Untitled - IC POGGIALI SPIZZICHINO
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Istituto Comprensivo Via Aristide Leonori 74 - Roma SCUOLA MEDIA SETTIMIA SPIZZICHINO: ITINERARI DELLA MEMORIA a.s. 2013/2014 SCUOLA MEDIA SETTIMIA SPIZZICHINO: ITINERARI DELLA MEMORIA Introduzione 1. TRA STORIA E MEMORIA 1.1. Settimia Spizzichino 1.2 Le Fosse Ardeatine 1.3 La Montagnola e la battaglia per la difesa di Roma 1.4 Tormarancia borgata del fascismo 2. LA VITA A ROMA DURANTE L’OCCUPAZIONE TEDESCA: TESTIMONIANZE 2.1 L’8 settembre del ‘43 2.2 I bombardamenti 2.3 Fascisti e tedeschi nella città occupata 2.4 “Tanta fame!” 2.5 4 giugno del ’44: gli Americani INTRODUZIONE La nostra scuola è intitolata a Settimia Spizzichino. Il 16 ottobre abbiamo voluto ricordare con i nostri ragazzi la figura dell’unica superstite donna del rastrellamento del ghetto, che ha fatto della testimonianza la sua ragione di vita. Da questa circostanza è scaturita una riflessione sull’importanza della memoria, che è poi andata a coincidere con gli spunti offerti dal concorso bandito dall’Irsifar: abbiamo potuto constatare, infatti, come l’approfondimento delle tematiche proposte poteva risultare particolarmente proficuo nel contesto in cui ci troviamo ad operare. La nostra scuola, infatti, è costituita da tre plessi, uno dei quali si trova nel quartiere Ardeatino, nei pressi dunque delle Fosse Ardeatine, raggiungibili a piedi dall’edificio scolastico; gli altri due sono situati a poca distanza da piazza dei Caduti della Montagnola. Luoghi, quindi, ad alto potere evocativo per ricordare e approfondire il tema dell’occupazione tedesca a Roma, della Resistenza e della Liberazione. A ciò si aggiunge il fatto che, nel plesso di appartenenza delle classi partecipanti al concorso, il bacino di utenza è quello del quartiere di Tormarancia. Qui, grazie alla continuità abitativa data dalle case popolari - costruite nell’immediato dopoguerra in sostituzione della borgata formatasi in epoca fascista - si può riscontrare l’esistenza di nuclei familiari presenti nella zona fin dalla creazione dei primi insediamenti, che vi hanno dunque vissuto all’epoca dell’occupazione tedesca. Si è dunque deciso, dopo aver fornito agli alunni le coordinate storiche e gli strumenti per comprendere il periodo in esame, di indirizzare il lavoro con le classi verso la memoria dei luoghi e dei fatti storici anche in riferimento alla storia del quartiere, facendo ricorso ad interviste a parenti o conoscenti anziani, di cui diversi erano residenti nella zona all’epoca dei fatti. I ragazzi hanno mostrato di apprezzare il metodo laboratoriale con cui sono stati presentati i contenuti, ma soprattutto sono stati propositivi nella realizzazione delle interviste, mostrando partecipazione e coinvolgimento. Dalle interviste si può ricavare spesso un quadro molto vivido soprattutto delle condizioni di vita durante l’occupazione tedesca. Se la fame, la povertà, le privazioni sono esperienza comune della popolazione romana di quegli anni bui, nella borgata, in cui già in partenza le condizioni esistenziali sono ai limiti della vivibilità, la stretta portata dalla guerra esaspera il fenomeno: gli anziani di oggi, ragazzini o adolescenti di allora, sono costretti ad arrangiarsi in tutti i modi per sopravvivere, rubando dove possono qualcosa da mangiare, depredando i camion e le attrezzature lasciate dai soldati italiani allo sbando. Quest’ultima pratica è strettamente legata alla memoria delle Ardeatine: i “regazzini” che andavano alle Cave per cercare qualcosa da rivendere in cambio di cibo sono stati forse tra i primi testimoni dello scempio. Nelle parole degli anziani troviamo il ricordo dei bombardamenti, l’arroganza dei fascisti, il terrore che incutevano i tedeschi, infine l’arrivo degli americani, che diventa nel ricordo il sapore della cioccolata “roba che non l’abbiamo vista mai”. I ragazzi ci hanno riferito di nonni che si sono commossi nel ricordare; alcuni hanno preferito non riaprire le vecchie ferite e non hanno voluto raccontare; altri, nel timore di emozionarsi, hanno preferito affidare le proprie parole ai nipoti, che le hanno trascritte, senza essere ripresi o registrati. Nella trascrizione delle interviste si è preferito conservare le espressioni dialettali e le inflessioni romanesche, per nulla togliere alla ricchezza di questo patrimonio linguistico e culturale. Pur nei limiti propri di un lavoro di questa natura, riteniamo tuttavia che esso offra spunti di interesse. Personalmente per noi docenti ha costituito veramente un momento di arricchimento personale e culturale; ci ha permesso di conoscere meglio le radici, il contesto di provenienza dei nostri alunni e ha stimolato in noi il desiderio di proseguire questa ricerca con i ragazzi. Il lavoro si articola in due capitoli: nel primo alcuni testi, corredati da testimonianze tratte dalle interviste, illustrano i luoghi e i personaggi significativi in relazione al territorio di riferimento della nostra scuola. Il secondo si propone di raccontare la vita quotidiana a Roma al tempo dell’occupazione tedesca fino alla Liberazione, attraverso la voce dei testimoni dell’epoca, che ringraziamo per la loro disponibilità a farsi portatori di memoria in un ideale passaggio di consegne verso le nuove generazioni. Il lavoro è stato svolto dalle classi 2 I e 3 H; i professori responsabili del progetto sono: Claudia Consoni, Maria Rosa Pascarelli e Santina Santuccio. Si ringraziano inoltre le classi 1 I e 2 H per aver collaborato nella realizzazione delle interviste. - Mi ricordo che c’era tanto pericolo, tanto pericolo, e che la gente era più buona di oggi, la gente… ci aiutavamo (…) Che mi mancava? Mi mancava la libertà, di poter uscire, di poter lavorare, di poter andare all’università e di fare tutto quello che un giovane di vent’anni potrebbe pensare di fare (…) Quello che ho detto è tutto vissuto in prima persona, e più testimonianza della prima persona, non esiste… (AI) - Ma io ritengo che questa intervista sia stata ideata e penso che sia molto utile, molto utile per far capire alla gioventù oggi i tempi che sono stati trascorsi, terribilmente brutti del tempo di guerra del ’43-’44. Speriamo che questo non avvenga mai più e… che devo dire altro? Auguri, e via. Basta. (QR) Ognuno ha tante storia, tante facce nella memoria tanto di tutto, tanto di niente le parole di tanta gente… 1.TRA STORIA E MEMORIA 1.1 Settimia Spizzichino (15 aprile 1921 – 3 luglio 2000) «Poi ci portarono alle docce, la parola “doccia” non ci faceva ancora paura. Mentre rabbrividivo sotto l’acqua gelata sentii un tonfo. Era una giovane tedesca arrivata chissà come con noi. Si era avvelenata. Era la prima morta che vedevo; la prima di moltissime altre. Passammo alla tosatura. Dico “tosatura” perché ci tosarono proprio, come le bestie. Sedevo su uno sgabello basso e la tosatrice mi passò tra i capelli – li portavo lunghissimi – al centro della testa. Sentii una lunga ciocca scivolarmi sulla schiena nuda. Ogni volta che ci ripenso risento quel brivido. Ci dettero dei vestiti, degli stracci per coprirci. Per noi non c’erano neppure quei vestiti a strisce da carcerato che tutti conoscono. In compenso non avemmo neanche la stella gialla. Ci misero in fila tutte e quarantotto, in fila per cinque, e ci avviarono verso l’interno del campo. Si vedevano delle baracche e anche delle prigioniere. A parte i vestiti avevano un’aria abbastanza normale. Una di loro porse la mano a Giuditta. Lei la prese e si ritrovò sul palmo della mano una piccola radice. La gettò via; non aveva capito che la donna le aveva regalato un giorno di vita. Era ormai sera. Ci fecero entrare in una baracca. Eravamo in dieci e c’era solo un tavolo in un metro e mezzo e una sola coperta. Non sapevamo come sistemarci e cominciammo a litigare, stanche com’eravamo non si riusciva a dormire. Alla fine crollammo. Mi ero appena addormentata - o così mi sembrava - quando arrivò la sveglia. A colpi di nerbo, un affare di gomma durissima, ci buttarono giù dal tavolaccio, fuori dalla baracca, nell'aria gelida del primo mattino. Era quasi buio; ci fu un appello. Ci tennero in piedi per ore, mentre i soldati passavano e ammucchiavano davanti alle baracche i corpi di quelle che erano morte durante la notte. Si avvicinarono delle prigioniere. Erano ben diverse da quelle che avevamo visto all'arrivo; queste erano scheletri coperti di stracci, il numero tatuato sul braccio. "Ma che posto è questo?" - chiedemmo inorridite. "Questo è Auschwitz-Birkenau, in Polonia". I giorni diventavano settimane e mesi mentre l'autunno, freddo più del nostro inverno, diventava inverno, l'inverno polacco che non vede mai il sole, fatto di neve, gelo, tormente. C'erano sempre più cadaveri congelati al mattino, fuori delle baracche. Era il freddo a segnare per noi il passaggio delle stagioni: sempre più freddo ed era arrivato l'inverno; poi il freddo diminuiva a poco a poco ed ecco arrivata la primavera e poi l'estate. Non c'erano altri segni di primavera o estate ad Auschwitz, non erba né fiori. Del resto, se fosse spuntato un filo d'erba qualcuno se lo sarebbe mangiato subito. I cadaveri venivano portati via ogni mattina, ma i treni piombati portavano continuamente nuovi rifornimenti di prigioniere; giravano allora per il Campo facce nuove che rimanevano nuove per poco, perché dopo qualche tempo eravamo tutte uguali: teste rapate, occhi allucinati, corpi rattrappiti. Arrivò una specie di ambulanza. Pensai subito alla camera a gas, ma poi mi dissi: "Ma la camera a gas per una persona sola, e l’ambulanza". Ragionavo ma non tanto bene, avevo troppa paura. L'ambulanza mi portò da Birkenau ad Auschwitz, il Campo principale. Auschwitz era molto diversa da Birkenau: le costruzioni erano più fitte e tutte in muratura, la gente sembrava in condizioni anche peggiori delle nostre, persone ingrigite, con occhi