serieD. Coach Professore, giocatori alunni o Alumni. Quanto lo abbiamo
desiderato, però. Il Cus ci andava stretto, i pesci grandi sono più a loro agio a nuotare nel mare, che in
una boccia di vetro (sporco). Abbiamo infatti tutti un trascorso nel volley chi più, chi meno
magniloquente. E ci andava di tenere questa passione viva anche durante gli anni dell’università, dove,
di base, bisognerebbe rivolgere l’attenzione a cose più proficue. Non è facile promettere il proprio
impegno costante quando si hanno miriadi di altre scadenze e progetti da onorare. Ma maneggiare solo
i libri ci andava troppo stretto. Per questo abbiamo cercato di adottare un sistema di incentivi e impegni
diverso da quello che si richiede in ogni società sportiva semi-professionistica. Sempre mantenendo il
Rispetto verso gli altri come obiettivo principale. Una ciurma di pirati, in pratica. A volte assenteisti,
incostanti, stressati, arrabbiati, offesi anche…ma sempre leali verso noi stessi.
Il flottante della nostra quotazione diciamo che ha mostrato segni positivi (e non…) in questi due ultimi
anni. Ai posteri l’ardua sentenza, dalla nostra diciamo solo che ci siamo divertiti un mondo.
Ringraziamo accoratamente il nostro Presidente, per questo.
Discorso che vale anche per la nostra mamma-serva Italia, di dolore ostello e senza un vero pilota. Da
molto tempo. Risultati altalenanti, con punte rimarchevoli di vera e propria decadenza da basso impero
romano. Ma tanta qualità. Una eterogeneità che crea un potenziale sinergico quasi infinito. Ci piace
dirci, dopo le mitragliate di insulti che ci si scambia, quanto l’eterogeneità renda più ricchi. Ma dentro,
non finanziariamente. Oggi in macchina siamo sei. Potremmo anche mettere giù un sestetto, se il
centrale non fosse troppo vecchio (e spompato) per fare sempre da solo il giro davanti. Sappiamo che lo
farebbe comunque, se servisse (abbiamo portato anche il polmone d’acciaio, non si sa mai). Veniamo
da altrettante regioni geografiche differenti, e mancano molte rappresentative, rimaste a casa. Il lituano
non poteva venire a dare una mano in centro alla rete al molisano. Dati gli svariati accenti, a volte non
capiamo neanche tutto l’insieme combinato di folkloristici improperi che ci lanciamo. Se poi si
aggiunge che spesso e volentieri dobbiamo parlare inglese… Meglio così, forse.
Oggi l’Italia intera è racchiusa in una goccia nel piacentino, appena superato il Po’. Si chiama
Palabanca. Curioso. Una tensostruttura a cupola ospita una delle formazioni più quotate della A1
italiana, il campionato più bello del mondo. Almeno fino a che i russi non saccheggeranno pure le
astine delle reti. Parcheggiamo e ci mettiamo a vedere il riscaldamento da bordo campo, motivo per il
quale siamo lì con un’ora abbondante di anticipo sull’inizio gara. E’ una delle cose che più ci piace
della pallavolo, si può andare a fare due chiacchiere con i campioni. Il nostro retaggio sportivo ci vuole
uscenti da giovanili sperdute, come da vivai di primo piano. C’è -tra noi- chi è arrivato in alto, chi ha
sbottato e ne è uscito prima. Chi è scarso senza appello.
Quindi Fortuna volle che i biglietti in curva fossero trovati grazie al nostro palleggio, che qui ha
giocato parecchio, anni fa. Ma quelli di Trento si ricorderanno sicuramente un altro nostro -carocomponente, adesso lontano per il semestre di scambio. Si è portato uno scudetto a casa, da Trento a
Milano per studiare in Bocconi. Siamo quindi nella condizione perfetta per assistere a questa sfida
sportiva di livello assoluto. Nel mezzo di placche tettoniche in movimento. La coppa scudetto oggi è
sul tavolo del referto, infatti. Se vince Trento se la porta a casa
Il Palabanca si anima presto. Con gente e –soprattutto- giovini spinti dal nostro stesso intento. La
curiosità e la voglia di assistere a un grande spettacolo. Nient’altro. Anche molto più giovani di noi.
Alcuni ci arrivano al ginocchio e ci salutano con dei sorrisoni sdentati. “Cresci bene tu, che un giorno
forse sarai dall’altra parte delle transenne!”. L’atmosfera è surreale, sembra una festa a nome di tutti.
