L`Europa dalla A alla Z

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L`Europa dalla A alla Z
L’Europa
dalla
A alla Z
Werner Weidenfeld
Wolfgang Wessels
l'Institut für Europäische Politik
COMMISSIONE
EUROPEA
Guida
all’integrazione europea
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Sommario
Premessa
Come cambia l’Europa
L’Europa dalla A alla Z
Agricoltura
Ambiente
Ampliamento
Banca europea per gli investimenti
Bilancio
Comitato economico e sociale
Comitato delle regioni
Commissione europea
Concorrenza
Conferenza intergovernativa
Consiglio europeo
Consiglio dell’Unione europea
Corte dei conti europea
Corte di giustizia delle Comunità europee
Cultura
Energia
Euro
Europa dei cittadini
Europa delle donne
Europol
Gioventù e istruzione
Giustizia e affari interni
Industria
Istituto monetario europeo
Mediterraneo e Medio Oriente
Mercato interno
Mezzi di comunicazione di massa
Modelli teorici e idee guida dell’integrazione europea
Parlamento europeo
Pesca
Politica dei consumatori
Politica economica
Politica estera e di sicurezza comune
Politica regionale
Politica sociale
Politica di sviluppo
Procedure decisionali
Relazioni esterne
Ricerca e tecnologia
Sanità
Sistema monetario europeo
Società dell’informazione
Trasporti
Trattati
Unione econimica e monetaria
Unione europea
Glossario europeo
Cronologia dell’integrazione europea
Elenco degli autori
Elenco di abbreviazioni
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Premessa
I pochi anni che mancano all'inizio del XXI secolo sono pieni di sfide per l'Unione
europea. In primo luogo, nel 1997 dovrebbe essere varata una riforma delle
istituzioni, seguono poi le tappe conclusive dell'unione economica e monetaria e
infine si preparerà un ampliamento dell'Unione alle nuove democrazie dell'Europa
centrale e orientale, nonché a Cipro. Nello stesso tempo, molti cittadini
dell'Unione europea si trovano a dover far fronte a un'elevata disoccupazione e ad
altre difficoltà. La globalizzazione dell'economia sembra mettere in forse il
modello della società europea, e per questo molte persone guardano al futuro con
pessimismo e scetticismo.
Questo stato di cose ha innescato in molti paesi un dibattito sul senso e sugli
obiettivi dell'integrazione europea alle soglie del 2000. Il cambio di millennio può
essere interpretato come segnale di un nuovo inizio. L'Europa uscirà dal secolo più
sanguinoso e più oscuro della sua storia, per entrare in una nuova era che, dopo la
storica cesura dell'anno 1989, sembra promettere la pace invece della guerra e
una crescita comune invece di una divisione del continente. Non basta però un
cambiamento di data, ancorché intensamente simbolico, a garantire pace e
benessere; per conseguire i quali è necessaria la partecipazione attiva della
popolazione allo sviluppo della società e delle forme di convivenza. È con questi
obiettivi che, all'indomani della seconda guerra mondiale, per cinque decenni è
stata costruita, passo dopo passo, l'Unione europea. Per segnare nuovi progressi o
per imprimerle un nuovo slancio, i cittadini del continente devono esprimersi sul
modo in cui vogliono che l'integrazione europea venga realizzata. La costruzione
della democrazia inizia con la capacità dei cittadini di formarsi un'opinione e con
la libera discussione.
In questa pubblicazione, la Commissione europea, insieme a esperti indipendenti,
illustra i compiti, l'organizzazione e le politiche dell'UE sotto diverse angolazioni.
Si è chiesto agli autori di esprimersi nel modo più conciso, chiaro e obiettivo
possibile sugli argomenti di rispettiva competenza, per offrire al lettore un
panorama sintetico ma documentato sull'UE. Agli articoli della guida all'Europa
segue un glossario con brevi definizioni della terminologia comunitaria. In tal
modo, sui vari argomenti, ne «L'Europa dalla A alla Z» ogni lettore potrà scegliere
tra una consultazione più rapida e una lettura più approfondita. Chi, ad esempio,
desideri sapere cosa si nasconda dietro l'acronimo Socrates può trovare la risposta
nell'elenco delle abbreviazioni, mentre l'ABC dell'Europa contiene una breve
descrizione di questo programma di scambio tra istituti universitari dell'Unione
europea. Maggiori informazioni si troveranno nell'articolo sulla politica
dell'istruzione e della gioventù dove viene spiegato perché l'UE offra un
programma di questo tipo e quali siano gli altri obiettivi prioritari di questo
settore. Un sistema di rimandi (->) permette di volta in volta una lettura più
mirata. Un prospetto cronologico dà informazioni sulle principali date
dell'integrazione europea dal 1946 al 1996.
Un'informazione obiettiva è indispensabile per formarsi un'opinione sulle questioni
fondamentali della politica europea. Vi invitiamo a informarvi e a discutere
dell'Europa! Un supplemento in fondo al volume riporta gli estremi di altre
informazioni pubblicate dalla Commissione per portare a conoscenza dei cittadini
la sua visione delle cose. Informazioni di attualità che completano questo volume
(e molti altri dati) possono essere consultate anche su Internet all'indirizzo
http:\\europa.eu.int. In ogni Stato membro la Commissione europea e il
Parlamento europeo hanno uffici e rappresentanze i cui indirizzi figurano alla fine
del volume.
«L'Europa dalla A alla Z» è il titolo di un libro che l'Istituto di politica europea di
Bonn pubblica con grande successo da diversi anni. Per la loro collaborazione
vorremmo ringraziare i curatori, il professor Werner Weidenfeld, direttore del
Centro di ricerca politica applicata di Monaco, il professor Wolfgang Wessels, il Dr.
Mathias Jopp, direttore dell'Istituto di politica europea, il signor Gerhard Eickhorn,
responsabile della casa editrice Europa Union e la sig.ra Nicole Schley, redattrice
del gruppo di ricerca sull'Europa dell'Università di Monaco, diretto dal signor Josef
Janning.
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Come cambia l'Europa
Da alcuni anni la storia dell'Europa corre a ritmo accelerato. Stiamo attraversando
un periodo di transizione pieno di conflitti e senza un modello predominante,
un'epoca - per così dire - senza nome. La concomitanza di integrazione e
disgregazione, internazionalizzazione e provincializzazione, ricerca di equilibrio e
nuove ambizioni di potere, delineano il singolare profilo dell'Europa odierna, sulla
quale gravano nuovi rischi e tante incertezze. Non esiste più un antagonista col
quale misurarsi. L'Europa può contare solo su se stessa per evadere positivamente.
Che senso può avere che le nazioni e i cittadini dell'Europa si uniscano in un
sistema politico comune? Come deve configurarsi questo sistema politico per
soddisfare le aspettative dei suoi cittadini?
La situazione di stallo in cui si trova attualmente il processo di integrazione, pur
presentando risvolti più complessi, non è che un prodotto della logica su cui negli
anni Cinquanta è stata costruita la Comunità dei Sei. Già nell'Europa dei Dodici e
poi dei Quindici, si paga un prezzo alto per quella vecchia logica, con una notevole
perdita della capacità d'agire. La conferenza per la revisione del trattato di
Maastricht del 1996/97 deve definire un quadro che permetta all'Europa di
funzionare con venti e, nel medio periodo, anche con trenta Stati membri.
La situazione di partenza dopo la seconda guerra mondiale
Nell'ora più buia per l'Europa, sulle macerie ancora fumanti della seconda guerra
mondiale, nasce, col nome di «integrazione», il progetto più creativo per garantire
la sopravvivenza dell'Europa.
Già nel discorso pronunciato da Churchill il 19 settembre 1946 a Zurigo, poco
dopo la fine della guerra, viene formulata l'idea decisiva di fondare gli «Stati Uniti
d'Europa», la cui prima tappa doveva essere la creazione di un Consiglio d'Europa.
Churchill parlava di un'unione di tutti gli Stati dell'Europa che desideravano
aderire, sotto la guida della Francia e della Germania. Il conflitto sempre più
acceso tra Est e Ovest diede un impulso durevole al movimento europeo che
cominciava a organizzarsi nel 1948. La creazione dell'Organizzazione europea di
cooperazione economica (OECE), che avrebbe dovuto coordinare l'attuazione del
Piano Marshall, mostrò inoltre chiaramente che la situazione internazionale
poteva esercitare una pressione notevole che accelerava il processo di unificazione
europea. Mentre si consolidava il blocco orientale, nascevano i timori di una
minaccia comunista. Gli americani sostenevano il progetto di unificazione europea
nella speranza che avrebbe contribuito alla distensione internazionale e favorito
l'apertura di nuovi e più vasti mercati. Nel contempo, gli Stati dell'Europa
occidentale desideravano unirsi per impedire nuove e pericolose iniziative
autonome di singoli Stati nazionali.
Questo atteggiamento comune non impedì però che, dopo la creazione del
Consiglio d'Europa il 5 maggio 1949, i vari tentativi di integrazione si dividessero
in base a due modelli organizzativi diversi: la confederazione di Stati e lo Stato
federale.
In nessun momento dell'immediato dopoguerra l'idea di unificazione europea si è
ricollegata a un preciso progetto politico a o un unico modello di integrazione.
Non essendo condizionato da una concezione univoca dell'Europa, il processo di
unificazione poteva prendere avvio, a seconda della situazione, in ambiti politici
completamente diversi, alla ricerca di sempre nuovi progressi. Nel corso degli anni
gli sforzi per unificare l'Europa sono stati condotti in uno spirito prettamente
pragmatico.
Il Consiglio d'Europa
Nel maggio 1948 il Congresso europeo dell'Aia sollecitò la fondazione del
Consiglio d'Europa. Fu questa la data di nascita del movimento europeo, in cui si
contrapponevano federalisti e unionisti, divisi sulla questione della rinuncia della
sovranità nazionale a favore di quella europea. In una «dichiarazione politica» fu
proposta l'unione politica ed economica degli Stati europei con un trasferimento
limitato della sovranità nazionale. Non veniva menzionato, però, né l'obiettivo di
uno Stato federale europeo né quello di una costituzione europea. Ciò non impedì
comunque che vari punti significativi della risoluzione dell'Aia trovassero
successivamente applicazione nell'ambito del Consiglio d'Europa.
La Comunità europea del carbone e dell'acciaio
Su iniziativa del ministro degli Esteri francese Robert Schumann (Piano Schumann
del 9 maggio 1950), il 18 aprile 1951 si giunse alla firma del trattato istitutivo
della Comunità europea del carbone e dell'acciaio (CECA), la cui idea originaria
risaliva al commissario francese per la programmazione, Jean Monnet. La CECA
aveva il compito di creare un mercato comune del carbone e dell'acciaio che
permettesse il controllo, la pianificazione e lo sfruttamento comuni di queste
materie prime e dei loro prodotti derivati. La proposta era dettata principalmente
dalla volontà di accantonare la tradizionale inimicizia franco-tedesca e di creare le
basi di una federazione europea. Il trattato CECA entrò in vigore il 23 luglio 1952:
per la prima volta un settore strategico, che fino a quel momento era di
competenza degli Stati nazionali, passò nelle mani di un'organizzazione
sovrannazionale. Questa ampia integrazione economica del settore del carbone e
dell'acciaio avrebbe dovuto portare più tardi a un'unificazione politica.
Comunità europea di difesa e Comunità politica europea
Il 27 maggio 1952 i rappresentanti degli Stati membri della CECA firmarono il
trattato che istituiva la Comunità europea di difesa (CED). L'iniziativa era stata
promossa dal primo ministro francese dell'epoca, René Pleven, che aspirava a
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creare un esercito europeo comune, sotto l'autorità di un ministro europeo della
difesa. Questo progetto incide profondamente sulla sovranità degli Stati nazionali,
di cui le forze armate sono un elemento essenziale.
Il successo rappresentato dall'integrazione parziale conseguita con la CECA e dagli
avvii della CED spinge a cercare di completare l'opera sotto il profilo politico,
definendo un modello costituzionale. Il 10 settembre 1952, nella prima riunione
del Consiglio della CECA, i sei ministri degli Esteri decidono di estendere
l'Assemblea CECA e di trasformarla in Assemblea ad hoc incaricata di elaborare la
costituzione di una Comunità politica europea. Le competenze di questa nuova
comunità dovevano estendersi ai settori della CECA e della difesa, a «garantire (...)
il coordinamento della politica estera degli Stati membri». La Comunità politica
europea si prefiggeva così lo sviluppo del mercato comune negli Stati membri, il
miglioramento del livello di vita e l'aumento dell'occupazione. Nel giro di due anni
la CECA esistente e la prevista CED dovevano essere integrate nella Comunità
politica europea.
I successivi negoziati dei ministri degli Esteri non permisero però di raggiungere un
accordo sulle prerogative di sovranità che i singoli Stati avrebbero dovuto cedere.
Nell'agosto 1954 l'Assemblea nazionale francese rifiutò di ratificare la CED.
Vennero così a mancare i presupposti per il progetto di costituzione europea e
l'idea di una Comunità politica europea fu abbandonata.
1957
25 marzo 1957:
Italia, Francia, Germania, Belgio, Paesi
Bassi e Lussemburgo firmano i trattati di
Roma che istituiscono la Comunità
economica europea (CEE) e la Comunità
europea dell'energia atomica (Euratom)
I trattati di Roma
Alla conferenza dei ministri degli Esteri della CECA, tenutasi a Messina dall'1 al 2
giugno 1955, si decise di avviare i negoziati per l'integrazione in altri due settori.
L'idea di base era formulata nel cosiddetto «Rapporto Spaak» - dal nome del
politico belga Paul-Henri Spaak. Da queste trattative nacquero i trattati di Roma,
firmati il 25 marzo 1957, che istituiscono la Comunità economica europea (CEE) e
la Comunità europea dell'energia atomica (Euratom). I sei paesi fondatori della
CECA aspiravano a un'unione doganale nell'ambito della CEE. Venne inoltre
sancito l'obiettivo di creare un mercato comune che permettesse la libera
circolazione di persone, servizi e capitali. L'Euratom doveva invece promuovere la
costruzione e lo sviluppo dell'industria nucleare nei sei Stati membri, nonché
l'approvvigionamento in materie prime, nel quadro dell'impegno a utilizzare la
fissione nucleare esclusivamente a scopi pacifici. Mediante il trattato di fusione
dell'8 aprile 1965, che entrò in vigore il 1 luglio 1967, vennero unificati gli organi
della CECA, della CEE e dell'Euratom.
Il trattato di amicizia franco-tedesco
Dopo il fallimento del Piano Fouchet, che prevedeva procedure semplificate tra gli
Stati membri della CEE per concordare decisioni politiche, occorrerà attendere la
ratifica del trattato di amicizia franco-tedesco nel 1963 affinché l'integrazione
segni nuovi progressi. Il trattato fu concluso da Adenauer e De Gaulle nell'intento
di stabilire una stretta collaborazione politica, che a termine avrebbe finito col
coinvolgere gli altri Stati membri della CEE. Questo ravvicinamento di Germania e
Francia doveva diventare il motore dell'unione politica dell'Europa. Negli anni
Sessanta vennero chiaramente alla luce le difficoltà insite nella realizzazione dei
trattati di Roma. Dato che in tali trattati non erano stati presi in considerazione
diversi aspetti della politica economica, da più parti venne rivendicata la creazione
di un'unione economica e monetaria, per evitare altre crisi dovute a politiche di
orientazione nazionale.
Il compromesso di Lussemburgo
Dopo vari successi sulla via dell'integrazione europea, il compromesso di
Lussemburgo del 1966 segnò un regresso. Il periodo transitorio fissato dal trattato,
prevedeva che dal 1 gennaio 1966 il Consiglio dei ministri avrebbe potuto
adottare decisioni in settori di rilievo a maggioranza qualificata. La Francia tentò
di impedire questa procedura con la sua «politica della sedia vuota», cioè non
partecipando più alle riunioni degli organi comunitari dal 1 luglio 1965. Il
compromesso di Lussemburgo del 27 gennaio 1966 stabiliva che in caso di
divergenze si doveva cercare di raggiungere un consenso. La Francia sosteneva
che, ove non fosse possibile trovare un'intesa, ciascuno Stato membro disponesse
di un diritto di veto per salvaguardare i propri interessi vitali. Questa politica ha
sensibilmente ostacolato i lavori del Consiglio dei ministri, impedendo che si
sviluppasse una politica di integrazione dinamica.
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1973
1 gennaio 1973:
Danimarca, Irlanda e Regno Unito
entrano a far parte della CEE; i trattati
di adesione sono stati firmati a Bruxelles
il 22 gennaio 1972
L'ampliamento verso Nord
Il vertice riunito all'Aia dall'1 al 2 dicembre 1969 impresse nuovo slancio alla
politica di integrazione. Oltre all'ampliamento della Comunità verso Nord, gli Stati
membri decisero di istituire l'Unione economica e monetaria (UEM) entro il 1980,
di procedere a varie riforme istituzionali, nonché di ampliare le prerogative del
Parlamento europeo e di eleggere i suoi membri a suffragio universale diretto. I
negoziati per l'adesione, avviati il 30 giugno 1970 con Regno Unito, Danimarca,
Norvegia e Irlanda, si conclusero il 22 gennaio 1972 con la firma dei trattati di
adesione. Fin dal 20 ottobre 1971, la maggioranza della Camera dei Comuni
britannica si era pronunciata per l'ingresso nella CEE. Anche nei referendum in
Irlanda e in Danimarca la maggioranza votò a favore, mentre solo i norvegesi
rifiutarono l'adesione alla Comunità. Dal vertice dell'Aia emerse comunque la
necessità di riformare importanti settori della Comunità europea e di intensificare
l'integrazione.
Rapporti di riforma
Le crisi e il ristagno della CE negli anni Sessanta riportarono in auge alcune
procedure di carattere intergovernativo. Venne istituita la cosiddetta Cooperazione
politica europea (CPE), che rappresentò il principale strumento di coordinazione
della politica estera degli Stati membri. Il 27 ottobre 1970, i ministri degli esteri
si misero d'accordo sui principi e sulle modalità di una più stretta collaborazione
politica, che erano stati prospettati nel rapporto Davignon. Le incertezze sugli
obiettivi da perseguire portarono la Comunità europea, che ormai aspira a
diventare una «Unione europea», a tratteggiare un quadro generale, che il rapporto
Tindemans avrebbe dovuto precisare nei dettagli. Tale rapporto attribuì il ruolo di
organo decisionale al Consiglio europeo, istituito da un vertice dei capi di Stato e
di governo, e sottolineò la necessità di una maggiore integrazione europea, se
necessario procedendo a due velocità.
Primo impulso all'unione economica e monetaria
Al vertice dell'Aia e in due risoluzioni del Consiglio del marzo 1971 e del marzo
1972 venne ribadita la volontà di completare il mercato comune con una politica
economica e monetaria, che portasse alla realizzazione di un'unione economica e
monetaria entro il 1980. L'obiettivo era quello di concretare la libertà di
circolazione sancita dai trattati di Roma e di creare un meccanismo fisso di
cambio che garantisse una convertibilità illimitata delle valute. Inoltre, gli Stati
membri avrebbero dovuto trasferire alle istituzioni comunitarie alcune competenze
essenziali in materia di politica economica e monetaria. Questo piano andava
attuato in fasi, secondo modalità precisate nel cosiddetto piano Werner
dell'ottobre 1970 (dal nome del primo ministro e ministro delle Finanze
lussemburghese dell'epoca). Tuttavia, strategie fondamentalmente divergenti e
l'apparire della crisi economica negli Stati membri impedirono di coordinare la
politica economica e monetaria e di realizzare un sistema comunitario fisso di
cambio. Sul lungo periodo, però, la lotta contro l'inflazione portata avanti dalla
metà degli anni Settanta nei paesi della Comunità porterà a un ravvicinamento
delle politiche economiche e monetarie. Ciò ha favorito l'iniziativa franco-tedesca
di Helmut Schmidt e Giscard d'Estaing, volta a creare un sistema monetario
europeo (SME), imperniato su un meccanismo comune di cambio. Lo SME entrò in
vigore il 13 marzo 1979, con effetto retroattivo dal 1 gennaio dello stesso anno.
I tassi di cambio dovevano stabilizzarsi per il bene dello sviluppo economico degli
Stati membri, i quali si adoperavano anche per ridurre l'inflazione.
Bilancio alla fine degli anni Settanta
Alla fine degli anni Settanta, un bilancio obiettivo del processo di integrazione
europea non poteva che registrare successi e conquiste, ma anche inadempimenti
e lacune.
•
La CE aveva indubbiamente segnato progressi verso la realizzazione delle
libertà fondamentali sancite dai trattati di Roma. I principali ostacoli alla
libera circolazione delle merci erano stati eliminati ed era stata introdotta una
tariffa doganale comune. Nell'ambito del mercato comune, si procede inoltre
a ravvicinare le legislazioni per liberalizzare gli scambi e l'esercizio delle
professioni. Ma nonostante questi risultati positivi, alcuni obiettivi continuano
a non essere realizzati, o solo in misura parziale: esistono ancora formalità
doganali, in materia di fiscalità indiretta permangono molte differenze. Per
colmare queste lacune occorreva progredire nella realizzazione del mercato
comune.
•
Benché si potessero formulare molte critiche di dettaglio, vari settori
politicamente rilevanti erano pur sempre passati sotto il controllo della
Comunità, e ciò aveva contribuito in misura significativa al benessere
economico e alla stabilità democratica dell'Europa occidentale.
•
Il mercato comune era stato inoltre completato ponendo in essere una politica
commerciale estera comune.
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•
La rete di accordi preferenziali e di associazione creata dalla Comunità ha
rafforzato la sua posizione internazionale permettendole di promuovere una
politica di sviluppo più attiva.
D'altra parte, non si può ignorare che l'obiettivo di un'unione economica e
monetaria non era ancora raggiunto. Si vedeva però che la Comunità era pronta a
impegnarsi anche in settori politici diversi da quelli previsti dai trattati, se ciò
risultava opportuno. L'osservazione vale in particolare per la creazione di nuovi
strumenti, che a rigore non rientravano nelle finalità della Comunità europea, ma
che sul piano politico presentavano un collegamento (per esempio la CPE, il
Consiglio europeo e lo SME). Lo stesso si può dire per la riforma del finanziamento
comunitario, per il riequilibrio dei poteri all'interno della Comunità, col
trasferimento delle competenze di bilancio al Parlamento europeo, o per
l'approvazione dell'atto relativo alle elezioni europee. Travalicando gli ambiti
fissati dai trattati di Roma, sorsero però nuovi problemi di integrazione, poiché,
per includere tra le responsabilità della Comunità questioni che originariamente
non erano di sua competenza, diventava necessario coordinare le politiche
nazionali.Vengono così ad affiancarsi due strategie: decisioni sovrannazionali e
coordinamento internazionale; il pericolo è che la strategia di coordinamento
internazionale finisca coll'interferire con la strategia sovrannazionale.
I problemi all'inizio degli anni Ottanta
Con la crisi economica che imperversa dalla metà degli anni Settanta, negli Stati
membri cominciano a manifestarsi tendenze al protezionismo e al ripiegamento
verso un certo nazionalismo. La sfavorevole congiuntura mondiale e i problemi
economici che colpivano la Comunità inasprirono il divario tra interessi comunitari
e interessi nazionali. La solidarietà cominciò a entrare in crisi. Inoltre, i problemi
connessi con la struttura istituzionale della Comunità europea limitavano la sua
capacità d'azione. Ciascuna istituzione comunitaria versava in difficoltà enormi.
Negli ultimi anni, la Commissione aveva accusato una notevole perdita di
influenza. Poiché il Consiglio dei ministri prendeva decisioni solo all'unanimità, il
diritto di iniziativa della Commissione si trovò in gran parte svuotato del suo
significato. I lavori del Consiglio dei ministri, il principale organo decisionale della
Comunità, rivelavano una sempre maggiore inefficienza e le sue procedure
decisionali diventavano sempre meno trasparenti. Quanto al Parlamento europeo,
le sue competenze restavano limitate alla procedura di bilancio, mentre il suo
coinvolgimento in altri ambiti rimaneva assai scarso.
Gli anni Ottanta furono caratterizzati anche da negoziati difficoltosi per
l'ampliamento della Comunità verso Sud. Una crescente resistenza da parte di vari
Stati membri - in particolare della Francia - ritardava l'adesione di nuovi paesi. La
prospettiva di un ampliamento del mercato comune e di un rafforzamento della
posizione politica della Comunità nel mondo era naturalmente allettante, ma si
temevano anche conseguenze negative: un aumento delle spese agricole e degli
aiuti dei fondi strutturali, nonché la necessità di ristrutturare la politica della
pesca. Inoltre, la Comunità si trovava a dover affrontare nuovamente il problema
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dell'incisività delle sue procedure decisionali, che erano state concepite per
un'Europa a Sei.
1981
1 gennaio 1981:
la Grecia entra nella Comunità dopo che
il trattato di adesione è stato firmato ad
Atene il 28 maggio 1979
L'ampliamento verso Sud
Dopo aver rovesciato la dittatura militare e aver istituito un regime democratico, il
1 gennaio 1981 aderiva alla Comunità europea la Grecia. Si trattava del secondo
ampliamento. La Comunità europea aveva anche sempre prospettato a Spagna e
Portogallo - altri due paesi a regime dittatoriale - la possibilità di un ingresso nella
Comunità europea non appena fosse stata ripristinata la democrazia. Entrambi i
paesi iberici impressero questa dimensione europea al loro processo di
democratizzazione e a quel punto toccò alla Comunità mantenere la parola data.
Quando il 29 marzo 1985 vennero firmati i trattati di adesione di Spagna e
Portogallo, che sarebbero entrati in vigore il 1 gennaio 1986, nonostante vari
timori regnava un'atmosfera di festa. Queste due adesioni erano considerate come
una delle massime vittorie per la politica europea, giacché esse trasformavano
l'assetto politico della Comunità. A uno sviluppo tendenzialmente imperniato
sull'unificazione politica, subentrava un'impostazione di stampo più economico. Il
processo d'integrazione segnò anche un altro cambiamento, giacché i due
successivi ampliamenti a Sud trasferivano il peso politico verso il Mediterraneo.
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1986
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1 gennaio 1986:
Spagna e Portogallo entrano nella
Comunità dopo che i trattati sono stati
firmati a Madrid e Lisbona il 12 giugno
1985
Il completamento del mercato interno
Uno dei pilastri grazie ai quali è stato possibile ampliare l'integrazione europea, è
l'Atto unico europeo (AUE), adottato dai capi di Stato e di governo nel vertice di
Lussemburgo del 1985. La sua entrata in vigore è venuta a coincidere con
l'adesione di Spagna e Portogallo. L'Atto unico europeo si prefigge principalmente
la realizzazione del mercato interno, già contemplata dai trattati istitutivi della
Comunità. Vi erano importanti motivi per ribadire questo obiettivo e per fissare
una precisa scadenza al suo conseguimento, il 31 dicembre 1992.
•
La posizione della Comunità europea sui mercati mondiali si stava
sensibilmente indebolendo. Era passata l'epoca in cui essa poteva vantare uno
dei più forti tassi di crescita.
•
In materia di ricerca e applicazione dei risultati della ricerca, le risorse
disponibili non venivano sfruttate con sufficiente incisività.
•
Un decennio di incremento della disoccupazione, in presenza di tassi di
crescita che in un primo tempo avevano segnato una rapida espansione,
rimetteva in discussione l'efficacia della politica economica europea.
•
Progressivamente si prendeva coscienza dei costi enormi che la
compartimentazione del mercato generava.
Era indispensabile decidere finalmente la creazione di un mercato senza ostacoli di
sorta. Il completamento del mercato interno porta a un'estensione veramente
notevole dei settori nei quali le decisioni intervengono a livello europeo. I singoli
Stati, cui spettavano fino a quel momento le decisioni politiche per garantire il
buon funzionamento del mercato, vedono trasferita al sistema politico della
Comunità una parte sempre maggiore dei loro poteri. La capacità di agire diventa
in tal modo uno dei problemi più dibattuti nell'Europa degli anni Novanta.
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1990
3 ottobre 1990:
la Germania è riunificata e i territori
della DDR entrano a far parte della
Comunità
Dalla Comunità europea all'Unione europea
Le conseguenze del mercato interno in termini di politica sia interna che esterna
rendono necessaria una prodigiosa intensificazione del processo decisionale.
Occorre infatti adeguare al nuovo stato di cose vari aspetti della Comunità: unione
monetaria, ambiente, politica estera, sicurezza interna ed esterna. Ma anche
l'assetto istituzionale della Comunità deve evolvere: occorrono una guida politica
efficiente, un sistema decisionale trasparente, sul quale il Parlamento eserciti un
effettivo controllo, nonché una struttura federale che garantisca una ripartizione
dei poteri.
La Comunità è riuscita indubbiamente a compiere un passo decisivo perseguendo
lo sviluppo della politica monetaria. L'unione monetaria e la Banca centrale
europea sono nuovamente all'ordine del giorno. Le ultime tappe politiche sulla via
dell'unione monetaria sono state il «memorandum per la creazione di una zona
monetaria europea e di una Banca centrale europea», stilato da Hans-Dietrich
Genscher, ex ministro tedesco degli Affari esteri (febbraio 1988), la decisione del
Consiglio europeo di Hannover di istituire un comitato guidato dall'allora
presidente della Commissione, Jacques Delors (giugno 1988), il rapporto
conclusivo del comitato Delors, l'ingresso della Spagna nel sistema monetario
europeo, il 19 giugno 1989, nonché la decisione del Consiglio europeo di Madrid
(giugno 1989) di avviare, il 1 luglio 1990, la prima delle tre fasi previste dal
rapporto Delors e di iniziare i lavori per la revisione del trattato.
Il rapporto presentato dal comitato Delors il 17 aprile 1989 è uno dei contributi
fondamentali al dibattito politico sull'unione monetaria. Il progetto prevede un
piano in tre fasi per realizzare l'unione economica e monetaria, imperniata su un
Sistema europeo di banche centrali (SEBC).
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Il 7 febbraio 1992, la firma del trattato sull'Unione europea a Maastricht sancisce
la riforma più articolata dei trattati di Roma. Il nuovo trattato ha delineato con
chiarezza le tappe di attuazione dell'Unione economica e monetaria.
•
Il 1 gennaio 1994 è iniziata la seconda fase, che si prefigge di consentire al
maggior numero possibile di Stati membri la partecipazione alla fase finale e
di avviare i lavori preparatori per l'istituzione di una Banca centrale europea.
•
Precisi criteri determinano la partecipazione alla fase finale: stabilità dei
prezzi, rigore di bilancio, convergenza dei tassi di interesse e partecipazione al
sistema monetario europeo.
•
Entro il 1996, i capi di Stato e di governo dovevano determinare se una
maggioranza di Stati membri soddisfasse detti criteri. In caso affermativo, essi
avrebbero fissato la data di inizio della terza fase.
•
Diversamente, il passaggio alla terza e ultima fase sarebbe avvenuto
automaticamente il 1 gennaio 1999.
Il vertice di Maastricht ha contribuito altresì a potenziare la politica estera e di
sicurezza comune.
•
Gli Stati membri si sono impegnati a porre in essere una politica estera e di
sicurezza comune (PESC) in tutti i settori.
•
Una volta che il Consiglio dei ministri abbia adottato all'unanimità un'azione
comune, le successive decisioni in qualsiasi fase dello svolgimento possono
ormai essere prese a maggioranza qualificata. È la prima volta che la
Comunità europea si discosta in quest'ambito dalla norma dell'unanimità.
•
L'Unione dell'Europa occidentale (UEO) è chiamata a svolgere un ruolo nuovo
nel quadro della politica di sicurezza. Essa formerà parte integrante
dell'Unione europea e dell'Alleanza atlantica.
Le altre decisioni del vertice di Maastricht vertevano sulla creazione di una
cittadinanza europea, sul potenziamento della cooperazione nei settori della
politica interna ed esterna, ma soprattutto su un'estensione delle prerogative del
Parlamento europeo.
•
Spetta al Parlamento approvare la composizione della Commissione europea.
La durata del mandato della Commissione coincide con la legislatura del
Parlamento.
•
Il Parlamento ottiene il diritto di costituire commissioni d'inchiesta e di
ricevere petizioni.
•
Nel quadro della procedura legislativa comunitaria, il Parlamento dispone
ormai di un diritto di codecisione per le questioni attinenti al mercato interno,
alla protezione dei consumatori, all'ambiente e alle reti transeuropee.
Ma il processo di ratifica del trattato di Maastricht da parte dei vari Stati membri
si è rivelato più lungo e più difficile del previsto. In Danimarca, Irlanda e Francia
sono stati indetti referendum sul trattato. Mentre negli ultimi due paesi l'esito
della consultazione popolare è stato favorevole, il 50,7% dei danesi si è espresso
contro le decisioni di Maastricht, minacciando di bloccare tutte le riforme
sostanziali previste dal trattato. Ed è così che nel corso del 1992, l'anno
emblematico del completamento del mercato interno, si sono succedute senza
sosta opinioni contrastanti. Il «no» dei danesi è diventato un «sì» grazie a una serie
di concessioni. La leggendaria incomprensibilità del trattato sull'Unione europea
ha però continuato a innescare violenti dibattiti, soprattutto in Gran Bretagna e
nella Repubblica federale tedesca. La ratifica del trattato da parte del Parlamento
britannico e il rigetto dei ricorsi per incostituzionalità in Germania fecero però
cadere gli ultimi ostacoli. Tutti gli Stati avevano ratificato il trattato e depositato
a Roma gli strumenti di ratifica. Con quasi un anno di ritardo, il trattato poté
entrare in vigore il 1 novembre 1993.
Oltre Maastricht: approfondimento e ampliamento
Nonostante i progressi compiuti grazie al trattato sull'Unione europea, restano
ancora da realizzare varie riforme politiche. Anche se a Maastricht l'obiettivo di
un'Unione organizzata su base federale non ha potuto essere inserito nel nuovo
trattato, nel lungo periodo non ci sono alternative a un rigoroso federalismo con
una ripartizione chiara delle competenze in base al principio di sussidiarietà. Nel
«dopo Maastricht» l'integrazione europea dipenderà dal modo in cui si riusciranno
a perseguire due obiettivi fondamentali: da un lato, un approfondimento
dell'Unione e un'intensificazione delle politiche esistenti per poter agire con
maggiore incisività; dall'altro, la capacità di gestire gli ampliamenti già realizzati e
quelli previsti.
Le difficoltà incontrate nel processo di ratifica del trattato di Maastricht hanno
quasi eclissato il fatto che per il completamento del mercato interno non si sia
riusciti a rispettare la data «mitica» del 1 gennaio 1993. L'attuazione al 95% delle
norme previste costituisce comunque un successo importante, ma i problemi
tuttora irrisolti - l'armonizzazione dei sistemi fiscali e la sicurezza interna - hanno
un po' raffreddato gli entusiasmi. La relazione di un gruppo di esperti guidato
dall'ex commissario europeo Peter Sutherland aveva già messo in rilievo che per il
buon funzionamento del mercato interno sarebbero state sempre più
indispensabili una struttura politica e una stretta cooperazione. Maastricht e il
mercato interno, che hanno messo in evidenza il carattere globale del processo,
rappresentano due tentativi di dare impulso alla capacità d'azione della Comunità,
per poter affrontare con strumenti più efficaci i numerosi compiti che la politica
europea ha ancora davanti a sé.
17
L’EUROPA DALLA A ALLA Z
1995
18
1 gennaio 1995:
Austria, Finlandia e Svezia entrano
nell'Unione dopo che i trattati di
adesione sono stati firmati a Corfù il 24
e 25 giugno 1994
Dal 1 gennaio 1995, con l'ingresso di Finlandia, Austria e Svezia, gli Stati membri
dell'Unione sono saliti a 15 e il problema dell'approfondimento si pone oggi in
modo più urgente che mai. Data l'evidente forza di attrazione esercitata
dall'Unione, la «capacità di agire» diventerà un problema sempre più cruciale in
un'Europa passata da 6 Stati membri ai 15 di oggi e che potrebbe contare fino a
21, 25, 28 paesi e circa 500 milioni di abitanti nei prossimi anni. Di fronte a questa
nuova situazione, è essenziale chiedersi come sia possibile organizzare una
comunità di Stati contrassegnata da una tale eterogeneità - politica, economica,
culturale.
A uno studio approfondito della storia dell'unificazione europea non può sfuggire
che proprio la differenziazione è stata la chiave del successo: fin dall'inizio si sono
registrate varie forme organizzative, diverse forme di adesione, ritmi diversi
nell'attuazione delle politiche. Le strutture dell'unione politica, della politica estera
e di sicurezza comune, dell'unione economica e monetaria e del mercato unico
non potranno più essere identiche. Un sistema così complesso e variegato è
gestibile solo se segue un programma preciso. La differenziazione può essere
realizzata calibrando l'integrazione e a tale scopo si possono delineare tre modelli:
•
la rapida integrazione di un nucleo forte di Stati membri, sulla base delle
decisioni adottate a Maastricht in materia di unione politica e monetaria,
•
la costituzione di un'unione politica indipendentemente dalla partecipazione
all'unione economica e monetaria,
•
la creazione di un'unione politica da parte degli Stati membri dell'UEO,
privilegiando nel processo di approfondimento politico le scelte in materia di
sicurezza.
Prendendo spunto dalle iniziative franco-tedesche, potrebbero svilupparsi in
Europa occidentale più nuclei fondamentali, sufficientemente efficaci per
contrastare la nascita di un'«Europa alla carta»; tali nuclei, inoltre, potrebbero
sovrapporsi e limitare in tal modo i rischi di una minore efficacia.
Già la situazione attuale, tuttavia, presenta elementi di differenziazione: il sistema
monetario europeo, il periodo di transizione previsto per ogni ampliamento, la
politica sociale, le clausole di dissociazione (opt-out), accordi aggiuntivi quali
l'accordo di Schengen, le eccezioni nel campo della politica ambientale, della
sicurezza sul lavoro e del mercato interno. È indubbio che il prossimo ampliamento
imporrà delle riforme istituzionali:
•
in un'Europa con venti o trenta Stati membri non è pensabile che ogni paese
sia rappresentato da un commissario europeo,
•
sarà impossibile mantenere il principio della rotazione per la presidenza del
Consiglio dell'UE,
•
se si continuerà ad applicare lo stesso sistema di ponderazione dei voti e lo
stesso criterio per la maggioranza qualificata, gli Stati membri più piccoli
avrebbero la possibilità di sconfiggere nelle votazioni quelli più grandi.
L'Unione europea dovrà dunque trovare una strategia che le permetta di
conseguire un livello più elevato di integrazione, sviluppando tuttavia varie forme
di differenziazione perché solo così continuerà a essere governabile.
Complessivamente, queste diverse riforme potrebbero creare un'Europa nuova, in
grado di proseguire le conquiste sulla lunga via dell'unificazione europea.
La creazione di una Comunità paneuropea
Con la fine del conflitto ideologico fra Est e Ovest l'Europa è giunta alle soglie
dell'unità. Numerosi accordi di cooperazione con gli Stati dell'Europa centroorientale, il trattato sullo Spazio economico europeo e i negoziati di adesione, ma
anche il potenziamento delle strutture di cooperazione nella CSCE, nel Consiglio
d'Europa e in altri contesti hanno tutti lo stesso obiettivo: creare una rete di
relazioni contrattuali che garantiscano la stabilità in tutta l'Europa e stimolino la
crescita economica nelle nuove democrazie. Dove l'integrazione resta parziale e la
capacità di agire per il futuro non è ancora piena, infatti, continuano a incombere
tragedie: ne è un esempio traumatico la guerra nella ex Iugoslavia, un evento che
peserà a lungo sulla politica europea.
Sull'Unione europea ricade, in quanto attore principale a livello europeo, una
particolare responsabilità da cui, come catalizzatore di tutte le aspettative di pace,
stabilità, democrazia e prosperità economica, essa non può esimersi. Deve
perfezionare le proprie strutture decisionali e la definizione dei propri obiettivi per
acquisire autorevolezza e poter agire sulla scena europea e mondiale. Quello che
ancora oggi è solo il nucleo incompleto - limitato all'Europa occidentale - di
un'unificazione europea rappresenta infatti, fin dalle sue origini, la prefigurazione
19
20
di una futura unione paneuropea, un'Europa senza frontiere separatrici, un'Europa
dove si scambino liberamente opinioni, capitali e servizi, un'Europa in cui i
conflitti vengano risolti pacificamente e non con la violenza.
All'interno come all'esterno, nel trasferimento delle competenze e nell'ulteriore
sviluppo delle istituzioni, la politica europea si trova di fronte a una nuova e
fondamentale esigenza di legittimità. Per decenni i principi e le decisioni relativi
all'integrazione europea sono stati accolti con grande entusiasmo; oggi, ogni
minimo passo deve essere giustificato di fronte a un'opinione pubblica divenuta
ormai scettica.
L'Europa deve mettere a disposizione ciò che è necessario al benessere comune dei
suoi Stati membri e, in primo luogo, deve garantire il futuro, vale a dire prosperità
economica, competitività a livello internazionale, tutela della pace, sicurezza dal
rischio di nuovi conflitti e costruzione di un'Unione che coinvolga tutta l'Europa e
in cui i cittadini possano realizzare le loro aspirazioni.
Werner Weidenfeld
L'articolo rispecchia le opinioni personali dell'autore.
L’EUROPA DALLA A ALLA Z
L'Europa dalla A alla Z
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Agricoltura
Base giuridica: Articoli da 38 a 47 del trattato CE.
Obiettivi: Incrementare la produttività dell'agricoltura e assicurare così un tenore
di vita equo a coloro che vi lavorano, stabilizzare i mercati, garantire gli
approvvigionamenti e assicurare prezzi ragionevoli nelle consegne ai consumatori.
Strumenti: Organizzazione comune dei mercati agricoli, che prevede la
salvaguardia dei prezzi mediante interventi sul mercato interno, dazi sulle
importazioni e (per il latte e lo zucchero) limitazioni della produzione,
miglioramento delle condizioni di produzione attraverso il sostegno alle aziende
agricole e misure a carattere interaziendale, miglioramento delle condizioni di
commercializzazione, sovvenzioni intese a compensare gli handicap naturali,
programmi specifici per le zone svantaggiate e le regioni mediterranee.
Bilancio 1996: Al settore agricolo (esclusa la pesca) sono stati destinati 41 476
milioni di ecu, ossia circa il 48% del bilancio generale CE.
A norma dell'articolo 38 del trattato CEE (dal 1993: trattato CE) il mercato
comune comprende l'agricoltura e il commercio dei prodotti agricoli; l'articolo 39
precisa le finalità della politica agricola comune (cfr. riquadro); l'articolo 40
definisce lo sviluppo graduale della politica agricola comune e prevede per
l'organizzazione dei mercati agricoli diverse possibilità, di cui soltanto
l'introduzione di un'organizzazione comune dei mercati si è dimostrata praticabile.
La politica e il mercato agricoli sono quindi venuti ad assumere nella CE un ruolo
di rilevanza particolare, confermato anche nel trattato sull'Unione europea. A
motivo dell'elevata regolamentazione del settore, le disposizioni concernenti il
mercato agricolo rappresentano la quota maggiore nella normativa comunitaria. I
costi elevati e gli interessi nazionali divergenti hanno fatto sì che in più occasioni
la politica agricola comune si è trasformata in un terreno di scontro per la
Comunità. Il tentativo di garantire un tenore di vita equo agli agricoltori,
principalmente sostenendo prezzi interni superiori a quelli mondiali, ha attirato
sulla Comunità accuse di protezionismo e determinato eccedenze sempre più
consistenti. Malgrado il crescente intervento pubblico, l'obiettivo della garanzia
dei redditi agricoli non è stato conseguito.
L’EUROPA DALLA A ALLA Z
Politica dei prezzi e del mercato
L'organizzazione comune dei mercati, su cui si fonda la politica dei prezzi e del
mercato, separa il -> mercato interno da quello mondiale. Ciò avviene
fondamentalmente mediante il sistema dei prelievi, ossia l'applicazione di dazi
all'importazione, di importo pari alla differenza tra il prezzo mondiale - più basso e un prezzo d'entrata, in modo che la merce importata non possa venire offerta ad
un prezzo inferiore al prezzo indicativo o di orientamento fissato per il mercato
interno. Per l'esportazione vengono concesse restituzioni, calcolate in modo
analogo. Tutti i prezzi applicabili nell'ambito della politica agricola comune
vengono fissati annualmente dal -> Consiglio. I costi connessi al sostegno dei
prezzi sono a carico del Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia,
sezione garanzia.
Percentuale della forza lavoro occupata in agricoltura
Uomini e donne
20,4
21
18
15
12,0
11,5
12
9,3
9
6
5,3
4,9
4,4
3,9 3,8
3,3
3,2
2,7
3
7,8
7,3
7,5
2,1
UK
S
FIN
P
A
NL
L
I
IRL
F
E
EL
D
DK
B
EUR 15
0
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24
Le 21 organizzazioni comuni si dividono sostanzialmente in tre gruppi, fondati su
principi diversi:
1.
Organizzazioni di mercato imperniate sul sostegno dei prezzi: per circa il
70% dei prodotti agricoli l'organizzazione comune dei mercati garantisce,
oltre alla protezione esterna, i prezzi e la commercializzazione. Rientrano tra
questi prodotti i cereali principali, lo zucchero, i prodotti lattiero-caseari, le
carni, taluni prodotti ortofrutticoli e il vino da tavola. Il prodotto che non si
riesce a smerciare ad un prezzo determinato - il prezzo d'intervento - viene
acquistato dall'organismo d'intervento nazionale. Attualmente, in molte
organizzazioni di mercato il meccanismo d'intervento non è più così
automatico, in quanto si interviene soltanto quando il prezzo di mercato
scende al di sotto di determinate soglie; inoltre, non viene pagato l'intero
prezzo d'intervento. Per il latte e lo zucchero, infine, l'organizzazione comune
prevede delle quote, che limitano il sostegno ai quantitativi massimi di
produzione fissati per l'azienda.
2.
Organizzazioni di mercato imperniate sulla protezione esterna comune:
circa un quarto dei prodotti agricoli viene tutelato soltanto nei confronti della
concorrenza dei paesi terzi, senza garantirne il prezzo sul -> mercato interno.
Rientrano in questa categoria le uova, il pollame, alcuni prodotti ortofrutticoli
(non compresi nel gruppo 1), le piante ornamentali e vini diversi da quello da
tavola. Di norma la protezione esterna viene attuata mediante l'imposizione di
dazi. Se il prezzo d'offerta supera determinate soglie viene riscosso anche un
prelievo.
3.
Organizzazioni di mercato imperniate sugli aiuti diretti: fino alla riforma
della politica agricola comune si distingueva tra aiuti complementari e aiuti
forfettari, i primi dei quali erano destinati a garantire ai produttori un reddito
adeguato senza far aumentare i prezzi al consumo. I semi oleosi e le
leguminose vengono importati in franchigia. Fino alla riforma i trasformatori
beneficiavano di un aiuto per i quantitativi acquistati provenienti dalla
produzione comunitaria; a decorrere dalla riforma l'aiuto viene versato ai
produttori. Per le olive, il tabacco e il grano duro i produttori ricevono un
aiuto che si aggiunge alla garanzia dei prezzi di mercato conseguente alle
misure d'intervento e di protezione esterna. Gli aiuti forfettari vengono
concessi per prodotti che nella Comunità rappresentano quote di produzione
modeste: lino e canapa, cotone, bachi da seta, luppolo, sementi e foraggi
essiccati.
Le fluttuazioni dei tassi di cambio determinano un problema fondamentale. Dato
che nell'ambito delle organizzazioni di mercato i prezzi sono fissati in unità
monetarie europee (ecu), al momento della conversione nella valuta nazionale
dovrebbero essere diminuiti in caso di apprezzamento ed aumentati in caso di
deprezzamento della stessa. Per evitare le ripercussioni negative di improvvise
variazioni di questo tipo, nell'ambito dell'organizzazione comune dei mercati
agricoli vengono applicati tassi di conversione (tassi verdi) che si discostano dal
tasso centrale per collocarsi a livelli superiori nei paesi la cui moneta si rivaluta ed
a livelli inferiori nei paesi la cui moneta si svaluta. Ne consegue che nei primi
venivano riscossi prelievi all'importazione e concesse restituzioni all'esportazione;
nei secondi venivano riscossi prelievi all'esportazione e versate restituzioni
all'importazione. Il mercato unico istituito nel 1993 ha reso impossibili i prelievi e
le restituzioni. Si è quindi proceduto ad eliminare secondo uno schema preciso gli
eventuali divari monetari (differenze tra i tassi di conversione agricoli e i tassi
rappresentativi), prevedendo per le valute fluttuanti la possibilità di oscillare in
senso positivo o negativo e per quelle a margine fisso soltanto la possibilità di
aumenti di prezzo nei paesi a valuta debole. Dopo l'ampliamento al 15% del
margine di fluttuazione, deciso il 2 agosto 1993, è stato stabilito che gli scarti
monetari tra due paesi non potessero superare i cinque punti percentuali,
totalmente a carico del paese con lo scarto positivo.
Politica delle strutture agrarie
Gli orientamenti strutturali del 1972 rappresentano il primo programma
comunitario di politica delle strutture agrarie, che si fonda sulla destinazione degli
aiuti agli investimenti esclusivamente alle aziende con potenzialità di sviluppo.
Nel 1975 il programma è stato integrato dalla direttiva sull'agricoltura nelle zone
montane e in talune zone svantaggiate, al fine di mantenere l'attività agricola
anche in condizioni sfavorevoli. L'insieme delle misure è stato raggruppato nel
1985 nel regolamento sul miglioramento dell'efficienza delle strutture agrarie
(regolamento efficienza). La Comunità partecipa al finanziamento per quote
variabili, che sono più elevate nei paesi a basso reddito. Il contributo è a carico
della sezione orientamento del FEAOG.
Nell'ambito della riforma dei Fondi strutturali del 1988 è stato deciso di
coordinare gli interventi finanziari del FEAOG, sezione orientamento, quelli del
Fondo europeo di sviluppo regionale e quelli del Fondo sociale europeo
nell'obiettivo 1 («promuovere lo sviluppo e l'adeguamento strutturale delle regioni
il cui sviluppo è in ritardo») e nell'obiettivo 5b («promozione dello sviluppo delle
zone rurali»). L'obiettivo 5a («adeguamento delle strutture agrarie») consiste in
sostanza nella prosecuzione della politica delle strutture agrarie, viene finanziato
esclusivamente dal FEAOG, sezione orientamento, nel quadro del regolamento
sull'efficienza e non ha limitazioni geografiche. L'obiettivo 5b, che ha limiti
geografici propri, comprende ampie zone della Francia, del Regno Unito e della
Germania. Della dotazione per la politica strutturale (che nel periodo 1989-1993 è
raddoppiata raggiungendo i 60 miliardi di ecu) 3,4 miliardi di ecu sono stati
destinati all'obiettivo 5a e 2,8 miliardi di ecu all'obiettivo 5b. Prima ancora della
scadenza del periodo d'intervento il Consiglio ha deciso, per il periodo 1994-1999,
un altro raddoppio degli stanziamenti per le misure strutturali. In tale sede è stata
aumentata del 40% la dotazione per l'obiettivo 5b e sono state ampliate
considerevolmente le zone sovvenzionabili.
25
26
Riforma della politica agricola comune
I crescenti oneri finanziari conseguenti al progresso tecnico e le illimitate garanzie
di mercato hanno imposto una correzione di rotta. Il primo provvedimento in tal
senso è rappresentato dall'introduzione, nel 1984, delle quote lattiere. Per gli altri
prodotti i prezzi dell'organizzazione di mercato non sono stati aumentati o lo sono
stati in lieve misura e il meccanismo d'intervento è stato reso meno automatico.
Sulla base di una decisione del -> Consiglio europeo in occasione del vertice
straordinario del febbraio 1988 a Bruxelles sono stati introdotti stabilizzatori per i
cereali, i semi oleosi e le piante proteiche per cui in caso di superamento dei
quantitativi garantiti prefissati i prezzi d'intervento vengono ridotti
automaticamente. Tutti gli Stati membri hanno dovuto presentare un programma
di ritiro dei seminativi dalla produzione, ma il successo dell'iniziativa è stato
soltanto parziale. Lo stesso dicasi per il programma di prepensionamento, che gli
Stati membri hanno potuto proporre dal 1988 e che prevede il pensionamento
anticipato degli agricoltori interessati, di età superiore ai 55 anni, qualora
rinuncino per almeno cinque anni alla produzione o cedano i propri terreni agricoli
ad altre aziende.
Per evitare un nuovo boom delle spese agricole, nel 1988 è stato fissato, con la
cosiddetta «linea direttrice agricola» un massimale per le spese obbligatorie della
sezione garanzia del FEAOG. Partendo da una base di 27,5 miliardi di ecu, tale
limite è fissato al 74% del tasso d'aumento del prodotto nazionale lordo della
Comunità. La riforma del 1992 è fondata sull'abbandono del sostegno ai prezzi,
con compensazione degli effetti sui redditi agricoli mediante pagamenti diretti.
Nel settore dei cereali, tra il 1993-1994 e il 1995-1996 il prezzo d'intervento è
stato progressivamente ridotto del 33%. I produttori sono stati compensati con un
aiuto, proporzionato alla riduzione di prezzo, che può raggiungere i 207 ecu/ha
(media europea), ad eccezione dei piccoli produttori, ma soltanto qualora venga
ritirata dalla produzione una parte delle superfici finora investite a cereali e semi
oleosi; per il ritiro dalla produzione viene corrisposto un premio di 262 ecu/ha. Per
i semi oleosi i produttori spuntano soltanto il prezzo mondiale, oltre ad un aiuto
per superficie pari in media a 384 ecu/ha. Nel settore delle carni bovine il prezzo
d'intervento è diminuito in un triennio complessivamente del 15%. Per i primi
novanta bovini da ingrasso di ogni azienda viene concesso un premio di 180
ecu/capo.
Nell'ambito delle misure di accompagnamento sono stati aumentati gli incentivi
per le colture estensive e l'utilizzazione di metodi di produzione rispettosi
dell'ambiente. Il ritiro dei seminativi dalla produzione a fini ambientali può essere
finanziato per un periodo ventennale. Inoltre, l'aumento del contributo
comunitario ha reso più interessanti le azioni di rimboschimento.
Conclusione dell'Uruguay Round del GATT
Al termine di sette anni di trattative, il 15 dicembre 1993 è stato concluso
l'Uruguay Round dell'accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio
(GATT), le cui disposizioni sono entrate in vigore il 1 luglio 1995. Nel corso dei
negoziati è stato particolarmente difficile trovare un'intesa sulle questioni
agricole, dati gli interessi opposti dell'UE e degli Stati Uniti. Nel novembre 1992 è
stato finalmente raggiunto un accordo («Accordo di Blair House») che è stato
recepito nell'atto finale con modifiche minime e i cui punti principali sono i
seguenti:
a) riduzione del 20% rispetto alla base 1986-1988 del sostegno al mercato
interno tenendo conto delle riduzioni apportate dal 1986; sono invece esclusi
dalla riduzione i pagamenti compensativi concessi dall'UE nell'ambito della
riforma della politica agricola comune;
b) trasformazione di tutte le misure di protezione esterna in dazi doganali, da
ridurre entro il 2000 mediamente del 36% e di almeno il 15% per prodotto;
c)
riduzione entro il 2000 delle spese per le restituzioni alle esportazioni del 36%
rispetto alla base 1986-1990 e riduzione del 21% dei quantitativi esportati in
regime di restituzione; nel periodo transitorio 1995-2000 può essere scelto
come periodo di riferimento il 1991-1992;
d) dal 1995, accesso minimo al mercato pari al 3% dei consumi interni con
riferimento al 1986-1988 e aumento di tale quota al 5% entro il 2000;
adeguate riduzioni dei dazi doganali pari alla quota di accesso al mercato;
e) impegno dell'UE di fissare per i semi oleosi una superficie di base di 5,128
milioni di ha (superficie coltivata 1989-1991), di cui deve essere ritirata dalla
produzione una quota pari a quella dei cereali e comunque non inferiore al
10%;
f)
qualora le importazioni dell'UE di prodotti sostitutivi dei cereali superino 19,2
milioni di tonnellate e quelle di foraggi 40,5 milioni di tonnellate
(importazioni del 1990-1992), avvio di negoziati tra l'UE e gli Stati Uniti.
Per certi mercati (zucchero, carni bovine, prodotti lattiero-caseari) le
conclusioni dell'Uruguay Round avranno effetti restrittivi superiori alla riforma
della politica agricola comune.
Ampliamento della Comunità
Nell'ambito dei negoziati per l'adesione dell'Austria, della Svezia, della Finlandia e
della Norvegia, conclusisi il 1 aprile 1993, è stato difficile trovare un'intesa sul
settore agricolo, dato il forte sostegno di cui beneficiava l'agricoltura dei paesi
candidati all'adesione, anche per motivi di politica regionale.
Tra i problemi principali figurava il mantenimento dell'agricoltura nelle regioni
artiche e subartiche della Scandinavia e nelle regioni montane austriache dopo
l'allineamento del sostegno nazionale su livelli comunitari. La richiesta di un
regime transitorio da parte dei paesi candidati non è stata soddisfatta, in quanto
le compensazioni per l'adesione e i meccanismi complementari di mercato
27
28
sarebbero stati legati ai controlli alle frontiere, contrari ai principi del mercato
unico. La questione di politica regionale è stata affrontata dalla Comunità
concedendo compensazioni considerevoli. Per i paesi scandinavi è stato istituito un
nuovo obiettivo di politica regionale - l'obiettivo n. 6 - il cui unico criterio di
ammissibilità è la densità di popolazione (inferiore a 8 abitanti/km2). A titolo di
sostegno all'adeguamento dell'agricoltura alle condizioni della politica agricola
comune la Comunità ha offerto ai nuovi Stati membri compensazioni per 2,97
miliardi di ecu nel periodo 1995-1998. Per le spese strutturali sono stati stanziati
in bilancio complessivamente 8,89 miliardi di ecu fino al 1999.
Prospettive
L'UE deve adeguare taluni aspetti della sua politica agricola alle nuove condizioni
dell'accordo GATT. A lungo termine si dovrà stabilire se con la riforma della politica
agricola comune sia stata raggiunta definitivamente una situazione di stabilità.
Essendo certo che vi saranno sempre maggiori progressi tecnici, la produzione
continuerà ad aumentare e l'accordo GATT avrà effetti restrittivi anche nei settori
in cui ciò attualmente non si verifica. La Comunità si ritroverà quindi a dover
scegliere tra la riduzione dei prezzi e l'adozione di misure che limitino
ulteriormente la produzione. Inoltre, con l'andar del tempo si porrà in termini
ancora più urgenti la questione dell'accettazione delle compensazioni introdotte
nella riforma. Dal punto di vista della politica estera la politica agricola comune
dovrà affrontare l'impatto dell'integrazione dei paesi dell'Europa centro-orientale (
-> ampliamento).
Winfried von Urff
http://europa.eu.int/pol/env/en/info.htm
Ambiente
Base giuridica: Articoli 2, 3, punto k, e da 130 R a 130 T del trattato CE.
Obiettivi: Tutela e miglioramento della qualità dell'ambiente; tutela della sanità
pubblica, uso prudente e razionale delle risorse naturali; promozione di
provvedimenti a livello internazionale, intesi a risolvere problemi ambientali di
dimensioni regionali o mondiali.
Strumenti: Disposizioni legislative, segnatamente direttive che determinano
norme di qualità ambientale (livello di inquinamento), norme applicabili ai processi
di fabbricazione (relative alle emissioni, alla concezione dei prodotti ed alla
gestione aziendale) ed ai prodotti (valori limite per l'inquinamento o le emissioni
di un determinato prodotto); programmi di azione per la tutela dell'ambiente,
programmi di aiuti finanziari.
Bilancio: Nel 1995 circa 144 milioni di ecu.
Con il trattato sull'Unione europea (TUE), la Comunità ha incluso la politica
ambientale nel suo campo d'azione (articolo 3 del trattato CE, nuovo testo),
associando l'obiettivo di una crescita duratura ed il rispetto per l'ambiente
(articolo 2 CE). La politica ambientale, sviluppata negli anni 70, ottiene così un
nuovo status giuridico. L'Atto unico europeo del 1987 che conferì alla CE
competenze in materia di politica dell'ambiente, precisava già che l'imperativo
della tutela ambientale doveva essere presente in tutte le azioni comunitarie. Tale
principio universale, unico nel trattato CE, conferisce alla tutela dell'ambiente una
posizione particolare; fra la teoria e la pratica il divario è però considerevole,
specialmente in un'epoca di recessione caratterizzata dall'acuto conflitto fra gli
interessi economici e le esigenze della politica ambientale. Ne costituiscono un
chiaro esempio le norme comuni relative alla limitazione delle emissioni dei veicoli
a motore, stabilite una prima volta nel 1970 e modificate in seguito a più riprese,
da ultimo nel 1994. Non si è ancora imposta la convinzione che, in un contesto
politico adeguato, la crescita economica è compatibile con il rispetto
dell'ambiente e che la tutela dell'ambiente non costituisce necessariamente un
freno alla competitività, può anzi, al contrario, migliorarla.
29
30
Lo sviluppo della politica ambientale della CE: dalla terapia
alla profilassi
Nei trattati del 1957 non si prevedevano competenze comunitarie in materia di
ambiente. Gli Stati membri reagirono all'ingravescente inquinamento con
provvedimenti a livello nazionale. L'inquinamento però, fenomeno transfrontaliero,
non può essere combattuto efficacemente nel contesto esclusivo delle politiche
nazionali. I provvedimenti nazionali a tutela dell'ambiente e le disposizioni
applicabili ai prodotti industriali si rivelarono inoltre ostacoli al commercio,
incompatibile, in quanto tali, con l'obiettivo comunitario della libera circolazione
delle merci; andarono di conseguenza moltiplicandosi le richieste di un'azione in
campo ecologico. Poco dopo la prima conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente
umano, nel giugno 1972, in occasione di un vertice della CE a Parigi, la
Commissione ( -> Commissione europea) propose di elaborare un programma di
azione sull'ambiente, la cui base giuridica era l'articolo 2 del trattato CE che
annoverava, fra i compiti della Comunità, la promozione di «uno sviluppo
armonioso delle attività economiche» nonché «una crescita sostenibile» negli Stati
membri, obiettivi perseguibili solo nel rispetto dell'ambiente. Si faceva riferimento
anche al preambolo del trattato, e più precisamente ai termini «miglioramento
costante delle condizioni di vita e di occupazione». Come base giuridica vennero
assunti anche l'articolo 235, che conferisce poteri d'azione alla Comunità in casi
non previsti dal trattato, e l'articolo 100 che prevede il «ravvicinamento delle
disposizioni, legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri che
abbiano un'incidenza diretta sull'instaurazione o sul funzionamento del mercato
comune». Gli atti legislativi da adottare su tale base dovevano necessariamente
esser votati all'unanimità dal Consiglio dei ministri ( -> Consiglio dell'Unione
europea). Già dall'inizio degli anni '70 pertanto erano state riconosciute la
necessità e la legittimità di una politica comune dell'ambiente. Andò quindi
costituendosi un diritto comunitario dell'ambiente, costituito di obblighi e divieti,
che comprende oggi oltre 200 tra direttive e regolamenti, relativi in particolare
alla tutela delle acque, alla qualità dell'aria, ai prodotti chimici, alla protezione
della fauna e della flora, all'inquinamento acustico, all'eliminazione dei rifiuti. La
caratteristica del diritto comunitario in materia di ambiente è di tener sempre
conto degli imperativi economici; la legislazione in tale settore è in costante
evoluzione. L'efficacia della legislazione comunitaria in campo ecologico dipende
dall'impegno degli Stati membri, cioè dalla trasposizione delle direttive nel diritto
nazionale. Le numerose procedure per infrazione ai trattati in tale settore (per
esempio per quanto concerne la tutela delle acque) sono un chiaro indizio delle
lacune in materia. Oltre al diritto comunitario, la Comunità ha lanciato programmi
di azione nel settore dell'ambiente, in funzione di obiettivi ed orientamenti
prioritari. Già nel terzo programma di azione (1983) andava delineandosi il
principio fondamentale della prevenzione; nel quarto programma di azione (19871992) si stabiliva il passaggio ad una politica prettamente preventiva.
La Comunità ha anche istituito programmi di ricerca in campo ambientale, come
STEP (Scienza e tecnologica per la protezione ambientale) ed EPOCH (Programma
europeo per la climatologia e i rischi naturali). Solo con l'adozione dell'Atto unico
europeo, nel 1987, è stata attribuita expressis verbis alla Comunità una
competenza specifica in materia di politica ambientale (articoli da 130 R a 130 T
del trattato CEE). Vi ricevevano veste ufficiale anche principi già messi in pratica
di tempo: prevenzione, «chi inquina paga», interventi contro l'inquinamento alla
fonte. Veniva poi introdotto il principio di sussidiarietà: la Comunità interviene
solo qualora gli obiettivi possono essere meglio conseguiti a livello comunitario
che nazionale. Il principale strumento che consente di integrare nella definizione e
nell'esecuzione di qualsiasi provvedimento comunitario gli imperativi connessi alla
tutela dell'ambiente, come prescritto dall'Atto unico europeo, è lo studio
dell'impatto sull'ambiente. La direttiva sull'impatto ambientale è entrata in vigore,
dopo 22 progetti preliminari, nel luglio 1988. Prevede una procedura unica,
applicabile in sede di pianificazione di progetti economici, per esaminarne
l'impatto sugli umani, la flora, la fauna e l'ambiente. L'Atto unico europeo
prevedeva per il settore dell'ambiente una procedura di decisione all'unanimità,
con semplice consultazione del Parlamento europeo; il Consiglio dei ministri
poteva prendere a maggioranza qualificata ( -> procedure decisionali) solo le
decisioni conseguenti. Da allora peraltro i provvedimenti a tutela dell'ambiente
concernenti il completamento del -> mercato interno poterono essere presi anche
su base del nuovo articolo 100 A del trattato CEE. In tali casi si applicava la
procedura di codecisione con il Parlamento, che, prevedendo la possibilità del voto
maggioritario, accelerava il processo decisionale. Le decisioni a voto maggioritario
sono diventate possibili però solo con il trattato di Maastricht, che prevede inoltre
una partecipazione più intensa del Parlamento europeo al processo decisionale
(procedura in virtù dell'articolo 189 B del trattato CE). Restano peraltro esclusi
alcuni importanti settori: è tuttora necessaria l'unanimità per le disposizioni
relative alle ecotasse ed all'energia.
Una politica comune dell'ambiente negli anni '90
A causa del programma del mercato interno, la politica dell'ambiente suscita
maggiore attenzione ed ha assunto carattere di urgenza: uno studio fatto eseguire
dalla Commissione nel 1989 avvertiva del rischio di aggravamento
dell'inquinamento nel mercato interno, segnatamente a causa dell'intensificarsi
dei trasporti. La Commissione intende promulgare norme ecologiche severe, per
garantire la tutela dell'ambiente nel mercato interno. Sono inoltre consentite
disposizioni nazionali a protezione dell'ambiente (articolo 100 A, paragrafo 4 e
130 T CE): possono essere mantenute infatti in vigore le disposizioni più severe di
quelle comunitarie, purché compatibili con il trattato; qualora peraltro si rivelino
ostacoli al commercio, costituiscono infrazione al diritto comunitario. Le norme
ecologiche più severe sono quelle in vigore nei paesi nordici ed in Germania.
Parallelamente allo sviluppo del diritto ambientale, la Comunità ha preso tutta una
serie di provvedimenti. La strategia del quinto programma di azione «per uno
sviluppo durevole e sostenibile», adottato nel 1993, consiste nel creare
un'interrelazione tra le diverse categorie di attori e nel fornire incoraggiamenti
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positivi per pervenire a ulteriori progressi nel contesto di un approccio preventivo
della tutela dell'ambiente, specialmente nei settori dei trasporti e dell'energia. Nel
1994 si è registrato un nuovo fallimento del tentativo di introdurre la tassa
comune energia/CO2, in discussione dal 1990, che pertanto continua ad essere
lasciata alle iniziative nazionali. Alcuni Stati membri l'hanno già introdotta; nel
1995 la Commissione propose una direttiva quadro, recante parametri comuni per
l'introduzione volontaria della tassa. La politica comune in materia di limitazione
delle emissioni dei veicoli a motore si limita attualmente ai programmi Altener
(azioni specifiche a favore di un maggior sfruttamento delle energie rinnovabili) e
SAVE (azioni specifiche per aumentare l'efficienza energetica) nonché ad un
programma di osservazione delle emissioni di CO2; i paesi dell'Unione europea si
sono impegnati ad istituire programmi nazionali per la limitazione delle emissioni
di CO2 che però non sono ancora completi né armonizzati. L'obiettivo comunitario
di stabilizzare le emissioni di CO2 al livello del 1990 fino al 2000 non può pertanto
essere conseguito. Anche nella politica internazionale dell'ambiente la tutela del
clima è un tema centrale. Nel dicembre 1990, di fronte all'aumento delle pressioni
provenienti tanto dall'interno, e segnatamente dalle organizzazioni di tutela
dell'ambiente, che dagli Stati Uniti, i ministri europei dell'Ambiente sono pervenuti
ad un accordo in merito alla riduzione del 50% della produzione e dell'uso dei CFC
(clorofluorocarburi) entro l'inizio del 1992 ed al divieto assoluto di produrre ed
utilizzare tali sostanze alla metà del 1997. L'accordo era stato preceduto da
lunghe trattative internazionali, iniziate già alla fine degli anni 70, nel corso delle
quali la Comunità, grande produttrice ed esportatrice di CFC, rappresentata dalla
Commissione, si era mostrata scarsamente accessibile al colloquio, a causa
principalmente delle obiezioni della Francia e del Regno Unito. In possesso di
nuove relazioni scientifiche allarmanti, i ministri dell'Ambiente decisero alla fine
del 1992 di abbandonare la produzione del CFC nel gennaio 1995.
Nella politica comune dell'ambiente resta di attualità anche l'aspetto «terapia».
Con il libro verde del 1993 la Commissione ha riaperto il dibattito sul problema del
risanamento dei danni all'ambiente. Nella politica CE dell'ambiente rientrano
anche la promozione finanziaria di investimenti intesi al miglioramento
dell'ambiente, tramite il programma LIFE (strumento finanziario per l'ambiente) o
il fondo strutturale ed il Fondo di coesione ( -> politica regionale). Nel quadro del
Fondo regionale, per esempio, fu lanciato, alla fine del 1979, il programma
Envireg, inteso alla lotta contro l'inquinamento nelle zone costiere
economicamente deboli della CE. Anche la -> Banca europea per gli investimenti
concesse prestiti, per esempio per la costruzione di impianti di selezione e
smaltimento dei rifiuti. Dalla primavera del 1993, inoltre, a determinati prodotti
viene attribuita un'etichetta ecologica CE; dal 1995 anche alle ditte può essere
attribuita, dopo adeguato esame, una marcatura ecologica.
Nell'ottobre 1993 iniziò i suoi lavori l'Agenzia europea dell'ambiente a
Copenaghen, con compiti principalmente di informazione e documentazione; dopo
aver deciso, nel maggio 1990, la fondazione dell'agenzia e l'istituzione di una rete
di osservazione per l'ambiente, per tre anni il Consiglio non era riuscito ad
accordarsi sulla sede. Nel frattempo ha ricevuto una base giuridica il diritto di ogni
cittadino della CE ad ottenere informazioni esaustive sulla tutela dell'ambiente e
l'inquinamento, nonché ad accedere liberamente ai centri amministrativi
responsabili.
Per rispettare l'obbligo di tener conto degli imperativi ecologici in tutti i suoi
campi di azione, l'Unione europea deve accettare le proprie responsabilità
ecologiche anche nelle -> relazioni con i paesi terzi e in particolare con l'Europa
orientale ed i paesi in via di sviluppo. La promessa di contribuire attivamente al
piano per l'ambiente delle Nazioni Unite, deciso a Rio, non è ancora stata
mantenuta. La promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere
i problemi dell'ambiente è stata inserita fra gli obiettivi della politica comunitaria
dell'ambiente a Maastricht (articolo 130 R, paragrafo 1, del trattato). La CE è
parte contraente di vari accordi di tutela dell'ambiente. Gli accordi con paesi terzi
o gruppi di paesi contengono ormai una clausola relativa all'ambiente.
L'intensificarsi della cooperazione con i paesi dell'Europa orientale ha comportato
la conclusione di accordi bilaterali specifici di cooperazione nel settore della
salvaguardia dell'ambiente. L'Unione europea partecipa in via determinante al
programma di azione ecologica per l'Europa centrale ed orientale, sviluppato nel
1993; la terza conferenza dei ministri dell'Ambiente di tutta l'Europa si è svolta
nell'ottobre 1995 a Sofia. L'agenzia europea per l'ambiente collabora con i paesi
dell'Europa centrale ed orientale.
