Società - Luxury Institute
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e ’ La soglia d’ingresso è una liquidità personale di almeno dieci milioni di dollari Società Nababbi di tutto il mondo unitevi Richistan Così viene chiamato l’immaginario Paese transnazionale dei super facoltosi nei cinque continenti. Con una popolazione pari a quella del Belgio. E in continua crescita di Sabina Minardi L’espresso Foto: S. Lovell - Polaris / G. Neri, P. Wallet - Gamma - Eyedea / Contrasto, Heeb - Laif / Contrasto La Fiera del Lusso, lo scorso giugno a Shanghai. In basso: il Ritz Carlton a Manama, nel Bahrein. Nell’altra pagina: i preparativi, in India, per un matrimonio multimiliardario al Jag Mandir Palace di Udaipur Non esiste: ma ha un nome verosimile, con una desinenza da ex repubblica sovietica. Non ha confini: perché si estende da una parte all’altra del globo per includere la popolazione dei privilegiati ovunque dispersa. È un alias: ma altro che per una seconda vita. Cresce vertiginosamente: a un ritmo più veloce del Pil cinese. “Richistan”: è la terra dei ricchi, qui e ora. Come l’ha battezzata Robert Frank, giornalista del “Wall Street Journal”, in un saggio appena pubblicato negli Stati Uniti (Crown Publishers) e in Gran Bretagna (Piatkus Books) e già bestseller. Un paese immaginario, transnazionale, grande quanto il Belgio o la Svezia, dove la lingua 26 luglio 2007 ufficiale è l’inglese. Con nove milioni e mezzo di abitanti, secondo l’ultimo censimento del World Wealth Report di Merrill LynchCapgemini. Per un valore complessivo, in termini di patrimoni in ballo, di 37 mila miliardi di dollari. Per di più con un trend in aumento: nel 2006 il numero di milionari si era ingrossato dell’8,3 per cento rispetto al 2005. Quest’anno è cresciuto dell’11,4. Hanno toccato quota 95 mila gli straricchi, quelli con un patrimonio da 30 milioni di dollari in su (proprietà escluse). Più evidente ancora la scalata degli “Hnwi”, High Net Worth Individuals, con patrimonio personale superiore a 10 milioni, con molte new entry da Singapore, India, Russia. Più a rilento, cresce anche l’Italia dei Paperoni. Secondo Merryll Lynch, l’avanzata dei milionari ha avuto nel 2006 un incremento del 3 per cento. Alla fine del 2006 erano 205.800 gli italiani con un patrimonio superiore al milione di dollari (750 mila euro), e quasi 2 mila con un conto in banca da 30 milioni di dollari. Un asset di liquidità che garantisce una vita a 5 stelle, anzi 7: “It’s a 7-star living”, strillano gli immobiliaristi della Florida, dalle pagine House & Home del “Financial Times”. Vite di lusso a 360 gradi, in residenze che somigliano a splendidi hotel, tra oggetti personalizzati con loghi privati, legioni di staff a servizio. Con sistemi sanitari riservati, reti di viaggio dedicate, modi di parlare da società segrete («Chi è il tuo household manager? Il personal concierge?»). «I milionari sono cittadini di una nazione virtuale», conferma Frank: «Una società nella società. Un’economia dentro l’economia». Un mondo parallelo dove di rado arrivano i riflettori televisivi. Che però ha in comune con i Donald Trump, i Warren Buffet e le 400 superstar di Forbes un lifestyle superlativo. 137 e ’ Società Frank lo ha scandagliato. Il risultato è un aggiornamento della lista degli status symbol, ovvietà incluse: i più ricchi guidano Mercedes, soprattutto Maybach. Portano orologi preziosi, preferibilmente Frank Muller. Frequentano gli stessi alberghi: dal Burj-al-Arab di Dubai al Four Seasons di New York, dal Claridge’s di Londra all’ultimo proibitivo Ritz-Carlton di Mosca. Se la più forte concentrazione di ricchi francesi è tra Marnes-la-Coquette e Neuilly, stando alle ricevute dell’imposta di solidarietà sui patrimoni; se a Londra è Bishops Avenue la Billionaires’ boulevard, con gli appartamenti più cari della capitale; se i miliardari russi calano in Versilia, il must resta Manhattan, specie ora che ne è stato progettato un radicale restyling. «Quello dei miliardari è, in realtà, un mondo segmentato», sottolinea Joseph Sasson, sociologo e direttore di Alphabet, istituto di analisi della comunicazione: «In Cina, India, Russia, Brasile o Messico, dove c’è stata una potente crescita del reddito, il desiderio è investire in beni visibili. Nei ricchi da generazioni c’è invece una cultura della ricchezza che li tiene lontani dall’ostentazione. E che trasforma in lusso certe esperienze, come quelle a contatto con la natura». “Newsweek” intercetta la tendenza con una copertina sulla ricchezza discreta e l’immagine di un dito indice sulla bocca, come monito a non spifferare i segreti. I suggerimenti, a porte chiuse, per i miliardari? Una cena a lume di candela nel campo tendato di Sabora, in Tanzania. Un libro stampato in unica copia (Myspecialbook.com). Una casa firmata da un famoso architetto con estetica no frills e forme zen.