Non c’è un muso lungo al di fuori di quelli che si stanno scaldando negli 81mq davanti a noi.
Guardando gli occhi di Zlatanov capiamo che una volta indossato il colletto bianco –sperandoci-,
saranno una delle cose che mancherà di più alla nostra quotidianità. Quando arriverà il giorno di
appendere le scarpe, la tensione, la coltre di adrenalina che cala quando la testa entra in modalità
“battaglia” varrà bene una lacrima. L’oretta di riscaldamento pre-partita: infilare la corazza, affilare la
clava.. Saremmo tentati di andarlo a disturbare ma hanno già preso palla.
A bordo campo si respira un’aria incredibile. In uno spazio di 3 metri si riuniscono fans, giocatori e
addetti ai lavori. C’è tutta la combriccola di RaiSport. Con Galli invece di Lucchetta in regia. Noi sei ci
presentiamo con la ragguardevole media – escludendo l’outlier statistico del libero- di 1,92 cm ma ci
sembra comunque di assistere a uno sport diverso dal nostro. Sono invitati solo titani di almeno due
metri.
Dopo un girovagare a bordo campo riusciamo a scovare un antro dove sedersi in curva Lupi, i locali.
Già piena da tempo, rumorosa e variopinta. Campeggiano il bianco e il rosso, col sottofondo musicale
regalato della band live. Il riff di “Sweet child of mine” fa sempre il suo effetto, in queste occasioni.
Nel palazzetto c’è proprio racchiusa l’Italia, oggi. Non solo nello scudetto: è nelle movenze, nei colori,
nell’atteggiamento cordiale di ogni partecipante all’evento. Sediamo vicino una signora di mezza età
del posto, che ci elargisce gentilmente uno dei suoi sedili “riservati”. Uno di noi ha –a quanto parevisibilmente la schiena a pezzi. Da come ne parla pensiamo sappia di volley più di noi. E in modo più
appassionato, accanito. Una persona estremamente gioviale, ma che ammette di fumare come una
pazza solo durante le partite che viene a vedere ogni domenica. Non riesce a non scappare fuori durante
ogni pausa tra i set. Ridiamo.
Lo speaker incalza ricordando le misure di sicurezza e invitando a salutare la tifoseria di Trento,
chiamati “amici”. In effetti ci sono circa cinquecento irriducibili gialloblu transumati per l’evento.
Quando la tua squadra ha vinto tutto -con triplete- negli ultimi 5 anni ci può stare. Il palazzetto
risponde in maniera emozionante. Un applauso corale, all’insegna del Rispetto. Applauso trentino di
rimando. Che bel guscio ci siamo scelti per celebrare la nostra salvezza in campionato. Perché il
teorema meccanicistico funzioni, che sia volley o transazioni economiche, le ipotesi di base devono
mantenersi solide: buona fede, etica, onore, trasparenza. In questa –piccola- goccia, centro nevralgico
del Mondo adesso palpitano almeno 4000-4500 anime. E 26 gladiatori, due condottieri che si giocano il
trofeo più ambito. Ma tutto questo è un unico essere con vita propria, emozioni e reazioni.
Come la nostra nazione, che è più sensato chiamare “squadra”, oggi. Si è squadra quando il sacrificio di
un individuo mette in condizione l’altro di performare. Senza questa sicurezza, la prestazione viene
meno. Dopo una difesa a sbucciatura di ginocchio con palla alzata a campanile lo schiacciatore
opposto ha il dovere morale di non sparacchiarla fuori vero i piccioni. Deve capitalizzare il gesto del
compagno, per chiudere il punto. Al massimo si gioca sul muro e si ricostruisce. Se non sei capace
spegni l’orgoglio, appoggia di là, e Credi nella tua fase muro-difesa! Se si è squadra. Noi lo sappiamo
perché ce lo hanno insegnato fino da piccoli. Anche a suon di piegamenti e “suicidi” di scatti a
ripetizione. Oggi siamo davanti alla miniatura dell’Italia che sta disputando la sua storia. Compagini
avverse da secoli si odiano e si amano entro 10km di distanza una dall’altra, in questa nostra martoriata
terra. Assistiamo come mutua Verità, velandoci di incomunicabilità leopardiana quanto a dogmi
accademici in merito alla situazione. Sociale, economica e culturale. Ci piace solo dire a noi stessi che
se nessuno difende, la palla punto non si chiuderà mai. Se si è tutti bravi a finalizzare, alla fin della
fiera non lo è nessuno. E’ col muso per terra che ci definiamo, invece. E’ dalla polvere che nasce il più
bello tra i fiori.