Bilancio e prospettive
Oltre che sul piano nazionale e bilaterale, l'Unione europea è andata sempre più
rivelandosi un elemento attivo fondamentale della politica dell'ambiente in
Europa. Ha preso provvedimenti in tutti i settori rilevanti. La politica europea
dell'ambiente peraltro rivela una dicotomia: se l'aumento delle attività in materia
è il segno di una maggior sensibilità nei confronti dei problemi ecologici, la
maggiore concretezza ed efficacia della politica europea dell'ambiente suscita
sempre maggiori riserve da parte dei settori economici interessati. La
riconciliazione tra ambiente e sviluppo è una sfida ancora aperta. La Commissione
elabora strategie a tal fine; si cita per esempio il -> libro bianco «Crescita,
competitività e occupazione» del 1993. Per riorientare in senso ecologico
l'economia, la tecnica e la società, sarebbero necessarie l'introduzione di ecotasse
ed imposte «verdi» nonché una riforma in senso ecologico del sistema fiscale. In
tale settore peraltro non si registrano progressi: è fallita l'introduzione di una
tassa comune sull'energia. Restano poi problematiche le possibili conseguenze del
principio di sussidiarietà, caro agli uomini politici: la Commissione ha già dovuto
ritirare alcuni atti giuridici. Esiste addirittura il rischio che siano rese meno severe
le norme europee in materia di ambiente.
L'efficace integrazione della dimensione ambientale nelle sue politiche costituirà
un banco di prova per l'Unione europea. Per tener conto delle esigenze ecologiche
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in tutte le attività comunitarie, la Commissione ha nominato un funzionario
responsabile dell'ambiente in tutte le direzioni generali; nel 1994 inoltre ha
fondato il foro consultivo generale per l'ambiente. Anche in futuro la politica
ambientale però non potrà sfuggire al conflitto fra gli interessi dell'economia e gli
interessi dell'ecologia. Alcuni progetti strutturali, promossi dall'Unione europea e
considerati necessari, sono contrari agli interessi ecologici. Alla metà degli anni 90
la politica ambientale comune ha urgente bisogno di nuovi impulsi; si può sperare
che esercitino un influsso positivo i nuovi Stati membri, per esempio l'Austria,
interessata ad una politica ecologica dei trasporti.
Anita Wolf-Niedermaier
http://europa.eu.int/en/agenda/newmem.html
Ampliamento
Base giuridica: Preambolo, articolo O e articolo F, paragrafo 1, del trattato
sull'Unione europea, articolo 3 A, paragrafo 1 del trattato CE.
Richieste di adesione: Da parte di dieci paesi dell'Europa centrale ed orientale:
Ungheria (31.3.1994), Polonia (5.4.1994), Romania (22.6.1995), Repubblica
slovacca (27.6.1995), Lettonia (27.10.1995), Estonia (28.11.1995), Lituania
(8.12.1995), Bulgaria (14.12.1995), Repubblica ceca (17.1.1996), Slovenia
(10.6.1996) e altri quattro Stati: Turchia (14.4.1987), Cipro (3.7.1990), Malta
(16.7.1990), Svizzera (20.5.1992).
Il -> Consiglio europeo di Madrid, del dicembre 1995, dichiarò che l' ->
ampliamento dell'Unione europea rappresentava un'esigenza politica ed
un'opportunità storica. A tutt'oggi, quattordici Stati, tra i quali dieci Stati associati
dell'Europa centrale ed orientale, hanno inoltrato domanda di adesione al ->
Consiglio. Mentre la -> Commissione europea aveva già formulato, il 20 dicembre
1989, il proprio parere provvisorio negativo nei confronti della richiesta della
Turchia, al Consiglio sono pervenuti il 30 giugno 1993 i pareri favorevoli
concernenti le domande di Cipro e Malta. È ancora in sospeso la domanda di
adesione presentata dalla Svizzera, che non ha avuto seguito dopo il referendum
negativo sull'adesione al SEE (dicembre 1992). Attualmente la Commissione sta
elaborando il parere relativo alle richieste presentate dai paesi che hanno
sottoscritto un accordo europeo, protagonisti dell'attuale politica di ampliamento.
La prima fase negoziale con i paesi dell'Europa centrale ed orientale deve essere
segnata - come ha nuovamente sottolineato il Consiglio europeo nel luglio 1996 a
Firenze - dall'avvio delle trattative con Cipro, dunque sei mesi dopo la chiusura
della -> Conferenza intergovernativa. Quest'ultima è chiamata a preparare l'
Unione europea alle ripercussioni istituzionali dell'allargamento ad una Unione
composta da 20-25 Stati membri, in cui il -> processo decisionale e la
composizione degli organi dovranno essere rimodellati per soddisfare i criteri di
efficienza, capacità operativa e legittimità.
L'adesione all'UE serve agli Stati dell'Europa centrale ed orientale per consolidare
la loro sicurezza interna ed il processo di modernizzazione, per proseguire e
rafforzare la transizione verso la democrazia e l'economia di mercato. L'interesse
politico che l'UE accorda al consolidamento duraturo, nella regione limitrofa, dei
princípi su cui si fondano gli ordinamenti politici ed economici occidentali prevale
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sulle stesse motivazioni economiche (estensione del -> mercato interno). Con la
fine del conflitto Est-Ovest l'UE è investita di una maggiore responsabilità nello
scacchiere europeo e deve contribuire in modo determinante alla creazione delle
strutture necessarie ad una comunità sicura basata sul benessere, l'equilibrio
sociale e la democrazia. Nell'ampliamento verso Oriente si deve riflettere sulle
complicazioni che il caso della Russia presenta sul piano della politica di sicurezza.
L'allargamento ad Est rappresenta una sfida alla volontà della politica
d'integrazione ed al contempo mette seriamente alla prova la capacità di riforma
della Comunità dei Quindici. La sfida non è fronteggiabile né facendo ricorso al
modello seguito nelle quattro precedenti tornate di adesione, né può essere
evitata rinviandola sine die e limitandosi semplicemente ad approfondire il
processo di integrazione intracomunitaria quale premessa indispensabile per un
allargamento agli Stati dell'Est. Per tale motivo l'UE ha scelto di procedere su due
strade parallele cercando di conciliare sul piano temporale e concettuale, i punti
chiave dell'«Agenda 2000» (conclusione della conferenza intergovernativa 19961997, nuovo regime delle risorse proprie dell'UE, riforma della politica di coesione,
strutturale e della politica agricola comune, avvio della terza fase dell'-> unione
economica e monetaria, futuro dell'UEO) con la cosidetta «strategia di
convergenza» e con le trattative sull'adesione delle nuove democrazie. Va infatti
riconosciuto che l'ampliamento verso Est acuisce i latenti conflitti sulla
ripartizione delle risorse tra i paesi beneficiari ed i pagatori netti dell'UE e
costringe in pari tempo ad adottare decisioni strategiche che non vanifichino le
finalità d'integrazione. La prospettiva dell'ampliamento alimenta anche il dibattito
sulla maggiore flessibilità e differenziazione del processo di integrazione dell'UE,
nonché sullo spostamento dell'asse politico ed economico dell'Unione.
Attualmente gli Stati dell'Europa centrale ed orientale procedono su quattro
sentieri interconnessi in vista dell'adesione all'UE: 1) applicazione delle
disposizioni previste dagli accordi europei bilaterali e utilizzazione delle possibilità
di cooperazione e di dialogo; 2) applicazione pratica dei programmi di
adeguamento nazionale in linea con gli orientamenti tracciati dal «libro bianco per
l'integrazione degli stati dell'Europa centrale ed orientale nel mercato unico»; 3)
partecipazione al dialogo strutturato presso le istituzioni dell'Unione, che può
estendersi a tutte le politiche ed attività di tutti i pilastri dell'UE. A tali relazioni
multilaterali prendono parte i dieci Stati associati PECO ed occasionalmente Malta
e Cipro; 4) gestione del concreto processo di adesione avviato con la richiesta
formale in tal senso ed attualmente al centro dell'attenzione pubblica.
Fondamenti giuridici e procedure generali di adesione
Fin dal loro insediamento le Comunità europee sono concepite come
organizzazioni aperte. Infatti, già l'articolo 87 del trattato CECA stabiliva che
qualsiasi Stato europeo poteva inoltrare una richiesta di adesione. L'articolo 237
del trattato CEE, nonché l'articolo 205 del trattato Euratom hanno fatto proprio
tale principio. Con l'entrata in vigore del TUE l'articolo 237 del trattato CEE è
stato sostituito dall'articolo O, dalla formulazione pressoché identica. La frase
centrale recita: «Ogni Stato europeo può domandare di diventare membro
dell'Unione». Soddisfare il requisito geografico prescritto agli Stati europei non è
sufficiente. Infatti l'articolo F, introdotto dal TUE, precisa che lo Stato che voglia
aderire deve disporre di un sistema di governo fondato sui principi democratici.
Tali condizioni erano già state ribadite dal Consiglio europeo nel 1978 in una
dichiarazione sulla democrazia. Inoltre l'articolo 3 A, paragrafo 1 del trattato CE
dispone che gli Stati membri e la Comunità adottano una -> politica economica
condotta conformemente al principio di un'economia di mercato aperta e in libera
concorrenza. Neppure con l'adempimento di tutti i requisiti sorge per tali paesi il
diritto giuridico all'adesione. La decisione relativa all'adesione è infatti un atto di
discrezionalità politica che spetta in primo luogo al Consiglio ed agli Stati membri.
Inoltre, gli Stati membri dispongono, ai sensi dell'articolo N del TUE, del diritto
illimitato di presentare progetti intesi a modificare i trattati, progetti che
potrebbero vertere anche sulle condizioni previste per l'adesione. La procedura
generale di adesione per i nuovi Stati membri, così come si è sviluppa nella prassi
nel corso degli anni, è molto più articolata di quanto possa far pensare la
formulazione dell'articolo O del TUE.
Inizialmente, lo Stato che desidera entrare a far parte dell'Unione presenta la
domanda di adesione al Consiglio. Tale dichiarazione unilaterale di volontà può
essere ritirata dallo Stato candidato fino all'atto del deposito degli strumenti di
ratifica, come è avvenuto nel caso della Norvegia nel 1994. Nel parere provvisorio
inviato al Consiglio, la Commissione illustra le possibilità generali ed i problemi
connessi alla richiesta adesione. Successivamente, il Consiglio delibera a
maggioranza semplice sull'avvio dei negoziati ai sensi dell'articolo O, i quali sono
condotti dalla presidenza dell'UE, a nome degli Stati membri, con il sostegno della
Commissione. Solo nella fase conclusiva trova applicazione la procedura descritta
nell'articolo O. Innanzitutto il Consiglio ascolta il parere definitivo formulato dalla
Commissione in relazione all'adesione, che tuttavia non lo vincola. Il Consiglio,
deliberando all'unanimità, decide se accogliere la richiesta di adesione. Invece
spetta agli Stati membri sulla base dell'articolo O definire, attraverso gli strumenti
di adesione (che comprendono estesi e complessi atti di adesione), con il paese
candidato le modalità concrete e le condizioni per l'ammissione. Queste ultime
contengono la previsione di periodi transitori che consentono allo Stato candidato
delle divergenze, limitate nel tempo, rispetto al trattato CE. Gli adattamenti ai
trattati istitutivi che si rendono necessari sono soprattutto quelli che il nuovo
ingresso rende obbligatori, ad es. in relazione alle disposizioni che disciplinano le
istituzioni. Nel corso dell'intera fase delle trattative il Parlamento europeo viene
informato sull'andamento dei colloqui. Esso deve approvare l'adesione dei nuovi
Stati con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei membri che lo
compongono. Solo successivamente il Consiglio delibera con piena cognizione del
trattato di adesione negoziato. Si tratta di un trattato di diritto internazionale che
richiede la ratifica di tutti gli Stati firmatari, in conformità delle rispettive
procedure costituzionali nazionali. Il deposito degli strumenti di ratifica conclude
la procedura di adesione. Con l'entrata in vigore lo Stato aderente diventa parte
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contraente di diritto internazionale in tutti i trattati istitutivi delle Comunità
europee ed assume tutti i diritti e gli obblighi di uno Stato membro dell'Unione.
Nonostante l'ampliamento, la CE conserva la propria identità di persona giuridica.
L'adesione comporta per il nuovo membro l'accettazione dell'intero diritto
comunitario, primario e derivato, che diventa vincolante nei suoi confronti (acquis
communautaire).
Condizioni, fasi e opzioni dell'allargamento dell'UE all'Est
europeo
Con riferimento all'allargamento agli Stati associati dell'Europa centrale ed
orientale, il Consiglio europeo aveva individuato, già nel giugno 1993 a
Copenaghen, i criteri per l'ammissione, che la Commissione deve tenere in
considerazione nell'elaborazione del proprio parere provvisorio. I criteri di
Copenaghen dettano i requisiti economici e politici necessari per un'adesione a
pieno titolo, senza però costituire una lista dettagliata di punti da adempiere o un
oggettivo parametro di valutazione. Il Consiglio ha previsto che il paese candidato
deve soddisfare i seguenti criteri: 1) stabilità della democrazia e delle sue
istituzioni (Stato di diritto, sistema multipartitico, diritti dell'uomo, tutela delle
minoranze, pluralismo, ecc.); 2) una economia di mercato funzionante in grado di
fronteggiare la pressione competitiva del -> mercato interno; 3) capacità di farsi
carico dei diritti e dei doveri che discendono dal corpus normativo dell'UE; 4)
accettazione degli obiettivi dell'Unione politica nonché dell' Unione economica e
monetaria (UEM). Il quinto criterio è riferito alla 5) capacità dell'UE di ammettere
nuovi Stati membri senza pregiudicare la dinamica del processo integrativo. Senza
dubbio l'ultimo criterio menzionato riflette l'interesse maggioritario dell'Unione a
conservare il proprio patrimonio giuridico ed a salvaguardare la prospettiva
realistica di un ulteriore approfondimento dell'integrazione. Il «sì» sostanziale
dell'Unione europea all'ampliamento verso Est è pertanto condizionato sotto vari
aspetti.
Il Consiglio europeo ha sottolineato, in occasione del vertice di Madrid, la
necessità di creare i presupposti di una graduale ed armonica integrazione dei
paesi associati, e ciò soprattutto attraverso lo sviluppo dell'economia di mercato,
l'adeguamento delle strutture amministrative di tali paesi e la creazione di solide
condizioni generali nel settore economico e monetario. La strategia di
convergenza dell'UE, varata nel dicembre 1994 per la preparazione degli Stati
associati in vista dell'ammissione, contiene - ad es. nel quadro del programma
PHARE o della cosidetta procedura del libro bianco - provvedimenti di sostegno ai
processi di ripresa e di adeguamento.
Nei singoli casi, la Commissione valuta la capacità del candidato di assumere gli
obblighi che il diritto comunitario gli impone in tutti i settori di attività
dell'Unione e che postulano un'armonizzazione legislativa e una sua applicazione
effettiva a tutti i livelli. Il suo parere si conclude con la raccomandazione di
avviare i relativi negoziati. Determinante risulta non tanto la «fotografia» della
L’EUROPA DALLA A ALLA Z
situazione al momento della candidatura, quanto piuttosto la valutazione dei
progressi che lo Stato candidato potrà presumibilmente realizzare, sia alla luce
dell'evoluzione del diritto dell'Unione sia con riferimento alla situazione politica ed
economica. I pareri verranno pubblicati non prima del secondo semestre del 1997,
dopo la conclusione della -> conferenza intergovernativa. Si prevede che l'avvio
delle trattative di adesione avverrà nel corso del 1998.
UNIONE EUROPEA - Motore d'Europa
Unione europea
Paesi candidati all'adesione
Bulgaria, Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta*, Polonia, Repubblica
ceca, Repubblica slovacca, Romania, Svizzera*, Turchia, Ungheria
Stati che hanno concluso accordi europei
Slovenia e Stati che hanno presentato domanda di adesione**
* Domanda attualmente in sospeso
** eccettuati: Malta, Cipro, Svizzera e Turchia (Malta dal 1971 e Cipro dal 1973 hanno
firmato un accordo di associazione con l'UE. Con la Turchia esiste un'unione doganale
dal 31.12.1995).
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Nell'elaborazione del suo parere, la Commissione si basa in misura sostanziale
sulle informazioni fornite dal candidato. La fonte principale è rappresentata dalle
risposte, inoltrate entro la fine di luglio 1996 e costantemente aggiornate
attraverso successive richieste di informazioni, al questionario «Informazioni
necessarie per la preparazione del parere in relazione alla richiesta di adesione
all'Unione europea». Integrate da intensi colloqui di sondaggio tenuti dalla
Commissione, esse offrono dettagliate delucidazioni circa il singolo profilo
nazionale. Secondo la missione affidatale dal Consiglio europeo di Madrid, la
Commissione elaborerà altresì diversi rapporti ed altri documenti relativi
all'allargamento. Si tratta in primo luogo di dettagliati studi sulle ripercussioni
(impact studies), intesi a valutare le ripercussioni dell'ampliamento sulla politica
comunitaria, e segnatamente sulla -> politica agricola comune (PAC) e sulle ->
politiche strutturali (politica regionale strutturale). Tra i dati chiave vanno
annoverati la rilevante posizione occupata dall'agricoltura nei mercati del lavoro e
nell'economia dei dieci Stati dell'Europa centro-orientale (PECO) (7,8% del PIL e
26,7% degli occupati, contro il 2,5% e 5,7% rispettivamente nell'UE), un
fabbisogno ulteriore stimato in 12 miliardi di ecu, calcolato alle condizioni di una
PAC invariata, e spese esorbitanti nel caso si applicasse ai nuovi Stati membri la
politica strutturale e di coesione senza adeguamenti, in quanto i dieci Stati
candidati raggiungono allo stato attuale mediamente solo il 30% del PIL medio
pro capite.
La Commissione elabora anche un documento complessivo sull'allargamento, che
affronta questioni di natura «orizzontale», quali ad es. il tipo e la durata delle
disposizioni transitorie e il successivo sviluppo della strategia di convergenza nel
quadro del programma strategico complessivo. Immediatamente dopo la
conclusione della conferenza intergovernativa, la Commissione deve inoltre
presentare una comunicazione sul futuro quadro finanziario dell'Unione, nel quale
deve tener conto dell'ipotesi di un ampliamento. L'elaborazione delle nuove
disposizione che dopo il 1999 si sostituiranno al regime previgente è considerata
una delle imprese più ardue che l'UE dovrà affrontare per prepararsi
all'ampliamento. Queste difficoltà scaturiscono sia dalla presenza di rilevanti
disavanzi pubblici sia dall'inquietudine dei paesi beneficiari netti, che temono
riforme radicali dell'attuale assetto normativo. Il ritmo dell'ampliamento verso Est
dipenderà dalle possibilità di apprestare compensazioni politiche e finanziarie (che
saranno oggetto di un pacchetto globale) e dai rapporti di forza all'interno della
Comunità.
Circa sei mesi dopo la chiusura della conferenza intergovernativa, il Consiglio
adotta, sulla base delle comunicazioni della Commissione e dei risultati della
stessa, le necessarie delibere, stabilendo quali paesi dell'Europa centrale ed
orientale possano partecipare alla prima tornata di negoziati. A tale proposito, si
delineano due posizioni: da un lato una partenza in massa, che prevede l'inizio
simultaneo dei negoziati con tutti i dieci PECO, salvo la possibilità di concluderli in
date diverse; d'altro lato, la formazione di un gruppo di paesi - ipotesi delicata dal
punto di vista politico ma tecnicamente più facile da gestire - che prevede l'avvio
e la conclusione dei negoziati soltanto con alcuni dei PECO. I paesi esclusi dalla
prima tornata negoziale rientreranno in una o in più tornate successive in vista
dell'adesione. In questa opzione, che chiaramente è fondata sulla diversa idoneità
all'adesione dei vari candidati e sulla limitata capacità di assorbimento dell'UE,
devono tuttavia essere ponderati i rischi di una possibile regressione del processo
di riforma e di stabilizzazione per l'UE e il pregiudizio sul piano politico ed
economico che ne risulterebbe. Entrambe le opzioni e le varianti ipotizzabili si
ricollegano all'esigenza di differenziare - senza discriminare - i singoli Stati
candidati; l'obiettivo deve essere quello di osservare il principio della parità di
trattamento secondo criteri unitari comprensibili. In considerazione della
prevedibile durata dei negoziati, del tempo necessario alla ratifica e del raccordo
con il programma «Agenda 2000», il prossimo ampliamento dovrebbe aver luogo
solo verso la metà del primo decennio del 2000.
Barbara Lippert
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http://www.eib.org/
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Banca europea per gli
investimenti
Data di fondazione e sede: 1.1.1958; Lussemburgo.
Membri: Tutti gli Stati membri dell'UE.
Base giuridica: Articoli 198 D e 198 E, del trattato che istituisce la Comunità
europea.
Organi: Consiglio dei governatori dei 15 ministri delle Finanze (fissa le direttive
generali della politica creditizia), Consiglio d'amministrazione (garantisce
l'osservanza delle disposizioni del trattato, decide in merito alla concessione dei
prestiti e delle garanzie), comitato direttivo, comitato di verifica.
La Banca europea per gli investimenti è una banca e, contemporaneamente, una
istituzione autonoma dell'-> Unione europea. Essa concede prestiti e garanzie
destinati a finanziare progetti di investimenti che contribuiscano ad un equilibrato
sviluppo della Comunità. In quanto banca, essa opera secondo i normali principi
economici che in tutte le banche regolano l'erogazione del credito e collabora
strettamente con altre istituzioni finanziarie. Non si prefigge, però, scopi di lucro:
gli interessi sui crediti che essa concede corrispondono al costo dei prestiti
contratti, aumentati di una quota pari allo 0.15%. Mediante la concessione di
prestiti e garanzie, la Banca ha il compito di finanziare (normalmente, fino al 50%
dei costi complessivi) progetti finalizzati agli obiettivi politici ed economici della
Comunità e selezionati in modo che gli investimenti finanziati contribuiscano ad
uno sviluppo stabile e durevole. I prestiti possono essere concessi a mutuatari sia
pubblici che privati per investimenti in settori come le infrastrutture, l'energia.
l'industria, i servizi e l'agricoltura. Per poter esercitare questa attività finanziaria,
la BEI ricorre in gran parte a prestiti obbligazionari che contrae sul mercato dei
capitali della Comunità e sui mercati mondiali. Il capitale sottoscritto, che è
versato dagli Stati membri, dall'1 gennaio 1995 ammonta a 62 miliardi di ecu.
Secondo lo statuto, l'ammontare dei prestiti e delle garanzie erogate non deve
superare il limite massimo del 250% del capitale.
Nel 1994 la BEI ha concesso crediti per un totale di 19,9 miliardi di ecu. Di questi,
17,7 miliardi hanno finanziato investimenti della Comunità. Poiché l'obiettivo
principale della BEI è quello di contribuire allo sviluppo delle regioni
economicamente più deboli, nel 1994, la parte più cospicua di tale somma, il 72%,
è stata stanziata a questo scopo. Da questo punto di vista, la Banca persegue gli
stessi fini dei fondi strutturali ( -> Politica regionale) e di altri strumenti di
intervento finanziario della Comunità. Oltre alle iniziative a favore delle
infrastrutture propriamente regionali, l'elenco dei progetti ammissibili al
finanziamento comprende l'ampliamento delle infrastrutture di trasporto e di
telecomunicazione, la protezione dell'ambiente e delle condizioni di vita, gli
iniziative di risanamento dell'assetto territoriale urbano, il conseguimento della
sicurezza negli approvvigionamenti di energia della Comunità, il miglioramento
della competitività internazionale dell'industria nonché la sua integrazione a
livello europeo, soprattutto attraverso la valorizzazione delle piccole e medie
imprese.
Al di fuori della CE, la BEI dà un importante contributo alla politica per lo sviluppo.
Finora sono stati sottoscritti con 12 paesi mediterranei vari protocolli finanziari.
Insieme alla Banca mondiale e ad altre istituzioni è stato inoltre elaborato e
finanziato un programma per la protezione dell'ambiente. Complessivamente, la
BEI è in grado di intervenire finanziariamente in 130 paesi circa, legati alla UE da
reciproci interessi economici.
Nel 1990, per la prima volta, il consiglio dei governatori ha autorizzato la BEI ad
erogare prestiti, destinati a finanziare progetti in settori prioritari dello sviluppo
economico, alla Polonia, all'Ungheria e alla ex RDT. Da allora, questa opportunità è
stata estesa a 10 paesi dell'Europa centrale ed orientale. Fino al 1997, potranno
essere concessi prestiti per un volume complessivo di 3 miliardi di ecu. Nel 1994, i
finanziamenti all'esterno della Comunità sono nuovamente aumentati a 2 246
miliardi di ecu. La BEI partecipa, con il 3% del capitale sottoscritto, alla Banca
europea per la ricostruzione e lo sviluppo, fondata nel 1990 con sede a Londra, che
funge da pendant della BEI stessa per i Paesi dell'Europa orientale.
L'importanza della Banca europea per gli investimenti è andata costantemente
crescendo, permettendole così di divenire una banca internazionale di primaria
importanza. Grazie alla sua attività, è stato possibile contenere le divergenze di
sviluppo tra i vari Stati dell'UE. Uno dei suoi punti di forza consiste nella
flessibilità con cui è in grado di adeguarsi agli obiettivi della Comunità. Dal 1992,
in seguito all'approvazione dell'iniziativa a favore della crescita e alla
pubblicazione, da parte del -> Consiglio europeo, del libro bianco sulla
competitività gli 860 funzionari della BEI si sono visti attribuire una serie di nuovi
compiti. Oltre ad un strumento di prestito temporaneo, di 7 miliardi di ecu, e
oltre al Fondo europeo per gli investimenti, istituito nel 1994 per il finanziamento
delle reti transeuropee, la BEI ha anche sostenuto mediante prestiti a tasso
agevolato investimenti volti a creare occupazione presso piccole e medie imprese.
Olaf Hillenbrand
43
44
Bilancio
Basi giuridiche: Articoli da 199 a 209 A del trattato CE; articoli J.11, paragrafo 2,
e K.8, paragrafo 2, del TUE e decisione del Consiglio del 31 ottobre 1994 relativa al
sistema delle risorse proprie delle Comunità europee.
Obiettivi: Finanziamento delle spese e delle attività dell'UE e delle sue politiche;
fissazione delle priorità finanziarie nel quadro dell'azione politica dell'UE.
Strumenti: Risorse proprie ed altri mezzi di finanziamento dell'UE; bilancio
generale dell'UE e singole sezioni del bilancio dell'Unione; procedura di bilancio e
controllo finanziario ad opera della Corte dei conti europea.
La politica comune di bilancio dell'Unione europea (UE) costituisce la base delle
sue attività politiche, definisce il quadro del suo intervento finanziario e al tempo
stesso manifesta la sua volontà effettiva di procedere sulla via dell'integrazione e
della realizzazione dei suoi obiettivi. Momento centrale della politica di bilancio è
la procedura annuale di elaborazione e di adozione definitiva del bilancio generale
dell'Unione e dei suoi organi ed istituzioni, procedura che ha il compito di stabilire
la struttura del bilancio e il livello delle spese operative ed amministrative
dell'Unione europea («utilizzazione delle risorse»). La procedura di bilancio è parte
integrante del sistema finanziario dell'Unione.
Sistema finanziario dell'Unione europea
Il sistema finanziario dell'Unione europea si è via via modificato, al passo con le
diverse tappe della costruzione europea: dalla fondazione della Comunità europea
del carbone e dell'acciaio (CECA, 1951), della Comunità economica europea e della
Comunità europea dell'energia atomica (CEE e CEEA, 1957) fino alla fusione degli
organi delle tre Comunità (1967).
I contributi nazionali che finanziavano la CEE e la CEEA sono stati gradualmente
sostituiti dalle cosiddette «risorse proprie». Nel 1970 il Consiglio ha adottato la
«Decisione relativa alla sostituzione dei contributi finanziari degli Stati membri
con risorse proprie delle Comunità», entrata in vigore il 7 gennaio 1971 previa
ratifica da parte di tutti gli Stati membri. Secondo tale decisione, i contributi
nazionali al bilancio comunitario dovevano essere gradualmente eliminati entro il
1 gennaio 1975 per essere sostituiti da un sistema che avrebbe consentito alla
Comunità di finanziare integralmente il suo bilancio con risorse proprie. La data
L’EUROPA DALLA A ALLA Z
prevista ha dovuto essere rinviata di cinque anni ed è solo a partire dal 1 gennaio
1980 che il bilancio comunitario si è interamente autofinanziato.
Finanziamento del bilancio generale 1988 e 1992-1996
(esecuzione in stanziamenti di pagamento) (in milioni di ecu)
90000
80000
70000
60000
50000
40000
30000
20000
10000
0
1988
1992
Diritti o tasse agricole
Dazi doganali
* 1996: bilancio
1993
1994
1995
1996*
IVA
Quarta risorsa
Varie
Le risorse proprie dell'Unione europea
L'articolo 201 del trattato CE, che costituisce la base giuridica principale della
decisione del Consiglio del 1970, non precisa in dettaglio la nozione di «risorse
proprie». Pertanto, è un quadro relativamente ampio quello nel quale sono state
definite, nel 1970, tre fonti principali di entrate:
•
i prelievi agricoli (prelievi, premi, importi supplementari o compensativi,
percepiti sugli scambi di prodotti agricoli con i paesi terzi),
•
i dazi doganali, riscossi con altri diritti dello stesso tipo, sulla base della Tariffa
doganale comune (TDC) negli scambi con i paesi terzi,
•
le entrate provenienti dall'imposta sul valore aggiunto (IVA) riscossa dagli
Stati membri, che inizialmente corrispondeva ad un'aliquota dell'1% di una
base imponibile uniforme concordata dagli Stati membri.
Quest'ultima risorsa costituisce la parte preponderante delle entrate del bilancio
comunitario. Con l'ampliamento del 1 gennaio 1986 a dodici Stati membri,
l'aliquota è stata portata all'1,4%, percentuale che è tuttora in vigore anche dopo
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L’EUROPA DALLA A ALLA Z
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l'ampliamento del 1 gennaio 1995 a quindici Stati membri. L'aumento del
massimale IVA ha determinato anche l'aumento della parte di questa risorsa al
66% delle risorse totali; attualmente (1995) essa rappresenta circa il 54%.
Riforma del sistema finanziario
Con la riforma della Comunità derivata dall'Atto unico europeo (1986) e nella
prospettiva del trattato sull'Unione europea, il sistema finanziario comunitario è
stato iscritto, in due tappe successive (1988 e 1992), in una nuova struttura a
medio termine (1999) strettamente collegata con il completamento del mercato
unico e con una politica strutturale mirata, in grado di garantire la «sicurezza del
bilancio». Il 12 febbraio 1988, il Consiglio europeo di Bruxelles ha approvato il
cosiddetto «pacchetto Delors», ovvero un insieme di misure finanziarie coordinate
concernenti la politica agricola e le politiche strutturale e regionale. Gli elementi
centrali di questo nuovo sistema, entrato in vigore retroattivamente il 1 gennaio
1988, sono i seguenti:
•
il massimale complessivo delle risorse proprie, comprendente pertanto tutti i
tipi di risorse, è stato fissato all'1,2% del prodotto nazionale lordo (PNL)
annuale complessivo degli Stati membri ai prezzi di mercato;
•
per gli anni dal 1988 al 1992 sono stati fissati massimali intermedi vincolanti,
per evitare che il massimale complessivo delle risorse proprie fosse raggiunto
prima del dovuto;
Finanziamento del bilancio generale 1996 per Stato membro (%)
FIN: 1,5%
SE: 2,9%
UK: 10,8%
P: 1,5%
B: 3,8%
DK: 1,9%
A: 2,9%
D: 30,0%
NL: 5,8%
L: 0,2%
I: 12,1%
EL: 1,5%
IRL: 0,9%
E: 6,4%
F: 17,6%
•
alle prime tre risorse proprie è stata aggiunta una quarta risorsa, risultante dal
calcolo di una base imponibile uniforme applicata alla somma dei PNL degli
Stati membri, ai prezzi di mercato;
•
la quarta risorsa ha carattere addizionale, ossia viene riscossa solo nella
misura in cui il fabbisogno della Comunità non può essere coperto dalle tre
«risorse proprie tradizionali». Un'altra innovazione riguarda le entrate
provenienti dall'IVA: dal 1986 in poi l'aliquota di IVA da versare alla Comunità
è sempre rimasta fissata all'1,4% delle entrate IVA degli Stati membri, ma la
base imponibile di uno Stato membro da considerare per il versamento a titolo
delle risorse proprie IVA non deve superare il 55% del suo PNL. Questa regola
(il cosiddetto «livellamento») garantisce una ripartizione più equilibrata
dell'onere finanziario fra gli Stati membri.
Al vertice di Edimburgo, il 12 dicembre 1992, il Consiglio europeo ha approvato il
«pacchetto Delors II»: basato sulla riforma del 1988, introduce nuovi elementi
destinati a garantire il finanziamento dell'UE fino al 1999 nella prospettiva
dell'attuazione del trattato sull'Unione europea, compresi lo sviluppo degli aiuti
strutturali, il miglioramento della competitività dell'industria europea e il
finanziamento della politica estera e di sicurezza comune (PESC). Gli elementi
principali del «pacchetto Delors II» sono:
•
la modifica della struttura delle risorse proprie comunitarie, a partire dal 1
gennaio 1995, allo scopo di ridurre la parte di risorse IVA aumentando quella
della risorsa basata sul PNL;
•
il mandato alla Commissione di esaminare e quindi riferire in merito
all'introduzione, all'orizzonte 1999, di una quinta risorsa.
Le risorse proprie della Comunità sono riscosse dagli Stati membri e messe a
disposizione della Commissione, che è responsabile dell'esecuzione del bilancio
(articolo 205 del trattato CE) e che detiene anche taluni poteri di verifica e di
controllo.
Oltre alle risorse proprie, le entrate dell'Unione possono provenire anche
dall'assunzione di prestiti destinati a finanziare gli investimenti nell'industria
carbosiderurgica (prestiti CECA) e nel settore dell'energia nucleare (prestiti
Euratom); in campo economico, i prestiti possono anche essere utilizzati per
finanziare le misure di sostegno comunitario e gli investimenti nell'industria, nella
ricerca e nella tecnologia, nei settori dell'energia e dell'infrastruttura (prestiti CE),
in particolare mediante il nuovo strumento comunitario (NSC), istituito nel 1979
per promuovere i progetti d'investimento negli Stati membri e ridurre le disparità
regionali nella Comunità.
Struttura del bilancio
Dal 1967 vi è un bilancio generale unico per le tre Comunità, ora riunite in Unione
europea. Il bilancio generale comprende tutte le entrate e le spese dell'UE ed è
47
48
annuale. Deve essere completo e le entrate e le spese devono essere in pareggio
(articolo 199 del trattato CE). Gli stessi principi valgono anche per le spese di
funzionamento della politica estera e di sicurezza comune (PESC) e della
cooperazione nel campo della giustizia e degli affari interni. L'esercizio finanziario
inizia il 1 gennaio e termina il 31 dicembre.
Nella parte riservata alle spese, il bilancio copre le spese di funzionamento delle
istituzioni e le spese operative della Comunità europea (in particolare, il FEAOG, i
Fondi regionale, sociale e di coesione) e dell'Euratom (ricerca ed investimenti).
Separatamente sono trattate talune categorie di spese, le principali delle quali
sono le operazioni della CECA, le assunzioni ed erogazioni di prestiti delle CE, il
Fondo europeo di sviluppo (FES) per i paesi ACP associati alla Comunità
nell'ambito della convenzione di Lomè (cfr. politica dello sviluppo), che sono
finanziati con contributi degli Stati membri. Gli stanziamenti per le spese
dell'Unione sono distinti in stanziamenti d'impegno e stanziamenti di pagamento.
I primi costituiscono la dotazione finanziaria assegnata ai programmi pluriennali
durante un esercizio finanziario. Gli stanziamenti di pagamento coprono invece la
spesa effettiva risultante dagli impegni assunti nell'esercizio in corso o dagli
impegni riportati dagli esercizi precedenti. A partire dal passaggio al sistema di
autofinanziamento, tra il 1975 ed il 1980, il volume del bilancio della
Comunità/Unione europea è costantemente aumentato. Tra il 1973 (anno
dell'adesione del Regno Unito, dell'Irlanda e della Danimarca) ed il 1981 (adesione
della Grecia), la spesa comunitaria è aumentata in media del 23% all'anno e
questa tendenza è continuata allo stesso ritmo negli anni successivi. Solo con il
bilancio del 1986, il primo comprendente anche la Spagna ed il Portogallo, il tasso
d'aumento è sceso per la prima volta al 18% circa. Tra il 1988 ed il 1992 il
bilancio comunitario è aumentato alla media del 4,8% all'anno.
Struttura del bilancio CE/UE 1958-1994 (milioni di UC / UCE / ecu)
(*)
Spese totali
1958
8,6
1960
28,3
1970
5 448,4
1980
1990
1994
16 057,1 46 604,6 70 013,5
di cui:
FEAOG (agricoltura)
Fondo sociale
Fondo regionale
Industria / R&S (**)
Funzionamento
Altre
8,6
0,0
23,4
4,9
5 228,3
64,0
114,7
41,4
11 596,1
502,0
751,8
212,8
938,3
2 056,1
27 233,8
3 212,0
4 554,1
1 738,7
2 298,1
7 567,9
40 222,0
5 819,0
7 701,9
2 593,0
2 428,0
11 249,6
* UC (unità di conto) fino al 1970, UCE (unità di conto europea) - 1980, ecu dal 1990 (1ecu = circa
1.942 LIT al 31 marzo 1997)
** 1980 e 1990: industria, ricerca energetica; 1994: ricerca e sviluppo tecnologico, industria.
Fonti: Relazione economica annuale 193 della Commissione delle Comunità europee; Gazzetta ufficiale
delle Comunità europee L 34 del 1994
L’EUROPA DALLA A ALLA Z
In termini di struttura, gli obiettivi che caratterizzano il bilancio dell'Unione
europea corrispondono, almeno in parte, a quelli dei bilanci nazionali e richiedono
ugualmente elevati livelli di spese d'investimento (ad esempio politica regionale e
promozione della ricerca tecnologica). Tuttavia, in termini finanziari, il volume
annuale del bilancio dell'Unione, sebbene in costante aumento, è relativamente
modesto - la spesa del 1995 per i 15 membri dell'Unione ampliata è pari a 77,2
miliardi di ecu in stanziamenti di pagamento - e può appena essere paragonato al
volume di un bilancio nazionale, che è destinato a coprire tutte le spese e gli
obiettivi strutturali di un moderno Stato industriale e sociale. Le spese per la
politica agricola e il mercato comune agricolo rappresentano ancora la parte
preponderante e più dinamica del bilancio. Questa spesa agricola, che dal 1968 al
1975 è passata dal 72% al 93% circa del bilancio, dopo il 1976 si è situata tra il
60% e il 75%, scendendo al 57% circa nel 1992. Dal 1992 la proporzione del
bilancio dedicata all'agricoltura è ulteriormente diminuita, fino al 52% nel 1994.
Ripartizione delle spese europee
1988
1996
59%
48%
18%
31%
2%
11%
2%
4%
3%
1%
4%
3%
3%
<1%
6%
5%
Agricoltura (FEAOG-garanzia)
Azioni esterne
Azioni strutturali
Amministrazione
Ricerca
Comunità europea del carbone e dell'acciaio (CECA)
Altre politiche interne
Fondo europeo di sviluppo
Oltre alla politica agricola ed alle spese di funzionamento dell'Unione (che
rappresentano il 5% circa all'anno), il bilancio generale finanzia altri quattro
settori principali (esclusi PESC nonché giustizia e affari interni): la politica delle
strutture, la cooperazione allo sviluppo, la ricerca e la tecnologia e le altre
49
50
politiche (cultura, energia, industria, trasporti e ambiente). Oltre alle spese
assorbite dalla politica agricola, il 36% circa del bilancio dell'Unione è destinato
ad altri settori, in particolare alle attività creative e orientate verso il futuro.
La procedura di bilancio dell'UE
La procedura di elaborazione del bilancio generale comprende diverse tappe, alle
quali partecipano la Commissione, il Parlamento europeo e il Consiglio dell'Unione
europea. Le singole fasi della procedura sono stabilite all'articolo 203 del trattato
CE. I bilanci suppletivi e rettificativi, necessari per fare fronte a situazioni
inevitabili o impreviste in fatto di spese, sono stabiliti nello stesso modo. Quando il
sistema finanziario comunitario è stato modificato per introdurre le risorse
proprie, è stata modificata, in due tappe nell'ambito delle riforme dei trattati del
1970 e del 1975, anche la procedura di bilancio. Dal 1975 il Parlamento ed il
Consiglio costituiscono l'«autorità di bilancio» comune della Comunità (o
dell'Unione) e sono dotati di poteri di decisione complementari e collegati.
La procedura di bilancio si svolge come segue: la Commissione sottopone al
Consiglio ed al Parlamento un progetto preliminare di bilancio, che comprende le
singole proposte del Parlamento, del Consiglio, della Commissione, della Corte di
giustizia e della Corte dei conti europea. Su questa base il Consiglio stabilisce il
progetto di bilancio, che poi trasmette al Parlamento. Durante le fasi successive
della procedura il Parlamento dispone di diversi poteri:
1. per le cosiddette «spese obbligatorie», il Parlamento può indirizzare proposte
di emendamenti al Consiglio, che decide in ultima istanza. Sono definite spese
obbligatorie in linea di massima quelle spese che, a causa della base giuridica
o dell'importo, costituiscono un obbligo legale che risulta dai trattati o dal
diritto derivato dai trattati o da impegni assunti a titolo del diritto
internazionale o privato (un esempio tipico è la spesa agricola);
2.
per la fissazione delle «spese non obbligatorie» (fondi comunitari a finalità
strutturale ed altre politiche operative, per esempio ricerca e tecnologia), il
Parlamento può modificare le proposte di spesa del Consiglio, entro un
margine annuale calcolato dalla Commissione, e approvarle, a maggioranza
qualificata, anche in caso di opposizione del Consiglio. Poiché la distinzione
delle spese in obbligatorie e non obbligatorie determina se la decisione finale
sul livello delle spese stesse spetta al Consiglio o al Parlamento, la
classificazione delle spese in queste categorie è stata oggetto di una lotta di
potere tra le due istituzioni. Altre fasi della procedura sono le seguenti:
•
il Consiglio adotta un progetto modificato, tenendo conto degli emendamenti
e delle proposte di modifiche del Parlamento;
•
nell'ambito della procedura di «concertazione», il Consiglio ed il Parlamento
cercano di conciliare le rispettive posizioni;
•
il Parlamento esamina il progetto di bilancio in seconda lettura ed adotta il
bilancio nella forma definitiva. Il bilancio è quindi pubblicato nella Gazzetta
ufficiale delle Comunità europee;
•
il Parlamento può, tuttavia, respingere l'intero bilancio per «motivi importanti»
e chiedere al Consiglio di trasmettergli un nuovo progetto (articolo 203,
paragrafo 8, del trattato CE).
Se il bilancio non è stato approvato all'inizio dell'esercizio, viene applicato un
regime provvisorio, previsto dall'articolo 204, che si basa sul bilancio dell'esercizio
precedente.
Fanno parte della procedura di bilancio e del coordinamento della politica di
bilancio anche le diverse forme del cosiddetto «dialogo interistituzionale». Questo
dialogo si è sviluppato gradualmente, man mano che la Comunità diventava
finanziariamente indipendente dopo il 1970, ed assume varie forme, compresa la
concertazione sugli atti giuridici con implicazioni finanziarie, il «dialogo a tre» sul
bilancio e le misure più recenti sulla disciplina di bilancio, che contengono anche
gli elementi della programmazione finanziaria a medio termine fino al 1999. Lo
scopo del «dialogo a tre» e degli accordi interistituzionali è di evitare o ridurre i
conflitti tra le istituzioni nella preparazione del bilancio e rendere sempre più
snella la procedura di bilancio.
Esecuzione del bilancio
Una volta adottato, il bilancio viene eseguito dalla Commissione sotto la propria
responsabilità (articolo 205 del trattato CE). Ciò vale soprattutto per la sezione III,
che contiene tutte le più importanti spese operative dell'Unione. Le altre
istituzioni eseguono ciascuna la propria sezione del bilancio. Presso ogni
istituzione un controllore finanziario verifica l'insieme dei pagamenti e delle
entrate. Inoltre, la Corte dei conti europea controlla, in assoluta indipendenza,
l'esecuzione del bilancio nel suo insieme e stabilisce se la gestione finanziaria è
stata corretta. Ogni anno la Commissione deve trasmettere al Consiglio ed al
Parlamento i conti dell'esercizio precedente. Su raccomandazione del Consiglio, il
Parlamento dà alla Commissione lo scarico per l'esecuzione del bilancio, basandosi
sui conti annuali della Commissione e sulla relazione annuale della Corte dei conti
accompagnata dalle risposte delle istituzioni.
Conclusioni e prospettive
Il sistema finanziario non è soltanto un aspetto della struttura generale
dell'Unione, ma è anche uno strumento che consente di misurare i progressi
compiuti verso l'integrazione completa. Il bilancio e le finanze dell'Unione sono
dunque strettamente legati al suo sviluppo politico ed istituzionale e costituiscono
un mezzo importante per rafforzare l'integrazione.
L'attuale struttura e proporzione delle spese del bilancio evidenziano chiaramente
che sarà molto difficile finanziare un ulteriore sviluppo dell'Unione, in particolare
verso l'unione economica e monetaria e l'unione politica, partendo dal sistema
delle risorse proprie e dal volume di finanziamento attuali. Per questo, nel
51
52
dicembre 1992, il Consiglio europeo ha deciso, sulla base del trattato di
Maastricht, di modificare non solo le strutture istituzionali dell'Unione, ma anche
le grandi linee del sistema finanziario (pacchetto Delors II), per adattarlo alle
esigenze di un'integrazione più completa nel corso degli anni fino al 1999. Questo
rafforzamento dell'integrazione richiederà anche una maggiore autonomia
finanziaria, ossia nuove risorse proprie, che l'Unione dovrebbe ricevere
direttamente (ad esempio competenze fiscali). Inoltre, il bilancio dell'Unione
dovrebbe essere ristrutturato in modo che la politica agricola non rappresenti più
l'attuale parte preponderante del bilancio e che vengano consentite spese più
elevate per le politiche operative. A tale riguardo il pacchetto Delors II, negoziato
nel 1992, è solo una fase intermedia, applicabile soltanto al periodo
immediatamente prevedibile di programmazione (1993-1999).
La prossima fase della riforma è la conferenza intergovernativa del 1996, dalla
quale il Parlamento attende un'estensione dei propri poteri di bilancio e un
riesame del sistema finanziario dell'Unione. È comunque già chiaro che se in
futuro l'Unione europea dovrà allargarsi a più di quindici Stati membri, dovrà
anche sottoporre ad una revisione radicale il suo sistema finanziario.
Thomas Läufer
http://europa.eu.int/ces/ces.html
Comitato economico e
sociale
Base giuridica: Articolo 4, paragrafo 2; articoli da 193 a 198 del trattato CE.
Composizione: 222 membri provenienti dai 15 Stati membri, ripartiti come segue:
Germania, Francia, Regno Unito e Italia, 24; Spagna, 21; Belgio, Grecia, Paesi Bassi,
Austria, Portogallo e Svezia, 12; Danimarca, Finlandia e Irlanda, 9; Lussemburgo, 6
(articolo 194 del trattato CE). Il Comitato designa tra i suoi membri il presidente e
l'ufficio di presidenza.
Funzione: Rappresentanza istituzionalizzata degli interessi delle varie categorie
della vita economica e sociale degli Stati membri, funzione consultiva.
Strumenti: Pareri rivolti al Consiglio ed alla Commissione.
Bilancio: Per il 1995: 26,3 milioni di ecu; inoltre, 57,8 milioni di ecu destinati alla
struttura organizzativa che condivide con il Comitato delle regioni.
Il Comitato economico e sociale (CES) fu istituito dai trattati di Roma nel 1957
con il compito di rappresentare gli interessi delle varie categorie della vita
economica e sociale. La creazione del Comitato ha consentito soprattutto a tali
categorie di prendere parte, all'interno dell'-> Unione europea, alla realizzazione
del -> mercato interno e quindi al processo di integrazione. Il CES ha inoltre la
facoltà istituzionale di far conoscere alla -> Commissione europea ed al ->
Consiglio dell'Unione europea la propria opinione in merito a tutte le questione di
interesse comunitario sotto forma di pareri.
Diritti e competenze
Il Comitato può essere consultato nel quadro delle -> procedure decisionali dal
Consiglio e dalla Commissione in tutti i casi in cui tali istituzioni lo ritengano
opportuno. In determinati casi, il trattato prevede che essi siano tenuti a
consultare il Comitato, tra l'altro in merito alle misure necessarie per attuare la
libera circolazione dei lavoratori (articolo 49 del trattato CE) e la libertà di
stabilimento (articolo 54 del trattato CE), la collaborazione nel campo sociale
(articoli 118, 121 CE), le questioni relative all'istruzione e formazione
professionale (articoli 126, 127 CE), la sanità pubblica e protezione dei
consumatori (articoli 129, 129 A CE), nonché le questioni ambientali (articolo 130
S) e lo sviluppo regionale (articolo 130 CE). La Commissione ed il Consiglio fissano
al Comitato, per la presentazione del suo parere, un termine che non può essere
53
L’EUROPA DALLA A ALLA Z
54
inferiore alle quattro settimane. Allo scadere del termine fissato, le istituzioni
possono non tener conto dell'assenza di parere.
Inoltre il Comitato, qualora lo ritenga opportuno, può formulare un parere di
propria iniziativa (articolo 198 CE). Di norma, il Comitato si riunisce in seduta
plenaria dieci volte all'anno ed adotta a maggioranza semplice, sulla base dei testi
elaborati dalle sezioni specializzate, in media circa 180 pareri all'anno, di cui circa
il 10% formulati di propria iniziativa. I pareri sono presentati al Consiglio ed alla
Commissione e pubblicati nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee.
Comitato economico e sociale
Organo consultivo dell'Unione europea
222
rappresentanti dei gruppi
economici e sociali
Settori nei quali il Comitato deve essere consultato
dal Consiglio e dalla Commissione
Politica agricola comune
•
Politica dei trasporti
•
Regolamenti sul mercato unico
•
Politica sociale
•
Formazione
•
Politica dei consumatori
•
Politica dell'ambiente
•
Politica regionale e strutturale
•
Politica dell'industria
•
Ricerca, ecc.
Struttura
I membri del CES sono suddivisi in tre grandi sezioni: lavoratori dipendenti, datori
di lavoro e esponenti di vari interessi: professioni libere, agricoltura, cooperative,
camere di commercio e associazioni di consumatori. I membri vengono nominati
all'unanimità dal Consiglio, su proposta dei singoli Stati membri, dopo aver
consultato la Commissione, per un periodo di quattro anni e possono essere
rieletti. Il Comitato designa al proprio interno l'ufficio di presidenza per una durata
di due anni, composto da 30 membri (10 per ogni categoria) del quale fanno parte
un presidente e due vicepresidenti, che vengono nominati a rotazione nei tre
gruppi. Il presidente è responsabile dell'andamento corretto dei lavori del CES.
Assieme all'ufficio di presidenza ha il compito di intrattenere le relazioni con i
paesi terzi. I compiti del presidente consistono tuttavia essenzialmente nel dirigere
e coordinare le attività dei diversi organi di lavoro del Comitato, nonché nel
determinare gli orientamenti politici. Tra gli organi di lavoro rientrano le nove
sezioni specializzate, che coprono tutti i settori nei quali il CES opera: questioni
economiche, finanziarie e monetarie; relazioni esterne; settore sociale; tutela
dell'ambiente e sanità pubblica e protezione dei consumatori; agricoltura e pesca;
sviluppo regionale; industria e commercio; trasporti e comunicazioni; energia,
energia atomica e ricerca.
Conclusioni
Data la sua natura di organo consultivo, il vero strumento a disposizione del CES il parere - ha spesso un effetto limitato quando si tratta di far valere gli interessi
delle diverse categorie economiche e sociali. Per tale motivo i suddetti gruppi
preferiscono esercitare pressione direttamente sulla Commissione europea, in
quanto ritengono che sia un mezzo più promettente per il raggiungimento dei loro
obiettivi. Questa è anche la ragione per la quale il Comitato sta tentando di
migliorare la propria posizione finora secondaria all'interno del sistema
istituzionale dell'UE e aspiri a diventare un organo a pieno titolo con possibilità di
influire direttamente sul processo legislativo.
Da diversi anni il Comitato ha assunto con sempre maggiore frequenza compiti
che vanno al di là delle attribuzioni che il trattato gli conferisce. Ad esempio esso
svolge, con il sostegno delle altre istituzioni europee, diverse azioni intese a
contribuire a migliorare i rapporti tra i cittadini dell'Unione europea e le sue
istituzioni. Con ciò il CES intende dimostrare di essere in realtà molto di più di una
semplice lobby che rappresenta i diversi gruppi di interesse.
Nicole Schley
55
http://europa.eu.int/comreg/comreg.html
56
Comitato delle regioni
Basi giuridiche: Articolo 4, paragrafo 2), del trattato CE e articoli da 198 A a 198
C.
Competenze: Consulenza della Commissione e del Consiglio; iniziativa autonoma.
Composizione: 222 rappresentanti degli enti regionali e locali dell'Unione
europea: 24 ciascuno per Germania, Francia, Regno Unito e Italia, 21 per la
Spagna, 12 per ciascuno per Belgio, Grecia, Paesi Bassi, Austria, Portogallo e
Svezia, 9 per ciascuno per Danimarca, Finlandia e Irlanda, 6 per il Lussemburgo.
Bilancio 1995: 27 milioni di ecu.
Il Comitato delle regioni, istituito dal trattato sull'Unione europea, deve garantire
la rappresentanza degli interessi degli enti locali e regionali nella Unione europea
(EU) e la loro partecipazione al processo di integrazione.
Il Comitato delle regioni si compone di 222 rappresentanti indipendenti degli enti
locali e regionali e di un pari numero di sostituti, i quali vengono nominati dal
Consiglio dell'Unione all'unanimità per un periodo di quattro anni su proposta
degli Stati membri. Il trattato non contiene alcuna prescrizione sulla ripartizione
dei seggi all'interno degli Stati membri e neppure sull'organizzazione interna del
Comitato. In quasi tutti gli Stati membri vi è stato un dibattito e in certi casi
molto acceso sulla distribuzione dei seggi fra enti di vari livelli. Nonostante tutte
le difficoltà incontrate per quanto riguarda la ripartizione, il Comitato delle
regioni, durante il suo primo mandato (1994-1998), si compone per circa la metà
di rappresentanti regionali e per circa la metà di rappresentanti di collettività
locali.
In seno alla struttura dell'Unione europea al Comitato delle regioni spetta la
funzione di organo consultivo del Consiglio e della Commissione europea. Esso ha
il compito di farsi portavoce degli interessi regionali e locali al livello del processo
decisionale, badando anzitutto alla compatibilità delle normative dell'Unione
europea con i problemi regionali e locali e con le prassi amministrative. Il
Comitato delle regioni si occupa di portare le decisioni prese a livello europeo più
vicino alla gente e alle sue preoccupazioni. Per adempiere alle proprie mansioni
esso deve essere obbligatoriamente consultato in una serie di settori «tipicamente
regionali» (articoli 126, 128, 129, 129 D, 130 B, 130 D e 130 E del trattato CE) e
L’EUROPA DALLA A ALLA Z
può inoltre essere consultato facoltativamente su qualsiasi altro problema o
affrontarlo di propria iniziativa. I pareri del Comitato delle regioni non hanno
l'effetto di ritardare o di condizionare le decisioni prese dalle istanze competenti.
Pertanto il Comitato non ha nessuna possibilità formale di far valere le proprie
opinioni e non può intraprendere alcun passo in caso di violazione del suo diritto a
essere consultato.
Comitato delle regioni
Organo consultivo dell'Unione europea
222
rappresentanti regionali e
comunali
Settori nei quali il Comitato deve essere consultato
dal Consiglio e dalla Commissione
Promozione della formazione professionale e generale
•
Cultura
•
Sanità
•
Reti transeuropee
•
Politica regionale e strutturale
PARERI COMPLEMENTARI QUANDO DEI PROBLEMI PER I QUALI VIENE CONSULTATO IL
COMITATO ECONOMICO E SOCIALE COINVOLGONO INTERESSI REGIONALI.
Organizzazione interna
I pareri del Comitato vengono discussi in otto sezioni specializzate e presentati per
approvazione in seduta plenaria. In vista della conferenza governativa del 1996,
accanto ai gruppi specializzati è stato istituito un comitato ad hoc «problemi
istituzionali». Per tale motivo i politici regionali e locali dedicano moltissimo del
loro tempo ai lavori del Comitato delle regioni.
La cooperazione fra i membri del Comitato delle regioni ha luogo formalmente
nell'ambito di gruppi politici; finora se ne sono costituiti quattro (partito popolare
europeo, partito socialdemocratico europeo, liberali e «radicali»). In questo caso
l'appartenenza al gruppo non è, come avviene in seno al Parlamento europeo,
rigidamente condizionata all'appartenenza a un corrispondente partito nazionale,
bensì anzitutto è appartenenza individuale al gruppo.
57
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Al vertice dell'amministrazione del Comitato delle regioni è il segretario generale
(fino al 1999 tale carica sarà ricoperta da Dietrich Pause).
Bilancio e prospettive
Il Comitato delle regioni ha senza dubbio avviato la propria attività in condizioni
molto difficili. Ciò nonostante esso è riuscito in poco tempo a diventare operativo
e a formulare pareri su problemi talora molto importanti in una prospettiva di
politica regionale (fra l'altro, iniziative comunitarie nell'ambito dei fondi
strutturali, diritto di elettorato attivo per i cittadini europei in occasione di
elezioni comunali, libro verde sulla politica audiovisiva dell'Unione europea). In
futuro esso dovrà anzitutto occuparsi di consolidare quanto prima le proprie
strutture operative interne e, in termini di contenuti, evitare il rischio di
dispersione e concentrarsi sui problemi politici dell'Unione europea di maggiore
rilevanza da un punto di vista regionale e locale. In tali condizioni il Comitato
potrebbe riuscire a darsi un proprio profilo istituzionale e quindi a divenire un foro
di politiche europee basate sul consenso e vicine ai cittadini.
Christian Engel
http://europa.eu.int/en/comm.html
Commissione europea
Base giuridica: Articoli 155 e 163 del trattato CE; per quanto riguarda la PESC:
articoli J.5, 3 capoverso, J.6, J.7, J.8, 3° capoverso, J.9 del TUE; per quanto riguarda
la giustizia e la politica interna: articoli K.3, 2 capoverso, K.4, 2capoverso, K.6, K.9
del TUE.
Obiettivi: Garantire il funzionamento e lo sviluppo del mercato comune;
rappresentare gli interessi comuni della UE, sia all'interno che all'estero.
Strumenti: Diritto di iniziativa in seno al processo legislativo dell'UE; diritto di
partecipare alla produzione, all'attuazione ed al controllo del diritto comunitario;
rappresentanze internazionali.
Bilancio: 2,7 miliardi di ecu di stanziamenti amministrativi; 77,8 miliardi di ecu
di stanziamenti operativi (1996).
Per «Commissione delle Comunità Europee» - come recita la denominazione
giuridicamente esatta, anche se, nel 1993, è stato introdotto per semplicità il
termine «Commissione europea» - si intende il collegio dei 20 commissari ed il
complesso apparato amministrativo, ad essi sottoposto, con sede principale a
Bruxelles. Essa si articola in 26 direzioni generali, affiancate da altri servizi
orizzontali come il segretariato generale, il servizio giuridico, l'Ufficio delle
pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, l'Ufficio statistico, il servizio di
traduzione, il servizio comune interpretazione e conferenze, e altri ancora). Tra
funzionari e agenti temporanei vi lavorano circa 15 500 persone, l'11% dei quali
nel servizio linguistico.
Sviluppo storico e funzioni
Antesignana della Commissione è stata l'«Alta Autorità» della Comunità europea
del carbone e dell'acciaio (CECA), alla quale, nel trattato CECA, venne
esplicitamente riconosciuto un «carattere sovrannazionale». Il suo primo
presidente, Jean Monnet, (1952-1955), istituì un apparato amministrativo agile,
flessibile, rivolto alla soluzione delle questioni concrete. Dopo la ratifica dei
trattati di Roma, nel 1958 venne istituita la «Commissione della Comunità
economica europea», il cui primo presidente fu Walter Hallstein (1958-1967).
Mentre il Consiglio dei Ministri (oggi -> Consiglio dell'Unione europea) avrebbe
dovuto rappresentare gli interessi degli Stati membri, la Commissione fu concepita
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60
come organo di tutela degli interessi comunitari. A questo scopo, le venne
affidata, attraverso i trattati, l'esecuzione di una serie di compiti concreti elencati in forma generale all'articolo 155 del trattato CEE - che possono essere
riassuntivamente ricondotti a tre funzioni essenziali: 1) la funzione di iniziativa in
seno al processo decisionale della CE: il Consiglio può prendere decisioni solo su
proposta della Commissione; 2) la funzione legislativa, grazie al quale la
Commissione, nel quadro delle proprie competenze, ha il potere di emanare atti
con efficacia vincolante e di concludere accordi internazionali; 3) la funzione
amministrativa e di controllo, che conferisce alla Commissione il potere di dare
attuazione agli atti comunitari e di controllare l'applicazione dei trattati da parte
degli Stati membri. Il trattato di fusione (in vigore dal 1° luglio 1967) unificò l'Alta
Autorità e le due Commissioni dell'epoca, quella della CEE e quella della Comunità
europea dell'energia atomica (CEEA), in un'unica «Commissione delle Comunità
europee». La nomina di Jacques Delors a nuovo presidente della Commissione, nel
1985, e l'adozione, nel 1986, dell'Atto unico europeo - con l'obiettivo di dar vita,
entro il 1992, al mercato unico ( -> mercato interno) - hanno avviato una fase di
pronunciato dinamismo della Commissione. Il gran numero di provvedimenti,
elencati nel libro bianco sul completamento del mercato interno, nonché le
numerose politiche che, da quel momento, cominciarono ad essere trattate a
livello comunitario ( -> ricerca e tecnologia, -> politica regionale, -> politica
dell'ambiente), hanno fatto della Commissione un importante interlocutore per
associazioni, imprese, regioni e comuni. Con la caduta del muro di Berlino e la fine
del conflitto Est-Ovest vennero a crearsi per la Commissione nuovi spazi di
manovra nel campo delle -> relazioni esterne della Comunità. Grazie a questi
sviluppi, e sotto la guida del suo dinamico presidente Jacques Delors (1985-1995),
il ruolo della Commissione si è rafforzato sotto due aspetti: 1) in primo luogo, ha
assunto sempre maggior importanza come mediatrice tra i governi nazionali,
soprattutto a causa del più diffuso ricorso alle decisioni prese a maggioranza in
seno al Consiglio; 2) in secondo luogo, l'intensificazione delle relazioni
economiche e commerciali ne hanno rafforzato il ruolo internazionale. Nel
gennaio 1995, con l'elezione a presidente del lussemburghese Jacques Santer è
stata inaugurata una nuova era della Commissione, caratterizzata piuttosto da
un'attività di moderazione e di consolidamento.
Organo decisionale
La Commissione europea si trova al centro del processo di preparazione,
produzione, attuazione e controllo della normativa dell'UE ( -> Unione europea).
Rispetto al primo pilastro dell'Unione europea le sue funzioni sono le seguenti:
1.
Preparazione delle decisioni: in quasi tutte le materie (fanno eccezione:
l'associazione di Paesi terzi e l' -> ampliamento), il Consiglio può approvare
atti legislativi solo sulla base di una proposta della Commissione. I progetti
degli atti vengono elaborati in specifici gruppi di studio e di lavoro nei quali,
oltre ai funzionari della Commissione, siedono anche funzionari degli Stati
membri, rappresentanti di associazioni ed esperti indipendenti. Nel corso della
procedura decisionale, la Commissione può modificare o ritirare, in qualsiasi
momento, una proposta di legge anche se essa è già stata ufficialmente
trasmessa al Consiglio. Le raccomandazioni, i pareri e le altre comunicazioni
della Commissione (come, ad esempio, i vari libri bianchi o verdi, in merito a
particolari questioni politiche) non rappresentano formali proposte di legge
sottoposte al Consiglio, ma prese di posizione dalle quali, tuttavia, possono
scaturire importanti impulsi per la successiva produzione normativa. Nel
campo delle relazioni esterne, la Commissione può essere autorizzata dal
Consiglio - nell'ambito di un preciso mandato - ad intraprendere trattative
con paesi terzi o con organizzazioni internazionali (per esempio, gli Stati
dell'Europa centrale ed orientale, oppure il GATT).
2.
Elaborazione delle decisioni: la Commissione concorre all'elaborazione delle
decisioni attraverso la partecipazione dei propri funzionari ai gruppi di lavoro
del Consiglio (250, circa), attraverso i propri funzionari di rango più elevato e
attraverso la presenza del proprio vicesegretario generale in seno al Coreper.
Anche se possono esercitare una certa influenza sui rappresentanti dei governi
nazionali i funzionari della Commissione non dispongono di un proprio diritto
di voto. Alle sedute del Consiglio partecipa il commissario competente per
materia, il quale non può tuttavia influire se non in misura molto limitata
sulle trattative tra i vari ministri. La Commissione dispone di propri poteri
decisionali, che esercita indipendentemente dal Consiglio, soprattutto per
quanto riguarda la propria organizzazione interna, il bilancio, la concorrenza e
la tutela del mercato (p.es., decisioni sulle sovvenzioni alle imprese o sulle
fusioni tra imprese).
3. Esecuzione delle decisioni: la Commissione decide sotto la propria
responsabilità del bilancio dell'UE (politica di bilancio) (cfr. articolo 205 del
trattato CE). La Commissione può anche emanare autonomamente direttive,
regolamenti e decisioni (soprattutto nel campo del mercato interno e della ->
politica agricola), nell'ambito dei poteri ad essa delegati dal Consiglio per
l'esecuzione delle decisioni del Consiglio stesso. Per gli Stati membri, tali
decisioni sono altrettanto vincolanti delle decisioni del Consiglio. Nel 1994, la
Commissione ha emanato complessivamente 7 034 provvedimenti di questo
tipo. Poiché l'applicazione di questi atti è molto importante, gli Stati membri
fiancheggiano i poteri esecutivi della Commissione con un complicato sistema
di comitati regolato da una decisione del Consiglio detta «comitatologia». Si
tratta di 380 comitati circa, di vario tipo, che vanno dai «comitati consultivi»,
ai «comitati di gestione», fino ai «comitati di regolamentazione», nei quali,
sotto la presidenza di un rappresentante della Commissione, funzionari
nazionali discutono e decidono sui provvedimenti esecutivi della
Commissione. A seconda del tipo di comitato, i funzionari nazionali possono
influire in misura maggiore o minore sui poteri esecutivi della Commissione:
mentre in un comitato consultivo essi vengono semplicemente consultati,
all'interno di un comitato di gestione essi possono anche respingere
61
provvedimenti della Commissione. Nei comitati di regolamentazione
l'influenza nazionale raggiunge il suo livello più elevato: a seguito di un voto
negativo del comitato, in base ad una variante della -> procedura decisionale
(la «procedura con rete di sicurezza»), può infatti intervenire il Consiglio che
può decidere a maggioranza semplice di non emanare alcun provvedimento.
Anche se alle procedure dei comitati non può essere disconosciuta una certa
funzione di controllo, nella pratica esse si sono dimostrate un ottimo
strumento di dibattito e di collegamento tra le amministrazioni nazionali e la
Commissione, con il quale il Consiglio non interferisce se non in casi
eccezionali.
62
4.
Controllo delle decisioni: nell'ambito delle procedure di infrazione al trattato
(articolo 169 del trattato CE) la Commissione può ricorrere, davanti alla ->
Corte di giustizia europea, contro uno Stato membro che abbia contravvenuto
al trattato o ad altri atti della CE/UE. Per questo, essa viene anche chiamata la
«custode dei trattati». Nel 1995 la Commissione ha iniziato 1 000
procedimenti di questo tipo, ricorrendo in 72 casi alla Corte di giustizia; nello
stesso anno la Corte ha emanato una sentenza in 39 casi, in 36 dei quali ha
accolto le istanze della Commissione. Se lo Stato membro non ottempera agli
obblighi stabiliti dalla sentenza, la Commissione ha la facoltà, in base
all'articolo 171 del trattato CE, di esigere una sanzione pecuniaria. Inoltre,
mediante altri tipi di ricorso, essa può portare davanti alla Corte di giustizia
anche altre istituzioni dell'UE.
Nel TUE, la Commissione viene menzionata, in relazione al processo
decisionale, anche per quanto riguarda la -> politica estera e di sicurezza
comune (PESC, secondo pilastro dell'UE) e la -> cooperazione nei settori della
giustizia e degli affari interni (GAI, terzo pilastro dell'UE). In questo casi,
tuttavia, il suo diritto d'intervento è molto più limitato di quanto non lo sia
nel primo pilastro, dal momento che tali settori hanno un carattere
intergovernativo molto più pronunciato. Nel campo della PESC, la
Commissione può presentare proposte al Consiglio (articolo J.8, paragrafo 3,
TUE). Del resto, essa è «pienamente associata ai lavori» della PESC (articolo J.9
TUE), soprattutto per quanto riguarda la rappresentanza all'estero e
l'attuazione delle «azioni comuni» (articolo J.5, paragrafo 3, TUE). Ciò vale
anche per le prerogative della Commissione nel campo della GAI (articolo K.4,
TUE). Su particolari aspetti del terzo pilastro, la Commissione può sottoporre
proposte al Consiglio, ma non detiene il monopolio sulla presentazione delle
proposte (articolo K.3 TUE).
Struttura amministrativa e procedimenti interni
La Commissione ha, essenzialmente, una struttura a tre livelli:
1. Il collegio, composto dai 20 commissari (compreso il presidente della
Commissione, nella sua qualità di primus inter pares), nominati dagli Stati
membri, previa approvazione del -> Parlamento europeo, per un periodo di 5
anni, ma che obbediscono al principio di indipendenza. Il Parlamento europeo
può destituire il collegio con un voto di sfiducia (articolo 144, trattato CE);
2.
I gabinetti, direttamente sottoposti ai commissari, composti da un ristretto
numero di collaboratori politici di fiducia;
3.
Le 26 direzioni generali e gli altri servizi che, come i ministeri nazionali, sono
strutturate secondo principi gerarchici e di competenza e si articolano
ulteriormente in direzioni e in divisioni. La Commissione dispone, inoltre, di
proprie rappresentanze negli Stati membri dell'UE e di 126 delegazioni presso
paesi terzi ed organizzazioni internazionali. I funzionari sono soggetti ad uno
statuto dei funzionari europei e i loro emolumenti sono a carico del bilancio
dell'Unione europea. Oltre ad essi, lavorano nella Commissione anche esperti
in vari settori, assunti a tempo determinato, nonché funzionari nazionali, che
le vengono «prestati» per un periodo di tempo limitato.
Su iniziativa della Commissione, ma anche del Consiglio e del -> Consiglio
europeo, i funzionari delle unità amministrative competenti procedono alla stesura
del progetto del provvedimento. La direzione generale responsabile di un
determinato progetto, organizza, nell'ambito di specifici gruppi «interservizio»
oppure attraverso incontri ad hoc, il coordinamento con le altre direzioni generali
ad esso interessate. A seconda delle questioni politiche affrontate, possono
emergere rivalità o anche il tentativo, da parte delle direzioni generali più «forti»,
di affermarsi a spese delle più «deboli». In ogni caso, è obbligatorio consultare il
suo servizio giuridico: il suo consenso aumenta la probabilità che un testo
provvisorio si imponga nell'ambito dell'amministrazione. I capi di gabinetto,
durante il loro incontro settimanale, decidono quali documenti riscuotano già un
consenso tra i vari servizi (i cosiddetti «punti A») e quali, invece, richiedano
un'ulteriore discussione ed una decisione da parte del collegio dei commissari
(cosiddetti «punti B»). I gabinetti, pertanto, esercitano una cospicua influenza sulla
preparazione e sull'approvazione dei progetti di documenti. Soprattutto il
gabinetto Delors, in passato, ha fatto largo uso di questo potere di fatto per
raggiungere importanti obiettivi. Il collegio dei commissari si riunisce sotto la
direzione del presidente della Commissione; esso decide a maggioranza semplice.
Nella pratica, tuttavia, si procede per lo più secondo il principio del consenso.
Per rendere più spediti i lavori del collegio, sono stati introdotti la «delega» e il
«procedimento scritto».