senza speranza, con la divisa a strisce che si afflosciava sui corpi scheletrici, con l'immancabile numero tatuato sul braccio. Molti là portavano la stella gialla. Il filo elettrificato circondava dappertutto uomini e costruzioni. Arrivammo ad un edificio più grande degli altri. Non era la camera a gas. Entrammo in una stanza a due letti. Letti veri, non tavolacci, con lenzuola e coperte. E c'era un vero bagno in cui mi accompagnarono, un bagno come non ne vedevo da tanto tempo. Mi fecero lavare con del sapone - quasi non ricordavo più come si facesse - poi mi dettero una camicia da notte. Anche nella stanza c'era un lavandino. Tutto era pulito, in ordine. Credevo di sognare, ero sbalordita e molto spaventata. Avevo sete e andai a bere al lavandino. Arrivò di corsa un'infermiera: "Tu non bere, acqua inquinata, c'è tifo!". Un momento dello spettacolo teatrale Roma Auschwitz andata e ritorno sulla vita di Settimia Spizzichino "Ma che m'importa, sono mesi che bevo quest'acqua, me lo sarei già preso!" "Tu aspetta". Uscì sempre di corsa e rientrò portandomi un bicchiere di latte. "Ma che sta succedendo?" - mi chiesi. Lo seppi anche troppo presto. Il mattino seguente arrivò il dottore e fu tremendo. Mi portarono in sala operatoria, mi cosparsero con una pomata, non so ancora cosa fosse, e due ore dopo ero tutta una piaga. Il dolore era insopportabile, piangevo e mi lamentavo. "Ti porto la marmellata". Così tentava di consolarmi il medico. E me la portò davvero, ma non riuscii a mangiarla, stavo troppo male. Vennero a trovarmi delle ragazze greche che erano ricoverate al piano di sopra. In quella specie di lingua internazionale che si parlava ad Auschwitz - un po' tedesco, un po' tutte le altre lingue e molto a gesti - mi spiegarono: "Siamo al Blocco Esperimenti. Provano su di noi delle medicine; ma prima devono farci ammalare". Al Blocco rimasi parecchio tempo. Gli esperimenti erano sgradevoli e dolorosi (mi iniettarono la scabbia, il tifo, e una dozzina di altre malattie di cui non conosco il nome) e spesso le cure erano anche peggio della malattia. Per un mese andai avanti e indietro dalla sala operatoria e alla fine ero ridotta in uno stato pietoso, nonostante fossi al caldo, avessi da mangiare - non molto, ma certo più che al Campo - e fossi libera dai maledetti appelli. Cristina, l'infermiera, era polacca ed era amica del dottore che mi aveva scelta per il blocco. Era una brava persona; il dottore veniva a trovarla tutti i giorni e le portava del cibo che lei divideva con noi. Quando si avvicinava al mio letto, il medico voltava la testa verso l'infermiera e la scuoteva, come a dire: "Questa non ce la fa". "Ce la faccio, vedrai." - pensavo io. Ma non riuscivo quasi più a scendere dal letto. Mi passarono in una stanza più grande con una decina di ragazze. Un giorno Cristina fece nella sua camera una piccola festa per il suo compleanno e fummo tutte invitate. Ci andarono tutte tranne me, io stavo troppo male. Tuttavia, rimasta sola, decisi di fare una sorpresa alle compagne, di farmi trovare in piedi. Pian piano mi alzai dal letto e sorreggendomi con la sedia mi trascinai fino al lavandino. Mi aggrappai al bordo con tutt'e due le mani, perché la testa mi girava. Alzando gli occhi vidi una sconosciuta, uno scheletro sparuto coperto di piaghe. Pensai: "Dio, com'è ridotta questa!" E portai le mani al viso. La sconosciuta fece lo stesso gesto. Allora capii con orrore che stavo guardando la mia immagine allo specchio. Non mi ero più specchiata da quando avevo lasciato la mia casa. Dio quanto piansi! Eppure ce la feci. Quando smisero di iniettarmi microbi, riuscii a rimettermi e a camminare». La targa dedicata a Settimia Spizzichino nella nostra scuola Queste le parole di Settimia Spizzichino, ebrea romana deportata ad Auschwitz-Birkenau. Mentre la madre e la sorella Ada con la bambina in braccio furono messe nella fila destinata immediatamente alla camera a gas, Settimia con la sorella Giuditta finì nella fila degli abili al lavoro ricevendo il numero 66210. Ad Auschwitz-Birkenau le fu assegnato il lavoro di spaccare pietre; finì all’ospedale del campo e da qui venne portata nel campo centrale di Auschwitz, nel blocco 10, dove fu impiegata da Josef Mengele come cavia umana per esperimenti sul tifo e la scabbia. Nell’inverno del 1945, con l’evacuazione di Auschwitz, dovette affrontare la marcia della morte fino al campo di concentramento di Bergen Belsen. Qui i prigionieri venivano ammassati in uno stato di completo abbandono e i morti formavano dei mucchi intorno alle baracche. Il soldato di guardia sulla torretta, impazzito, incominciò a sparare sui prigionieri, allora Settimia si nascose in un mucchio di cadaveri e lì rimase per diversi giorni, fino alla liberazione del campo da parte degli inglesi, il 15 aprile del 1945. Tornata a Roma, sentì il dovere di raccontare, e continuò la sua opera di testimonianza di fronte alle telecamere con i giovani di Cava de Tirreni nel 1999, pochissimi mesi prima della morte. Le sue memorie sono raccolte nel volume scritto insieme a Isa di Nepi Olper Gli anni rubati. La sua storia è anche diventata un documentario intitolato Nata due volte: storia di Settimia ebrea romana, tratto da un’intervista rilasciata nel 1998 all’archivio della Survivors of the Shoah Visual History Foundation. La sua testimonianza è inoltre contenuta nel documentario di Ruggero Gabbai Memoria. A Roma sono intitolati a suo nome: un viale nel Parco della Pace, la nostra scuola media e il ponte tra via Ostiense e la circonvallazione Ostiense. La città di Cava de Tirreni nel 2011 le ha intitolato una strada. Il ponte Settimia Spizzichino all'Ostiense TESTIMONIANZE - Nell’occasione del rastrellamento ebraico che sono venuti nella Garbatella dove io abitavo all’albergo piazza Biffi dove hanno caricato mia nonna malata e l’hanno portata via. (VS) - Conoscevi qualche ebreo? Eh sì, su da me ce ne stavano tanti, Pesecchi, se chiamavano Pesecchi, erano ebrei e c’avevano paura che i tedeschi li pijavano e c’era sta poraccia ch’era ebrea e c’aveva l’artrosi, non poteva camminà, stava su una sedia di legno dalla mattina alla sera.(OL) - Sì, purtroppo, io, essendo ragazzetto, ricordo che hanno portato via proprio vicino dov’abitavo io, hanno portato via una famiglia, però… non erano solo tedeschi, erano pure affiancati da fascisti. (QR) - Nella fabbrica dove lavorava un suo collega era un ebreo. E all’improvviso questa persona non andò più a lavorare perché fu deportato alle Fosse Ardeatine. Il padre di mio nonno è stato il primo a mettere dei fiori alle Fosse Ardeatine. (RB) - Mia madre era nata nel quartiere ebraico e conosceva molti ebrei. Una famiglia ebrea viveva nel nostro palazzo aiutata un po’ da tutti. (GG) 1.2 Le Fosse Ardeatine Interno del Mausoleo con le tombe delle vittime delle Fosse Il 23 marzo 1944 un gruppo di partigiani appartenenti ai GAP (Gruppi di Azione Patriottica) fecero esplodere un ordigno collocato in un carrettino per la spazzatura urbana in via Rasella mentre transitava una colonna di soldati tedeschi. 32 di loro morirono, 10 rimasero feriti, di essi uno morirà il giorno seguente; morirono inoltre due civili di passaggio. I nazisti decisero che per ogni tedesco morto sarebbero stati uccisi 10 italiani. Essi avevano ricevuto ordine di selezionare le vittime tra i prigionieri condannati a morte, ma il numero non bastava per arrivare ai 330 stabiliti. Così si decise di selezionare altri detenuti; tra questi molti erano stati arrestati per motivi politici, altri perché appartenenti alla Resistenza, 57 erano prigionieri ebrei ed infine alcuni erano civili rastrellati per la città. La maggior parte fu prelevata dal carcere di Regina Coeli e da via Tasso. Come luogo dell’esecuzione furono scelte le cave ardeatine, antiche cave di pozzolana situate nei pressi della via Ardeatina, luogo allora periferico e isolato, idoneo a occultare le tracce dell’eccidio. I prigionieri furono condotti all’interno delle fosse, obbligati a disporsi in file di cinque e a inginocchiarsi, venendo poi uccisi uno ad uno con un colpo di pistola alla nuca sparato a distanza ravvicinata, costretti perfino a inginocchiarsi sui corpi delle altre vittime. Dopo il massacro Priebke e Hass, I corpi ammassati come si presentavano all'apertura delle Fosse ufficiali delle SS, decisero di far chiudere le vie d’entrata delle cave ardeatine facendole esplodere, seppellendo così i cadaveri. Il giorno seguente furono fatte brillare altre mine per sigillare meglio il luogo. Nei giorni successivi cominciò il pellegrinaggio dei parenti delle persone scomparse alla ricerca di notizie dei propri cari. Ma fu solo dopo la liberazione di Roma che si poté procedere alla riesumazione e all’identificazione dei cadaveri, grazie alla pietosa opera del medico legale Attilio Ascarelli. Alla fine della guerra i responsabili dell’eccidio furono processati. Tra di loro Herbert Kappler, tenente colonnello delle SS, fu condannato all’ergastolo; riuscito a fuggire in Germania nel 1977, morì l’anno seguente. Erik Priebke, rifugiatosi in Argentina, dove visse per cinquant’anni da uomo libero, fu estradato in Italia nel 1995 e condannato all’ergastolo. Hass fu condannato a dieci anni di carcere. Le Fosse Ardeatine sono state trasformate in un sacrario-monumento nazionale. Sono oggi visitabili e luogo di cerimonie pubbliche in memoria. Particolare del gruppo scultoreo all'ingresso del Mausoleo Ecco l'elenco delle 335 vittime dell'eccidio delle Fosse Ardeatine Agnini Ferdinando - Studente di medicina Ajroldi Antonio - Maggiore dell'Esercito. Albanese Teodato - Avvocato. Albertelli Pilo - Professore di filosofia. Amoretti Ivanoe - Sottotenente in servizio permanente effettivo. Angelai Aldo - Macellaio. Angeli Virgilio - Pittore. Angelini Paolo - Autista. Angelucci Giovanni - Macellaio. Annarumi Bruno - Stagnino. Anticoli Lazzaro - Venditore ambulante. Artale Vito - Tenente Generale d'artiglieria. Astrologo Cesare - Lucidatore. Aversa Raffaele - Capitano dei Carabinieri. Avolio Carlo - Impiegato (S.A.L.B.) Azzarita Manfredi – Capitano di cavalleria. Baglivo Ugo - Avvocato. Ballina Giovanni - Contadino. Banzi Aldo - Impiegato. Barbieri Silvio - Architetto. Benati Nino - Banchista. Bendicenti - Avvocato. Berardi Lallo - Manovale. Bernabei Elio - Ingegnere delle Ferrovie dello Stato. Bernardini - Commerciante. Bernardini Tito - Magazziniere. Berolsheimer Aldo - Commesso. Blumstein Giorgio Leone - Banchiere. Bolgia Michele - Ferroviere. Bonanni Luigi - Autista. Bordoni Manlio - Impiegato. Bruno Dl Belmonte Luigi - Proprietario. Bucchi Marcello - Geometra. Bucci Bruno - Disegnatore. Bucci Umberto - Impiegato. Bucciano Francesco - Impiegato. Bussi Armando - Impiegato delle Ferrovie dello Stato. Butera Gaetano - Pittore. Buttaroni Vittorio - Autista. Butticé Leonardo - Meccanico. Calderari Giuseppe - Contadino. Camisotti Carlo - Asfaltista. Campanile Silvio - Commerciante. Canacci Ilario - Cameriere. Canalis Salvatore - Professore di lettere. Cantalamessa Renato - Falegname. Capecci Alfredo - Meccanico. Capozio Ottavio - Impiegato postale. Galafati Angelo - Pontarolo. Gallarello Antonio - Falegname ebanista. Gavioli Luigi - Impiegato. Gelsomini Manlio - Medico. Gesmundo Gioacchino - Professore di lettere. Giacchini Alberto - Assicuratore. Giglio Maurizio - Dottore in legge. Gigliozzi Romolo - Autista. Giordano Calcedonio - Corazziere. Giorgi Giorgio – Ragioniere. Giorgini Renzo - Industriale. Giustiniani Antonio - Cameriere. Gorgolini Giorgio - Ragioniere. Gori Gastone - Muratore. Govoni Aladino - Capitano dei granatieri. Grani Umberto - Tenente Colonnello dell'Aeronautica. Caputo Ferruccio - Studente. Caracciolo Emanuele – Regista e tecnico cinematografico. Carioli Francesco - Fruttivendolo. Carola Federico - Capitano d'aviazione. Carola Mario - Capitano di fanteria. Casadei Andrea - Falegname. Caviglia Adolfo - Impiegato. Celani Giuseppe - Ispettore capo dei servizi annonari. Cerroni Oreste - Tipografo. Checchi Egidio - Meccanico. Chiesa Romualdo - Studente. Chiricozzi Aldo Francesco - Impiegato. Ciavarella Francesco - Marinaio. Cibei Duilio - Falegname. Cibei Gino - Meccanico. Cinelli Francesco - Impiegato. Cinelli Giuseppe – Portatore ai mercati generali. Cocco Pasquale - Studente. Coen Saverio - Commerciante. Conti Giorgio - Ingegnere. Corsi Orazio - Falegname Costanzi Guido - Impiegato. Cozzi Alberto - Meccanico. D'Amico Cosimo - Amministratore teatrale. D'Amico Giuseppe - Impiegato. D'Andrea Mario - Ferrovie. D'Aspro Arturo - Ragioniere. De Angelis Gerardo – Regista cinematografico. De Carolis Ugo – Maggiore dei Carabinieri. De Giorgio Carlo - Impiegato. De Grenet Filippo - Tenente e agente del SIM. Della Torre Odoardo - Avvocato. Del Monte Giuseppe - Impiegato. De Marchi Raoul - Impiegato. De Nicolo Gastone - Studente. De Simoni Fidardo - Operaio. Di Capua Zaccaria - Autista. Di Castro Angelo - Commesso. Di Consiglio Cesare - Venditore ambulante. Di Consiglio Franco - Macellaio. Dl Consiglio Marco - Macellaio. Di Consiglio Mosè - Commerciante. Di Consiglio Salomone - Venditore ambulante. Di Consiglio Santoro - Macellaio. Di Nepi Alberto - Commerciante. Di Nepi Giorgio - Viaggiatore. Di Nepi Samuele - Commerciante. Di Nola Ugo - Rappresentante di commercio. Montezemolo Giuseppe - Colonnello dei Carabinieri e agente del SIM. Moretti Augusto Moretti Pio - Contadino. Morgano Santo – Elettromeccanico Mosca Alfredo - Elettrotecnico. Moscati Emanuele - Piazzista. Moscati Marco - Piazzista Moscati Pace - Venditore ambulante. Moscati Vito - Elettricista. Mosciatti Carlo - Impiegato. Napoleone Agostino - Sottotenente di vascello della Marina. Diociajuti Pier Domenico - Commerciante Di Peppe Otello - Falegname ebanista. Di Porto Angelo - Commesso. Di Porto Giacomo - Venditore ambulante. Di Porto Giacomo - Venditore ambulante. Di Salvo Gioacchino - Impiegato. Di Segni Armando - Commerciante. Di Segni Pacifico - Venditore ambulante. Di Veroli Attilio - Commerciante. Di Veroli Michele – Collaboratore del padre commerciante. Drucker Salomone - Pellicciaio. Duranti Lido - Operaio. Efrati Marco - Commerciante. Elena Fernando - Artista. Eluisi Aldo - Pittore. Ercolani Giorgio - Tenente Colonnello dell'Esercito e agente del SIM. Ercoli Aldo - Pittore. Fabri Renato - Commerciante. Fabrini Antonio - Stagnino. Fano Giorgio - Dottore in scienze commerciali. Fantacone Alberto - Dottore in legge. Fantini Vittorio - Farmacista. Fatucci Sabato Amadio – Venditore ambulante. Felicioli Mario - Elettrotecnico. Fenulli Dardano - Maggior Generale Ferola Enrico - Fabbro. Finamonti Loreto - Commerciante. Finocchiaro Arnaldo - Elettricista. Finzi Aldo - Agricoltore. Fiorentini Valerio - Autista meccanico. Fiorini Fiorino - Maestro musica. Fochetti Angelo - Impiegato. Fondi Edmondo - Impiegato commerciante. Fontana Genserico –Tenente dei Carabinieri, dottore in giurisprudenza. Fornari Raffaele - Commerciante. Fornaro Leone - Venditore ambulante. Forte Gaetano - Commerciante. Foschi Carlo - Commerciante. Frasca Celestino - Muratore. Frascà Paolo - Impiegato. Frascati Angelo - Commerciante. Frignani Giovanni – Tenente Colonnello dei Carabinieri Funaro Alberto - Commerciante. Funaro Mosè - Commerciante. Funaro Pacifico - Autista. Funaro Settimio - Venditore ambulante. Salemme Felice - Impiegato. Salvatori Giovanni - Impiegato. Sansolini Adolfo - Commerciante. Sansolini Alfredo - Commerciante. Savelli Francesco - Ingegnere. Scarioli Ivano - Bracciante. Scattoni Umberto - Pittore. Sciunnach Dattilo - Commerciante. Semini Fiorenzo - Sottotenente di vascello della Regia Marina. Senesi Giovanni - Esattore istituto di assicurazioni. Sepe Gaetano - Sarto. Sergi Gerardo - Sottotenente dei Carabinieri Reali. Sermoneta Benedetto - Venditore ambulante. Grieco Ennio - Elettromeccanico. Guidoni Unico - Studente. Haipel Mario - Maresciallo dell'Esercito. Iaforte Domenico - Calzolaio. Ialuna Sebastiano - Agricoltore. Imperiali Costantino – Rappresentante di vini. Intreccialagli Mario - Calzolaio. Kereszti Sandor - Ufficiale. Landesman Boris - Commerciante. La Rosa Salvatore - Soldato La Vecchia Gaetano - Ebanista. Leonardi Ornello - Commesso. Leonelli Cesare - Avvocato. Liberi Epidemio - Industriale. Lioonnici Amedeo - Industriale. Limentani Davide - Commerciante. Limentani Giovanni - Commerciante. Limentani Settimio - Commerciante. Lombardi Ezio - Impiegato. Lopresti Giuseppe - Dottore in legge. Lordi Roberto - Generale dell'Aeronautica. Lotti Giuseppe - Stuccatore. Lucarelli Armando - Tipografo. Luchetti Carlo - Stagnaro. Luna Gavino - Impiegato delle Poste. Lungaro Pietro Ermelindo - Sottufficiale di Pubblica Sicurezza. Lunghi Ambrogio - Asfaltista. Lusena Umberto - Maggiore dell'Esercito. Luzzi Everardo - Metallurgico. Magri Mario – Capitano d'artiglieria. Manca Candido - Brigadiere dei Carabinieri. Mancini Enrico - Commerciante. Marchesi Alberto - Commerciante. Marchetti Duilio - Autista. Margioni Antonio – Falegname. Marimpietri Vittorio - Impiegato. Marino Angelo - Piazzista. Martella Angelo Martelli Castaldi Sabato – Generale dell'Aeronautica. Martini Placido - Avvocato. Mastrangeli Fulvio - Impiegato. Mastrogiacomo Luigi – Custode del ministero delle Finanza. Medas Giuseppe - Avvocato. Menasci Umberto - Commerciante. Micheli Ernesto - Imbianchino. Micozzi Emidio - Commerciante. Mieli Cesare - Venditore ambulante. Mieli Mario - Negoziante. Mieli Renato - Negoziante. Milano Raffaele - Viaggiatore. Milano Tullio - Impiegato. Milano Ugo - Impiegato. Mocci Sisinnio Natali Celestino - Commerciante. Natili Mariano - Commerciante. Navarra Giuseppe - Contadino. Ninci Sestilio - Tramviere. Nobili Edoardo - Meccanico. Norma Fernando - Ebanista. Orlandi Posti Orlando - Studente. Ottaviano Armando - Dottore in lettere. Paliani Attilio - Commerciante. Pappagallo Pietro - Sacerdote. Partito Michele - Civile Pasqualucci Alfredo - Calzolaio. Passarella Mario - Falegname. Pelliccia Ulderico - Carpentiere. Pensuti Renzo - Studente. Pepicelli Francesco - Maresciallo dei Carabinieri. Perpetua Remo - Rigattiere. Perugia Angelo - Venditore ambulante. Petocchi Amedeo Petrucci Paolo - Professore di lettere. Pettorini Ambrogio - Agricoltore. Piasco Renzo - Ferroviere. Piattelli Cesare - Venditore ambulante. Piattelli Franco - Commesso. Piattelli Giacomo - Piazzista. Pierantoni Luigi - Medico. Pierleoni Romolo - Fabbro. Pignotti Angelo - Negoziante. Pignotti Umberto - Impiegato. Piperno Claudio - Commerciante. Piras Ignazio - Contadino. Pirozzi Vincenzo - Ragioniere. Pisino Antonio - Ufficiale di marina. Pistonesi Antonio - Cameriere. Pitrelli Rosario - Meccanico. Polli Domenico - Costruttore edile. Portieri Alessandro - Meccanico. Portinari Erminio - Geometra. Primavera Pietro - Impiegato. Prosperi Antonio - Impiegato. Pula Italo - Fabbro. Pula Spartaco - Verniciatore. Raffaeli Beniamino - Carpentiere. Rampulla Giovanni - Tenente Colonnello. Rendina Roberto - Tenente Colonnello d'artiglieria. Renzi Egidio - Operaio. Renzini Augusto - Carabiniere. Ricci Domenico - Impiegato. Rindone Nunzio - Pastore. Rizzo Ottorino – Maggiore dell'Esercito. Roazzi Antonio - Autista. Rocchi Filippo - Commerciante. Rodella Bruno - Studente. Rodriguez Pereira Romeo - Tenente dei Carabinieri. Romagnoli Goffredo - Ferroviere. Roncacci Giulio - Commerciante. Ronconi Ettore - Contadino. Saccotelli Vincenzo - Falegname Silvestri Sebastiano - Agricoltore. Simoni Simone - Generale. rimosso su cortese richiesta di familiare della Vittima Sonnino Gabriele - Commesso. Sonnino Mosè - Venditore ambulante. rimosso su cortese richiesta di familiare della Vittima Spunticchia Antonino - Meccanico. Stame Nicola Ugo - Artista lirico. Talamo Manfredi – Tenente Colonnello dei Carabinieri Reali. Tapparelli Mario - Commerciante. Tedesco Cesare - Commesso. Terracina Sergio - Commesso. Testa Settimio - Contadino. Trentini Giulio - Arrotino. Troiani Eusebio - Mediatore. Troiani Pietro - Venditore ambulante. Ugolini Nino - Elettromeccanico. Unghetti Antonio - Manovale. Valesani Otello - Calzolaio. Vercillo Giovanni - Impiegato. Villoresi Renato - Capitano dell'Esercito. Viotti Pietro – Commerciante Vivanti Angelo - Commerciante. Vivanti Giacomo - Commerciante. Vivenzio Gennaro Volponi Guido - Impiegato. Wald Pesach Paul Wald Schra Zaccagnini Carlo - Avvocato. Zambelli Ilario - Telegrafista Zarfati Alessandro - Commerciante. Zicconi Raffaele - Impiegato. Zironi Augusto - Sottotenente di vascello della Marina. 