Qui dentro lo sanno meglio di noi. Sono opposte due squadre con caratteristiche molto diverse, ma che
condividono la stessa vibrante dose di forza di animo. Trento: cinicamente abituata a vincere dal suo
inflessibile comandante bulgaro. Un viso che raramente fa trasparire qualcosa, anche quando le sue
bande stratosferiche mettono a terra palle assurde in campo. Piacenza: tutto cuore e centraloni da
sfondamento serviti da un genio visionario di palleggiatore argentino. Un Fenomeno vivente di “soli”
190cm, e un capitano leggendario.
Agli attacchi liberi si capisce già che sarà una partita davvero concitata. Più una battaglia, che un match
di pallavolo. Lo speaker carica il Palabanca –ancor di più!- che risponde sempre pronto. Impossibile
non farlo se Simon il cubano chiude una palla nei due metri e mezzo che fa la barba al soffitto. E’ più
che altro una bolgia, già. Bellissimo. Il gesto creativo; congiunto. De Cecco – Simon. Ci fa sentire
geneticamente degli scarti sapere che quest’ultimo ha visto tanti inverni quanti noi quando usciremo, o
siamo usciti, dall’Università.
Inizia il rooster all’altoparlante. Ogni nome urlato -con numero di maglia- suscita una vibrazione
diversa della folla adorante. Invidiamo ognuno di questi giocatori, per la dose di adrenalina che una
scena del genere spara nella carotide di chi sta soltanto assistendo dagli spalti. E’ un bellissimo
baccanale sportivo. Si applaude anche Trento, che ha imposto standard di performance e (soprattutto)
atteggiamento mentale superiori, in questi ultimi anni del volley. Onore ai marziani. Un secondo boato
con la notizia della vittoria delle donne del volley di Piacenza, nella serie scudetto. La famiglia.
Ci sono molte altre realtà oggi, nella goccia del Palabanca. C’è anche politica, economia, giornalismo.
Non sono neanche troppo ben celate. Gli striscioni si srotolano davanti a noi nella curva dei Lupi
biancorossi. La sostenibilità è il tema principale che deve animare la nostra prossima decade. Solo
questo ci va di dire a noi stessi. Sia per il primo striscione, che per il secondo. Aggiungiamo un
accorato augurio a Tonino Callipo, anche in onore della nostra nutrita colonia calabrese intestina.
Anche perché ai vari Volleyland lo stand di Vibo è uno dei pochi che mandava da mangiare gratis.
Ridiamo. Sdrammatizziamo, siamo italiani. E ne siamo super fieri.
Quando siamo stati in giro per il mondo a fare tornei universitari il nostro retaggio ci ha sempre
accompagnato, e non ci ha mai deluso. Anzi, se abbiamo fatto meglio di altri è anche grazie a questo –a
volte- pesante fardello. Lo abbiamo sfruttato. Ci piace riassumerlo con una parola latina: animus. In
Turchia ci siamo potuti giocati l’accesso alla finale del torneo contro dei bulgari giganteschi, ad
esempio. Hanno dovuto sudare fuori l’anima per piegare sei italiani contati. Senza palleggiatore di
ruolo e senza libero. Ovviamente siamo diventati amici della nostra nemesi balcanica (l’anno
successivo stessa scena: usciti in semifinale contro di loro) dopo la partita. Abbiamo scoperto che i
problemi che ci assediano non sono così unici. Petar, palleggiatore di 200cm passato anche per le porte
del privè della nazionale, ci confessa davanti a una birra che vorrebbe continuare nel professionismo.
Ma ha deciso che fare l’università fosse più proficuo e sostenibile, dati gli scenari di rendimento
atteso/rischio, della carriera sportiva. Quante volte abbiamo sentito queste parole, tanto da decidere di
farle nostre in prima persona, forse. Non vi stiamo a dire chi ha vinto il torneo di Istanbul per due anni
di fila: Petar e i suoi amici. Senza sudare come in semifinale, per loro stessa ammissione.
Ci sono anche affetto e ricordi oggi, al Palabanca. Il Bovo ha lasciato la sua Famiglia troppo presto.