Con la delega, un commissario viene autorizzato a decidere da solo su talune
questioni, in genere a carattere piuttosto tecnico (soprattutto nell'ambito
agricolo), senza che con ciò venga meno la responsabilità collettiva del Collegio.
Con il procedimento scritto, la decisione su una determinata questione, in merito
alla quale esiste un accordo sostanziale, viene distribuita a cura del segretariato
generale, mediante circolare, alle direzioni generali ed ai gabinetti. Il segretariato
generale è depositario, pertanto, di un'importante funzione di coordinamento. Se
63
64
entro il termine preventivamente stabilito non vengono rese note riserve o
proposte di modifica il provvedimento si ritiene approvato.
Fabbrica di idee o governo europeo?
È molto diffusa l'immagine della Commissione come una sorta di «eurocrazia»
tecnocratica. È, invece, assai poco nota la stretta collaborazione che essa pone in
essere con i rappresentanti delle associazioni, delle regioni e della amministrazioni
nazionali, nel corso di tutto il processo decisionale. Questo coinvolgimento degli
organismi interessati, nonché la sua capacità di sintetizzare le conoscenze degli
esperti e di elaborare rapidamente proposte di soluzione, conferiscono alla
Commissione il carattere di una dinamica «fabbrica di idee». Si deve, tuttavia,
riconoscere che - soprattutto sotto la presidenza Delors - la Commissione ha
acquistato un suo preciso profilo politico e si è addentrata in settori (come la lotta
alla disoccupazione o la politica estera) appartenenti piuttosto a quelli classici di
un normale governo. Il rafforzamento del ruolo del Parlamento europeo nel
procedimento di nomina della Commissione, se ha consolidato da un lato il legame
con i parlamentari e con la popolazione non è tuttavia riuscito a ridurre il grave
deficit di legittimità di cui soffre la Commissione. Nell'ambito della -> conferenza
intergovernativa del 1996 sarà discussa la riduzione del numero dei commissari ed
una riforma strutturale della Commissione, ragion per cui è molto improbabile
un'ulteriore evoluzione verso la costituzione di un Governo europeo. In futuro,
invece, il ruolo della Commissione dipenderà essenzialmente dalla misura in cui
essa sarà capace di dare un effettivo contributo alla soluzione dei problemi
concreti - economici, politici e sociali - che l'Unione si troverà ad affrontare.
Dietrich Rometsch
http://europa.eu.int/pol/comp/en/info.htm
Concorrenza
Base giuridica: Articoli 4, 5, 65, 66 del trattato CECA; articoli 3, lettera g), 5, da
85 a 94 del trattato CE.
Obiettivi: Un sistema economico che garantisca che la concorrenza non sia falsata
e che i partecipanti al mercato operino in condizioni di parità.
Strumenti: Divieto dei cartelli, divieto dell'abuso di posizioni dominanti sul
mercato, controllo delle concentrazioni, controllo degli aiuti di Stato.
La politica di concorrenza ha l'obiettivo di creare e mantenere un sistema che
garantisca una concorrenza non falsata all'interno dello spazio economico. Nella
teoria liberale dell'economia, la politica di concorrenza mira a garantire mercati a
concorrenza perfetta e si adopera per prevenire la formazione di monopoli e di
oligopoli che possano imporre i loro prezzi a svantaggio dei consumatori. I
monopoli sono ammessi solo in casi eccezionali, per garantire
l'approvvigionamento di beni o servizi di significativo interesse pubblico. Ad
esempio, l'Europa ha avuto monopoli di Stato nei trasporti, nei servizi postali e
nelle telecomunicazioni. Nel quadro giuridico dei trattati, l' Unione europea ha a
sua disposizione una vasta gamma di strumenti di politica di concorrenza che
devono servire a far rispettare il divieto di cartelli nel -> mercato unico europeo e
dell'abuso di posizione dominante sul mercato, a garantire uguale trattamento per
le imprese pubbliche e private, a vigilare sulle concentrazioni e sulle sovvenzioni
statali. A causa della globalizzazione dell'economia, tuttavia, l'Unione europea si
trova sempre più confrontata con il problema di dover conciliare il mantenimento
della concorrenza all'interno del mercato unico europeo con la competitività delle
imprese europee sul mercato mondiale.
Principi
La -> Commissione europea si considera il garante della concorrenza sia
all'interno che all'esterno dell'Unione europea. Tuttavia, i suoi poteri di intervento
in queste due aree differiscono sensibilmente. Il titolo V del trattato CE, nei tre
capitoli che contengono gli articoli da 85 a 94, disciplina i diversi aspetti e le
procedure della politica di concorrenza. In conformità di tali disposizioni la
Commissione interviene in linea di principio, nei limiti del campo d'applicazione
del trattato, quando gli aiuti di Stato, gli accordi tra le imprese, le concentrazioni
o altre forme di cooperazione rappresentano un pericolo per la concorrenza.
65
66
Gli articoli 85 e 86 del trattato CE vietano gli «accordi anticoncorrenziali» tra le
imprese che possono pregiudicare il commercio tra gli Stati membri e l'abuso di
«posizione dominante sul mercato comune». Quando viene a conoscenza di accordi
tra imprese, in seguito a denunce o di propria iniziativa, la Commissione può
indagare sul caso e, laddove necessario, imporre sanzioni giuridicamente
vincolanti per condotta anticoncorrenziale. Questi due articoli rivestono
importanza fondamentale per la politica di concorrenza europea in quanto
incidono direttamente sul comportamento delle imprese. Il numero complessivo
dei casi trattati ai sensi degli articoli 85 e 86 del trattato CE è cresciuto
sensibilmente negli ultimi 15 anni. Ad esempio, il numero dei casi esaminati nel
1980 era di 299, mentre era salito a 404 nel 1993. Tuttavia, gli articoli 85 e 86 del
trattato CE prevedono anche delle deroghe. Se la situazione dei mercati
internazionali rende necessaria la costituzione di oligopoli europei affinché le
imprese europee possano tenere testa alla intensificata concorrenza
internazionale, la Commissione può autorizzare tali accordi in casi specifici. Gli
accordi verticali tra imprese possono essere approvati solo se danno come risultato
una maggiore efficienza attraverso l'accesso a nuovi mercati. Tuttavia, tali accordi
non possono prevedere prezzi concordati o la ripartizione del mercato. Dal 1990,
gli articoli 85 e 86 del trattato CE sono stati integrati dal regolamento sul
controllo delle concentrazioni, che prevede il controllo preventivo delle operazioni
di concentrazione tra imprese che possono avere ripercussioni a livello europeo.
Esso consente anche un intervento a monte delle operazioni di concentrazione,
approvando o vietando preventivamente gli accordi.
Rivestono grande importanza per la politica di concorrenza anche gli aiuti di Stato
e le sovvenzioni che possono falsare la concorrenza. Gli articoli da 92 a 94 del
trattato CE disciplinano la procedura per la sorveglianza sugli aiuti da parte della
Commissione, una attività che è stata considerevolmente intensificata dalla fine
degli anni '80 in seguito ad un aumento nelle concessioni di sovvenzioni. Tuttavia,
la Commissione non vieta per principio i programmi di aiuto nazionali, a
condizione che siano esplicitamente tesi a correggere squilibri strutturali in certi
settori della produzione. Ad esempio, essa ha autorizzato vari programmi di
ristrutturazione delle industrie siderurgiche, sovvenzionati dagli Stati membri
dell'Unione europea, ma in cambio ha chiesto una notevole riduzione della
capacità produttiva onde risanare il settore. Il controllo delle sovvenzioni si basa
sul principio che gli aiuti di Stato devono avere carattere strutturale, avere natura
definitiva e produrre un beneficio per l'intero settore industriale.
Oltre alla funzione di controllo, la Commissione europea si sta anche adoperando
per assumere un ruolo attivo nella promozione della concorrenza. Nel 1993, ad
esempio, la Commissione ha emanato una comunicazione sui servizi nel settore
delle telecomunicazioni, che ne proponeva la completa liberalizzazione entro il
1998. Lo scopo era di creare le condizioni per un servizio universale entro tale
data. La scadenza vuole essere sufficientemente lontana per consentire alle
imprese del settore, che finora godevano di diritti esclusivi, di adeguarsi alle
mutate circostanze.
Valutazione
L'Europa promuove e nello stesse tempo teme la concorrenza. Tale apparente
paradosso caratterizza la situazione dell'Unione europea, che è confrontata con un
dilemma derivante dal fatto che la politica di concorrenza europea opera a livelli
diversi. La politica di concorrenza nell'Unione europea si occupa innanzitutto del
comportamento delle imprese e degli Stati all'interno dell'Unione e tiene conto
solo in maniera incompleta della globalizzazione dell'economia. Nel mercato
unico, l'Unione europea dispone di un sistema giuridico per sanzionare
efficacemente ogni condotta anticoncorrenziale. Tuttavia, le misure che prende
non possono avere efficacia su scala mondiale. Di conseguenza, le stesse misure
possono rafforzare la concorrenza all'interno del mercato unico, ma indebolire la
competitività delle imprese europee nei confronti dei concorrenti internazionali. A
tutt'oggi non esiste un sistema internazionale di regolamentazione della
concorrenza. La costituzione di oligopoli o di monopoli può dare origine a mercati
imperfetti a livello mondiale, ostacolando la libera concorrenza. Per impedire un
tale processo, le autorità nazionali ricorrono a strumenti di politica industriale e
commerciale che per i loro effetti protezionistici mettono i mercati nazionali al
riparo dall'aggressiva concorrenza internazionale. La politica della concorrenza da
una parte e la politica industriale e commerciale dall'altra si trovano in conflitto.
Queste ultime mirano entrambe a garantire i migliori risultati di mercato, mentre
la politica di concorrenza si occupa dell'ottimizzazione del funzionamento del
mercato. Il risultato di tale conflitto, e delle diverse posizioni assunte a tale
proposito dagli Stati membri, è un blocco che impedisce all'Europa di agire in
modo coerente, tenendo conto delle esigenze sia del mercato unico europeo sia
dei mercati mondiali. Alla luce delle tendenze economiche internazionali, tuttavia,
l'Europa ha bisogno sempre di più di una politica di concorrenza che assicuri sia la
concorrenza sul mercato unico europeo che la competitività delle imprese europee
sul mercato mondiale. A tale scopo sono necessari sforzi particolari a livello
multilaterale, in seno alle organizzazioni economiche internazionali, quali l'OCSE,
il G 7, il GATT e l'OMC (WTO), la Banca mondiale o il Fondo monetario
internazionale per definire le norme giuridicamente vincolanti di un sistema di
concorrenza internazionale che garantisca la libera concorrenza tra tutti gli
operatori del mercato.
Jürgen Turek
67
http://europa.eu.int/en/agenda/igc-home/index.html
68
Conferenza
intergovernativa
Base giuridica: Articolo N, paragrafo 2, TUE e compiti di revisione previsti dagli
articoli B, quinto trattino, TUE, 189 B trattato CE, J.10 e J.4 TUE, nonché
dichiarazioni n. 1 e 16 al trattato CE.
Obiettivi: Miglioramento dell'efficienza delle istituzioni e delle procedure
decisionali, una Europa più vicina ai cittadini, consolidamento della capacità
d'azione nella politica estera e di sicurezza comune dell'Unione, ulteriore sviluppo
delle politiche interne e nel settore giuridico.
La conferenza intergovernativa (CIG) per la revisione del trattato CE è stata
inaugurata il 29 marzo 1996 in occasione del Consiglio europeo di Torino ed i
lavori si protrarranno presumibilmente fino al 1997 inoltrato. I negoziati sono
condotti a scadenza settimanale dai rappresentanti particolari dei ministri degli
Esteri ed una volta al mese dai ministri stessi. Il -> Consiglio europeo segue
l'andamento della CIG, eventualmente anche convocando riunioni ad hoc. Il ->
Parlamento europeo è tenuto periodicamente informato e può far conoscere il
proprio parere.
Sviluppo
La CIG risale all'impegno sancito dal trattato di operare una revisione, nell'anno
1996, delle procedure e politiche recentemente introdotte. Successivamente sono
state presentate proposte da parte dei singoli Stati membri ed è stato definito il
calendario di riforma, in occasione dei Consigli europei di Bruxelles, Corfù, Madrid
e Torino. La CIG prende anche in debita considerazione le prossime tornate di
ampliamento dell' Unione europea, che dovranno essere precedute da un
approfondimento del processo di integrazione. I lavori preparatori sono stati
affidati ad un gruppo di riflessione nominato dai capi di Stato e di governo (lugliodicembre 1995), la cui relazione ha illustrato in dettaglio le opzioni di revisione
del trattato. Precedentemente il -> Consiglio e la -> Commissione avevano
elaborato le relazioni sul tema del funzionamento del trattato CE ed il ->
Parlamento europeo aveva emanato due risoluzioni in materia. Alla vigilia
dell'inaugurazione della CIG, la Commissione ha formulato chiaramente le sue
aspettative.
Problematiche fondamentali
I negoziati intergovernativi vertono su tre settori tematici. Il primo riguarda i
cittadini e l'Unione europea e tratta le questioni relative al consolidamento dei
diritti del cittadino e dei diritti fondamentali nel TUE, all'incremento della
trasparenza nelle procedure dell'UE ed al miglioramento della sua sicurezza
interna. Il secondo settore si incentra sull'aumento dell'efficienza delle procedure
attraverso una possibile estensione della votazione a maggioranza, la revisione
delle ponderazioni nelle votazioni in seno al Consiglio (per migliorare l'equilibrio
tra gli Stati membri più grandi e meno grandi) e la semplificazione delle procedure
con particolare riguardo il potere di codecisione del Parlamento europeo ( ->
procedura decisionale). Il terzo settore è riferito ad una maggiore capacità di
azione dell'UE nella politica estera e di sicurezza comune da realizzarsi con
l'istituzione di una unità di analisi e di pianificazione, (eventuali) modifiche del
sistema decisionale, con una più intensa presenza dell'Unione in politica estera e
con l'ulteriore sviluppo della politica di difesa. In tempi recenti è tornato alla
ribalta dell'Unione il tema della politica europea per l'occupazione a causa
dell'elevato numero di disoccupati. Inoltre, una proposta franco-tedesca ha messo
sul tappeto la questione generale della flessibilità delle procedure, nel senso di
permettere eventualmente ad un gruppo di Stati membri di avanzare con più
celerità nel processo di integrazione.
Bilancio
A tutt'oggi la conferenza intergovernativa ha realizzato solo progressi minimi.
Particolari problemi sono causati non solo dall'atteggiamento di chiusura
dell'attuale governo britannico; anche tra gli altri Stati membri le questioni della
concreta portata giuridica degli emendamenti o integrazioni al trattato sono
controverse, sebbene una netta maggioranza dimostri un interesse analogo per le
riforme. In considerazione della necessità di ratificare i risultati scaturiti dai
negoziati, ci si deve attendere soprattutto un consolidamento ed una prudente
evoluzione delle procedure esistenti e delle norme che attualmente disciplinano
l'attribuzione delle competenze.
Mathias Jopp
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http://europa.eu.int/inst/en/cl.htm#european
70
Consiglio europeo
Data di fondazione: 10 dicembre1974.
Base giuridica: Articolo D (disposizioni comuni) del trattato sull'Unione europea.
Frequenza delle riunioni: Almeno 2 volte all'anno; normalmente, però, 3 volte.
Composizione: I capi di Stato o di governo degli Stati membri nonché il presidente
della Commissione europea, con la partecipazione dei ministri degli Affari esteri e
di un membro della Commissione europea.
Modalità di votazione: Consenso.
Nessun'altra «istituzione» ha influenzato così profondamente il processo di
integrazione dell'Europa occidentale negli anni '70, '80 e fino all'inizio degli anni
'90, come il Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo. Di particolare rilievo
sono state le decisioni del Consiglio europeo in merito all'Atto unico europeo
(AUE), al trattato sull'Unione europea (TUE) e ad altre questioni istituzionali delle
CE/UE, soprattutto con riferimento ai numerosi ampliamenti, compresa
l'ammissione nella CE dei cinque nuovi Länder tedeschi.
In senso strettamente giuridico il Consiglio europeo non è un'istituzione della CE.
Fondato su un'intesa tra i governi convenuti alla conferenza di Parigi del 1974, il
Consiglio europeo viene nominato per la prima volta in un testo giuridicamente
vincolante - ma sempre al di fuori del trattato CEE - all'articolo 2 dell'AUE. Anche
nel trattato di Maastricht esso figura nella sezione delle «Disposizioni comuni»
(articolo D, TUE) «a monte» (per così dire) della Comunità europea e, quindi, al di
fuori dei checks and balances costituzionali di quest'ultima.
I compiti istituzionali fissati dal trattato
Secondo l'articolo D del TUE, il Consiglio europeo «dà all'Unione l'impulso
necessario al suo sviluppo e ne definisce gli orientamenti politici generali». Il
Consiglio europeo elabora, inoltre, «un progetto di indirizzi di massima per le
politiche economiche degli Stati membri e della Comunità» (articolo 103,
paragrafo 2, CE) e «definisce i principi e gli orientamenti generali della politica
estera e di sicurezza comune» (articolo J.8, paragrafo 1, TUE; -> politica estera e di
sicurezza comune).
Funzioni effettive
La gamma delle sue attività e funzioni effettive è - rispetto a tale elenco - molto
più vasta e differenziata.
Innanzitutto, va ricordato il suo ruolo di «architetto costituzionale». Assai spesso
attribuita al Consiglio europeo, questa funzione - che consiste nel dare alla
costruzione europea un «impulso politico generale» e nel deliberare sulle questioni
inerenti l'Unione europea - all'inizio, cioè negli anni 70, è stata da esso svolta con
molto riserbo. Solo a partire dagli anni 80 il Consiglio ha cominciato e dar vita a
numerose iniziative, alcune delle quali di vasta portata, come la convocazione
delle conferenze intergovernative sull' Atto unico europeo, sull'-> unione
economica e monetaria (Strasburgo, 1989) e sull'-> unione politica (Dublino,
1990), da esso decisa con l'adozione del trattato sull'Unione europea (Maastricht,
1992).
Con tali decisioni, i capi di Stato e di governo hanno notevolmente ampliato la
sfera delle attività comuni. Dalla conferenza al vertice dell'Aia del 1969 che
suggellò la nascita della cooperazione politica europea, fino all'adozione degli
elementi essenziali dell'Atto unico europeo e del trattato di Maastricht sull'Unione
europea - con i quali venivano esplicitamente integrate nei trattati europei
politiche del tutto nuove o nuovi «pilastri» - i capi di Stato e di governo hanno
sempre definito i problemi dell'Europa occidentale come compiti comuni della CE e
di altre forme della loro cooperazione, fissando anche le modalità secondo le quali
essi andavano affrontati.
Una seconda funzione è rappresentata dall'individuazione delle grandi linee
direttive nelle questioni economiche e sociali e dalle dichiarazioni di politica
estera, che sono considerate di particolare importanza («Organo di indirizzo
politico»). Soprattutto in politica estera, il Consiglio europeo ha assunto un profilo
sempre più netto. Esso ha rilasciato proprie prese di posizione su tutte le questioni
più spinose e critiche della politica internazionale degli anni 70, 80 e dei primi
anni 90, dal Sudafrica, al Medio Oriente, alla dissoluzione dell'Unione Sovietica.
Particolare significato, ai fini dello sviluppo della CE, ha avuto una funzione che il
Consiglio europeo non menziona o considera soltanto subordinata: quella di
adottare esso stesso, almeno de facto, decisioni essenziali per la Comunità
europea («produttore di decisioni»). In tal modo, il Consiglio è divenuto un'istanza
decisionale fondamentale della Comunità, specialmente nelle più controverse
questioni finanziarie e istituzionali, anche se esso non ha mai assunto in nessun
caso decisioni giuridicamente vincolanti per la CE/UE. Agli indirizzi politici dei capi
di governo è stata poi data la forma di atti giuridici della CE/UE attraverso la
normale procedura prevista dai trattati.
Modalità decisionali
I processi decisionali del Consiglio europeo obbediscono ad una serie di
caratteristiche costanti. Un aspetto essenziale di tale processo è rappresentato dal
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varo dei cosiddetti «pacchetti negoziali»: solo i capi di Stato e di governo sono in
grado, infatti, di «compensare», vicendevolmente e tra più settori politici, le
richieste e le concessioni degli Stati membri. Proprio come nell'Atto unico europeo
- dove l'interesse di taluni Stati membri all'apertura del -> mercato interno venne
collegato alla richiesta di una migliore «coesione economica e sociale» - il
Consiglio europeo è riuscito più volte nella storia della CE a portare avanti la
costruzione europea anche grazie a metodi da «mercato dei cavalli» tra Stati
membri; è certamente vero che tutto ciò richiede ai capi di governo molto tempo e
notevoli sforzi, ma il progresso della Comunità (o dell'Unione europea), dipende in
misura decisiva da questo tipo di trattative al vertice. Lo ha recentemente
dimostrato la genesi delle prime sezioni del trattato di Maastricht sull'Unione
europea, quando i capi di governo sono stati costretti - e contro le loro originali
intenzioni - ad occuparsi intensamente di formulazioni concrete. I tentativi dei
capi di Stato e di governo di indicare semplicemente grandi obbiettivi politici si
sono rivelati poco solidi: proprio nel dettaglio «tecnico», infatti, finisce con
l'emergere chiaramente la controversia politica e solo a tale livello possono,
quindi, essere assunte le decisioni più difficili.
I capi di governo dei paesi più grandi possono influenzare i dibattiti in seno al
Consiglio europeo più profondamente di quanto accada in seno al -> Consiglio
dell'Unione europea. A seconda del tema in discussione, però, anche il presidente
della -> Commissione europea o singoli capi di governo di Stati minori possono
giocare un ruolo di primaria importanza. Lo stile di negoziazione è più diretto e più
personale che nel Consiglio dell'UE. Il presidente di turno del Consiglio europeo
assume importanti compiti direttivi in tutte le fasi del processo decisionale in
misura più ampia che in seno al Consiglio.
Effetti su altri organi dell'UE
All'atto della fondazione del Consiglio europeo esisteva il non infondato timore
che tale organo avrebbe finito col modificare in modo permanente l'equilibro
istituzionale della Comunità delle origini. Ci si attendeva in molti casi che i capi di
governo annullassero il monopolio dell'iniziativa legislativa della Commissione
europea, «declassassero» il Consiglio dell'Unione a camera subordinata e si
sottraessero de facto anche ai pochi poteri del -> Parlamento europeo (PE). A
fronte di tali timori, l'evoluzione del Consiglio europeo mostra un bilancio
contraddittorio: nei settori comunitari di cui i capi di Stato e di governo si
occupano personalmente, sono essi che - sia pure dopo l'attività preparatoria della
Commissione e del Consiglio - di fatto, decidono e che spesso hanno ridotto le
norme previste dai trattati a «procedure di ratifica» puramente formali. In
numerosi altri settori il Consiglio europeo non ha toccato direttamente, o lo ha
fatto solo raramente, la normale cooperazione istituzionale. Nel complesso, la
Commissione e, specialmente il suo stesso presidente, hanno assunto, attraverso il
Consiglio europeo, un profilo più netto e prestigio maggiore, dal momento che
sono presenti in tale organo supremo e possono utilizzare le «conclusioni» del
Consiglio europeo come autorevole «mandato» per molte delle loro attività a
livello dell'UE. Attraverso le decisioni del Consiglio europeo sono stati anche
ampliati i diritti della Commissione soprattutto in seno alle procedure
intergovernative relative alla politica estera e di sicurezza comune e alla
cooperazione dei ministri della Giustizia e degli Affari interni.
Le conseguenze sono invece più negative nei confronti del Parlamento europeo:
pur essendo, da qualche tempo, possibile che, all'inizio di ogni seduta del Consiglio
europeo, il presidente del PE illustri la posizione degli eurodeputati, di fatto i diritti
propri del PE nei confronti del Consiglio, stabiliti dai trattati, restano puramente
«formali» se quest'ultimo è vincolato alle decisioni del Consiglio europeo e non è,
quindi, disposto - in seno alla procedura CE vera e propria - che a trattative
meramente marginali.
Anche al di fuori dei controlli e contrappesi costituzionali (checks and balances) che nel trattato di Maastricht sono stati nuovamente ed esplicitamente
confermati - la posizione del Consiglio europeo resta assai problematica dal punto
di vista giuridico-costituzionale, anche perché le sue attività restano sottratte ad
un possibile controllo da parte della Corte di giustizia delle Comunità europee ( ->
Corte di giustizia europea; articolo L, TUE).
Il bilancio della politica di integrazione
Il Consiglio europeo ha esercitato un'azione efficace sulla politica di integrazione.
Con la loro partecipazione diretta, i capi di Stato e di governo hanno sostenuto, e
continuano a sostenere, una responsabilità immediata, anche nei confronti della
stabilità, dell'efficienza e della direzione di sviluppo della CE e dell'UE. In tal modo,
quest'organo non è il prodotto casuale dell'umore politico di qualche capo di
governo ma segno di una poderosa evoluzione dell'Europa occidentale verso
un'impiego comune degli strumenti di governo e, quindi, verso una nascente
fusione istituzionale.
Wolfgang Wessels
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http://ue.eu.int/angl/summ2.htm
74
Consiglio dell'Unione
europea
Base giuridica: Articoli da 145 a 148 e da 150 a 154 del trattato CE.
Competenze: Potere decisionale, coordinamento delle politiche nazionali,
competenze di esecuzione.
Composizione: Un rappresentante di ciascuno Stato membro a livello ministeriale
Sistema di votazione: Le decisioni sono adottate a maggioranza semplice o
qualificata, ovvero all'unanimità.
Il Consiglio dell'Unione è l'istituzione che rappresenta gli Stati membri. Esso svolge
anche le funzioni di un organo legislativo e dispone di competenze di esecuzione.
Pur non originariamente dotato di una propria struttura amministrativa, il rapido
aumento delle funzioni della Comunità europea in termini quantitativi e qualitativi
ha portato ad un sovraccarico di lavoro ed alla moltiplicazione dei settori in cui è
prevista la partecipazione dell'istituzione, che attualmente si può riunire in oltre
20 «consigli settoriali» composti dai ministri competenti per le materia più diverse.
Già nel 1958 il -> comitato dei rappresentanti permanenti (Coreper) fu istituito a
sostegno dei lavori del Consiglio. Al Coreper furono subordinati gruppi di lavoro
composti da funzionari nazionali, il cui numero oggi si aggira attorno ai 200. Il
Coreper ed i gruppi di lavoro costituiscono, assieme al segretariato generale del
Consiglio, la struttura di sostegno, ormai notevolmente accresciuta, del Consiglio.
La storia del Consiglio dei ministri, così denominato fino all'entrata in vigore
dell'Unione europea il 1 novembre 1993, è stata fortemente caratterizzata, negli
anni dal 1970 al 1985, dalla carenza di poteri decisionali. La mancata applicazione
della possibilità prevista dal trattato CEE di votazione a maggioranza qualificata in
diversi settori, l'-> ampliamento della CE nel 1973, così come l'incapacità degli
Stati membri di definire unanimemente, dopo il raggiungimento degli obiettivi del
mercato comune ( -> mercato interno) finalità comuni di più ampio respiro,
bloccarono il Consiglio in una «trappola decisionale». L'istituzionalizzazione del ->
Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo (1994), subentrato ai «vertici» che
precedentemente si riunivano periodicamente ma senza scadenza precisa, costituì
il tentativo di creare un'autorità politica che doveva facilitare il lavoro del
Consiglio dei ministri e degli altri organi comunitari, definendo in termini chiari
priorità e linee direttrici. In realtà, la creazione del Consiglio europeo ridusse
ulteriormente la funzione e l'autorità decisionale del Consiglio, poiché si instaurò
la prassi di demandare le decisioni importanti ai capi di Stato e di governo.
Una certa dinamicità al processo decisionale all'interno del Consiglio dei ministri
fu apportata dall'-> Atto unico europeo (AUE) del 1986 e soprattutto
dall'obiettivo, condiviso da tutti gli Stati membri, di completare il mercato interno.
Anziché affrontare direttamente il problema del rifiuto da parte degli Stati membri
di applicare la votazione a maggioranza, l'AUE stabilì abilmente un collegamento
tra il principio di maggioranza e le decisioni attinenti alla realizzazione del
mercato interno. Dal 1986, la prassi ha dimostrato che il processo decisionale del
Consiglio si è accelerato e che le delibere adottate a maggioranza sono diventate
prassi normale.
Il trattato sull'Unione europea ha abrogato la differenziazione, presente ancora
nell'AUE, tra Consiglio dei ministri della CE e le riunioni ministeriali che si tengono
nel quadro delle relazioni esterne. L'organo competente in materia di -> politica
estera e di sicurezza comune (PESC) nonché nella collaborazione nei settori della
giustizia e degli affari interni è ora il Consiglio, e nella PESC è stata persino
introdotta la possibilità, in circostanze particolari, di adottare decisioni a
maggioranza qualificata. L'interdipendenza dei tre pilastri dell'->Unione europea
(UE) si riflette attualmente nella denominazione ufficiale di «Consiglio dell'Unione
europea».
Funzioni e posizione istituzionale
La funzione principale del Consiglio consiste nel rappresentare gli interessi degli
Stati membri a livello dell'Unione. Il fatto che il Consiglio disponga al contempo di
competenze generali di decisione, dimostra che la politica dell'UE è
sostanzialmente determinata dagli interessi degli Stati membri e che questi
prevalgono sugli interessi della Comunità, rappresentati dalla -> Commissione
europea e dal -> Parlamento europeo.
Originariamente il Consiglio disponeva di un potere esclusivo di decisione in tutti i
settori della politica comunitaria. Anche le competenze di esecuzione erano
prevalentemente esercitate dal Consiglio. Sebbene la posizione del Consiglio
all'interno del sistema istituzionale non abbia subito sostanziali modifiche, ora il
Consiglio è tenuto a delegare le proprie competenze di esecuzione alla
Commissione ed a condividere la funzione decisionale con il Parlamento europeo
in materie come il -> bilancio e l'associazione di Stati terzi e per la conclusione di
nuovi trattati di adesione all'UE. Con l'introduzione nell'AUE della «procedura di
cooperazione» (articolo 189C del trattato CE) tra il Consiglio ed il Parlamento e
della «procedura di codecisione» (articolo 189 B) nel trattato dell'Unione europea,
l'influenza esercitata dal Parlamento sulla legislazione CE/UE si è andata
sensibilmente rafforzando. Nel settore dell' Unione economica e monetaria il
Consiglio, su raccomandazione della Commissione, è responsabile del
coordinamento e della sorveglianza multilaterale delle politiche nazionali di
bilancio.
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76
La posizione ancora dominante del Consiglio all'interno del sistema istituzionale è
stata ulteriormente limitata soprattutto dal fatto che nella sfera delle politiche
comunitarie, con qualche trascurabile eccezione, può agire soltanto sulla base di
una proposta della Commissione. Ad ogni riunione del Consiglio e degli organi a
lui subordinati prendono parte anche rappresentanti della Commissione, che
hanno facoltà di modificare o di ritirare la proposta della Commissione in qualsiasi
momento. Atteso che il Consiglio può modificare una proposta della Commissione
soltanto deliberando all'unanimità, mentre in molti casi può adottare un testo
presentato dalla Commissione a maggioranza qualificata, ne consegue che in seno
al Consiglio, senza l'accordo della Commissione, possono essere adottate solo
poche decisioni. Attualmente invece, nella PESC il diritto di iniziativa (articolo J.8,
paragrafo 3, TUE) è esercitato sia dalla Commissione che dagli Stati membri,
mentre nella cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni tale
facoltà è accordata in primo luogo agli Stati membri (articolo K.3, paragrafo 2,
TUE).
Sistemi di votazione
Le modalità di votazione del Consiglio non sono disciplinate in un unico corpo di
disposizioni, bensì in distinti articoli del trattato CE che sanciscono in che forma e
con l'applicazione di quale sistema di votazione le singole istituzioni prendono
parte al -> processo decisionale. In base al trattato, la votazione a maggioranza
semplice in seno al Consiglio viene adottata ogniqualvolta non sia espressamente
indicato diversamente. Le votazioni che richiedono una particolare maggioranza
(«maggioranza qualificata»), o addirittura che devono essere adottate
«all'unanimità», rappresentano tuttavia la norma. In determinate decisioni di
rilievo costituzionale, oltre all'approvazione all'unanimità è richiesta la ratifica da
parte degli Stati membri, in conformità delle loro rispettive norme costituzionali
(ad es. in materia di risorse proprie ai sensi dell'articolo 201 del trattato CE).
Quando è richiesta la maggioranza qualificata, ai voti degli Stati membri viene
attribuita la seguente ponderazione stabilita all'articolo 148, paragrafo 2, del
trattato CE: Germania, Francia, Regno Unito ed Italia 10 voti ciascuna, Spagna 8,
Belgio, Grecia, Paesi Bassi e Portogallo 5, Austria e Svezia 4, Danimarca, Finlandia
ed Irlanda 3, Lussemburgo 2.
La maggioranza qualifica è raggiunta quando una delibera è sostenuta da almeno
62 voti favorevoli su 87; 26 voti (29%) possono quindi costituire la «minoranza
qualificata».
Il trattato CEE disponeva che, al termine di un periodo transitorio, determinate
decisioni potessero essere adottate a maggioranza qualificata. Nel 1965, anno
della prevista introduzione di tale principio, la Francia vi si oppose e ritirò il
proprio rappresentante dalle riunioni del Consiglio («politica della sedia vuota»).
Nei nove mesi che seguirono il Consiglio si trovò nell'impossibilità di decidere
alcunché, fino a che, il 18 gennaio 1966 fu raggiunto il cosiddetto «compromesso
di Lussemburgo». Esso prevedeva che in seguito, allorché fossero stati in gioco
«interessi nazionali vitali», si doveva proseguire nella ricerca di un compromesso
fintanto che lo Stato membro interessato si fosse allineato alla decisione comune.
In pratica questo «compromesso» ha fatto sì che tra il 1966 ed il 1985 in seno al
Consiglio, salvo poche eccezioni, le votazioni a maggioranza fossero limitate
soltanto alle questioni di bilancio. L'interpretazione implicitamente accettata dagli
Stati membri, che vedevano nel «compromesso di Lussemburgo» un diritto di veto
nei confronti di una delibera che non li trovava d'accordo, ha fatto sì che di regola
si cercasse di raggiungere l'unanimità, consentendo così anche ad un solo Stato
membro di bloccare o rinviare per anni l'adozione di una decisione del Consiglio.
L'AUE non ha abrogato il compromesso di Lussemburgo, ma ha portato alla
sospensione della sua applicazione. Nei negoziati per l'ampliamento dell'UE a
Finlandia, Austria e Svezia, il Regno Unito e la Spagna si opposero per lungo
tempo all'adeguamento aritmetico dei voti necessari per raggiungere la
maggioranza (62) o viceversa la «minoranza» qualificata (26). Entrambi i paesi
volevano mantenere - per salvaguardare l'influenza dei «grandi» Stati e, nel caso
della Spagna, per mantenere un «fronte meridionale» - la vecchia regola di 23 voti
per formare un blocco minoritario. La soluzione adottata nell'aprile del 1994
assomiglia ad un rilancio parziale del compromesso di Lussemburgo: in linea di
principio solo 26 voti costituiscono una minoranza ma, qualora siano espressi da
23 a 25 voti contrari, si devono svolgere ulteriori negoziati in materia, ma non
viene stabilito per quanto tempo. È un segnale indicativo di un diffuso disegno di
«rinazionalizzazione» della politica europea.
Funzionamento: un meccanismo orientato alla ricerca del
consenso
Indipendentemente dal sistema di votazione applicato nel singolo caso, il Consiglio
nel suo funzionamento costituisce un meccanismo orientato alla ricerca del
consenso tra gli Stati membri. Il processo decisionale, all'interno di questo
meccanismo, si svolge su tre distinti livelli. Numerosi gruppi di lavoro composti da
funzionari nazionali sono chiamati a discutere gli aspetti tecnici delle proposte
elaborate dalla Commissione. I gruppi di lavoro trasmettono tutti i testi da loro
esaminati al -> comitato dei rappresentanti permanenti, che agisce in qualità di
una seconda «camera di compensazione», che, a questo livello già politico, cerca di
comporre le divergenze di interessi ancora esistenti tra gli Stati membri e di
produrre un testo di delibera che in alcuni casi può essere approvato anche a
maggioranza qualificata. In entrambi i casi, la presidenza è assunta da un
rappresentante dello Stato membro che esercita la Presidenza nel Consiglio. La
stretta compenetrazione tra le amministrazioni degli Stati membri e l'UE è
dimostrata dal fatto che i gruppi di lavoro sono composti prevalentemente dai
funzionari nazionali che sono presenti anche negli organismi consultati dalla
Commissione nella fase preparatoria dei progetti di decisione. Le rappresentanze
permanenti presso l'UE costituiscono il più importante anello di congiunzione tra
gli Stati membri e l'Unione; esse sono costantemente a stretto contatto con la
Commissione ed i rappresentanti permanenti degli altri Stati membri.
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Le riunioni del Consiglio sono avvenimenti importanti, in occasione delle quali i
ministri sono accompagnati e assistiti da esperti e possono avere fino ad un
centinaio di persone al seguito. Sempre più spesso accade tuttavia che il Consiglio,
nelle sue varie vesti, si riunisca in sedute «informali», nelle quali i ministri
discutono tra loro. Per risolvere problemi di particolare gravità hanno luogo i
cosiddetti «Supervertici», ai quali partecipano i ministri responsabili di due o più
dicasteri di ciascuno Stato membro. Sulla scia del dibattito sulla trasparenza
avviato dopo Maastricht, dal 1993 si tengono, per la prima volta, riunioni
pubbliche del Consiglio.
Nonostante la possibilità, colta con sempre maggiore frequenza, di adottare una
votazione a maggioranza qualificata, nella prassi corrente la ricerca dell'unanimità
prevale a tutti i livelli del Consiglio. Anche gli Stati membri che rientrano nella
maggioranza sono consapevoli che in altre questioni essi stessi si potrebbero
trovare in posizione di minoranza, nel qual caso dipenderebbero dalla
comprensione dei loro partner. Inoltre, le discussioni in seno al Consiglio sono per
lo più caratterizzate da coalizioni tra Stati membri, che possono cambiare
velocemente. Ridurre con troppa rapidità alcuni Stati membri all'isolamento
potrebbe significare che probabilmente non si potrà contare in seguito sulla
maggioranza qualificata. In pratica, pertanto, le delibere vengono adottate a
maggioranza soltanto quando uno o più Stati membri non vogliono o non possono
accettare un compromesso.
Uno dei più importanti strumenti della capacità operativa del Consiglio è
rappresentato dalla presidenza, che è esercitata a turno dagli Stati membri ogni
semestre. Assistita dal segretariato generale del Consiglio - la «memoria» di tale
istituzione -, spetta alla Presidenza preparare i lavori del Consiglio, condurre le
discussioni e sondare la possibilità di compromessi tra gli Stati membri. In questo
ultimo compito il presidente lavora a stretto contatto con la Commissione, in
quanto un compromesso spesso può essere raggiunto solo con il suo contributo.
Prospettive
Per il futuro si pone la questione se il Consiglio si svilupperà nella direzione di un
Consiglio federale o Senato europei. Tuttavia è realistico aspettarsi che il
Consiglio, come è avvenuto fino ad oggi, condividerà le proprie competenze solo
gradualmente con altri organismi dell'UE e soprattutto con il Parlamento europeo.
In modo più sensibile che nelle federazioni di tipo tradizionale, l'Unione europea
sarà caratterizzata anche in futuro dalla doppia legittimità degli Stati membri nel
Consiglio e dalla rappresentanza popolare nel Parlamento europeo. Giova
sottolineare che il Consiglio possiede oggi una vasta competenza nel quadro dei
vigenti trattati comunitari, e anche nei settori che non rientrano tra le politiche
comuni della PESC e della collaborazione nei settori della giustizia e degli affari
interni e pertanto deve adoperarsi al fine di mantenere la coerenza tra le attività
svolte dai tre pilastri dell'Unione.
Christian Engel
http://www.eca.eu.int/
Corte dei conti europea
Base giuridica: Articolo 4; articoli da 188 A a 188 C e 206 del trattato CE.
Obiettivi: Esame della gestione finanziaria e contabile, nonché della legittimità e
regolarità di tutte le operazioni di pagamento dell'UE e dei suoi organi; esame
dell'efficienza economica del bilancio dell'UE.
Strumenti: Dopo la chiusura di ciascun esercizio finanziario, la CC compila una
relazione annuale che il PE provvede ad esaminare, prima di consentire alla
Commissione europea lo scarico del bilancio. Se necessario, la CC può presentare
delle relazioni speciali.
Composizione: 15 membri, corrispondenti al numero degli Stati membri dell'UE,
nominati per sei anni dal Consiglio, che delibera all'unanimità, previa
consultazione del PE. Il presidente viene eletto per tre anni. La sede è a
Lussemburgo.
Modalità di votazione: La CC europea è un organo collegiale e, normalmente,
decide a maggioranza dei suoi membri. Ai singoli membri vengono assegnati
specifici settori di controllo.
La Corte dei conti europea (CC) è un organo che è cresciuto parallelamente allo
sviluppo dell' -> Unione europea. Il trattato sull'Unione europea, del 7 febbraio
1992, innalza la CC al rango di un'istituzione della Comunità (articolo 4 CE nuovo
testo). La Corte dei conti venne istituita dal trattato del 22 luglio 1975 (entrato in
vigore l'1 giugno 1977) firmato dai governi degli Stati membri che modificava
talune disposizioni finanziarie. Parallelamente al consolidamento delle finanze
della Comunità europea e al conferimento ad essa di entrate proprie - nel
frattempo, grazie alle decisioni del -> Consiglio europeo del dicembre 1992, la CE
poteva concentrarsi sul completamento dell'UE ( -> bilancio) - era opportuno che
anche il controllo sul bilancio comunitario venisse perfezionato e rafforzato.
L'istituzione della Corte dei conti andò di pari passo con la nuova ripartizione dei
poteri di bilancio e con la riformulazione delle norme sulle procedure di bilancio
del 1975, attraverso la quale vennero assegnati, soprattutto al -> Parlamento
europeo (PE), più ampi poteri nell'elaborazione e nella definizione del bilancio
comunitario. Con il trattato del 22 luglio 1975, il PE ottenne, tra l'altro, la
prerogativa esclusiva di concedere alla -> Commissione europea - che esegue il
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80
bilancio sotto la propria responsabilità - lo scarico del medesimo. Il PE è tenuto in
tale circostanza a cooperare con la CC che, a questo scopo, dopo la conclusione di
ogni esercizio finanziario, presenta una propria relazione.
La Corte dei conti esamina i conti di tutte le entrate e le spese della Comunità e
dell'Unione europea. L'intero complesso del bilancio della CE/EU rientra nelle sue
competenze, funzione che ha cominciato a svolgere con l'esame dei bilanci dal
1984 al 1986 e che ora copre l'intero bilancio dell'UE e delle tre Comunità che
operano al suo interno. In linea di massima, tale controllo si estende anche agli
organismi creati dalle istituzioni e ad esse subordinati. La funzione più importante
della Corte dei conti è la presentazione della relazione annuale sui conti di
gestione della CE, sull'attività finanziaria della CECA e - a seconda dei casi - di
determinati organismi ausiliari delle istituzioni. Si tratta di norma solo di un
controllo a posteriori della gestione finanziaria. Una norma - in base alla quale, in
qualsiasi momento, la Corte dei conti può prendere posizione su questioni
particolari e, nell'ambito di un controllo concomitante, verificare, con lo strumento
delle relazioni speciali, operazioni non ancora concluse - garantisce la trasparenza
e pubblicità del bilancio. L'iniziativa in questo senso può essere assunta dalla
Corte dei conti stessa o da altre istituzioni europee.
Dal 1977 la Corte dei conti ha assunto gradualmente lo status di organo
autonomo di controllo e verifica, la cui oggettiva autorità e capacità di imporsi
sono ampiamente riconosciute. Ciò nonostante, la Corte dei conti si trova in una
situazione istituzionale difficile. Infatti, tra il PE - che è il suo partner nell'attività
di controllo, in quanto autorità di bilancio, e con il quale essa, in tale funzione,
prevalentemente coopera - e la Commissione, alla cui gestione contabile e
finanziaria il PE, in base alla relazione della Corte dei conti, concede lo scarico, si
instaura, com'è inevitabile in questi casi, una relazione piena di tensioni. La Corte
dei conti si è occupata in modo particolarmente analitico della -> politica agricola
dell'UE, alla quale essa ha sempre rimproverato, tra l'altro, uno scarso senso per
l'equilibrio del mercato e la mancanza di norme efficaci per la contabilizzazione e
la valutazione delle giacenze dovute a sovrapproduzione, nonché carenti controlli
dei rimborsi alle esportazioni. In questo campo della lotta alle frodi, che suscita
vasta eco nell'opinione pubblica europea, il PE chiede, da tempo, l'istituzione di
un'unità di controllo comunitaria indipendente, dotata del potere di adottare
provvedimenti urgenti.
Thomas Läufer
http://europa.eu.int/cj/index.htm
Corte di giustizia delle
Comunità europee
Base giuridica: Articoli da 165 a 188 del trattato CE; articolo L del trattato
sull'Unione europea (TUE).
Obiettivi: La Corte di giustizia assicura il rispetto del diritto nell'interpretazione e
nell'applicazione del trattato CE e del TUE.
Composizione: 15 giudici ed 8 avvocati generali (articoli 165 e 166 CE) nominati
di comune accordo per sei anni dai governi degli Stati membri. I giudici designano
tra loro, per tre anni, il presidente della Corte. Ogni tre anni si procede ad un
rinnovamento parziale dei giudici e degli avvocati generali (articolo 167 CE). La
sede è a Lussemburgo.
Modalità di votazione: Nei casi dei ricorsi da parte di Stati membri o di istituzioni
delle Comunità, la CGCE si riunisce, a richiesta, in seduta plenaria. Altrimenti essa
può istituire sezioni composte di tre, cinque o sette giudici ciascuna (articolo 165
CE). Le discussioni non sono pubbliche. Le decisioni della Corte sono prese alla
maggioranza dei giudici. Lingue procedurali sono le lingue ufficiali dell'UE. Lingua
di lavoro è il francese.
La Corte di giustizia delle Comunità europee (CGCE) è una delle cinque principali
istituzioni della Comunità (articolo 4, n. 1, CE). In origine, tramite l'accordo sulle
istituzioni comuni delle Comunità europee, del 25 marzo 1957, essa fungeva da
Corte comune delle Comunità.
I suoi avvocati generali preparano parallelamente ai giudici relatori le cause
pendenti davanti alla Corte, esprimono su di esse, nella fase orale, la loro posizione
indipendente e, soprattutto, presentano in tale sede le proprie conclusioni in
forma di parere giuridico insieme a concrete proposte di decisione. Gli avvocati
generali, pur essendo membri della Corte in quanto istituzione, non prendono
parte né alla formazione delle sentenze né alle votazioni. La posizione eminente
della CGCE in seno al sistema comunitario e la sua autorità nell'interpretazione e
nell'applicazione del diritto comunitario derivano soprattutto dal fatto che essa
decide a maggioranza seguendo esclusivamente la propria concezione del diritto e
della giustizia. Essa agisce, insomma, come un autentico organo sovrannazionale,
non vincolato agli interessi degli Stati membri.
81
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Dati e competenze
In qualità di unico organo di controllo giurisdizionale dell'UE, alla Corte di
giustizia sono stati demandati numerosi compiti istituzionali non riconducibili
all'esercizio della semplice funzione giudiziaria. La Corte può infatti agire in
qualità di:
•
giudice costituzionale: definisce e chiarisce i diritti e gli obblighi reciproci
delle istituzioni europee e dei rapporti che intercorrono tra gli Stati membri e
l'UE;
•
giudice della legittimità: esamina la compatibilità degli atti di diritto derivato
(atti emanati dal -> Consiglio dell'UE e dalla -> Commissione europea) con i
trattati e con i principi fondamentali del diritto;
•
giudice amministrativo: esamina i ricorsi di persone fisiche e giuridiche contro
provvedimenti dell'UE che li riguardano direttamente e le controversie tra l'UE
e i suoi dipendenti (cause del personale);
•
giudice civile: accerta la responsabilità extracontrattuale ed esamina le cause
per il risarcimento dei danni cagionati dalle istituzioni della CE/UE o dai loro
agenti nell'esercizio delle loro funzioni amministrative;
•
tribunale arbitrale: in taluni casi particolari la CGCE può fungere da tribunale
arbitrale in forza di una clausola attributiva di competenza.
Inoltre, il Consiglio, la Commissione o uno Stato membro possono chiedere alla
CGCE pareri sulla compatibilità con il trattato CE di un accordo progettato tra l'UE
ed un Paese terzo o una organizzazione internazionale (articolo 228, n. 6, trattato
CE). In questo caso, la CGCE svolge, almeno parzialmente, anche una funzione di
controllo sulla validità di atti internazionali. Tutte queste competenze sono
rimaste invariate anche dopo la ratifica del trattato sull'Unione europea (TUE) da
parte dei parlamenti nazionali. Nel quadro del TUE, le competenze della CGCE si
limitano espressamente agli atti giuridici comunitari - in particolare modifiche al
trattato e trattati di adesione - (articolo L del TUE).
Tipi di ricorsi e di procedimenti
I principali procedimenti esperibili dinanzi alla CGCE sono i seguenti:
•
ricorsi diretti all'annullamento di atti comunitari aventi efficacia obbligatoria
promossi da istituzioni od organismi dell'UE, dai suoi Stati membri e - in
taluni casi - anche da singole persone fisiche o giuridiche (articolo 173 CE);
•
procedimenti di infrazione, promossi dalla Commissione o da uno Stato
membro contro un altro Stato membro per violazione di obblighi imposti dai
trattati o dagli atti di diritto comunitario derivato, (articoli 169 e 170 CE) o da
trattati conclusi dall'UE (p.es., articolo 228 CE);
•
ricorsi per carenza promossi da istituzioni dell'UE e dagli Stati membri contro
il Consiglio o la Commissione qualora si astengano dal prendere decisioni
prescritte dal diritto comunitario (articolo 175 CE);
•
controversie relative all'applicazione o all'interpretazione dello statuto dei
funzionari, cioè controversie tra l'UE ed il suo personale (articolo 179 CE).
Oltre alle sentenze in merito al diritto dei trattati e alla legittimità dei singoli atti
di diritto derivato, la CGCE si pronuncia sempre più spesso in via pregiudiziale
(articolo 177 CE), cioè dietro richiesta di una giurisdizione nazionale (il cosiddetto
rinvio pregiudiziale) sull'interpretazione e sulla validità di disposizioni del diritto
comunitario che tale giurisdizione reputi rilevanti per la definizione di un
procedimento pendente dinanzi ad essa. La pronuncia pregiudiziale della CGCE è
vincolante per il tribunale nazionale che ha posto il quesito pregiudiziale. Proprio
lo strumento dell'interpretazione in via pregiudiziale rappresenta un importante
canale di collegamento tra la CGCE e le giurisdizioni degli Stati membri in quanto
consente l'applicazione uniforme del diritto comunitario in tutta Europa e
garantisce anche una giurisprudenza europea uniforme.
Il Tribunale di primo grado
Con decisione del Consiglio del 24 ottobre 1988 alla CGCE venne affiancato un
«Tribunale di primo grado delle CE», il quale, in determinate materie (statuto dei
funzionari, questioni di concorrenza), funge da giudice di merito; le sue decisioni
possono essere impugnate dinanzi alla CGCE. La base giuridica per l'istituzione del
Tribunale di primo grado è stata fornita dall'Atto unico europeo che ha inserito nel
trattato CEE l'articolo 168 A. Il nuovo Tribunale è ora composto di 15 membri che
esercitano l'attività giudicante ma che possono anche assolvere alle funzioni di
avvocato generale; la durata del loro incarico è di sei anni. L'istituzione del TPG,
che ha iniziato la propria attività il 31 ottobre 1989, aveva lo scopo di ridurre il
carico di lavoro della CGCE. Attualmente (1993/94), le sue competenze sono state
estese a tutti i tipi di ricorso proposti da persone fisiche e giuridiche contro atti
emanati da istituzioni europee. Ciò servirà a smaltire il numero crescente di
procedimenti che anche i singoli cittadini promuovono dinanzi alla giurisdizione
europea ed a suddividere equamente il carico di lavoro tra la CGCE ed il Tribunale.
Giurisprudenza
Fin dall'inizio la CGCE ha avuto un ruolo fondamentale nel consolidamento della
CE come comunità di diritto. Da essa sono venuti, e continuano a venire, impulsi
significativi per lo sviluppo del diritto comunitario e per l'approfondimento
dell'integrazione europea. Tale funzione è particolarmente evidente nel costante
controllo giurisdizionale degli atti del Consiglio (articolo 189 CE) e
nell'interpretazione del diritto comunitario, che è contemporaneamente
giurisprudenza e, pertanto, anche un elemento caratterizzante del ruolo politico
della Corte di giustizia. Attraverso la propria giurisprudenza, la CGCE ha
permanentemente provveduto a colmare le lacune della normativa comunitaria,
che essa ha sempre considerato espressione di un ordinamento giuridico distinto e
indipendente da quello degli Stati membri e del quale ha dato un'interpretazione,
83
84
in caso di dubbio, favorevole alla Comunità, ai suoi obiettivi di integrazione ed ai
suoi cittadini («in dubio pro Communitate»).
Uno dei compiti di cui la CGCE si è fatta carico in modo particolare è stato quello
di tutelare i diritti umani e fondamentali di fronte al potere sovrano delle CE. Nel
1977, il -> Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione rilasciarono una
dichiarazione comune nella quale professavano il proprio rispetto dei diritti umani
nella Comunità. Ma già in precedenza la CGCE aveva emesso varie sentenze in
tema di tutela dei diritti fondamentali. La maggior parte delle sentenze ha
comunque per oggetto il diritto commerciale (specialmente la concorrenza) e
l'attuazione delle politiche comuni della CE/UE e sono pronunciate soprattutto in
seguito a procedimenti di infrazione ai sensi degli articoli 169 e 170 del trattato
CE. Purtroppo, negli ultimi anni, questi procedimenti hanno raggiunto, e tuttora
mantengono, livelli numericamente elevati. Nel 1993 la Commissione ha iniziato 1
206 procedimenti; in 44 casi ha promosso un ricorso davanti alla CGCE che ha
pronunciato complessivamente 35 sentenze su violazioni di obblighi derivanti dal
diritto comunitario.
Gli effetti delle sentenze
Le sentenze della CGCE vincolano innanzitutto le parti del procedimento. Le
sentenze vengono pubblicate integralmente nella Raccolta ufficiale della Corte; i
loro estremi e il dispositivo vengono anche pubblicati nella Gazzetta ufficiale
dell'UE. Le decisioni della Corte, che pronunciano la nullità totale o parziale di
singoli atti delle CE/UE, hanno effetto erga omnes. Va però notato che sono
suscettibili di esecuzione solo le sentenze che comportano obblighi pecuniari e che
possono essere eseguite dagli Stati membri. Prima dell'entrata in vigore del
trattato sull'Unione europea, i poteri della Corte trovavano il loro limite nella
disponibilità degli Stati membri a sottomettersi spontaneamente alle sue sentenze.
Dal 1993, però, la CGCE può infliggere ammende agli Stati membri che non si
conformano ad una sua sentenza (articolo 171 del trattato CE, nuovo testo).
Thomas Läufer
http://europa.eu.int/pol/cult/en/info.htm
Cultura
Base giuridica: Articolo 128 del trattato CE; articolo 92, paragrafo 3, lettera d),
del trattato CE.
Obiettivi: Migliorare la conoscenza e la diffusione della cultura e della storia dei
popoli europei; tutela dei beni culturali; scambi culturali non commerciali;
incentivi alla creazione artistica e letteraria; sviluppo di un'industria culturale
europea.
Strumenti: Attività e programmi di carattere culturale, politica sociale e
dell'occupazione.
Bilancio 1995: 15,2 milioni di ecu, pari a circa lo 0,02 % del bilancio CE.
La politica dell'Unione europea nel settore culturale
Prima che entrasse in vigore il trattato sull'Unione europea (1993) la cultura e la
politica culturale non avevano ancora alcun esplicito riconoscimento nei trattati
comunitari. Stanti le riserve di ordine politico e costituzionale che vari Stati
mantenevano dinanzi all'ipotesi di una Comunità investita di competenze in
campo culturale, le iniziative culturali dell'UE potevano scaturire soltanto da
singole decisioni del->Consiglio. L'articolo 128 CE (nuovo testo) fornisce ora il
necessario fondamento normativo per l'inserimento del settore culturale tra le
attività dell'Unione europea e prescrive che ogni decisione sia presa dal Consiglio
all'unanimità dopo aver consultato il ->comitato delle regioni.
Nell'UE tutte le istituzioni contribuiscono ad elaborare ed attuare la politica
culturale. Gli impulsi decisivi per ogni iniziativa nel settore culturale vengono dati
dal Consiglio europeo. Il Consiglio formato dai ministri della Cultura e
dell'Istruzione si occupa delle questioni inerenti la politica culturale in generale,
mentre la Commissione europea è responsabile sia della preparazione che
dell'attuazione delle decisioni del Consiglio. La cultura e la politica culturale sono
attualmente di competenza della sua direzione generale X, la cui denominazione
ufficiale è appunto «Informazione, comunicazione, cultura e audiovisivo».
Mediante i poteri di cui dispone in materia di bilancio anche il ->Parlamento
europeo può dare un contributo alla dotazione finanziaria delle iniziative culturali;
tra l'altro, ai sensi dell'articolo 189 B del trattato CE, esso partecipa al relativo
processo decisionale.
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86
Di norma, anche nel settore culturale, l'UE può valersi degli stessi strumenti
giuridici con i quali opera negli altri settori della politica comunitaria; va tuttavia
rilevato che è espressamente esclusa l'armonizzazione delle disposizioni legislative
ed amministrative degli Stati membri. Di norma però il Consiglio si limita ad
emanare risoluzioni e conclusioni che gli Stati membri si impegnano ad osservare
più sul piano politico che sul piano giuridico. Essi forniscono peraltro alla
Commissione un ausilio prezioso in sede di attuazione dei programmi.
Nei settori della->politica economica e della->politica sociale, i programmi
culturali dell'Unione europea sono intesi sia a migliorare la situazione economicosociale di tutti coloro che operano nel settore culturale sia a sviluppare quella che
è stata chiamata la «industria culturale» europea, obiettivo che si ricollega a sua
volta al completamento del->mercato interno. Particolare rilievo assumono a
questo riguardo le sovvenzioni e il trattamento fiscale delle produzioni culturali e
dei beni culturali, la tutela dei diritti degli autori e dei titolari dei diritti connessi e
le garanzie economico-sociali per coloro che operano nel settore culturale, la
promozione dell'industria audiovisiva ( i mezzi di comunicazione di massa), nonché
la formazione e il perfezionamento professionale nel settore culturale.
Sono finalità della politica culturale della Comunità ai sensi dell'articolo 128 CE
l'incoraggiamento, il sostegno ed eventualmente l'integrazione dell'azione degli
Stati membri in settori come il miglioramento della conoscenza e la diffusione
della cultura e della storia dei popoli europei, la conservazione e la tutela dei beni
culturali di importanza europea, gli scambi culturali di carattere non commerciale,
la creazione artistica e letteraria, compresa quella audiovisiva la cooperazione con
gli Stati terzi e le organizzazioni internazionali, in particolare con il Consiglio
d'Europa.
Le attività dell'Unione europea nel settore culturale e della politica culturale
coincidono spesso, sotto il profilo dei contenuti, con l'attività esplicata dal
Consiglio d'Europa, ma da queste si distinguono sotto il profilo del metodo, in
quanto sostengono e contribuiscono al finanziamento di iniziative e programmi
già operativi. Alcuni esempi di questi progetti sono, ad esempio i concerti delle
«orchestre europee» (orchestra dei giovani, orchestra barocca, orchestra jazz), i
festival di poesia, le manifestazioni culturali il più delle volte organizzate da artisti
disoccupati grazie al programma Caleidoscopio 2000, l'aggiornamento e il
perfezionamento professionale dei giovani artisti, la tutela dei beni culturali
(programma Raffaello), lo sviluppo e il consolidamento delle tecniche di
conservazione, la promozione delle traduzioni letterarie (programma Ariane), la
partecipazione all'organizzazione delle manifestazioni annuali «Città europea della
cultura» o «Capitale europea della cultura».
Conclusioni
Se si prescinde dalle attività culturali che hanno un'incidenza diretta sul piano
economico e che rappresentano iniziative «politiche» nel senso proprio del termine,
la politica culturale in tutta l'Unione europea ha principalmente lo scopo di
incentivare e promuovere il massimo numero possibile di iniziative private. La
politica culturale di carattere non commerciale, che pure ha trovato
riconoscimento ufficiale nel trattato di Maastricht, è ancora in attesa di una sua
concretizzazione ad opera della Commissione europea, mentre gli Stati membri
premono soprattutto affinché il principio di sussidiarietà venga osservato alla
lettera. Il vasto e multiforme ventaglio delle iniziative culturali europee continuerà
comunque ad avere il suo motore nell'iniziativa privata, con finalità e sviluppi
propri.
Bernd Janssen
87
http://europa.eu.int/pol/ener/en/info.htm
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Energia
Base giuridica: Norme specifiche per il carbone nel trattato CECA; norme
specifiche per l'energia nucleare nel trattato Euratom; disposizioni generali del
trattato CE relative all'abolizione degli ostacoli al commercio (articoli da 12 a 37)
ed alle regole di concorrenza (articoli da 85 a 94) nonché articolo 3, paragrafo t),
del trattato CE.
Obiettivi: Garantire un approvvigionamento energetico sicuro, a basso prezzo, non
dannoso per la salute umana o per l'ambiente; sviluppare energie alternative;
realizzare il mercato interno dell'energia.
Strumenti: Interventi principalmente nei settori del carbone e dell'energia
atomica; programmi di promozione dell'energia nucleare o delle ricerche sulla
fusione; promozione e aiuti strutturali a progetti di dimostrazione nel settore delle
tecnologie dell'energia; disposizioni per l'interazione nel mercato delle energie
trasportate via cavo o conduttura; determinazione dei livelli di tutela
dell'ambiente nella produzione e nel consumo energetico.
Nell'economia europea dalla metà degli anni 60 la principale fonte energetica è
costituita dal petrolio. Nel 1973 la dipendenza dei paesi CE dal petrolio raggiunse
il culmine, arrivando al 67% del consumo energetico totale, per stabilizzarsi al
45% alla fine degli anni 80. Oltre 4/5 del petrolio utilizzato nella CE devono essere
importati da paesi terzi, percentuale destinata ad aumentare ulteriormente in un
prossimo futuro, quando si esauriranno i campi petroliferi del Mare del Nord. Nel
1994 i 2/3 del petrolio importato provenivano da paesi dell'OPEC. Per il gas
naturale i paesi della CE dipendono per oltre 1/3 dalle importazioni; dagli anni 80
il fornitore principale è la Russia. Le scorte di carbone sono relativamente
abbondanti nell'Unione europea ma gli alti costi di estrazione rendono il prodotto
scarsamente concorrenziale nei confronti del carbone di importazione, che
mantiene i prezzi ad un livello inferiore. L'->Unione europea (UE) è autonoma
esclusivamente per l'energia elettrica prodotta negli impianti idroelettrici o
nucleari, che hanno fornito nel 1994 il 16% dell'energia totale utilizzata. Il
problema principale della politica energetica è garantire la disponibilità di energia
sicura, abbondante e a basso costo. La dipendenza dalle importazioni di petrolio
provenienti dalla regione del Golfo, area di crisi politica mondiale, costituisce un
grave fattore di rischio per il settore energetico. La politica energetica della EU
deve pertanto vegliare prioritariamente a minimizzare tale rischio, conducendo
L’EUROPA DALLA A ALLA Z
segnatamente ricerche sulle energie alternative. Da qualche anno a questa parte,
oltre ai tradizionali problemi di approvvigionamento, si fa sentire con urgenza
sempre maggiore l'esigenza di determinare nuove priorità in campo energetico.
Vanno citati i problemi specifici relativi all'energia nucleare (rischio di fall-out,
problemi di società, smaltimento delle scorie) e, d'altra parte, i molteplici rischi per
l'ambiente derivanti dall'uso di combustibili fossili (carbone, petrolio, gas), che
hanno assunto una dimensione inquietante quando è risultato chiaro che
l'aumento del biossido di carbonio nell'atmosfera poteva influire sulle condizioni
climatiche (effetto serra). Si tratta di problemi comuni a tutti i paesi europei; di
conseguenza si manifesta sempre più la tendenza ad affrontarli sul piano
comunitario.
Fonti di energia
EUR 15 1995 (%)
Produzione
Petrolio
23%
Consumo
Lignite
12%
Elettricità
primaria
4%
Gas
24%
Lignite
13%
Antracite
8%
Nucleare
29%
Totale: 690,6 Mio TEP (*)
Antracite
4%
Elettricità
primaria
2%
Petrolio
44%
Nucleare
16%
Gas
21%
Totale 1.308,4 Mio TEP (*)
(*) La tonnellata di equivalente petrolio (tep/toe) è un'unità standard per misurare i quantitativi di energia che
corrisponde al contenuto energetico di una tonnellata di petrolio grezzo con un valore calorifico netto di 41 868
kjoules/kg.
Evoluzione della politica energetica europea
All'atto della costituzione della Comunità europea non era stata prevista una
politica energetica comune. Il quadro istituzionale per il carbon fossile fu creato
nel 1951, con la Comunità europea del carbone e dell'acciaio (CECA), quello per
89
90
l'energia atomica nel 1957, con la Comunità europea dell'energia atomica (CEEA,
Euratom). Per le altre fonti energetiche era competente la Comunità economica
europea (CEE) fondata nel 1957, che non aveva però attribuzioni specifiche in
materia. Le speranze riposte nella CECA e nell'Euratom andarono deluse già dopo
qualche anno, mentre la CEE otteneva invece risultati validi nei settori della
gestione dell'energia e della politica di integrazione.
Negli anni '60 l'importazione di grandi quantità di energia a basso prezzo da paesi
extraeuropei contribuì considerevolmente alla crescita economica europea. La crisi
petrolifera del 1973 (quadruplicazione del prezzo del greggio, minaccia di
boicottaggio da parte dei paesi esportatori di petrolio del Medio Oriente) rese
evidente per gli europei i pericoli insiti nella dipendenza dalle importazioni da
paesi terzi per la copertura del fabbisogno energetico. Dopo il 1973 i governi
europei si sforzarono in primo luogo di liberarsi dalla dipendenza dal petrolio
grazie a programmi energetici nazionali (particolarmente la Francia con lo
sviluppo massivo dell'energia atomica) oppure, di concerto con altri paesi
industrializzati, di sviluppare una strategia comune nei confronti del cartello
petroliero dell'OPEC. L'agenzia internazionale per l'energia (AIE) fondata nel 1974
nel quadro dell'OCSE, alla quale aderirono tutti i principali paesi industrializzati,
stabilì la costituzione di scorte in comune per far fronte ad un'eventuale
interruzione dell'approvvigionamento di greggio. In tale contesto la CE poteva
svolgere solo un ruolo secondario nella politica energetica. Nel novembre 1983 il
Consiglio dei ministri Energia attribuì per la prima volta alla Comunità le
competenze per una politica europea dell'energia. Con la relazione «Mercato
interno dell'energia» (maggio 1988), la Commissione fuse in un programma
organico tutta una serie di progetti, alcuni dei quali già di vecchia data.
Liberalizzando al massimo il mercato europeo dell'energia, intende dare impulso
alla crescita congiunturale specialmente nei settori del gas e dell'elettricità,
incrementare la flessibilità del sistema europeo di approvvigionamento energetico
e smantellare gli ostacoli nazionali all'integrazione. La tutela dell'ambiente dovrà
nel contempo diventare un elemento integrante della politica energetica. Il
trattato che istituisce la Comunità europea (CE) ha sottolineato l'importanza di
tali obiettivi senza però istituire nuove basi giuridiche per la politica energetica
europea.
Strumenti, procedura decisionale, singoli programmi
Su base dei trattati, l'Unione europea dispone di tutta una serie di strumenti che le
consentono di intervenire nella politica energetica degli Stati membri: regole di
concorrenza e norme commerciali, contingenti, massimali di prezzi, standard
tecnici e valori limite, facoltà di controllo e sistemi di informazione, aiuti
finanziari ed fondi di investimento. Interventi diretti sono possibili in particolare
nei settori del carbone e dell'acciaio. L'autonomia dell'Unione europea è
ovviamente limitata dal fatto che gli Stati membri partecipano al processo
decisionale.
Il -> processo decisionale nell'ambito della politica energetica dell'UE rispecchia la
disomogeneità che caratterizza il settore. In linea di massima la -> Commissione
europea ha una posizione di forza nei settori regolati dai trattati CECA e CEEA
(carbone, energia atomica), dove può agire direttamente ed autonomamente in
qualità di autorità ispettiva sovranazionale o di rappresentante della Comunità nei
confronti dei paesi terzi. A norma del diritto internazionale, per le energie
disciplinate esclusivamente dal trattato CE (petrolio, gas ed elettricità), le
competenze della Commissione si limitano alle disposizioni regolamentari quadro,
prese di concerto con il -> Consiglio dell'Unione europea. Malgrado le competenze
formali peraltro, il carattere sempre più politico di alcuni problemi energetici
impone frequentemente una conciliazione di interessi nazionali lunga e complessa,
che si articola in tutto il sistema istituzionale dell'UE. Il -> Consiglio europeo ha
preso frequentemente posizione sui problemi della politica dell'energia fin
dall'inizio degli anni 70. Anche il -> Parlamento europeo manifesta, dagli anni 80,
un crescente interesse per la politica dell'energia, principalmente in correlazione
con la tutela dell'ambiente e la protezione dei consumatori.
Tradizionalmente, l'impegno dell'Unione europea per la promozione di nuove fonti
energetiche si concentra sull'energia atomica (fissione e fusione nucleari).
Parallelamente però vanno assumendo importanza sempre maggiore l'esigenza di
misure di risparmio energetico, di tecnologie razionali e «pulite» e la ricerca nel
campo delle energie rinnovabili (solare, eolica, geotermica). Il quarto programma
quadro ricerca e sviluppo (1994-1998) prevede a tal fine una linea di bilancio di
2,256 miliardi di ecu. Nel dicembre 1994 il Consiglio europeo ha deciso un
programma specifico relativo al finanziamento delle reti transeuropee di trasporto
dell'energia, che prevede per esempio l'eliminazione degli accordi esclusivi in
materia di elettricità e gas tra Stati membri e paesi esportatori. Il proliferare di
provvedimenti, programmi e strumenti non deve però indurre in inganno: nel
bilancio totale dell'Unione europea l'energia ha un ruolo marginale, riflesso della
marginalità della politica energetica dell'UE nei confronti di quella degli Stati
membri.
Bilancio
In una prospettiva di lungo periodo, il bilancio della politica energetica europea è
positivo. L'obiettivo di un approvvigionamento in energia sicura, a costi contenuti
e «pulita» è stato sostanzialmente conseguito nei decenni scorsi. Si tratta peraltro
di un successo momentaneo. Dopo la realizzazione del mercato interno dovranno
essere ridefinite e motivate alcune posizioni controverse nel settore della politica
dell'energia, essenzialmente relative al ruolo dell'energia nucleare ed alle priorità
alla tutela dell'ambiente. Il progetto di limitare le emissioni di gas ad effetto serra
mediante una tassa europea sull'energia è fallito a causa degli interessi
contrapposti dei paesi membri. La nuova apertura dell'Unione europea nei
confronti dell'Europa centrale e orientale, la garanzia a lungo termine di un
approvvigionamento di petrolio proveniente dal Medio Oriente ed i conflitti di
interessi con quelli che soni i concorrenti diretti (gli altri paesi industrializzati ed i
91
92
paesi in via di sviluppo) sono germe di future sfide e potenziali conflitti che
esulano dagli orizzonti della politica energetica europea in senso stretto. Per
quanto concerne la cooperazione fra i paesi dell'Europa occidentale ed orientale, il
trattato della Carta europea dell'energia, firmato nel dicembre 1994 da 45 Stati,
contiene una serie di obiettivi comuni ed un codice di comportamento, che
peraltro deve ancora essere verificato nella pratica.
Erwin Häckel
http://euro.eu.int/
Euro
Base giuridica: Articoli da 102 A a 109 M del trattato CE (Unione economica e
monetaria).
Obiettivo: Introduzione dell'euro come moneta stabile dell'Unione europea
Ai sensi del trattato sull'Unione europea, la fase finale di istituzione dell'->unione
economica e monetaria (UEM) inizierà il 1 gennaio 1999. In questa fase si
procederà all'introduzione progressiva di una moneta unica, l'euro, nei paesi che
possiedono i requisiti prescritti per partecipare all'UEM.