9 Salme non identificate TESTIMONIANZE - Nel seguire della guerra successe un fatto grave: la mia nonna mi ha raccontato che la sua mamma è andata a San Callisto e si è trovata davanti i deportati. E i deportati sapevano che venivano uccisi; mentre li portavano cantavano una canzone “si scoprono le tombe e si scoprono i morti” e tiravano dei bigliettini. Allora non si pensava che venivano uccisi nelle Fosse Ardeatine. Poi (…) dei ragazzi di Tormarancia mentre giocavano su un prato hanno sentito dei lamenti e sono corsi a dare l’allarme e questi ragazzi raccontano che sono andati dai frati di San Callisto e i frati gli hanno detto di andare a casa e non raccontare nulla. Quando è finita la guerra tutta la zona di Tormarancio sono corsi nelle Fosse Ardeatine e lì hanno visto lo scempio. Mia nonna adesso ha 83 anni e non se lo potrà mai dimenticare. (SM) - Si è saputo subito e la notizia fu diffusa velocemente. Ricordo che quando sono stata in quella zona, mi sono spaventata perché il vestito si era impigliato in un ramo. Lo spavento è stato tanto, pensavo fosse un morto. (PA) - Rifugi antiaerei erano, una era dove adesso so le Fosse Ardeatine, dov’hanno ammazzato tutta quella gente… (CR) - Noi ragazzi di quattordici quindici (anni) andavamo al Forte Ardeatino distrutto dai bombardamenti o alla Cecchignola dove c’erano tante caserme abbandonate dai soldati italiani alla ricerca del bacaio, cioè metalli come rame ottone piombo e alluminio, lo vendevamo e con i soldi compravamo la castagnaccia di farina di castagne. (…) sempre alla ricerca dei metalli siamo capitati presso la cava dove (c’erano) due camion militari che i soldati avevano abbandonato lì. Cercavamo di trovare dei metalli per venderli, così con i soldi compravamo il cibo. Passato qualche giorno siamo tornati nella cava. (…) Abbiamo incontrato la mamma di (un) compagno che portava il pranzo al figlio più grande che faceva il contadino per terzi. Poco (dopo) è ritornata indietro perché c’erano i camion tedeschi e (la) fecero tornare indietro. Siamo andati via. Verso le cinque della sera abbiamo sentito tanti fragori che tremava la terra. Quando i tedeschi hanno lasciato Roma si è scoperto che i tedeschi avevano assassinato 335 persone. (DL) - L’ho saputo subito perché io ce stavo vicino, a un chilometro e ho visto quando hanno messo ste bombe è andato per l’aria tutta ‘sta terra, tutta sta pozzolana de là e noi ragazzetti semo andati a vede là e esattamente hanno messo un’altra bomba perché semo andati tutti là a guardà. (OL) Questa cosa successe per un attentato a via Rasella dove c’ero anch’io (…). Eravamo lì vicino e siamo corsi per vedere ma c’era la polizia che non ci faceva passare, però avevamo sentito degli spari ma non sapevamo cos’era successo di preciso. (AF) - Io… so andato prima io, perché io andavo sempre lì perché c’erano i camion dei militari italiani ch’erano scappati e l’avevano messi dentro le Fosse Ardeatine, c’erano tutti vicoli… io andavo lì, andavo a rubà l’olio delle macchine, no? A un certo momento ho visto sta strage. Allora ho chiamato er prete e j’ho fatto da’ la benedizione (..) ho visto tutti quei morti ho chiamato er prete, er prete j’ha dato la benedizione, già c’erano certi topi così, Il luogo dell'attentato di via Rasella com’hanno nteso er sangue… (…) Quand’io so’ andato alle Fosse Ardeatine ch’ho visto sta strage, so andato a chiamà er prete e er prete gli ha dato la benedizione. Poi io ce so riandato dopo due tre giorni (…) io so andato co la lanterna co l’amici mia pe anda a vede che è. So arrivati i tedeschi, allora io ho preso e me so nascosto…su un coso, no. Da lì vedevamo i tedeschi, si ce pijavano ce fucilavano e i tedeschi hanno messo tutte mine e noi semo stati lì fino alle nove e mezza, dopo i tedeschi se ne so andati e semo andati via pure noi. Alle sei e mezzo de matina hanno mandato per aria tutto e hanno coperto... (…) Appena so entrato ho visto un maresciallo dei carabinieri co un colpo qui, che je friggeva proprio, perché era (…) prima l’hanno mitragliati. L’hanno messi tutti uno sopra l’altro, co la pece greca, erano tutti attaccati uno co l’altro e poi, a mano a mano che n’ammazzavano cinque sei , ta,ta,ta, li finivano. Pece greca, quella che s’appiccica, che rimane tutt’attaccata e poi la mattina hanno mandato per aria ste mine e hanno coperto tutto, poi dopo so venuti l’americani, a giugno.. (…) Guarda ch’è stata una strage, proprio… quando li tiravano fuori, che, so stati sei, sette mesi, però se li vedevi erano proprio attaccati tutti co la pece greca, tutto… (…) e noi lì c’annavamo perché l’italiani so scappati, hanno messo tutti i camion dentro a ste grotte, no, e noi andavamo lì, pijavamo l’olio dele macchine e se l’andavamo a venne, pensa un po’. Siccome io là già c’andavo prima, quando so andato lì che ho visto ste cose, poi me so affacciato così all’altre cose, ho visto i camion, allora noi andavamo a rubà l’olio, tutto, le gomme (....) poi c’andavamo sempre pe curiosità, c’avevamo le lanterne, andavamo in giro a rischio da perdese, perché quelle arrivano addirittura ndo stanno i cosi lì… a Caracalla, eh! Noi c’andavamo, t’ho detto, pe rubà le cose, a un certo momento sentimmo i camion, uhhhh, arivano i tedeschi, allora noi coremo, coremo, coremo, scappamo e se mettemo su un coso e c’era una fessura così che noi li guardavamo i tedeschi, e i tedeschi hanno minato tutto.. che si l’avessero fatto prima morivamo pure noi. Dopo, quando so andati via i tedeschi, ma verso le nove e mezza le dieci semo andati via e la mattina verso le sei sei e mezza amo inteso st’esplosione e dopo l’amo detto pure ar prete e… (GO) - Dell’eccidio delle Fosse Ardeatine l’abbiamo saputo dalla madre di un ufficiale italiano che era stato arrestato durante una retata e successivamente ucciso alle Fosse Ardeatine. C’e` ancora una targa in marmo sul palazzo dove abitavo, in ricordo di questo giovane ufficiale ucciso cosi tragicamente. (PM) - Sulle Fosse Ardeatine ho un ricordo angoscioso. Dopo pochissimo tempo dalla scoperta dell’eccidio, mio padre portò me e mio fratello in pellegrinaggio in quel luogo. Io ricordo il posto come era appena fu scoperto: cave di tufo illuminate da pochi ceri che mani misericordiose avevano acceso. (GG) 1.3 La Montagnola e la battaglia per la difesa di Roma Lapide e monumento commemorativi ai caduti in piazza della Montagnola Il quartiere Montagnola, una volta chiamato Borgata Laurentina, deve il suo nome ad una altura che sorgeva nel luogo dell’incrocio tra via Cristoforo Colombo e via Laurentina. Si trattava di una zona dell’agro romano caratterizzata dalla presenza di estesi terreni agricoli, che offrivano lavoro a contadini e persone immigrate già dai primi decenni del Novecento (per esempio dopo il terremoto della Marsica, in Abruzzo, nel 1915). In particolare nella zona delle Tre Fontane i monaci Trappisti davano lavoro per la bonifica delle terre e offrivano anche assistenza alle famiglie. Così nacquero le prime baracche nei pressi della via Laurentina. Nel 1936 Mussolini, visitando la zona delle Tre Fontane, decise che lì sarebbe avvenuta la realizzazione dell’Esposizione Universale del 1942 (EUR), la cui costruzione diede lavoro a molti lavoratori nel settore dell’edilizia. La costruzione dell’arteria stradale Cristoforo Colombo nel tratto tra Piazza Navigatori e l’EUR valorizzò in seguito i terreni della Don Pietro Occelli Montagnola, che da borgata periferica divenne quartiere. Un monumento in piazza Caduti della Montagnola ricorda il sacrificio avvenuto dopo l’8 settembre del ‘43 di militari, uomini, donne, preti e suore, uniti nella battaglia contro il nazifascismo. Tali avvenimenti sono narrati nel libro La battaglia della Montagnola di don Pietro (Pierluigi Occelli) medaglia d’argento per attività partigiana e parroco della Parrocchia di Gesù Buon Pastore, chiesa della Borgata Laurentina dove trovarono rifugio e salvezza perseguitati politici ed ebrei, e dove nacque la prima banda L’antica parrocchia del Buon Pastore partigiana cristiana che operò dall’11 settembre ’43 fino alla Liberazione, riconosciuta dal CNL. Nel caos di ordini contraddittori seguiti all’armistizio, le prime vittime furono i granatieri di stanza alla Magliana che, rifiutandosi di arrendersi ai tedeschi, resistettero a oltranza, cadendo nella notte tra l’8 e il 9 settembre del ’43 in una imboscata tedesca: ”I feriti si erano trascinati fino alla Montagnola, per cercare soccorso nelle case dei “borghigiani” (abitanti della borgata Laurentina)... un computo sommario parlò di 38 granatieri uccisi e una ventina di feriti... la popolazione si stringe a questi suoi soldati, lava le ferite e i vestiti e ospita nelle case i più bisognosi di soccorso, cibo, cure”. Dopo il crollo della difesa al ponte della Magliana la battaglia si trasferisce al forte Ostiense il 10 settembre. I militari resistono a oltranza, aiutati anche delle suore che assistevano gli orfani e i malati dell’istituto religioso Gaetano Giardino presente al suo interno e che, caduto il forte, cercano di evitare la cattura dei granatieri facendoli passare per inservienti o operai, mettendoli in salvo presso le famiglie della borgata. Tra