Infatti la stessa ha appeso la maglia numero 16 sopra la propria curva. Il nostro pensiero, come quello
dello speaker e della gente, va ai suoi figli e a sua moglie all’interno del macro insieme “famiglia”
piacentina. Il nostro affetto batte per voi. C’è anche forza e luce alla fine del tunnel. Jack Sintini è la
prova che anche le battaglie più difficili si possono vincere. La cosa ci tocca particolarmente, in quanto
anche un nostro compagno è passato per la stessa situazione critica. E ha vinto. Alla faccia tua, cancro,
va la faccia sorridente di Jack e Davide. Che dalla panchina ruggiscono e urlano come fossero sotto
rete. Lo vediamo bene nel rettangolo di riscaldamento a bordo campo. Il nostro affetto e stima
continuano a battere. Chapeau a voi.
C’è l’inno. E ci viene la pelle d’oca. 4500 persone si alzano in piedi e cantano le note della nostra storia
rivoltosa. Onore a chi è morto per mettere la bandiera tricolore sulla Coppa che si staglia sul tavolo a
bordo campo. Tutto il palazzetto rende giustizia ai nostri antenati eroi. E’ un momento toccante di
orgoglio nazionale. Quando la nave barcolla è un sentimento condiviso che mantiene i nervi saldi nella
ciurma. “….dov’è la Vittoria, le porga la chioma...(...)…siamo pronti alla morte, siam pronti alla
Morte, l’Italia chiamò!...SEEE!” Il mos maiorum è ciò che ha reso il nostro ultimo impero il più grande
e glorioso del mediterraneo. L’insieme dei valori, credenze e dictat morali che stringono una
popolazione –o squadra- intorno a una finalità comune e condivisa. Come facciamo noi la sera in via
della Commenda.
C’è la presentazione dei sestetti in campo, poi si è pronti al lancio. Gli sguardi dei protagonisti si
incrociano attraverso la rete. Sono lame, hanno iniziato già il duello. Gli occhi azzurrissimi di Radostin
Stoytchev -intervistato- sono il simbolo della sua lucida analisi tattica e strategica nelle ultime battute
coi giornalisti nel prepartita. Fischio. Si parte. Win or go home!
Si vede l’apporto del quattordicesimo giocatore di Piacenza nelle prime battute. Il Palabanca. La
squadra di casa infatti ritaglia il primo –pesante- break coi primi due turni di battuta. Il migliore degli
incipit sportivi: una fucilata sulle braccia di Kazinsky. Ace di Holt. La ricezione di Trento non riesce a
tenere le spallate di Fei. Poi chiude il capitano nei 2 metri. Più volte. Tempo. Poi Fei tira un altro colpo
a più di 120km/h in battuta e la prima linea chiude nei 3 metri. La curva ci scoppia intorno, sono dei
vivi momenti di tenzone all’ultimo sangue.
Il video check stempera già al secondo punto gli animi in campo. Quanto è bella la pallavolo. Ci serve
questa trasparenza e chiarezza normativa anche in altri ambiti. Viviamo di passioni, infilati in questo
stivale. Solo la Giustizia, la verità, la conoscenza e l’umiltà morale possono fermare il Declino. Se una
palla finisce vicino la riga, la tecnologia aiuta a vedere l’istante dell’impatto. E l’immagine viene
mandata anche sul maxischermo, al cospetto di tutto il palazzetto. Sono le frontiere che il progresso ci
mette davanti. Dobbiamo varcarle. Dobbiamo pensare in modo più evoluto. Senza interpretazioni,
polemiche, intrallazzi. E’ un modello di competizione sostenibile, quello basato sulla contrattazione
occulta? Noi ne siamo dubbiosi. La teoria accademica è contraria. La rivoluzione delle menti deve
iniziare dalla folla, poi sbarcare in Parlamento. Il capitalismo deve essere salvato dai capitalisti corrotti,
per mano della gente normale. Dobbiamo farlo accadere.
Dopo il timeout si vede bene quanto Trento abbia preparato la tattica. 3 dei loro primi 7 punti sono
pipe. Qualcosa vuole dire…: “speriamo di inchiodare un po’ i centrali piacentini a centrorete, sennò
sarà dura per le ali con tutti quei centimetri”. Quando la partita a sacchi entra nella fase del medio gioco
si vede la qualità infinita della formazione trentina. Sono delle macchine: lucidi, reattivi, affiatati,
affilati, spietati e fisicamente stratosferici. Quando ricade dall’attacco, Juantorena deve levarsi la brina
dalle spalle. E‘ uno show assurdo, dal vivo. L’unico nostro rimorso è non potere sentire i timeout. Oggi
c’è carne al fuoco, e ne si sente l’odore.