In origine, il trattato CE prevedeva che la nuova moneta si chiamasse ecu
(European Currency Unit o unità monetaria europea). Da quando è stato instaurato
il -> Sistema monetario europeo, l'ecu funge da unità di conto tra gli Stati
membri. L'ecu è un paniere di monete, ovvero è formato dai valori ponderati delle
monete dei vari Stati membri dell'Unione. Questo è il motivo per cui negli ultimi
anni l'ecu ha perso valore rispetto alle valute più stabili. La nuova moneta non
sarà invece una moneta paniere, il suo valore tenderà a orientarsi verso quello
delle monete più stabili, senza contare che essa deve simboleggiare l'identità
europea: ecco perché, nel dicembre 1995, i capi di Stato e di governo hanno
concordato la denominazione euro. Questo nome ha il duplice vantaggio di essere
breve e di poter essere scritto allo stesso modo in tutte le lingue dell'Unione.
L'euro è suddiviso in cento centesimi.
Sostituire le monete europee con l'euro è un'impresa ambiziosa. Per semplificare al
massimo gli aspetti tecnici di questa transizione (per esempio le modifiche da
apportare ai distributori automatici), in un primo tempo l'UEM comincia con la
fissazione irrevocabile dei tassi di cambio tra le monete partecipanti. Ogni moneta
nazionale diventa soltanto un'espressione della moneta comune. Conformemente
al trattato, dopo l'avvio dell'UEM la politica monetaria verrà definita dalla Banca
centrale europea. Questa istituzione è indipendente dal potere politico e si
prefigge quale obiettivo principale la stabilità monetaria.
Secondo le previsioni attuali, il conio di monete e la stampa di banconote in euro
inizierà dopo che si sarà deciso quali saranno i paesi partecipanti, decisione che
sarà presa nel corso del 1998. I tassi di cambio delle monete partecipanti verrà
fissato irrevocabilmente, a decorrere dal 1 gennaio 1999 con decisione unanime
93
94
del Consiglio dei ministri dell'Economia e delle Finanze (il Consiglio «ECOFIN»). A
quel momento la conversione in euro sarà obbligatoria solo per alcuni prestiti
assunti dalle amministrazioni pubbliche. L'euro potrà però essere utilizzato nelle
transazioni bancarie. La messa in circolazione di banconote e monete denominate
euro inizierà il 1 gennaio 2002. Per un periodo massimo di sei mesi sarà ancora
possibile usare parallelamente le monete nazionali, ma dal 1 luglio 2002 solo
l'euro avrà corso legale nei paesi che partecipano all'UEM.
Contrariamente ai timori che vengono talvolta espressi, l'introduzione dell'euro
non equivale a una riforma monetaria, ma a un'operazione di conversione. Certo,
tutti gli importi verranno espressi in un'altra valuta, ma ciò non modificherà in
alcun modo il loro valore reale. Tutte le condizioni contrattuali - dai contratti di
locazione fino ai crediti bancari - resteranno immutate per i contratti in corso. La
novità consiste nel fatto che il compito di garantire la stabilità della moneta unica
spetterà alla Banca centrale europea (BCE), che verrà istituita nel 1998. La
struttura e il funzionamento di questo organismo ricalcheranno quelli della
Deutsche Bundesbank (la banca federale tedesca), che ha dato ottimi risultati.
Contrariamente però alle banche centrali nazionali, la BCE potrà impostare la
propria politica monetaria in funzione della situazione complessiva nella zona
euro. A tal fine essa disporrà degli strumenti monetari messi a punto dal suo
predecessore, l'Istituto monetario europeo (IME). Questi strumenti non sono
ancora definiti, ma i vari governatori delle banche centrali nazionali, riuniti nel
consiglio dell'IME, hanno punti di vista relativamente vicini. Dopo l'istituzione
della BCE, spetterà al suo consiglio prendere le decisioni in materia di politica e
strumenti monetari, nonché scegliere la grafica dei biglietti.
Complessivamente, prima di avviare l'UEM resta tutta una serie di aspetti tecnici
da definire, quali una procedura di fissazione dei tassi di cambio alla data di
conversione delle monete o la creazione di un quadro giuridico per la conversione
in euro, per permettere che tutti gli operatori economici possano formulare le loro
previsioni in piena cognizione di causa. Per convincere gli europei dell'utilità di
una moneta unica, occorre, da un lato fornire loro informazioni complete,
dall'altro badare a prendere le decisioni politiche nella massima trasparenza.
L'accettazione da parte dei cittadini della loro nuova moneta è però solo una delle
condizioni necessarie per il pieno successo dell'unione monetaria. Occorre anche
fare in modo che, nel lungo periodo, l'euro si dimostri all'altezza di tutte le
speranze che avrà destato.
Olaf Hillenbrand
95
Euro: tutte le tappe per accedervi
1° luglio 1990
1° gennaio 1993
1° novembre 1993
Inizio della prima fase dell'unione
economica e monetaria.
Liberalizzazione totale dei
movimenti di capitali nei paesi
dell'Unione europea (salvo deroga
provvisoria).
Completamento del mercato
interno.
• Congelamento della
composizione del paniere ecu.
• Entrata in vigore del trattato
sull'Unione europea firmato a
Maastricht.
Inizio della seconda fase dell'UEM.
15-16 dicembre 1995
31 dicembre 1996 (data limite)
Consiglio europeo di Madrid
• Adozione del nome «euro» per la
moneta unica
• Fissazione dello scenario tecnico
d'introduzione dell'euro e del
calendario per il passaggio alla
moneta unica previsto nel 1999 (la
fine di tale processo è prevista per il
2002).
• Definizione da parte dell'IME del quadro
regolamentare, organizzativo, logistico
della Banca centrale europea (BCE) e del
Sistema europeo di banche centrali
(SEBC).
• Preparazione, da parte della
Commissione, del Consiglio e dell'IME,
della normativa relativa alla BCE e al
SEBC e all'introduzione della moneta
unica.
1° gennaio 1999
A partire dal 1° gennaio 1999
Inizio della terza fase dell'UEM
• Il SEBC definisce ed attua la politica
monetaria unica in euro e conduce le
operazioni di cambio nella stessa valuta.
• Gli Stati membri effettuano in euro le
nuove emissioni di titoli del debito
pubblico.
• Il Consiglio fissa in modo irrevocabile i
tassi di conversione delle monete dei paesi
partecipanti tra loro e rispetto all'euro.
• L'euro diviene una moneta a pieno diritto
ed il paniere ecu ufficiale cessa di esistere.
• Entra in vigore il regolamento del Consiglio
che definisce il quadro giuridico relativo
all'introduzione dell'euro.
96
1° gennaio 1994
31 maggio 1995
• Istituzione dell'Istituto monetario
europeo (IME) con sede a Francoforte.
• Rafforzamento delle procedure di
coordinamento delle politiche
economiche a livello europeo.
• Lotta contro I disavanzi eccessivi e
politica di convergenza economica tra
gli Stati membri.
Adozione da parte della Commissione
del libro verde sulla moneta unica
(scenario di riferimento per il
passaggio alla moneta unica).
1998
(il più presto possibile)
Non appena possibile
dopo tale decisione
I capi di Stato o di governo decidono
quali Stati membri parteciperanno per
primi alla moneta unica, in funzione
dei criteri di convergenza e in base ai
risultati economici nel 1997.
• Gli Stati membri nominano I
responsabili della BCE.
• La BCE e il Consiglio fissano la data
d'introduzione delle banconote e
delle monete metalliche in euro.
• Il SEBC inizia a stampare
banconote in euro.
• Il Consiglio e gli Stati membri
iniziano a coniare monete metalliche
in euro.
Fra il 1° gennaio 1999 ed il 1°
gennaio 2002 al più tardi
• Il SEBC cambia alla pari le valute
applicando I tassi di cambio fisati in modo
irrevocabile.
• Il SEBC e le pubbliche autorità degli Stati
membri sorvegliano il processo di
passaggio alla moneta unica nel settore
creditizio e finanziario; essi assistono
inoltre tutti i settori econimici nella
preparazione alla transizione verso la
moneta unica.
Entro il 1° gennaio 1999
Preparazione finale della BCE e del SEBC.
• Il Consiglio adotta la normativa
concernente la chiave di ripartizione per la
sottoscrizione del capitale, la raccolta di
informazioni statistiche, le riserve minime,
la consultazione della BCE e le ammende e
penalità di mora che possono essere inflitte
alle imprese.
• La BCE ed il SEBC si preparano alla fase
operativa: istituzione della BCE, adozione
del quadro regolamentare, sperimentazione
della politica monetaria, ecc.
Entro il 1° gennaio 2002
Entro il 1° luglio 2002
• Il SEBC immette progressivamente in
circolazione le banconote in euro e ritira
quelle in valuta nazionale.
• Gli Stati membri immettono
progressivamente in circolazione le
banconote metalliche in euro e ritirano
quelle in valuta nazionale.
Fine della transizione verso
l'euro per gli Stati membri
partecipanti.
... Completamento del processo ...
Europa dei cittadini
Base giuridica: Nessun riferimento specifico nel trattato poiché l'espressione
rinvia a un complesso di disposizioni attinenti a vari ambiti che incidono
direttamente sulla vita dei cittadini; articoli 8 e da 8 A a 8 D del trattato CE
(cittadinanza dell'Unione); articolo 3 B CE (sussidiarietà).
Obiettivi: Libertà di stabilimento e di residenza; eliminazione degli effetti negativi
del processo d'integrazione; creazione di un'immagine positiva; identificazione con
l'Unione europea; incentivazione della mobilità.
Strumenti: Strumenti adeguati ai vari settori politici; informazione del pubblico;
programmi di sostegno.
Il rapporto dei cittadini con -> l'Unione europea sfugge a facili semplificazioni: da
un lato, infatti, si diffonde fra i cittadini un disagio sociale e psicologico di fronte
a una cosiddetta superburocrazia remota, il cui operato sembra impossibile
controllare e indirizzare in conformità dei propri interessi. D'altro lato, invece, la
capacità di intervento dell'UE suscita grandi aspettative, che non sempre - al
livello attualmente raggiunto dall'integrazione - possono essere soddisfatte, come
dimostra chiaramente il conflitto nell'ex Iugoslavia. Astrazioni confuse e
impersonalità delle istituzioni, difficoltà di attribuire a un soggetto istituzionale la
responsabilità delle iniziative assunte a livello europeo, sono tutti fattori che
contribuiscono ad aumentare nei cittadini tale sensazione di distanza, che sembra
precludere qualsiasi possibilità di trovare una via nella «eurogiungla» .
Stato d'animo attuale
I dibattiti suscitati dal trattato sull'Unione europea (-> trattati) e la difficoltà di
trovare punti di riferimento in un mondo non più marcato dal bipolarismo hanno
raffreddato le aspettative suscitate dal processo di unificazione europea negli
Stati membri dell'UE. Dopo una fase di grande impulso intorno alla metà degli
anni 80, che può essere spiegata almeno parzialmente come conseguenza delle
grandi campagne di informazione e di pubblicità organizzate nel quadro della
realizzazione del mercato unico europeo ( -> mercato interno), nonché della
situazione economica favorevole, all'inizio degli anni 90 tale tendenza ha
cominciato a registrare un'inversione. Solo fra qualche anno, dopo uno studio
accurato degli orientamenti rilevati nell'opinione pubblica, si potrà stabilire con
certezza se tali dati riflettano effettivamente un rifiuto dell'idea dell'integrazione
97
L’EUROPA DALLA A ALLA Z
98
- e debbano costituire quindi un punto di partenza per nuovi sforzi in tal senso oppure se si tratti solo di un fatto congiunturale. In media, l'integrazione europea
continua a godere del sostegno di oltre il 50% dei cittadini dell'Unione.
In un primo periodo le iniziative a favore dell'integrazione riscossero il consenso
delle élite, mentre nei cittadini suscitavano solo un appoggio piuttosto generico.
Allo sviluppo di tale processo, però, si è accompagnato anche un aumento delle
decisioni di ridistribuzione e del numero di cittadini direttamente interessati dai
regolamenti europei. Con l'accumularsi di norme legislative di portata europea si è
fatta più pressante l'esigenza di avere maggiori informazioni sulle decisioni
adottate in tale contesto e di poter incidere su di esse. Alle istituzioni europee è
stato riconosciuto lo status di centro di elaborazione politica. L'emergere di punti
di vista e opinioni differenti nel dibattito politico ha stimolato nei cittadini
un'analoga differenziazione in relazione all'integrazione europea. Tale processo
rientra nella normale vita democratica e fa parte di quella cultura del dibattito
democratico così necessaria per il formarsi di un'opinione pubblica informata e in
cui la dimensione europea acquista sempre maggior spessore.
CITTADINANZA DELL'UNIONE
Quali benefici offre il trattato di Maastricht ai cittadini?
Soprattutto nuovi diritti e nuove libertà derivanti dalla
cittadinanza dell'Unione, che è attribuita automaticamente da
tutti i cittadini degli Stati membri.
Il diritto di risiedere in qualsiasi Stato dell'Unione è
sostanzialmente migliorato.
A partire dal 1994 i cittadini dell'Unione hanno diritto di votare
e candidarsi alle elezioni del Parlamento europeo in qualsiasi
paese dell'Unione essi risiedano. Anche alle elezioni comunali
del paese di residenza diventa possibile votare e candidarsi.
Nei paesi al di fuori dell'Unione europea, i cittadini dell'Unione
possono chiedere l'assistenza diplomatica e consolare a
qualsiasi Stato membro dell'UE se il loro paese non ha una
rappresentanza in tale Stato.
Il diritto a presentare petizioni al Parlamento europeo e a
rivolgersi al mediatore europeo sono sanciti dal trattato.
L'Unione europea deve rispettare i diritti fondamentali e umani
garantiti dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e
derivanti dalle tradizioni costituzionali comuni a tutti gli Stati
membri.
.
Unificazione europea: fin dall'inizio a favore dei cittadini
È caratteristica della storia dell'unificazione europea la ricerca degli strumenti e
dei meccanismi più efficaci per garantire una coesistenza pacifica fra gli Stati e
fra coloro che vi vivono, soprattutto nelle situazioni in cui interessi contrastanti
entrano in conflitto. Proprio l'idea di un'Europa dei cittadini ha dato impulso alla
fondazione della Comunità europea. La visione spesso riduttiva secondo cui la CEE
sarebbe stata creata essenzialmente per favorire l'economia trascura il fatto che
l'obiettivo primario è sempre stato il miglioramento delle condizioni di vita e di
lavoro dei cittadini. Una volta completate le prime fasi dell'integrazione ci si
impegnò per codificare gli sforzi compiuti in vista della realizzazione di un'Europa
dei cittadini. Come tappe fondamentali di questo processo ricordiamo la relazione
Tindemans (1974), l'introduzione dell'elezione diretta del -> Parlamento europeo
(1979), il comitato Adonnino per la preparazione dell'Atto unico europeo,
numerosi programmi per la promozione della mobilità e degli scambi, la
cittadinanza dell'Unione prevista dal trattato di Maastricht e tutta una complessa
regolamentazione volta a garantire ai cittadini un particolare livello di tutela
(tutela della salute, tutela dei consumatori, ecc.).
Disposizioni specifiche nel quadro della cittadinanza
dell'Unione
Il rapporto fra i cittadini e l'Unione europea rispecchia un processo di reciproca
influenza, come dimostra la produzione normativa in cui tale rapporto si sostanzia.
La libera circolazione delle persone e il diritto di stabilimento e di residenza sono
stati introdotti, al più tardi, con il completamento del mercato interno (benché
esso non possa ancora considerarsi ultimato). Per quanto riguarda il tema «Europa
dei cittadini», il trattato di Maastricht (TUE), oltre a dare una sistemazione
razionale alle disposizioni vigenti, ha introdotto alcune novità. Esso specifica
infatti i diritti di cui devono godere i cittadini dell'Unione: il diritto di soggiornare
liberamente dove si desidera (articolo 8 A CE), l'esercizio del diritto di voto attivo
e passivo per il Parlamento europeo (PE) e a livello locale, indipendentemente dalla
località di residenza (articolo 8 B CE), il diritto alla tutela diplomatica e consolare
in un paese terzo da parte di un altro Stato membro dell'UE se il proprio Stato non
vi è rappresentato (articolo 8 C CE), il diritto di petizione al Parlamento europeo in
relazione agli atti della Comunità (articolo 8 D CE), la possibilità di presentare
denunce a un difensore civico (il «mediatore») nominato dal PE in relazione agli
atti amministrativi della Comunità (articolo 138 E CE). Per la prima volta, inoltre,
vengono citati nel TUE i partiti, i quali, fra gli altri compiti, hanno quello di
contribuire alla formazione di una coscienza europea (articolo 138 A CE).
L'introduzione dell'idea di cittadinanza dell'Unione nel trattato sull'Unione
europea è espressione del tentativo di creare un legame più diretto fra i cittadini e
l'Unione, che spesso resta per loro solo un concetto astratto. Per essere cittadini
dell'Unione è necessario essere cittadini di uno Stato membro. È interessante
notare, tuttavia, che nel trattato si menzionano solo i diritti derivanti dalla
cittadinanza dell'Unione e non i doveri ad essa connessi.
99
100
A questa stessa esigenza di avvicinare l'Unione europea ai cittadini risponde anche
il principio di sussidiarietà, introdotto dal trattato di Maastricht (articolo 3 B del
trattato CE, nuovo testo).
Bilancio: il problema della legittimazione democratica
Quando non tiene conto del benessere dei cittadini la politica è priva di qualsiasi
legittimazione. D'altra parte, è estremamente difficile che da un processo politico
che coinvolge un gran numero di cittadini e che riflette le diversità geografiche e
culturali possano scaturire strutture che consentano l'accesso diretto dei cittadini.
Inizialmente, il sistema politico dell'Unione europea si basava sugli Stati membri,
che ne costituivano gli organi decisionali. Quando, soprattutto negli anni '80 e '90,
l'integrazione ha cominciato a registrare importanti progressi tanto sul piano della
sua incidenza quanto delle sfere da essa toccate, si è assistito a uno spostamento
del potere decisionale verso il Parlamento europeo e nel dibattito sul trattato di
Maastricht fu principalmente contro il «deficit di legittimazione» che si
appuntarono le critiche.
Fino ad oggi le decisioni sulla politica europea hanno avuto una duplice fonte di
legittimazione: il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali. Dal 1979 il
Parlamento europeo viene eletto direttamente dai cittadini dell'UE, ma nel
procedimento di formazione della legislazione europea i poteri di cui gode sono
ancora limitati. I suoi membri, inoltre, vengono scelti sulla base di simboli
nazionali e le scelte elettorali sono determinate da motivazioni nazionali. Gravi
difficoltà - determinate se non altro dai calendari delle sedute plenarie e di quelle
delle commissioni - si riscontrano infine nell'organizzare i contatti fra i deputati e
la loro circoscrizione elettorale, nonché i rapporti reciproci fra i funzionai di
partito europei e gli organi decisionali nazionali.
In molti casi, la politica dell'Unione europea è ancora dominata dal -> Consiglio
dell'Unione europea, che costituisce la seconda fonte di legittimazione politica.
Con l'aumento dei settori in cui le decisioni a maggioranza vengono adottate a
livello del Consiglio - consentendo quindi di mettere in minoranza con il voto i
rappresentanti degli Stati membri - e il rafforzamento dei poteri di codecisione
riconosciuti al Parlamento europeo, il problema della legittimazione politica
dell'azione comunitaria ( -> procedure decisionali) è divenuto più urgente. Le
modalità per migliorare l'influenza dei rappresentanti nazionali eletti sulla
legislazione comunitaria e il rafforzamento del Parlamento europeo saranno temi
di discussione della conferenza intergovernativa (->) del 1996 sulla revisione del
TUE. Il controllo sul potere politico europeo deve essere garantito - almeno finché
non interverranno novità di rilievo - da questi pilastri legittimatori. La conferenza
intergovernativa del 1996 dovrà impegnarsi proprio per creare un miglior
equilibrio fra i vari pilastri che garantiscono la legittimità.
L'Unione europea sta attraversando una fase di transizione. Al Parlamento europeo
mancano ancora, sul piano legislativo, i poteri necessari per rappresentare
un'effettiva fonte di legittimazione diretta, mentre i parlamenti nazionali possono
rivestire questo ruolo solo in forma indiretta. Non si deve inoltre dimenticare uno
dei principi supremi degli ordinamenti democratici (ribadito dalla Corte
costituzionale tedesca a proposito di Maastricht), vale a dire che spetta in
definitiva al popolo definire i doveri ed esercitare i poteri dello Stato. Proprio
tenendo presente tutto ciò, ai tentativi di rafforzare i poteri del Parlamento
europeo si oppone talvolta l'argomento che non esiste ancora un popolo europeo.
Prospettive: i cittadini sono ancora al centro dell'unificazione
Come abbiamo detto, il trattato di Maastricht ha stimolato il dibattito sui rapporti
fra l'Unione europea e i suoi cittadini; attualmente la discussione si concentra
su tre aspetti:
1.
le modalità per rendere il sistema decisionale dell'Unione europea più chiaro,
più comprensibile e quindi più trasparente per i cittadini. È necessario infatti
rendere la politica europea meno impersonale e razionalizzare la ripartizione
delle responsabilità a livello nazionale o europeo;
2.
l'opportunità di inserire in una costituzione o in un documento analogo un
elenco dei diritti fondamentali che fornisca ai cittadini talune garanzie;
3.
l'esigenza di migliorare la qualità dell'informazione fornita dalle istituzioni
europee. Il progresso costante dell'integrazione, la penetrazione della politica
europea nella vita quotidiana dei cittadini, la differenziazione del processo di
integrazione, infatti, impongono anche un approccio diversificato
all'informazione.
Melanie Piepenschneider
101
102
Europa delle donne
Base giuridica: Articolo 119 CE; articoli 2 e 6 del trattato CE (politica sociale);
varie decisioni della Corte di giustizia europea.
Obiettivi: Pari opportunità per uomini e donne nella vita sociale, professionale e
politica; assistenza alle donne svantaggiate; misure volte a stimolare la
consapevolezza.
Strumenti: Commissione del Parlamento europeo per diritti della donna; unità
della Commissione per la parità di opportunità fra donne e uomini; comitato
consultivo sulle pari opportunità; servizio informazione donne della Commissione
europea.
Nei trattati che istituiscono -> l'Unione europea la politica a favore delle donne in
quanto tale non trova alcun esplicito riconoscimento. Fin dalla sua istituzione nel
1957, tuttavia, la Comunità economica europea ha dato vita a varie iniziative che
in qualche modo hanno inciso sui diritti delle donne. In tali iniziative si possono
individuare due orientamenti: da un lato, l'inserimento di elementi di politica
sociale nelle disposizioni di politica economica al fine di eliminare, nel mercato
comune, la discriminazione a danno delle donne, dall'altro, l'adozione di misure
volte ad attenuare le conseguenze della crisi strutturale del mercato del lavoro.
Oltre a ciò, si deve tenere conto anche della trasformazione del ruolo sociale della
donna: è innegabile, infatti, che nel corso degli anni sono aumentate le sfere di
attività in cui le donne sono presenti e le pressioni cui sono sottoposte, mentre le
loro esigenze personali sono mutate. La vita professionale delle donne, tuttavia,
non può essere confrontata a quella degli uomini perché le scelte delle donne
continuano, ancora oggi, ad essere determinate dalla dialettica fra vita familiare e
vita professionale.
L'inizio: l'articolo 119 del trattato CEE
Il tema l'Europa delle donne veniva affrontato indirettamente già nel trattato di
Roma. In particolare, nell'articolo 119 del trattato CEE - oggi CE - veniva definito
l'obbligo degli Stati membri di garantire la parità di retribuzione fra uomini e
donne per uno stesso lavoro. Con i progressi dell'integrazione europea il principio
della parità di retribuzione per uno stesso lavoro è diventato il punto di partenza
per ulteriori riflessioni sulle pari opportunità e sull'eliminazione delle forme di
discriminazione indiretta a danno delle donne
Negli anni '70, di fronte al mancato rispetto da parte di alcuni Stati membri
dell'articolo 119 CEE, la Commissione reagì con una serie di proposte di direttive.
La -> Corte di giustizia delle Comunità europee, da parte sua, si è dimostrata,
grazie all'interpretazione estensiva data all'articolo citato e alla coerente
applicazione di tali direttive CE, la forza trainante nella concretizzazione dell'idea
delle pari opportunità. Al -> Consiglio europeo di Maastricht nel 1991, inoltre, è
stato firmato un accordo in materia di -> politica sociale che, dall'entrata in
vigore del trattato sull'Unione europea, disciplina la questione della parità fra
uomini e donne per quanto riguarda le loro opportunità sul mercato del lavoro e il
trattamento sul lavoro (articolo 2 dell'accordo sulla politica sociale). L'articolo 6
dell'accordo sulla politica sociale garantisce l'applicazione del principio della
parità di retribuzione senza discriminazione fondata sul sesso, pur lasciando agli
Stati membri la facoltà di mantenere o adottare misure che prevedano vantaggi
specifici a favore delle donne (discriminazione positiva). Nel libro bianco sulla
politica sociale europea (1994) la -> Commissione europea, tenendo conto dei
problemi strutturali del mercato del lavoro, ha formulato una serie di proposte
dirette ad aiutare le donne a conciliare vita professionale e vita familiare. In tale
documento si suggerisce fra l'altro di pubblicare, a partire dal 1996, una relazione
annuale sull'uguaglianza intesa come una sorta di strumento di controllo
dell'attuazione della politica in esame.
Il lavoro delle istituzioni dell'UE
Il problema della «situazione femminile in Europa» ha fornito lo stimolo per la
costituzione della prima commissione d'inchiesta nella storia del -> Parlamento
europeo. Dal 1984 la commissione è denominata «commissione per i diritti della
donna» e si occupa di pubblicare relazioni, tenere udienze e sostenere gli interessi
delle donne nelle consultazioni sul bilancio dell'UE e prende posizione su diversi
temi che riguardano direttamente o indirettamente le donne.
Nella Commissione europea è stata creata un'unità per la parità delle opportunità
fra donne e uomini nell'ambito della direzione generale V (Occupazione, relazioni
industriali e affari sociali). L'unità, che ha il compito di controllare l'applicazione
delle direttive CE da parte degli Stati membri, fornisce un sostegno alle donne e
prepara le misure che hanno un impatto sulla situazione femminile in campi quali
la formazione professionale, l'adeguamento alle nuove tecnologie, la costituzione
di società gestite da donne, l'istruzione delle ragazze e altre ancora. Nel frattempo
è nata una serie di reti di esperti indipendenti che si occupano di sostegno
all'occupazione. Nel 1982, inoltre, è stato costituito il comitato consultivo per
l'uguaglianza delle possibilità tra le donne e gli uomini che si riunisce
regolarmente e ha il compito di coordinare le misure dei singoli Stati e di
sostenere la politica della Commissione, e dal 1988 esiste anche un Consiglio dei
ministri informale sulla condizione della donna, che promuove e mira a stimolare
un maggiore impegno a livello europeo a sostegno di misure che favoriscono una
migliore conciliabilità fra vita professionale e vita familiare.
103
104
Le sfide future
Sempre più spesso i problemi strutturali del mercato europeo del lavoro colpiscono
in modo particolarmente grave le donne. In questo contesto, le riflessioni su nuovi
modelli di lavoro e su una riduzione degli orari lavorativi nel quadro di una
generale ridistribuzione del lavoro possono aprire la via a due sviluppi
contrastanti: da un lato, la riduzione delle ore di lavoro e dunque dei salari reali
può indurre un numero più elevato di donne a cercare lavoro e contribuire così al
bilancio familiare; dall'altro, quando la risorsa lavoro scarseggia, le donne vengono
escluse dal mercato del lavoro prima degli uomini oppure costrette in misura
maggiore ad accettare lavori a tempo parziale e «condizioni di impiego atipiche»
come impieghi ausiliari a tempo determinato. Di fronte all'aumento del numero di
famiglie composte da un solo membro o con un solo genitore, si impongono
misure di tutela specifiche, in particolare per quanto riguarda i regimi pensionistici
che non devono tutelare solo le persone impiegate a tempo pieno. Fino ad ora, non
solo le numerose iniziative del Parlamento europeo, ma anche le direttive proposte
dalla Commissione europea in materia sono rimaste lettera morta per motivi
strutturali o di contenuto. Dai nuovi membri dell'Unione europea, e in particolare
dalla Svezia, si aspettano nuove proposte e un nuovo slancio al dibattito.
Anche la modernizzazione, nell'Europa occidentale come in quella orientale, pone
nuove sfide: lo sviluppo tecnologico procede a ritmo sempre più veloce, le
competenze e le conoscenze specialistiche risultano superate in breve volgere di
tempo. Le conseguenze sono gravi soprattutto per le donne: per far fronte a
queste sfide, infatti, è necessario integrare costantemente la formazione di base
con nuove qualifiche, ma, nel contesto della tradizionale divisione dei compiti fra
uomo e donna nella vita professionale e familiare che tuttora caratterizza la
nostra struttura sociale, risulta estremamente difficile soddisfare questa esigenza.
Conclusione
Fino ad oggi si possono individuare quattro fasi nello sviluppo delle iniziative
dell'Unione europea a favore delle donne. In primo luogo, si è fissato l'obbligo
sociale e politico degli Stati membri di garantire lo stesso trattamento a uomini e
donne in materia di retribuzione. In secondo luogo, il principio della parità è stato
esteso anche ad altre sfere politiche, quali la politica dell'occupazione,
dell'istruzione e della famiglia, e in tale contesto è stata resa vincolante una serie
di norme a tutela dell'occupazione. In terzo luogo, da oggetto delle decisioni
politiche le donne ne sono diventate il soggetto; oggi non si adottano più
regolamenti per le donne, al contrario, queste sono ormai forze attive nel processo
politico e il numero crescente di donne presenti in Parlamento è una
manifestazione di questa nuova tendenza, benché proprio sotto questo aspetto il
cammino da percorrere sia ancora lungo. In quarto luogo, in conseguenza dei
problemi strutturali del mercato del lavoro, le questioni connesse alla ripartizione
del lavoro e agli orari di lavoro non vengono più discusse esclusivamente nel
quadro della politica sociale ma anche nell'ambito della politica dell'occupazione.
Questo nuovo approccio trova espressione in alcuni passi del -> libro bianco
«Crescita, competitività e occupazione» della Commissione europea, benché poco
spazio vi sia dedicato alle questioni specificamente connesse alle politiche
femminili.
Numerosi problemi, tuttavia, sono ancora in attesa di soluzione. Per cominciare,
resta molto da fare per stimolare la consapevolezza sulle possibilità, i diritti e le
prospettive il relazione al mercato del lavoro, nonché sulle qualifiche necessarie
per il futuro e le opportunità di formazione permanente. Fino ad oggi, infatti,
l'informazione si è rivolta per lo più alla donne lavoratrici, ma proprio da una
diffusa consapevolezza dell'esigenza di sviluppare tali politiche dipende la qualità
della normativa per il miglioramento della situazione femminile. È infatti
essenziale che tali questioni non vengano relegate al rango di aspetti collaterali
della politica sociale e dell'occupazione, bensì che venga loro riconosciuto un
valore intrinseco. A questo scopo potrebbe essere opportuno inserire il principio
dell'uguaglianza in un catalogo dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Oltre
a ciò, guadagna terreno l'impressione che, fino ad oggi, le misure adottate
dall'Unione europea nel campo della politica femminile abbiano avuto scarsa
incidenza sullo sviluppo della situazione occupazionale e delle prospettive di
lavoro delle donne. Sotto questo profilo si impone un riesame delle disposizioni
dell'UE e della loro attuazione negli Stati membri, nonché delle strutture oggi
operanti per la tutela degli interessi della donna.
Melanie Piepenschneider
105
http://europa.eu.int/en/agenda/europol.html
106
Europol
Articoli del trattato: Articolo K.1 punto 9 TUE; convenzione Europol.
Membri e sede: Tutti gli Stati dell'UE; L'Aia (Paesi Bassi).
Organi: Consiglio di amministrazione, direttore, autorità di controllo comune per
la protezione dei dati, controllore finanziario, comitato finanziario.
Europol è l'Ufficio europeo di polizia previsto dal trattato sull'Unione europea del
7 febbraio 1992; è un organo sovrannazionale istituito in ambito
intergovernativo.
Prima che venisse ratificata la convenzione che ha dato vita a Europol operava già
all'Aia una «Unità droghe Europol» dove gli ufficiali di collegamento degli Stati
dell'UE disponevano di un accesso diretto agli archivi di lavoro e a informazioni
sulle indagini in corso nei rispettivi Stati di appartenenza e si scambiavano nell'osservanza di certe condizioni - informazioni relative alle persone coinvolte
nel traffico di droga. L'Unità droghe aveva già colto una serie di successi
contribuendo attivamente alla soluzione di alcuni grossi casi di criminalità
internazionale, in particolare coordinando i cosiddetti carichi controllati (ossia
mantenendo segretamente sotto stretta sorveglianza i trasporti di stupefacenti
fino alla loro consegna agli spacciatori, e sequestrandoli al momento più
opportuno). Le richieste d'informazione inoltrate dalle autorità nazionali sono in
costante crescita; nel 1995 le richieste che hanno ricevuto risposta sono state
2.000. L'analisi dei fenomeni criminosi si concreta principalmente nella raccolta di
statistiche, nella ricerca dei prezzi di spaccio degli stupefacenti e
nell'identificazione delle nuove piste seguite dagli spacciatori.
Il 10 marzo 1995 un'azione comune del Consiglio ampliò le competenze
dell'Unità droghe al traffico illegale di sostanze radioattive e nucleari,
all'immigrazione clandestina e al traffico di autoveicoli rubati; per il 1996 era
previsto l'allargamento delle competenze alla tratta degli esseri umani.
La convenzione Europol è stata firmata dagli Stati membri il 26 luglio 1995
(Gazzetta ufficiale C 316 del 27 novembre 1995). In un protocollo interpretativo,
anch'esso firmato dagli Stati membri, alla -> Corte di giustizia delle Comunità
europee veniva attribuita la competenza a pronunciarsi in via pregiudiziale
sull'interpretazione della convenzione stessa.
L'Europol ha lo scopo di rendere più efficace la cooperazione delle autorità
nazionali nella prevenzione e nella lotta contro le forme più gravi di criminalità
internazionale; la sua azione si esplica nell'ambito della cooperazione fra gli Stati
membri istituita all'articolo K.1, punto 9, del TUE. In un primo tempo sono di sua
competenza: il traffico illecito di stupefacenti, il traffico di sostanze nucleari e
radioattive, l'immigrazione clandestina, la tratta degli esseri umani e il traffico di
autoveicoli rubati. Entro due anni dall'entrata in vigore della convenzione l'Europol
dovrà anche occuparsi di terrorismo e di riciclaggio di fondi illeciti connessi a
queste forme di criminalità. Il Consiglio, deliberando all'unanimità, può incaricare
Europol di occuparsi di altre forme di criminalità elencate nell'allegato alla
convenzione.
Nell'ambito di queste finalità istituzionali Europol ha il compito di agevolare lo
scambio d'informazioni tra gli Stati membri, raccogliere informazioni, collazionarle
e analizzarle, il compito di trasmettere alle autorità competenti di ogni Stato
membro - tramite le unità nazionali specializzate - tutte le informazioni che le
riguardano in modo da contribuire alle indagini in corso negli Stati membri) e
infine, di gestire sistemi informatizzati di raccolta dati. Questi ultimi sono di due
tipi. Il primo è un sistema informativo contenente dati su persone condannate per
reati di competenza dell'Europol o che siano comunque sospettate di aver
commesso o partecipato a tali reati (queste banche dati devono essere parimenti
accessibili all'Europol, alle unità nazionali e agli ufficiali di collegamento
distaccati presso Europol). L'altro sistema d'informazioni gestito da Europol
consiste in archivi di lavoro per fini di analisi, che possono talora contenere i
cosiddetti «soft data» (cioè dati non particolarmente protetti) e dati relativi a
persone che potrebbero intervenire come testimoni nel corso di indagini e a
persone che sono state o potrebbero essere vittime di certi reati.
Altri atti collegati alla convenzione e che sono necessari per il funzionamento di
Europol sono il regolamento finanziario e lo statuto relativo ai diritti e agli
obblighi degli ufficiali di collegamento. Sotto il profilo giuridico e politico
assumono particolare rilevanza le disposizioni di applicazione per gli archivi di
lavoro e lo Statuto del personale.
L'Europol ha personalità giuridica. I suoi organi sono: 1) il consiglio di
amministrazione che, di norma, prende tutte le decisioni più importanti al di fuori
dell'ambito strettamente tecnico; è formato da un rappresentante di ogni Stato
dell'UE e le sue decisioni sono prese a maggioranza di due terzi salvo che sia
altrimenti disposto; 2) il direttore, che è nominato con decisione unanime del
Consiglio, sentito il consiglio di amministrazione per quattro anni rinnovabili una
sola volta; il direttore è responsabile, tra l'altro, dell'esecuzione dei compiti
assegnati a Europol e dell'amministrazione; può essere dimissionato (e con lui i
due vicedirettori) con decisione del Consiglio presa a maggioranza di due terzi; 3)
l'autorità di controllo comune che deve garantire un'adeguata protezione dei dati;
4) il controllore finanziario; 5) il comitato finanziario.
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L'Europol non deve essere confuso con l'Interpol (International Criminal Police
Organization) che è un'organizzazione alla quale collaborano attualmente le forze
di polizia di 177 paesi e che ha sede a Lione (Francia). A differenza dell'Europol,
Interpol non si ricollega a nessun particolare raggruppamento di Stati ma è
un'organizzazione a vocazione mondiale.
Reinhard Rupprecht
http://europa.eu.int/pol/educ/en/info.htm
Gioventù e istruzione
Basi giuridiche: Articolo 3 p), articolo 126, e articolo 127 del trattato CE, singole
azioni anche in forza dell'articolo 235 del trattato CE.
Obiettivi: Contributo della CE allo sviluppo di un'istruzione di alto livello
qualitativo; sviluppo di una dimensione europea nel campo dell'istruzione;
promozione della mobilità di studenti e docenti, del riconoscimento accademico di
diplomi e periodi di studio, della cooperazione tra istituzioni dell'istruzione, degli
scambi tra giovani, dello sviluppo dell'insegnamento a distanza; promozione e
perfezionamento della formazione professionale di base, della formazione
permanente e della riqualificazione; promozione e sviluppo della cooperazione tra
istituzioni dell'istruzione negli Stati membri.
Strumenti: Decisioni (in base alla procedura dell'articolo 189 B o 189 C del
trattato CE) relative al varo di programmi d'azione, direttive del Consiglio,
risoluzioni del Parlamento europeo o del Consiglio, comunicazioni, libri verdi o libri
bianchi della Commissione europea.
Bilancio: In generale la linea di bilancio B 3-1, bilancio CE 1996: 418 milioni di
ecu (circa lo 0,9% del bilancio totale); se del caso, anche altre risorse di bilancio
(ad esempio il Fondo sociale europeo).
Bibliografia: libro bianco della Commissione europea «Insegnare e apprendere:
verso la società conoscitiva», COM(95) 590 def. del 29.11.1995.
Con il trattato sull'Unione europea (TUE) i programmi e le iniziative della CE nel
campo della formazione professionale e della politica dell'istruzione generale sin
dalla fondazione della CECA hanno subito una riorganizzazione. Il nuovo articolo
127 definisce le finalità del mandato affidato al Consiglio dall'articolo 128
(inserito nel trattato CE dall'AUE), che lo incarica di varare le linee generali per
l'attuazione di una politica comune nel campo della formazione professionale. Allo
scopo di definire i contenuti della politica in materia di formazione personale, il
TUE ha inserito nel trattato CE anche un nuovo articolo 126, che offre un
fondamento giuridico alle attività comunitarie nei settori dell'istruzione generale,
scolastica, universitaria, dell'istruzione extrascolastica non professionale e alla
politica per la gioventù. Nel quadro di tali attività d'istruzione non finalizzate alla
formazione professionale, la Comunità punta a un alto profilo qualitativo
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dell'istruzione; allo sviluppo di una dimensione europea nel campo dell'istruzione,
segnatamente attraverso la diffusione e l'insegnamento delle lingue degli Stati
membri; al miglioramento della mobilità di docenti e studenti attraverso i
programmi di scambio ed il riconoscimento reciproco di diplomi e titoli di studio;
alla cooperazione tra gli istituti d'insegnamento; a programmi di scambi fra
giovani ed alla formazione a distanza. Nel campo della politica di formazione
professionale gli sforzi comunitari di norma si concentrano sull'adeguamento ai
mutamenti industriali, con particolare attenzione al miglioramento delle
opportunità di occupazione attraverso la promozione della formazione
professionale iniziale, della formazione continua e della riqualificazione, sul
rafforzamento della mobilità delle persone in formazione e degli istruttori nonché
sulla cooperazione tra istituti di formazione e imprese. La portata delle misure
basate sugli articoli 126 e 127 del trattato CE è limitata dal fatto che i programmi
d'insegnamento e la configurazione dei sistemi d'istruzione nazionali rimangono di
competenza esclusiva degli agli Stati membri. Questa barriera alla politica
d'istruzione comunitaria restringe notevolmente il potere delle istituzioni
comunitarie di dar vita ad iniziative in questo settore. Infatti né l'articolo 126, né
l'articolo 127 del trattato CE affidano alla Comunità il compito di armonizzare le
politiche d'istruzione degli Stati membri.
I provvedimenti nel campo della politica della gioventù e dell'istruzione sono
decisi dal Consiglio che delibera a maggioranza qualificata. La base giuridica per la
politica generale dell'istruzione e della gioventù è l'articolo 189B del trattato CE,
quella della politica di formazione professionale è l'articolo 189C.
Attuazione della politica della gioventù e dell'istruzione
Nel 1994 e nel 1995 le attività della CE nel campo della politica della gioventù e
dell'istruzione hanno portato a una revisione sostanziale dei programmi
comunitari esistenti: il programma Socrates (dotazione di bilancio: 850 milioni di
ecu fino al 1999) raggruppa ormai anche le precedenti azioni di formazione nel
settore universitario Erasmus, Lingua, Eurydice, NARIC e ARION, e vi aggiunge il
programma Comenius - incentrato sul settore scolastico - nonché azioni relative
all'insegnamento a distanza e alla dimensione europea della formazione per adulti.
Il programma di scambio Gioventù per l'Europa III (dotazione: 126 milioni di ecu
fino al 1999) prosegue le precedenti azioni in materia. Infine il programma
Leonardo da Vinci (dotazione: 620 milioni di ecu fino al 1999) comprende le
azioni comunitarie in materia di formazione professionale, Comett, FORCE, PETRA,
Eurotecnet e IRIS. Tutti e tre i programmi sono fondamentali per la strategia degli
organi comunitari, che oltre a garantire un accesso equo e universale all'istruzione
generale o professionale punta non solo a sviluppare standard d'istruzione di alto
livello e concorrenziali su scala mondiale, ma anche a prevenire l'esclusione
sociale, affiancando agli strumenti d'azione comunitari in materia di politica
dell'istruzione quelli relativi all'occupazione. In questo contesto il Consiglio, sulla
base delle conclusioni del -> Consiglio europeo di Cannes (giugno 1995) ha varato
una risoluzione sulla risposta dei sistemi scolastici ai problemi del razzismo e della
xenofobia. In occasione dell'«Anno europeo dell'istruzione e della formazione
lungo tutto l'arco della vita 1996», proclamato dal Parlamento e dal Consiglio, la
Commissione europea ha pubblicato un libro bianco dal titolo «Insegnare e
apprendere: verso la società conoscitiva», il quale, oltre a contenere orientamenti
per la lotta contro la disoccupazione giovanile e per l'integrazione e la formazione
permanente di giovani e adulti nella vita lavorativa, lancia alcune proposte per la
loro pratica realizzazione. La strategia della Commissione europea nel settore
dell'istruzione tende sempre più a sensibilizzare i cittadini dell'Unione e il sistema
educativo alla necessità di apprendere nuove lingue e nuove cognizioni, di
ampliare il bagaglio delle nozioni, competenze e qualifiche individuali, ed anche
alla necessità di precostituire nuovi procedimenti di convalida e accreditamento
delle conoscenze. Inoltre il piano d'azione «Apprendere nella società
dell'informazione» formula una serie di capisaldi programmatici per promuovere il
collegamento delle scuole primarie e secondarie nella CE attraverso reti
elettroniche, in modo da intensificare la diffusione di forme e strumenti di
insegnamento multimediali.
Valutazione e prospettive
Nel complesso, la nuova strategia programmatica e d'azione della CE nel settore
dell'istruzione e della gioventù riceve delle valutazioni positive. Tuttavia non
vanno sottovalutate le preoccupazioni manifestatesi all'interno di alcune
istituzioni dell'insegnamento, le quali temono l'influenza diretta, a loro parere
eccessiva, esercitata dalla Commissione europea sugli aspetti programmatici e
organizzativi dell'istruzione. Da parte sua, nel valutare e analizzare i nuovi
programmi d'istruzione da essa lanciati, la Commissione europea, nel libro verde
«Istruzione, formazione, ricerca», elenca una serie di ostacoli, in parte gravosi,
all'attuazione della mobilità transnazionale di studenti e docenti. Accenniamo qui
ai problemi relativi allo status giuridico dei tirocinanti, agli ostacoli di ordine
fiscale e contributivo gravanti sulle borse di ricerca, al fatto che gli aiuti alla
formazione sono legati all'espletamento della formazione nel paese che concede
gli aiuti nonché alle permanenti carenze nel riconoscimento delle qualifiche di
studio ottenute all'estero. In considerazione delle molteplici sfere di competenza e
dei molteplici interessi in gioco negli Stati membri, l'eliminazione di tali barriere
potrà avvenire solo in maniera graduale.
Andreas Maurer
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Giustizia e affari interni
Base giuridica: Articoli 7 A, da 8 a 8C e 100 del trattato CE; articoli da K.1 a K.9
TUE.
Obiettivi: Estensione della cittadinanza dell'UE, circolazione senza controlli
attraverso le frontiere interne dell'UE; miglioramento della cooperazione degli
Stati firmatari dell'accordo di Schengen e degli Stati dell'UE nelle questioni
inerenti la giustizia e gli affari interni, compresa la creazione di istituzioni comuni.
Nel 1985, nel villaggio lussemburghese di Schengen, in prossimità del punto in cui
si incontrano le frontiere di Germania, Francia e Lussemburgo (il Dreiländereck),
questi tre Stati, il Belgio e i Paesi Bassi firmarono un accordo sulla progressiva
soppressione dei controlli sulle persone alle loro frontiere comuni. In una
successiva convenzione del 14 giugno 1990 (la convenzione sull'applicazione
dell'accordo di Schengen) furono concordate alcune misure intese a compensare la
minore sicurezza conseguente all'abolizione dei controlli alle frontiere. Queste
misure sono le seguenti:
•
un sistema comune automatizzato di ricerca, lo Schengen Information System
(SIS), che consente agli Stati membri di costituire e gestire, secondo precisi
criteri, delle banche dati relative a persone e a determinati oggetti (armi da
fuoco, documenti in bianco, documenti d'identità, banconote registrate,
autoveicoli rubati, ecc.). Le forze di polizia degli altri Stati membri possono
consultare questi archivi unitamente alle informazioni contenute nelle banche
dati nazionali; un'unità centrale di supporto tecnico con sede a Strasburgo ne
cura il costante aggiornamento;
•
controlli intensi e per quanto possibile uniformi a tutti i punti di passaggio
delle frontiere esterne degli Stati di Schengen (e, se possibile, anche di quelle
della -> Unione europea);
•
intensificata cooperazione tra le forze di polizia all'interno dei confini degli
Stati firmatari attraverso la creazione di una struttura di comunicazione,
esercitazioni comuni, vigilanza transfrontaliera e diritto di inseguire oltre
frontiera gli autori dei reati;
•
obbligo di fornire agli altri Stati membri tutte le informazioni utili alla
prevenzione e al contrasto del crimine;
•
maggiore cooperazione nella lotta al traffico di stupefacenti e alla connessa
criminalità;
•
armonizzazione delle normative sul possesso delle armi da fuoco negli Stati
membri di Schengen.
La giustizia e gli affari interni nell'Unione europea
L'accordo di Schengen va considerato una sorta di progetto pilota mirante ad
inserire i settori della giustizia e degli affari interni nelle politiche dell'Unione
europea. Prima del 1992 la cooperazione tra le forze di sicurezza degli Stati della
Comunità si svolgeva in modo del tutto informale mediante le riunioni del
cosiddetto «gruppo di Trevi», formato dai ministri della Giustizia e degli Affari
interni degli Stati della CEE, al di fuori di qualsiasi cornice istituzionale, come
poteva essere un trattato multilaterale. Codesta cooperazione -che si articolava in
incontri preparatori di gruppi di lavoro e riunioni semestrali dei ministri
competenti - era comunque pervenuta ad alcuni risultati tra i quali, in primo
luogo, un più fitto scambio di informazioni e una più intensa collaborazione in
settori come la lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata, la sicurezza
aerea e nucleare, la protezione civile (incendi e catastrofi naturali) senza
dimenticare la dotazione tecnico-scientifica delle forze di polizia. Ai fini
dell'integrazione dei settori della giustizia e degli affari interni nelle politiche
dell'Unione la spinta risolutiva venne dal trattato di Maastricht del 7 febbraio
1992 (trattato sull'Unione europea). Nell'ambito del cosiddetto «primo pilastro»
dell'Unione europea, l'articolo 7 A CE definisce il->mercato interno (che è un
obiettivo da raggiungere progressivamente) come uno spazio senza frontiere
interne nel quale è assicurata la libera circolazione dei beni, dei servizi, dei capitali
e delle persone.
Nella seconda parte del trattato CE, e precisamente all'articolo 8 e seguenti, viene
introdotta per la prima volta la nozione di «cittadinanza dell'Unione», in virtù della
quale al cittadino dell'Unione è riconosciuto il diritto di viaggiare («circolare») e di
soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri (articolo 8 A, paragrafo
1). L'articolo 8 B, paragrafo 1 conferisce inoltre ai cittadini dell'Unione il diritto
di votare e di candidarsi (i cosiddetti diritti di elettorato attivo e passivo) alle
elezioni comunali nello Stato membro in cui risiedono, alle stesse condizioni dei
cittadini di questo Stato.
L'articolo 100 C del trattato CE prevede una politica comune per i visti, nella
quale il -> Consiglio dell'Unione europea, pronunciandosi all'unanimità su
proposta della -> Commissione europea e dopo aver consultato il->Parlamento
europeo, determina quali siano gli Stati non comunitari (i «paesi terzi») i cui
cittadini devono essere in possesso di un visto per l'attraversamento delle frontiere
esterne degli Stati membri dell'Unione.
Tutte le altre questioni relative alla giustizia e agli affari interni nell'UE sono
disciplinate dall'articolo K e seguenti del trattato sull'Unione europea (TUE). Ivi
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sono considerate questioni di interesse comune: la politica di asilo,
l'attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri, la politica
dell'immigrazione e la politica nei confronti di cittadini di paesi terzi, la lotta
contro l'immigrazione, il soggiorno e il lavoro illegali, la lotta contro la
tossicodipendenza, la lotta contro la frode internazionale, la cooperazione
giudiziaria in materia civile e penale, la cooperazione nel settore doganale e la
cooperazione di polizia per la prevenzione e la lotta contro le forme più gravi di
criminalità internazionale, compresa la creazione dell'Ufficio europeo di polizia
-> Europol.
Nei settori testé ricordati il Consiglio - formato dai ministri della Giustizia e degli
Affari interni degli Stati membri - può adottare posizioni comuni e, in
ottemperanza al principio di sussidiarietà, anche azioni comuni e accordi (articolo
K.3). Di norma il Consiglio si pronuncia all'unanimità; le sue riunioni sono
preparate da gruppi di lavoro, da comitati di indirizzo e, ai sensi dell'articolo K.4
del TUE, anche da un comitato di coordinamento il quale ha, tra l'altro, il compito
di fornirgli pareri e di contribuire, nell'ambito del cosiddetto «primo pilastro», alla
preparazione dei suoi lavori sia nei settori della giustizia e degli affari interni
(articolo K.1 del TUE) sia nei settori di cui all'articolo 100 C del trattato CE
(«primo pilastro»).
Nell'ambito del «terzo pilastro» (cioè nel settore della giustizia e degli affari
interni) la Commissione è pienamente associata a tutti i lavori. Dal canto suo, il
Parlamento europeo viene tenuto costantemente informato dalla presidenza del
Consiglio e dalla Commissione sull'andamento dei lavori e viene consultato sulle
questioni più importanti.
L'8 febbraio 1993 il Consiglio adottò un regolamento che istituiva un Centro
europeo per l'osservazione delle droghe e delle tossicodipendenze, il quale ha
iniziato la sua attività a Lisbona nel 1994. In base ad un piano d'azione presentato
dalla Commissione, il Consiglio sta attualmente elaborando una nuova strategia
per la lotta contro la droga che comprende misure sia preventive che repressive.
Nel 1994 il Consiglio europeo di Essen, in considerazione del vistoso aumento dei
furti di autoveicoli, chiese l'introduzione, in tutti gli autoveicoli di nuova
fabbricazione, di sistemi di bloccaggio elettronico; questi dispositivi saranno
obbligatori sin dal 1997 per l'omologazione di tutti i nuovi modelli di veicoli e, dal
1998, per tutti i nuovi veicoli.
Politica degli stranieri e politica dei visti
In conseguenza della crescente pressione che esercita l'aumento dell'immigrazione
su quasi tutti i membri dell'UE, la relazione di Maastricht sull'armonizzazione della
politica di immigrazione e di asilo sottolinea la necessità di introdurre alcune
restrizioni fondamentali: a parte la concessione del permesso di soggiorno per
motivi umanitari, l'immigrazione viene sostanzialmente limitata al
ricongiungimento familiare. Eccettuato il caso di coloro che aspirano ad occupare
posti di lavoro temporanei, ai cittadini di Stati terzi che desiderino esercitare
un'attività lavorativa verrà in genere rifiutato l'ingresso. Ai lavoratori autonomi
l'ingresso a fini di esercizio di un'attività economica viene concesso solo se questa
attività si concreta in un beneficio per l'economia del paese (investimenti,
innovazioni, trasferimento di tecnologia o di creazione di posti di lavoro). Un'altra
risoluzione del Consiglio ha facilitato agli studenti di paesi terzi l'ingresso
nell'Unione, per cui gli allievi delle scuole inferiori di questi Stati, se risiedono in
uno Stato membro, possono effettuare viaggi scolastici negli altri Stati membri
senza bisogno di visti d'ingresso.
Il Cirefi (Centre for Information, Discussion and Exchange on the Crossing of
Frontiers and Immigration) che prima era un semplice gruppo di lavoro, si è
trasformato in uno strumento operativo e di lotta contro l'immigrazione
clandestina e l'importazione illegale di manodopera.
La comunitarizzazione della politica in materia di visti ha registrato progressi
confortanti. Il regolamento (CE) n. 2317/95 ha stabilito un elenco di paesi non
comunitari i cui cittadini devono essere in possesso del visto per entrare
nell'Unione europea. Il regolamento (CE) n. 1683/95 ha a sua volta stabilito il
formato uniforme e le caratteristiche (infalsificabilità) per i visti degli Stati
membri. Il 23 novembre 1995 il Consiglio ha adottato una raccomandazione sulla
cooperazione consolare in tema di visti che contiene un elenco comune di paesi
extracomunitari i cui cittadini devono munirsi di un visto di transito. Le
disposizioni che disciplinano la validità dei visti in tutti gli Stati membri saranno
specificate nella convenzione sull'attraversamento delle frontiere esterne che è
tuttora oggetto di negoziato in seno al Consiglio.
Il 23 novembre 1995 il Consiglio ha anche approvato una risoluzione sullo status
dei cittadini dei paesi extracomunitari che risiedono da lungo tempo nel territorio
degli Stati membri.
La politica dell'asilo e i rifugiati
L'alto numero di richiedenti l'asilo, di rifugiati e profughi dai luoghi dove infuriano
le guerre civili ha fatto della politica in materia di asilo e di rifugiati il tema
dominante delle riunioni dei ministri dell'interno dell'Unione. Dopo vari anni di
negoziati, il 23 novembre 1995 il Consiglio ha adottato una posizione comune
sulla definizione del termine «rifugiati» di cui all'articolo I della convenzione di
Ginevra del 28 luglio 1951 sullo status dei rifugiati.
In una risoluzione adottata successivamente (20 giugno 1996) il Consiglio ha
chiesto che ai rifugiati venga prestato soccorso nel luogo stesso in cui si trovano e
nelle regioni dalle quali provengono, soprattutto mediante la creazione di zone
protette. Gli Stati dell'UE concordano nel ritenere necessaria l'emanazione di
norme che consentano al rifugiati in situazioni di emergenza di essere accolti nel
loro territorio in tempi rapidi e a parità di condizioni, ma le posizioni sono tuttora
discordi sui criteri da assumere per un'equa suddivisione dei costi conseguenti, e
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cioè se debbano essere presi in considerazione anche parametri come la
percentuale di disoccupati e la percentuale degli stranieri rispetto alla popolazione
totale di un determinato paese. Il CIREA (Centro d'informazione, riflessione e
scambi sulle questioni dell'asilo) ha già definito alcuni indirizzi per l'elaborazione
dei rapporti sulla situazione dell'asilo e l'affrontamento di un sistema statistico
comune.
Lotta contro il razzismo e la xenofobia
Nel processo di integrazione europea la necessità di lottare contro il razzismo e la
xenofobia assume particolare significato in considerazione del gran numero di atti
di violenza a sfondo razzistico (e anche antisemitico) che si sono verificati in
questi ultimi anni. Secondo una rassegna del gruppo di lavoro «Terrorismo» del
Consiglio, nel 1995 sono registrati negli Stati membri i seguenti atti di xenofobia e
di razzismo: 10 omicidi, 15 tentati omicidi, 100 attentati e 468 casi di lesioni
personali.
Una commissione consultiva sul razzismo e la xenofobia istituita dal Consiglio
europeo ha presentato a Cannes nel giugno 1995 una relazione conclusiva ricca di
ben 107 raccomandazioni e suggerimenti in relazione agli interventi nei settori
dell'istruzione, dell'informazione, della comunicazione sociale e della cooperazione
giudiziaria e di polizia. Il Consiglio europeo ha esortato il Consiglio dell'Unione a
studiare i problemi giuridici e finanziari inerenti all'istituzione di un centro
europeo di osservazione sul razzismo e la xenofobia ed a studiare le relazioni che
potrebbero instaurarsi tra il costituendo centro e il Consiglio d'Europa.
Il Consiglio dell'UE e gli Stati membri hanno deciso di proclamare l'anno 1997
«Anno europeo della lotta contro il razzismo» per attirare l'attenzione del pubblico
europeo sulla minaccia che il razzismo, la xenofobia e l'antisemitismo
costituiscono per il rispetto dei diritti fondamentali e l'unità della Comunità. Un
altro obiettivo di questa iniziativa contro il razzismo è lo scambio di esperienze e
di informazioni sui vantaggi delle misure di integrazione prese dai singoli Stati
membri. Fra i vari progetti in programma per l'Anno europeo contro il razzismo
vanno citati le conferenze, i seminari, le campagne d'informazione e le
manifestazioni sportive e culturali. Grazie ad una campagna di informazione
identificata da un «logo» unico per tutta Europa e attraverso slogan e manifesti, si
cercherà di mostrare ai cittadini europei che tutti i progetti nazionali
rappresentano il contributo di ogni paese a una grande azione comune dell'Unione
europea. Nelle intenzioni della Commissione europea, l'Anno europeo dev'essere
una manifestazione che colpisce l'attenzione e si radica nella coscienza della
gente in modo tale da non esaurirsi nell'immediato; verranno quindi largamente
pubblicizzati tutti i risultati concreti che saranno stati raggiunti, così da suscitare
nell'opinione pubblica europea una reazione duratura e favorevole alle strategie di
lotta contro il razzismo. Oltre ai provvedimenti comunitari, che avranno il
sostegno di un gruppo ad hoc di rappresentanti degli Stati membri, vi sarà in ogni
Stato un comitato nazionale di coordinamento con il compito di fornire guida e
appoggio ai progetti presentati dalle autorità locali e centrali.
Giustizia
Anteriormente al trattato di Maastricht erano già stati fatti vari tentativi di
intensificare la cooperazione fra gli Stati membri nel campo della giustizia: un
chiaro esempio ne è la convenzione di applicazione degli accordi di Schengen. Il
trattato sull'Unione europea considera la cooperazione giudiziaria in materia
penale una questione di interesse comune. Successivamente, dopo mesi di
negoziato, si sono fatti progressi sulla strada della semplificazione delle procedure
di estradizione (estradizione semplificata con l'assenso dell'interessato) e nella
lotta contro le frodi in danno del bilancio comunitario. La convenzione sulla tutela
degli interessi finanziari dell'Unione è stata firmata nel 1994.
Nel complesso, l'integrazione nel settore della giustizia e degli affari interni
procede a rilento. Si registrano infatti grosse divergenze di opinione tra Stati
membri sull'interpretazione da dare all'espressione «cooperazione
intergovernativa»: alcuni Stati ritengono che l'articolo K.1 e seguenti del TUE non
conterrebbero alcun obbligo di dar corpo a una politica comune di sicurezza su
basi istituzionali, ma offrirebbero soltanto la possibilità di avvalersi dell'aiuto
organizzativo dell'UE per risolvere singoli problemi nel settore della giustizia e
degli affari interni. Lo strumento offerto dall'articolo K.8, paragrafo 2 TUE, in
base al quale il Consiglio può decidere all'unanimità che le spese operative
possono essere poste a carico del bilancio delle Comunità europee, viene in genere
respinto da alcuni Stati membri.
È tuttavia lecito ritenere che si potranno fare ulteriori progressi nel campo della
giustizia qualora alla conferenza intergovernativa - che è iniziata nel 1996 - i
settori della giustizia e degli affari interni venissero più intensamente
«comunitarizzati» e se venisse conseguentemente estesa la competenza
sovrannazionale dell'UE in questi stessi settori.
Reinhard Rupprecht
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http://europa.eu.int/pol/ind/en/info.htm
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Industria
Base giuridica: Articolo 130 del trattato CE, nei limiti previsti dall'articolo 3,
paragrafo b) e dal titolo V (Concorrenza) del medesimo trattato.
Obiettivi: Promuovere la competitività sul piano internazionale, l'efficienza e la
capacità di innovazione delle imprese, creando un ambiente favorevole,
principalmente per le piccole e medie imprese (PMI); promuovere la ricerca e lo
sviluppo (R&S), la cooperazione tra le imprese e la ristrutturazione nel contesto di
un «Sistema di mercati aperti e concorrenziali».
Strumenti: Consultazione e coordinazione fra gli Stati membri su iniziativa della
Commissione europea; appoggio ad azioni specifiche degli Stati membri, previa
decisione all'unanimità del Consiglio.
Bilancio: Il progetto preliminare di bilancio del 1995 attribuiva direttamente ad
azioni di politica industriale solo 38,5 milioni di ecu. I principali impulsi finanziari
alla politica industriale provengono da altre voci di bilancio (R&S, formazione
informazione e comunicazione, mercato interno, reti transeuropee), con una
dotazione complessiva di 3,7 miliardi di ecu. Del prestito di 17,7 miliardi di ecu
erogato nel 1993 dalla BEI, furono attribuiti al settore dell'industria e dei servizi
4,2 miliardi - di cui 1,50 alle PMI - ed alle reti transeuropee 7,2 miliardi.
Mentre la politica della concorrenza intende mantenere condizioni di mercato
eque, cioè non discriminatorie, per tutte le imprese, la politica industriale effettua
interventi selettivi sul mercato, intesi a tutelare le industrie minacciate dalle
importazioni oppure a promuovere la cooperazione tra le PMI nella «fase
precompetitiva» della produzione (R&S, finanziamento), allo scopo di consolidare i
«settori chiave» d'avanguardia o di promuovere la produttività e abbassare i costi
in tutti i settori. Si serve degli strumenti classici quali interventi fiscali, aiuti
finanziari, appalti di opere pubbliche, promozione della ricerca, ma cerca anche
nuove vie, istituendo organismi di trasferimento delle tecnologie e dando vita ad
enti che sono sede di dialogo fra i rappresentanti dell'economia, delle scienze e
della politica (consulenza tecnologica). La politica industriale moderna si appoggia
sulla saggezza degli strateghi che orientano l'offerta nazionale di beni e di servizi
in base a probabili tendenze future; oggi la parola d'ordine è «ristrutturazione».
Base giuridica
I trattati di Parigi e di Roma non prevedevano expressis verbis una politica
industriale comune. Il trattato che istituiva la Comunità europea del carbone e
dell'acciaio contiene però alcune disposizioni concrete applicabili all'industria
mineraria europea e alla maggior parte dei rami dell'industria siderurgica. Anche il
trattato Euratom (CEEA) concerne un settore ben preciso essendo specificamente
inteso a «sviluppare le ricerche ed assicurare la diffusione delle cognizioni
tecniche» nonché ad «agevolare gli investimenti».
Nel trattato CE la base giuridica della politica industriale non era definita con
precisione. Prima che questo fosse sostituito dal trattato CE, l'azione della
Comunità in tale settore trovava fondamento negli obiettivi generali del trattato
stesso, in altri termini nell'articolo 235. L'articolo 130 del trattato CE invece
conferisce espressamente alla Comunità competenze in materia di politica
industriale. La facoltà di ricorrere a provvedimenti specifici, peraltro, è soggetta al
principio di sussidiarietà (articolo 3 B del trattato) ed all'accordo unanime del
-> Consiglio dell'Unione europea.
Nuovi obiettivi
Per troppo tempo la politica industriale comune si è limitata alla gestione delle
crisi in settori specifici. Nel 1975 ed all'inizio degli anni 80 la Commissione CE
( -> Commissione europea) ha avviato programmi strutturali per la siderurgia,
l'industria tessile, i cantieri navali, i calzaturifici. In alcuni casi (siderurgia) tali
programmi avevano una netta connotazione dirigistica: per consentire la riduzione
concertata della capacità di tutte le imprese del settore, infatti, bloccavano
provvisoriamente il gioco della concorrenza e si accompagnavano a restrizioni sul
piano esterno. Tali provvedimenti furono in gran parte abrogati o resi meno severi
nella seconda metà degli anni 80, caratterizzata da un miglioramento
congiunturale.
All'inizio degli anni 90 la Commissione sviluppò nuove impostazioni in materia di
politica industriale. In un documento che forniva le direttrici in materia, sottolineò
l'importanza della concorrenza, dell'apertura dei mercati e di provvedimenti
«orizzontali», intesi a migliorare la produttività e promuovere le innovazioni. Tali
iniziative hanno determinato la codificazione dei limiti della politica industriale
nell'articolo 130 del trattato, ispirando anche la più recente iniziativa della
Commissione in materia di politica industriale, che definisce quattro priorità:
promozione degli investimenti immateriali, sviluppo della collaborazione
industriale, garanzia di condizioni eque di concorrenza, modernizzazione degli
interventi statali.
La prima priorità concerne principalmente il miglioramento della formazione
professionale, lo sviluppo di nuove forme di organizzazione del lavoro, l'istituzione
di regolari controlli di qualità, le ricerche in materia di nuove tecnologie e lo
sviluppo di reti di informazione ed infine l'esigenza di orientare maggiormente la
politica della ricerca sulle esigenze del mercato.
119
120
La seconda priorità prevede lo sviluppo di strumenti di gestione comune delle
iniziative private ed il consolidamento della posizione delle imprese europee nei
mercati in espansione geografica. A tal fine la Commissione raccomanda
segnatamente l'eliminazione degli ostacoli giuridici e fiscali, l'organizzazione di
riunioni di concertazione dei rappresentanti dell'industria e la promozione, su basi
giuridicamente coerenti, degli investimenti all'estero, ed in particolare nell'Europa
centro-orientale, dove l'Unione europea è disposta addirittura a garantire
parzialmente gli investimenti, nonché nell'America latina, nei paesi mediterranei e
nei nuovi paesi industrializzati dell'Asia, dove peraltro si tratta essenzialmente di
sviluppare la cooperazione tecnologica.
La terza priorità si articola su due piani: interno ed esterno. Sul piano interno gli
obiettivi sono i seguenti: libera concorrenza assoluta nel -> mercato interno
europeo, grazie ad una più efficace gestione degli aiuti, fatti salvi gli imperativi
della -> politica regionale strutturale e di altre politiche comunitarie aventi
incidenza finanziaria; eliminazione delle eccezioni alla regole di concorrenza per il
gas, l'energia elettrica e le telecomunicazioni. Sul piano esterno l'obiettivo
principale è affinare gli strumenti di politica commerciale di cui dispone la
Comunità, applicandoli anche al settore dei servizi, istituendo così un regime di
concorrenza a livello internazionale, che vada oltre i risultati dell'Uruguay Round
del GATT. La Comunità intende avere la possibilità di reagire con maggiore
efficacia alla proliferazione delle alleanze strategiche sui mercati mondiali ed agli
accordi bilaterali discriminatori, quale l'accordo fra gli Stati Uniti ed il Giappone in
materia di semiconduttori. L'«industrial assessement mechanism» contribuirà ad
individuare le discriminazioni non apparenti fra la Commissione e quei paesi terzi
in cui le imprese europee hanno difficoltà ad impiantarsi, nonostante la posizione
competitiva sul piano della concorrenza.
La quarta priorità infine prevede lo smantellamento delle disposizioni a carattere
vincolante, la semplificazione delle procedure amministrative ed una maggiore
cooperazione tra le autorità nazionali e quelle comunitarie.
Nel libro bianco sulla crescita, la competitività e l'occupazione, la Commissione ha
tentato di integrare nella politica industriale i temi dell'occupazione e del mercato
del lavoro. Ritiene che i settori che presentano un maggior potenziale di crescita e
quindi di incremento occupazionale siano quelli della cultura, della sanità e della
biotecnologia, dell'ambiente, delle tecnologie dell'informazione e della
comunicazione. Le innovazioni in tale settore dovranno essere tutelate dalle
imitazioni grazie ad un'adeguata legislazione in materia di brevetti. Secondo il
libro bianco la creazione di reti transeuropee di trasporti, energia e
telecomunicazioni è una conditio sine qua non per l'avvento della società
dell'informazione, ma anche per la realizzazione del mercato interno in tutte le
sue potenzialità, compreso l'ampliamento in direzione dell'Europa centrale ed
orientale. Gli investimenti necessari a tal fine da oggi al duemila, che ammontano
a circa 370 miliardi di ecu (120 dei quali finanziati dalla Comunità) dovrebbero,
secondo la Commissione, avere notevoli conseguenze positive sul mercato del
lavoro, tanto in sede di costruzione che di gestione.
Punti controversi
La politica industriale è sempre stata oggetto di polemiche nella Comunità. Gli
economisti tedeschi, fondandosi su una solida tradizione liberistica, consideravano
che i memorandum, le azioni ed i programmi strutturali della politica industriale,
compreso il recente libro bianco nonché i tentativi di istituire una «concorrenza
sana» nel commercio con l'estero, fossero ispirati dallo spirito francese della
pianificazione e dal «colbertismo». La Francia in particolare ha attirato l'attenzione
sul ritardo tecnologico nei confronti degli Stati Uniti e del Giappone, sulla
strategia commerciale del Giappone, che potrebbe condurre al monopolio dei
settori tecnologici chiave, sull'estrema mobilità dei capitali e della tecnologia in
mercati che sono ormai mondiali, sulla frammentazione nazionale del mercato
comunitario nonché sui problemi strutturali: il necessario processo di
adeguamento, modernizzazione e concentrazione, secondo gli economisti francesi,
non può essere lasciato completamente in balia delle forze del mercato, perché ciò
comporterebbe gravi e duraturi rischi per l'Europa.
Tali divergenze sono andate appianandosi con la progressiva attuazione del
mercato interno: la Francia ha abbandonato la pianificazione settoriale mentre la
Germania ricorreva maggiormente alle sovvenzioni statali ed agli interventi di
politica industriale e tecnologica. L'idea di una politica industriale è andata
diffondendosi in Germania anche a causa del rischio di disindustrializzazione di
intere regioni dell'Est. Attualmente la promozione della cooperazione fra imprese e
della ricerca è considerata essenziale in tutti gli Stati membri.