i caduti possiamo ricordare alcune figure. Suor Teresina d’Angelo affrontò un tedesco che depredava il cadavere di un granatiere caduto cercando di sottrargli la catenina d’oro, allontanandolo a colpi di crocifisso. Picchiata dai tedeschi, morì alcuni mesi dopo per le percosse ricevute. Una lapide in via Laurentina 62 ricorda la morte del fornaio Quirino Roscioni, mutilato della prima guerra mondiale, Lapide in memoria di Quirini Roscioni che la mattina del 10 settembre, dalla palazzina del suo forno situato accanto alla Casetta Rossa, sede del comando dei Granatieri, si oppose ai tedeschi e fu mitragliato alle spalle assieme alla cognata Pasqua Ercolani. Quella mattina aveva preparato del pane da dare ai soldati italiani impegnati nei combattimenti contro i tedeschi. Il sottotenente dei granatieri Luigi Perna, di ventidue anni, Medaglia d’Oro alla memoria, fu trovato morto con il pane ancora caldo nella giberna. Alla sua memoria è intitolata una via della Montagnola. Una popolana, Domenica Cecchinelli, fu uccisa per aver rifiutato di ricevere e cibare i tedeschi nella sua casa al momento dell’evacuazione della borgata. Le case dei borghigiani furono depredate di cibarie, corredi, biciclette, orologi, orecchini, spille, anelli da parte dei tedeschi. Il combattimento al Forte Ostiense Suor Teresina d’Angelo Bassorilievi in bronzo nella cripta della Resistenza alla Montagnola Molti soldati trovarono la morte all’interno di carri armati sulla Laurentina colpiti da cannoni anticarro tedeschi. I Caduti della Montagnola furono in tutto 68, di cui 59 militari e 9 civili. I loro nomi sono incisi su delle epigrafi nella Cripta della Resistenza sita in Via Luigi Perna 3, dove bassorilievi in bronzo raffigurano le battaglie della Montagnola e di Porta San Paolo e affreschi ricordano anche le Fosse Ardeatine e il bombardamento di San Lorenzo. Sul mosaico della facciata della chiesa, sotto il Cristo Pantocrator, è raffigurato l’angelo dei cimiteri che benedice e veglia le 56 croci dei caduti della Montagnola. La chiesa del Buon Pastore oggi La Casetta Rossa oggi TESTIMONIANZE - Il giorno 8 settembre è stato un giorno tragico per me. Ho incontrato mio fratello Spartaco insieme a tre compagni che erano diretti verso la Montagnola per fronteggiare i soldati tedeschi. E’ stata l’ultima volta che ho visto vivo mio fratello. Ho saputo che mio fratello era stato ferito alle caviglie e portato al pronto soccorso di via Ostiense dove c’era un medico che gli ha medicato le ferite dicendo che doveva andare all’ospedale. Allora sotto gli spari sono andato verso porto Fluviale per andare a San Camillo. Sul ponte c’erano i soldati tedeschi che non mi hanno fatto passare. Sono tornato indietro che mio fratello era morto, che l’avevano portato al Verano. Con i miei genitori siamo andati al Verano dove c’erano molti morti. Abbiamo riconosciuto mio fratello dalla maglia gialla che indossava quel giorno. Riposa in pace nel monumento per i morti per la Difesa di Roma. (DL) - Sì, mio padre ha partecipato alla battaglia di quei giorni, a quella della Montagnola. Si è offerto volontario per aiutare le persone in difficoltà. (PA) Targa con i nomi dei caduti della Montagnola 1.4 Tormarancia borgata del fascismo Il toponimo ‘’Tormarancia’’ deriva dalla deformazione medievale di ‘’Amaranthus’’, nome di un liberto che in età romana doveva possedere dei fondi in questa zona. Lungo la via Ardeatina già in epoca repubblicana sorsero numerosi complessi cimiteriali, anche in relazione alla geologia della zona. In età medievale sul territorio erano presenti diverse torri, come quella tuttora esistente. Alla fine degli anni venti, su terreni prevalentemente paludosi e nelle vicinanze della zona Garbatella, i cittadini espulsi dal centro di Roma (a seguito dei primi sventramenti) e gli immigrati provenienti dal Sud-Italia furono alloggiati nel primo nucleo abitativo di Tormarancia (conosciuto anche come Tor Marancio), composto da baracche collocate in una zona depressa, esposta ad una fortissima umidità, sottoposta ad allagamenti durante i periodi di pioggia e al flusso di acque piovane provenienti dalla collina sovrastante. Le politiche Tor Marancia, sec. XIII abitative dell’I.A.F.C.P (Istituto Fascista Autonomo Case Popolari) prevedevano il raggruppamento di nuclei di popolazione omogenea per reddito e classe sociale a cui offrire abitazioni di diverse tipologie qualitative. Furono così realizzate delle case (catalogate come "case minime") composte da una sola stanza, dove vivevano famiglie fino a dieci persone, i pavimenti erano in terra battuta, i servizi igienici in comune, lo spazio abitativo era molto ridotto e spesso i cibi venivano cucinati all’aperto. Le condizioni di vita malsane favorivano il diffondersi di malattie infettive soprattutto fra i bambini e non c’era un pronto soccorso permanente. Veduta della borgata di Tormarancia Da una relazione su Tormarancia del 1935 risultano circa 3000 abitanti, quasi tutti sfrattati dell’Italia meridionale, circa 350 capi famiglia disoccupati e alcuni vigilati speciali. Le borgate nacquero, dunque, come soluzione economica e veloce per affrontare il problema dell’alloggio per baraccati, sfrattati, disoccupati, lavoratori saltuari, immigrati, una popolazione le cui caratteristiche economiche, a volte anche politiche, contrastavano con l’immagine nuova e gloriosa che il regime dava a Roma. Descrizione di Tormarancia in G. Rivolta, I ribelli di Testaccio, Ostiense e Garbatella, 2006 Nel 1936 si insedia, in quella che doveva essere inizialmente la locale Casa del Fascio, la parrocchia di S. Maria Salute degli Infermi (nel luogo dove sorge l’attuale chiesa di Nostra Signora di Lourdes), mentre nel 1937 viene realizzata a Tormarancia la nuova sede del pubblico istituto di assistenza e beneficenza San Michele (qui trasferito dalla sede di San Michele a Ripa), cui dopo qualche anno si aggiungerà l’istituto per i ciechi Sant’Alessio. Nei primi giorni di settembre del 1943, dopo l'armistizio, la zona, come molte altre del sud di Roma, fu teatro di diversi combattimenti tra la popolazione resistente e i nazifascisti. Negli anni dell’occupazione tedesca a Tormarancia operava una consistente cellula (70 persone) appartenente alla Brigata Partigiana Bandiera Rossa, ben radicata nei quartieri periferici. In particolare si ricorda la figura di Filippo de Cupiis detto “er marsaletta”, che trovò alloggio nel padiglione 53 camera 245, da cui organizzò la sua attività antifascista. Anche a Tormarancia vi furono rastrellamenti: in occasione di uno di essi fu il viceparroco Don Alberto, di origine tedesca, che riuscì a salvare dalla fucilazione un gruppo di uomini che era stato trovato dai tedeschi nelle catacombe di Santa Domitilla parlando con il loro comandante. La borgata di Tormarancia fu inoltre colpita, la mattina del 28 dicembre 1943, da bombe e spezzoni incendiari lanciati da aerei americani e quattro donne restarono sotto le macerie. Il 24 marzo 1944, presso le Fosse Ardeatine, avvenne uno dei più efferati atti di rappresaglia dell'esercito di occupazione tedesco. Questo tragico evento risulta ancora presente nella memoria degli abitanti più anziani del quartiere, all’epoca adolescenti o bambini, che forse per primi furono testimoni dello scempio, come risulta da alcune delle testimonianze riportate. “Shanghai” (questo il nomignolo della borgata a causa dei periodici allagamenti e dei frequenti disordini causati dalla miseria) venne demolita a partire dal 1948, a seguito della legge De Gasperi sul risanamento delle borgate, per costruire le attuali case popolari. TESTIMONIANZE - A Tormarancio c’erano delle casette fatte a muro a foratini e c’erano i pavimenti, e i bagni manco ce stavano. Allora esattamente quando dovevi fare un bisogno c’avevano degli orinali e se facevano lì i bisogni e poi se buttavano pe’ strada perché manco i bagni ce stavano, niente. Il quartiere esattamente era un po’ brutto, però nun c’era da mangià, s’andava scalzo, perché le scarpe nun c’erano e esattamente poi s’andava a prende, giù alla cucina del fascio, se prendeva uno sgomarello de riso e facioli e una cirioletta, e basta, dovevi sta’ bene per tutta la giornata. (…) Nel mio quartiere non c’erano li bagni, non c’erano neanche le fontanelle s’andava a prendere l’acqua dentro a un fosso, e… lì, s’andava avanti così… (…) A quell’epoca io esattamente c’avevo dodici anni e ci hanno date delle baracche per stare due anni lì… però… delle baracche co’ le tegole sopra e dentro c’erano dei pavimenti che uscivano anche l’arberetti, perché era in un fosso che c’era tutta campagna e uscivano da ste mattonelle st’arberetti e la pipì se faceva dentro a un bidone o a un orinale – io lo chiamavo orinale e poi se buttava de fuora perché i bagni neanche ce stavano. Dopo dieci anni hanno fatto sti bagni in cemento… Allora per andà al bagno te toccava sta a aregge la porta co la mano e Shangai": i gabinetti comuni sopra era tutto aperto che sentivi l’altra persona che stava all’altro bagno. (…) Ma noi ce n’avevamo tanti di pidocchi, non mi vergogno adesso, tanti, tutti pelati erimo, e al giorno passavi il tempo a schiaccià sti pidocchi e le pulci, che quando uscivi da casa addosso i piedi e te grattavi tutto, perché.. altro che questi che fanno vede adesso che stanno in Africa, noi stavamo peggio. Je vorei fa vede una foto che c’ho a casa, se mette a piange si la vede… Secchi come cosi, altro che quelli che stavano in Germania, i prigionieri. (…) Foto ce l’ho. Ce stanno anche delle foto de ste case che ci aveva dato el fascio Musolini.. i foratini… i Che se facevi co un chiodino così se sfondava sentivi quella persona che stava de là. Erano baracche, co le tegole che poi quando pioveva toccava sta’ co l’ombrello dentro casa e co delle cazzarole perché co l’acqua dentro “bum bum bum” entrava tutta l’acqua dentro, perché