«Il modo in cui la ricchezza si è accumulata crea molte differenze», aggiunge Sassoon. Ci sono ricchi e ricchi, insomma: dal self made man Li Ka Shing, ultrasettantenne di Hong Kong che ha iniziato vendendo fiori di plastica ed è diventato il nono uomo più ricco del mondo, al campione di golf Tiger Woods, che a soli 31 anni può permettersi una Hanno fatto fortuna con Wall Street e Net economy. Gente giovane, che non ha ereditato 138 tenuta in Florida da 40 milioni di dollari. «Fino agli anni Ottanta i ricchi vivevano in piccole enclavi: stesse scuole, stesse vacanze, stessi valori. La maggior parte era nata ricca, grazie a petrolio, acciaio, mattoni». Gli outsider erano pochi: se si sbircia la lista di “Forbes” del 1982 il più ricco era il magnate dei mari Daniel Ludwig, che aveva cominciato come macchinista, per ritrovarsi 2 miliardi di dollari in tasca. Un’eccezione: in elenco c’era la storia americana, con i Rockefeller, i Getty, i Du Pont. Dagli anni Ottanta in poi sono emersi i figli di Wall Street e dell’hi-tech. Gente della middle class, che ha scalato la classifica sociale: «A parte Paris Hilton, solo il 3 per cento dei miliardari oggi è famoso. E meno del 10 per cento ha ereditato i suoi soldi», nota Frank. Risultato: i ricchi sono più giovani. Bill Gates, 52 anni, ne aveva 39 quando fu consacrato il più ricco del mondo. I ventenni di Foto: S. Mitchell - Ap / LaPresse, Gamma - Eyedea / Contrasto (3), Polaris - G. Neri (3) Il miliardario Oleg Deripaska, ricevuto da Putin. A lato: Polo Cup di Mosca; Chateau de la Croe, di Abramovich, a Cap d’Antibes; Tiger Woods e il suo yacht Privacy. Sotto: una Lamborghini Silicon Valley, che hanno portato a casa cifre da stare tranquilli per un paio di futuri, si godono ora le loro fortune. Mentre altri giovanissimi emergono: come Ben Casnocha, 19 anni, una società fondata a 14 e diversi milioni già messi da parte (ha scritto “My start-up life”). Hanno sui 40 anni i russi come Roman Abramovich, impero sterminato dal petrolio alle assicurazioni. Oleg Deripaska, soldi dall’alluminio, 39. Mikhail Friedman, esportatore di petrolio, 43. Mikhail Prokhorov, quinto uomo più ricco di Russia grazie al nickel, 42. Ma se i tradizionali upper Richistan del mondo di Io li conosco bene I miliardari nel mondo continueranno a crescere. Parola di Milton Pedraza. È amministratore delegato del Luxury Institute: un centro di ricerche internazionale, che da New York tiene d’occhio la ricchezza contemporanea. Dal 2001 a oggi, negli Stati Uniti i miliardari si sono moltiplicati. Come lo spiega? «Con l’effetto combinato di tecnologia, globalizzazione, alti livelli di istruzione e un’economia che incoraggia l’imprenditoria. Non a caso questo modello di mercato aperto adattato ad altre caratteristiche sta determinando lo stesso risultato in India e in Cina». In pratica, chi è oggi il miliardario americano? Come ha fatto fortuna? «È uno che non ha ereditato il suo patrimonio. Si tratta, per l’80 per cento dei casi, di imprenditori che hanno iniziato mettendo su una società, lavorando sodo e facendo scelte brillanti. Persone che dopo aver accresciuto il valore della loro azienda l’hanno venduta, ottenendo liquidità. Molte imprese operavano nelle nuove tecnologie, ma sono per lo più aziende di prodotti di base e di servizi. Più che questione di fortuna la ricchezza è il frutto di lavoro duro e di idee». I ricchi stanno creando un loro mondo a parte? «Non tutti. Ci sono i ricchi che amano ostentare. Ci sono quelli che, venendo da una situazione di normalità e persino di povertà, rimangono impegnati nel lavoro anche quando possono permettersi auto e yacht molto costosi. Molti non