Ciononostante le vecchie polemiche sono rinate, per varie ragioni: finora la
Commissione è pervenuta solo parzialmente a far accettare il suo nuovo assioma
in materia di politica industriale, che dà priorità ad un «sistema di mercati aperti e
concorrenziali». Alcuni Stati membri in effetti non rispettano le disposizioni i
materia di sovvenzioni alla siderurgia, mentre ad altri settori dell'economia
vengono concessi aiuti rilevanti e mentre le decisioni sugli aiuti regionali
assumono carattere sempre più spiccatamente politico in sede di Consiglio. Questo
conflitto latente fra la politiche industriale e quella regionale, da un lato, e la
politica della concorrenza, dall'altro, andrà esacerbandosi con l'aumento delle
spese per la politica strutturale e la R&S.
Le più recenti controversie riguardavano le reti transeuropee: secondo alcuni Stati
membri infatti i finanziamenti della Comunità dovrebbero essere ridotti al minimo
mentre la Commissione ed altri Stati membri sottolineano l'eccezionale significato
di tali reti in quanto iniziativa suscettibile di vivificare l'industria europea. Sono
anche oggetto di dibattito l'elaborazione di strumenti di politica commerciale e la
rappresentanza della Comunità (Stati membri o Commissione) in seno al WTO, la
nuova organizzazione mondiale del commercio.
Fritz Franzmeyer
121
http://europa.eu.int/emi/emi.html
122
Istituto monetario
europeo
Data di insediamento: 1 gennaio 1994.
Membri: Un presidente a tempo pieno e i governatori delle banche centrali
nazionali degli Stati membri dell'Unione europea (consiglio dell'IME).
Basi giuridiche: Articolo 109 F del trattato che istituisce la Comunità europea
(CE), modificato dal trattato sull'Unione europea (TUE) firmato il 7 febbraio 1992;
protocollo sullo statuto dell'Istituto monetario europeo (allegato al TUE).
Struttura: Presidente, direttore generale, segretariato generale, quattro direzioni.
L'Istituto monetario europeo (IME) è stato insediato ufficialmente all'inizio del
1994, in corrispondenza con il passaggio alla seconda fase dell'-> unione
economica e monetaria (UEM); esso aveva però già iniziato la propria attività dal 1
novembre 1993. La sede dell'Istituto è a Francoforte. Come primo presidente, gli
Stati membri dell'Unione europea hanno designato il belga Alexandre Lamfalussy.
L'IME è subentrato nelle funzioni svolte dal comitato dei governatori delle banche
centrali. Il calendario dell'UEM prevede che, con l'avvio della terza fase - non
prima del 1997 - a esso subentreranno un Sistema europeo di banche centrali
(SEBC) e la Banca centrale europea.
Il compito principale dell'IME è preparare questa transizione. Ciò presupponeva
innanzitutto che entro la fine del 1996 esso definisse gli strumenti e le procedure
necessarie per gestire una politica monetaria unica. L'IME ha poi il compito di
intensificare la cooperazione tra le banche centrali nazionali dell'Unione europea
nonché il coordinamento delle politiche monetarie degli Stati membri, per
garantire la stabilità dei prezzi. Esso deve controllare il funzionamento del
sistema monetario europeo (SME) e agevolare l'uso dell'-> euro. L'Istituto deve
inoltre adoperarsi per agevolare i pagamenti transfrontalieri e predisporre i
preparativi tecnici per le future banconote in euro.
L'organo supremo di decisione è il consiglio dell'IME, composto dai governatori
delle banche centrali nazionali, al cui interno ciascun membro dispone di un voto.
Il consiglio dell'IME non deve accettare istruzioni di sorta né dagli organi
comunitari né dai governi degli Stati membri. Esso si pronuncia di massima a
maggioranza semplice. Per adottare pareri e raccomandazioni è necessaria una
maggioranza di due terzi. La pubblicazione di questi pareri e raccomandazioni può
essere decisa solo all'unanimità. Le disposizioni che disciplinano l'IME - lavori
preparatori, compiti di consulenza, procedure di votazione - non gli conferiscono
alcuna competenza specifica in fatto di politica monetaria o di intervento sui
mercati dei cambi ed esso non dispone quindi di alcun potere per influire sulle
scelte politiche. L'IME è l'organo della transizione.
Eckard Gaddum
123
124
Mediterraneo e Medio
Oriente
Obiettivi: Sostegno del processo di pace del Medio Oriente, stabilizzazione politica
e sociale della seconda zona strategicamente rilevante, accanto all'Europa
orientale.
Strumenti: Cooperazione finanziaria, sviluppo di strutture commerciali stabili e
conseguente sviluppo economico.
Bibliografia: Relazioni future della Comunità con il Maghreb SEC (92) 401, aprile
1992; Relazioni e cooperazione future tra la Comunità ed il Medio Oriente, COM
(93) 375, settembre 1993; Una politica mediterranea più incisiva per l'Unione
europea: instaurazione di un nuovo partenariato euromediterraneo, COM (94) 427,
novembre 1994; Conclusioni della presidenza del Consiglio europeo di Essen, 1994,
e Cannes 1995, Supplemento 2/95 al->Bollettino dell'Unione europea,.
La politica dell' -> Unione europea (UE) nei confronti della regione del
Mediterraneo e del Medio Oriente trova sostanzialmente origine negli anni 70: a
seguito dello scoppio della guerra dello Yom Kippur tra Israele ed i suoi vicini arabi
ed il conseguente embargo petrolifero applicato dai produttori arabi, nel novembre
1973 gli Stati membri, attraverso una risoluzione emanata nel quadro della
Cooperazione politica europea, si dichiararono a favore di una rapida conclusione
del conflitto nel Medio Oriente. Inoltre decisero, in occasione dell'incontro al
vertice di Copenaghen nel dicembre 1973, l'instaurazione di un dialogo euroarabo. Nel 1976 e 1977 furono conclusi, nell'ambito della «politica globale
mediterranea», accordi di cooperazione di validità illimitata con tutti i paesi del
bacino meridionale ed orientale del Mediterraneo, corredati da cosiddetti
protocolli finanziari, ciascuno di durata quinquennale. Questi erano intesi,
attraverso i trasferimenti finanziari previsti, a contribuire allo sviluppo
commerciale dei partner contrattuali. Complessivamente, fino al 1996, hanno
trovato applicazione quattro generazioni di protocolli finanziari.
Nel 1980 il -> Consiglio europeo varò la cosiddetta «Dichiarazione di Venezia», che
doveva promuovere il dialogo tra l'OLP ed Israele e cercare una soluzione al
conflitto tra le due parti.
Dall'inizio degli anni 90, l'impegno europeo in quella regione ha fatto registrare
una notevole espansione. Il processo di pace tra israeliani ed arabi, a tratti molto
rapido, offriva nuove possibilità di sviluppo politico ed economico. Per sostenere il
L’EUROPA DALLA A ALLA Z
processo, l'Unione ha partecipato soprattutto alla dimensione multilaterale del
processo di pace, che prese l'avvio in questa forma con la conferenza di Madrid nel
1991.
125
Interscambi commerciali UE - Paesi terzi del Mediterraneo
(EUR12 - 1994 - in miliardi di ecu)
Importazioni
Altri
5%
Esportazioni
Altri
11%
Marocco
Turchia
10%
21%
Marocco
10%
Turchia
19%
Algeria
10%
Algeria
16%
Malta-Cipro
5%
Tunisia
8%
Israele
11%
Tunisia
8%
Libia
16%
Egitto
8%
Libia
4%
Malta-Cipro
10%
Egitto
8%
Israele
20%
Eurostat
Tuttavia si delineano anche nuove fonti di pericolo per la sicurezza in Europa: le
economie dei paesi interessati risultano sottosviluppate se confrontate con
l'Europa, il rapporto tra i redditi pro capite è di 1 a 10, l'accrescimento
demografico è tumultuoso, da 146 milioni di persone nel 1990 ad oltre 230 milioni
nell'anno 2010: tutti fattori che possono portare a tensioni sociali e rafforzare
ulteriormente il fondamentalismo islamico.
In risposta a queste sfide l'UE ha elaborato una politica mediterranea in tre fasi:
nel 1992 la -> Commissione europea formulò l'obiettivo di un partenariato euromaghrebino, un anno più tardi quello di una collaborazione a lungo termine con
Israele ed i suoi vicini arabi del Mashrak. Entrambe le iniziative sfociarono nel
progetto di un esteso partenariato euromediterraneo, nel cui ambito sono stati
conclusi nel 1995 i negoziati per gli accordi di associazione con Israele, Marocco e
Tunisia.
126
Il primo risultato positivo di questo progetto di partenariato è stata la conferenza
di Barcellona tenutasi il 27 e 28 novembre 1995, alla quale parteciparono tutti gli
Stati membri dell'UE e gli Stati del bacino del Mediterraneo, comprese (ma con
l'eccezione della Libia) la Giordania e le Autorità palestinesi dei territori autonomi,
nonché l'Albania ed i paesi dell'ex Iugoslavia. La conferenza deliberò un ampio
programma volto ad una nuova impostazione delle relazioni euromediterranee, che
si articola su tre pilastri.
Il primo pilastro crea un partenariato di sicurezza tra i paesi partecipanti, che deve
essere instaurato grazie ai meccanismi della composizione pacifica dei conflitti, al
controllo degli armamenti e all'applicazione di altri principi. Il secondo formula
l'obiettivo dell'avvio di più intense relazioni commerciali interregionali. L'elemento
fondamentale è la realizzazione di una zona di libero scambio nel bacino euromediterraneo entro l'anno 2010. A quel punto i prodotti industriali circoleranno
liberamente sul mercato transmediterraneo e si sarà creata così la più grande zona
di libero scambio al mondo con oltre 600 milioni di potenziali consumatori. Il terzo
pilastro infine estende il partenariato agli aspetti sociali e culturali.
L'impegno europeo è integrato da aiuti finanziari pari a 4,6 miliardi di ecu per il
periodo dal 1995 al 1996. A questi vanno aggiunti i prestiti a lungo termine
erogati dalla -> Banca europea per gli investimenti (BEI) per un valore analogo. Il
sostegno finanziario mira a consentire le riforme strutturali nel settore
commerciale e politico che sono necessarie per l'attuazione degli accordi di libero
scambio nei paesi meridionali. Nel 1992 il PNL medio pro capite ammontava, negli
Stati della sponda meridionale del Mediterraneo, a circa 1 500 USD, contro i circa
20 000 USD dell'UE. Per aumentare il reddito in termini reali della regione si
dovrebbe conseguire, nei prossimi decenni, una crescita economica del 6%. L'UE
cerca di raggiungere questo obiettivo attraverso il contenimento del settore
pubblico ed il potenziamento dell'economia privata. Inoltre intende, con particolari
strumenti finanziari, così come attraverso accordi di partenariato, promuovere lo
scambio intraregionale di merci, che finora ha costituito soltanto il 7% del volume
del commercio della regione.
Sven Behrendt
http://europa.eu.int/pol/singl/en/info.htm
Mercato interno
Base giuridica: Articolo 2 (instaurazione di un mercato comune) del trattato CE;
articolo 3, paragrafo a) (abolizione di dazi doganali, delle restrizioni quantitative e
tutte le altre misure di effetto equivalente); articolo 3, paragrafo c) (eliminazione
degli ostacoli alla libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei
capitali); articoli da 7 A a 7 C (instaurazione del mercato interno entro il 1992,
disposizioni procedurali e deroghe); articolo 3, paragrafo d) e 100 C (entrata e
circolazione delle persone nel mercato interno e criteri uniformi in relazione
all'obbligo dei visti); articolo 8 A del trattato CE (diritto di ogni cittadino
dell'Unione di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri).
Benché il termine ufficiale per il completamento del mercato unico (31 dicembre
1992) sia stato superato da tempo, questo capitolo dell'integrazione europea non
può dirsi chiuso; piuttosto, il processo di realizzazione delle cosiddette «quattro
libertà» (libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali) è
ancora in corso.
Negli anni che seguirono l'istituzione della Comunità economica europea sono
stati realizzati significativi progressi in termini di «integrazione negativa», vale a
dire l'eliminazione dei dazi doganali e delle restrizioni quantitative. Invece nel
processo di attuazione della libera circolazione delle merci e dei fattori della
produzione nel contesto di un «mercato comune» e di realizzazione delle «quattro
libertà» i progressi sono stati lenti. La libera circolazione delle merci veniva spesso
ostacolata dalle legislazioni nazionali intese a tutelare i consumatori, la salute
pubblica o l'ambiente. Solo una piccola parte di tali norme giuridiche è stata
armonizzata in virtù della procedura di ravvicinamento delle disposizioni
legislative (prevista dall'articolo 100 del trattato CE), la cui adozione richiedeva
all'inizio l'unanimità. La libertà di circolazione delle persone era ancora limitata
dalle differenze nei diplomi professionali, la disparità di regolamenti e la vigilanza
prudenziale alle frontiere ostacolavano la prestazione di servizi transfrontalieri e le
restrizioni sui movimenti di capitali distorcevano le decisioni in materia di
investimenti e di depositi.
Libro bianco della Commissione
Nel giugno 1985, di fronte a quella che sembrava una impasse del processo di
integrazione ed in risposta ai timori, in alcuni casi giustificati, che l'Europa si
trovasse svantaggiata nella competizione con il Giappone e con gli Stati Uniti, la-
127
128
>-> Commissione europea presentò il «libro bianco sul completamento del
mercato interno». Si trattava di un programma legislativo dettagliato, corredato di
un preciso calendario, contenente 270 misure legislative ritenute essenziali per il
completamento del mercato interno. Il libro bianco era diviso in tre principali
capitoli dedicati rispettivamente all'abbattimento delle barriere fisiche, tecniche e
fiscali (imposte indirette). La maggior parte di tali misure riguardava l'aspetto
tecnico. Nessuna delle proposte verteva tuttavia su argomenti strettamente
interconnessi con il progetto del mercato unico e che successivamente sarebbero
stati affrontati da Maastricht, quali lo «spazio sociale europeo», la convergenza
delle politiche economiche e monetarie o l'armonizzazione delle imposte dirette.
Sistema di votazione a maggioranza
Ai fini della effettiva realizzazione del mercato interno era anche essenziale
accelerare la procedura legislativa. L'articolo 100 A dispone infatti che la maggior
parte delle disposizioni attinenti all'instaurazione ed al funzionamento del
mercato interno possono essere adottate dal -> Consiglio dell'Unione europea a
maggioranza qualificata. In diversi casi, il solo timore di essere messi in minoranza
è spesso sufficiente a rendere gli Stati membri più disponibili a raggiungere
compromessi. Tuttavia, alcuni settori chiave, quali la libertà di circolazione delle
persone (almeno in parte) e, in particolar modo, l'armonizzazione fiscale, sono
esplicitamente esclusi da tale disposizione e richiedono pertanto ancora l'adozione
all'unanimità.
La partecipazione del -> Parlamento europeo (PE) al processo legislativo dell'
Unione europea è stata considerevolmente rafforzata dall'introduzione di due
nuove -> procedure decisionali: la «procedura di cooperazione» (articolo 189 C del
trattato CE) e la «procedura di codecisione» (articolo 189 B del trattato CE). Il
Parlamento ora può, votando alla maggioranza assoluta dei membri che lo
compongono, opporsi ad una posizione comune definita a maggioranza qualificata
dal Consiglio. In questo caso, quest'ultimo può imporre la propria volontà soltanto
deliberando all'unanimità, se si tratta di procedura di cui all'articolo 189 C, mentre
deve accettare la decisione del PE nel caso di procedura di cui all'articolo 189 B.
Ad esempio, nel marzo 1995, la Direttiva sulla protezione giuridica delle invenzioni
biotecnologiche, nonostante l'approvazione del comitato di conciliazione, è stata
rigettata dal Parlamento senza che il Consiglio potesse opporvisi.
Costi e benefici
Il mercato unico produce i suoi effetti attraverso una serie di «reazioni a catena» a
diversi livelli. Ad esempio, l'eliminazione dei controlli e delle formalità alle
frontiere comporta una immediata riduzione dei costi delle imprese. Le economie
di scala sono rese possibili dalle dimensioni stesse del mercato unico; una
maggiore competitività tra imprese porta alla razionalizzazione e ad una maggiore
specializzazione, con conseguente incremento della competitività internazionale
dell'UE.
In preparazione di un esteso rapporto sulla valutazione delle ripercussioni del
programma del mercato unico e come base per l'emanazione di un nuovo «ordine
del giorno» per il mercato interno, nel 1996 la Commissione ha presentato 39
studi settoriali, i cui risultati erano già parzialmente contenuti nel libro bianco
sulla «crescita, competitività ed occupazione», pubblicato nel 1993. Secondo tale
indagine, il completamento del mercato interno avrebbe portato, tra l'altro, alla
creazione di 9 milioni di nuovi posti di lavoro tra il 1986 ed il 1990, all'aumento
del prodotto interno lordo annuale di mezzo punto percentuale nonché ad un
raddoppio degli scambi nei settori finora «protetti». Resta tuttavia problematico
stabilire esattamente quanto di tali risultati possa essere attribuito esclusivamente
al fattore «completamento del mercato unico». Inoltre, devono essere presi in
considerazione, accanto alle conseguenze complessive del programma, anche le
disparità regionali, i costi ambientali e gli effetti sociali. Ad esempio, le politiche di
accompagnamento nonché lo stanziamento di ingenti somme di denaro per i fondi
strutturali ed il Fondo di coesione che sono necessari per compensare, o per lo
meno attenuare, gli effetti negativi del mercato unico, sono fattori altrettanto
importanti nel calcolo. Tuttavia, nel rafforzamento della coesione economica e
sociale, vanno considerati non solo i trasferimenti finanziari, ma anche l'entrata in
vigore graduale delle direttive e la previsione di deroghe.
Strategie
Il programma del mercato unico prevede due strategie complementari per
realizzare un unico grande mercato. La prima strategia rifiuta l'armonizzazione
«istituzionale», limitando il ravvicinamento legislativo ad un numero minimo di
norme fondamentali che garantiscono la protezione della sanità pubblica,
l'ambiente ed i consumatori, attività che in grande misura erano in passato di
competenza degli Stati membri. La seconda prevede di aumentare il numero di
armonizzazioni «funzionali», basate sul «reciproco riconoscimento», un principio
che è stato approvato e ribadito in più occasioni dalla -> Corte di giustizia delle
Comunità europee (CGCE).
Dalla fine del periodo transitorio, vi è stato un conflitto di interessi, nei settori
sottratti alla competenza comunitaria, tra i poteri residuali degli Stati membri da
un lato e le esigenze della libera circolazione delle merci dall'altro. Mentre
l'articolo 30 del trattato CE ha sempre vietato «qualsiasi provvedimento che possa
intralciare, direttamente od indirettamente, in atto o in potenza, le importazioni
tra Stati membri» (Sentenza Dassonville della CdG, 1974), tali misure possono
essere autorizzate se giustificate da motivi di moralità pubblica, di ordine
pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute, protezione dell'ambiente e
dei consumatori. Tuttavia il ricorso all'articolo 36 del trattato CE, e quindi il
mantenimento di misure nazionali restrittive degli scambi, è possibile solo se tali
misure non sono applicate in modo discriminatorio, sono necessarie e
proporzionate, e costituiscono il mezzo meno interventista per raggiungere gli
effetti desiderati.
129
130
Reciproco riconoscimento
Gli scambi tra gli Stati membri sono spesso limitati da impedimenti che vengono
presentati sotto forma di norme di sicurezza. Nella controversia sulle importazioni
del liquore francese Cassis de Dijon in Germania, la Corte di giustizia ritiene che il
divieto d'importazione costituisse un mezzo eccessivamente restrittivo per
raggiungere il fine desiderato (la protezione dei consumatori) e dichiarò che a tale
scopo era sufficiente una etichetta che riportasse chiaramente l'indicazione del
tasso alcoolico. Tale sentenza introdusse il principio del reciproco riconoscimento
come uno dei principi guida della creazione del mercato unico e non solo nel
settore delle merci. Esso si applica anche alle merci provenienti da paesi terzi,
quando siano state immesse in libera pratica in uno degli Stati membri. Da allora
la Corte ha confermato la sentenza Cassis de Dijon a più riprese, ad es. in diversi
casi relativi alla purezza della birra, ai prodotti lattieri, alle salsicce e alla pasta di
grano duro italiana. Tuttavia, essa non ha sempre dato priorità alla libera
circolazione delle merci; in alcuni casi ha ritenuto prevalenti altre «esigenze
imperative» (ad esempio nella sentenza sui «vuoti a rendere»).
Qualora il principio del reciproco riconoscimento non possa essere applicato,
prevale la «nuova strategia in materia di armonizzazione tecnica e
normalizzazione», che la Commissione adotta dal 1985. Ciò significa che il
Consiglio stabilisce tramite direttive soltanto i requisiti di sicurezza di base,
formulati in termini piuttosto generici, che sono intesi a proteggere la salute
pubblica, l'ambiente ed i consumatori, mentre i particolari tecnici sono demandati
alle norme europee ( -> politica dei consumatori).
Norme europee
Le due organizzazioni deputate a definire la normazione europea, il CEN per le
norme generali e Cenelec per il settore elettrotecnico, sono composte da membri
appartenenti alle organizzazioni nazionali di normazione. Così come avviene in
seno al Consiglio, è necessaria la maggioranza qualificata per adottare una
decisione. E, come nella procedura legislativa dell'UE, gli Stati membri sono tenuti
a ritirare gli standard nazionali che non risultano compatibili con le norme
europee. La nuova strategia prevede che una merce prodotta secondo le norme
europee deve conformarsi ai requisiti fondamentali di sicurezza stabiliti dalla
direttiva. I produttori possono anche scegliere di non attenervisi, ma in tal caso
l'onere della prova si inverte: spetta a loro dimostrare che il prodotto è sicuro. Così
come per le norme nazionali, quelle stabilite dal CEN e dal Cenelec non sono
vincolanti; l'adesione è facoltativa. Attualmente si contano quasi 300 comitati
tecnici che lavorano su 10 000 progetti di normazione.
Al fine di prevenire la creazione di nuovi ostacoli al commercio e di promuovere il
principio del reciproco riconoscimento, gli Stati membri si sono impegnati con
l'adozione della direttiva 83/189/CEE, più volte ampliata, a notificare
preventivamente alla Commissione tutti i progetti di normazione e
regolamentazione tecnica.
Stato di attuazione
Tutte le misure legislative contemplate dal libro bianco della Commissione, tranne
undici proposte, sono state realizzate. Si tratta di 259 misure contenute in 275
testi legislativi. Mentre l'eliminazione delle barriere tecniche è avvenuta senza
problemi e si è potuto raggiungere una soluzione provvisoria soddisfacente per
quanto riguarda le barriere fiscali, la completa eliminazione degli impedimenti di
carattere fisico pone ancora difficoltà.
Tra i successi riportati nei principali settori attinenti al programma per il mercato
unico si annoverano, accanto alle summenzionate direttive ispirate alla «nuova
strategia»: la liberalizzazione della circolazione dei capitali, l'apertura degli appalti
di lavori pubblici e forniture (che rappresentano 8% del PNL dell'UE) nonché
l'estensione delle disposizioni comunitarie sugli appalti ai settori precedentemente
esclusi (energia, acqua potabile, trasporti e telecomunicazioni), la liberalizzazione
dei servizi finanziari (banche ed assicurazioni) e dei trasporti (cabotaggio stradale
e trasporto aereo), il reciproco riconoscimento dei diplomi universitari e di
formazione professionale, l'instaurazione a lungo attesa di una procedura
uniforme a livello europeo di omologazione degli autoveicoli e l'istituzione di una
Agenzia europea per la valutazione dei prodotti medicinali (a Londra) e di un
Ufficio europeo dei brevetti (ad Alicante).
Regime provvisorio per il settore fiscale
La strategia adottata dal libro bianco per eliminare gli ostacoli fiscali nel mercato
interno si è rivelata politicamente non realizzabile nel medio termine. La soluzione
proposta prevedeva il passaggio dal sistema di tassazione del paese di
destinazione a quello del paese di origine con il versamento preliminare
dell'imposta sulle operazioni transfrontaliere, introduzione di forcelle per le
aliquote fiscali nazionali, mantenimento della ripartizione del gettito fiscale
secondo il principio del paese di destinazione attraverso un «sistema di
compensazione». Tuttavia, per poter eliminare i controlli alle frontiere nei tempi
previsti, è stato adottato un regime provvisorio, valido fino a tutto il 1996, che si è
nel frattempo rivelato molto efficiente: le operazioni tra privati (escluso l'acquisto
di vetture) vengono già tassate in base al principio del paese di origine, mentre le
operazioni transfrontaliere effettuate dalle imprese continuano ad essere tassate
nel paese di destinazione sulla base delle consegne registrate da importatori ed
esportatori. Anche per le accise vige tuttora il principio del paese di destinazione.
Inoltre sono state fissate le aliquote minime per le diverse imposte speciali di
consumo così come per l'imposta sul valore aggiunto: 15% per l'aliquota normale
e 5% per l'aliquota ridotta.
Barriere fisiche: l'ultimo ostacolo
Con l'eliminazione dell'avviso di passaggio e del documento amministrativo unico,
la nuova disciplina delle rilevazioni statistiche degli scambi intracomunitari,
l'abolizione dei controlli veterinari alle frontiere e di quelli sugli autoveicoli
(controlli che ora sono effettuati nei luoghi di produzione all'interno del paese) ed
131
132
il regime provvisorio per le imposte indirette, si sono realizzati considerevoli
progressi nella direzione dell'abbattimento delle barriere materiali nel settore della
libera circolazione delle merci. Tuttavia le questioni altamente politiche, quali la
lotta al terrorismo, al traffico di droga e ad altre forme di criminalità nonché le
politiche di asilo e di immigrazione, che devono essere risolte se si vuole procedere
all'eliminazione dei controlli sulle persone, hanno trovato finora soluzioni soltanto
parziali. Segnali incoraggianti sono giunti grazie alle convenzioni di Dublino e
Europol ( -> Europol), nonché, anche se si colloca al di fuori del quadro giuridico
dell'UE, con la realizzazione della libera circolazione delle persone tra i «paesi
Schengen» dal marzo 1995, i cui effetti sono avvertiti in maniera molto diretta dai
cittadini. La Commissione ha presentato tre proposte di direttive nel luglio 1995
volte ad eliminare definitivamente le rimanenti difficoltà e realizzare la piena
libertà di circolazione delle persone.
L'introduzione di un diritto generale di soggiorno, non dipendente dall'attività
lavorativa, per studenti, pensionati e persone non attive e la riconferma della
libertà di circolazione e soggiorno per i cittadini dell'Unione (articolo 8 A del
trattato CE) riveste invece grande importanza soprattutto nell'ottica dell'->Europa
dei cittadini.
I problemi dell'attuazione
Con l'approssimarsi e lo scadere del termine previsto, l'attenzione è andata
progressivamente volgendosi ai problemi dell'attuazione e sulla gestione del
mercato unico: le misure adottate dalla Comunità, per lo più direttive, dovevano
essere recepite nelle legislazioni nazionali, nel rispetto del loro spirito, ed applicate
entro limiti di tempo ben precisi. Mediamente, gli Stati membri hanno recepito il
92,9% della legislazione attinente al mercato unico. In testa alla classifica si
trovano la Danimarca ed i Paesi Bassi con il 99,1%, seguiti da Regno Unito, Svezia
e Lussemburgo, mentre Austria, Finlandia, Grecia, Italia e Germania registrano i
tassi più alti di mancato recepimento della legislazione. Una valutazione
meramente quantitativa può però essere fuorviante, poiché non tiene conto delle
eventuali manchevolezze dell'attuazione, il cui controllo da parte della
Commissione procede solo con molta lentezza.
Recepimento delle disposizioni attinenti al mercato interno negli Stati membri
Misure
notificate
In %
Non applicabili
Deroghe
Misure non
notificate
Recepimento
parziale
Violazione del
trattato
per recepimento
incompleto
Fonte: Commissione europea
(Situazione al 16.9.1996)
275 Misure sono entrate in vigore; 219 richiedono leggi di recepimento nazionali.
Conseguenze
Il pericolo della «Fortezza Europa», evocato dai paesi terzi all'inizio del programma
del mercato unico, si è rivelato ampiamente infondato. Il completamento del
mercato interno ha comportato piuttosto il superamento delle lacune esistenti
nella politica commerciale comune dell'Unione; da quando sono stati eliminati i
controlli alle frontiere gli Stati membri non possono più invocare le misure di
protezione previste dall'articolo 115 del trattato CE. L'ultima di tali lacune è stata
colmata con l'istituzione dell'organizzazione per il controverso mercato delle
banane.
Ancora una volta il dibattito su Maastricht ha dimostrato che la creazione del
mercato unico rappresentava un mezzo per raggiungere un obiettivo, nonché un
obiettivo in sé stesso; la credibilità del progetto del mercato unico ha infine
spianato la strada ad una maggiore integrazione ed alla creazione di una ->
unione economica e monetaria.
Kristin Schreiber
133
http://europa.eu.int/pol/av/en/info.htm
134
Mezzi di comunicazione
di massa
Base giuridica: Riferimenti indiretti negli articoli 59 e 60 del trattato CE (libera
prestazione di servizi), negli articoli da 130 F a 130 Q CE (ricerca e sviluppo
tecnologico) e nell'articolo 128 CE (cultura).
Obiettivi: Creare un mercato europeo dei mezzi di comunicazione, promuovere e
sviluppare un'industria dei programmi competitiva, introdurre uno standard per la
televisione ad alta definizione.
Programmi: Media II per promuovere lo sviluppo dell'industria televisiva europea,
Eureka 95 per creare lo standard HDTV, Eureka audiovisivo per la promozione delle
infrastrutture audiovisive.
I mezzi di comunicazione di massa sono gli strumenti privilegiati per la diffusione
di informazioni, cultura e intrattenimento; sotto questo profilo, la loro funzione
sociale è di primaria rilevanza. Una politica dei mezzi di comunicazione deve
riuscire a garantire un delicato equilibrio fra le esigenze dell'economia e quelle
della cultura. Considerati sotto il profilo economico, i mezzi di comunicazione
sono soggetti, nella vigente normativa comunitaria, alla legislazione sul ->
mercato interno; prima dell'entrata in vigore del trattato sull'Unione europea,
invece, la cultura rimaneva una materia di competenza esclusivamente nazionale.
Le nuove competenze che l'articolo 128 CE (nuovo testo) attribuisce alla ->
Unione europea nel settore culturale consistono, in sostanza, nell'incoraggiare la
cooperazione tra Stati membri e nel sostenerne ed integrarne l'azione. Nel caso dei
mezzi di comunicazione a stampa il principio della libera circolazione delle
informazioni negli Stati dell'Unione era già pacificamente acquisito da decenni,
per cui non è stato necessario emanare nei loro confronti alcuna normativa
comune. Di conseguenza, la politica dei mezzi di comunicazione dell'UE resta
circoscritta quasi esclusivamente al settore audiovisivo, ad un settore, cioè, che
nell'ultimo decennio ha visto i cambiamenti più spettacolari. Originariamente, la
politica dei mezzi di comunicazione risultava limitata sia dalla scarsezza delle
frequenze disponibili sia dalle stesse normative nazionali; il quadro è stato
profondamente rivoluzionato dall'avvento della televisione via cavo e via satellite:
esplosione dell'offerta di programmi televisivi, da un lato, e scavalcamento delle
politiche nazionali per il generalizzarsi delle trasmissioni transfrontaliere,
dall'altro.
In pari tempo, le imprese cinematografiche e televisive manifestavano l'esigenza di
poter recuperare i sempre più elevati costi di produzione ampliando l'area di
ricezione dei loro programmi, cioè allargando la propria audience. Le produzioni
cinematografiche e televisive europee non sono remunerative se non in parte e
l'80% di esse non viene trasmesso fuori del paese d'origine mentre, ad esempio, le
produzioni americane recuperano tutti i costi nel loro mercato interno e
successivamente inondano l'Europa offrendo i loro programmi a prezzi molto
inferiori.
Il mercato europeo dei mezzi di comunicazione
La Comunità europea ha cominciato a occuparsi della creazione di un mercato
europeo dei mezzi di comunicazione all'inizio degli anni '80. Il principio ispiratore
è sempre stato quello di garantire - armonizzando le disposizioni sull'emittenza
radiotelevisiva - che la diffusione transfrontaliera dei programmi televisivi (che de
facto non poteva più essere impedita) non violasse la normativa degli Stati che li
ricevono.
Dopo una lunga preparazione, il Consiglio ( -> Consiglio dell'Unione europea)
adottò il 3 ottobre 1989 la direttiva nota come «Televisione senza frontiere»
(direttiva 89/552/CEE) che consente ai programmi audiovisivi di essere diffusi
liberamente in tutta l'UE nell'osservanza di alcuni requisiti minimi e di alcune
finalità di politica culturale. La direttiva detta una serie di regole con riguardo al
tempo di trasmissione dedicato alla pubblicità, alla tutela dei minori, al diritto di
replica, nonché disposizioni nella controversa materia della produzione,
distribuzione e promozione di programmi televisivi europei, in base alle quali oltre
il 50% del tempo di trasmissione deve essere riservato a produzioni europee.
Inoltre, è previsto che almeno il 10% del tempo di trasmissione o del bilancio di
programmazione vengano riservati alle opere di produttori indipendenti. Non
essendo però prescritte da disposizioni di natura cogente, tali «quote» devono
essere osservate solo «ogniqualvolta sia possibile» e ogni loro eventuale violazione
non è di conseguenza sanzionabile. Protocolli addizionali lasciano agli Stati
membri la facoltà di dettare norme più severe sugli enti di radiodiffusione soggetti
alla loro giurisdizione.
I successivi tentativi della -> Commissione europea per aggiornare e ampliare la
portata della direttiva sulla televisione hanno rinfocolato le critiche che investono
proprio la ragion d'essere stessa del provvedimento. Mentre la Francia in
particolare preme da anni affinché venga stabilita una quota obbligatoria per le
produzioni europee, in modo da sostenere almeno transitoriamente la propria
industria cinematografica, altri Stati membri ritengono che una norma del genere
costituisca un inutile e facilmente eludibile provvedimento protezionistico. Nel
marzo 1995 la Commissione ha presentato la proposta di revisione della direttiva
«Televisione senza frontiere» che detta, tra l'altro, norme obbligatorie in materia di
quote con validità decennale. Su questo punto è stato possibile ottenere il
consenso del Parlamento europeo ma non quello del Consiglio, il quale, nel giugno
135
136
1996, ha adottato una posizione comune che proroga per altri cinque anni il
precedente regime delle quote «flessibili». Ogni futura revisione della direttiva
dovrà peraltro tener conto degli enormi cambiamenti che le mutazioni
tecnologiche hanno indotto nell'industria audiovisiva (un solo esempio: le
televendite)
Per altro verso sono stati più volte espressi dubbi circa le competenze dell'UE in
relazione al settore dei mezzi di comunicazione: se è vero che, come sostiene
l'Unione, la televisione deve essere considerata un servizio, è anche vero che
l'imposizione di quote costituisce in pari tempo un'interferenza nella
programmazione televisiva che ad esempio in Germania è competenza dei Länder.
In questi ultimi anni si è assistito all'adozione di alcuni provvedimenti che hanno
contribuito a meglio definire il mercato europeo dei mezzi di comunicazione: nel
1993 sono state emanate le direttive relative all'armonizzazione del diritto di
autore nel caso di emissioni televisive transnazionali e, con la presentazione di un
libro verde in questa materia nel 1992, si è aperto in tutta l'Unione un acceso
dibattito sull'opportunità che venga emanata una normativa europea diretta a
garantire il pluralismo nei mezzi di comunicazione e impedire il costituirsi di
posizioni dominanti.
Il sostegno all'infrastruttura audiovisiva
Nell'Unione europea le produzioni televisive e cinematografiche sono considerate
canali privilegiati per la diffusione della cultura e delle identità europee. La
difficile situazione del mercato indusse nel 1994 la Commissione europea a
presentare un libro verde che invitava al dibattito su una serie di opzioni
strategiche per il rafforzamento dell'industria dei programmi. Si è trattato del
primo passo di un'iniziativa destinata ad approdare ad un piano che dovrebbe
trasformare i mezzi di comunicazione sociale nella Comunità europea in strumenti
capaci di sostenere la concorrenza internazionale e le sfide del futuro. Mediante
interventi di sostegno accuratamente mirati si vuole superare il frazionamento dei
mercati e dare rilievo alla grande ricchezza culturale dell'Europa. Sono questi del
resto gli obiettivi del programma MEDIA, che è operativo già dal 1987. Per
migliorare la competitività delle produzioni europee questo programma mette a
disposizione dei fondi per finanziare non solo la formazione e il perfezionamento
professionale degli operatori del settore ma anche attività come il doppiaggio, il
noleggio e la distribuzione dei programmi, nonché forme di cooperazione fra gli
operatori. Il programma MEDIA vuole infatti contribuire a creare un ambiente
favorevole alla produzione cinematografica europea senza interferire nel processo
di produzione propriamente detto. Dato che l'esiguità dei fondi si è rivelata un
serio fattore frenante, la dotazione finanziaria della seconda fase di MEDIA
(MEDIA II) che si estende sugli anni 1996-2000 è stata raddoppiata ed è oggi di
400 milioni di ecu.
Unificazione delle norme tecniche
Oltre alle barriere costituite dalle lingue, in Europa esiste anche il problema
dell'incompatibilità dei sistemi televisivi. Per questo motivo si era deciso di
introdurre nella Comunità la televisione ad alta definizione (HDTV), che consente
emissioni di qualità cinematografica, in modo da unificare le norme tecniche.
Purtroppo, la politica dell'alta definizione è stata un fallimento sul piano
industriale, in conseguenza dell'abbandono della norma (provvisoria) D2-MAC, che
avrebbe dovuto rappresentare il primo passaggio obbligato in direzione della
televisione ad alta definizione. Nel frattempo, però, l'ampia diffusione dei satelliti
di telecomunicazione diretta ha indotto produttori e consumatori a voltare le
spalle alla norma europea perché troppo costosa e priva di interesse. Dopo una
fase di fiere resistenze, questo progetto - così lontano dalla realtà del mercato - fu
ritirato mentre contemporaneamente veniva lanciato, nel quadro di Eureka, un
progetto per lo sviluppo di un sistema europeo di televisione ad alta definizione,
dotato di una generosa dotazione finanziaria, con l'obiettivo iniziale di istituire
una norma mondiale. Per quanto negli Stati Uniti fosse già stato sviluppato un
sistema numerico (digitale) ad alta definizione che poteva essere ricevuto anche
via antenna, la Comunità tenne in piedi fino alla fine del 1992 il proprio progetto
il quale, essendo basato sulla tecnologia analogica, era già tecnicamente
sorpassato. Fu solo grazie all'opposizione irriducibile del Regno Unito che il
progetto venne accantonato. Nel 1994 si è cominciato a lavorare - sempre
nell'ambito di Eureka - ad uno standard digitale. Nei prossimi anni, fino a quando
verrà introdotta la televisione ad alta definizione in formato 16:9 continueranno
quindi ad esistere varie norme e vari formati in concorrenza fra di loro. Poiché il
successo della nuova tecnologia dipenderà in gran parte dall'offerta di programmi
televisivi, il Consiglio ha varato, nel luglio 1993, ad un piano di azione
quadrennale forte di una dotazione finanziaria di 220 milioni di ecu, che
serviranno a finanziare le produzioni nel nuovo formato 16:9 e a compensare i
costi aggiuntivi che questa trasformazione comporta.
Prospettive
Alla soglia dell'era digitale il mondo dei media rappresenta uno dei principali
mercati europei del futuro: servizi interattivi, programmi individuali a richiesta e
possibilità di collegarsi a reti informatiche che coprono l'intero globo terrestre
porranno sicuramente la politica europea dei mezzi di comunicazione dinanzi a
nuove sfide. L'avvento della «società dell'informazione» multimediale è considerato
a Bruxelles una opportunità storica. Tuttavia, a parte l'aspetto puramente
economico-commerciale, va osservato che in futuro il ruolo dei mezzi di
comunicazione nella formazione dell'identità europea non dovrà essere trascurato.
Al di là e nonostante le regolamentazioni comuni, la politica dei mezzi di
comunicazione in Europa deve avere la funzione di conservare la grande varietà
dei sistemi europei. In questo senso, progetti comuni come il canale di
informazioni «Euronews» (che trasmette in cinque lingue) o il canale culturale
137
138
«Arte» e i programmi transfrontalieri specializzati potranno rivelarsi preziosi per il
contributo che daranno alla dimensione europea della nostra vita di tutti i giorni.
Olaf Hillenbrand
Modelli teorici e idee guida
dell'integrazione europea
Dato che la politica europea ha lasciato fino ad oggi volutamente nel vago quella
che dovrebbe essere la forma definitiva del processo d'integrazione, i modelli di
sviluppo della -> Unione europea (UE) acquistano la loro importanza per quattro
ordini di ragioni. In primo luogo, questi modelli unificano le aspettative degli attori
rispetto al processo d'integrazione, consentendo loro di adeguarsi alle nuove
circostanze; in secondo luogo, forniscono una giustificazione al ruolo delle
istituzioni nel processo di formazione della Comunità (questo vale specialmente
per il->Parlamento europeo); in terzo luogo, influiscono sull'opinione pubblica
europea, consentendo ai cittadini di identificare i propri valori e le proprie
aspettative con il livello di sviluppo raggiunto dalla Comunità ad ogni tappa;
infine, i modelli sono espressione del riconoscimento politico di un valore come
quello dell'integrazione europea, attribuiscono il dovuto rilievo alla politica
europea e hanno quindi un effetto stabilizzatore nelle fasi in cui le decisioni
sull'Europa diventano controverse.
Il significato e i limiti della funzione assunta da questi modelli di integrazione
europea sono venuti alla luce con il dibattito che ha accompagnato la ratifica del
trattato sull'Unione europea. In Germania, come in altri Stati membri, la visione di
uno Stato federale europeo si è tramutata nell'incubo di un «superstato», mentre
altrove (e non soltanto nel Regno Unito durante il dibattito su Maastricht) si sono
riaffacciate visioni più tradizionali come quella della «Europa delle patrie». La
funzione orientatrice dei vecchi modelli di integrazione si è affievolita con l'acuirsi
dell'incertezza sul futuro ordinamento europeo, sull'ampiezza dell'integrazione e
sui rapporti fra integrazione e nazioni. Mentre in periodi di stabilità concetti vaghi
come «Unione europea» servivano a rafforzare il consenso, nello stadio di
integrazione raggiunto con il trattato di Maastricht e con la caduta della pressione
esterna rappresentata dal vecchio conflitto Est-Ovest la situazione sembra essersi
ribaltata perché lo stesso concetto ha finito col polarizzare le posizioni nella
polemica sull'approfondimento dell'integrazione.
Nel dibattito attuale su quelli che devono essere i modelli del processo
d'integrazione si affrontano - chiamiamole così - tre correnti di pensiero. La prima
prospetta un lento distacco dall'obiettivo degli «Stati Uniti d'Europa» e
l'avvicinamento alla più apprezzata formula dell'associazione di Stati, che
privilegia la coesistenza, in un sistema politico di tipo particolare, di sovranità
nazionale e di integrazione sovrannazionale. La seconda corrente di pensiero trae
alimento dai risultati delle inchieste d'opinione che hanno documentato il mutato
atteggiamento dei cittadini d'Europa nei confronti dei progressi dell'integrazione:
139
140
l'accoglienza del trattato sull'Unione europea da parte dell'opinione pubblica
europea segnala che il bisogno di integrazione è già stato soddisfatto. Quello che,
in una prospettiva federalista, poteva apparire un trampolino di lancio per il
successivo balzo in avanti sembra oggi per molti europei il massimo auspicabile.
La terza corrente di pensiero si pone in certo qual modo in opposizione alle prime
due in quanto si interroga su quello che dovrà essere il valore dell'integrazione
europea come modello-guida per gli altri paesi. Infatti, la prospettiva di un
ampiamento dell'UE verso Est significa estendere il principio ispiratore e le forme
organizzative dell'integrazione dell'Europa occidentale a quasi tutto il territorio
del vecchio continente. I costi che questo evento comporterebbe, il probabile
spostamento nell'equilibrio dei poteri e del consenso politico e le prevedibili
conseguenze sull'assetto istituzionale sono di dimensioni tali da rimettere in
questione l'attuale indirizzo del processo di integrazione. È proprio questo ordine
di considerazioni che ha innescato la recente discussione sulla necessità di rendere
più flessibile e differenziato il processo d'integrazione dell'UE, della proposta di
un'Europa «a geometria variabile» o di un'Europa a più velocità, fino all'idea di una
Unione europea che si forma intorno ad un «nocciolo duro» di Stati. I vari aspetti
del dibattito dimostrano che molte delle vecchie controversie sui modelli
dell'integrazione europea vengono riproposte oggi in veste rinnovata. Lungi
dall'apparire storicamente superati, i vecchi modelli si riaffacciano nel nuovo
contesto. Vino vecchio in botti nuove.
Stato federale - Associazione di Stati - Confederazione di Stati
«Stato federale europeo» e «Confederazione di Stati europei» sono i due poli
concettuali ai quali si è fatto ricorso, fin dagli albori della Comunità all'inizio degli
anni Cinquanta, per descrivere la forma che avrebbe assunto l'Europa una volta
realizzata l'integrazione di tutti gli Stati membri. Un'organizzazione con poteri
decisionali sovranazionali, rappresentata in tutte le sue diverse forme
dall'immagine dello Stato federale, era l'ideale che guidava soprattutto la politica
italiana, tedesca e degli Stati del Benelux. Ad essa si contrapponeva la concezione
francese - espressa dal suo presidente De Gaulle - dell'«Europa delle patrie», nella
quale il motore del processo d'integrazione sarebbe spettato alla cooperazione
intergovernativa tra Stati sovrani.
Il modo in cui si è sviluppata la Comunità europea dimostra che il cammino
seguito finora non ha rispettato la rigida linea di demarcazione fra i due modelli:
lo dimostra proprio la sua struttura odierna, che presenta le caratteristiche di
entrambi. È bensì vero che la politica europea del Regno Unito alla fine degli anni
'80 ha deliberatamente riesumato la retorica gollista per giustificare il rifiuto dell'
-> Unione monetaria, della politica estera e di sicurezza comune o della->politica
sociale; in realtà, però, per Margaret Tatcher e per il suo successore John Major lo
scopo primario era ed è quello di limitare e non di ridurre la crescita di elementi
sovrannazionali. Attualmente, il dibattito sulla forma istituzionale che assumerà la
Comunità in via definitiva riguarda specialmente la natura del futuro Stato.
L'orientamento «federale» del processo d'integrazione, peraltro già delineato nei
trattati di Roma, trova espressione in tutta una serie di termini usati per definirla:
negli ultimi 30-40 anni è stata delineata l'immagine degli «Stati Uniti d'Europa» e
un'immagine ad essa analoga, quella di «Repubblica federale d'Europa». Fare
proprio il modello dello Stato federale implica automaticamente che al processo
d'integrazione vengano applicate le norme delle costituzioni dei paesi
dell'occidente democratico. Concetti federalistici come la ripartizione delle
competenze fra Unione e Stati membri, la democraticità del processo decisionale e
le garanzie dei diritti civili e politici assumono valenza di postulati nel quadro
generale dello Stato federale.
Nel linguaggio dei comunicati e delle decisioni europee dagli anni '70 in poi si
trova più volte espresso il concetto di «Unione europea» per ricomprendere questi
diversi modelli. I vari tentativi fatti successivamente per dargli un concreto
contenuto (vanno citati al riguardo il rapporto Tindemans e il progetto di
costituzione presentato dal Parlamento europeo nel 1984) sono falliti sul piano
politico. Ad un esame superficiale parrebbe che il trattato di Maastricht, istituendo
l'Unione europea, abbia realizzato un vecchio obiettivo della politica europea, ma
questa costruzione non elimina l'ambivalenza del termine. Se è vero, infatti, che le
modificazioni del trattato - soprattutto attraverso l'introduzione di un nuovo
procedimento decisionale chiamato «codecisione» ( -> procedure decisionali) e
attraverso il principio di sussidiarietà - connotano il modello di Unione europea in
senso più marcatamente federalistico, è anche vero che il preambolo del trattato
di Maastricht ne parla come di una «Unione fra i popoli d'Europa». Ma vi è più:
l'Unione non ha, sul piano del diritto internazionale, lo stesso rango della
Comunità europea. La «Comunità economica europea» si è trasformata nella più
ampia «Comunità europea», però l'edificazione dei tre pilastri nel nuovo trattato
sull'Unione europea sta a sottolineare proprio il parallelismo di strutture
sovrannazionali e strutture intergovernative. La->politica estera e di sicurezza
comune (PESC) si basa in sostanza sull'unanimità fra gli Stati membri; l'opzione,
pur sancita dal trattato, delle decisioni a maggioranza sui successivi sviluppi delle
azioni comuni non è mai stata utilizzata, almeno per ora; se si eccettuano, inoltre,
l'Unità antidroghe (che va considerata precorritrice di -> Europol), nell'ambito del
terzo pilastro non sono state istituite, almeno a tutto il 1995, altre istituzioni
permanenti. Al contrario, l'introduzione di una cittadinanza dell'Unione e le
disposizioni sulla partecipazione dei cittadini comunitari alle elezioni comunali e
europee nel paese di residenza sono espressione di un più accentuato carattere
statuale dell'UE. Questa ambivalenza si riscontra anche nel fatto che spesso i
responsabili delle istituzioni europee criticano il cambiamento del termine
«Comunità» con quello di «Unione» perché, sul piano linguistico, questo
cambiamento, visto dall'esterno, avrebbe appannato il carattere solidaristico del
processo di integrazione. In conclusione, il trattato sull'Unione europea, con la sua
controversa ratifica da parte degli Stati membri, ha delineato ancora una volta un
modello guida dai contorni incerti. La tensione che ancora esiste fra uno sviluppo
della Comunità in senso sovranazionale e uno in senso intergovernativo è sempre
141
142
presente e sembra addirittura irrobustirsi in quanto fondamento costruttivo per il
futuro; all'inizio del terzo millennio l'Unione europea in quanto associazione di
Stati non si sgretolerà, ma non prenderà nemmeno la direzione dello Stato
federale europeo inizialmente immaginato.
Motivazioni
Fino dagli anni '50 la costruzione della Comunità persegue quattro grandi
obiettivi: sicurezza, pace, libertà e prosperità. Ad essi si aggiunge la crescita
economica, il desiderio di una convergenza equilibrata in campo economico e
sociale e la volontà di dare un contributo alla civiltà europea tramite
l'integrazione degli Stati. Con l'ampliamento a Sud negli anni '80 i governi
decisero di introdurre anche concetti come «democrazia» e «stabilità politica».
Queste grandi finalità sancite dai trattati corrispondono agli ambiti tradizionali
dell'attività statuale e costituiscono una delle principali motivazioni
dell'integrazione.
Ora, l'obiettivo fondamentale dei governi degli Stati membri è la conservazione
della loro sovranità, intesa come capacità di agire dello Stato; siamo quindi
davanti al tentativo di affrontare problematiche che presentano ormai implicazioni
planetarie precostituendo una struttura nuova che rafforzi la loro capacità di
agire, all'indomani di due conflitti mondiali che hanno indebolito l'Europa e
scalfito la sua capacità di orientare la politica mondiale. I diversi aspetti di questa
motivazione si trovano definiti nella pubblicistica come desiderio di «far sentire la
propria presenza» o «la propria voce» o nell'espressione «europeizzazione
dell'Europa»; concetti come «terzo polo» (o «terza potenza») o l'immagine di
un'Europa come «potenza civile» davano un certo orientamento, che corrispondeva
anche all'auspicio che dall'attività della Comunità e delle sue istituzioni scaturisse
una «identità europea». Secondo altre teorie, l'unità dell'Europa sarebbe stata la
reazione alla disintegrazione e ai conflitti degli Stati nazionali. Dopo il 1989, le
speranze riposte nel processo d'integrazione si rivelarono la molla della politica
estera di vari Stati ex comunisti dell'Europa centrorientale e - in pari tempo - il
rovescio della medaglia dell'attrazione che su di essi esercita il successo politicoeconomico dell'integrazione occidentale. L'ingresso nell'Unione europea era
diventato la tappa obbligata per il «ritorno all'Europa».
Le reazioni dei governi europei ai sommovimenti nell'Europa centrorientale,
all'unificazione tedesca e alla prospettiva di un allargamento all'Est sono pervase
da due diverse motivazioni. In un certo senso, questi cambiamenti radicali hanno
confortato la determinazione di «segnare una nuova tappa nel processo di
integrazione europea» come prevede il preambolo dei TUE, e quindi a rinsaldare
ulteriormente i legami di tutti gli Stati membri all'interno del processo stesso e a
contestare in tal modo le tendenze centrifughe nascenti dalla disgregazione dei
blocchi. Sotto questo profilo l'ulteriore approfondimento dell'UE viene considerato
un presupposto necessario per il suo allargamento.
L'unità europea come processo
Oltre alle dichiarazioni d'intenti e alle motivazioni profonde, una funzione di ideaguida è assolta anche da quei concetti funzionali, di procedimento, che indicano
una direzione e un orientamento all'agire, al di là della specifica situazione di un
dato momento. Alcune delle strategie che ora illustreremo dimostrano che è lo
stesso cammino da percorrere che può diventare il traguardo del processo di
unificazione. Ciò vale, con particolare evidenza, per il concetto stesso di
integrazione.
Nelle dichiarazioni dei movimenti europeistici si trova di frequente una concezione
dell'integrazione carica di valenze normative, concezione che è considerata l'unica
risposta contemporanea alla forza distruttiva dell'ultranazionalismo. La variante
analitica di questa concezione è il funzionalismo, che considera l'integrazione una
risposta specifica ai problemi posti dalla creazione di una struttura internazionale
complessa. Il concetto di integrazione funzionale acquista il suo valore di guida
per l'azione nelle previsioni dei suoi sostenitori sul futuro dell'Europa, e
precisamente nella fiducia che i risultati e le esperienze che emergono in alcuni
settori interconnessi avranno effetti diffusivi su altri settori determinando in
definitiva la spinta verso una Comunità politica. Altre concezioni del processo in
atto hanno, per così dire, più una funzione di supporto, in quanto aumentano la
plausibilità delle dichiarazioni di intenzioni: di conseguenza, esse acquistano
maggiore attrattiva ogni qualvolta l'effettivo processo di integrazione ristagna.
Sotto questo profilo meritano di essere rilevate due strategie relative al processo
di integrazione comunitaria che rivendicano entrambe la dignità di costruzioni
concettuali.
La prima, la strategia sperimental-pragmatica, è una formula politicoamministrativa più che accademica e privilegia un approccio flessibile
all'integrazione, se necessario al di fuori quadro giuridico-istituzionale, in modo da
sormontare eventuali blocchi del processo decisionale. La Cooperazione politica
europea e il -> Sistema monetario europeo sono considerati, in questo senso,
brillanti esempi di esperimenti pragmatici coronati dal successo ( -> la politica
estera e di sicurezza comune e la cooperazione nei settori della -> giustizia e
affari interni seguono lo stesso modello, ancorché dall'interno dell'assetto
istituzionale dell'UE).
La seconda strategia, che favorisce un processo d'integrazione attuabile per gradi
successivi o da una parte soltanto della Comunità per sormontare le fasi di stallo,
sembra addirittura più ricca sul piano concettuale. «L'integrazione flessibile»
intende evitare che il ruolo della Comunità venga ridimensionato da costruzioni
esterne e, nel contempo, mira a consentire anche solo a una parte della Comunità
di procedere sulla via dell'approfondimento al momento giudicato più opportuno.
All'interno di questo disegno si colloca anche il concetto del «nucleo centrale»
degli Stati europei il quale, partendo dai membri fondatori della Comunità,
prospetta un anello di Stati meno integrati disposto intorno a una struttura
143
144
centrale altamente integrata. Altre teorie privilegiano un sistema a più tappe dove
il grado di integrazione aumenta via via che gli Stati si muovono verso il centro (è
il sistema dei «cerchi concentrici»), soluzione incentrata sull'idea di una
confederazione intorno all'UE o sulla ristrutturazione e trasformazione dello
Spazio economico europeo (SEE) come una specie di anticamera alla
partecipazione piena all'Unione europea. Comune a questi due modelli è la visione
dell'ampliamento e dell'integrazione dell'Unione europea come due processi
paralleli: in tal modo essi salvaguardano la dinamicità del processo d'integrazione
nonostante le vistose differenze che si registrerebbero in un'Unione europea
formata da 25 o addirittura da 30 Stati.
Josef Janning
http://www.europarl.eu.int/
Parlamento europeo
Base giuridica: Articoli da 137 a 144 del trattato CE; articoli 158 e 189 B CE.
Composizione: 626 deputati dei 15 Stati dell'UE. Più importante, dal punto di
vista politico, è il raggruppamento in gruppi parlamentari (cfr. infra)
Competenze: Poteri deliberativi e di controllo (articolo 137 CE). Voto di sfiducia
nei confronti della Commissione (articolo 144 CE). Inoltre, a seguito di modifiche
dei trattati e specifici accordi: diritto di decisione, per quanto riguarda le spese
non obbligatorie del bilancio CE (articolo 203 CE) ed accordi di adesione e di
associazione (articolo 238 CE e articolo N TUE); diritto di partecipazione,
consultazione nel corso del procedimento legislativo (articoli 43, 100, 130 S del
trattato CE); procedure di cooperazione (articolo 189 C del trattato CE); diritto di
porre interrogazioni alla Commissione (articolo 140 CE); forme di partecipazione al
di fuori del quadro dei trattati (informazioni riservate sulla negoziazione di trattati
commerciali o di associazione, diritto di rivolgere interrogazione alla presidenza
della PESC, concertazione durante il procedimento legislativo); diritto di
approvazione sull'insediamento di una nuova Commissione europea (articolo 158
CE) nonché diritto di codecisione in taluni atti legislativi (articolo 189 B) e diritto
di nominare il mediatore europeo.
Modalità di votazione: Normalmente, maggioranza semplice; in caso di decisioni
importanti (p.es., mozione di sfiducia contro la Commissione, decisioni relative al
bilancio) secondo le modalità stabilite nel trattato CE.
Il Parlamento europeo (PE) è l'organo parlamentare dell'UE che, dal 1979, viene
eletto a suffragio universale diretto. Suo precursore è stata l'Assemblea comune
della Comunità europea del carbone e dell'acciaio.
Nei trattati istitutivi delle Comunità europee le competenze del PE si limitavano
alla semplice consulenza del -> Consiglio dell'Unione europea e al controllo della > Commissione europea. In varie fasi successive tali competenze sono state
notevolmente irrobustite senza però raggiungere l'ampiezza di quelle che sono
proprie di un parlamento nazionale.
Il principale argomento a favore del rafforzamento istituzionale del PE è stato
sempre il riferimento alla necessità di una maggior legittimazione democratica nel
processo decisionale dell' Unione europea (UE). La Corte costituzionale tedesca,
nella sua sentenza del 12 ottobre 1993 sul trattato sull'Unione europea, ha
145
L’EUROPA DALLA A ALLA Z
146
stabilito che la legittimazione democratica, allo stato attuale delle intese,
interviene attraverso l'aggancio dell'attività delle istituzioni europee a quella dei
parlamenti nazionali. Ad essa si aggiunge, però, la legittimazione democratica
mediata dal Parlamento europeo eletto dai cittadini degli Stati membri.
Ai sensi dell'articolo 138 del trattato CE, il numero di deputati per i 15 Stati
dell'UE è di 626. Tale numero rispecchia solo in parte il numero di abitanti dei vari
Stati membri; di conseguenza, un eurodeputato tedesco rappresenta circa 800 000
cittadini, mentre il suo collega lussemburghese ne rappresenta solo 60 000 circa.
Di maggior significato politico rispetto alla suddivisione secondo l'appartenenza
nazionale sono i gruppi parlamentari che compongono il PE, i quali sono
espressione dell'associazione dei partiti europei. Il quadro della situazione, a
seguito delle elezioni europee del 1995 è il seguente:
Deputati al Parlamento europeo ripartiti per Stato membro e
appartenenza ai gruppi politici
(Ottobre 1996)
B DK D
EL
PSE
6
3
40
10
21
16
1
18
2
PPE
7
3
47
9
30
12
4
14
2
UPE
-
-
-
2
-
16
7
27
-
6
GCSU/SVN 2
V
1
ARE
5
1
-
4
2
9
1
7
1
-
6
5
1
-
-
12 -
2
12
2
-
4
2
1
EDN
-
4
-
-
-
12
-
-
-
2
-
-
-
NI
3
-
-
-
-
11
-
11
-
-
5
-
-
16
99
25
64
87
15
87
6
31
21
25
16
22
ELDR
NITOTALE 25
E
F
IRL
I
L
NL
A
P FIN S
UK
7
8
10
4
7
63
216
10
6
1
4
5
19
173
1
-
3
-
-
-
56
10
-
1
-
8
3
6
1
3
3
2
-
52
33
1
-
1
-
-
1
-
4
-
2
27
20
-
-
18
-
1
31
87
626
TOTALE
Gruppi politici:
PSE: Partito del socialismo europeo; PPE: Partito popolare europeo; UPE: Unione per
l'Europa; ELDR: Partito europeo dei liberali democratici e riformatori; GCSU/SVN: Gruppo
confederale della sinistra unitaria europea/sinistra verde nordica; V: verdi; ARE: Alleanza
radicale europea; EDN: Europa delle nazioni; NI: non iscritti.
Ai sensi dell'articolo 140 del trattato CE, il PE designa tra i suoi membri il
presidente e l'ufficio di presidenza. Il presidente rappresenta il PE a livello
internazionale e davanti alle altre istituzioni; egli può delegare tali funzioni. Le
decisioni del Parlamento vengono prese nel corso di sedute plenarie; i lavori
preparatori si svolgono in 20 commissioni:
•
commissione per gli affari esteri, la sicurezza e la politica di difesa;
•
commissione per l'agricoltura e lo sviluppo rurale;
•
commissione per i bilanci;
•
commissione per i problemi economici e monetari e la politica industriale;
•
commissione per la ricerca, lo sviluppo tecnologico e l'energia;
•
commissione per le relazioni economiche esterne;
•
commissione giuridica e per i diritti dei cittadini;
•
commissione per gli affari sociali e l'occupazione
•
commissione per la politica regionale;
•
commissione per i trasporti e il turismo;
•
commissione per la protezione dell'ambiente, la sanità pubblica e la tutela dei
consumatori;
•
commissione per la cultura, la gioventù, l'istruzione, e i mezzi di informazione;
•
commissione per lo sviluppo e la cooperazione;
•
commissione per le libertà pubbliche e gli affari interni;
•
commissione per il controllo dei bilanci;
•
commissione per gli affari istituzionali;
•
commissione per la pesca;
•
commissione per il regolamento, la verifica dei poteri e le immunità;
•
commissione per i diritti della donna;
•
commissione per le petizioni.
Di norma, il PE vota a maggioranza semplice; in caso di decisioni importanti,
tuttavia, esistono dei quorum stabiliti dal trattato CE: una mozione di sfiducia nei
confronti della Commissione, richiede, per essere approvata, due terzi dei voti
espressi e la maggioranza dei membri del Parlamento (articolo 144);
emendamento, o rigetto, di una posizione comune del Consiglio, nell'ambito della
procedura di cooperazione: maggioranza assoluta dei membri del Parlamento
(articoli 189 B o 189 C); emendamento del bilancio: maggioranza dei membri;
modifica, in prima lettura, di spese obbligatorie: maggioranza assoluta dei voti
espressi; modifica, in seconda lettura, entro i tassi massimi di aumento:
maggioranza dei membri e, contemporaneamente, dei tre quinti dei suffragi
espressi; rigetto del bilancio: maggioranza dei membri e dei due terzi dei suffragi
espressi (articolo 203).
147
148
Funzioni
Dal momento che in seno all'UE non esiste un governo europeo che sia insediato e
controllato dal Parlamento, le funzioni del Parlamento europeo non sono
paragonabili a quelle dei parlamenti degli Stati membri; nell'ambito del
procedimento di formazione delle leggi, inoltre, il PE dispone di poteri decisionali
solo molto limitati. Possono essere definite come funzioni del PE le tre attività che
seguono:
•
la funzione di indirizzo politico comprende tutte quelle attività del PE che
mirano ad influenzare le attuali politiche dell'UE; vi rientrano i tre settori
dell'iniziativa, della partecipazione al procedimento legislativo e del controllo;
•
la funzione di architetto del sistema concerne lo sviluppo da imprimere al
sistema istituzionale dell'UE, sia per quanto riguarda le modifiche al processo
decisionale che per quanto riguarda la ridistribuzione delle competenze tra
l'UE e gli Stati membri;
•
la funzione di interazione si riferisce alle relazioni tra deputati ed elettori; si
tratta di dar voce agli interessi degli elettori, di aggregare le posizioni diverse
e di mobilitare i cittadini verso obiettivi significativi.
Il Parlamento europeo, fin dalle prime elezioni europee nel 1979, è stato in grado
di assicurare ampiamente la funzione di indirizzo politico - specialmente
nell'ambito dell'iniziativa e del controllo - ed anche quella dell'architettura del
sistema. Il PE registra, invece, grandi difficoltà soprattutto nell'esplicare la propria
funzione di interazione.
L’EUROPA DALLA A ALLA Z
La partecipazione del Parlamento europeo al processo
legislativo - Panorama
Assenso («Parere conforme»)
Codecisione
diritti dei cittadini dell'Unione
•
accordi internazionali
•
elezioni europee
•
compiti della Banca centrale
europea
•
compiti dei fondi strutturali e di
coesione
•
approvazione della Commissione
europea
completamento del mercato unico
•
riconoscimento dei diplomi
•
sanità
•
cultura/ricerca
•
cooperazione nel settore
dell'istruzione
•
reti transeuropee
•
tutela dei consumatori
•
programma di azione per la tutela
ambientale
Cooperazione
trasporti
•
ambiente
•
protezione sul posto di lavoro
•
cooperazione con i paesi in via di sviluppo
•
promozione della formazione professionale
•
fondi sociali e regionali
Procedura di bilancio
-> Bilancio
Consultazione
in altri settori della
legislazione europea
L'indirizzo politico
A seguito delle prime elezioni europee del 1979, Il PE ha cominciato a sviluppare
un'ampia gamma di nuove attività e ad assumere numerose iniziative contro la
violazione dei diritti umani in varie parti del mondo, ad affrontare questioni
connesse al terzo mondo ed avvenimenti d'attualità dell'UE. A causa della
debolezza dei propri poteri, la sua capacità di influenzare le decisioni importanti
dell'UE nei tradizionali campi di competenza di quest'ultima non era affatto
soddisfacente. I deputati cominciarono a cercare, specialmente per quanto
riguardava il bilancio ed il procedimento legislativo, la prova di forza con il
Consiglio senza esitare neppure di fronte alla possibilità di coinvolgere la -> Corte
di giustizia europea in questo tipo di controversie. Nel 1980 e nel 1985 venne
respinto il bilancio della CE, con la conseguenza che, fino ad elaborazione
avvenuta di un nuovo progetto di bilancio, la Comunità dovette procedere con il
149
150
sistema cosiddetto dei «dodicesimi provvisori»: ogni mese era disponibile un
dodicesimo delle risorse dell'esercizio precedente. Dal 1979, il PE è andato
intensificando l'efficacia dei suoi controlli attraverso l'uso intenso del diritto di
interrogazione, un'attenta azione di sorveglianza politica delle spese dell'UE da
parte della sua commissione dei bilanci e attraverso l'istituzione di commissioni
d'inchiesta.
La varietà di tutte queste - spesso non ben coordinate - attività, gli è valsa
l'accusa di non concentrare abbastanza la propria attenzione sugli affari essenziali
dell'UE. In seguito all'entrata in vigore dell'Atto unico europeo (AUE), nel luglio
1986 e del trattato sull'Unione europea, nel novembre 1993, la situazione si è
modificata nel senso che, attualmente, la partecipazione all'emanazione dei
provvedimenti relativi al mercato interno conquista uno spazio sempre più ampio
in seno ai lavori parlamentari. A questo proposito, le nuove procedure di
cooperazione (articolo 189 C) e di codecisione (articolo 189 B) si sono
ampiamente affermate nella prassi anche se non possono sostituirsi ad effettivi,
più penetranti poteri decisionali in campo legislativo. La Commissione ed il
Consiglio vanno incontro alle richieste e ai desideri dei deputati in misura più
ampia che in passato. Il Parlamento europeo ha anche fortemente sottolineato la
necessità di tener adeguatamente conto della dimensione sociale ed ecologica
all'atto della realizzazione del -> mercato interno.
L'architettura del sistema
Ai fini della riforma dell'UE, il Parlamento europeo ha un importante ruolo da
svolgere in un duplice senso: nel quadro di un modello democratico della
Comunità - e in quanto rappresentanza eletta dei cittadini - ad esso compete,
innanzitutto, un ruolo decisionale di primo piano; esso, poi, è anche un
insostituibile motore dei cambiamenti. Questa tendenza si era palesata già prima
delle elezioni europee del 1979 attraverso i reiterati tentativi del PE di presentare
progetti per una Comunità più democratica e più efficiente, tra i quali vanno
segnalati il progetto di trattato dell'Assemblea ad hoc della CECA, del 1953, la
relazione Pleven sul «Progetto di un trattato sulla fondazione di un'Unione dei
popoli europei», del 1961, nonché la relazione Bertrand sull'Unione europea, del
1975.
All'indomani delle prime elezioni europee, l'attività volta a rimodellare il sistema si
è fortemente intensificata ed è culminata il 14 febbraio 1984 nell'approvazione
del «Progetto di trattato sulla fondazione dell'Unione europea». Si tratta di un
progetto che presenta l'architettura di una costituzione europea: Parlamento e
Consiglio partecipano con pari diritti all'elaborazione degli atti dell'Unione
europea; tra gli Stati membri e l'Unione viene introdotta una chiara suddivisione
delle competenze nella quale il principio di sussidiarietà assume un significato
decisivo. Dopo il 1984, il progetto non poté più essere realizzato ma contribuì a
dare un impulso decisivo all'elaborazione dell'Atto unico.
Con il trattato di Maastricht sull'Unione europea, entrato in vigore nel novembre
1993, il ruolo del Parlamento europeo è considerevolmente aumentato. Esso, per
esempio, ha ottenuto non solo il potere di approvare l'insediamento della nuova
Commissione europea, che poi resta in carica per lo stesso periodo di tempo del
Parlamento, ma anche una più ampia partecipazione al processo legislativo
attraverso la nuova - e molto complicata - procedura di codecisione, descritta
all'articolo 189 B del trattato CE. Il trattato di Maastricht ha anche istituito la
figura del mediatore al quale i cittadini europei possono indirizzare le loro
denunce (articolo 138 E). Resta insoddisfacente, invece, l'ampiezza dei poteri
attribuiti al Parlamento sia nell'ambito della -> politica estera e di sicurezza
comune che nell'ambito della -> giustizia e degli affari interni.
La -> conferenza intergovernativa incaricata di esaminare il trattato di Maastricht
incide in modo particolare sulla posizione istituzionale del Parlamento europeo
perché, tra l'altro, prevede una verifica delle modalità di applicazione della
procedura di codecisione. Tale procedura è contraddistinta da decisioni a
maggioranza in seno al Consiglio e da tre letture da parte del Parlamento per cui,
alla fine, la posizione del Parlamento è praticamente equiparata a quella del
Consiglio. Il suo campo di applicazione si limita, tuttavia, ad una serie di settori
riguardanti soprattutto il mercato interno.
Secondo il Parlamento, nella futura attività legislativa, tale procedura dovrà
diventare la regola, anche se in taluni casi particolarmente delicati - come
modifiche ai trattati, adesioni, risorse proprie, sistema elettorale uniforme,
ampliamenti delle competenze ai sensi dell'articolo 235 del trattato CE continuerà ad essere necessaria l'unanimità del Consiglio o dei governi degli Stati
membri.
Nella propria risoluzione del 17 maggio 1995 sulla conferenza intergovernativa del
1996, il Parlamento europeo si è occupato a fondo della ripartizione delle
competenze tra UE e Stati membri. Settori come quello della politica estera e di
sicurezza e della giustizia e della politica interna («secondo e terzo pilastro»),
rimasti finora nella sfera della cooperazione tra i governi, dovranno
progressivamente entrare a far parte della sfera di competenza della Comunità.
Con ciò, la Commissione ed il Parlamento, in futuro, potranno partecipare in modo
più incisivo alle decisioni in questi settori. La Corte di giustizia europea diverrebbe,
quindi, competente per il controllo della legalità in questi settori.
Per la politica estera e di sicurezza comune viene proposta una procedura che
consente, ad una maggioranza qualificata degli Stati dell'UE, azioni - umanitarie,
diplomatiche o militari - che possano essere qualificate come «azioni comuni».
Nessun paese potrà essere costretto, contro la propria volontà, a prender parte ad
un azione siffatta così come nessun paese potrà, con la propria opposizione,
impedire alla maggioranza di dar corso a tale azione.
