Salmo 81 - Assemblee di Dio in Italia

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Salmo 81 - Assemblee di Dio in Italia
Riflessione dal Salmo 81
ADORARE E ASCOLTARE
In un recente libro di carattere religioso che, fra l'altro, ha avuto ampia diffusione,
l'autore narra la storia di un tale che continuava a rivolgersi a Dio soltanto con i "se":
"Se soltanto avessi del denaro in più, lo offrirei per il Signore. Se avessi del tempo
libero, lo impiegherei per il Signore. Se soltanto avessi un talento speciale, lo
utilizzerei per il Signore". Così Dio diede a quell'uomo ciò che desiderava: denaro,
tempo, talenti. Il Signore aspettò e aspettò, per lungo tempo. Alla fine, si riprese ciò
che aveva concesso. Allora quell'uomo pregò di nuovo: "Se soltanto potessi avere di
nuovo del denaro, un pò di tempo e qualche talento, Te li offrirei". Dio non rispose a
quella preghiera. Non mi meraviglio del trattamento, meritato, riservato a un uomo
disonesto, la cui disposizione incostante mostra una notevole somiglianza con il caso
presentato in questo salmo. Non penseremmo mai, leggendo le parole iniziali del
Salmo 81, che esortano alla lode (vv. 1-5), che Dio non fosse soddisfatto del Suo
popolo. Troviamo, infatti, un invito pressante ad adorare il Signore con la nostra
voce (v. 1) e con gli strumenti (v. 2) per tutte le opere che Egli ha compiuto in nostro
favore (vv. 3-5). Eppure il tenore di questa adorazione conosce una brusca svolta
quando Dio giudica il Suo popolo, alla fine del canto e della lode (vv. 6-16). Egli non
ci dice di stare zitti, ma si aspetta che ascoltiamo per essere modellati. Questo salmo
parla in modo chiaro a tutti quei credenti che oggi, quando si riuniscono, concedono
ampio spazio alla lode e all'adorazione. Si rivolge a coloro che attribuiscono maggiore
importanza agli strumenti piuttosto che alla Parola, e sono pronti ad andarsene
quando questi smettono di suonare. Per loro il salmo termina al versetto 5! Dio,
invece, ci chiede di restare ancora fermi ad ascoltare. Egli non ha avuto ancora la
possibilità di parlarci, e ha individuato delle incoerenze tra le nostre parole e le nostre
azioni, tra l'adorazione e il nostro cammino con Lui.
Avete dimenticato? (vv. 1-6)
Asaf ricorda che quando Dio "uscì contro il paese d'Egitto", egli udì un linguaggio
sconosciuto (v. 5). Israele visse in Egitto per circa 400 anni, e i figli di Giacobbe
conoscevano certamente la lingua egiziana. Quale idioma non comprendevano,
allora? Non riconoscevano più il linguaggio dell'Egitto attuale rispetto a quello usato
al tempo di Giuseppe. Il faraone a loro contemporaneo, che non conosceva
Giuseppe, non parlava più con parole dolci e con toni suadenti, ma arroganza e
disprezzo. Sotto metafora, l'Egitto rappresenta quei periodi della nostra vita
trascorsi nel peccato; il male con cui abbiamo giocato ha mascherato la sua natura di
duro predatore con una soffice pellicola di calore e di mielate parole di conforto. Ci
siamo sentiti accettati e curati, come fu Israele in Egitto, ma il mondo non è mai un
amico sincero per il popolo di Dio. Parla un linguaggio che gli eletti non
comprendono: la lingua dell'interesse personale, dell'appagamento dell'io, del
maltrattamento degli innocenti, dell'odio per la giustizia, del disprezzo per Dio stesso.
Così, spesso guardiamo soltanto alla patina esteriore delle realtà sacre degli eventi
spirituali. L'antico Israele ricordava gli atti potenti di Dio durante l'esodo, ma si
soffermava soltanto su quelli esteriori: le piaghe, il passaggio nel Mar Rosso, la
manna. Dio, invece, ricorda gli effetti che la Sua liberazione ha prodotto, e produce
ancora, per chi crede in Lui: "O Israele, io ho sottratto le tue spalle ai pesi" (v. 6).
Avete conteso? (v. 7)
Esodo 17 e Numeri 20 raccontano la storia di Israele quando, per due volte, non
ebbe fiducia in Dio. La prima volta fu nel deserto, quando aveva bisogno di acqua. Il
luogo era conosciuto con il nome di Meriba, "contesa". Oggi Meriba non è un luogo,
ma un atteggiamento del cuore. Pensiamo che Dio ci abbia posto in un punto
desolato e senza risorse sufficienti per restare in vita? Dopo aver compiuto un'opera
meravigliosa in nostro favore crediamo veramente che Dio ci lascerà morire di sete o
ci abbandonerà con un bisogno ancora non soddisfatto? Anche noi, come Israele, a
volte desideriamo tornare in Egitto e ai suoi legami, sotto la spinta della romantica ma
illusoria idea che quel luogo cambierà il suo truce aspetto e inizierà a parlare con
dolcezza la nostra lingua? I "Meriba"che incontriamo nella nostra vita sono luoghi in
cui Dio mette alla prova la nostra fiducia in Lui. Confidiamo nel Signore per ogni
nostro bisogno, anche quando non abbiamo la minima idea del modo in cui Egli
provvederà per noi.
Avete ascoltato? (vv. 8-16)
Il popolo di Dio soffre frequentemente della mancanza di un impegno spirituale.
Notiamo che il Signore esprime tre rimostranze: "volessi tu pure ascoltarmi!" (v. 8); "il
mio popolo non ha ascoltato la mia voce" (v. 11); "oh se il mio popolo volesse
ascoltarmi!" (v. 13). Qual'è il punto? Meriba non è solo nel deserto, è una prova
continua. In ogni frangente della vita siamo chiamati a scegliere se credere e avere
fiducia in Dio o seguire la nostra via. Il Signore sa che dobbiamo affrontare
continuamente questa scelta, ecco perché ci chiama a un arrendimento assoluto alla
Sua volontà (v. 8). Se abbiamo il coraggio di rifiutare le false attrattive del mondo,
Dio ci sazierà pienamente con le Sue provviste. Quando invece perseveriamo in una
condotta contraria alla Sua volontà camminiamo lungo un percorso di avversità e di
prove (v. 12). Se apriamo il cuore e la nostra stessa vita a ricevere tutto ciò che Dio
vuole donarci, scopriremo e sperimenteremo un meraviglioso appagamento (vv. 10, 14,
16). Questo salmo termina (vv. 15, 16) con due alternative, che dipendono dalla
nostra decisione di ubbidire oppure no. Che cosa sceglieremo? Potrà il Signore
essere soddisfatto di noi o dovrà dire: "Via da me"?
(Un Salmo per Oggi di George O. Wood)