hanno neppure il tempo di essere consumatori a 360 gradi. Altri amano seguire i loro affari fino Frank hanno intorno militareschi “family offices” per gestire la vita privata, i neomiliardari under 40 cambiano stile . Gli autisti, per esempio, sono out: cresciuti senza troppi lussi, i neo ricchi rivendicano di non voler perdere le abitudini di prima. Li chiamano Yawns, da young, wealthy and normal, giovani ricchi e normali. Gente che pretende di non essere trattata da ricco. Giurano, gli esperti di vacanze, che siano loro a preferire i viaggi sostenibili: campeggi a cinque stelle, luxury camp nell’Africa nera. In attesa di potersi dedicare al prossimo vero turismo snob: quello spaziale. Già dal a quando sono vecchi. Molti ancora, saggiamente, vogliono prendersi cura della famiglia più che delle proprietà». C’è differenza tra un ricco russo e uno, per esempio, indiano? O essere miliardari proietta di per sé in uno stile di vita comune? «L’eredità culturale gioca un ruolo importantissimo nell’essere miliardari, che spesso adorano sottolinearla. Se parliamo di beni di consumo e di servizi, hanno abitudini simili perché sono cittadini globali. L’inglese è la loro lingua, essendo quella degli affari. Ma per capirli dobbiamo separare la loro cultura da business e consumi». In che modo patrimoni così cambiano la vita? «Dipende. Ci sono livelli diversi di sicurezza e di consumi. Oggi possedere da uno a 10 milioni di dollari dà una certa sicurezza, ma non consente un lifestyle di assoluta opulenza. Dai 10 milioni di dollari in su le cose possono cambiare. Ma anche in questo caso molti miliardari restano “normali”, nel senso che continuano a lavorare, e sebbene usino jet privati e altri beni di lusso, 2009 potrà coinvolgere 15 mila passeggeri l’anno. Space Adventures ha staccato biglietti per 20-25 milioni di dollari, e in fila si sono messi i soliti noti: Robert Bigelow, della catena Usa dei motel, Jeff Bezos, fondatore di Amazon. Gli altri comprano sottomarini di stralusso (come quello che si sussurra favoloso di Paul Allen, cofondatore di Microsoft) e aerei, come conferma il Salone dell’aeronautica di Le Bourget. L’ultima follia: un Airbus acquistato da un arabo per la petrolifera cifra di 300 milioni di dollari. Chi non osa tanto, si affida al noleggio: tra i più popolari, il servizio di voli privati NetJets. Perché è la parola tempo l’ossessione contemporanea: i soldi servono a sfruttarlo meglio. Fioriscono “destination club” come Club World, per occupare, in volo o in aeroporto, i tempi morti. I maggiordomi azzerano le attese. I servizi di personal con- il loro obiettivo rimane creare valore, non diventare macchine da consumo». È vero che il bene più prezioso è il tempo? «È il limite più forte anche per i ricchi. Come usarlo al meglio è la sfida più grossa. La maggior parte sa che il denaro è importante, ma ancora di più lo è ciò che li rende felici. Per questo sono spesso preoccupati di formare figli ben educati, onesti. Molti ci stanno riuscendo». Soffia il vento della filantropia? «Anche i miliardari sono consapevoli che non vivranno in eterno. E, invecchiando, mutano valori. Bill Gates e Warren Buffet sono esemplari in questo senso, e stanno influenzando altri miliardari, come Carlos Slim. Consumare e far soldi rende più urgenti domande del tipo: Come posso contribuire a migliorare la vita dei meno fortunati? Come voglio essere ricordato? Come posso essere sicuro che anche i miei figli saranno forti, generosi, felici? Questo è ciò che sentiamo dire più spesso. Sebbene amino consumare beni di lusso, i miliardari non ne sono “consumati”. Da creatori di valore, vogliono applicare le loro competenze nella filantropia. E questo, per il mondo, non è poco». S.M. Società cierge, per soddisfare capricci o urgenze, sbarcano anche in Italia. Sarà operativo dopo l’estate Quintessentially, sulla scia del successo londinese di Ben Eliot, nipote di Camilla Parker Bowles: a importarlo, Flavio Briatore e Daniela Santanché, con l’esperienza di Tony Gherardelli, docente di Marketing dei beni di lusso. È già partita, invece, Exclu, società lanciata da Carlo Rivetti (proprietario dei brand C.P.Company e Stone Island) con Alfredo Romano, ex direttore di Christie’s Italia eAldo Sansone, amministratore