151
152
Secondo i progetti del Parlamento, anche in futuro dovrà essere mantenuto il
ruolo centrale della Commissione e la sua indipendenza. Il monopolio
dell'iniziativa, che appartiene alla Commissione, non viene, pertanto, messo in
discussione - anche per evitare, in tal caso, una rinazionalizzazione della politica
europea che sarebbe da temere se venisse riconosciuto al Consiglio un diritto di
iniziativa. Questa posizione si spiega col fatto che il ruolo politico del Parlamento
dipende essenzialmente dalla forza istituzionale della Commissione, al cui
insediamento esso partecipa in misura determinante.
Interazione con gli elettori e ruolo/modello politico
Nonostante i molteplici sforzi, il PE continua ad incontrare notevoli difficoltà nello
spiegare ai cittadini dell'UE le proprie funzioni e la propria attività. Secondo
un'indagine rappresentativa, svolta per conto della Commissione dell'UE nella
primavera del 1995, solo il 52% dei cittadini dell'UE aveva recentemente letto o
sentito parlare del PE. Appena il 44% degli interrogati - contro il 52% di quattro
anni prima - auspicavano un rafforzamento istituzionale di tale organismo; il 55%
degli interrogati affermava che le motivazioni a carattere nazionale erano decisive
nel voto alle elezioni europee. Tutto ciò dimostra che, davanti ai suoi elettori, il
Parlamento europeo non è ancora stato in grado di precisare il proprio ruolo
istituzionale. Ciò potrebbe anche essere dovuto al fatto che un deputato europeo
deve rappresentare - in media statistica - ben 600 000 cittadini europei.
Il ruolo del PE e la sua immagine nell'opinione pubblica dipendono essenzialmente
da due fattori: dalla particolarità del sistema dell'UE e, al suo interno, dalla
posizione istituzionale del Parlamento, nonché dalla percezione delle proprie
funzioni e dalle priorità che esso stabilisce nello svolgimento del proprio lavoro. Se
si cercasse un modello realistico in grado di descrivere il ruolo del Parlamento
europeo, si potrebbe suggerire il concetto di co-autore istituzionale: si ricordi che
il PE partecipa in varie forme al processo decisionale in seno all'UE. Pur senza
poter decidere in tutti i casi le procedure, esso dispone nel complesso di tali poteri
e mezzi di pressione che gli altri organi coinvolti devono tener conto dei suoi
obiettivi ed interessi, anche se in casi specifici, al Parlamento mancano
determinati poteri decisionali.
Questo concetto di «co-autore» è quello che meglio descrive l'attuale situazione
istituzionale del PE in seno al sistema dell'UE. Si tratta però di un modello che non
esprime le esperienze cui sono abituati sia gli elettori che i deputati europei con i
propri parlamenti nazionali. Per ora, il PE non è divenuto l'organo legislativo
europeo; tuttavia, la sua posizione corrisponde, in misura anche maggiore di
quanto non accada a taluni parlamenti nazionali, allo schema classico della
suddivisione dei poteri, dal momento che esso controlla l'esecutivo nella sua
interezza e non attraverso un'opposizione perennemente in minoranza.
Bilancio
Ormai alla quarta legislatura, si può dire che il PE abbia saputo conquistarsi
nell'architettura istituzionale della Comunità una posizione che va ben al di là di
quella descritta nei trattati istitutivi: oggi, esso partecipa, con conseguenze visibili,
al procedimento legislativo sul mercato interno, influenza, con i propri poteri sul
bilancio, attività essenziali della Comunità ed ha la possibilità, attraverso le
interrogazioni parlamentari, le commissioni d'inchiesta, quelle ad hoc ed i dibattiti
urgenti, di rendere comprensibili per i cittadini il funzionamento della Comunità.
Inoltre, esso influenza anche in vari modi gli orientamenti in politica estera della
Comunità e dei suoi Stati membri.
Tutto ciò non può nascondere, tuttavia, la necessità sempre presente di una
riforma: il PE continua a non disporre di poteri decisionali essenziali; l'interesse dei
media al suo lavoro continua ad essere abbastanza limitato ed anche la sua
notorietà non è molto elevata. In questa situazione, un ulteriore rafforzamento
istituzionale del Parlamento europeo potrebbe produrre dei progressi tali da
andare oltre le riforme stabilite nel trattato sull'Unione europea. Un'occasione in
questo senso è offerta dalla conferenza intergovernativa del 1996 che verificherà
varie norme del trattato di Maastricht. Le riforme in tale sede invocate devono
fornire precisi orientamenti ai cittadini, semplificare l'ordinamento vigente e
garantire maggior democrazia attraverso una rivalutazione del ruolo del
Parlamento.
Otto Schmuck
153
http://europa.eu.int/pol/fish/en/info.htm
154
Pesca
Base giuridica: Articolo 38 del trattato CE.
Obiettivi: Assicurare un reddito adeguato a coloro che lavorano nel settore della
pesca e garantire la stabilità dei prezzi, un approvvigionamento sicuro, prezzi
ragionevoli per i consumatori, nonché la conservazione e la tutela delle risorse
ittiche.
Strumenti: Introduzione di un'organizzazione di mercato e sostegno alle
organizzazioni di produttori, determinazione del totale ammissibile di catture nelle
acque territoriali dell'Unione e relativa ripartizione tra gli Stati membri, adozione
di norme relative agli attrezzi e alle taglie minime, controllo del rispetto delle
norme, conclusione di accordi di pesca con paesi terzi, misure strutturali per il
settore.
Bilancio: 1996 = 27,8 milioni di ecu (costi relativi all'organizzazione di mercato).
L'«Europa blu», come viene talvolta chiamata la politica comune della pesca,
costituisce dal punto di vista giuridico un fenomeno recente nell'ambito del
processo di integrazione europea. È dal 1970 che due regolamenti comunitari
garantiscono a tutti i pescatori della CE il libero accesso, a pari condizioni, alle
zone di pesca della Comunità, pur con alcune eccezioni a favore di zone costiere
particolarmente dipendenti dall'attività di pesca.
L'ampliamento della Comunità verso nord, avvenuto nel 1973, ha esteso
notevolmente le zone di pesca, con la conseguenza che la politica della pesca è
diventata materia di negoziato.Il Regno Unito, l'Irlanda e la Danimarca hanno
potuto ottenere, per la propria pesca costiera, alcune concessioni - la creazione di
zone di sei o dodici miglia -che sono rimaste in vigore fino al 1983. Il problema
della ripartizione dei diritti di pesca è stato dibattuto, dalla metà degli anni 70 in
poi, sia a livello comunitario che in ambito internazionale. Alla terza conferenza
sul diritto del mare, organizzata dalle Nazioni Unite, non è stato però possibile
raggiungere un accordo su questo punto e numerosi stati hanno allora introdotto
una zona di 200 miglia, iniziativa seguita nel 1977 anche dalla CE.
La conseguenza è stata un'ulteriore riduzione delle possibilità di pesca in acque
internazionali, che ha indotto i paesi con zone di pesca limitrofe a concordare
diritti di pesca reciproci. Dal canto suo la Comunità ha concluso accordi di pesca
con numerosi paesi terzi. Alla conservazione delle risorse ittiche si è provveduto
determinando annualmente il totale ammissibile di catture e i relativi contingenti.
Con l'ampliamento verso sud del 1986 si sono ulteriormente estese le zone di
pesca comunitarie, mentre il numero dei pescatori è raddoppiato. Per la Spagna e
il Portogallo sono state decise misure transitorie, in vigore fino al 1996, che
disciplinano l'accesso alle acque reciproche e limitano i diritti di pesca.
Organizzazione di mercato
Secondo l'articolo 38 del trattato CE le disposizioni concernenti l'agricoltura e gli
scambi di prodotti agricoli si applicano, in quanto compatibili, anche alla pesca.
Nell'intento di ampliare le organizzazioni di mercato agricole, il Consiglio dei
ministri ( -> Consiglio dell'Unione europea) ha adottato, nel 1970, il regolamento
sull'organizzazione comune dei mercati per i prodotti della pesca, successivamente
modificato nel 1976, nel 1981 e nel 1992. Sono state innanzi tutto stabilite norme
comuni di commercializzazione, riguardanti la classificazione in base alla qualità,
al calibro e al peso nonché l'imballaggio, la presentazione e l'etichettatura dei
prodotti, con l'obiettivo di garantire la trasparenza dei mercati e di scartare i
prodotti di qualità scadente. La commercializzazione è affidata alle organizzazioni
dei produttori. Ogni anno vengono fissati prezzi di orientamento per le singole
specie ittiche, mentre le organizzazioni di produttori possono stabilire prezzi di
ritiro: se scendono al di sotto di tali prezzi, i prodotti consegnati dai membri di
queste organizzazioni non vengono messi in vendita ma ottengono invece una
compensazione finanziaria, pagata in parte dal Fondo europeo agricolo di
orientamento e di garanzia ( -> politica strutturale regionale).
Anche coloro che non aderiscono a queste organizzazioni sono talvolta tenuti a
rispettare (obbligo generale) i prezzi di ritiro che, per le principali specie ittiche,
corrispondono al 70-90% del prezzo di orientamento. Alle importazioni di pesce
nell'Unione vengono applicati dazi doganali mentre per alcune specie e i relativi
prodotti trasformati sono stabiliti prezzi di riferimento, basati sui prezzi alla
produzione degli ultimi tre anni. Per le importazioni si può esigere che i prezzi non
siano inferiori al prezzo di riferimento e per alcuni prodotti è possibile applicare
una tassa di compensazione pari alla differenza tra il prezzo di riferimento ed il
prezzo franco frontiera maggiorato del dazio doganale. Per le esportazioni sono
previste restituzioni che coprono la differenza tra il prezzo all'interno della
Comunità e il prezzo su determinati mercati d'esportazione.
Politica strutturale
Contemporaneamente alla prima versione dell'organizzazione comune dei mercati
(l'ultima versione è del 1976) è stato adottato, il 20 ottobre 1970, un regolamento
che istituisce una politica strutturale comune nel settore della pesca. L'obiettivo è
di promuovere uno sviluppo equilibrato ed armonioso del settore in questione
nonché lo sfruttamento razionale delle risorse biologiche dei mari, dei fiumi e dei
laghi. Per garantire il coordinamento delle politiche strutturali gli Stati membri si
sono impegnati a trasmettere alla Commissione europea una relazione annuale
155
156
sulla situazione strutturale del settore della pesca, sulla natura e la portata delle
misure previste per l'anno in corso e sui programmi pluriennali. La Commissione è
invece tenuta a trasmettere annualmente al Parlamento europeo e al Consiglio dei
ministri una relazione sulla situazione strutturale del settore della pesca, sul
coordinamento della politica strutturale a livello comunitario, sulle misure
adottate a tal fine e sul finanziamento comunitario.
Dopo lunghi e difficili negoziati sono stati adottati, nel 1993, i programmi di
orientamento pluriennali per la flotta peschereccia, validi fino al 1996. Partendo
dagli obiettivi in termini di capacità precedentemente stabiliti per il 1991, essi
prevedono per tutti gli Stati membri una riduzione dello sforzo di pesca,
differenziato a seconda delle specie bersaglio e dei metodi di pesca. La riduzione
prevista è del 20% per la pesca con reti da traino di specie ittiche demersali, i cui
stock sono gravemente in pericolo, e del 15% per i pesci piatti. Per quanto
riguarda invece la pesca di specie pelagiche, che presentano una situazione
relativamente favorevole, e la pesca con attrezzi fissi (reti fisse, reti trappola, ecc.),
considerata come selettiva e rispettosa degli stock, la riduzione si limita a quella
prevista nell'anno di riferimento 1991. Contrariamente ai precedenti programmi
comunitari, i massimali per le dimensioni delle flotte sono stati fissati in base allo
«sforzo di pesca», rappresentato dal prodotto della capacità di pesca moltiplicata
per i tempi di pesca; gli obiettivi previsti possono essere raggiunti, nella misura
massima del 45%, mediante una diminuzione dei tempi di pesca. Dato che i tassi
di riduzione si basano su obiettivi precedentemente fissati, il ridimensionamento
delle flotte rispetto alla situazione all'inizio del programma (inizio 1993) è assai
diversa a seconda degli Stati membri.
Nel quadro della riforma dei fondi strutturali è stato introdotto un unico
strumento finanziario per la pesca, lo SFOP (strumento finanziario di orientamento
per la pesca) che ha sostituito, dal 31 dicembre 1993, i regimi di aiuto comunitari
precedenti. In futuro le decisioni su eventuali aiuti spetteranno fondamentalmente
agli Stati membri, entro il limite delle risorse loro assegnate e in base ad un
sistema di programmazione semplificato.
Conservazione e gestione comunitaria degli stock ittici
Uno spazio economico unificato ( -> mercato interno) implica che le zone di pesca
che adesso appartengono debbano essere accessibili senza alcuna discriminazione
nazionale. Non è stato dapprima possibile garantire tale obiettivo, in quanto i
settori della pesca dei vari Stati membri presentavano gradi di efficienza diversi ed
era necessario proteggere la pesca costiera da concorrenti più agguerriti. All'inizio
è stata pertanto introdotta, per un periodo di 5 anni, una zona esclusiva di tre
miglia. Dopo l'ampliamento delle zone di pesca esclusive da 12 a 200 miglia,
entrato in vigore il 1 gennaio 1970, la Comunità ha dovuto trovare una soluzione
che garantisse uno sfruttamento razionale a livello comunitario e la salvaguardia
delle risorse ittiche.
La fissazione dei totali ammissibili di cattura, la relativa ripartizione tra gli Stati
membri e la normativa sull'accesso alle acque costiere sono state oggetto di
difficili trattative in seno al Consiglio dei ministri tra il 1976 e il 1982. Il 25
gennaio 1983 è stato raggiunto un accordo che autorizza gli Stati membri a
mantenere, per un periodo di 20 anni, zone esclusive sino ad un massimo di 12
miglia, purché garantiscano il rispetto dei diritti di pesca tradizionali di altri Stati
membri. Per le principali specie ittiche i contingenti di cattura sono stati
riconfermati per i successivi 20 anni, pur con continui adeguamenti dovuti
all'evoluzione degli stock.
Con il rarefarsi delle riserve ittiche e la relativa concorrenza è diventato sempre
più importante poter controllare il rispetto dei contingenti di cattura e delle
restrizioni decise di comune accordo in relazione ai metodi di pesca. A questo
proposito il Consiglio dei ministri ha deciso, nel 1993, una serie di novità
fondamentali: le autorità degli Stati membri sono tenute, in caso di violazioni
delle normi vigenti, ad adottare le opportune misure fino a promuovere eventuali
azioni penali contro tali violazioni. I controlli sono di competenza degli Stati
membri, mentre la Commissione provvede a vigilare sulla loro efficacia,
soprattutto mediante ispezioni improvvise e il ricorso a nuove tecnologie per la
localizzazione continua delle navi. Tutti i pescherecci debbono tenere un giornale
di bordo che consenta di verificare se sono state rispettate le norme comunitarie
sulla composizione delle catture in relazione agli attrezzi utilizzati.
Winfried von Urff
157
http://europa.eu.int/pol/cons/en/info.htm
158
Politica dei consumatori
Basi giuridiche: Articoli 3 S e 129 A del trattato che istituisce la Comunità
europea.
Obiettivi: Protezione dei consumatori attraverso la tutela del diritto alla sicurezza
e alla salute, risarcimento dei danni, tutela degli interessi economici,
rappresentazione, informazione e istruzione.
Strumenti: Programmi d'azione e strumenti giuridici.
Bilancio: 1996: informazione dei consumatori: 8 milioni di ecu; rappresentazione
dei consumatori e accesso ai tribunali: 6,15 milioni di ecu; controllo della qualità
e monitoraggio della produzione: 5,9 milioni di ecu; totale: 20,05 milioni di ecu.
Il -> mercato unico dell'->Unione europea (UE) offre un'enorme scelta di merci e
servizi. Ma mentre il mercato dei consumi cresce, la sua trasparenza diminuisce e
spesso, per i consumatori, è difficile orientarsi nella giungla del mercato europeo.
L'UE, con i suoi programmi d'azione e con la sua produzione legislativa, ha il
compito di uniformare a livello transfrontaliero i requisiti per i prodotti e le
condizioni di commercio e creare così una solida base per le attività commerciali,
a tutto beneficio di chi vende e di chi consuma. Il trattato sull'Unione europea,
entrato in vigore nel novembre 1993, con gli articoli 3 S e 129 A ha introdotto nel
trattato CE l'obiettivo di garantire ai cittadini dell'Unione un «alto livello di
protezione dei consumatori», assegnando per la prima volta alla politica europea
dei consumatori lo status di settore autonomo della politica dell'Unione.
Sviluppo della protezione dei consumatori
Già il preambolo al trattato che istituisce la Comunità economica europea (CEE)
fissava l'obiettivo di un «miglioramento costante delle condizioni di vita», a
beneficio dei consumatori negli Stati membri. Anche l'articolo 2 dello stesso
trattato pone le basi per la promozione di «un miglioramento sempre più rapido
del tenore di vita». Inoltre la politica agricola ( -> agricoltura) (articolo 39 CEE) ha
il compito di garantire il sostentamento dei consumatori a prezzi ragionevoli. E
non bisogna dimenticare che le normative comunitarie in materia di concorrenza
(articolo 86 del trattato CEE) vietano di «limitare la produzione, gli sbocchi o lo
sviluppo tecnico a danno dei consumatori».
Con il progredire dell'integrazione europea apparve sempre più evidente la
necessità di una politica comune per i consumatori. Nel 1975 il Consiglio dei
ministri ( -> Consiglio dell'Unione europea) varò il «Programma preliminare della
Comunità economica europea per una politica di protezione e di informazione del
consumatore», incentrato sulla tutela di cinque diritti fondamentali: 1) protezione
della salute e della sicurezza, 2) protezione degli interessi economici dei
consumatori, 3) dritto a informazioni affidabili, 4) tutela giuridica, 5)
rappresentanza dei consumatori a livello comunale e nazionale.
Negli anni 1981-1986, 1990-1993 e 1993-1995 seguirono quindi altri programmi
per i consumatori, che in linea di massima confermarono criteri e obiettivi del
primo piano d'azione. Ma malgrado questo costante lavoro di aggiornamento la
protezione dei consumatori in Europa ebbe un'avvio molto stentato, perché spesso
a questi ambiziosi piani si contrapponevano potenti interessi economici.
Nel 1987 il varo dell'Atto unico europeo diede nuovo slancio alla protezione dei
consumatori: il nuovo articolo 100 A, paragrafo 11, del trattato CEE prescriveva
infatti che nello sviluppo del mercato unico ci si dovesse basare su un «livello di
protezione elevato» in materia di sanità, sicurezza, protezione dell'ambiente e
protezione dei consumatori. Con questa disposizione l'AUE creava le basi
giuridiche concrete per la protezione dei consumatori in Europa. Nel TUE tale
disposizione è completata dalla nozione di «azioni specifiche» per la sanità e la
sicurezza nonché per gli interessi e l'informazione dei consumatori.
Attuazione della protezione dei consumatori
Come la realizzazione del mercato unico, anche l'attuazione della protezione dei
consumatori è stata un processo graduale. Dapprima la Commissione europea,
attraverso l'armonizzazione delle normative, ha cercato di garantire un livello di
protezione uniforme a livello comunitario, provvedendo contemporaneamente a
smantellare le barriere al commercio. Tuttavia presto furono evidenti i limiti di una
siffatta politica per i consumatori: troppo forte era la lobby industriale, troppo
deboli le basi giuridiche della protezione dei consumatori e troppo macchinose le
procedure di armonizzazione per i singoli prodotti. Le discussioni sulle direttive e i
regolamenti europei a volte duravano anni, e l'obbligo di raggiungere l'unanimità
in seno al Consiglio rendeva ancor più farraginoso il meccanismo decisionale.
Nel 1985, con il suo libro bianco sul mercato interno, la Commissione decise un
nuovo approccio alla politica per i consumatori. Da allora le direttive sulla
protezione della salute e della sicurezza vengono adottate dal Consiglio «in
blocco», per intere categorie di prodotti, rendendo così superfluo il lungo processo
di ravvicinamento «in dettaglio», prodotto per prodotto, delle normative nazionali.
L'elaborazione di norme tecniche per i requisiti basilari di sicurezza dei prodotti è
stata affidata ad esperti dei comitati di normalizzazione privati CEN e Cenelec.
Oggi il marchio del CEN funge da sigillo di qualità e garantisce un livello comune
di protezione minima.
159
160
Dal 1987 vale il principio del riconoscimento reciproco: ciò che viene legalmente
prodotto e commercializzato in uno Stato membro può essere venduto in tutti gli
altri Stati membri: lo ha deciso la -> Corte di giustizia europea nella sua ormai
storica sentenza nota col nome di «Cassis de Dijon». Tuttavia per il consumatore
questo principio, oltre al vantaggio di poter scegliere tra una più vasta gamma di
prodotti, comporta anche dei rischi. Infatti esso consente la commercializzazione a
livello europeo anche di prodotti la cui procedura di produzione in alcuni paesi
sarebbe giudicata illecita. Per proteggere i consumatori sono stati quindi posti
alcuni limiti alla libera circolazione delle merci: i singoli Stati membri possono
decidere delle normative di protezione più severe, e in determinati casi possono
vietare l'importazione di specifici prodotti, a condizione che esistano dei motivi
giustificati, come ad esempio la protezione della salute o la difesa degli interessi
dei consumatori. Nel 1996, a causa dell'epidemia di encefalopatia spongiforme
bovina, è stato decretato il divieto assoluto di esportazione per la carne di manzo
britannica. Parallelamente l'UE ha lanciato un programma di lotta contro tale
malattia.
Una direttiva europea prescrive che qualsiasi prodotto alimentare sia dotato di
un'etichetta che informa il consumatore sulla composizione e la data di scadenza.
Una serie di criteri di purezza ed elenchi vincolanti specificano esattamente quali
additivi sono consentiti e quali no. In base a un progetto di regolamento, in futuro
i prodotti sottoposti a manipolazione genetica saranno soggetti a un obbligo di
stampigliatura qualora abbiano subito delle mutazioni chimiche dimostrabili. Per
la conservazione dei prodotti elementari mediante irradiazione continuano invece
a valere le disposizioni nazionali, giacché fino ad oggi non si è provveduto a una
regolamentazione a livello dell'Unione.
Dal 1994 nell'UE è stato attuato il mercato transnazionale delle assicurazioni.
Ogni società che possiede la licenza per operare in uno Stato membro può offrire
polizze anche in altri Stati membri. A causa delle forti diversità dei sistemi
giuridici l'UE ha rinunciato a unificare totalmente le disposizioni. Per l'utente ciò
comporta uno scenario complicato e spesso confuso. Per questo motivo le
associazioni dei consumatori chiedono un'armonizzazione della legislazione di
base sulle polizze di assicurazione.
Da sempre l'azione delle associazioni dei consumatori europei ha influito sul
modello politico inducendo a migliorare la protezione dei cittadini. Nel 1985, con
il varo della direttiva sulla responsabilità relativa ai prodotti, è stata accolta una
dello loro istanze fondamentali. Nel caso di danni non è più il consumatore a
dovere provare al produttore gli eventuali difetti del prodotto, ma è il produttore a
dover dimostrare che il prodotto non era difettoso. Qualora il produttore non sia in
grado di fornire tale prova, deve risarcire i danni. Un ulteriore esempio
dell'attuazione della protezione dei consumatori è la direttiva sulle vendite a
domicilio, in base alla quale il cliente ha diritto a una settimana di riflessione
prima che il contratto acquisti efficacia. I venditori sono obbligati ad informare
per iscritto i consumatori di questo loro diritto. Vi sono poi numerose altre
direttive varate dalla Comunità in favore dei consumatori, su questioni come la
sicurezza dei giocattoli, dei prodotti cosmetici, tessili e dei materiali di
costruzione, nonché sulla protezione dalla pubblicità ingannevole e dalle clausole
abusive nei contratti di vendita per corrispondenza. Inoltre esistono
regolamentazioni comuni per quanto riguarda le offerte di viaggi «tutto
compreso», i crediti al consumatore o i diritti dei viaggiatori aerei. Per informare i
cittadini sul cosiddetto «euroshopping» e aiutarli a orientarsi nella giungla di
decisioni, direttive e regolamenti, l'Unione europea ha attivato una serie di punti
di informazione per i consumatori, sparsi per il territorio del mercato unico. Tali
centri d'informazione intendono fungere da «avvocati dei cittadini», cercando di
fornire consigli su come evitare le «trappole europee». Ad esempio essi informano
sul dove e come si possono fare gli acquisti più a buon mercato. Grazie
all'attivazione della rete informatica Coline i centri per i consumatori hanno oggi a
disposizione un moderno mezzo di comunicazione per potere appurare
velocemente e in modo mirato quali sono le normative e le disposizioni in vigore
nei paesi confinanti per un settore specifico.
Bilancio
Il trattato sull'Unione europea ha riconosciuto maggiore importanza alla politica
dei consumatori. Tuttavia rimane molto da fare perché i consumatori possano
approfittare appieno del mercato interno, e soprattutto sussistono ancora forti
disparità tra gli Stati membri per quanto riguarda la consapevolezza della
rilevanza di una politica di protezione dei consumatori. Ancora oggi, sia dal punto
di vista giuridico che da quello organizzativo, ciascuno Stato membro segue
indirizzi propri per la protezione dei consumatori: mentre la Germania e il Regno
Unito dispongono di fitte reti di punti d'informazione, i consumatori greci, per
esempio, hanno solo pochissimi punti dove poter ottenere una consulenza. Il grado
di protezione dei consumatori sembra diminuire nettamente a misura che si
procede verso il sud della Comunità. Lo spettro delle opinioni, da quelle propense a
una politica più liberale e favorevole all'industria a quelle che invocano norme più
severe, è vario come l'Unione europea stessa.
Ralf Schmitt
161
http://europa.eu.int/pol/emu/en/info.htm
162
Politica economica
Base giuridica: Articoli 2, 3, 3 A, 4 A; articoli da 102 A a 104 C, da 105 a 109, da
109 A a 109 D, da 109 E a 109 M del trattato CE.
Obiettivi: Sviluppo armonioso ed equilibrato, miglioramento del tenore di vita,
promozione della convergenza e della coesione, elevato livello di occupazione,
stabilità dei prezzi, finanze pubbliche e condizioni monetarie sane, equilibrio
duraturo delle bilance dei pagamenti.
Strumenti: comitato monetario con funzioni consultive, comitato di politica
economica, Istituto monetario europeo, «sorveglianza multilaterale»; terza fase:
comitato economico e finanziario, Sistema europeo di Banche centrali.
Nel quadro del trattato sull'Unione europea, entrato in vigore il 1 novembre 1993,
i capi di Stato e di governo riuniti a Maastricht hanno adottato alcune decisioni
concernenti l'-> unione economica e monetaria (UEM), che hanno importanti
conseguenze per la politica economica della Comunità, ampliatasi il 1 gennaio
1995 con l'adesione di Austria, Svezia e Finlandia.
Obiettivi, competenze e poteri nell'ordinamento preMaastricht
Le disposizioni del trattato CEE del 1957 (divenuto trattato CE nel 1993), che
disciplinavano la vita economica conformemente agli obiettivi complessivi della
Comunità, riflettevano un compromesso tra le considerazioni economiche e le
necessità dell'integrazione, da una parte, e le resistenze nazionali a rinunciare alla
sovranità in materia di politica economica, dall'altra. Gli obiettivi economici in sé
stessi non erano mai stati contestati. L'articolo 2 del trattato CEE definiva come
segue le finalità della Comunità: «uno sviluppo armonioso delle attività
economiche nell'insieme della Comunità, un'espansione continua ed equilibrata,
una stabilità accresciuta, un miglioramento sempre più rapido del tenore di vita e
più strette relazioni fra gli Stati che ad essa partecipano». Nella parte del trattato
CEE dedicato alla politica economica, l'articolo 104 integra tali finalità con i
seguenti elementi: un alto livello di occupazione, la stabilità del livello dei prezzi e
l'equilibrio della bilancia globale dei pagamenti.
Il trattato CEE lasciava gran parte dei poteri decisionali in materia di politica
economica e monetaria ai governi nazionali, che erano però tenuti a considerare la
loro politica di congiuntura e la politica dei cambi come una «questione
d'interesse comune» (articoli 103 e 107 del trattato CEE) ed a coordinare le
politiche economiche e monetarie conformemente all'articolo 105, vale a dire a
perseguire obiettivi comuni. Per risolvere il problema del coordinamento, la
Comunità ha introdotto un quadro istituzionale appropriato prevedendo dei
comitati, quali il comitato monetario, i comitati di politica congiunturale, di
politica economica a medio termine e di politica di bilancio.
Insufficienza del coordinamento
Le divergenze sempre più marcate tra gli obiettivi nazionali in materia di stabilità,
che non si sono potute eliminare nell'ambito dei comitati, hanno portato a
reazioni non coordinate di politica economica. Tale processo di disintegrazione
della politica economica e monetaria era in contraddizione con le esigenze del
trattato CEE che, accanto all' «instaurazione di un mercato comune» cita il
«ravvicinamento progressivo delle politiche economiche degli Stati membri» come
strumenti per la realizzazione dei suoi obiettivi.
Lo SME, nuovo strumento di cooperazione
Non è stato possibile procedere ad un nuovo tentativo di rafforzamento della
cooperazione in materia di politica economica e monetaria fino a quando le
posizioni nazionali in materia di politica di stabilità non si sono ravvicinate ed ha
cominciato a prendere corpo l'idea secondo la quale soltanto una politica di
stabilità dei prezzi poteva contribuire a risolvere il problema della disoccupazione.
Tale ravvicinamento delle posizioni ha finalmente permesso di creare il -> Sistema
monetario europeo, vale a dire un sistema di tassi di cambio fissi (ma aggiustabili),
dotato di regole d'intervento chiaramente definite.
Il marco tedesco ha assunto la funzione di moneta trainante ed assicura da allora
la stabilità del sistema. Lo SME ha visto nascere una tendenza alla convergenza
economica che, passando per l'asse Bonn-Francoforte-Parigi, si propaga
all'insieme dei paesi partecipanti al sistema. Di fronte alla restrizione del loro
margine di manovra economica, certi paesi hanno dapprima reagito mantenendo
le restrizioni alla libera circolazione dei capitali. La liberalizzazione dei movimenti
di capitali, realizzata nella Comunità il 1 luglio 1990, ha reso ancora più sensibile
la perdita di autonomia in materia di politica economica. La logica del -> mercato
interno vuole che l'erosione delle competenze nazionali in materia di politica
economica e monetaria sia attivamente compensata a medio termine dalla
transizione della Comunità verso una UEM retta da un Sistema europeo di banche
centrali.
La politica economica in pratica: dagli anni '80 all'inizio degli
anni '90
All'inizio degli anni '80, non esisteva ancora l'unanimità tra gli Stati membri sui
provvedimenti da adottare per rilanciare lo sviluppo e lottare contro la
disoccupazione. Nel 1985, quando la crescita reale del prodotto interno lordo (PIL)
era del 2,5%, il tasso di disoccupazione era vicino all'11%, il fabbisogno di
163
164
finanziamento degli Stati membri della CE rappresentava il 5,2% del PIL ed il tasso
d'inflazione, nonostante fosse nettamente diminuito rispetto all'inizio del
decennio, si aggirava sempre sul 6%. È in tale contesto che il Consiglio ( ->
Consiglio dell'Unione europea) decise, nel 1985, di adottare la «strategia di
cooperazione per la crescita e l'occupazione»: tale strategia era basata sulla
cooperazione stretta tra governi, datori di lavoro e lavoratori, ma anche tra i paesi.
Si trattava al contempo di frenare la crescita dei salari, di rendere più dinamica la
domanda e di migliorare la situazione dei mercati delle merci, dei capitali e del
lavoro. Inoltre, il miglioramento della distribuzione dei mercati dei beni e dei
servizi, e quindi, delle condizioni di crescita, era tra gli obiettivi del programma per
la realizzazione del mercato unico nel 1993, che la Commissione ( -> Commissione
europea) ha presentato nel suo libro bianco del giugno 1985.
La strategia di cooperazione doveva far aumentare il tasso di crescita medio della
Comunità dal 2,5% (alla metà degli anni 80) al 3,5% e riportare il tasso di
disoccupazione all'8% per il 1990. Il tasso di crescita considerato necessario è
stato raggiunto soltanto alla fine degli anni '80, ed il tasso di disoccupazione, che
aveva fatto registrare un picco del 10,8% nel 1985, era ridisceso all'8,1% nel
1990. Tuttavia, all'inizio degli anni '90, non si è più riusciti a mantenere nella
Comunità la crescita necessaria per una riduzione duratura della disoccupazione
(tasso di crescita del PIL nel 1994: 1,5%) ed il tasso di disoccupazione è risalito
all'11% nel 1994. Il tasso di inflazione, in calo, ha raggiunto il 3,3% nel 1994, in
un contesto caratterizzato da una leggera diminuzione della convergenza,
nonostante una temporanea fiammata dopo il 1988. Nei tre nuovi Stati membri
(Austria, Svezia e Finlandia) il tasso di inflazione era inferiore a quello medio.
Nel corso della seconda metà degli anni '80, il disavanzo di bilancio complessivo
degli Stati membri è stato riportato dal 5,2% del PIL (1985) al 2,6% (1989), ma dal
1990 si registra una netta tendenza all'aumento (1994: 5,6%). In diversi Stati
membri sono necessari considerevoli sforzi di risanamento.
La politica economica dall'inizio degli anni '90
Le decisioni adottate a Maastricht in materia di UEM rivestono grande importanza
per la politica economica e monetaria. Un processo in tre tappe, delle quali la
prima è iniziata il 1 luglio 1990 e la seconda il 1 gennaio 1994, deve condurre,
entro il 1 gennaio 1999, all'instaurazione dell'UEM. Considerando le sensibili
divergenze di opinioni che hanno separato fino a tempi recenti gli Stati membri in
relazione al quadro di riferimento da adottare, è un fatto degno di nota che il
trattato precisi espressamente che il sistema economico dell'Unione e degli Stati
membri è l'economia di mercato aperta e in libera concorrenza (articoli 3 A, 102 A
e 105 del trattato CE). Resta tuttavia da stabilire in quale modo tale principio
verrà realizzato nella vita economica nel corso dei prossimi anni.
Gli Stati membri devono considerare le loro politiche economiche come una
«questione d'interesse comune» e assicurarne il coordinamento nell'ambito del
Consiglio, conformemente ad un esteso elenco di principi e obiettivi (articolo 103
del trattato CE). Come principi direttivi della politica economica e monetaria, il
trattato cita: prezzi stabili, finanze pubbliche e condizioni monetarie sane nonché
bilancia dei pagamenti sostenibile (articolo 3 A, paragrafo 3, del trattato CE). Il
Consiglio definisce gli indirizzi di massima delle politiche economiche degli Stati
membri e dell'Unione e, previo esame da parte del Consiglio europeo, li adotta
sotto forma di raccomandazioni rivolte agli Stati membri. Al fine di promuovere e
di consolidare la convergenza delle politiche economiche, viene rafforzato il
sistema esistente della «sorveglianza multilaterale». Se la politica economica di
uno Stato membro è incompatibile con gli indirizzi di massima, il Consiglio può
rivolgere allo Stato interessato le raccomandazioni appropriate e - per esercitare
maggiore pressione - può eventualmente renderle pubbliche.
L'attività di coordinamento e di sorveglianza è riferita in primo luogo alla politica
di bilancio. A differenza della politica monetaria (nel corso della terza fase), la
politica di bilancio non diventa di competenza comunitaria, ma è sottoposta ad un
processo di armonizzazione che diventa progressivamente più rigoroso.
L'inserimento, nel trattato, di certi importanti principi comuni della politica di
stabilità intende garantire che quest'ultima non sia unicamente fondata sulla
politica monetaria. Tra i principi in vigore dal 1994, giova citare in particolare il
divieto di qualsiasi finanziamento monetario dei bilanci pubblici (articoli 104 e
104 A), la responsabilità di ciascuno Stato per il proprio disavanzo di bilancio
(articolo 104 B), così come l'obbligo per gli Stati membri di evitare disavanzi
pubblici eccessivi (articolo 104 C). Avvalendosi di determinati criteri (ad es. il
disavanzo complessivo delle amministrazioni pubbliche di un paese non deve
superare il 3% del PIL e il debito totale non deve essere superiore al 60 % del PIL),
la Commissione sorveglia l'evoluzione del bilancio degli Stati membri e determina
- basandosi anche su altri criteri - se esista un «disavanzo eccessivo». In caso
affermativo, il Consiglio avvia una procedura che ha lo scopo di ridurre tale
disavanzo e che, nell'ultima fase, prevede la possibilità d'infliggere sanzioni
pecuniarie. All'inizio della fase finale (dove non esisterà più una politica monetaria
nazionale), il comitato monetario, che interviene nelle attività di coordinamento e
di sorveglianza, verrà disciolto e sostituito da un comitato economico e
finanziario.
Per la fase finale, le disposizioni del trattato relative alla politica monetaria
prevedono la creazione di un Sistema europeo di banche centrali (SEBC), nonché la
fissazione dei tassi di cambio in vista dell'introduzione di una moneta unica nella
Comunità nel 1999 al più tardi. Il SEBC - che è composto dalla Banca centrale
europea (BCE) e dalle banche centrali nazionali - è incaricato di definire e di
attuare la politica monetaria della Comunità. Nel corso della fase di transizione, la
politica monetaria resta di competenza degli Stati membri. Così, l' -> Istituto
monetario europeo (IME), creato all'inizio del 1994 con sede a Francoforte, non ha
il compito di orientare la politica economica, ma di assicurare un coordinamento
in tale settore, come avveniva nel comitato dei governatori delle banche centrali. Il
SEBC, il cui statuto particolareggiato forma oggetto di un protocollo allegato al
165
166
trattato, ha per obiettivo principale il mantenimento della stabilità dei prezzi,
esercita i suoi compiti in piena indipendenza e non sostiene le politiche
economiche generali se non quando è necessario per non compromettere la
realizzazione dell'obiettivo menzionato.
Anche i criteri di convergenza pongono certi problemi. Infatti, si parla solo della
stabilità dei prezzi relativi. Nella determinazione dei disavanzi, vengono
considerati i saldi dei «bilanci pubblici», in modo che i disavanzi di un eventuale
«bilancio ufficioso» possano essere nascosti. L'UE deve provare che è in grado di
far sorgere e di consolidare una «cultura della stabilità» che è un presupposto
fondamentale per garantire occupazione e crescita durevoli.
Con il libro bianco su crescita, competitività e occupazione, pubblicato nel
dicembre 1993, vale a dire immediatamente dopo l'entrata in vigore del trattato
UE, la Commissione ha reagito al problema più grave che conosce l'Unione: la
disoccupazione, che da un ciclo all'altro si fa sempre più consistente tra gli Stati
dell'Unione. Il sottotitolo del libro bianco («Le sfide e le vie da percorrere per
entrare nel XXI secolo») evidenzia che si tratta di un documento strategico di largo
respiro, il cui obiettivo è di contribuire alla riduzione della disoccupazione. A tale
scopo, esso assegna all'Unione l'obiettivo ambizioso di creare 15 milioni di posti di
lavoro entro la fine del secolo. La gamma di strumenti previsti dal libro bianco per
creare le condizioni necessarie alla crescita è diversificata: tra l'altro, esso prevede
il miglioramento del quadro macroeconomico, l'investimento in infrastrutture
moderne in vista dell'accesso a nuovi mercati di sviluppo, la formazione del
capitale umano necessario, il miglioramento della competitività interna ed esterna,
l'accelerazione dell'innovazione grazie alla promozione selettiva dei progetti di
ricerca e di sviluppo, il ritorno a prezzi più competitivi attraverso la riduzione dei
costi e delle imposte, oltre ad una maggiore flessibilità del lavoro. Il libro bianco
tratta altresì il rapporto tra l'impiego delle risorse, l'ambiente e la crescita. Anche
se, nel complesso, il libro bianco non offre una strategia omogenea ed il suo
contenuto fa sorgere, in alcuni punti, delle riserve di ordine istituzionale, esso
costituisce una base di riflessione importante e propone alcuni orientamenti per le
decisioni che devono essere adottate ai diversi livelli all'interno dell'Unione
europea e che condizioneranno in parte la riuscita dell'UEM.
Henry Krägenau
http://europa.eu.int/pol/cfsp/en/info.htm
Politica estera e di
sicurezza comune
Membri: Tutti gli Stati membri dell'Unione europea.
Base giuridica: Trattato sull'Unione europea, articoli B e C (obiettivi, quadro
istituzionale unico, coerenza), articolo J (disposizioni che regolano la politica
estera e di sicurezza comune), articoli L e P, paragrafo 2 (disposizioni finali) e
quattro dichiarazioni allegate al trattato. Abrogazione dei titoli I e III e
dell'articolo 30 dell'Atto unico europeo del 28 febbraio 1986.
Obiettivi: Difesa degli interessi fondamentali nel settore della politica estera, in
particolare l'indipendenza e la sicurezza dell'Unione, ivi compresa la definizione a
termine di una politica di difesa comune e di una difesa comune, nonché il
mantenimento della pace ed il consolidamento della democrazia, dello Stato di
diritto e del rispetto dei diritti dell'uomo.
Strumenti: Posizioni comuni ed azioni comuni, votazioni ed iniziative concertate
nelle organizzazioni internazionali ed in occasione di conferenze internazionali,
azioni diplomatiche, missioni informative comuni, abbinamento degli strumenti
diplomatici e comunitari.
Bilancio: Per il 1996: 68,25 milioni di ecu.
La politica estera e di sicurezza comune (PESC) designa un sistema, unico a livello
mondiale, di collaborazione tra gli Stati membri dell' -> Unione europea (UE) nelle
questioni di politica estera internazionale. La PESC forma, accanto alla ->
Comunità europea (CE), il secondo dei pilastri su quali poggia l'Unione europea. Al
contempo, essa rappresenta per i governi che vi prendono parte uno strumento
fondamentale di protezione degli interessi nazionali in un'epoca di
interdipendenze mondiali. La PESC opera per preservare l'identità dell'Unione
europea sulla scena internazionale; i suoi principali obiettivi sono: lo scambio,
virtualmente costante, di informazioni e di opinioni su questioni di politica estera
e internazionale, la convergenza delle posizioni nazionali, anche attraverso
l'elaborazione di un approccio comune di base e la realizzazione dello stesso sotto
forma di azioni comuni.
Tappe fondamentali e carenze riscontrate negli anni '70 e '80
Già all'inizio degli anni 70 apparve chiaro che la decisione dei padri fondatori della
Comunità di rinunciare ad elaborare una politica estera se non direttamente
167
168
integrata quantomeno coordinata si rivelava sempre più irrealistica. Da un lato, la
Comunità si presentava sulla scena internazionale, in virtù della sua politica
commerciale estera, come uno dei protagonisti, dall'altro, aumentava la
consapevolezza che una crescente integrazione della Comunità nell'economia
mondiale l'avrebbe resa dipendente dagli avvenimenti al di fuori dei propri confini
e che gli Stati dell'Europa occidentale avrebbero potuto affrontare meglio tale
pressione internazionale se avessero concertato un atteggiamento comune. Il
conflitto arabo-israeliano del 1973 fu uno dei primi banchi di prova della
Cooperazione politica europea (CPE), che non furono sempre coronati da successo.
L'OSCE rappresenta uno dei settori di intervento in cui la Comunità dei Sei, prima,
e, in seguito alla serie di successivi ampliamenti, dei Quindici, ha tradizionalmente
manifestato un atteggiamento comune.
Quantunque la «politica delle dichiarazioni», spesso criticata perché troppo passiva
e tardiva, abbia prodotto degli effetti sui destinatari, ad es. in alcuni casi di
violazione dei diritti dell'uomo, l'impostazione stessa della CPE si è rivelata
eccessivamente selettiva ed inefficace in determinate situazioni di crisi. La
Comunità riconobbe che anche l'offerta o il ritiro di risorse commerciali o,
all'occasione, militari potevano rappresentare degli strumenti idonei ad accrescere
la credibilità del proprio intervento. L'abbinamento della diplomazia della CPE e
degli strumenti comunitari apparve inevitabile (ad esempio nel caso dell'invasione
irachena del Kuwait, della guerra in Iugoslavia o in risposta al crollo dell'ex Unione
Sovietica o al processo di democratizzazione nell'Europa centrale ed orientale),
decisione che non poteva rimanere tuttavia senza conseguenze sul piano delle
procedure e degli organi decisionali. Il profilarsi di nuove sfide in materia di
politica estera, un nuovo impulso verso l'integrazione, favorita dal programma per
il mercato interno, ed il dibattito attorno all'UEM negli anni 1990-91
alimentarono le discussioni sulle fondamenta di una politica estera e di sicurezza
europea, che hanno portato alla formulazione delle disposizioni contenute
nell'articolo J del trattato dell'Unione, entrato in vigore il 1 novembre 1993.
Elementi di base della PESC e prime esperienze
Dotando la PESC di una competenza a tutto campo in materia di sicurezza
dell'Unione, «ivi compresa la definizione a termine di una politica di difesa
comune, che potrebbe successivamente condurre a una difesa comune» (articolo
J.4), l'Unione si riprometteva una maggiore coerenza e capacità d'azione. Il
notevole aumento di competenze è espressione dei mutati interessi nella politica
di sicurezza nell'Europa occidentale, che non possono più essere esclusivamente
tutelati nel quadro dell'Alleanza atlantica. Dal punto di vista istituzionale, tale
compito spetta all'Unione dell'Europa occidentale, che da decenni non riveste
alcuna importanza. In quanto «parte integrante dello sviluppo dell'Unione
europea», essa si attiva su richiesta dell'Unione per elaborare ed attuare decisioni
ed azioni che hanno rilevanza sotto l'aspetto della politica di difesa (come è
avvenuto per lo spiegamento di una forza di polizia comunitaria per amministrare
la città bosniaca di Mostar). Analogamente ad altre disposizioni sulla PESC, quelle
contenute nell'articolo J.4 del TUE sono il risultato di interessi nazionali
contrapposti e pertanto si prestano a diverse interpretazioni all'atto della loro
attuazione pratica. Lo stesso avviene, perlomeno fino alla scadenza del trattato
UEO nel 1998, per l'autonomia istituzionale degli organi dell'UEO e della PESC, che
dal punto di vista dell'efficienza potrebbe dare adito a dubbi, soprattutto nella
misura in cui la UEO estende le sue capacità di intervento nel settore della
gestione delle crisi, interferendo così nelle materie di competenza dell'UE. Per
ridurre gli effetti negativi, dall'entrata in vigore del TUE ci si adopera per stabilire
sistematici rapporti di lavoro tra la UEO e la UE. I primi tentativi di dare
espressione all'importanza intrinseca della dimensione militare prevista dal
trattato sull'Unione, sono stati attuati finora in modo alquanto controverso, in
quanto inizialmente era stato proposto un concetto molto ampio di sicurezza,
senza toccare gli aspetti di una difesa comune, che dal punto di vista concettuale
ed operativo erano ritenuti altamente sensibili. È il caso ad esempio delle questioni
relative agli obblighi di assistenza ed alle garanzie di sicurezza per i membri
attuali e futuri, alle ripercussioni sull'Alleanza atlantica o alle capacità militari con
o senza il supporto della NATO.
Con l'abbandono del principio dell'unanimità - una grande innovazione nella PESC
rispetto ai criteri tradizionali della diplomazia - e l'introduzione dello strumento
dell'azione comune con esplicito effetto vincolante per gli Stati membri, si è inteso
fornire una risposta alle giustificate critiche mosse all'inefficienza delle procedure
decisionali interne ed all'incapacità di fornire all'esterno una immagine unitaria ed
attiva. Non deve sorprendere che le disposizioni del trattato siano state adottate a
seguito di aspre battaglie e, soprattutto secondo l'ottica del Regno Unito, siano da
attuare secondo l'interpretazione più restrittiva possibile. La possibilità di adottare
decisioni a maggioranza è espressamente limitata allo strumento delle azioni
comuni, ed anche in questo caso è prevista solo per l'attuazione delle stesse,
mentre rimane inalterata la facoltà del Consiglio - nella sua veste di organo
decisionale centrale - di stabilire in qualsiasi fase della procedura il principio da
adottare: voto all'unanimità o a maggioranza.
In considerazione di questa ed altre carenze istituzionali (quali la riorganizzazione
dei comitati di esperti, la ripartizione dei compiti tra comitato politico ed il
comitato dei rappresentanti permanenti) un primo bilancio della PESC nella sua
fase iniziale si presta a valutazioni contrastanti.
La rapidità di reazione dimostrata, perlomeno all'inizio, con la prima azione
comune nell'ottobre/novembre 1993 è stata successivamente controbilanciata in
più occasioni da decisioni che non offrivano risposte soddisfacenti alle sfide
internazionali o che sollevavano imprevisti problemi, quali la questione del
finanziamento delle azioni comuni. A titolo esemplificativo, l'invio di osservatori
europei per sorvegliare l'andamento delle elezioni in Russia non si è rivelato un
intervento accuratamente elaborato e coordinato, poiché ha interessato soltanto
un aspetto marginale della strategia di stabilizzazione della presidenza russa ed è
169
170
rimasto al di fuori del quadro molto più importante dell'accordo di partenariato tra
la Russia e l'Unione europea. Anche gli sforzi compiuti dall'Unione per ridare
lustro, attraverso una azione comune, alla sua immagine fortemente appannata in
relazione alla guerra nell'ex Iugoslavia, hanno ottenuto solo modesta risonanza nei
mezzi di comunicazione e presso il pubblico europeo. Il tentativo fu anche
compromesso dal fatto che il -> Consiglio dell'Unione per mesi ha cercato di
raggiungere l'accordo su una questione fondamentale, vale a dire sulle modalità di
copertura dei costi della PESC, indicati nell'articolo J.11 TUE come spese operative.
Davanti alle casse vuote degli Stati membri, il ricorso al bilancio della Comunità
sembrò una proposta allettante. Tale decisione doveva tuttavia significare agli
occhi dei fautori dell'integrazione - in primis il -> Parlamento europeo (PE) e la ->
Commissione europea (CE) - che si sarebbero applicate le disposizioni in materia di
procedura di bilancio comunitario, il che ridestò l'attenzione dei sostenitori
dell'approccio intergovernativo della PESC. Alla fine, tutti convennero, nel corso
del 1994, che le azioni comuni potevano essere finanziate dal bilancio comunitario
o da contributi nazionali, da calcolarsi sulla base del prodotto interno lordo degli
Stati membri. I contributi comunitari per le misure operative sono imputati dal
1995 al bilancio della Commissione (sezione III B 8). La Commissione ed il
Parlamento europeo diventano così protagonisti della PESC. Le spese puramente
amministrative, ad esempio quelle relative alle riunioni della PESC, al servizio
d'interpretariato, ecc. sono coperti da fondi del bilancio del Consiglio e, grazie al
regolamento interistituzionale attualmente in vigore, sottratti al «controllo» del
PE.
Tra le prime azioni comuni rientrava anche il patto di stabilità, particolarmente
apprezzato come modello di diplomazia preventiva. Attraverso una serie di
proposte procedurali e di conferenze esso mira ad incanalare tempestivamente in
un dialogo, al quale partecipano anche i rappresentanti dell'Unione europea, i
potenziali conflitti nelle relazioni tra gli Stati dell'Europa centrale ed orientale e,
nella migliore delle ipotesi a raggiungere opportuni accordi prima che tali conflitti
scoppino. Infine l'Unione si è impegnata a mantenere la propria presenza in uno
dei tradizionali settori portanti, il Medio Oriente, attraverso una azione comune.
Ha predisposto un quadro di aiuti dell'ordine di 500 milioni di ecu, con i quali
l'Unione intende consolidare l'accordo di autonomia per gli ex territori occupati di
Gaza e Gerico concluso tra Israele e l'OLP. I partecipanti alla PESC e gli osservatori
hanno giudicato che la prima parte dell'azione comune nei confronti del Sudafrica
sia stato, perlomeno a quello stadio, positivo. L'obiettivo dichiarato iniziale
dell'Unione, di contribuire alla realizzazione delle prime elezioni democratiche in
Sudafrica nell'anno 1994 attraverso l'invio di una delegazione elettorale europea
composta da oltre 450 osservatori, che doveva tra l'altro occuparsi delle questioni
di natura tecnica-organizzativa, della consulenza e della formazione degli addetti
al processo elettorale e della trasmissione delle informazioni al pubblico ed ai
media. Sulla scia del processo di democratizzazione che è in corso, l'Unione
prevede inoltre di dare seguito al programma di aiuto già esistente nel quadro
della politica comunitaria, porre fine alle sanzioni tuttora applicate e concludere
un accordo di cooperazione di ampia portata, compresa la ormai consueta clausola
di sicurezza con riferimento ai diritti dell'uomo ed alla democrazia.
Analogamente a quanto è avvenuto quando l'Unione doveva adottare una
posizione nei confronti di altre questioni internazionali (ad es. i rapporti con
l'Ucraina, gli aiuti al Ruanda), il processo decisionale è stato ostacolato a più
riprese dai problemi di demarcazione delle competenze, che andavano al di là degli
aspetti tecnico-giuridici e riflettevano la tensione delle relazioni tra i seguaci
dell'«ortodossia» comunitaria, che temono una interferenza della PESC sul primo
pilastro, ed i sostenitori della politica estera tradizionale del secondo pilastro, che
ritengono indispensabile che sia la PESC a dettare gli orientamenti generali in
materia.
Negli anni 1994-1996 sono state individuate le linee direttrici e votati gli
strumenti giuridici per intraprendere ulteriori azioni comuni, che per la prima volta
fanno riferimento al settore della sicurezza. Tuttavia, in questo settore devono
essere innanzitutto affrontate le questioni procedurali, quali, tra l'altro, la
preparazione della conferenza sul trattato di non proliferazione di armi nucleari e
l'introduzione di un sistema di controllo per le esportazioni dall'Unione verso paesi
terzi di merci che possano essere impiegate a scopi civili e militari (cosiddette
«merci a duplice impiego»).
La struttura della PESC
La PESC, analogamente alla precedente Cooperazione politica europea, è articolata
dal punto di vista istituzionale in quattro livelli gerarchici. A capo, si trova il
Consiglio europeo che definisce i principi e gli orientamenti generali (articolo J.8,
paragrafo 1, TUE), costituisce la massima autorità decisionale in caso di
insormontabili divergenze di opinioni tra gli organi inferiori, introduce proposte di
riforme ed è portavoce delle posizioni comuni all'esterno. Il secondo livello, nonché
istanza decisionale determinante nelle questioni degli affari correnti, è il Consiglio
dell'Unione, vale a dire una istituzione della CE (articolo J.8, paragrafo 2, TUE). In
pratica si è inteso con tale fusione realizzare l'auspicata coerenza ed una
maggiore efficacia delle strutture decisionali; tuttavia tale approccio cela - come
dimostrato dalle prime esperienze - anche ampio potenziale di conflitti e nuovi
problemi di demarcazione.
Non deve pertanto sorprendere che la fusione degli organi del livello politico della
CE e della CPE abbia avuto ripercussioni sull'apparato burocratico. È il caso delle
attività e dell'immagine del comitato politico, che è composto dai direttori dei
dipartimenti politici dei ministeri degli Esteri degli Stati membri. Benché abbia
ancora il compito di preparare i lavori sostanziali del Consiglio, di propria iniziativa
o su richiesta del Consiglio, nonché di controllare l'attuazione della PESC, la sua
funzione di cerniera tra i livelli amministrativo e politico, come avveniva
precedentemente nell'ambito della CPE, esso viene attualmente limitato
dall'«intrusione» di un nuovo protagonista, il -> Comitato dei rappresentanti
permanenti (Coreper). A questo organo, composto da rappresentanti al livello di
171
172
ambasciatori degli Stati membri, spetta tradizionalmente la preparazione ed il
completamento dei lavori del Consiglio, comprese le questioni di competenza della
PESC. L'approssimativa ripartizione dei compiti attribuiti ai due organi - il
comitato politico esamina il contenuto della PESC, mentre il Coreper funge da
organo di coordinamento tecnico ed è responsabile per gli aspetti di pertinenza
comunitaria - sembrerebbe aver instaurato un modus vivendi accettabile per
entrambe le parti, il che non esclude che possa ingenerare in determinati casi
rivalità o inefficienza nei processi decisionali. Il comitato politico ed il Coreper
sono coadiuvati nel loro operato da oltre due dozzine di gruppi di esperti. Uno
status particolare ha assunto fino ad oggi il gruppo dei corrispondenti europei che
supervisionava ed osservava l'organizzazione generale della PESC/CPE. Tale
funzione potrebbe in futuro essere assolta anche dal segretariato PESC, che è
stato integrato nel segretariato generale del Consiglio all'entrata in vigore del
trattato sull'Unione, sempre che venga dotato di un organico più adeguato
rispetto al vecchio modello. Un altro importante componente di questo quarto
livello gerarchico è costituito dalle riunioni, tenute generalmente a scadenza
mensile, degli ambasciatori degli Stati UE nei paesi terzi ed in occasione di
organizzazioni e conferenze internazionali.
La gestione interna della PESC, così come la sua immagine esterna, dipende in
larga misura dalla presidenza, che viene esercitata a turno da ciascuno Stato
dell'Unione per la durata di sei mesi secondo l'ordine delle denominazioni di
ciascun paese previsto dall'articolo 146 del trattato CE; si tratta di un sistema che
presenta incontestabili vantaggi, ma anche notevoli inconvenienti.
La «prossimità» istituzionale, che nel frattempo è divenuta evidente, tra PESC e CE
trova espressione anche nel fatto che la Commissione, temuta per molti anni quale
membro potenziale della CPE, può ora esercitare un diritto di iniziativa in ambito
PESC paragonabile a quello di uno Stato membro, che gli consente di diventare un
partner più attivo e «pienamente associato» (articolo J.9 TUE); tale facoltà si
esprime anche attraverso la partecipazione di rappresentanti della Commissione in
tutte le relazioni esterne della presidenza, che hanno luogo secondo la formula
della Troika. Essi sono anche coinvolti nelle consultazioni PESC degli ambasciatori
degli Stati dell'UE nei paesi terzi. Di nuova introduzione è invece l'obbligo della
Commissione di informare il Parlamento europeo in merito allo sviluppo della
PESC, obbligo che condivide ora con la presidenza.
Nei principi e soprattutto agli occhi dei governi è rimasto immutato il ruolo del
Parlamento europeo nella PESC. L'articolo J.7 TUE conferma i diritti di
interrogazione già esistenti e ampiamente esercitati dai parlamentari, nonché un
obbligo di resoconto periodico della presidenza. Tuttavia non si deve dimenticare
che il PE dispone di notevoli possibilità di intervento grazie al suo potere di
approvare tutti gli accordi importanti sottoscritti dall'Unione con i paesi terzi,
nonché ai poteri di bilancio, in particolar modo quando si tratta di fondi
comunitari necessari per l'attuazione delle decisioni PESC. Il PE si avvale in modo
deliberato dei poteri riconosciutigli per migliorare il proprio status nell'ambito
della PESC.
Prospettive
L'interpretazione finora piuttosto restrittiva delle disposizioni PESC ed il
mantenimento da parte degli Stati membri delle pratiche consuete fanno
prevedere che ci sarà poco spazio di manovra per la revisione alla conferenza
intergovernativa. Soprattutto il Regno Unito sembra voler insistere sul modello
intergovernativo; ma anche nei nuovi Stati membri o in Francia vi sono perplessità
ad abbandonare la regola dell'unanimità. Gli Stati del Benelux, e chiaramente
anche la Germania, ritengono invece imperativo un tale passo, soprattutto nella
prospettiva di una Unione ampliata fino a comprendere 20 o più Stati membri. Tra
i Quindici e in seno al Parlamento europeo si controverte sull'opportunità e sulle
modalità dell'integrazione dell'UEO nella struttura dell'Unione, che diverrebbe un
nuovo, quarto pilastro con l'opzione di una fusione con la PESC sulla base di un
programma graduale ancora da definire. La Commissione ed i governi degli Stati
membri dell'UE segnalano ugualmente la necessità di migliorare le capacità di
analisi e di pianificazione della PESC. A tale proposito viene proposto, in
innumerevoli varianti, un «nucleo di analisi» composto da rappresentanti della
Commissione, degli Stati membri e del segretariato generale del Consiglio e
dell'UEO. Se tale organo debba avere competenze soltanto nelle relazioni interne
della PESC ovvero anche verso l'esterno, come debba essere collocata nella
gerarchia della PESC e a chi ne verrà affidata la direzione, sono questioni tutte da
chiarire che costituiscono un potenziale campo minato.
Elfriede Regelsberger
173
http://europa.eu.int/pol/reg/en/info.htm
174
Politica regionale
Basi giuridiche: Preambolo, articoli 2, 3, 39, da 123 a 125 e da 130 A a 130 E del
trattato CE.
Obiettivi: Rafforzare la coesione economica e sociale dell'Unione, in particolare
mediante misure di politica regionale, strutturale, sociale, agricola e
occupazionale.
Strumenti: I tre fondi strutturali (Fondo europeo per lo sviluppo regionale (FESR),
Fondo sociale europeo (FSE) e Fondo europeo agricolo di orientamento e di
garanzia (FEAOG); lo Strumento finanziario di orientamento per la pesca (SFOP); il
Fondo di coesione per gli Stati membri il cui prodotto interno lordo pro capite è
inferiore al 90% della media comunitaria, interventi nei settori dell'ambiente e
delle reti di trasporti transeuropee; la Banca europea per gli investimenti (BEI), la
Comunità europea del carbone e dell'acciaio (CECA).
Bilancio: Per il 1994 (impegni): fondi strutturali 21,3 miliardi di ecu (29% del
bilancio dell'Unione europea) di cui FESR 9 miliardi di ecu, FSE 6,5 miliardi di ecu,
FEAOG-orientamento 3,3 milioni di ecu, SFOP 0,4 miliardi di ecu, iniziative
comunitarie 1,7 miliardi di ecu, altre misure 0,4 miliardi di ecu; Fondo di
coesione 1,9 miliardi di ecu (2,5%). BEI (al di fuori del bilancio comunitario):
prestiti effettuati nella Comunità nel 1993: 17,7 miliardi di ecu.
Le disomogeneità economiche e sociali all'interno dell'Unione europea (UE) sono
notevoli. Fra i problemi strutturali dominano gli squilibri regionali, che si
rispecchiano in cospicue differenze di reddito fra le regioni dell'Unione europea e
in problemi occupazionali di considerevole entità. Come ci sono differenze
regionali all'interno dei singoli Stati membri si riscontrano pure notevoli differenze
fra le prestazioni delle rispettive economie nazionali. Quando la Comunità si è
allargata in direzione sud, le differenze fra il benessere si sono ulteriormente
accresciute, poiché i nuovi Stati membri comprendevano alcune regioni
pochissimo sviluppate. Poi la Germania orientale, con i suoi gravi problemi
economici e strutturali, è diventata anch'essa parte dell'Unione europea. La
Finlandia, l'Austria e la Svezia, membri dell'Unione europea a partire dal 1995,
sono invece paesi prosperi, anche se non privi di problemi strutturali. Le regioni
economicamente meno sviluppate dell'Unione comprendono la Grecia, il
Portogallo, buona parte della Spagna, l'Italia meridionale e la Sardegna, l'Irlanda,
L’EUROPA DALLA A ALLA Z
l'Irlanda del nord, la Corsica, i dipartimenti francesi d'oltremare e i nuovi Länder
tedeschi. Il problema dell'arretratezza regionale nell'Unione è reso ancora più
acuto dalle difficoltà particolari dovute al fatto che quelle che prima erano zone
ricche si battono per portare avanti necessari processi di ristrutturazione e per
abbandonare i settori industriali in declino, come le miniere di carbone, la
siderurgia, i cantieri navali e l'industria tessile, per dedicarsi a settori industriali e
ai servizi con buone prospettive future. I tre nuovi Stati membri solo in casi isolati
hanno regioni poco sviluppate, se giudicate col metro comunitario.
Prodotto interno lordo pro capite nel 1993 in parità di potere di acquisto
190
Amburgo
Alcune regioni il cui
PIL supera la media
dell'EUR-15 di oltre
il 50%
Bruxelles
182
Ile de France
166
Darmstadt
164
161
Vienna
100
EUR 15
49
Egeo settentrionale (Grecia)
Regioni con
meno della
metà della
media EUR-15
Epiro (Grecia)
46
Madeira (Portogallo)
45
Azzorre (Portogallo)
42
Alentejo (Portogallo)
42
0
40
80
120
160
200
Motivazione dell'azione comunitaria
Già da molto tempo si era riconosciuta la necessità, da un lato, di attutire
l'impatto dell'integrazione economica sui lavoratori e sui settori economici
particolarmente colpiti e, d'altro lato, di pervenire ad un equilibrio finanziario fra
regioni ricche e regioni meno favorite. Già il trattato di Roma diceva che occorreva
prendere provvedimenti per ovviare alle conseguenze nocive, agricole e sociali,
dell'integrazione. La necessità di strumenti specifici di politica regionale si è resa
più evidente nel 1973, cioè al momento dell'adesione alla Comunità di Danimarca,
Irlanda e Regno Unito, e ha portato nel 1975 al varo della politica regionale
comunitaria.
175
176
Impostazione della politica strutturale
La politica strutturale comunitaria ha una duplice impostazione consistente
nell'offrire incentivi finanziari e nel coordinare la politica degli Stati membri. La
politica regionale comprende anche il controllo delle sovvenzioni concesse a livello
nazionale, per garantire che non vi siano distorsioni alla concorrenza. I fondi
strutturali sono il nucleo della politica strutturale europea. Il Fondo sociale
europeo (politica sociale) è stato istituito fin dal 1960 e con il passare degli anni è
diventato uno strumento sempre più incisivo della politica europea del mercato
del lavoro. Il FEAOG (politica agricola) è stato istituito nel 1962 e la sua sezione
orientamento ha la funzione di incoraggiare gli adeguamenti strutturali. Nel 1975
è stato istituito il Fondo europeo per lo sviluppo regionale (FESR), fra l'altro per
evitare che un nuovo Stato membro, cioè il Regno Unito - paese importatore di
prodotti agricoli senza gli onerosi problemi degli altri - diventasse la vittima
finanziaria di una politica agricola carente. Anche successivamente la Comunità
ha fornito aiuti finanziari per lo sviluppo delle regioni meno favorite.
Oltre ai fondi strutturali, sono numerosi gli strumenti comunitari per attuare una
politica strutturale: il Fondo di coesione per gli Stati membri economicamente
deboli (istituito nel 1993) lo Strumento finanziario di orientamento per la pesca
(SFOP), istituito nel 1993, e i crediti forniti dalla Banca europea per gli
investimenti (BEI) e dalla Comunità europea del carbone e dell'acciaio. In origine
tali fondi strutturali venivano in ampia misura stanziati indipendentemente l'uno
dall'altro e non era quindi sempre possibile evitare che una sovvenzione si
sovrapponesse a un'altra o l'annullasse. Ma da diversi anni la Comunità cerca di
coordinare più strettamente tutti i provvedimenti di politica strutturale, affinché
quest'ultima risulti omogenea e più efficace ai fini del conseguimento dei propri
obiettivi.
L' Atto unico europeo del 1986 chiedeva alla -> Commissione europea di
presentare un'adeguata proposta globale. Il Consiglio ( -> Consiglio dell'Unione
europea) ha approvato tale riforma dei fondi strutturali, previa consultazione del > Parlamento europeo e del -> comitato economico e sociale. Tale decisione è
stata presa all'unanimità. Alla luce dell'esperienza registrata successivamente, le
misure sono state di nuovo modificate nell'estate del 1993 ed è stato istituito uno
strumento finanziario indipendente di -> politica della pesca (SFOP). Le singole
decisioni sulle sovvenzioni a titolo dei fondi strutturali sono proposti dalla
Commissione in cooperazione con il Parlamento europeo e approvate dal Consiglio
dei ministri a maggioranza qualificata.
Nel febbraio 1992, con il -> trattato sull'Unione europea, gli Stati membri hanno
deciso di creare entro la fine del 1993 un Fondo di coesione a beneficio di Spagna,
Portogallo, Grecia e Irlanda. Con la concessione di sovvenzioni per progetti relativi
all'ambiente e ai trasporti (in quest'ultimo caso, a reti transeuropee) si voleva
stimolare lo sviluppo regionale e potenziare i collegamenti fra il centro e la
periferia. Il Fondo è stato istituito nella primavera del 1993 in base a un
L’EUROPA DALLA A ALLA Z
regolamento provvisorio. Il trattato prevedeva anche espressamente, nel contesto
della politica strutturale, diritti di consultazione per l'istituendo -> Comitato delle
regioni.
Disoccupazione: forti disparità regionali
Tasso di disoccupazione nelle regioni dell'Unione (in %, 1994)
F
F
F
F
E
P
P
>14
<6%
10-14 %
Dati non disponibili
6-10 %
Fonte: Eurostat
177
178
Principi di politica strutturale
Con la riforma dei fondi strutturali del 1988, e sulla base ancora più ampia gettata
dal Consiglio nel luglio 1993 e valida per il periodo 1994-1999, la politica
strutturale della Comunità continua a focalizzarsi su cinque aree prioritarie, anche
se con obiettivi parzialmente nuovi rispetto a quelli del 1988: 1. Aiuto alle regioni
meno sviluppate. Una regione è considerata poco sviluppata se il prodotto interno
lordo pro capite è inferiore al 75% della media comunitaria. 2. Riconversione delle
regioni, delle zone di frontiera e delle piccole aree gravemente colpite da declino
industriale. In tali zone l'attività industriale originariamente dominante è
senz'altro in fase declinante e la disoccupazione supera la media comunitaria. 3.
Lotta a lungo termine contro la disoccupazione e facilitazioni per l'ingresso nel
mercato del lavoro offerte ai giovani e alle persone a rischio di emarginazione. 4.
Agevolazioni all'adeguamento dei lavoratori ai mutamenti industriali e alle
trasformazioni dei sistemi produttivi. 5. Aiuto allo sviluppo delle zone rurali
mediante l'accelerazione del processo di adeguamento delle strutture agricole e in
forza di esso, compreso l'adeguamento delle strutture di pesca. I presupposti per la
concessione di aiuti sono la caratterizzazione della zona come scarsamente
popolata, con un'alta percentuale della manodopera addetta all'agricoltura, bassi
livelli di reddito agricolo ed economia regionale globale al di sotto della media.
Come risultato dei negoziati per l'adesione dei quattro paesi dell'EFTA, possiamo
inoltre ricordare l'obiettivo n. 6 che consiste nell'aiutare regioni a densità di
popolazione estremamente bassa. Tale criterio entra in gioco se la densità di
popolazione è inferiore a 8 individui per km2. Tali regioni - ubicate in Scandinavia
- hanno diritto alla medesima assistenza delle regioni dell'obiettivo n. 1. Tale
obiettivo sarà sottoposto a un nuovo esame all'atto della revisione delle
disposizioni del fondo strutturale, prevista per il 1999.
L'azione comunitaria è soggetta al principio di sussidiarietà, secondo il quale i
provvedimenti comunitari possono solo integrare quelli a carattere nazionale o
locale, nonché altre azioni, e debbono essere adottati solo nei casi in cui le risorse
dell'ente che assume l'iniziativa risultino inadeguate.
Applicazione delle misure approvate
Le misure comunitarie di incentivazione strutturale debbono risultare organiche al
relativo quadro comunitario di sostegno (QCS), il quale è delineato dalla
Commissione in seguito a negoziati con le autorità nazionali e, nel caso degli
obiettivi nn. 1, 2 e 5b), è basato sui piani di sviluppo regionale messi a punto dai
governi nazionali in cooperazione con i competenti organi locali e regionali. Tali
piani debbono contenere l'analisi dell'impatto socioeconomico e ambientale nella
regione o nella zona interessata, prevedere la strategia da seguire, prospettare i
settori principali da assistere e comprendere una valutazione degli effetti previsti
sull'occupazione e sull'ambiente, insieme con particolari sulle modalità di spesa
dei fondi comunitari richiesti, ripartiti per singole istituzioni finanziarie. Nel caso
delle regioni dell'obiettivo n. 1, i piani debbono comprendere anche particolari sui
fondi nazionali posti a disposizione. Per quanto riguarda le regioni degli obiettivi
nn. 3 e 4, i piani d'azione nazionale messi a punto dallo Stato membro
costituiscono la base del quadro comunitario di sostegno. Tali piani contengono
anche la descrizione della situazione, il riepilogo delle strategie di politica del
mercato del lavoro ritenute adeguate, l'impiego cui saranno destinati a fondi
richiesti e gli effetti previsti. I quadri comunitari di sostegno comprendono gli
obiettivi e i punti principali, la caratteristica e i termini dell'intervento
comunitario, nonché un piano finanziario da cui risulta l'entità e l'origine dello
stanziamento comunitario. Nella maggior parte dei casi essi vengono attuati
tramite i cosiddetti programmi operativi, che mettono insieme una serie di
progetti che si integrino fra loro. Tali programmi vengono messi a punto dalle
autorità nazionali o su iniziativa della Commissione (iniziative comunitarie).