dentro a una buca stavi. Un mio pensiero è questo, che io andavo scalzo, c’avevo li calli sotto alli piedi. Esattamente il mio pensiero è avere un paio di scarpe. A fa un focarello che se facevano i fochi co la legna dentro i bidoni pe riscaldatte un pochettino, perché erano piccoli noi, e.. allora… Allora si camminava scalzi e lì c’erano i chiodi, c’era il vetro, e me s’è infilato un chiodo ruzzinito sotto al calcagno, che prima non c’era niente, noi c’avevamo solo uno che faceva l’iniezioni e basta su alla zona, e esattamente me s’è gonfiato sto calcagno, proprio, tutta materia, tutta cosa e piangevo quattro o cinque notti “Oddio, oddio, oddio” e poi semo andati lì, se chiamava Federici questo, un infermiere, così… so andato là, m’ha messo sopra a na barella e co n’ago ha schizzato infino a sopra al soffitto pe quanta cosa c’era … c’avevo un calcagno pieno pieno de materia, sangue, tutto quanto. (...) Una volta io e mio fratello stavamo a dormì su una branda insieme, è entrato un topo, de quelli grossi grossi. Allora c’avevo un cane che se chiamava Lilla, una femmina, e questa acchiappava sti topi, sti topi grossi. Allora sopra al letto, noi zompamo de là, il cane “uhuhuh”, l’ha preso e poi l’ha ammazzato, insomma è stata una guerra dentro a quella stanzetta. E l’ha acchiappato e l’ha ammazzato. (…) Io c’avevo poro mi padre lo chiamavano er Pirolo pe quanto era tosto, però era di Terracina, era un pescatore e c’aveva la barca. E poi semo andati a abità a sta zona a Tormarancia, a ste baracche e lui (…) se buttava da Castel S. Angelo a capo sotto. (…) Era un gran nuotatore. (OL) - Dove vivevi? Nella borgata chiamata Tormarancia (a Shangai). E le case erano a pian terreno: avevamo due stanze e la mia famiglia era numerosa ed eravamo sette figli dentro questa casa. Che facevate nel tempo libero? Si giocava, andavamo a scuola e io a sei anni sono andata in collegio con mio fratello. Ci siamo stati due anni ed è successa la guerra: avevano bombardato la casa Divina Provvidenza Nettuno, cioè il mio collegio. L’avevano bombardato al reparto di noi femmine e i genitori ci sono venuti a prendere. Poi siamo cresciuti in questa zona fino a dodici anni e l’Istituto Case Popolari ci ha dato la casa in cui viviamo adesso. Poi siamo cresciuti e tutti si sono sposati e io sono rimasta con mia madre e mio padre. Per esempio, com’era il Parco del Caravaggio? Non c’era e c’erano tutti i prati e monti. C’era solo la zona dell’Eur chiamata Groviera. Noi siamo stati i primi a prendere casa di questa borgata ed eravamo 750 famiglie. Poi c’era una chiesetta dove ci ho sposato nel ’51 e poi hanno fatto la chiesa nuova. (CR) - Mentre mia zia, che abita a Tormarancia, a quell’epoca stavano nella buca (piazza Lorenzo Lotto). Aveva solo sei anni e si ricorda che non c’era da mangiare. Avevano a disposizione una cucina pubblica che veniva gestita tipo dalla Caritas. Dovevano fare la fila per ricevere il cibo e quando arrivavano tardi non rimaneva niente. Per lavarsi riscaldavano l’acqua al sole, non avevano bagni propri ma solo in comune con tante difficoltà e poca igiene. Purtroppo in quel periodo mia zia perse un fratello più piccolo, in circostanze tragiche, mentre lui e un altro bambino giocavano, trovarono una pistola e giocandoci partì un colpo che lo uccise davanti a mia zia, un colpo in pancia. Queste sono alcune delle cose più brutte che si ricordano, e che non dimenticheranno. (GE) - A Tormarancia c’avevamo i bagni fuori. Noi abitavamo a Tormarancia, erano tutte casette, i bagni stavano fuori e... se viveva così, alla giornata, e ancora non si lavorava, io poi ero piccolo. (..) Io so uscito dal collegio e so andato a Tormarancio, so uscito a 12 anni e mezzo e so rimasto a Tormarancio (..) io so’ proprio de Tormarancio. (GO) La sede del San Michele: ingresso su piazzale Antonio Tosti e cortile interno Le strade fangose della borgata Donne al lavatoio comune Un gruppo di bambini riuniti per il pranzo in una casa di Tormarancia Bimbi che giocano accanto a una casa della borgata 2. LA VITA A ROMA DURANTE L’OCCUPAZIONE TEDESCA: TESTIMONIANZE 2.1 L’8 settembre del ‘43 - Il ricordo di mio nonno inizia dall’8 settembre del 1943; quando il generale Badoglio annunciò l’armistizio lui con il papà si trovavano al lavoro e ad un certo punto lo fecero smettere di lavorare per tornare a casa, ma usciti dalla fabbrica trovarono tutta la popolazione in subbuglio, i soldati tedeschi che giravano la città per paura dei partigiani e dei soldati americani. (RB) - Mi trovavo a fare un campo d’arma allievo ufficiale, stavo a Manziana, e c’era la fame, e il pericolo, … poi l’8 settembre sono scappato, perché se mi prendevano mi portavano… mi deportavano in Germania, c’avevo venti anni, allora ero studente allievo ufficiale, studente universitario, e in quell’epoca gli universitari erano pochi, perché c’era tanto, tanto, tanto analfabetismo, in quell’epoca, ’43. (…) dopo l’armistizio che non c’era più il governo italiano, c’era solo i tedeschi e i fascisti che comandavano, e allora mi sono dovuto dare alla macchia come un cane randagio, perché se mi prendevano, siccome ero militare, mi fucilavano sul posto come disertore in tempo di guerra. Perché io, con loro, non ci sono mai voluto andare. (A I) La battaglia di Porta San Paolo descritta in un fumetto - (l’8 settembre del ’43) a Tormarancio mi trovavo, che la radio ha dato la notizia che c’era stato l’armistizio e lì è successo il macello che hanno combattuto lì a San Paolo, tre giorni, e poi i tedeschi hanno sopraffatto gli italiani, che so scappati tutti, che non c’avevano ufficiali, niente. (GO) - Pensa che io ho visto un bersagliere morto proprio qui, adesso… prima non c’erano le strade, ho visto proprio un bersagliere morto qui ai palazzi de piazza dei Navigatori, stava proprio a un angolo così. (GO) L'inizio della Resistenza italiana: la "battaglia di Porta San Paolo" 10 settembre ’43 - Mio nonno con il papà riuscirono a prendere l’autobus che all’epoca veniva chiamato filobus per cercare di avvicinarsi il più possibile a casa. Arrivati a porta San Paolo ci fu un conflitto a fuoco tra tedeschi e militari italiani, riuscirono a scappare e si rifugiarono nei binari della stazione e nel frattempo la popolazione cominciò a saccheggiare i vagoni dei treni, comunque in tutta questa confusione riuscirono a tornare a casa. (RB) - Il giorno della battaglia di Porta San Paolo dei soldati tedeschi sono entrati nel nostro giardino su indicazione di un fascista, alla ricerca di soldati italiani, due soldati tedeschi sono entrati nel nostro palazzo cercando questi soldati e bussando forte alla porta del nostro appartamento. Mio padre ha aperto, sono entrati parlando in tedesco e hanno strappato dal muro il telefono. (PM) 2.2 I bombardamenti - Le Fosse Ardeatine, ci mettevamo lì dentro co una rete e aspettavamo che passavano sti aerei, hanno pure bombardato Tormarancio. Come no? Rosa si mise con me sotto al letto, tu nonna (…) Allora Rosa: “Viè qui, Oreste, mettete sotto, mettete sotto... se semo messi sotto al letto. Potevamo andare sotto ai ricoveri, però che ricoveri erano… quattro pezzi di legno con la terra sopra che se bombardavano lì rimanevamo pure dentro (i rifugi veri a Roma c’erano, a Tormarancia no) (…) Io me lo ricordo quel fatto (= bombardamento di San Lorenzo), lo sai perché? Stavo a lavorà ch’ero piccoletto, stavo a lavorà che facevo il pittore e bombardarono e io me la feci a piedi da San Lorenzo a scappà, a scappà, a scappà perché vedevo ste bombe che scendevano giù, dico “qua, gira gira, me pijano pure a me”, so scappato da San Lorenzo fino a Tormarancia, a piedi, perché s’era tutto bloccato, tutto fermato, tutto, no (GO) - Sì, ne avevo uno (= di rifugio) proprio a 100 metri da casa mia. Ah, mbè, questo è veramente da notarlo. Io, quand’è suonato l’allarme antiaereo io mi trovavo dentro al barbiere, mi stava facendo i capelli. I capelli, mi stava rasando la testa, perché, in quel periodo c’erano quegli animali – come se dice – vogliamo dire pidocchi? Ce l’avevamo tutti i pidocchi, a Roma. Suona l’allarme e io dovetti fuggire, però avevo la testa a metà, metà rasata… E sono scappato e siamo andati al rifugio. (QR) - (A Tormarancia) Sì, c’erano i rifugi antiaerei, ce stavano, però erano fatti a tavole e sopra tutta terra, solo l’entrata e l’uscita no, perché si cascava qualcosa eri (…) come un topo morto Sì sì, è capitato tante volte e… s’andava lì, o ti mettevi sotto a una branda però si l’uscita non c’era, era terra e tavole (OL) - Mia nonna è nata nel 1931 (…). Lei si è trovata nei bombardamenti. Questa cosa è successa Roma in via Ostiense. In quel momento non ha avuto paura. (SM) - Mio zio aveva sette anni e stava a scuola a piazzale della Radio. Un giorno nel 1943 è stata occupata dai tedeschi, loro erano in classe e furono rimandati a casa. Si ricorda che quando bombardarono piazzale Ostiense (la stazione) vide molte persone morte in strada, mentre i suoi genitori lo riportavano a casa. Prima di bombardare suonava una sirena che avvisava tutti di scappare e di andare ai ricoveri, dove non avevano né da mangiare né da bere. Lui si nascondeva sotto viale Marconi dove c’era un tunnel che gli faceva come ricovero. Il giorno dopo, usciti dal nascondiglio poche ore dopo sono tornati a casa, suonò di nuovo la sirena e loro dovettero scappare ancora e questo si ripeteva spesso. Uno dei tanti episodi che si ricorda mio zio, è che mentre scappavano, sua madre che portava in braccio suo fratello che aveva solo tre mesi, cadde giù per il dirupo e rimasero separati per qualche ora. Dopo il secondo bombardamento hanno passato due giorni al ricovero senza mangiare, solo bere. (MC) Bombardamenti alla stazione di Roma Ostiense - (A Tormarancia) C’erano dei rifugi per ripararsi dagli spezzoni che gettavano gli Americani credendo che fossero caserme militari. (DL) - Poi c’era