delegato. Che spiega: «I ricchi spendono il 10 per cento del loro reddito annuo in servizi legati alla qualità della vita. La loro esigenza è ottimizzare il tempo». Exclu organizza viaggi, scova biglietti “tutto esaurito”, seleziona personale. «Abbiamo acquisito il know-how dall’azienda di personal concierge Ten. Adattandolo all’Italia. Da noi la ricchezza è figlia dei distretti industriali. È perciò atomizzata, distribuita e non concentrata nelle grandi città. C’è poi da tenere conto dello stile di vita degli italiani. Il lusso ha significati diversi a seconda dei paesi di origine». «I ricchi italiani sono tra i più sofisticati al mondo, affascinati dall’innovazione e dall’estetica», dice Armando Branchini, segretario generale di Altagamma, l’associazione che riunisce le imprese italiane d’eccellenza: «E sono tra i consumatori più esigenti. È vero che i miliardari tendono a frequen- Vivere a cinque stelle A cominciare sono state le grandi catene alberghiere nordamericane: Ritz Carlton, Hilton, Wyndham. Alle loro camere in hotel, hanno affiancato prima interi appartamenti, poi addirittura ville. Da affittare o vendere a quei clienti in cerca di privacy nel proprio salotto e, insieme, di tutti i vantaggi di una vita a cinque stelle: security, cucina gourmet, spa e centro fitness, sale business e servizi su misura. Oltre a un design d’eccezione, firmato da Philippe Starck e colleghi. Il fenomeno, conosciuto negli Usa come Hotel Real Estate, è esploso a New York e a Miami, ma ha già contagiato anche altre città, come la tradizionalissima Boston, dove il neonato Intercontinental, affacciato sul porto, ha già venduto e affittato molti appartamenti deluxe (www.intercontinental.net). A Manhattan tutti vogliono scendere al Plaza, come una volta. E poi restarci, mettendo su casa. Lo storico albergo simbolo della Grande Mela più chic, a due anni dalla chiusura per ristrutturazione, ha riaperto con il marchio Fairmont e 152 residenze in hotel, suddivise per categorie, dimensioni e, naturalmente, prezzi (da 1,6 a 9 milioni di dollari, ma si tare gli stessi circuiti: dagli alberghi ai campi da golf. Ma i beni di consumo, il modo di vestire o di arredare la casa, sono diversi a seconda che il mercato sia tradizionale o emergente. Nel primo caso si richiedono prodotti innovativi. Nei mercati emergenti sono i beni di lusso tradizionali ad attirare. Per sintetizzare: “New luxury in old market; old luxury in new market”. E sta crescendo la sensibilità per l’ambiente e per il patrimonio artistico e culturale».Il ritorno del Gran Tour per “aristoricchi col pallino dell’arte”, nota il “New York Times”. Ma è la filantropia il nuovo status symbol. Dalla coppia Brad Pitt-Angelina Jolie, alla fondatrice di The Body shop Anita Roddick che vende tutto per dedicarsi a tempo pieno alle sue battaglie ideali; dal russo Abramovich, che destina denaro a Chucotka, località russa dove persino per gli orsi polari è complicato vivere, a Richard Branson, che offre 25 milioni di dollari a chi trovi la soluzione per fronteggiare i cambiamenti climatici. Sincero o interessato, passaporto per l’eternità o per maggior fama, il nuovo mantra della social responsibility è comunque una gran buona notizia. Visto che Richistan non smetterà presto di crescere. n può anche optare per l’affitto). A Miami, negli spazi art deco del resort The Setai, inquilini illustri - da Celine Dion a Lenny Kravitz, che ha addirittura impiantato qui il suo studio di registrazione - condividono piscina e spa asiatic style con gli ospiti dell’hotel (www.setai.com). Il trend ha conquistato anche le destinazioni turistiche di Caraibi, Bermuda, Mauritius, Seychelles e Thailandia. A Phuket, il boutique hotel Cape Yamu si allargherà presto fino a comprendere le ville deluxe arredate da Philippe Starck (www.capeyamu.com). L’Europa non resta a guardare. In città come in campagna. Nella Provenza francese, il nuovo, lussuoso, relais Le Mas de Pierre vanta, oltre a quaranta camere e suites, una maison di 400 metri quadrati, con piscina e parco privato. Al momento è occupata, e lo sarà per i prossimi sei mesi, da una famiglia in trasferta dagli Usa alla Francia (www.lemasdepierre.com). «Non solo gli americani richiedono questo tipo di sistemazioni», spiega Andrea