I quadri comunitari di sostegno possono anche coprire singoli progetti di notevole
entità o richieste di sovvenzioni globali. In quest'ultimo caso deve essere istituito
un ente speciale incaricato di verificare l'attuazione di talune misure.
Misure
Il Fondo europeo per lo sviluppo regionale interviene in particolare quando si
tratta di investimenti produttivi e di rilevante portata economica, nonché di
progetti relativi a infrastrutture in settori che comprendono la sanità e l'istruzione,
nonché le reti di trasporto transeuropee, le telecomunicazioni e l'energia. Per
sfruttare le potenzialità locali di sviluppo di una determinata regione, per
incoraggiare le innovazione e il turismo e per fornire servizi, il FESR può
sovvenzionare piccole attività con aiuti sia operativi, sia per quanto riguarda gli
investimenti, e partecipare a progetti di ricerca e di sviluppo. Il Fondo sociale
europeo ha come priorità assoluta la lotta contro la disoccupazione, che
comprende misure volte ad agevolare l'ingresso nel mercato del lavoro, a facilitare
la parità di possibilità, a incoraggiare la riqualificazione e a creare nuovi posti di
lavoro. Nelle regioni dell'obiettivo n. 1 possono ricevere sovvenzioni anche
l'estensione e il miglioramento dell'addestramento generale e specifico, in
particolare mediante la formazione dei formatori. La sezione orientamento del
FEAOG stimola misure strutturali nell'agricoltura, nonché la ristrutturazione della
produzione agricola e le attività secondarie degli agricoltori.
In qualità di strumenti specifici di politica strutturale, e conformemente a una
proposta della Commissione, i fondi strutturali sovvenzionano 13 iniziative
comunitarie approvate in sette settori differenti: cooperazione interregionale e reti
transfrontaliere, sviluppo rurale, regioni particolarmente lontane dal centro,
occupazione e miglioramento delle qualifiche, trasformazioni industriali, zone
urbane in crisi e ristrutturazione delle attività di pesca. Attingendo al Fondo di
coesione la Comunità sovvenziona investimenti volti a migliorare l'ambiente e ad
estendere le reti di trasporto transeuropee in Grecia, Spagna, Irlanda e Portogallo.
Lo SFOP non soltanto sovvenziona particolari misure strutturali nel settore della
pesca vera e propria, ma supporta anche progetti che comprendono l'agricoltura e
la trasformazione e la commercializzazione dei suoi prodotti. Nelle regioni
179
180
dell'obiettivo n. 1, i fondi strutturali e lo SFOP arrivano abitualmente a coprire
fino al 75% (in casi eccezionali, debitamente motivati, fino all'85%) dei costi
globali e almeno il 50% della spesa pubblica. Nelle altre regioni, l'Unione sostiene
fino al 50% dei costi globali, ma essi debbono rappresentare almeno il 25% della
spesa pubblica in fatto di misure di incoraggiamento. A tale scopo le regioni
vengono classificate in termini di gravità dei problemi regionali e di risorse
finanziarie disponibili per lo Stato membro interessato. La BEI eroga prestiti per
investimenti relativi alle infrastrutture, di solito al tasso di mercato. Su richiesta
della Commissione, la BEI eroga anche prestiti attingendo agli stanziamenti del
nuovo strumento comunitario (NSC -> politica di bilancio), per i quali la
Commissione può anche fornire agevolazioni per diminuire il tasso d'interesse e
quindi rendere più economico il prestito. Le «facilitazioni di Edimburgo»
prevedevano la disponibilità di ulteriori fondi per progetti relativi alle
infrastrutture nel 1993 e nel 1994, allo scopo di determinare un boom economico
in Europa, in particolare nei settori dei trasporti, delle telecomunicazioni e
dell'energia (anzitutto per le reti transeuropee), nonché nel settore della tutela
dell'ambiente e del rinnovamento urbano.
Risorse finanziarie
In seguito alla decisione presa dal -> Consiglio europeo del febbraio 1988, le
risorse strutturali della Comunità si sono raddoppiate in termini reali fra il 1987 e
il 1993. Al vertice di Edimburgo, del dicembre 1992, è stato nuovamente deciso di
incrementare in notevolissima misura tali fondi fra il 1993 e il 1999. Ai prezzi del
1992, i fondi strutturali (compreso lo SFOP) dovevano assumere impegni per 24
milioni di ecu nel 1997 e per 27,4 milioni di ecu nel 1999. Circa il 70% di tali
importi è destinato alle regioni dell'obiettivo n. 1. Tali risorse sono integrate dal
Fondo di coesione, che disponeva di 1,5 miliardi di ecu nel 1993 e dovrà disporre
di 2,5 miliardi di ecu nel 1997 e di 2,6 miliardi di ecu nel 1999. È stata fornita
una ripartizione a carattere indicativo delle spese di politica strutturale per singolo
Stato membro. Da tale ripartizione risulta che i problemi connessi con il
sottosviluppo regionale godono tuttora di un'assoluta priorità.
Valutazione
Non vi è dubbio che misure più concentrate e meglio coordinate abbiano reso più
efficace la politica strutturale comunitaria. Recentemente le procedure di
erogazione dei prestiti sono state ulteriormente semplificate e la Commissione
incoraggia gli Stati membri ad avvalersi sempre più della procedura semplificata
all'atto di redigere singoli documenti sulle strategie e sui programmi. Il notevole
aumento delle risorse disponibili per i fondi rispecchia meglio la gravità dei
problemi. Si fanno sentire sempre più i dubbi sul fatto che la capacità delle regioni
sovvenzionate di spendere tali fondi forse è stata già superata e che il
potenziamento delle attività di incoraggiamento non lascia abbastanza spazio alle
iniziative locali. Sono state espresse pure critiche in merito al fatto che la
Commissione, tramite le iniziative comunitarie, influenza in misura sempre
maggiore l'impostazione della politica regionale violando in tal modo il principio di
sussidiarietà, anche perché una serie di iniziative potrebbero essere inserite nei
quadri comunitari di sostegno. Infine si nutrono dubbi in merito all'istituzione di
altri nuovi fondi e strumenti finanziari, giacché essa porrebbe a repentaglio la
trasparenza delle azioni di politica strutturale. Inoltre non si risolve così il
problema fondamentale della politica strutturale globale dell'Unione europea: in
ultima analisi essa costituisce più che altro il surrogato di un efficace sistema di
riequilibrio finanziario regionale. Tale sistema, comunque sia, richiederebbe un
livello di consenso e di integrazione politica che probabilmente non potrà essere
raggiunto in un futuro prevedibile.
Bernard Seidel
181
http://europa.eu.int/pol/socio/en/info.htm
182
Politica sociale
Basi giuridiche: Preambolo e articoli 2, 3 I, J e P, da 48 a 51, da 117 a 125, 130 B,
130 D del trattato che istituisce la Comunità europea, protocollo sulla politica
sociale.
Obiettivi: Miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, promozione
dell'occupazione e della parità di opportunità, tutela sociale minima.
Strumenti: Fondo sociale europeo, programmi, misure giuridiche per
l'allineamento e l'integrazione delle disposizioni e leggi nazionali.
Bilancio: 6.233 milioni di ecu (1994), di cui 5.819 milioni di ecu per il Fondo
sociale europeo (complessivamente il 9% del bilancio UE per il 1994).
Dopo che già nel trattato istitutivo della Comunità europea del carbone e
dell'acciaio (1951) erano state inserite disposizioni di politica sociale, anche il
trattato che istituisce la Comunità economica europea elencava tra gli obiettivi
dell'integrazione il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, cui si
intendeva arrivare soprattutto con l'ausilio del Fondo sociale europeo e con il
coordinamento e la cooperazione tra Stati membri. Nel quadro dell'attuazione
della libertà di movimento dei lavoratori, uno degli obiettivi basilari del ->
mercato interno, già prima del 1970 fu istituito un sistema che garantiva le
prestazioni sociali per i lavoratori occupati in altri Stati membri.
Sviluppi
Fu il lancio del primo «Programma di azione sociale» (1974) a segnare l'inizio di
una vera e propria politica sociale comunitaria; infatti fino ad allora la politica
sociale era rimasta confinata all'attività del Fondo sociale europeo. A partire dalla
metà degli anni '70 i capisaldi della politica sociale furono una serie di programmi
d'azione dedicati a temi specifici come la sicurezza e la tutela sul posto di lavoro
( -> sanità) e la promozione della parità di opportunità per le donne ( -> Europa
delle donne) nonché dell'inserimento di gruppi svantaggiati nel mondo del lavoro.
Solo una minima parte delle attività di politica sociale potevano richiamarsi a
specifiche basi giuridiche. I programmi di politica sociale si basavano su
disposizioni generiche in materia di competenze (articoli 100 e 236 del trattato
CEE), e presupponevano sempre una deliberazione votata all'unanimità dal ->
Consiglio dell'Unione europea. Tuttavia in linea di principio dal 1974 venne
riconosciuta la competenza della CE a varare disposizioni di politica sociale.
Con l'->Atto unico europeo (AUE) le competenze della CE nel campo della politica
sociale non furono ampliate in misura significativa: il nuovo articolo 118 A del
trattato CEE si limitava infatti a prevedere misure di protezione della sicurezza e
della salute sul posto di lavoro, che il Consiglio ha facoltà di varare a maggioranza
qualificata in cooperazione con il -> Parlamento europeo ( -> procedure
decisionali). Esemplificativo del persistente rifiuto di alcuni Stati membri a
riconoscere alla CE maggiori possibilità di intervento nella legislazione sociale
sotto questo profilo il fatto che l'articolo 100 A del trattato CEE (anch'esso inserito
dall'AUE), che intende facilitare il ravvicinamento legislativo al fine di completare
rapidamente il mercato unico, non si applica alle disposizioni relative «ai diritti ed
interessi dei lavoratori dipendenti».
Durante i negoziati precedenti il varo del trattato sull'Unione europea, a causa del
rifiuto del governo britannico ad acconsentire all'ampliamento delle competenze
della CE, la politica sociale minacciò di diventare un ostacolo all'unificazione.
Infine fu il -> Consiglio europeo di Maastricht (dicembre 1991) a trovare un
compromesso: le disposizioni di politica sociale del trattato CE vennero lasciate
immutate, ma al trattato sull'Unione venne aggiunto un «protocollo sulla politica
sociale» a carattere vincolante. Tale protocollo autorizza i rimanenti 11 Stati
membri a fare ricorso alle istituzioni, alle procedure e ai meccanismi del trattato
allo scopo di attuare, senza il Regno Unito, una più ampia politica sociale
comunitaria. In un accordo allegato al protocollo vengono fissati gli obiettivi della
politica sociale da attuare senza il Regno Unito; tuttavia solo nel campo dei diritti
dei lavoratori tali obiettivi vanno significativamente al di là di quanto contenuto
nel trattato CE. In linea di principio altri settori del diritto del lavoro (diritto di
associazione, di sciopero e di serrata), così come le questioni salariali, rimangono
esclusi dall'azione comune; inoltre le deliberazioni relative ai diritti e alla sicurezza
e protezione sociale dei lavoratori continuano ad essere soggette a voto unanime.
Con l'attuazione del protocollo sociale, per la prima volta nella storia comunitaria
si sviluppa comunque un diritto comunitario derivato limitato a una parte degli
Stati membri. Non bisogna dimenticare che in teoria ne potrebbe risultare un
vantaggio concorrenziale per il Regno Unito, ma ciononostante, sin dal primo
esempio di ricorso al protocollo sociale - la direttiva del 22 settembre 1994
relativa ai consigli d'impresa europei, da vent'anni oggetto di controversie - è
apparso evidente che gli altri 11 Stati membri sono decisi a sfruttare le possibilità
da esso offerte, creando una base di disposizioni minime europee nei settori
basilari della politica sociale.
Il Fondo sociale europeo
In base al trattato CE l'obiettivo del Fondo sociale europeo (FSE) è fornire un
contributo al miglioramento delle opportunità di occupazione per i lavoratori. La
storia del FSE è assai mutevole: creato nel 1960, inizialmente esso serviva
183
184
soprattutto per finanziare misure di trasferimento e riqualificazione; erano
soprattutto gli Stati membri «ricchi», più abili nel presentare le domande di
finanziamento, ad approfittarne maggiormente: fino al 1972 la metà dei fondi è
confluita nelle casse della Repubblica federale di Germania. Più tardi, negli anni
80, i fondi vennero destinati soprattutto all'integrazione dei giovani disoccupati
nella vita lavorativa. Dal 1972 furono introdotte rigorose quote nazionali, grazie
alle quali gran parte dei fondi andarono agli Stati membri «più poveri».
Nell'ambito del completamento del mercato interno il FSE fu ampiamente
riformato. In base alle disposizioni dell'AUE - riprese senza modifiche significative
nel trattato sull'Unione - il FSE, insieme al Fondo europeo di sviluppo regionale
( -> politica strutturale regionale) e alla sezione «orientamento» del FEAOG
( -> politica agricola) concorre alla «coesione economica e sociale» dell'Unione
(articolo 130 B del trattato CE). In base alle decisioni relative al «pacchetto
Delors» (1988) e al «pacchetto Delors II» (1992) i fondi strutturali vengono
aumentati annualmente di 27 miliardi di ecu (in prezzi del 1992) fino al 1999
(1994-1999: 141,5 miliardi di ecu, di cui 40 miliardi di ecu per il FSE). In base al
regolamento quadro del luglio 1993 il FSE è destinato soprattutto a finanziare le
misure relative all'obiettivo n. 3 (lotta contro la disoccupazione di lunga durata,
inserimento dei giovani nella vita lavorativa) e all'obiettivo n. 4 (adattamento dei
lavoratori ai mutamenti del sistema produttivo) dei fondi strutturali, ma anche alle
azioni svolte nel quadro dell'obiettivo n. 2 (rinnovamento delle regioni industriali
tradizionali); a ciò si aggiungono una serie di cosiddette «iniziative comunitarie» a
favore di determinate azioni o gruppi di persone.
«Dimensione sociale» del mercato interno e «dialogo sociale»
Il motto della «dimensione sociale» del mercato interno simboleggia il tentativo di
dare un immagine più umana e sociale al mercato interno e all' Unione europea
nel suo complesso, nonché a combattere il pericolo, evocato dai sindacati, di un
«dumping sociale». Il termine «dimensione sociale» evoca quindi sia l'opzione di
fondo in favore dell'integrazione che la volontà di varare concrete misure
legislative.
Una componente fondamentale della «dimensione sociale» è il «dialogo sociale». Il
tentativo di fare sedere le parti sociali intorno a un tavolo, per condurre trattative
a respiro europeo volte a raggiungere posizioni comuni, ha avuto un precedente
negli anni '70, con il «comitato permanente per i problemi dell'occupazione» e la
cosiddetta «conferenza a tre», ma in quel frangente il tentativo di realizzare
un'azione concertata fallì per l'insufficiente disponibilità al compromesso e la
mancanza di competenza, sia da parte comunitaria che dei raggruppamenti
d'interessi.
Il termine di «dialogo sociale» è stato introdotto dall'AUE (articolo 118 B del
trattato CE) e ulteriormente definito dall'articolo 3 del protocollo sociale di
Maastricht: con esso si è voluto indicare che le parti sociali devono partecipare
alla realizzazione del mercato interno e alla sua dimensione sociale, ad esempio
L’EUROPA DALLA A ALLA Z
discutendo insieme delle linee guida generali della politica dell'UE e mettendone a
punto le priorità comuni nel corso di vertici o incontri - dedicati a specifici temi
politici o settori economici - tra i rappresentanti dei raggruppamenti d'interessi
europei (CES, UNICE, CEIP) e della Commissione europea.
Globalmente il «dialogo sociale» può essere considerato il tentativo di dare vita a
una sorta di «partnership sociale» a livello europeo; si tratta tuttavia di un
concetto del tutto sconosciuto all'interno di molti Stati membri e che oltretutto
presuppone un livello d'integrazione assai maggiore tra le stesse associazioni
d'interessi europee.
Sicurezza sociale: sensibile divario secondo gli Stati membri
Spese per la sicurezza sociale in % del prodotto interno lordo (1993)*
B
26,34
DK
32,31
D
29,70
EL
15,48
E
23,20
F
29,18
IRL
20,44
I
24,53
L
24,00
NL
32,12
P
17,33
UK
26,75
27,52
EUR 15
0
5
10
15
20
25
30
35
* Cifre provvisorie, tranne Danimarca. Dati non disponibili per Austria, Finlandia e Svezia.
Fonte: Eurostat
Carta sociale
A dare una concreta fisionomia alla «dimensione sociale» del mercato interno
dovrebbe contribuire soprattutto la «Carta comunitaria dei diritti sociali
185
186
fondamentali dei lavoratori», varata nel dicembre 1989 dal Consiglio europeo con
l'ovvio voto contrario del Regno Unito. Tuttavia, dopo la presentazione, nell'aprile
1989, di un progetto del comitato economico e sociale, nel corso delle trattative in
seno al Consiglio - soprattutto a causa del rifiuto opposto dal Regno Unito l'ambizioso obiettivo di una carta di diritti vincolanti e azionabili in sede
giudiziaria sfociò in una mera dichiarazione d'intenti politici su una serie di diritti
sociali fondamentali, dalla formazione professionale e la libertà d'associazione al
diritto dei lavoratori a essere informati, fare sentire la propria voce e partecipare al
processo decisionale.
Per perseguire comunque dei progressi nel campo della politica sociale, già nel
dicembre 1989 la Commissione presentò un programma d'azione per l'attuazione
della Carta, che prevedeva 47 azioni concrete. Le iniziative in questione, sulle quali
la decisione spetta al Consiglio, si trovano in gran parte in avanzato stato di
lavorazione: si pensi ad esempio alle direttive sui licenziamenti collettivi, sulla
prova del rapporto di lavoro, sulla tutela della maternità, sulla protezione dei
giovani sul lavoro e sul tempo di lavoro. Prevedibilmente l'attuazione delle
rimanenti misure avverrà nell'ambito del protocollo sociale, senza la
partecipazione del Regno Unito.
Verso un'unione sociale?
Anche se negli anni scorsi - principalmente per effetto del mercato unico - sono
stati fatti notevoli passi avanti verso il traguardo di una politica sociale europea, e
sempre più sono i settori delle normative nazionali che ormai sono stati sostituiti,
o perlomeno affiancati, da prescrizioni minime europee, la strada che porta a una
vera «unione sociale» è ancora lunga. Per ora importanti settori del diritto del
lavoro e del diritto sociale rimangono puramente nazionali, come del resto i
sistemi d'istruzione e di assicurazione sociale, per i quali solo a lungo termine i
progressi nell'integrazione del mercato del lavoro e la crescente mobilità della
forza lavoro, accompagnati al sempre più accentuato allineamento dei livelli di
vita, porteranno forse a un'uniformazione, se non addirittura a una soluzione
globale europea. Per il momento la situazione vede ancora sistemi diversi in
concorrenza reciproca.
Ad ogni modo la discussione sul futuro della politica sociale europea è in pieno
svolgimento. A questo proposito il «libro verde» in materia, presentato dalla
Commissione nel novembre 1993, insieme al «libro bianco sulla politica sociale
europea» del luglio 1994, elaborato sulla base del libro verde e delle oltre 500
prese di posizione pervenute in proposito, apre prospettive oltremodo interessanti.
Assai indicativa è l'impostazione globale data alla problematica - i temi affrontati
vanno da un obiettivo fondamentale come la lotta alla disoccupazione fino al
futuro dello stato sociale - ma anche il fatto che per la prima volta si discute
apertamente a livello europeo dell'esistenza e del futuro di un «modello sociale
europeo». Lanciare un dibattito europeo sulla sopravvivenza di tale modello è un
passo importante verso una possibile intesa sugli obiettivi e la portata di una
politica sociale europea.
187
Christian Engel
http://europa.eu.int/pol/dev/en/info.htm
188
Politica di sviluppo
Base giuridica: Articoli da 131 a 136 del trattato CE (Associazione dei paesi e
territori d'oltremare), articolo 238 (convenzioni di Lomé), articolo 113 (politica
commerciale) e articolo 43 del trattato CE (aiuti alimentari). Il trattato sull'Unione
europea attribuisce alla Comunità vaste competenze nel settore della
cooperazione allo sviluppo (articoli da 130 U a 130 Y).
Strumenti: Accordi di associazione con gruppi di Stati, accordi commerciali e di
cooperazione, sistemi delle preferenze generalizzate, assistenza finanziaria, aiuti
alimentari e in caso di calamità, coordinamento e armonizzazione delle politiche
nazionali di sviluppo.
Bilancio: per il 1995: 2,651 miliardi di ecu, corrispondenti a circa 3,4% del
bilancio comunitario; circa 2,5 miliardi di ecu all'anno per la cooperazione
nell'ambito delle convenzioni di Lomé.
Dalla metà degli anni '70 l'->Unione europea (UE) si è occupata in misura
crescente di questioni attinenti al settore della politica di sviluppo. In mancanza di
una precisa attribuzione di competenze, è andata progressivamente elaborando
una propria gamma di strumenti di politica di sviluppo ed una cornice finanziaria
che si sono rivelate pienamente aderenti alle possibilità di azione dei suoi Stati
membri. Soltanto dall'entrata in vigore, nel novembre 1993, del trattato di
Maastricht che istituisce l'Unione europea, l'UE è chiamata ad assolvere compiti
chiaramente definiti ad integrazione delle attività poste in essere dagli Stati
membri. Non è prevista una ulteriore europeizzazione della politica di sviluppo,
perlomeno allo stadio attuale, ma l'obiettivo dichiarato consiste in un maggiore
coordinamento delle attività dell'Unione e degli Stati membri.
Sebbene fino agli inizi degli anni '90 non disponesse di poteri d'azione propri in
materia di politica dello sviluppo, l'UE ha avviato molteplici attività nel settore
della cooperazione Nord-Sud: innanzitutto partecipa dal 1969, per ragioni di
politica agricola, agli accordi alimentari internazionali; dal 1971 ha concesso ai
paesi in via di sviluppo privilegi commerciali unilaterali nell'ambito del sistema
preferenziale generalizzato. Inoltre, dalla metà degli anni 70 l'UE eroga, sulla base
di diverse delibere del Consiglio adottate ai sensi dell'articolo 235 CEE, aiuti
finanziari e aiuti d'urgenza, operando a stretto contatto con organizzazioni
(private) per gli aiuti internazionali.
L’EUROPA DALLA A ALLA Z
Il trattato sull'Unione europea rafforza sensibilmente la base giuridica della
politica di sviluppo della Comunità. Gli articoli da 130 U a 130 Y aggiungono al
TUE un nuovo titolo «Cooperazione allo sviluppo» che individua tre obiettivi:
promozione dello sviluppo economico e sociale, integrazione dei paesi in via di
sviluppo nell'economia mondiale e la campagna contro la povertà. Esso sancisce
espressamente che la politica della Comunità nel settore della cooperazione allo
sviluppo integra quelle svolte dagli Stati membri.
Aiuti al terzo mondo
Aiuto pubblico dei principali donatori (in milioni di dollari, 1992)
33 776
35 000
30 000
25 000
15 000
11 151
11 709
20 000
2 515
97
5 000
973
1 273
451
1 054
10 000
* Unione europea e Stati membri.
** Tra cui Arabia Saudita ed Emirati arabi uniti.
***Tra cui Cina, India, Corea del sud, Taiwan e Venezuela.
Nuova Zelanda
Australia
Canada
Norvegia
Altri paesi in fase
di sviluppo
donatori (***)
Paesi arabi (**)
Giappone
USA
(*) EUR 15
0
189
190
Obiettivi e strumenti
Gli anni '80 hanno registrato un nuovo orientamento della politica di sviluppo
della Comunità. Nel «Memorandum Pisani» dell'ottobre 1982, la -> Commissione
europea, su insistente richiesta del primo -> Parlamento europeo eletto a suffragio
universale (nel 1979), formulò nuovi obiettivi, che da allora sono stati rielaborati
in diverse occasioni. Accanto a considerazioni di carattere generale - soprattutto il
mantenimento della pace a livello mondiale - tale documento conferisce priorità a
sei obiettivi pratici: sostegno degli sforzi effettuati dagli stessi paesi in via di
sviluppo; promozione dell'autosufficienza alimentare con particolare riferimento
allo sviluppo agricolo; sviluppo delle risorse umane e rispetto della dimensione
culturale; sviluppo delle capacità autonome di ricerca scientifica e applicata;
utilizzo sistematico di tutte le risorse naturali disponibili; ripristino e
mantenimento dell'equilibrio ecologico. Tale sistema di priorità trova sempre più
frequente impiego nella pratica dell'attribuzione dei fondi. Nel maggio 1992 la
Commissione ha presentato una comunicazione sulla «politica della cooperazione
allo sviluppo fino all'anno 2000», nella quale vengono illustrate le conseguenze del
trattato di Maastricht. Particolare rilievo viene oggi accordato alla cooperazione
nel settore del rispetto dei diritti umani e del corretto funzionamento
dell'amministrazione pubblica e degli organi di governo.
Gli strumenti della politica di sviluppo della Comunità comprendono sia accordi
commerciali, di associazione e di cooperazione stipulati con gruppi di Stati o con
paesi singoli, sia una molteplicità di strumenti di sviluppo a destinazione globale.
Tali sono il sistema preferenziale generalizzato - che garantisce ai paesi favoriti un
più facile accesso ai mercati dell'UE - gli aiuti alimentari, le misure di soccorso in
caso di calamità naturali e il sostegno finanziario ai paesi dell'Asia e dell'America
latina.
Le convenzioni di Lomé
La cooperazione nell'ambito delle convenzioni di Lomé rappresenta il nucleo
centrale della politica di sviluppo della Comunità. La prima convenzione di Lomé
fu firmata nel 1975 tra gli allora nove Stati membri e 46 paesi ACP. Essa
subentrava alla convenzione di Yaoundé. Nel dicembre 1989 i rappresentanti degli
Stati membri europei, diventati dodici, e 69 paesi in via di sviluppo sottoscrissero
la quarta convenzione (la Namibia si è aggiunta nel 1990). Lomé IV ha una durata
decennale (dal marzo 1990 fino a febbraio 2000), prevedendo la possibilità di
rinegoziare i termini dell'assistenza finanziaria nell'anno 1995. In pratica, il
capitolo sulla politica commerciale consente l'esportazione in esenzione da dazi
sul mercato UE del 99% di tutti i prodotti ACP. I prodotti sensibili, disciplinati
dalle norme applicate ai mercati agricoli della Comunità, sono ancora largamente
esclusi dal libero accesso al mercato comunitario. Al contrario, gli Stati ACP
possono applicare dazi sulle importazioni dall'UE sempre che ciò non risulti
discriminatorio rispetto ad altri paesi industrializzati.
Uno degli strumenti più importanti dell'accordo UE-ACP consiste nel Sistema di
stabilizzazione dei proventi delle esportazioni (Stabex), elaborato come parte della
cooperazione di Lomé. Oggi viene riconosciuto in tutto il mondo come un modello
di portata giuridica limitata, ma di efficacia pratica apprezzabile. Il sistema Stabex
si applica ad oltre 40 materie prime agricole e garantisce la compensazione dalle
casse di Bruxelles - al di sotto di una quotazione massima e in presenza di
particolari condizioni - nel caso di un ribasso dei proventi delle vendite. Un
sistema analogo è stato messo a disposizione dal 1987 anche dei più poveri paesi
dell'Asia e dell'America latina.
Altri capitoli della quarta convenzione di Lomé vertono sulla questione
dell'indebitamento, la protezione dell'ambiente e i diritti umani. Le risorse
finanziarie per il periodo 1990-1995 sono state aumentate da 9 miliardi di ecu,
nell'ambito di Lomé III, a 12,6 miliardi di ecu. Dopo una prolungata fase negoziale
(accompagnata da qualche meschina manovra negoziale da parte di alcuni Stati
membri) il Consiglio europeo di Cannes del 1995 ha approvato la dotazione di 13,3
miliardi di ecu per il FES per il periodo 1996-2000.
I risultati della cooperazione attuata fino ad oggi nell'ambito della convenzione di
Lomé sono tutt'altro che soddisfacenti: la quota dei paesi ACP nel volume
complessivo dell'interscambio UE è in continuo calo da anni. All'inizio degli anni
'90 era sceso al 4-5%, a fronte degli oltre 7 punti percentuali registrati prima del
1975; inoltre, da allora il prezzo delle materie prime è diminuito e l'indebitamento
dei paesi aderenti a Lomé è aumentato. Stando ad una relazione speciale redatta
dalla -> Corte dei conti europea nel luglio 1995, le quote Stabex annuali non sono
state sufficienti in nessuno dei primi tre anni dell'applicazione di Lomé IV. Tra il
1990 ed il 1992 si è potuto finanziare solo il 40,7% delle richieste legittime. La
situazione alimentare continua a destare grandi preoccupazioni. Nonostante i
risultati non siano completamente soddisfacenti - ed anche perché non
dispongono di alcuna alternativa realistica - gli stati ACP sono tuttora molto
interessati a proseguire la cooperazione nell'ambito della Convenzione di Lomé.
Conclusioni
La politica di sviluppo dell'UE alla metà degli anni '90 presenta le seguenti
caratteristiche: in primo luogo, la Comunità in quanto associazione transnazionale
privilegia il sostegno di progetti di integrazione regionale, quali i progetti volti alla
creazione di infrastrutture transfrontaliere. Dopo il 1990 l'Unione ha messo a
disposizione risorse più consistenti a favore degli aiuti umanitari, compresi taluni
aspetti degli aiuti alimentari della Comunità, aiuti a favore dei rifugiati, progetti di
risanamento in seguito a crisi e misure di prevenzione delle crisi. Tra il 1990 ed il
1994 i fondi erogati sono cresciuti costantemente, passando da 114 milioni di
ecu a 764 milioni di ecu. L'Ufficio europeo per gli aiuti umanitari (European
Community Humanitarian Office - ECHO) è stato istituito al fine di gestire
l'attuazione del programma dal punto di vista tecnico. Ad eccezione di piccole
concessioni fatte nell'ambito della convenzione di Lomé, l'Unione non ha finora
191
192
contribuito in modo significativo alla soluzione del problema dell'indebitamento.
Essa afferma di non disporre di competenze in materia.
Otto Schmuck
Procedure decisionali
Basi giuridiche: Articoli 137, 138 B, 141 e 142 CE (Parlamento europeo); articoli
145 e 148, da 150 a 152, 189 A del trattato CE (Consiglio); articoli 155, 189 A del
trattato CE (Commissione); articoli da 189 a 191 CE. Procedure speciali per le
decisioni in materia di politica estera e di sicurezza comune (PESC) e in materia di
giustizia e affari interni (GAI), agli articoli J e K del TUE.
Istituzioni interessate: Commissione europea, Parlamento europeo e Consiglio
dell'Unione europea. Queste istituzioni vengono assistite dal comitato economico
e sociale (CES) e dal comitato delle regioni (CdR), con funzioni consultive (articolo
4, paragrafo 2).
Decisioni: Gli atti della CE sono quelli elencati all'articolo 189. Le decisioni in
materia di bilancio (articolo 203 CE) e nei settori PESC e GAI (articoli J e K del
TUE) sono atti atipici.
Le decisioni della Comunità europea e dell'Unione europea vengono adottate in
base a procedure diverse, disciplinate da precise norme, che insieme determinano
il processo decisionale dell' Unione europea (UE). Al centro del processo
decisionale vi è la legislazione comunitaria, che di massima si articola in tre fasi:
iniziativa, consultazione e decisione (che è poi lo schema di base di ogni processo
legislativo). Di fatto il processo decisionale della CE si divide però in diverse
procedure, la cui struttura varia a seconda dell'argomento trattato (politica
comunitaria). Lo schema di base del procedimento legislativo prevede una stretta
cooperazione tra Commissione europea, -> Parlamento europeo (PE) e ->
Consiglio dell'Unione europea. La Commissione detiene il potere di iniziativa ed è
responsabile dei lavori preparatori; il Parlamento procede alla consultazione
pubblica sulla proposta, esprimendo le posizioni delle varie forze politiche
rappresentate al suo interno e formula pareri e risoluzioni. Sia il Consiglio che il
Parlamento possono a loro volta chiedere alla Commissione di elaborare proposte,
e in tal modo influire sul diritto di iniziativa della Commissione. Attualmente il
Consiglio detiene ancora il ruolo di legislatore di ultima istanza, ma il trattato
sull'Unione europea ha riconosciuto al Parlamento un potere legislativo parziale in
alcuni ambiti (procedura di codecisione ai sensi dell'articolo 189 B CE).
Nel procedimento di formazione degli atti comunitari le istituzioni sono vincolate
all'osservanza di un rigido sistema di prerogative. Questo sistema si fonda sul
193
194
principio della «attribuzione di competenze specifiche»; in pratica, ciò che
determina se le istituzioni abbiano la facoltà di agire in un determinato settore,
quali provvedimenti possano eventualmente prendere, quale forma giuridica
debbano assumere questi provvedimenti e quali norme procedurali vadano
rispettate, sono esclusivamente le disposizioni dei trattati, soprattutto del trattato
CE quale è stato modificato e completato dal trattato sull'Unione europea. Nel
quadro della -> politica estera e di sicurezza comune (PESC), nonché della
cooperazione in materia di -> giustizia e affari interni (GAI), il trattato sull'Unione
europea prevede procedure decisionali specifiche (articoli J e K).
I procedimenti di formazione degli atti comunitari
In virtù del trattato CE, la ripartizione delle competenze fra le tre istituzioni che
partecipano al processo legislativo prevede che tutti i provvedimenti legislativi di
base vengano adottati dal Consiglio, che per la sua composizione costituisce il
tramite politico con gli Stati membri; fin dalle origini, infatti, il consenso di questi
ultimi è stato indispensabile per permettere lo sviluppo della CE/UE.
Ai sensi dell'articolo 189 CE, la legislazione è formata soprattutto dai regolamenti
e dalle direttive («diritto comunitario derivato»). Il regolamento ha una portata
generale; esso è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in
ciascuno Stato membro. La direttiva vincola invece gli Stati membri cui è rivolta
solo per il risultato da raggiungere lasciando loro la scelta della forma e dei mezzi
di recepimento nella legislazione nazionale, entro un termine fissato. Ai sensi
dell'articolo 191 CE, gli atti comunitari entrano in vigore solo dopo la loro
pubblicazione nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee (GUCE), oppure
dopo la notifica ai loro destinatari.
Procedura di consultazione
In base alla procedura generale di consultazione, di norma la Commissione elabora
proposte legislative in virtù del proprio diritto di iniziativa (articoli 155, 190 CE),
sulle quali il Consiglio consulta il Parlamento (articoli 137, 190 CE) prima di
deliberare in ultima istanza (articolo 145 CE). Ai sensi degli articoli 152 e 138 B
CE, il Consiglio e il Parlamento possono anche chiedere alla Commissione di
elaborare proposte in determinati settori. Occorre distinguere tra la «consultazione
obbligatoria» e la «consultazione facoltativa» del Parlamento. Questa distinzione è
importante anche in ordine alle conseguenze giuridiche di un'eventuale omissione,
da parte del Consiglio, di consultazione del Parlamento. Nei casi in cui il trattato
la prescriva obbligatoriamente, la consultazione del Parlamento costituisce un
requisito formale inderogabile, pena la nullità dell'eventuale atto adottato dal
Consiglio, conformemente a una sentenza della->Corte di giustizia delle Comunità
europee (CGCE) del 1980.
La caratteristica essenziale della procedura di consultazione è che il Parlamento
procede a una sola lettura. In pratica, la procedura si articola come segue. La
proposta della Commissione viene presentata formalmente dal Consiglio al
Parlamento, affinché questo esprima il suo parere; il presidente del Parlamento
trasmette la proposta alla commissione competente ed, eventualmente, ad altre
commissioni che devono essere consultate. Le conclusioni delle commissioni
vengono presentate sotto forma di rapporto alla sessione plenaria, la quale può
adottarle tali e quali o chiedere delle modifiche. Il parere del Parlamento viene
trasmesso al Consiglio e alla Commissione, affinché quest'ultima possa
eventualmente modificare la propria proposta originaria nel senso auspicato dal
Parlamento. La Commissione e il Consiglio esaminano le proposte di emendamenti
del Parlamento ed esprimono la propria posizione in merito, perlopiù in modo
informale. Essi fanno sapere al Parlamento se intendano accogliere o respingere le
sue proposte di emendamenti. Al termine, il Consiglio adotta l'atto in questione
con la maggioranza e la ponderazione dei voti previste (articolo 148, paragrafo 2,
CE), ponendo termine in tal modo alla procedura.
Cosa significa «maggioranza qualificata» ?
In Consiglio i 15 governi degli Stati membri dell'UE dispongono complessivamente
di 87 voti, ripartiti in funzione della dimensione dei paesi. Nei casi in cui il trattato
CE prescrive la maggioranza qualificata, sono necessari almeno 62 degli 87 voti
(articolo 148 CE) per adottare una decisione. Se invece è sufficiente la
maggioranza semplice, devono votare a favore almeno 8 dei 15 Stati membri.
L'attuale ponderazione dei voti è la seguente:
Belgio
Danimarca
Germania
Grecia
Spagna
5
3
10
5
8
Francia
Irlanda
Italia
Lussemburgo
Paesi Bassi
10
3
10
2
5
Austria
Portogallo
Finlandia
Svezia
Regno Unito
4
5
3
4
10
Procedura di cooperazione Consiglio-Parlamento
Dal 1958 al 1987 quello ora descritto è stato il procedimento legislativo abituale
della Comunità. Per ambiti specifici, in particolare per atti connessi principalmente
con la realizzazione e il funzionamento del ->mercato interno (cfr. articolo 100 A
CE), dal 1 luglio 1987 è stata introdotta dall'Atto unico (-> trattati) una speciale
«procedura di cooperazione» tra Consiglio e Parlamento, con la partecipazione
della Commissione; questa procedura doveva garantire sia che le decisioni
venissero adottate dal Consiglio a maggioranza qualificata, sia che il Parlamento
venisse coinvolto maggiormente nel processo decisionale. La nuova procedura ha
reso necessarie ampie modifiche delle disposizioni del trattato e dal 1987, per le
decisioni relative al mercato interno, è richiesta una doppia lettura in Parlamento
e in Consiglio. Come avveniva già precedentemente, la Commissione presenta una
proposta, sulla quale il Parlamento deve pronunciarsi; il Consiglio esamina la
proposta in prima lettura ed elabora una -> «posizione comune» che, debitamente
motivata, viene sottoposta al Parlamento. Il Parlamento ha tre mesi di tempo per
approvare il progetto del Consiglio, respingerlo o proporre emendamenti; negli
ultimi due casi è necessaria la maggioranza assoluta dei membri del Parlamento.
195
196
Qualora quest'ultimo formuli proposte di emendamenti, spetta alla Commissione
avviare la fase successiva del procedimento (termine: un mese). Esistono allora due
possibilità. Nel primo caso, la Commissione accoglie gli emendamenti del
Parlamento e allora il Consiglio può adottare il provvedimento in seconda lettura a
maggioranza qualificata, nel testo modificato dal Parlamento. Se però il Consiglio
vuole discostarsi dalla proposta modificata, la sua decisione deve essere presa
all'unanimità. Se non riesce a raggiungere l'unanimità, il Consiglio deve accettare le
proposte del Parlamento, se non vuole esporsi a un ricorso per carenza (termine per
l'adozione di una decisione: tre mesi). Nella seconda ipotesi, qualora cioè la
Commissione non accolga gli emendamenti del Parlamento, vige sempre la norma
(d'applicazione anche al di fuori di questa procedura) in base alla quale il Consiglio
può approvare la proposta della Commissione a maggioranza qualificata, oppure
discostarsene solo all'unanimità; anche per adottare eventuali emendamenti del
Parlamento non accolti dalla Commissione oppure una proposta respinta dal
Parlamento, il Consiglio deve deliberare all'unanimità.
Affinché il Parlamento possa svolgere appieno il proprio ruolo nel quadro della
procedura di cooperazione, occorre che il Consiglio decida effettivamente - come
previsto dal trattato - a maggioranza qualificata. Ciò implica, in particolare, che
non venga invocato il cosiddetto «compromesso di Lussemburgo», del 29 gennaio
1966, che di fatto permette agli Stati membri, in nome della difesa di interessi
vitali, di opporsi a una decisione a maggioranza e di esigere che le decisioni
vengano prese all'unanimità.
Procedura di codecisione
Con l'articolo 189 B del trattato CE è stato introdotto un nuovo modo per
coinvolgere il Parlamento europeo nel procedimento legislativo comunitario,
conferendogli un diritto di codecisione in determinati settori; questa procedura di
codecisione permette tra l'altro una terza lettura in Parlamento. La nuova
procedura è entrata in vigore il 1 novembre 1993. Essa ricalca la «procedura di
cooperazione», ma contiene due innovazioni. In primo luogo, in caso di divergenza
tra Consiglio e Parlamento, viene convocato un comitato di conciliazione; in
secondo luogo, qualora il comitato di conciliazione non riesca a raggiungere
un'intesa, il Parlamento ha il diritto di respingere la proposta a maggioranza
assoluta dei membri che lo compongono. In tal modo, non è possibile adottare
alcun provvedimento contro il volere del Parlamento. La rilevanza della procedura di
codecisione risulta evidente dai settori nei quali essa è obbligatoria per varare un
atto legislativo: cultura, istruzione, sanità, protezione dei consumatori, reti
transeuropee, ricerca e tecnologia, nonché tutela ambientale.
Procedura di codecisione, ai sensi dell'articolo 189b CE
Proposta della Commissione
Parere del Parlamento (prima lettura)
Posizione comune del Consiglio a maggioranza qualificata (prima lettura)
Parlamento (seconda lettura)
Approvazione
Il PE non si pronuncia
Adozione entro un
termine di 3 mesi
Il Consiglio convoca il comitato di
conciliazione
Il PE propone
emendamenti a proposta a
maggioranza assoluta
Il Consiglio accoglie gli emendamenti (entro 3 mesi)
a maggioranza
qualificata (con l'accordo
della Commissione)
Adozione dell'atto
Il PE annuncia la reiezione a
maggioranza assoluta
Il Consiglio non accoglie gli emendamenti
Convocazione del Convocazione del
da parte dei presidenti
del Consiglio e del PE
all'unanimità (se la
Commissione non è
d'accordo)
Il comitato di conciliazione
raggiunge un'intesa a maggioranza
qualificata dei rappresentanti del
Consiglio e a maggioranza dei
rappresentanti del PE
Adozione dell'atto
Il comitato di conciliazione non
riesce a raggiungere un'intesa
Il Consiglio conferma
entro sei settimane la
posizione comune in prima
lettura a maggioranza qualificata
Il PE respinge la
proposta a maggioranza assoluta:
l'atto non viene adottato
Il Consiglio adotta
l'atto (a maggioranza
qualificata)
Il PE respinge
il testo entro 6 settimane
(a maggioranza assoluta)
Il PE respinge
il testo
Reiezione dell'atto
Adozione dell'atto
Il PE adotta l'atto
(a maggioranza
assoluta)
(entrambi devono approvare il
testo entro 6 settimane)
Adozione dell'atto
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198
Parere conforme
Questa procedura trova applicazione soprattutto per l'adozione di cosiddetti atti
«costituzionali», che definiscono l'identità e la struttura della CE/UE. Oltre agli
accordi di adesione e di associazione, per i quali questa procedura era prevista fin
dal 1987, il «parere conforme» del Parlamento attualmente è necessario anche per
l'adozione di importanti accordi internazionali e per la fissazione di una procedura
uniforme per l'elezione del Parlamento stesso. Senza il parere conforme (l'assenso)
del Parlamento, le decisioni del Consiglio sono prive di efficacia.
Procedure speciali
Oltre alla procedura legislativa ordinaria e alle procedure di cooperazione, di
codecisione e di parere conforme, il trattato CE prevede anche altre procedure
speciali per l'adozione di atti legislativi che trovano applicazioni in particolare per
l'elaborazione del bilancio, la conclusione di accordi internazionali, la decisione
sulle elezioni del Parlamento europeo, le disposizioni finanziarie che disciplinano le
risorse proprie della Comunità e per la revisione dei trattati. Altri atti speciali sono
i regolamenti interni delle istituzioni dell'Unione, che ciascuna di esse adotta
autonomamente per disciplinare il proprio funzionamento. Neppure le decisioni
nel quadro della PESC e quelle adottate in conformità degli articoli J e K del TUE
costituiscono provvedimenti legislativi ai sensi del trattato CE.
Nuove riforme
Se le procedure qui esaminate vengono criticate perché troppo complesse, non
meno criticato è il fatto che il Parlamento europeo non partecipi in modo
sufficientemente incisivo al processo legislativo e si contesta anche la legittimità
delle decisioni del Consiglio. Per questo si spera soprattutto che la -> conferenza
intergovernativa in corso per la revisione del trattato di Maastricht permetterà di
democratizzare il processo legislativo mediante un coinvolgimento più attivo del
Parlamento, nonché di razionalizzare e semplificare le procedure decisionali. Al
riguardo si prevede tra l'altro che, in base alla cosiddetta «clausola evolutiva»
(articolo 189 B, paragrafo 8, CE), anche il campo d'applicazione della procedura di
codecisione praticata dal 1993 possa essere ampliato. Uno dei compiti prioritari
fondamentali per dare all'Unione europea un nuovo assetto costituzionale, che
nella prospettiva del futuro approfondimento e -> ampliamento dell'Unione
diventa sempre più necessario, è appunto una riforma in profondità del processo
decisionale.
Thomas Läufer
http://europa.eu.int/pol/ext/en/info.htm
Relazioni esterne
Base giuridica: Articoli 3 b), q), r); 9, da 18 a 29, 110, 113, 115; 130 U - Y; da 131
a 136 A; 228, da 228 a A-231, 238 del trattato CE; articolo O del TUE.
Obiettivi: Definizione e attuazione di una politica commerciale estera comune
fondata su una tariffa doganale comune nei confronti degli Stati terzi; tutela degli
interessi comuni di politica estera nelle relazioni commerciali internazionali;
progressiva liberalizzazione dell'economia internazionale; sviluppo di strette
relazioni nel settore della politica economica e commerciale nei confronti di
particolari gruppi di Stati o singoli Stati; promozione dello sviluppo nel terzo
mondo attraverso la cooperazione commerciale ed economica.
Nel linguaggio corrente dell'->Unione europea (UE), per relazioni esterne si
intendono quelle relazioni che l'UE intrattiene con i paesi terzi e le organizzazioni
internazionali nel settore economico e commerciale. Nonostante il grande rilievo
che assumono nel quadro della politica estera, esse vanno tuttavia distinte, dal
punto di vista del contenuto e sotto il profilo giuridico, dalla -> politica estera e di
sicurezza comune (PESC), che ha per oggetto le relazioni di natura strettamente
politica tra l'Unione europea ed i paesi terzi e le organizzazioni internazionali. Le
relazioni esterne, i cui principali elementi sono costituiti dalla politica
commerciale comune, la politica di associazione e la -> politica di sviluppo,
formano, assieme alla PESC, la base della politica estera europea. Esse si fondano
sulla tariffa doganale comune dell'UE, la competenza esterna attribuita alle
istituzioni dell'UE, le procedure stabilite dai trattati, un esteso corpus di norme
comunitarie derivate ed una rete sempre più ampia di accordi bilaterali e
multilaterali sottoscritti con i paesi terzi.
Origine e fondamenti giuridici
Il mercato comune ( -> mercato unico) dell'UE e l'unione doganale che la circonda
non sarebbero potuti sopravvivere senza norme uniformi di importazione e di
esportazione ed una tutela comune degli interessi nei confronti dei paesi terzi. I
sei paesi fondatori delle Comunità europee furono pertanto indotti ad attribuire,
già nei trattati istitutivi, alle istituzioni CE competenze che consentissero di dare
una struttura unitaria alle relazioni instaurate nell'ambito del commercio estero, a
differenza delle relazioni attinenti alla sfera della politica estera, che rimase un
settore soggetto alla sovranità degli Stati membri. Tale decisione fondamentale
era stata adottata in vista dell'obiettivo di sviluppare una politica commerciale
199
200
comune (articolo 113 del trattato CE) che, secondo il disposto del trattato, doveva
diventare di esclusiva competenza della Comunità dopo il periodo transitorio,
terminato nel 1970.
Inoltre, la Comunità può anche concludere accordi con paesi terzi in altri settori in
cui non è espressamente prevista la sua competenza esterna, qualora le sia
attribuita la competenza di regolamentare tali settori sul piano interno, come
avviene nel quadro della -> pesca o della -> ricerca e tecnologia. I cosiddetti
«poteri impliciti» sono stati riconosciuti nella sentenza AETR del 1971 dalla ->
Corte di giustizia europea e costituiscono una importante integrazione della base
giuridica che disciplina le relazioni esterne. Tuttavia, c'è sempre stato disaccordo
sulla suddivisione delle competenze tra l'UE e gli Stati membri ed il problema è
stato spesso, e viene tuttora, risolto coinvolgendo negli accordi internazionali non
solo la Comunità ma anche gli Stati membri (cosiddetti «accordi misti»). Per lo
sviluppo delle relazioni esterne riveste grande importanza il fatto che la Comunità
sia rappresentata da delegazioni della -> Commissione europea in gran parte dei
paesi terzi e delle organizzazioni internazionali e che quasi tutti i paesi
dispongano di rappresentanze diplomatiche presso l'UE a Bruxelles.
All'interno dei molteplici settori che rientrano nelle relazioni esterne, la politica
commerciale comune mantiene tuttora un ruolo centrale, non solo perché è di
gran lunga la politica estera più integrata ma anche per il suo particolare
significato politico, in quanto riflesso esterno del mercato unico ed orientamento
politico della maggiore potenza commerciale del mondo.
Politica commerciale autonoma
La politica commerciale autonoma comprende tutte le misure dell'Unione relative
alle esportazioni ed importazioni di merci, adottate non nell'ambito degli obblighi
verso i paesi terzi imposti dal trattato, ma autonomamente. Si tratta di norme
comuni in materia di esportazione e di importazione, misure anti-dumping, misure
contro sovvenzioni o pratiche commerciali illegali nonché contingentamenti e
divieti commerciali motivati da questioni di politica estera (embarghi, sanzioni
commerciali). Le misure autonome sono particolarmente importanti per la
protezione dell'economia comunitaria dai possibili danni derivanti dalle
importazioni da paesi terzi. A tale proposito si possono distinguere quattro gruppi
di misure:
1) Misure antidumping, sotto forma di dazi antidumping temporanei, possono
essere adottate dalla Commissione su richiesta dell'industria comunitaria
interessata, previa consultazione degli Stati membri ed esame della
Commissione. Esse possono venire successivamente trasformate in dazi
antidumping definitivi dal -> Consiglio che delibera a maggioranza semplice.
Il presupposto necessario, lo stesso che vale per tutte le misure di protezione,
è la determinazione di un danno (già esistente o imminente) all'industria
interessata.
2) Misure antisovvenzioni, che sono dirette - contrariamente alle misure
antidumping - non contro pratiche commerciali illecite commesse da settori
industriali stranieri, bensì contro le esportazioni sovvenzionate dai paesi terzi
e dirette verso la Comunità. La procedura è analoga a quella applicata nel
caso delle misure antidumping e può portare all'introduzione di diritti
temporanei o definitivi di compensazione sui prodotti in questione. Le misure
antisovvenzione e antidumping sono conformi alle pratiche ammesse dal
GATT.
3)
Misure relative alla «clausola di salvaguardia», possono essere adottate
quando sussistano «gravi danni» per una industria della Comunità causati da
un sostanziale aumento delle importazioni da un paese terzo con conseguente
considerevole abbassamento dei prezzi. Esse prendono la forma di controlli e
contingentamenti all'importazione. A causa delle norme molto restrittive
imposte dal GATT in tale settore, la Comunità si è avvalsa molto limitatamente
di tale opzione fino ad oggi.
4) Dal 1984, la Comunità dispone anche del «nuovo strumento di politica
commerciale» che le permette di reagire in modo relativamente veloce alla
pratiche commerciali illecite adottate da paesi terzi a danno delle merci
provenienti dalla Comunità. Tale strumento prevede che dapprima si
applichino le procedure di consultazione e conciliazione internazionale, ma
che in una fase successiva si possano anche adottare misure più severe quali
la sospensione delle concessioni commerciali, l'aumento dei diritti doganali
sulle importazioni dai paesi interessati e restrizioni quantitative. Una forma
particolare di politica commerciale autonoma è rappresentata dalle sanzioni
commerciali motivate da questioni di politica estera, quali l'embargo
commerciale imposto all'Iraq e alla Bosnia. Le sanzioni di tale tipo possono, in
virtù dell'articolo 228 A del trattato CE, essere deliberate dal Consiglio a
maggioranza qualificata su proposta della Commissione nell'ambito della
PESC.
Una base fondamentale per la politica commerciale, sia autonoma sia prevista
dal trattato, si trova nella tariffa doganale comune, disciplinata agli articoli 9
e da 18 a 29 del trattato CE, che consente alla Comunità di applicare dazi
esterni comuni nei confronti degli Stati terzi. Su proposta della Commissione,
il Consiglio può decidere in qualsiasi momento autonome modifiche alla
Tariffa doganale comune.
201
L’EUROPA DALLA A ALLA Z
202
Bilancia commerciale
Percentuale sugli scambi mondiali (esclusi gli scambi intra-UE)
Valori in miliardi di ecu - 1995
Principali fonti delle importazioni UE
Mondo
48,2
Principali destinazioni delle esportazioni UE
Mondo
45,8
EUR 15
18,5
EUR 15
20,2
USA
20,0
Russia
1,2
Cina
3,4
Giappone
8,7
USA
15,9
Russia Cina
2,1
4,0
Giappone
12,0
La politica commerciale prevista dal trattato
La politica commerciale prevista dal trattato copre tutti gli accordi UE con i paesi
terzi relativi ad importazione ed esportazioni di merci. Tali accordi possono essere
limitati a particolari paesi terzi o gruppi di paesi terzi, oppure possono avere
dimensione globale, come è avvenuto nella recente tornata di negoziati conclusi
nell'ambito del GATT (l'Uruguay Round) nel dicembre 1993.
Nel campo della politica commerciale prevista dal trattato, la Commissione ha il
monopolio non soltanto sulle proposte, ma anche sui negoziati, che sono tuttavia
soggetti a stretto controllo da parte degli Stati membri per il tramite del Consiglio,
il quale non le consente molto spazio di manovra. Nel corso delle trattative, alle
quali gli Stati membri assistono sempre attraverso propri osservatori, la
Commissione deve attenersi alle dettagliate istruzioni ricevute dal Consiglio
(cosidetto «mandato di negoziazione») e deve riferire costantemente sul progresso
e sui problemi delle trattative dinnanzi ad un comitato speciale designato dal
Consiglio (articolo 113, paragrafo 3, del trattato CE). Gli accordi sono quindi
conclusi («ratificati») dal Consiglio su proposta della Commissione. Mentre il ->
Parlamento europeo deve essere consultato in caso di altri accordi, in conformità
della uniforme procedura di conclusione dei trattati prevista dall'articolo 228 del
trattato CE (e gli accordi di associazione e taluni altri importanti accordi devono
persino avere la sua approvazione) per quanto riguarda gli accordi conclusi
nell'ambito della politica commerciale comune, il Consiglio non è neppure tenuto
a consultare il Parlamento. Tale istituzione viene tuttavia tenuta al corrente, per il
tramite dei suoi comitati competenti, sull'andamento delle trattative e sul
contenuto degli accordi.
La Comunità ha concluso una varietà di accordi commerciali con i paesi terzi.
Alcuni di essi si estendono all'intero settore delle relazioni commerciali, molti altri
sono limitati a determinati prodotti o categorie di prodotti. Importanti elementi,
dal punto di vista del contenuto, sono ad esempio le autolimitazioni degli Stati
terzi nelle importazioni della Comunità ed il mantenimento dei sistemi
preferenziali con la Comunità. Negli ultimi dieci anni, la Comunità si è
ampiamente avvalsa delle possibilità offertele dalla politica commerciale comune
al fine di sviluppare ed integrare meglio lo spazio economico limitrofo, vale a dire i
paesi dell'Europa centrale ed orientale e quelli che si affacciano sul Mediterraneo.
Di particolare importanza per la politica commerciale basata sul trattato sono
state le successive grandi tornate dei negoziati GATT tenutisi a partire dagli anni
60. Sebbene la Comunità non sia formalmente una parte contraente del GATT o
dell'organizzazione che le è subentrata, l'Organizzazione mondiale del commercio
(World Trade Organization - WTO), essa rappresenta gli Stati membri in veste di
negoziatore. Nell'Uruguay Round, la Comunità è intervenuta con successo a
sostegno di ulteriori importati riduzioni dei diritti di importazione, l'introduzione
dei servizi nel sistema commerciale internazionale, standard minimi di protezione
della proprietà intellettuale, una più precisa definizione del meccanismo
regolatore del GATT e la revisione delle procedure di conciliazione nelle
controversie commerciali. Per contro ha dovuto fare delle concessioni soprattutto
in relazione alla -> politica agricola, dovendo accettare sostanziali tagli dei
rimborsi alle esportazioni, alle esportazioni sovvenzionate ed al livello interno di
sostengo, così come nel settore dei tessili, dovendo aderire ad una graduale
eliminazione delle quote concesse nell'ambito dell'accordo sul commercio
internazionale dei tessili conclusosi nel 1994, per la protezione dell'industria
tessile e dell'abbigliamento europea. Permangono tuttora problemi non risolti,
soprattutto nell'area dei servizi e dell'acciaio, nei quali vi è ancora sufficiente
potenziale di conflitto tra la Comunità e gli USA.
Nuove iniziative nelle relazioni con gli Stati Uniti ed i paesi
asiatici
Sia gli USA, in quanto principale partner commerciale della Comunità, che svolge
un ruolo chiave nel sistema economico mondiale, sia le economie politiche in
rapida evoluzione degli Stati industrializzati dell'Asia, in quanto nuovi mercati in
espansione e potenze commerciali con un enorme potenziale di sviluppo, rivestono
importanza capitale per la politica economica estera della Comunità. In entrambi i
casi la Comunità ha recentemente adottato nuove e rilevanti iniziative.
Nel dicembre del 1995 la Comunità e gli USA si sono accordati su una «agenda
transatlantica» comune, che prevede, accanto ad una più intensa cooperazione
politica ed una collaborazione rafforzata nell'attuazione dei risultati dell'Uruguay
Round, la realizzazione graduale di un «mercato transatlantico» attraverso
l'eliminazione delle esistenti barriere commerciali bilaterali, nonché lo sviluppo di
un «dialogo» di largo respiro tra i settori privati delle due parti. È già stata
203
204
ampliata la collaborazione in vista dell'eliminazione degli impedimenti
commerciali di natura tecnica e dell'armonizzazione delle condizioni di
ammissione dei prodotti, ed il «transatlantic business dialog» ha già portato alle
prime raccomandazioni concrete rivolte ai governi nel settore dell'armonizzazione
delle regole di concorrenza e degli standard di produzione. Una attuazione efficace
dell'«agenda» riveste importanza anche, e non da ultimo, nel rapporto con gli USA
spesso ancora oscurato da controversie di politica commerciale.
In occasione del vertice di Essen nel dicembre 1994, il -> Consiglio europeo ha
varato la «nuova strategia asiatica», mirante a realizzare un considerevole sviluppo
delle relazioni verso gli Stati asiatici nel commercio e nella cooperazione
industriale, così come della collaborazione nei settori della promozione degli
investimenti, cooperazioni tra imprese, ricerca e sviluppo, sia su base bilaterale
che in una più ampia prospettiva regionale. A tale proposito, in occasione del
primo «vertice euro-asiatico» che si è tenuto a Bangkok all'inizio di marzo del
1996 sono stati conseguiti i primi importanti progressi: la Comunità ed i dieci
paesi asiatici di maggiore peso economico hanno individuato in questa occasione
nell'avvio dell'economia di mercato, la liberalizzazione commerciale non
discriminatoria e forme di cooperazione regionale aperte la base di un solido
partenariato euro-asiatico ed hanno deciso di avviare consultazioni nel quadro
dell'Organizzazione mondiale del commercio, nonché concreti programmi di
azione nei settori quali la promozione degli investimenti e la semplificazione delle
procedure doganali.
Valutazione
Dalla sua istituzione, la Comunità è riuscita a creare, nell'ambito delle relazioni
esterne, una vasta gamma di strumenti di politica economica estera ed una fitta
rete di accordi a livello globale. I recenti negoziati del GATT hanno nuovamente
dimostrato che essa, assieme agli USA, svolge un ruolo chiave nelle relazioni
economiche internazionali, non paragonabile a nessuna altra potenza economica,
neppure al Giappone. Essa dispone di uno straordinario potenziale nella politica
mondiale, che a causa della sua politica estera ancora embrionale (la politica
estera e di sicurezza comune) se confrontata alle relazioni economiche esterne è
stato ed è utilizzato in modo del tutto insufficiente. A più lungo termine anche le
relazioni economiche esterne dovranno essere ricondotte nell'ambito di una
efficiente politica estera comune affinché possano essere stabilizzate e sviluppate.
In mancanza di tale politica comune, tuttavia, le relazioni economiche esterne ed
il loro nucleo centrale, la politica commerciale comune, dovranno colmare per
quanto possibile questo vuoto e continuare a consolidare e sviluppare la posizione
dell'Unione europea nelle relazioni internazionali attraverso il perfezionamento dei
suoi strumenti, in sintonia con la dinamica delle relazioni economiche
internazionali, e attraverso nuovi e più intensi accordi.
Jörg Monar
http://europa.eu.int/pol/rd/en/info.htm
Ricerca e tecnologia
Base giuridica: Articolo 55 del trattato CECA, articolo 2, lettera a) e articoli da 4 a
11 del trattato Euratom, articolo 41, lettera a) e articolo 130, da F) a P) del
trattato CE.
Obiettivi: Migliorare la competitività industriale e tecnologica dell'industria
europea, segnatamente per quanto concerne le tecnologie del futuro. A tal fine è
necessario in primo luogo pervenire ad un accordo sugli obiettivi comuni di ricerca
e sviluppo. Per promuovere lo sviluppo mirato dell'economia dell'Unione europea,
la politica in materia di ricerca e tecnologia dovrà essere meglio concentrata e
coordinata. A lungo termine tale politica deve orientarsi anche in funzione degli
obiettivi del libro bianco «Crescita, competitività ed occupazione», pubblicato nel
1993.
Strumenti: «Quarto programma quadro di azioni di ricerca, di sviluppo tecnologico
e di dimostrazione»; Centro comune di ricerca; programmi di ricerca specifici della
Commissione europea; Eureka.
Bilancio: Il «Quarto programma quadro di azioni di ricerca, di sviluppo economico
e di dimostrazione» dispone per il periodo 1994-1998 di una dotazione
complessiva di 12, miliardi di ecu, cui va aggiunta una riserva di 1 miliardo di
ecu.
Fin dal 1993 la Commissione europea dà priorità assoluta alla ricerca ed allo
sviluppo tecnologico. Per ovviare all'inferiorità tecnologica nei confronti della
concorrenza americana ed asiatica, appare indispensabile un severo impegno di
ricerca, al fine di mantenere la competitività a livello internazionale. Le carenze
ormai manifeste delle imprese europee sul mercato mondiale concernono non solo
i settori tradizionali ma anche - e particolarmente - quelli di punta. Le attività
dell'Unione europea si situano in un contesto di crescita debole e di problemi
occupazionali a carattere strutturale, aggravatisi all'inizio degli anni 90 a causa
della recessione che ha colpito tutta l'Europa. La situazione richiede interventi
urgenti. Il quadro formale di una nuova politica della ricerca e della tecnologia è
costituito dall'Atto unico del 1986 e dal trattato sull'Unione europea che, negli
articoli da 130 F a 130 P del trattato che istituisce la Comunità europea, si
propone l'obiettivo di rafforzare le basi scientifiche e tecnologiche dell'industria
europea. La Commissione europea e gli Stati membri, di conseguenza, intendono
205
206
provvedere affinché il potenziale industriale sia meglio sfruttato. La reazione
concreta della Commissione nei confronti della situazione economica è stata la
pubblicazione, alla fine del 1993, del libro bianco «Crescita, competitività,
occupazione», che intende fornire una base alle riflessioni in materia,
contribuendo contemporaneamente al processo decisionale a livello
decentralizzato, nazionale e comunitario, che dovrà consentire di porre le basi per
lo sviluppo delle economie dei paesi europei, rendendole atte ad affrontare le sfide
della concorrenza internazionale e creando i milioni di posti di lavoro che sono
necessari. In tale contesto il libro bianco cita anche i settori della ricerca e dello
sviluppo tecnologico (R&S), nonché delle telecomunicazioni, destinati ad assumere
una sempre maggiore importanza, che dovranno essere notevolmente sviluppati al
fine di migliorare la competitività dell'industria. La strategia della Commissione in
materia è illustrata nel «Quarto programma quadro per la ricerca, lo sviluppo
tecnologico, la dimostrazione» (1994-1998), adottato nel dicembre 1993 dal
Consiglio europeo e dal Parlamento europeo e dotato, per il periodo in questione,
di stanziamenti di un importo pari a 12,3 miliardi di ecu, cui va aggiunta la riserva
di 1 miliardo di ecu. In complemento al Terzo programma quadro (1990-1994), la
cui dotazione era già stata aumentata nel dicembre 1992, passando da 5,7 a 6,6
miliardi di ecu, attualmente i fondi disponibili per la ricerca sono pertanto
nettamente superiori.
Sviluppo
Con l'istituzione della Comunità economica europea (CEE) e della Comunità
europea dell'energia atomica (CEEA), la politica della ricerca e della tecnologia è
stata elevata al livello di politica comunitaria, con effetti particolarmente evidenti
nel settore della politica europea dell’ -> energia atomica, intesa a creare
un'industria atomica autonoma e competitiva sul piano internazionale, grazie alla
ricerca ed alla regolazione dell'approvvigionamento dell'uranio. A tal fine sono
stati creati il Centro comune di ricerca (CCR) e l'agenzia di approvvigionamento
dell'Euratom. In occasione del vertice dell'Aia del 1969, i capi di Stato e di governo
decisero di ampliare la politica della ricerca e della tecnologia, per ovviare alle
insufficienze concorrenziali in campo tecnologico ed alla dipendenza. Fondandosi
sull'articolo 235 del trattato CE, nel 1974 la Comunità europea lanciò programmi
di ricerca a compartecipazione finanziaria fra i centri di ricerca e le imprese.
L'adozione, nel 1984, del programma Esprit (European Strategie Programme for
Research and Information Technologies), inteso a promuovere sistematicamente la
ricerca fondamentale nel settore dell'elettronica, rappresentò un salto qualitativo
della politica europea della tecnologia. La ricerca e lo sviluppo tecnologico
assunsero sempre maggiore importanza negli anni 80, in seguito all'accelerazione
del progresso tecnico ed all'inasprimento della concorrenza mondiale nel settore
della tecnologia. Nel contesto della creazione del -> mercato interno, è andata
sempre più delineandosi l'idea di una «Comunità europea della tecnologia».
Nonostante le divergenze, in alcuni casi moto nette, tra la Commissione delle
comunità europee ed alcuni Stati membri, tradottesi, da un lato, nello sviluppo di
azioni comunitarie a livello della CE, dall'altro nella creazione di Eureka,
un'iniziativa tecnologica sostenuta in gran parte dal settore privato e dagli Stati
membri, a titolo individuale, la politica della tecnologica è diventata parte
integrante del diritto comunitario già nel 1986, con l'Atto unico europeo, poi
nuovamente nel 1993, con il trattato di Maastricht (trattato sull'Unione europea).
Nuovi obiettivi
Definendo nuovi obiettivi nel quarto programma quadro e nel -> libro bianco
«Crescita, competitività, occupazione», la Commissione europea ha raccolto, più
energicamente di quanto avesse fatto in passato, la sfida dello sviluppo
tecnologico internazionale. Il Quarto programma quadro in particolare è destinato
ad ovviare alle carenze manifeste della ricerca europea che, a parere della
Commissione europea, sono dovute all'insufficienza dei fondi ed all'insufficiente
coordinazione. I settori delle telecomunicazioni, dell'informazione e delle nuove
tecnologie sono cruciali per il futuro economico dell'Europa e la Commissione ha
dimostrato di considerarli prioritari mediante varie iniziative, programmi e
contributi finanziari. Per migliorare la competitività delle imprese europee, e
garantire la crescita economica e l'incremento occupazionale, la Commissione, nel
suo libro bianco, ha proposto la creazione di reti transeuropee non solo per i
trasporti e l'energia ma anche per le telecomunicazioni e l'informazione. Grazie a
fondamentali innovazioni, la rete transeuropea di comunicazione dovrà aprire
nuovi mercati. L'obiettivo finale è la creazione di uno «spazio comune
dell'informazione», conditio sine qua non per il nuovo mercato interno europeo.
Bilancio
Di fronte alla drammatica sfida lanciata all'efficienza europea dal rapido sviluppo
tecnologico, dalla concorrenza internazionale nel settore della tecnologia e
dall'insufficiente competitività europea, è ormai necessario riorientare l'azione
comunitaria. La politica in materia di ricerca e tecnologia può contribuire ad
ovviare alle lacune tecnologiche manifestate dall'Europa. Si dovrà evitare di
ricadere negli errori del passato, come l'incompleta realizzazione del programma
JESSI, inteso a promuovere un'industria europea dei semiconduttori o il fallimento
dell'iniziativa a favore della HDTV (Televisione ad alta definizione), mentre
bisognerà promuovere la partecipazione delle piccole e medie imprese.
Va inoltre sottolineato che nella prospettiva di un'economia comune, una valida
politica della ricerca e della tecnologia dovrà essere sostenuta da adeguate
iniziative politiche in altri settori: la politica della concorrenza, dell'industria, del
mercato del lavoro e la politica regolamentare. Il coordinamento dei provvedimenti
in tali settori, peraltro, si presenta spinoso. Le maggiori divergenze politiche si
manifestano nel fatto che le iniziative nel campo della politica della ricerca e della
tecnologia, che sono state censurate come «dirigistiche», possono rivelarsi
incompatibili con le convinzioni di alcuni in materia di politica regolamentare e
concorrenziale. Le polemiche ormai decennali fra i fautori dell'economia di
mercato ed i «dirigisti» minacciano di soffocare la necessaria modernizzazione
comunitaria in una guerra delle sovvenzioni; i risultati sono disorientamento ed
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208
inerzia. È pertanto necessario sviluppare una strategia che consolidi i punti forti
dell'Europa in materia di tecnologia, grazie ad un impegno comunitario che
combini i mezzi politici necessari, corredandoli di strumenti efficaci e coordinati.
Jürgen Turek
Sanità
Base giuridica: Articolo 129 del trattato CE.
Obiettivi: Tutela della salute; sicurezza attraverso la prevenzione e l'igiene sul
luogo di lavoro
Bilancio: Lotta contro il cancro 12 milioni di ecu, lotta contro l'AIDS 9,4 milioni di
ecu, tutela della salute sul luogo di lavoro 10,5 milioni di ecu, iniziative contro i
danni ambientali e in favore della salute pubblica 12,5 milioni di ecu, lotta contro
la tossicodipendenza 6,5 milioni di ecu nel 1996.
In occasione del vertice di Maastricht i capi di Stato e di governo della CE, per il
tramite del trattato sull'Unione europea (TUE), hanno deciso di assicurare un «alto
livello di protezione della salute» nei paesi della Comunità. L'obiettivo dichiarato è
studiare, prevenire e combattere le malattie più gravi e diffuse, compresa la
tossicodipendenza. Gli Stati membri coordinano le loro politiche e i loro
programmi in questi settori previa intesa con la Commissione europea. Per dare
attuazione alla politica sanitaria, il -> Consiglio dell'Unione europea, deliberando
a maggioranza qualificata, adotta raccomandazioni o misure di incentivazione,
secondo -> le procedure decisionali di cui all'articolo 189 B del trattato CE.
Tuttavia la competenza legislativa vera e propria è riservata agli Stati membri.
Nei trattati istitutivi della Comunità economica europea (CEE) non è
espressamente prevista una politica sanitaria comune. Nel 1987, l'Atto unico
europeo (AUE) segnò l'ingresso nel trattato CEE della cooperazione a livello
comunitario per la protezione della salute e l'armonizzazione delle prescrizioni
minime sull'ambiente di lavoro (articoli 100 A e 118 A del trattato CEE). Solo con
il TUE la sanità pubblica - sotto il Titolo X - ha ottenuto lo status di settore
autonomo della politica comunitaria. Le azioni comuni nel campo della sanità
pubblica prevedono una vasta opera di educazione e formazione, base
indispensabile per la promozione della salute pubblica. Ulteriori settori attinenti
alla protezione della salute pubblica sono regolamentati nell'ambito della ->
politica ambientale (articolo 130 R del trattato CE) e della -> politica di
protezione dei consumatori (articolo 129 A del trattato CE).