il ricovero… quando suonavano le sirene ci portavano nelle grotte, noi eravamo piccoline e mia sorella e altre signore avevano come un carrettino, ci montavano sopra e ci portavano alle grotte dov’hanno ammazzato… i tedeschi dov’hanno ammazzato tutta quella gente, che li so andati a prendere nelle carceri e gli hanno fatto tante cose, prima di ucciderli… (…) Io li ho anche visti… li ho visti quando ci passavano proprio in testa, che correvano, noi se buttavamo per terra, che lì c’era tutta campagna… (CR) - Altri ricordi furono quando bombardarono San Lorenzo dove abitava un suo carissimo amico, proprio nel momento in cui ci fu il bombardamento mio nonno si trovava con questo amico, e corsero nella sua abitazione dove trovarono la sua casa distrutta e i familiari dispersi tra la gente che scappava. (RB) - Nel mio quartiere suonavano sempre l’allarme dei bombardamenti e andavamo sempre sotto ai rifugi, scantinati, sempre a correre, poi, dopo due ore, tre ore, un’ora, c’era una sirena lunga che diceva che era cessato allarme, allora noi uscivamo come i topi, poveracci… (AI) - I rifugi erano nelle cantine e poi sulle finestre mettevamo sacchi di sabbia perché quando esplodeva una bomba le schegge non entravano. Sì, suonava quasi tutte le sere e di solito anche il giorno. Andavamo di corsa nei rifugi. (AF) - Non si poteva uscire quando c’era il coprifuoco se no ti sparavano. Non c’erano veri e propri rifugi antiaerei, ma erano le cantine i nostri rifugi. L’allarme suonava spesso. (PA) - I divieti particolari erano che non potevi uscire la sera, perché c’era il coprifuoco e dovevi stare chiuso in casa con finestre chiuse e luci spente e se uscivi di casa c’era il rischio che potevi essere sparato. C’erano rifugi antiaerei, praticamente erano delle cantine che in genere si trovavano sotto i palazzi e speravamo di non essere bombardati e rimanere schiacciati sotto le macerie. Sì, capitò molte volte, soprattutto la notte, così scendevamo dal palazzo e andavamo nelle cantine. (FV) Bombardamento 19 luglio 1943 2.3 Fascisti e tedeschi nella città occupata Rappresaglia nazista dopo via Rasella - In seguito nella zona di Tormarancia sono venuti i tedeschi e hanno cominciato un rastrellamento: il rastrellamento è quando prendevano gli uomini e li portavano via. Allora la mia nonna aveva paura, visto che avevano preso anche il padre. Per fortuna c’era un prete tedesco che parlò con i tedeschi e rilasciarono tutti gli uomini del quartiere. (SM) - Eh, spiacevolmente sì (..) Una volta stavo lì, vicino casa, ho visto due fascisti che discutevano con un cittadino, non so che sia, non so che s’abbiano detto, comunque l’ho visti che l’hanno portato via.. e quello poi non so che fine è successa. (…) C’era un malcontento, un malcontento, perché poi c’era una privazione della libertà propria. (QR) - Sì. Portarono via mio padre per farlo lavorare in Germania. Mia madre cercò di opporsi ma venne respinta dai soldati. I sentimenti erano di terrore, per paura che ci succedesse qualcosa. I soldati quando lo hanno portato via non hanno avuto pietà, dato che noi in casa eravamo in quattro e mia madre ci doveva mantenere e nutrire da sola. Ha raccontato che appena arrivò in Germania lo misero a fare i lavori forzati. (PA) - Ricordo la bruttezza che avevano questi tedeschi e fascisti, perché in mezzo ai tedeschi ce staveno pure italiani fascisti. (VS) - Sì, nel mio quartiere era pieno. Passavano quasi tutte le volte. Non potevi parlare perché avevamo paura che ci trattassero male. Una volta stavo su un tram e c’era un fascista, io l’ho guardato e lui mi ha risposto: “Che cosa guardi?”. I sentimenti erano di odio e paura verso di loro perché non sapevo che cosa avevano in testa. (AF) - Erano tutte casette basse e che i Tedeschi quando venivano c’assalivano e tanti l’hanno portati in Germania. Me so salvato perché me so messo qui dentro a una fogna qui sulla strada … della farmacia a Tormarancio ce stanno le fogne, no, mbè, io me so infilato là dentro e ho aspettato che annavano via i tedeschi e stavano a fa il rastrellamento e io e er Nicchio, che è morto, se semo infilati là dentro e semo usciti la mattina - avevo 16 anni. (…) Scappavamo sempre perché i tedeschi cercavano intanto gli ebrei, e poi cercavano la gente giovane, ma io ero piccoletto, ma te se portavano uguale via, t’ho detto io me so nascosto dentro alla fogna lì, alla cosa de Tormarancio, come se chiama? alla farmacia, hai vista quella strada? Era sterrata, non c’era niente, c’erano solo le fogne che s’annava giù, però Bando del febbraio '44 che prevede la pena di ancora non erano, diciamo, non erano già morte per disertori e renitenti alla leva preparate, E noi se semo nascosti lì e io so uscito alla mattina. (…) C’erano i fascisti, però dopo no, dopo so spariti i fasciati e so rimasti solo i tedeschi, ma non vedevi manco un carabiniere, na guardia, niente… c’era qualche cosa, però… stavano sempre sotto ai Tedeschi… alla Garbatella c’era la questura, però… non la comandavano loro, c’erano sempre gli ufficiali tedeschi dentro, hai capito… (…) Se li potevano ammazzà l’ammazzavano, però la paura era tanta, si nascondevano tutti, che coi tedeschi non era facile, erano tremendi, eh… E perché, a mi moglie gli entrarono dentro casa quando fecero il rastrellamento a Tormarancio, presero mi moglie che mi moglie era piccoletta, ci poteva avere tredici quattordici anni, gli cominciarono a fare “Carina, eh, carina…” E allora mi socero gli fece” Aoh, quella è una bambina!” Gli hanno dato un sacco di botte. Poi l’hanno lasciata perdere. (GO) - A volte (venivano) fascisti e tedeschi per fare una razzia. Nella piccola chiesa c’era un prete tedesco che si chiamava padre Alberto che ha parlato con (chi) comandava dicendogli che chi ci viveva era povera gente. Grande Prete. (DL) Rastrellamento al Quadraro - Io ero bambino e esattamente c’avevo dei fratelli più grandi e dovevano andare a fare ginnastica lì al coso sempre del fascio… e… se non c’andavano esattamente li picchiavano o gli davano l’olio di ricino. (…) Sì, e ce stavano, perché esattamente qui su è chiamata la scuola agraria, lì c’erano delle antenne alte e c’erano i tedeschi (…) c’erano i tedeschi proprio vicino casa, vicinissimi, e quando sono andati via hanno mandato per aria st’antenne grosse co le mine, quando so entrati l’americani. C’avevano tutti paura, esattamente, perché soltanto la disciplina che avevano era una disciplina fortissima, e la gente quando li vedeva scappava, c’avevano paura perché a un certo momento è successo quello che è successo, io abitavo alle Fosse Ardeatine, hanno mandato pe l’aria tutta sta gente, e tutta Tormarancio c’avevano tutti paura, perché erano tutti bambini e c’erano quest’anziani, poracci, che non c’avevano niente, il lavoro, niente. (…) Io esattamente ripeto sempre la stessa cosa, che c’avevo dodici anni, allora certi proprio de laggiù, de le baracche, s’erano fatti fascisti, e menavano all’altri amici de loro, che no erano fascisti, perché… le botte, poi je davano l’olio de ricino, e se n’annavano in palestra, una cosa e l’altra, la (prima elementare) era chiamata, così, la chiamo così, e ci dovevano andare per forza. Spesso, amici de loro, li picchiavano, li picchiavano perché… quello era fascista e quello no, je davano un sacco de botte. E c’avevo poro mi padre che ogni tanto menava a un fascista e annava a Regina Coeli e poi riusciva. Come vedeva i fascisti je menava no lo so er motivo. Quando faceva er discorso er duce, lui invece de di viva il duce, diceva viva Musolino. Musolino era un bandito, e lo portavano carcerato. (OL) 2.4 “Tanta fame!” - Tanta fame! La fame tanta, perché nun c’era niente. Pensa che c’avevamo la tessera del pane che io me la pijavo tutta insieme, me magnavo cinque sei sfilatini, e poi dopo rimanevo senza magnà pe un mese. (…) Io andavo sempre alla Cecchignola a rubà er pane ai tedeschi, quer pane nero che c’avevano loro, adavede come se lo magnavamo, però. Levavi quel po’ de muffetta e te lo magnavi. So andato a Sonnino; andavamo a comprà le guainelle – sapete che so le guainelle – quelle cose maroni, striscette, che se mangiano… se mangiavano… quelle le magnavano i maiali e se le magnavamo noi (GO) - Per mangiare avevano gallette secche e guaniello (cioè cibo che serviva anche per i cavalli) (MC) - Mangiare difficile era, perché era poca, poca, poca. C’era la tessera pure, perché senza tessera nessun fornaio ti dava un pezzo di pane. Però, alla fine, anche che ci avevi la tessera, non ti davano niente, pagando, ovviamente, perché non ci avevano più niente, nemmeno i negozianti e la tessera, alla fine, non valeva più niente (AI) - Le condizioni di vita erano tragiche, la malattia più comune era la tubercolosi, io ero molto forte di salute e riuscivo a mantenermi in forma. Il cibo era molto scarso e ricordo che mio nonno mi mandava da mangiare come: patate, pomodori, farina, ecc….. anche non essendo ricchi riuscivamo a mangiare più degli altri. A Sant’Egidio si dava da mangiare ai poveri, inoltre davano una tessera dove si poteva prendere una certa quantità di cibo. (FV) Tessera annonaria - Eh sì, perché era tutto tesserato. Di più mancavano gli alimenti principali. La borsa nera purtroppo, purtroppo tanti ci si rivolgevano. Però fortunatamente noi no, perché mi padre con la furbizia, non so, la sopravvivenza, la caparbietà, ha dovuto… prendeva del grasso dal mattatoio, del grasso e ci faceva il sapone di contrabbando. Con quello, poi, si barattava con il fornaio per la pasta e il pane, col macellaio per darti un po’ di carne, così se andava avanti. Come ci si poteva arrangiare. (…) Sì, li vedevo. A me, cioè, no, come ripeto, noi non è che c’avevamo tutta sta necessità, però vedevo che la gente s’incalcava vicino ai forni, ai negozi, pe poté prende una cirioletta – allora c’erano le ciriolette. (QR) - Eh, la borsa nera era fiorente a