Bonetti, direttore sviluppo di The Chedi, il primo “metropolitan resort” inaugurato a Milano (www.thechedimilan.com). «Ci sono molti arabi ed europei in lunghe trasferte business». A loro, The Chedi riserva un attico hi-tech di 150 metri quadrati (e vista sulla Madonnina). Federica Brunini Polo Cup, Mosca. A lato: la Schiffer per Dom Pérignon Oenothèque by Karl Lagerfeld. A sinistra: Setai Miami; Burj Al Arab Dubai; Four Season Los Angeles Lusso ed enologia Si bevono i soldi Certe bottiglie sono indicatori di ricchezza. Ma saper scegliere un vino è un’altra cosa di Enzo Vizzari Foto: J. Nicholl - Polaris / G. Neri e ’ Lusso non è uguale a eleganza. Il lusso si compra, l’eleganza no. Ed è piuttosto raro vedere marciare a braccetto lusso ed eleganza autentici. Un formidabile banco di prova è il ristorante, naturalmente da un certo livello e da un certo tono in su. Può sembrare caricaturale - però i ristoratori lo confermano- ma ci sono clienti che pare facciano le loro scelte dalle carte dei cibi e dei vini partendo dalla colonna di destra, cioè dai prezzi: più il piatto o la bottiglia sono costosi, più forte è la spinta a richiederli. Non solo e non tanto per ostentazione, quanto per la curiosità se non per il brivido di permettersi anche in quantità ragguardevoli- ciò che la gente normale forse non assaggerà mai nella vita. Perché, altrimenti, crescerebbero vistosamente, come stanno ininterrottamente crescendo da anni, i consumi e quindi i prezzi del caviale iraniano (e dietro questo, di tutti gli altri meno pregiati), di aragoste, di tartufi bianchi e neri, di tonno rosso, di carni pregiate, di frutti esotici? Emblematico è il caso dei vini importanti: al Louis XV di Montecarlo, pochi mesi fa, ho assistito al tavolo a fianco al mio 26 luglio 2007 a una sorta d’inverosimile degustazione verticale (cioè di più annate di uno stesso vino) di sette bottiglie di Pétrus, il vino più caro del mondo dopo Romanée Conti, da parte di un ilare e corpulento cinquantenne russo accompagnato da una stanga bionda sui 25 anni, con spacco ascellare del vestito da sera. Il sommelier faceva il suo mestiere e sorrideva a denti stretti, ma di tanto in tanto si voltava verso di me con sguardo affranto. Io fremevo d’indignazione (e d’invidia) nel vedere assaggiare dai due poco più di mezzo bicchiere da ogni bottiglia, con lo stesso interesse e trasporto che avrebbero potuto dedicare a una gazosa. Per la cronaca: conto di 58 mila euro, più 1200 euro di cibi. In due. Ormai è una case history quella dei consumi di Champagne in generale e soprattutto della fascia top, cioè delle bottiglie da 200 a mille euro (in enoteca, attenzione, non al ristorante, dove i coefficienti di moltiplicazione come minimo raddoppiano questi prezzi). Ebbene, lo Champagne va a gonfie vele in tutto il mondo, i consumi tirano, i prezzi tengono nella fascia bassa e media ma sono in tensione nella fascia più alta, dove la domanda cresce. Krug con i suoi gioielli è in perenne rottura di stock anche perché non intende superare la soglia storica di 500550 mila bottiglie l’anno; il Clos du Mesnil 1996, appena uscito in 8.607 bottiglie e 602 magnum per tutto il mondo, è già diventato cristallo di culto per la quale gli appassionati sono disposti a far follie. Dom Pérignon, impressionante per la costante eccellenza delle svariate centinaia di migliaia di bottiglie che per ogni millesimo sfodera, ai primi di luglio ha lanciato il suo prezioso Oenothèque 1993 (che si fa solo nelle annate eccezionali) con una fantasmagorica festa a Parigi, a casa di Karl Lagerfeld, autore fotografico delle “metamorfosi” di Claudia Schiffer, testimonial dell’Oenothèque; lusso, sicuro, ma con eleganza. Veuve Clicquot ha presentato in primavera le edizioni 1998 de La Grande Dame e della Grande Dame Rosé, bottiglie di straordinaria piacevolezza racchiuse in un recentissimo cofanetto nero griffato. Per non dire di Roederer, Perrier Jouët, Ruinart, dell’eccellente e meno noto Jacquesson, delle introvabili, quasi virtuali, 600-700 bottiglie di Salon che arrivano in Italia nei rari anni in cui è prodotto... Roba da intenditori e appassionati, soprattutto roba da ricchi. n Al Louis XV di Montecarlo in due fanno fuori 7 bottiglie di Pétrus. Conto finale: 58 mila euro 141