Nonostante gli automatismi perfetti di Trento, Piacenza risponde da squadra Vera. Cuore, passione,
esperienza. “Vecchi” leoni come Papi e Zlatanov sono uno spettacolo, da vedere giocare. Gli occhi di
Hristo ci colpiscono ancora una volta. De Cecco tira i fili dei suoi puppi in maniera poetica. Ci stiamo
divertendo molto. Purtroppo i giocatori locali non possono sbagliare proprio nulla. Sanno che quelli
dall’altra parte non lasciano scampo. Come degli squali, se sentono l’odore di sangue è finita. Un
appoggio sbagliato fa fare un passo in più al palleggiatore, che potrebbe non mettere la migliore delle
alzate. Che potrebbe sfociare nell’attacco non al 100% delle potenzialità. Questo non deve
succedere..se di là la difendono, è finita. A Piacenza serve l’efficienza assoluta nella filiera produttiva
del punto. Ogni passaggio intermedio deve essere ottimizzato. Anche più. Sono i giocatori in maglia
rossa che devono vincere questa partita col cuore, quelli in nero sono abituati ad assassinare
competizioni a ripetizione. Eros e Thanatos oggi danzano uno contro l’altro, dentro questo tendone
gremito.
La gara si sussegue in modo rutilante e concitato. Vediamo delle palle assurde. Papi sa prendere
l’angolo negli ultimi 10cm di campo con la diagonale lunga. A volte si sfonda il muro di forza, a volte
si usa la testa. Altre ci si deve sdraiare a terra e scavare la palla dal taraflex. Piacenza difende con la
forza della disperazione. Si spinge sempre forte, dal primo tocco (battuta) all’ultimo (attacco). Ci sono
polemiche, fischi, screzi. Ci sta. E’ la finale scudetto italiana. Che formula bellissima quella dei
playoff. Vince Piacenza. Lo stadio ci esplode intorno. E’ bellissimo, siamo nel piccolo centro caldo
del mondo, adesso. Guardando il Palabanca non possono che rizzarsi tutti i bulbi piliferi dei nostri
corpi. Ci siamo dentro. I fenomeni tornano a casa senza bottino, oggi. Anzi, devono proprio fare
impacchi di ghiaccio dietro alle orecchie: 3 - 0.
Oggi non ci sono responsi definitivi. E’ rinviato tutto alla finalissima. E’ andata così: l’Equilibrio è
ristabilito nella giungla, tutto è ancora in discussione. Una risposta sarà delegata alla prossima
battaglia, è ancora tutto nelle mani dell’alea e del controllo umano, insieme. Homo faber ipsius
fortunae. Niente di nuovo sul fronte della finale. Dopo il clamoroso tre a zero in trentino, questa è la
risposta. Ci sono tutti i presupposti per vedere qualcosa di speciale anche domenica. Vogliamo andarci.
Zlatanov MVP con 25 punti messi a terra.
Dato che ce n’è l’opportunità, invadiamo il campo in maniera stra-pacifica con tutti gli altri. Che sport
meraviglioso. Fare due chiacchiere coi campioni ancora sudati. Foto. Ragazzine impazzite circondano
minacciosamente Luca Vettori. Volevamo conoscerlo. Lui è il futuro, secondo il nostro modesto parere
collettivo, del volley italiano. Almeno in posto 2. Un modello di sostenibilità applicato: proviene dalle
giovanili indigene ed è in corso la sua affermazione nella massima seria. A vent’anni non è dovuto
scappare all’estero, lui. Quando entra gioca con la testa, e con chili di attributi meno nobili. Nonostante
la sua giovane età anagrafica. I “vecchi” in ufficio hanno puntato sul giovane, rischiando. Finalmente!
Torniamo a casa e scopriamo che lo scudetto di un altro sport è stato assegnato oggi. Non ci tange,
abbiamo davanti agli occhi ancora la bolgia dell’oltre Po’. Passioni più nobili. In quella bolla svuotata
completamente dall’ossigeno la nostra domenica è passata quasi in maniera surreale. Crediamo ci sia
una morale in ogni cosa, volente o meno. Quella che portiamo a casa noi oggi è che spesso si prova a
vincere da singoli, ma è più bello farlo succedere tutti insieme. Soprattutto perché se capita nella
pallavolo, si esce a festeggiare e fare i pazzi con la squadra femminile. E si può portare da casa per la
serata anche il proprio retaggio, come ogni italiano che riesce ad assistere in modo non passivo a quello
che gli sta accadendo. Animus: coraggio, passione, ira.