quei tempi. Noi avevamo una signora che abitava lì al quinto piano, noi stavamo al quarto, e lei ci aveva dei terreni in Umbria e c’era il marito che andava un giorno sì e un giorno no, ogni tanto, adesso non mi ricordo bene… Andava in Umbria e portava a Roma tanta di quella roba: lardo, prosciutto, salame, tutte queste vettovaglie, capito, e poi le rivendeva alla borsa nera. (AB) - Sì, era molto difficile perché chi non aveva soldi non poteva comprare il cibo a quelli della borsa nera. Il cibo era molto raro da trovare, c’era la carne che si poteva acquistare solo se avevi molti soldi. Sì, solo chi aveva molti soldi e oro da dare. (FV) La borsa nera - Sì, era difficilissimo, solo con la tessera potevamo prendere un chilo di pane e altre cose e poi andavamo in campagna a prendere un po’ di cose sempre se c’erano. Tutti quelli che potevano, anche noi ci siamo rivolti alla borsa nera. C’era un prato dove giocavamo e dopo ci hanno fatto l’orto. Noi andavamo alla fontanella con i secchi per annaffiarlo. E certe volte andavamo a rubare le rape bianche. (AF) - Sì, esistevano questi orti di guerra e mia madre raccoglieva molta roba. (PA) - Sì sì, c’erano, lungo le mura di Roma, queste Ardeatine, eccetera e c’era porta San Sebastiano, lungo le mura, c’erano tutti pezzetti di terra, orticelli di guerra che la gente custodiva, che coltivava, e serviva… erano tutte cose che potevano migliorare l’alimentazione de noi romani, capito? (AI) Orti di guerra a Roma - C’era voce in giro che all’Eur c’era un forno di pane tedesco, io e i miei amici ci siamo andati. C’era un cantiere vicino, così abbiamo trovato due carriole con piani per trasportare i mattoni. Siamo entrati nel forno che era pieno di fumo. Abbiamo caricato le carriole con venti filoni di pane. (DL) - Mi ricordo una volta un vagone alla stazione Ostiense, di Roma, che era pieno di farina, di roba, e la gente fece un assalto e saccheggiò tanta, tanta, tanta farina, che alla fine, purtroppo, date le condizioni, la maggior parte andò a finire tutta per terra, sprecata, che peccato, con quella fame che c’era… (AI) - Trovare da mangiare era un’impresa. Mia madre, con altre donne, saccheggiò i vagoni pieni di sacchi di farina di un treno fermo alla stazione Ostiense. Un altro grosso problema era l’acqua che mancava e che, sempre mia madre, andava a prendere con un carrettino su cui aveva messo dei bidoni. Tutte queste operazioni non erano senza rischi perché era facile imbattersi in gruppi di Code davanti ai forni soldati nemici. E’ rimasto nel ricordo della mia famiglia il dramma di una pentola di pasta cotta che dovette essere abbandonata perché suonava l’allarme antiaereo. (PM) - Rispetto ad oggi se butta la roba, perché ce n’è tanta. Quando vedo io, esattamente una mela tocca, un’arancia, me piange il core perché io non c’avevo niente da mangiare, niente, andavo scalzo, nudo, senza nessuna… niente, c’avevo li calli sotto ai piedi per quanto freddo c’avevo. (…) Era difficile sì, perché io anche ho preso delle fave, delle favette delle vacche, delle volte trovavi un torso de broccolo ma eri un signore. Niente, s’andava anche pe elemosina s’andava co un sacchetto sulle spalle, noi ragazzetti se riunivamo tutti al Colosseo e ”te vai a San Lorenzo”, “te vai ai Parioli” e “te va de qui”… se bussava alle case, se te davano un pezzetto de pane tosto… scarzi, ma na fame, una fame orribile! Mi mancava di più le scarpe, le giacche, le magliette, perché nun c’era proprio niente, niente io c’avevo na giacca che m’arivava dalla parte de là pe’ quanto era grossa, niente, scarpe non ce n’avevo, c’avevo i calli sotto i piedi. Tanta gente, la borsa nera la facevano, se compravano anche le tessere del fascio, i biglietti pe mangià. Sì, ce stava qualche orto di guerra, sì, ce stava. I magazzini alimentari stavano esattamente… stavano ar Mercato Generale, che poi i tedeschi sono venuti e hanno bombardato e allora noi tutta la gente a andà a prende i piselli, quelli piccoletti, in mezzo ar calcinaccio, tutta sta robetta così, na cosa atroce! (…) Allora s’andava pe le campagna pe trovà qualcosa, i gatti. Dopo la scuola agraria, vicino Cecchignola, io mi so permesso d’andare a prendere delle favette piccoline delle vacche e ne ho prese un po’. Uno co un trattore “Aoh, c’hai fatto! Co sto … , “bum bum bum”, è venuto vicino, bum, m’ha dato una vergata sopra a una coscia, una vergata che io poi so andato a casa me mettevo sopra così sopra al lettino, pora mia madre me dice “Ma qui c’è il sangue, ma c’hai fatto, ma così, così, così” - “Quello m’ha dato na vergata” E m’ha dato na vergata perché avevo preso ste favette pe mangiammele, ero un regazzino, e niente, ho preso … e così, ancora c’ho lo sgaro sopra la coscia pe le frustate de na volta. (OL) 2.5 4 giugno del ’44: gli Americani - 4 giugno ’44, me lo ricordo… tutta Roma era in festa, sono venuti dal Sud, dall’Appia, dalla Pontina, perché erano sbarcati ad Anzio, gli Alleati, e le feste… portavano… cioccolate regalavano, e la gente applaudiva, applaudiva, e… era una festa continua e per qualche giorno, addirittura, nelle piazze di Roma, io ricordo, si suonava, si ballava, si faceva festa, come nelle grandi occasioni. (AI) - Quel giorno l’ho vissuto bene, l’ho vissuto benissimo. Perché io abitavo in una casa dove vedevo in lontananza, c’era una strada che dove.. in fondo a questa strada vedevo che veniva su una camionetta di americani, allora lì ho detto “Ma allora la guerra è finita”… La guerra è finita, ho gioito, ho gioito tanto che ho gridato “E’ finita la guerra, è finita la guerra”… Poi non lo so fino a che punto era finita. (Gli americani) che dopo che sono venuti hanno portato un po’ d’allegria, cioè c’era festa, nelle strade c’era festa, era un’allegria, era l’allegria che si aspettava dopo tanto soffrire, finalmente s’incontravano delle giornate allegre. (Le persone) hanno gioito, hanno manifestato, hanno manifestato per quello che stava avvenendo. (QR) - Quel giorno per me era bellissimo, addirittura mio padre si ubriacò per la felicità. Mi ricordo che erano tutti ragazzi giovani e possenti, alcuni erano anche di carnagione scura. Le persone del mio quartiere applaudivano e andavano a prendere le sigarette, gomme e dolci che venivano lanciati dagli Americani. (FV) - Per noi vedere gli Americani sembrava come gente che fosse venuta dall’aldilà, o, come posso dirti… da un altro pianeta. (AB) - Eravamo tutti contenti perché finalmente era finita la guerra, scendevamo tutti in strada e urlavamo “Viva gli Americani”. Ci tiravano sigarette, cioccolate, gomme e tante altre cose, da mangiare e quando passava il camion gli urlavamo “Paisà” (AF) - Poi mi ricordo che c’erano alcuni tedeschi che avevano alzato le mani in segno di resa, ma c’era un tedesco che di nascosto ha tirato una bomba uccidendo una donna davanti a me e poi dopo questa cosa un americano ha preso il mitra e gli ha cominciato a dare botte su tutto il corpo. (AF) - Poi dopo so venuti l’americani e co l’americani uguale, rubavi pantaloni, giacconi, cose che te l’annavi a vende a Porta Portese, hai capito, te davano le sigarette, le lukke strai, le chester… (GO) - (…) mi trovavo proprio su alla Montagnola a vedé i carr’armati che arrivavano… Eravamo tanta gente (…) Hanno fatto festa, allegria pe st’Americani che ce lanciavano dei dolci, delle cioccolate, delle caramelle e tante altre cose (VS) Un soldato americano salutato e festeggiato dalla folla - All’altezza delle Tre Fontane abbiamo visto una colonna di camion con sopra dei militari con divise diverse dai tedeschi. Quel giorno abbiamo incontrato gli Americani. Ricorderò quel giorno per tutta la vita. Gli Americani avevano preso come prigionieri dei soldati tedeschi. Io e Luigi abbiamo cominciato ad insultarli, uno di questi ha fatto atto di aggredirci. Un soldato americano gli ha puntato il fucile e lo ha offeso nella sua lingua. (DL) - Quei giorni sono stati bellissimi perché allora scaricavano della roba a ‘no scarico e buttavano dei barattoli con la frutta sciroppata, poi te davano quarche cioccolatina, roba che non l’abbiamo vista mai… (…) L’ho vissuto bellissimo, guarda, una cosa che me viè da piange anche a dirlo perché nun c’avevo niente. Non c’avevo niente, allora venivano qui, verso la Cristoforo Colombo perché c’era tutta campagna, avevano fatto uno scarico e venivano sti cami(on) americani che scaricavano tutta sta roba che loro la buttavano, frutta sciroppata in barattolo co le cioccolate, noi se raccoglieva e se mangiava, perché n’avevamo mangiato pe tanti anni tutta sta roba, e… erino felici. (OL) - La Liberazione per me è legata al gusto di una tavoletta di cioccolata, che non avevo mai mangiato, e che mi regalò un soldato americano mentre attraversava il lotto 10 della Garbatella. (GG) BIBLIOGRAFIA Bollettino 70° Parrocchia Gesù Buon Pastore, 2007 Nassi Ernesto, Itinerari della Resistenza. Soldati, popolane, suore in guerra alla Montagnola, in “Patria Indipendente”, 2013, n.3 (http://www.anpi.it/patriaindipendente/2013/3/) Don Dino Mulassano (a cura di), Una storia unica, Parrocchia Gesù Buon Pastore alla Montagnola, 2012 Parrocchia Nostra Signora di Lourdes a Tor Marancia 1960-2010 Portelli Alessandro, L’ordine è già stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria, Donzelli Editore, Roma 1999 Rivolta Gianni, I ribelli di Testaccio, Ostiense,Garbatella. Dal biennio rosso alla Liberazione, Ed. Cara Garbatella, 2006 Roncalli Marco, Il sacerdote paolino don Pietro Occelli. Il parroco della Resistenza, in “Vita pastorale”, 2010, n. 7 (http://www.stpauls.it/) Villani Luciano, Le borgate del fascismo. Storia urbana, politica e sociale della periferia romana, Milano 2012 Ledizioni Publishing Siti web: http://www.anpi.it/ http://www.resistenzaitaliana.it/ http://www.italia-resistenza.it/ http://www.mediatecaroma.it/ http://www.romasparita.eu/ http://archiviofoto.unita.it/