209
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Programmi d'azione specifici
«L'Europa contro il cancro»: così era intitolata la prima iniziativa a lunga scadenza
cui diedero vita nel 1985 i capi di Stato e di governo della CE. Dal 1987 la
Commissione ha iniziato ad elaborare una serie di programmi d'azione specifici,
poi costantemente rinnovati. Tra questi, la promozione a livello europeo della
ricerca e della formazione nonché una politica d'informazione a vasto raggio sulla
riduzione dei rischi cancerogeni. «L'Europa contro l'AIDS» è un altro programma
della CE, che dal 1991 si rivolge contemporaneamente alle vittime di questa
terribile malattia e alle persone sane. Per rendere più efficace la lotta contro l'AIDS
i ministri hanno deciso di creare un sistema di scambio di dati ed esperienze a
livello dell'Unione. Il più recente piano d'azione contro l'AIDS copre il periodo
1995-1999.
Gli Stati membri hanno deciso di fare fronte comune anche nella lotta alla
tossicodipendenza. Essendo questo flagello espressamente nominato dall'articolo
129 del trattato CE, nel 1995 la Commissione ha elaborato un primo piano
d'azione, che sarà realizzato di qui al 2000. Visti i molteplici aspetti della
questione droga, anche in questo settore la politica punta sulla prevenzione e sullo
scambio d'informazioni, esperienze e metodi sperimentati, nonché sulla raccolta di
dati a livello comunitario. Inoltre vengono promosse le iniziative di consulenza,
riabilitazione e reinserimento sociale dei tossicodipendenti.
Tradizionalmente la Comunità ha sempre profuso il suo impegno per tutelare la
salute dei lavoratori. Il terzo programma d'azione in questo campo, lanciato nel
1993, andrà avanti fino alla fine del millennio. Esso è incentrato soprattutto sulla
sicurezza, l'ergonomia, l'igiene e sul dialogo sociale nel luogo di lavoro. Inoltre,
allo scopo di garantire concretamente un livello di protezione adeguato, si è dato
vita a consigli d'impresa europei, che si impegnano perché i lavoratori delle
imprese e dei gruppi che operano a livello comunitario abbiano la possibilità di
essere informati e di fare sentire la propria voce anche al di là delle frontiere
nazionali.
Bilancio
Ciascuno Stato membro è dotato di un sistema sanitario scaturito da un processo
storico nazionale, e in alcuni paesi il processo d'integrazione europea ha innescato
iniziative che intendono affrontare e risolvere i problemi. Nel mercato senza
frontiere ( -> mercato interno) diviene sempre più importante lavorare in comune
per combattere le malattie, ricercare le loro cause e gestire insieme l'informazione
sanitaria. Il TUE assegna un maggiore peso alla politica sanitaria e crea i
presupposti per la tutela della salute pubblica a livello comunitario.
Rolf Schmitt
Sistema monetario
europeo
Data di insediamento: 13 marzo 1979, con effetto retroattivo all'1 gennaio 1979.
Membri: Tutte le monete degli Stati membri entrano nella composizione dell'unità
di conto europea (ecu); la Grecia non partecipa al meccanismo di cambio; il Regno
Unito ne è provvisoriamente uscito.
Basi giuridiche: Regolamento del Consiglio che modifica il valore dell'unità di
conto usato dal Fondo europeo di cooperazione monetaria (FECOM) e regolamento
del Consiglio relativo al sistema monetario europeo (18.12.1978); decisione del
Consiglio che istituisce un meccanismo di contributo finanziario a medio termine
(21.12.1978); accordo che fissa tra le banche centrali degli Stati membri della
Comunità economica europea le modalità di funzionamento del sistema monetario
europeo (13.3.1979); atto delle banche centrali degli Stati membri della Comunità
europea relativo al sostegno monetario a breve termine (13.3.1979); decisione del
consiglio di amministrazione del FECOM (13.3.1979).
Organi: Consiglio dei ministri delle Finanze; comitato monetario a carattere
consultivo (due rappresentanti per ciascuno Stato membro e per la Commissione);
FECOM (presidenti delle banche centrali dei paesi dell'UE; la Commissione
partecipa solo in veste di osservatrice).
Il sistema monetario europeo (SME) è stato creato nel 1979. Gli ideatori politici
sono stati il presidente francese Giscard d'Estaing e il cancelliere tedesco Helmut
Schmidt.
Contesto
Nei trattati che istituiscono la Comunità europea, l'integrazione monetaria
svolgeva solo un ruolo secondario. La Comunità europea si limitava ad adottare
alcune disposizioni di portata generale in materia di operazione monetaria, nonché
a creare il comitato monetario e, nel 1964, il comitato dei governatori.
Su iniziativa della Commissione europea e in seguito a una dichiarazione dei
capi di Stato e di governo (l'Aia 1969), alla fine degli anni '60 venne presentato il
cosiddetto «piano Werner» (8 ottobre 1970). Esso prevedeva la realizzazione, in
dieci anni e in tre fasi, di un'->unione economica e monetaria. Questo piano è
fallito in seguito al deteriorarsi delle condizioni economiche generali (crollo del
sistema di cambi fissi di Bretton Woods, crisi petrolifere, recessione). Il vero
211
212
motivo che ha portato a questo fallimento sono però le divergenze fondamentali
tra i partigiani della cosiddetta «teoria del coronamento» (principalmente i
tedeschi e gli olandesi, per i quali la convergenza economica era un presupposto
indispensabile per introdurre una moneta unica) e i difensori della «teoria della
locomotiva» (sostanzialmente i francesi, i belgi e la stessa Commissione europea,
che ravvisavano nella moneta unica l'elemento trainante della convergenza).
Il sistema europeo di cambio (il «serpente monetario»), che aveva formato oggetto
di un accordo tra le banche centrali nel 1972, ha finito a sua volta col soccombere
al contrasto tra queste visioni inconciliabili. I paesi a moneta debole rinunciavano
a una cooperazione più stretta ogniqualvolta la pressione di un marco
relativamente stabile li avrebbe dovuti indurre ad adeguare le loro scelte politiche.
Creazione dello SME
Nonostante queste difficoltà, nel 1979 è stato istituito lo SME. Sotto la presidenza
di Giscard d'Estaing, la Francia aveva proposto di porre in essere una politica
economica e monetaria ( -> politica economica), imperniata maggiormente sulla
stabilità. Con il progetto dello SME, la Repubblica federale tedesca offriva al suo
vicino occidentale la prospettiva di rientrare in un sistema di cooperazione
monetaria senza perdere la faccia. Sostanzialmente, infatti, lo SME lasciava
intatta la sovranità dei paesi partecipanti in campo monetario. Le disposizioni
dello SME restavano vaghe in materia di integrazione. L'obiettivo iniziale di
trasformarlo dopo due anni in un sistema comunitario definitivo non è stato
concretizzato. Lo SME non si inseriva armonicamente nelle strutture comunitarie,
ma traeva i propri fondamenti giuridici sia dal diritto comunitario che dal diritto
nazionale. Un accenno allo SME è affiorato nel trattato - all'articolo 102 - solo
con l'adozione dell'Atto unico europeo (1987).
Struttura e funzionamento
Lo SME si compone di tre elementi: l'ecu (European Currency Unit o Unità
monetaria europea), un meccanismo di cambio e di intervento e vari meccanismi
di credito.
a) L'ecu (che ha sostituito la precedente unità di conto europea, l'uce) è un
valore di riferimento artificiale tra le monete europee. Questa moneta
artificiale corrisponde al valore medio - ponderato a seconda della forza
economica degli Stati membri - di tutte le monete che partecipano allo SME.
Con il 30,4%, è il marco tedesco ad avere l'importanza di gran lunga
prevalente nel paniere di monete (19,3% per il franco francese e 12,6% per la
sterlina britannica). L'ecu serve in primo luogo quale valore di riferimento e
denominatore nel quadro del meccanismo di cambio e di intervento, nonché
per il funzionamento dei meccanismi di credito. In una certa misura, esso
costituisce inoltre uno strumento di riserva. In cambio del deposito presso il
Fondo europeo di cooperazione monetaria (FECOM) del 20% delle loro riserve
auree e del 20% delle loro riserve in dollari, le banche centrali nazionali
ottengono ecu per effettuare i propri pagamenti internazionali
(compensazioni dei saldi d'intervento - «ecu ufficiale»). L'ecu può essere usato
anche nel quadro di transazioni internazionali quale moneta di emissione o di
investimento sui mercati internazionali («ecu privato»).
b) Il meccanismo di cambio e di intervento - la parte essenziale del sistema funziona mediante una «griglia di parità»: per ciascuna moneta dello SME
viene fissato un tasso centrale in ecu. Incrociando i tassi centrali in ecu, si
ottiene una serie di parità bilaterali per ciascuna delle monete che
partecipano al meccanismo di intervento; al di sopra e al di sotto del tasso
centrale viene fissato un margine di fluttuazione. Inizialmente questo margine
è stato fissato per la maggior parte dei paesi al 2,25% (sopra e sotto), ma
Regno Unito, Italia e Spagna hanno potuto beneficiare, temporaneamente, di
un margine eccezionale del 6%. All'inizio dell'agosto 1993 il margine di
fluttuazione è stato allargato al 15%. Quando una moneta raggiunge il tasso
limite di intervento, la banca centrale di quel paese deve limitare i movimenti
delle altre divise vendendo o acquistando sul mercato dei cambi (interventi).
Da quando nel settembre 1987 è stato raggiunto l'accordo di Basilea/Nyborg
(«miniriforma dello SME»), le banche centrali hanno la possibilità di
intervenire a uno stadio più precoce di evoluzione dei tassi («interventi
intramarginali»), e di regolare con maggiore precisione lo SME.
Sotto il profilo politico, questo sistema implica che, più i margini di
fluttuazione sono stretti, più è necessario che i partecipanti allo SME allineino
le loro politiche monetarie, di bilancio ed economiche, e più si restringe lo
spazio di manovra delle banche centrali. I margini di fluttuazione permettono
inoltre di osservare il livello di integrazione tra le politiche dei vari Stati
membri, nonché di valutare la volontà di edificare una Comunità stabile. Ecco
perché non tutti i paesi hanno partecipato fin dall'inizio o in modo durevole al
meccanismo di cambio (alla fine del 1994 Regno Unito, Italia e Grecia ne sono
uscite).
Quando una moneta si discosta troppo - verso l'alto o verso il basso - dal proprio
tasso centrale, quest'ultimo deve essere modificato o, come si dice in gergo,
«riallineato». La modifica viene predisposta dal comitato monetario europeo e
forma oggetto di una decisione che i ministri delle Finanze devono adottare
all'unanimità. Sul piano politico, un riallineamento rivela che il tasso della
moneta del paese che procede a una svalutazione non rispecchia più la realtà
delle condizioni economiche. Una valutazione scalfisce anche il prestigio di un
governo. Dopo vari riallineamenti intervenuti soprattutto tra il 1981 e il 1983,
nel corso degli anni '80 il sistema si è stabilizzato a un punto tale che, tra
l'inizio del 1987 e il settembre 1992, non è più stato necessario procedere a
riallineamenti. Successivamente ne sono però di nuovo intervenuti altri.
c)
I tre meccanismi di credito dello SME sono stati creati tra il 1970 e il 1972,
quindi ampliati nel 1979. Essi permettono di concedere un sostegno a varie
213
214
condizioni. Quando, per esempio, una banca centrale deve intervenire ma non
dispone di riserve sufficienti in valuta, essa può ottenere tramite il FECOM un
«finanziamento a brevissima scadenza». È previsto anche un «sostegno
monetario a breve termine» - meccanismo che funziona tra le banche centrali
- e un «contributo finanziario a medio termine» che gli Stati membri possono
concedersi reciprocamente. A seconda del tipo di credito, la durata e il tasso
debitore o creditore sono diversi.
Evoluzione del sistema e valutazione
Attualmente lo SME è considerato il principale quadro normativo che disciplina la
cooperazione in materia di politica monetaria. Nel corso degli anni '80 si sono
registrati ripetuti tentativi per giungere, tramite lo SME, a una moneta comune.
L'aggravarsi della recessione mondiale all'inizio degli anni '90 e i costi connessi
con l'unificazione della Germania (il notevole indebitamento del paese ha per
esempio accelerato il deprezzamento del marco) hanno tuttavia reso più arduo
coordinare le politiche economiche e di bilancio, nonché i tassi d'interesse,
soprattutto tra Francia e Germania. A mano a mano che diminuiva la fiducia dei
mercati nell'ecu, si intensificavano gli attacchi speculativi contro monete
suscettibili di svalutazione, come la lira, la sterlina e il franco francese. Lo SME si è
trovato allora a dover affrontare la crisi più grave dalla sua creazione. Solo dopo
un lungo periodo di stabilità, nell'agosto 1993 i ministri delle Finanze e i
governatori delle banche centrali dei paesi che partecipano allo SME hanno
allargato i margini di fluttuazione fino al 15% (verso l'alto e verso il basso). Da
allora, le monete nazionali hanno nuovamente trovato un più ampio spazio di
manovra, senza che per questo siano stati soppressi i meccanismi di
coordinamento dello SME. Il ritorno a margini di fluttuazione più stretti non
richiede nuove decisioni politiche, ma nell'immediato esso non appare probabile. Il
coordinamento monetario procede nuovamente senza grandi difficoltà.
Eckart Gaddum
http://europa.eu.int/pol/infso/en/info.htm
Società
dell'informazione
Base giuridica: Articoli 33, 52, 59, 85, 86, 90, 100 A, 129 A, 129 B, 129 C, 129D e
130 del trattato CE.
Obiettivi: Aumento della competitività dell'economia europea, sostegno alle
trasformazioni delle strutture economico-sociali, incremento del livello qualitativo
della ricerca scientifica e dell'offerta formativa in generale.
Strumenti: Creazione di una cornice normativa, politica e tecnica estesa a tutta
l'Europa per promuovere la società dell'informazione, incentivazione di progetti
pilota ed innovazioni tecniche, tutela della par condicio nella concorrenza ed
accesso alle nuove tecnologie.
Fonti di informazione: Commissione europea: L'Europa e la società
dell'informazione globale («Rapporto Bangemann»), Bruxelles 1994; L'Europa verso
la società dell'informazione - un piano d'azione, Bruxelles 1994; La préparation
des européens à la société de l'information, Luxembourg 1996; The Implications of
the Information Society for European Union Policies - Preparing the next Steps,
Brussels 1996; Prima relazione annuale alla Commissione europea del Forum sulla
società dell'informazione, Bruxelles 1996; WWW: Commissione europea:
http://europa.eu.int/; Informations Society Project Office: http://www.ispo.cec.be/
Il concetto di «società dell'informazione» compendia sin dall'inizio degli anni
novanta tutta una serie di opportunità e di sfide emerse in seguito al prorompente
sviluppo delle tecniche d'informazione e comunicazione e alla loro penetrazione
capillare nella realtà economica, sociale e politica. L'enorme diffusione che hanno
avuto le immagini, i suoni, i dati e i testi su supporti digitali (la cosiddetta
«multimedialità») ha portato all'impiego generalizzato dei sistemi di
telecomunicazione più moderni, dei personal computer, dei servizi d'informazione
telematica ed all'esplosione quantitativa dei mezzi di comunicazione ordinaria.
Con Internet, una rete di trasmissione dati estesa ormai a tutto il mondo, si è
venuta a creare una piattaforma di comunicazione globale. Le società industriali
d'Europa si trovano quindi in una fase in cui è necessario ripensare radicalmente ai
modi di trasferimento quotidiano del sapere.
Le potenzialità della società dell'informazione sono immense: riduzione dei limiti
spaziali e temporali della comunicazione, possibilità di memorizzare e trasmettere
rapidamente informazioni ad alto valore aggiunto, diminuzione del prezzo di tutti i
215
216
servizi che si prestano ad una utilizzazione elettronica. Gli entusiasti della società
dell'informazione hanno addirittura intravisto la possibilità di creare comunità
virtuali, capaci di operare in senso contrario alle forze centrifughe sprigionate
dalla società industriale. I suoi critici, d'altro canto, puntano il dito accusatore
contro il fossato che va approfondendosi fra una élite dell'informazione e i gruppi
socialmente sfavoriti e lamentano anche la scarsa qualità dei dati che circolano
sulle cosiddette «autostrade dell'informazione», per di più costantemente intasate.
Creatività individuale e volontà di investimento saranno quindi i due fattori che
condizioneranno in definitiva la capacità della società dell'informazione di fornire
servizi innovativi ed efficienti. Presupposti necessari per indurre i cittadini europei
ad accogliere la società dell'informazione e farsene a loro volta portatori sono la
formazione di una competenza individuale nel campo dei media da parte di tutti i
cittadini e la garanzia di un loro accesso democratico a tutta quanta
l'informazione che verrà offerta.
Già nel 1993 nel libro bianco «Crescita, competitività, occupazione»->l'Unione
europea aveva riconosciuto l'importanza delle sfide sopra accennate per
l'organizzazione di nuove forme di vita e di lavoro, anche sotto il profilo delle
nuove possibilità che aprono alla crescita dell'occupazione. Nel 1994 la
-> Commissione europea, all'indomani del «rapporto Bangemann», presentò un
piano d'azione dal titolo «L'Europa verso la società dell'informazione» nel quale
venivano in primo luogo proposti interventi idonei a creare i presupposti tecnici,
giuridici e politici della società dell'informazione in Europa. L'auspicata autonomia
normativa che il piano d'azione raccomanda dovrà servire a fornire agli operatori
economici privati gli stimoli all'investimento in uno dei più interessanti mercati
europei; l'European Information Technology Observatory ha infatti previsto tassi di
incremento annuo superiori all'8% per i prodotti del segmento informazione e
comunicazione, mentre nel frattempo il volume del commercio mondiale ha
superato il valore di mille miliardi di ecu.
Nel quarto programma quadro per la ricerca e la tecnologia sono già stati stanziati
per la promozione di un'industria multimediale europea 3,6 miliardi di ecu nel
periodo 1994-1998 (ne hanno tra l'altro beneficiato programmi come Esprit, ACTS,
Telematique). Gli stanziamenti sono affluiti a dieci settori operativi come il
telelavoro, l'apprendimento a distanza, la telematica, la circolazione stradale, la
sicurezza dei trasporti aerei, la sanità, gli appalti pubblici e la pubblica
amministrazione, la messa in rete di centri di ricerca e delle famiglie. Il programma
Media II ha lo scopo di erogare finanziamenti all'industria audiovisiva europea
(-> mezzi di comunicazione di massa). La realizzazione di prodotti multimediali ad
opera di giovani e piccole realtà imprenditoriali riceve contributi dal programma
INFO 2000, varato nel 1996. Dato che entro il 1998 tutti i mercati delle
telecomunicazioni in Europa dovranno essere liberalizzati, all'UE spetta anche il
compito di vigilare affinché la sua politica di concorrenza garantisca condizioni di
mercato eque a tutti i prestatori di servizi di comunicazione.
Nell'approfondimento delle tematiche connesse alla società dell'informazione la
Commissione è assistita da vari organi e strutture: l'Information Society Project
Office istituito nel 1995 è un centro di contatto e di confronto di idee;
l'Information Society Forum, che riunisce oltre 100 rappresentanti gruppi di
interesse, ha il compito di valutare i provvedimenti dell'Unione europea e di
formulare una serie di opzioni strategiche. Un gruppo di esperti ha ricevuto
l'incarico di studiare quali potrebbero essere le specifiche incidenze delle nuove
tecnologie e di proporre le migliori soluzioni per ovviarvi. Un Legal Advisory Board
(comitato consultivo per gli affari giuridici), formato da esperti degli Stati membri,
è stato incaricato di studiare le questioni giuridiche dell'epoca digitale, con
particolare riguardo al possibile pregiudizio che potrebbero subirne i diritti degli
autori. I suggerimenti che emergono da tutte queste sedi sono già confluiti in
diversi libri verdi, nei quali la Commissione fa il punto sui cambiamenti economici,
sociali e legislativi conseguenti all'avvento della società dell'informazione. Per il
singolo individuo in quanto tale è stato preparato il libro verde «Vivere e lavorare
nella società dell'informazione» che fa il punto della situazione nel 1996.
Infine, per dare alla società dell'informazione quella prospettiva globale che le è
necessaria, ha avuto luogo a Bruxelles, nel 1995, il primo di quella che dovrebbe
essere una serie di incontri degli Stati del G 7 e, nel 1996, è stata organizzata in
Sudafrica una conferenza dal titolo «Società dell'informazione e sviluppo». Va
inoltre ricordato che, sempre nel 1996, a Roma si è svolto un incontro tra l'UE e gli
Stati del bacino mediterraneo; nello stesso anno si è svolto anche un incontro a
Praga con rappresentanti degli Stati dell'Europa centrorientale, dove sono state
delineate alcune strategie paneuropee e alcune linee direttrici per la cooperazione
con i paesi vicini. Nei prossimi anni sarà necessario dare ai suggerimenti ed agli
spunti emersi in tutte queste sedi (ad esempio in ordine alle condizioni di
concorrenza, alla promozione degli investimenti privati e all'accesso alle reti) un
concreto contenuto operativo. Alcune delle sfide qui ricordate - e specialmente la
necessità di costruire un'infrastruttura globale d'informazione - richiederanno in
questo senso sforzi particolarmente consistenti.
Patrick Meyer
217
http://europa.eu.int/pol/trans/en/info.htm
218
Trasporti
Base giuridica: Articolo 3, punti f) e n), articoli da 74 a 84 e da 129 B a 179 D del
trattato CE; politica comune dei trasporti; creazione ed estensione delle reti
transeuropee di trasporti.
Obiettivi: Libera circolazione delle persone e delle merci nel mercato interno e in
provenienza ed a destinazione dei paesi terzi; massima efficacia tecnica ed
amministrativa delle infrastrutture di trasporto per agevolare la mobilità delle
persone e gli scambi fra tutte le regioni, attraverso le frontiere; limitazione
dell'impatto dei trasporti sull'ambiente. A tal fine sono necessarie misure intese ad
aumentare la sicurezza dei trasporti, diminuire l'inquinamento atmosferico ed
acustico e garantire che nella costruzione delle vie di comunicazione vengano
tutelati il paesaggio, la fauna e la flora.
Strumenti: Legislazione europea, aiuti finanziari, coordinamento delle politiche e
dei provvedimenti nazionali, promozione della ricerca e dello sviluppo tecnologico
nel settore dei trasporti, accordi con paesi terzi.
Bilancio: Il bilancio annuo per la sicurezza stradale è di circa 7 milioni di ecu,
quello per la promozione del trasporto combinato di circa 4 milioni di ecu. Gli
stanziamenti per un quadro finanziario a medio termine per aiuti a progetti di
infrastrutture stradali di interesse comune ammontano a circa 1,8 miliardi di ecu,
quelli per la promozione della ricerca e dello sviluppo tecnologico a 240 milioni di
ecu.
Dalla fine degli anni 80 la politica comune dei trasporti ha registrato considerevoli
progressi nel contesto dell'attuazione del -> mercato interno. Dal 1993 esiste un
mercato comune dei trasporti, nel quale le imprese dell' Unione europea (UE) sono
libere di offrire ovunque i propri servizi, senza ostacoli alle frontiere. L'integrazione
europea nel settore dei trasporti ha pertanto effetti positivi in primo luogo sul
settore stesso dei trasporti, che dà attualmente lavoro a circa 7 milioni di persone
e che partecipa per il 6% circa al prodotto nazionale. In secondo luogo consente al
mercato interno di funzionare: la libera circolazione di persone, merci e servizi in
uno spazio economico sprovvisto di frontiere interne può concretizzarsi solo
qualora siano efficaci i trasporti delle persone e delle merci per via terrestre,
navale ed aerea. Il mercato comune dei trasporti deve ora poter mantenere fluido
il traffico, nonostante l'aumento della domanda di trasporti (sempre che risulti
impossibile frenarla), garantendo contemporaneamente la qualità di vita della
popolazione residente nonché la tutela dell'ambiente. L'obiettivo è pertanto
chiaro: eliminati gli ostacoli economici si deve arrivare allo sviluppo di un sistema
integrato di trasporti nell'Unione.
Il mercato comune dei trasporti
I provvedimenti presi finora dall'UE per la realizzazione ed il buon funzionamento
del mercato comune dei trasporti sono in primo luogo relativi all'attività delle
imprese di trasporto sotto il profilo economico. In forza del principio della libera
circolazione dei servizi, sono state abolite le discriminazioni fondate sulla
nazionalità per i servizi di trasporto stradale, ferroviario, navale ed aereo, che sono
attualmente soggetti esclusivamente alle condizioni quadro definite dalla politica
dei trasporti. Prima dell'integrazione europea, i governi di vari Stati membri
avevano impostato la propria politica dei trasporti su criteri nazionali. Tali
politiche miravano per esempio a proteggere le ferrovie statali dalla crescente
concorrenza dei trasporti su strada, a tutelare l'occupazione nel settore della
navigazione interna, a promuovere la marina mercantile nazionale, a garantire la
presenza delle compagnie aeree di bandiera nei trasporti aerei internazionali, a
promuovere le industrie nazionali di base, eccetera. Tali regimi tutelavano i
mercati nazionali ed esigevano, per i trasporti internazionali, tutta una serie di
accordi, bilaterali e multilaterali,oltre che severi controlli alle frontiere. Tale
sistema comportava discriminazioni in funzione della nazionalità, che, oltre ad
essere in quanto tali inammissibili, causavano un incremento delle spese, quindi
un ostacolo per il mercato comune e dovevano di conseguenza essere eliminate.
Dopo alcune esitazioni iniziali, la CE/UE optò per lo smantellamento degli
interventi statali nella determinazione dei prezzi e della capacità di offerta delle
imprese di trasporto (liberalizzazione). Ritenendo l'iniziativa privata la soluzione
più valida per l'economia, adeguò le condizioni quadro, limitandole alle esigenze
imposte dall'interesse comune: realismo dei prezzi, libertà dei trasporti navali
internazionali, sicurezza, norme tecniche, tutela sociale dei lavoratori, assetto
territoriale con infrastrutture di trasporto sufficienti, limitazione
dell'inquinamento, atmosferico ed acustico. Per garantire il rispetto delle regole di
concorrenza vennero armonizzate le norme nazionali, mentre il mercato interno
eliminava i controlli alle frontiere. Per il mercato dei trasporti valgono inoltre le
disposizioni generali del trattato CE applicabili agli altri rami dell'economia:
libertà di stabilimento, libertà di circolazione dei lavoratori, divieto di accordi di
cartello e di aiuti statali, ecc.
La nuova sfida: mantenimento di una mobilità sostenibile
L'integrazione del settore dei trasporti ha reso chiaro che la liberalizzazione e
l'armonizzazione non erano sufficienti a garantire un efficace sistema globale per
il trasporto delle persone e delle merci in tutta l'Europa. Le strutture tradizionali,
principalmente nei settori ferroviario e fluviale, rappresentano frequentemente un
ostacolo alla concorrenza. Il rispetto delle regole di concorrenza, ma anche la
219
220
collaborazione tra le varie imprese, per creare un sistema di trasporti integrati,
sono necessari per configurare il settore su basi logistiche.
La politica comune dei trasporti prevede vari interventi di risanamento strutturale,
segnatamente nei settori della navigazione interna (demolizioni per ridurre la
capacità delle flotte) e delle ferrovie (distinzione fra l'esercizio dei servizi di
trasporto e la gestione dell'infrastruttura, per permettere la costituzione di società
private e sovrannazionali). La Comunità inoltre promuove il trasporto combinato,
in particolare quello strada-ferrovia, per sfruttarne meglio i rispettivi vantaggi nel
trasporto delle merci (ferrovia per grandi quantità su lunghi percorsi, strada per
l'ulteriore distribuzione). Non dovranno più entrare in concorrenza fra di loro i vari
modi di trasporto, ma piuttosto le imprese, che dovranno offrire un'ampia scelta
logistica per i trasporti da punto a punto, sfruttando tutte le tecniche disponibili.
Crescono inoltre le preoccupazioni per il livello sempre più critico della
congestione del traffico nelle zone di transito e nelle aree urbane a forte
concentrazione, dovuta all'insufficienza delle infrastrutture stradali ed aeree. Le
cifre sono chiare: nel 1995 nell'Europa a 15 pressappoco il 70% delle merci (in
tonnellate/km) e quasi l'80% delle persone (in persone/km) sono state trasportate
su strada. La predominanza dei trasporti su strada nel sistema attuale conduce ad
ingorghi stradali giornalieri, con danno per la salute dei residenti e per l'ambiente.
L'Unione europea non può mantenere il silenzio in proposito, ma interviene in caso
di problemi transfrontalieri, completando i provvedimenti presi dagli Stati membri.
Ciò vale non solo per le imprese di trasporto ma anche per trasporti
automobilistici privati. La -> Commissione europea ha proposto una strategia
globale comune che prevede il completamento del mercato interno, il
miglioramento e l'inasprimento delle disposizioni relative ai trasporti
automobilistici privati, in primo luogo mediante misure fiscali intese a recuperare i
costi delle infrastrutture stradali e dell'impatto ambientale, invocando anche
maggior rigore nelle norme tecniche di costruzione degli autoveicoli, in relazione
all'impatto ambientale. Sono però previste anche misure intese allo sviluppo di
sistemi di trasporto integrato a livello europeo.
Per sviluppare assi di traffico transeuropei, la Comunità promuove i collegamenti
transfrontalieri di reti nazionali, eliminando le strozzature, colmando le lacune ed
adeguando le norme tecniche (interoperabilità). L'Unione europea concede crediti
agli investimenti per progetti infrastrutturali di interesse comune, aprendo linee di
bilancio ed agevolando prestiti della -> Banca europea per gli investimenti, con
l'obiettivo di un sistema che integri tutte le imprese di trasporto. Gli investimenti
consentiti nell'Europa centrale hanno lo scopo di consentire ai trasporti per
ferrovia e per vie navigabili di recuperare il ritardo nei confronti di quelli su strada.
Tramite il programma di ricerca (quarto programma quadro 1994-1998) l'Unione
europea sostiene progetti di ricerca e sviluppo destinati alla soluzione dei problemi
di cui sopra oppure a contribuire, grazie allo sviluppo di nuove tecnologie, a
convogliare la mobilità, auspicabile e necessaria, verso modi di trasporto meno
inquinanti, ed a mantenere fluido il traffico, per esempio migliorando i sistemi
segnaletici ed aumentando la capacità delle ferrovie grazie ai treni ad alta
velocità. La telematica (combinazione di elaborazione di dati e telecomunicazioni)
permette di evitare gli ingorghi autostradali e dei trasporti urbani e di meglio
pianificare i trasporti di passeggeri e di merci.
La politica europea dei trasporti pertanto non cessa di esistere con il
completamento del mercato interno: dovrà contribuire a risolvere i problemi di
traffico della società moderna, non solo all'interno dell'Unione europea ma anche
nelle relazioni con i paesi confinanti, con i quali i trattati vengono sempre più
spesso conclusi dall'Unione europea in quanto tale oltre che dagli Stati membri.
Jürgen Erdmenger
221
http://europa.eu.int/en/record/mt/top.html
222
Trattati
Trattati:
•
trattato CECA (entrato in vigore il 23.7.1952)
•
trattato CEE (entrato in vigore l'1.1.1958)
•
trattato CEEA/Euratom degli esecutivi (entrato in vigore l'1.1.1958)
•
trattato sulla fusione (entrato in vigore l'1.7.1967)
•
Atto unico europeo (entrato in vigore l'1.7.1987)
•
trattato sull'Unione europea (entrato in vigore l'1.11.1993)
Gli esordi dell'integrazione europea risalgono ai trattati di diritto internazionale
conclusi tra Germania, Francia, Italia ed i paesi del Benelux, e segnatamente ai
trattati istitutivi della Comunità europea del carbone e dell'acciaio (CECA), della
Comunità economica europea (CEE) e della Comunità europea per l'energia
atomica (CEEA). I menzionati trattati conferivano alle tre Comunità europee solo
competenze limitate, ma hanno gettato le basi di una sovranità sovrannazionale
giuridicamente indipendente che successivamente è venuta precisando le sue
caratteristiche soprattutto grazie ad alcune sentenze fondamentali della Corte di
giustizia delle Comunità europee. Fin dall'origine l'ordinamento giuridico
comunitario si configurò come una formazione non riconducibile unicamente al
diritto internazionale, anche perché i fondamenti giuridici dei trattati
racchiudevano le premesse di un'enorme dinamica d'integrazione. Nel preambolo
del trattato CEE le parti contraenti esprimevano già la loro volontà di «porre le
fondamenta di una unione sempre più stretta fra i popoli europei». L'obiettivo
ultimo di una integrazione politica completa è stato indissociabile dall'idea stessa
di unificazione europea e ne ha determinato lo sviluppo. Nel 1972, i capi di Stato e
di governo della Comunità hanno espressamente sancito la finalità della creazione
di una -> Unione europea. È nell'ambito della CEE che si è sviluppata la più
consistente dinamica integrativa: agli obiettivi originari (creazione di un mercato
unico e l'attuazione di una politica agricola ( -> agricoltura), di una politica dei ->
trasporti, della -> concorrenza e di una -> politica economica comuni) si sono
aggiunti progressivamente numerosi settori di competenza, segnatamente i settori
dell' ambiente, della -> politica sociale, della -> politica regionale, la ->
istruzione e la -> ricerca e tecnologia. L'Atto unico europeo (AUE) nel 1986 ed il
trattato sull'Unione europea nel 1992 hanno apportato modifiche fondamentali ai
trattati iniziali, da un lato, fornendo una base giuridica a fenomeni evolutivi
materiali e istituzionali già attuatisi e, dall'altra, dando l'avvio ad altre iniziative
nel processo d'integrazione. Oggigiorno i fondamenti giuridici dell'Unione europea
sono frequentemente considerati - ed indicati - come la costituzione dell'UE.
Tuttavia, esiste pur sempre una differenza fondamentale tra il diritto
costituzionale dei singoli Stati ed il diritto primario dell'Unione sovrannazionale,
anche se esistono taluni punti in comune in relazione al campo di applicazione e
all'efficacia dei loro provvedimenti legislativi.
Il primo organismo sovrannazionale europeo, la CECA, fu istituito nell'aprile 1951
a Parigi. Tale istituzione, creata su iniziativa di Jean Monnet e di Robert Schuman,
si prefiggeva in primo luogo di assicurare la pace in Europa, in virtù
dell'instaurazione di un mercato comune del carbone e dell'acciaio, e di fondare
«le prime assise d'una comunità più vasta e più profonda» (Preambolo). Dei tre
trattati iniziali, il trattato CECA, entrato in vigore il 23 luglio 1952, è il solo la cui
validità sia limitata a 50 anni. È pertanto destinato a decadere nell'anno 2002,
data alla quale sarà probabilmente integrato nel trattato CE. Dopo il fallimento,
nell'anno 1954, dell'ambizioso piano che mirava a raggiungere l'integrazione
attraverso la creazione di una Comunità europea di difesa e di una Comunità
politica europea, gli Stati membri della CECA firmarono a Roma nel marzo 1957 i
trattati istitutivi della CEE e della CEEA. I trattati di Roma, entrati in vigore il 1
gennaio 1958, prevedevano anch'essi la creazione di una Assemblea parlamentare
e di una Corte di giustizia comuni alle tre Comunità. Infine il trattato di fusione
dell'aprile 1965, entrato in vigore il 1 luglio 1967, sancisce la fusione dei Consigli
dei ministri delle tre Comunità, nonché dell'Alta Autorità della CECA con le
Commissioni della CEE e CEEA.
Seguirono due decenni di crisi e di tentativi di riforma. Le dichiarazioni d'intento
dei capi di Stato e di governo sulla creazione di una Unione europea, ad esempio
in occasione del vertice di Parigi del 1972 e della dichiarazione solenne sull'Unione
europea del 1983, si alternarono a proposte di riforma più o meno ampie,
presentate ad esempio nel rapporto Tindemans sull'Unione europea (1975), nel
progetto di trattato del -> Parlamento europeo sull'istituzione dell'Unione europea
(1984) e nel rapporto Dooge sulla riforma delle istituzioni della Comunità europea
(1985). Infine una conferenza intergovernativa istituita nel giugno 1985 portò
all'elaborazione dell'AUE, che fu sottoscritto nel febbraio 1986 dagli Stati membri
- nel frattempo diventati 12 - e che entrò in vigore il 1 luglio 1987. L'Atto unico
europeo modificava e completava i tre trattati iniziali, ma si occupava soprattutto
dell'evoluzione politica ed istituzionale della CEE. L'AUE prevedeva l'istituzione del
-> mercato unico entro la fine del 1992 e introduceva soprattutto per tale settore
una procedura di cooperazione ( -> procedure decisionali) nella quale il
Parlamento europeo è associato più strettamente al processo legislativo. Il ->
Consiglio europeo trovò un suo esplicito riconoscimento giuridico, le competenze
della CEE furono completate o confermate ufficialmente in determinati settori,
223
224
quali la politica sociale, la politica dell'ambiente e la politica della ricerca e della
tecnologia; la cooperazione in materia di politica economica e di -> politica
monetaria si vide dotata di un fondamento giuridico, così come la cooperazione in
materia di politica estera che si era sviluppata, sotto forma di Cooperazione
politica europea (CPE), al di fuori del quadro istituzionale comunitario. Il termine
«unico» è stato utilizzato perché con l'AUE s'intendeva riunire in uno stesso testo
sia le disposizioni concernenti le Comunità europee sia la CPE, che non rientrava
nell'ambito di competenza delle Comunità.
La seconda e più rilevante revisione del trattato, ebbe luogo nel dicembre 1991,
con l'adozione del trattato sull'Unione europea. Tale trattato, firmato a Maastricht
nel febbraio 1992, entrò in vigore il 1 novembre 1993. Frutto di due -> conferenze
intergovernative (una vertente sull'unione politica e l'altra sull' unione economica
e monetaria), la sua ratifica venne ritardata in Danimarca dal risultato negativo di
un primo referendum e in Germania da diversi ricorsi che contestavano la
costituzionalità del trattato, ma che furono respinti dalla Corte costituzionale
federale nell'ottobre 1993. Con l'entrata in vigore del trattato di Maastricht, il
trattato CEE fu ufficialmente ribattezzato «trattato CE». Erano così stabiliti i «tre
pilastri» dell'Unione europea, costituiti dal nuovo trattato CE - che sancisce altresì
l'obiettivo di istituire l'unione economica e monetaria entro il 1999 - dalle
disposizioni relative alla -> politica estera e di sicurezza comune (PESC), che
costituisce una evoluzione della CPE, e dalla cooperazione nei settori della ->
giustizia e degli affari interni. Il trattato di Maastricht contiene alcune innovazioni
istituzionali, quali la procedura di codecisione (articolo 189 B del TUE), con la
quale i poteri del PE vengono nuovamente rafforzati. Inoltre, le competenze della
CE sono ampliate o integrate in taluni settori ed il principio di sussidiarietà diviene
il criterio per stabilire una adeguata ripartizione delle competenze tra la CE e gli
Stati membri (articolo 3 B del TUE). Il trattato di Maastricht introduce anche la
cittadinanza dell'Unione e apporta taluni adeguamenti al testo dei trattati.
Nell'insieme si è così creato un quadro giuridico estremamente complesso, nel
quale rientrano diverse procedure di integrazione sopranazionale e di
cooperazione intergovernativa. Inoltre, il trattato di Maastricht prevede per la
prima volta alcune deroghe fondamentali, quali quella che consente al Regno
Unito di non applicare le disposizioni del protocollo sulla politica sociale, allegato
al trattato.
In futuro, il diritto continuerà a svolgere un ruolo essenziale nel processo di
integrazione europea; ne costituirà in effetti la base, lo strumento ed il supporto.
La nuova revisione dei trattati, che dovrà essere varata nel giugno 1997, dovrà
gettare le fondamenta giuridiche dell'approfondimento e dell' ampliamento
dell'UE, che attualmente conta 15 membri. Si dovrà in tale sede tener conto
dell'eterogeneità che caratterizza oggi l'Unione come pure dell'esigenza di creare
una Unione comprensibile ed accettabile dai cittadini.
Anita Wolf-Niedermaier
http://europa.eu.int/pol/emu/en/info.htm
Unione economica e
monetaria
Base giuridica: Articoli da 102 A a 109 M del trattato CE.
Obiettivi: Stabilità dei prezzi, fissazione irrevocabile dei tassi di cambio tra le
monete degli Stati membri entro il 1999, introduzione di una moneta unica: l'euro.
Strumenti: Istituzione di una politica monetaria comune, stretto coordinamento
della politica economica, creazione di un Sistema europeo di banche centrali
(SEBC).
Il completamento dell'unione economica e monetaria (UEM) costituisce una delle
finalità più ambiziose, e al contempo più discusse, dell' Unione europea. Con la
firma del trattato sull'Unione europea ( -> trattati) e la ratifica in data 1
novembre 1993, la creazione dell'UEM è stata decisa in modo definitivo. Una
moneta comune completerà il -> mercato unico e rafforzerà il peso economico
dell'Unione all'esterno. Ai sensi del trattato di Maastricht i tassi di cambio tra i
partecipanti all'UEM saranno fissati in maniera irrevocabile il 1 gennaio 1999. Le
corrispettive monete nazionali saranno allora soltanto una diversa espressione
della moneta unica, che in base al trattato verrà introdotta in breve tempo dopo
tale data.
L'esigenza di una cooperazione nel settore della politica monetaria deriva
soprattutto dalla volontà di rendere l'Unione competitiva nel commercio con
l'estero. Quanto più strettamente interdipendenti sono i sistemi economici, tanto
più dannose sono le fluttuazioni dei tassi di cambio sulle relazioni economiche.
Dall'introduzione dell'UEM, l'UE si ripromette in primo luogo un rafforzamento
della sua competitività. La Comunità ha già intrapreso diverse iniziative in vista di
una approfondita cooperazione monetaria. Negli anni 70, il piano Werner, che
prevedeva l'istituzione di una UEM, fallì a causa di una carente volontà di
integrazione nonché della diversità delle prospettive economiche tra gli Stati
membri. Successivamente si cominciò pragmaticamente a cercare di limitare il
rischio di cambio attraverso il cosiddetto «serpente monetario» (1972) e il ->
sistema monetario europeo (1979). L'obiettivo di una UEM, che nel frattempo era
stato rinviato, tornò all'ordine del giorno soltanto quando l'approfondimento dei
processi di integrazione, la prevista realizzazione del mercato interno ed un
ravvicinamento dei programmi di politica economica dalla metà degli anni 80 ne
crearono la base necessaria.
225
226
Il rapporto Delors ed il trattato di Maastricht (TUE)
Le disposizioni del trattato sull'Unione europea si basano sostanzialmente sulle
prospettive del rapporto Delors. La relazione, presentata nell'aprile 1989 da un
gruppo di esperti con la partecipazione dei governatori delle banche centrali
nazionali, prevedeva il passaggio all'UEM in tre fasi. Gli obiettivi della prima fase,
iniziata il 1 luglio 1990, erano essenzialmente il rafforzamento del coordinamento
monetario, l'adesione degli Stati membri allo SME, la realizzazione del mercato
interno e la preparazione dei lavori per le modifiche ai trattati che nel frattempo si
erano comunque rivelate necessarie. L'obiettivo più importante della seconda fase
consiste nella istituzione di un Sistema europeo di banche centrali che
inizialmente disporrà di poteri ancora limitati. La terza fase prevede il passaggio a
tassi di cambio fissi e ad una moneta unica.
Già nel 1989 il Consiglio europeo di Madrid decise l'avvio della prima fase e si
pronunciò a favore della convocazione, alla fine del 1990, di una conferenza
intergovernativa. È anche al fine di integrare ancora più profondamente la
Germania - in vista della riunificazione nazionale - alla Comunità che il ->
Consiglio europeo ha raggiunto nell'aprile 1990 l'accordo sulla convocazione della
seconda conferenza intergovernativa che avrebbe definito l'assetto istituzionale
dell'Unione politica. Sul piano della politica monetaria gli Stati membri dell'UE
fissarono la data del 1 gennaio 1994 come inizio della seconda fase dell'UEM. Già
prima della convocazione della conferenza intergovernativa, nel dicembre 1990, fu
varato lo statuto della Banca centrale europea, il cui obiettivo prioritario è il
mantenimento della stabilità dei prezzi.
Il cammino verso l'unione economica e monetaria
Il trattato di Maastricht rientra nella continuità storica della politica europea, in
quanto pone come premessa dell'integrazione politica l'approfondimento
economico. Dal punto di vista della politica monetaria ha concretizzato il piano
Delors, che prevedeva diverse fasi, in una tabella di marcia che combina obiettivi
politici e scadenze temporali. A tale proposito, le disposizioni per la transizione e
la formulazione del secondo e terzo stadio si sono rivelate difficili argomenti di
negoziato. Da un lato, nella fase transitoria si dovevano evitare ambiguità circa la
ripartizione di competenze tra la politica monetaria nazionale e quella europea e,
dall'altro, si doveva pervenire a uno stretto raccordo tra le due fasi.
Conseguentemente, nella seconda fase la competenza decisionale in materia di
politica monetaria rimane agli Stati membri, ma questi devono avviare il processo
per rendere indipendenti le rispettive banche centrali (articolo 109 E del trattato
CE). Dal punto di vista istituzionale, la preparazione dell'UEM ha portato alla
creazione, in data 1° gennaio 1994, dell' Istituto monetario europeo (IME),
precursore della Banca centrale europea. Esso ha il compito di assistere gli Stati
membri nei loro sforzi di creare le premesse per l'ammissione alla terza fase e di
elaborare gli strumenti e le procedure necessarie per l'attuazione di una politica
monetaria e di cambio comuni.
Perché la moneta unica sia forte, deve essere sostenuta da una credibile politica di
stabilità. Mentre alla seconda fase dell'UEM prendono parte tutti gli Stati membri
dell'UE, l'ammissione alla terza fase è invece collegata al rispetto di tutti i
cosiddetti «criteri di convergenza» (articolo 109 J del trattato CE):
•
il raggiungimento di un alto grado di stabilità dei prezzi; questo risulterà da
un tasso d'inflazione superiore al massimo dell'1,5% rispetto a quello dei tre
Stati membri che hanno conseguito i migliori risultati in termini di stabilità
dei prezzi;
•
la sostenibilità della situazione della finanza pubblica; questa sussiste se il
disavanzo annuale di uno Stato non supera il 3% del PIL ed il debito
complessivo il 60%. Sono previsti tuttavia margini discrezionali. Se il debito
pubblico complessivo di uno Stato è sufficientemente calato e si avvicina
velocemente alla quota richiesta del 60%, il Consiglio può decidere che il
criterio si intende soddisfatto;
•
la stabilità dei tassi di cambio. Si richiede che una valuta si mantenga da
almeno due anni all'interno dei margini normali di fluttuazione previsti dal
meccanismo di cambio del Sistema monetario europeo senza svalutazioni nei
confronti della moneta di qualsiasi altro Stato membro. Dopo l'allargamento
dei margini di fluttuazione nello SME nel 1993 ci si chiede se tale criterio
rivesta ancora importanza;
•
il carattere durevole della convergenza e della partecipazione allo SME. Tale
condizione viene valutata con riferimento ai livelli dei tassi di interesse
nominali a lungo termine, che non devono superare di oltre il 2% la media dei
tassi di interesse nominali a lungo termine dei tre Stati membri con il più
basso tasso di inflazione.
Sebbene stabiliti a livello politico, i criteri di convergenza possono essere
considerati indicatori affidabili dell'idoneità per l'ammissione nell'UEM. Tuttavia,
essi mettono in evidenza anche le notevoli differenze di convergenza tuttora
presenti tra gli Stati membri dell'UE. Visto da tale prospettiva, il trattato di
Maastricht costituisce un compromesso tra il desiderio di disporre di scadenze
sufficientemente lontane ed una transizione verso l'UEM in tempi brevi e di natura
irreversibile.
In un primo tempo il -> Consiglio valuta a maggioranza qualificata il rispetto dei
criteri di convergenza, sulla base delle relazioni dell'IME e della -> Commissione
europea. Su tale base il Consiglio europeo, composto dai capi di Stato e di
governo, decide entro la fine del 1996 se una maggioranza degli Stati membri
soddisfa i presupposti necessari. Quindi stabilisce una data per l'avvio della terza
fase. Nel caso (prevedibile) che la maggioranza degli Stati membri non risponda ai
requisiti, l'idoneità per l'UEM verrà esaminata nuovamente, con una seconda
procedura, prima del 1 luglio 1998. Gli Stati che soddisferanno i criteri daranno
vita dal 1 gennaio 1999 all'Unione monetaria. Il procedimento di revisione viene
227
228
reiterato per lo meno ogni due anni. Tutti gli Stati membri, che hanno i requisiti
per entrare nella terza fase, sono quindi tenuti a partecipare all'UEM. Con
disposizioni derogatorie, il Regno Unito e la Danimarca sono tuttavia esentate
dall'obbligo di partecipazione automatica.
Ad integrazione dello statuto della Banca centrale europea (BCE), il trattato CE
stabilisce agli articoli da 105 a 109 D le disposizioni di politica monetaria
applicabili al Sistema europeo di Banche centrali. Tali disposizioni si ispirano al
modello della banca centrale tedesca (Bundesbank) e ribadiscono la priorità
dell'obiettivo della stabilità dei prezzi. Per assicurare il raggiungimento di tale
finalità la BCE non può sollecitare o accettare istruzioni (articolo 107 del trattato
CE). Le è vietata qualsiasi forma di finanziamento dei disavanzi pubblici. Per
garantire la convergenza il trattato prevede nel settore della -> politica
economica una stretta cooperazione con gli Stati membri dell'UE, sotto la
sorveglianza del Consiglio.
Attuazione e prospettive
Il trattato sull'Unione europea non ha, deliberatamente, disciplinato in dettaglio
alcune materie dell'UEM. Soprattutto la questione dell'attuazione dovrà essere
precisata all'inizio della terza fase. In un libro verde presentato dalla Commissione
nel maggio 1995 vengono delineati diversi scenari per l'introduzione della moneta
unica. Anche l'IME ha fatto conoscere la propria opinioni al proposito. Risulta
probabile che la moneta unica venga utilizzata dall'inizio del 1999 soltanto dalle
Banche centrali e dalle banche commerciali. Prevedendo scadenze transitorie
sufficientemente lunghe si intende alleviare le difficoltà della transizione. Dal 1
gennaio 2002 le banconote e le monete della valuta europea saranno messe in
circolazione. Sei mesi più tardi le valute nazionali partecipanti non avranno più
corso legale. In occasione del vertice di Madrid nel dicembre 1995 i capi di Stato e
di governo hanno ribadito la loro volontà di avviare l'UEM nel 1999 e approvato il
nome -> «euro» per la nuova moneta. Entro la fine del 1996 devono anche essere
definiti gli strumenti di politica monetaria di cui sarà dotata la BCE. Affinché
l'UEM non determini una spaccatura nel mercato interno, le monete dei paesi
partecipanti («in») e dei non partecipanti («out») dovranno essere reciprocamente
collegate nell'ambito dello SME II. Complessivamente, i preparativi tecnici
dell'UEM procedono secondo il calendario previsto.
Dalla fase di ratifica il trattato di Maastricht ha innescato reazioni critiche. Per
quanto concerne l'Unione monetaria, le critiche espresse, che non costituiscono un
rifiuto di principio, vertono sul fatto che non sarà possibile mantenere la
contemporaneità dell'unione politica e dell'UEM. In mancanza di una più solida
integrazione politica l'UEM mancherebbe della base necessaria. Inoltre ci si chiede
se, a fianco della politica monetaria comune, il semplice coordinamento della
politica economica offra la garanzia del rispetto dell'impegno a mantenere la
stabilità dei prezzi. È stata messa in discussione anche l'utilità dei criteri di
convergenza. Ai dubbi si accompagna la profonda sfiducia di chi ritiene che i
criteri verranno ammorbiditi ancora prima dell'ingresso nella terza fase. Infatti è
una grave carenza del trattato che i criteri di convergenza siano concepiti
meramente come presupposti d'ingresso. È ben vero che sono previste sanzioni per
il mancato adempimento degli obblighi di politica economica, ma questi devono
essere deliberati a maggioranza qualificata. Non è impossibile prevedere che alla
fine la tendenza attualmente osservata verso la stabilità possa affievolirsi dopo
l'entrata in vigore della terza fase.
Questa problematica è stata affrontata dal «patto di stabilità per l'Europa»
proposto dai tedeschi nel novembre 1995. Il nucleo centrale della proposta
consiste in una procedura che prevede una maggiore disciplina di bilancio anche
dopo l'avvio dell'UEM. Contrariamente al trattato CE, il patto di stabilità prevede
in caso di inadempimento un automatismo sanzionatorio deterrente con ingenti
sanzioni pecuniarie. Nel settembre del 1996 il Consiglio si è dichiarato favorevole
al principio di garantire l'unione monetaria per il tramite di un siffatto strumento.
La volontà politica di mantenere la data fissata per l'inizio dell'UEM è stata
confermata in diverse occasioni. Accanto al problema irrisolto dell'accettazione
dell'UEM in alcuni Stati membri, sussistono punti molto sensibili che verranno
toccati nella fase di applicazione pratica: il vantaggio economico dell'Unione
monetaria aumenta con il numero degli Stati partecipanti. Nonostante tutti gli
sforzi di risanamento, nel 1995 il Lussemburgo era l'unico Stato membro che
riusciva a soddisfare tutti i criteri di convergenza. La possibilità di un rinvio viene
rifiutata unanimemente dai protagonisti politici; sarebbe troppo grande il pericolo
che la dinamica dell'integrazione, che spinge alla disciplina, possa essere
rallentata. Inoltre non c'è alcun modo per dare un'interpretazione lassista dei
criteri di convergenza. Ciò non dovrebbe nemmeno essere possibile. L'adozione di
un patto di stabilità può essere un passo importante per districare questo doppio
dilemma senza che ne consegua una perdita di credibilità.
Olaf Hillenbrand
229
http://europa.eu.int
230
Unione europea
L'«Unione europea» (UE) è diventata il tema fondamentale intorno al quale ruota il
vasto dibattito pubblico sull'ordinamento da dare all'Europa. Abbiamo qui un
tipico esempio dell'ambiguità - sia pure costruttiva - che accompagna il processo
di integrazione dell'Europa (occidentale) e che lo ha caratterizzato fin dal suo
inizio. Gli approcci all'unificazione europea si sono sempre ispirati ad una pluralità
di modelli differenti sugli obiettivi e le forme della politica di integrazione europea
( -> modelli dell'integrazione europea).
Breve storia di una definizione: l'ambiguità costruttiva
Il termine «Unione europea» venne formulato dai capi di Stato e di governo
durante la conferenza di Parigi del 1972 come un obiettivo da raggiungere. Essi
stabilirono, in quell'occasione «come obiettivo prioritario (...), nell'osservanza
assoluta dei trattati sottoscritti, di trasformare l'insieme delle relazioni tra gli Stati
membri in una Unione europea». Tale definizione venne ripetuta nel preambolo
dell'Atto unico europeo, ma non nel trattato sull'Unione europea.
Quest'ultimo viene invece inteso come «una nuova tappa del processo di creazione
di un'unione sempre più stretta tra i popoli dell'Europa, in cui le decisioni siano
prese il più vicino possibile ai cittadini» (articolo A, TUE). In questo senso, è
compito dell'Unione organizzare in modo coerente e solidale le relazioni tra i
popoli che la compongono.
I tentativi esperiti in sede sia politica che accademica di definire in maniera più
precisa questo concetto non hanno mai avuto grande successo. Le interpretazioni
a carattere scientifico che, partendo dal concetto di «Unione» o da quello di
compiti od obiettivi comuni, hanno tentato di arrivare a definizioni più ampie, non
hanno condotto ad un solido accordo politico. Per cui, nella -> dichiarazione
solenne di Stoccarda, del 1983, così come nel preambolo all'Atto unico europeo
del 1987, vennero indicati, per un'Unione europea con tali caratteristiche, solo una
serie di obiettivi generali, come i principi della democrazia ed il rispetto del diritto
e dei diritti dell'uomo. Entrambi i testi prefiguravano invece con maggior
precisione un'evoluzione verso l'Unione europea basata su una doppia strategia,
ancor oggi riconoscibile: «L'Unione europea va realizzata, da un lato, sulla base
delle Comunità funzionanti secondo le proprie regole e, dall'altro, sulla base della
cooperazione a livello europeo tra gli Stati firmatari; un'Unione siffatta va dotata
dei necessari poteri d'azione». Da queste formulazioni emerge una concezione che,
partendo dagli sviluppi concreti del sistema comunitario, definisce le forme
esistenti di integrazione e cooperazione come elementi essenziali dell'Unione
europea. Anche nel trattato di Maastricht (TUE) si trova un'analoga formulazione:
«L'Unione è fondata sulle Comunità europee, integrate dalle politiche e forme di
cooperazione instaurate dal presente trattato» (articolo A del TUE).
Altre concezioni politiche sull'Unione europea partono da considerazioni
federalistiche. Nel proprio progetto di trattato (progetto Spinelli) del 1984 sulla
fondazione di una Unione europea, il -> Parlamento europeo formulò i principi, gli
obiettivi e le disposizioni istituzionali di un'Unione europea dalle caratteristiche
federali. Questa proposta concreta non è finora riuscita a diventare un modello
vincolante.
Fin dall'entrata in vigore del trattato di Maastricht, con le polemiche che si sono
accese intorno alla sua ratifica, il modello di integrazione federale è stato sempre
aspramente criticato. Anche la caratterizzazione dell'Unione europea come
federazione di Stati, da parte della Corte costituzionale tedesca (sentenza su
Maastricht, dell'ottobre 1993), suscitò reazioni contrastanti, dal momento che
introduceva nel dibattito un concetto fino ad allora mai utilizzato e di cui devono
tuttora essere valutati il contenuto e la portata. Resta da vedere se la scelta di una
terminologia diversa e nuova riuscirà ad arricchire e a rilanciare il dibattito oppure
se, sulla direzione da imprimere al processo di integrazione, divamperanno, in
forma nuova, vecchi conflitti.
Il trattato di Maastricht sull'Unione europea
Con il vertice di Maastricht, del 1991, le idee intorno ad un'Unione europea
trovarono concreta espressione in un nuovo trattato che è entrato in vigore il 1
novembre 1993. Con ciò, il cammino europeo del dopoguerra si è arricchito di una
nuova data storica. «Maastricht» verrà considerata una pietra miliare del processo
di integrazione, anche se il suo significato immediato e quello più remoto saranno
molto controversi.
Il testo approvato dal -> Consiglio europeo si presenta di primo acchito come un
complesso non molto chiaro di più elementi, di varia natura giuridica, che, per
essere comprensibile, può essere paragonato ad un tempio.
231
L’EUROPA DALLA A ALLA Z
232
Unione europea
Comunità
europea
Unione doganale,
Mercato interno,
Politica agricola,
Politica strutturale,
Unione economica e
monetaria
Politica estera e di
sicurezza comune
Cooperazione nei
settori della
Giustizia e degli
Affari interni
I tre pilastri della costruzione europea secondo il trattato di Maastricht
Gli elementi essenziali del trattato sull'Unione sono:
1. le disposizioni comuni;
2. le modifiche del trattato CEE nel senso della costruzione di una Comunità
europea comprendente anche una -> unione economica e monetaria ed una
cittadinanza dell'Unione;
3. la -> politica estera e di sicurezza comune (PESC);
4. la cooperazione nei settori della -> giustizia e degli affari interni (GAI);
5. le disposizioni finali;
6. i protocolli, i più importanti tra i quali riguardano la cooperazione in campo
sociale, la -> politica sociale e le dichiarazioni in merito alla PESC, nonché
testi degli Stati membri dell'Unione dell'Europa occidentale (UEO) sul ruolo
della medesima.
Gli obiettivi dell'Unione e il principio di sussidiarietà
Se si guardano gli obiettivi generali dell'Unione appare subito chiaro quale sia
l'ampiezza dei temi che vanno trattati nell'ambito istituzionale unitario sopra
descritto: si tratta, innanzitutto, di «promuovere un progresso sociale equilibrato e
sostenibile, segnatamente mediante la creazione di uno spazio senza frontiere
interne, il rafforzamento della coesione economica e sociale e l'instaurazione di
un'unione economica e monetaria che comporti a termine una moneta unica»
(articolo B, TUE). Il secondo obiettivo essenziale dell'Unione è l'affermazione della
propria identità a livello internazionale, soprattutto attraverso una politica estera
e di sicurezza comune (articoli B e J, TUE) dalla quale non può essere esclusa la
definizione, in un secondo tempo, di una politica di difesa. In terzo luogo, il
rafforzamento della tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini dei suoi Stati
membri viene suggellato dall'istituzione di un cittadinanza dell'Unione (articolo B,
TUE). Infine, gli Stati membri intendono sviluppare una stretta cooperazione nel
settore della giustizia e degli affari interni (articoli B e K, TUE).
Nonostante il fatto che l'Unione possa occuparsi di quasi tutti i settori di pubblico
interesse, essa non dispone tuttavia di una competenza generale in grado di
entrare nei dettagli. Al contrario, l'attribuzione delle competenze avviene secondo
modalità che possono differire profondamente tra loro: per alcuni settori d'attività,
come la -> politica dei trasporti (articoli 74 e seg., trattato CE), si parla di una
politica «comune» ; per altri, come nel caso della politica dell'ambiente (articoli
130 R e seg., trattato CE) e della -> politica sociale (articoli 117 e seg., trattato
CE), ci si limita ad «una» politica; in altri settori, come nella politica di istruzione e
formazione e in quella culturale (articoli 126 e seg., trattato CE), sono previsti
degli incentivi oppure delle «azioni» (come nel campo della protezione civile,
dell'energia e del turismo) ma viene esclusa qualsiasi forma di armonizzazione
delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri. La politica estera
e di sicurezza «comune», per le sue caratteristiche giuridiche ed istituzionali, non è
comparabile con la politica agricola «comune» (-> agricoltura).
Un possibile «eccesso» di influenza da parte della CE deve essere compensata dalla
sussidiarietà, in base alla quale la Comunità «nei settori che non sono di sua
esclusiva competenza, interviene (...) soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi
dell'azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati
membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni e degli effetti dell'azione in
questione, essere realizzati meglio a livello comunitario» (articolo 3 B, trattato CE).
L'esigenza di una riforma: l'Unione europea resta un processo
Intorno a taluni elementi essenziali del TUE si era acceso il dibattito fin dalla fase
della sua ratifica; una controversia di grande rilievo ha per oggetto il rapporto tra
l'Unione europea, progettata dal trattato di Maastricht, e lo Stato nazionale
(costituzionale). Persistono chiari timori e forti resistenze contro un trasferimento
troppo ampio di competenze dal piano nazionale a quello europeo, considerato
spesso come una minaccia allo Stato (nazionale) e come fattore di rischio per la
garanzia del pieno rispetto dei diritti fondamentali. In tal modo, agli occhi di
numerosi suoi cittadini, l'Unione europea è divenuta, da modello da seguire
qual'era, un avversario da combattere. Così, già all'indomani della firma del
trattato di Maastricht, ha preso corpo l'esigenza di apportarvi alcune correzioni,
233
234
esigenza che gli Stati membri hanno recepito in una prima fase approvando nell'autunno del 1992 - una serie di orientamenti e provvedimenti per
incrementare la trasparenza delle strutture e delle procedure dell'Unione europea.
Già il trattato di Maastricht prevedeva che, nel 1996, una conferenza
intergovernativa esaminasse i progressi compiuti (articolo N, paragrafo 2, del
TUE). Ulteriori necessità di riforma sono dettate anche dalle prossime adesioni. Il
dibattito lascia intravedere una scala delle diverse possibilità con cui una riforma
indilazionabile (o, se si preferisce, un approfondimento dell'UE) può essere
conciliata con -> l'ampliamento, ormai alle porte, mentre si profilano gli indirizzi
fondamentali di un possibile sviluppo del processo di integrazione.
Una prima strategia (A), mira ad un «ampliamento senza approfondimento»
dell'UE, ad un aumento - cioè - del numero dei membri accompagnato dalla
contemporanea ratifica dello status quo a livello politico e istituzionale. L'opzione
(B) «approfondimento prima dell'ampliamento» prevede, invece, ulteriori iniziative
di integrazione prima dell'ammissione di nuovi membri, in modo che quest'ultimi
entrerebbero a far parte di una UE già riformata. La strategia (C) «ampliamento e
approfondimento» considera i due momenti come processi che si svolgono
parallelamente e si rafforzano reciprocamente. La via (D) dell’ -> «ampliamento
per l'indebolimento» del processo di integrazione comporterebbe, col progressivo
aumento del numero di membri, la decostruzione dell'edificio comunitario, con la
conseguenza che l'UE perderebbe sempre più la propria capacità di sviluppare una
dinamica integrativa. La strategia (E) dell’ -> «integrazione graduale» si fonda su
forme di integrazione, limitate e attuate per fasi, che - mantenendo obiettivi
comuni, vincolanti per tutti, ma perseguiti in un primo tempo da una parte
soltanto degli Stati membri - mirano contemporaneamente a consentire anche a
nuovi membri di collegarvisi progressivamente. L'opzione (F) «Europa a geometria
variabile» prevede, per problemi settoriali, soluzioni ad hoc adottate dagli Stati
europei ad esse interessati, con conseguente perdita di uno sviluppo unitario di
tutti gli Stati membri. La strategia (G) del «nocciolo europeo» si basa su un gruppo
relativamente piccolo di Stati, in grado di mettere in atto uno standard di
integrazione piuttosto elevato, ma tale da marcare chiaramente le distanze nei
confronti degli altri Stati membri.
Contenuti e forme dell'Unione europea sono sempre più contestati. Riassumendo,
sembra che la direzione sia quella di una più marcata differenziazione del processo
di integrazione. Con ciò, tuttavia, la tensione tra l'eterogeneità dei partecipanti ed
il mantenimento di un quadro istituzionale unitario - nonché la conservazione di
un assetto portante e vincolante - è destinata in futuro ad acuirsi.
Wolfgang Wessels / Udo Dietrichs
Glossario europeo
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L’EUROPA DALLA A ALLA Z
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Glossario europeo
a cura di Olla Hillenbrand
Accordi europei.
È il nome dato agli accordi di associazione conclusi a partire dal 1991 fra l'UE e i
paesi dell'Europa centrale e orientale. L'obiettivo è di consentire a questi paesi di
partecipare pienamente al processo di integrazione europea sotto il profilo
politico, economico e commerciale. Gli accordi includono piani per l'istituzione
entro 10 anni di un'area di libero scambio per i prodotti industriali. L'UE si sta già
muovendo più rapidamente dei suoi partner per smantellare le restrizioni
commerciali erette a difesa della propria industria. I primi accordi europei vennero
firmati con la Polonia, l'Ungheria e la Cecoslovacchia nel dicembre 1991. Gli
accordi con la Polonia e l'Ungheria sono entrati in vigore il 1 febbraio 1994,
seguiti da accordi con Bulgaria, Romania, la Repubblica ceca e la Slovacchia un
anno dopo. Accordi di questo tipo sono stati firmati anche con l'Estonia, la
Lettonia e la Lituania il 12 giugno 1995 e con la Slovenia il 10 giugno 1996.
Accordo di libero scambio.
Si tratta di un accordo diretto a rimuovere dazi doganali e proibire le restrizioni
quantitative negli scambi fra i firmatari. Nel 1972-1973 la Comunità europea ha
concluso accordi di questo tipo con i singoli Stati EFTA.
Accordo preferenziale.
Un accordo in base al quale ogni parte concede all'altra un trattamento
preferenziale negli scambi reciproci.
ADAPT.
ADAPT è un'iniziativa comunitaria destinata a favorire la crescita e l'occupazione e
ad incrementare la competitività delle imprese. Il programma prevede delle misure
di formazione e dei premi all'occupazione per i settori industriali che debbono
affrontare le trasformazioni. L'obiettivo principale consiste nel cofinanziare
progetti aventi una dimensione transnazionale in tutte le regioni. (-> CSF).
Per ulteriori informazioni, contattare:
Commissione europea, DG V, Unità B.4, Rue de la Loi 200, B-1049 Bruxelles, Tel.
(322) 299 40 75.
Agenzia europea per l'ambiente.
La decisione di costituire un'Agenzia europea per l'ambiente e una rete europea
d'informazione e controllo dell'ambiente è stata adottata dal Consiglio il 7 maggio
1990. Tale decisione rispecchiava la crescente importanza attribuita alla tutela
dell'ambiente nell'UE. Il principale obiettivo dell'Agenzia risiede nel raccogliere
dati in materia di ambiente, più dettagliati e accurati possibili, il che riveste
un'importanza essenziale per un'efficace politica dell'ambiente. Dopo anni di
disaccordo sull'ubicazione dell'Agenzia, essa ha potuto infine iniziare i propri
lavori nel 1994, nella sua sede centrale di Copenaghen. Indirizzo: 6 Kongens
Nytorv, DK-1050 Kobenhavn, Tel. (45) 33 14 50 75, fax (45) 33 14 65 99.
Agenzia spaziale europea (ESA).
L'ESA venne istituita nel 1975 al fine di coordinare gli sforzi dell'Europa nel campo
dell'esportazione e della tecnologia spaziale, nonché il loro coordinamento con
l'Ente spaziale americano, la NASA. La sua attività ha fini esclusivamente pacifici.
Essa ha sviluppato con successo la propria tecnologia satellitare, il razzo europeo
Ariane e il laboratorio spaziale Spacelab. I 14 membri dell'ESA sono: Austria,
Belgio, Danimarca, Germania, Finlandia, Francia, Regno Unito, Irlanda, Italia, Paesi
Bassi, Norvegia, Spagna, Svezia e Svizzera. Indirizzo: 8-10 Rue Mario Nikis, F75738 Paris Cedex 15, Tel. (33 1) 53 69 76 54.
Ampliamento verso sud.
Negli anni 70 la Grecia (1975), il Portogallo (1977) e la Spagna (1977) fecero
domanda per entrare nella CE, dopo il loro ritorno alla democrazia. Ampliamento
verso sud è il termine utilizzato per descrivere la loro adesione alla Comunità (la
Grecia nel 1981, il Portogallo e la Spagna nel 1986). Le differenze sostanziali
esistenti sul piano della struttura e della ricchezza fra i vecchi e i nuovi membri
hanno posto nuovi problemi per la CE. Le considerazioni di ordine politico - il fatto
che l'appartenenza alla Comunità avrebbe rafforzato la stabilità interna - sono
state il principale fattore alla base dell'accoglimento delle loro domande di
adesione, nonostante le preoccupazioni sulle conseguenze economiche.
Applicazioni telematiche.
Il programma di ricerca sulle applicazioni telematiche dell'UE comprende i
programmi AIM, DELTA, DRIVE ed Eurotra. L'obiettivo è di costituire le basi per la
graduale introduzione di tecnologie delle comunicazioni europee in rete nei settori
dell'amministrazione, dei trasporti, dell'assistenza sanitaria, dell'istruzione, delle
biblioteche e della linguistica.
Area di libero scambio.
Un gruppo di due o più territori doganali dove tutti i dazi doganali e le altre
misure che limitano gli scambi fra di essi sono stati rimossi. A differenza di
un'unione doganale, nella quale gli Stati interessati costituiscono una tariffa
doganale esterna comune, i paesi che fanno parte di una zona di libero scambio
mantengono i loro dazi doganali nazionali negli scambi con i paesi terzi. Esempi di
zone di libero scambio sono l'EFTA in Europa e la NAFTA in America.
Ariane.
Questo programma amplia la portata del -> programma pilota UE sui libri e la
lettura inserendovi anche la traduzione. L'obiettivo principale consiste nel
promuovere traduzioni di letteratura contemporanea, dando la priorità alle lingue
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238
meno note. Il programma Ariane prevede inoltre delle borse per traduttori e
favorisce lo scambio di informazioni ed esperienze fra traduttori
professionisti.Kaleidoscope/Caleidoscopio. Per ulteriori informazioni, contattare:
Commissione europea, DG X, unità D.1, Rue de la Loi 200, B-1049 Bruxelles, Tel.
(322) 299 92 51.
Armonizzazione della legislazione doganale.
Per la CE era di fondamentale importanza armonizzare la legislazione doganale,
affinché la tariffa doganale comune potesse essere applicata in modo uniforme
dopo l'introduzione dell'unione doganale. Questo ha comportato la creazione di un
codice doganale e di nuove regole comuni dirette a escludere i prodotti
provenienti dai paesi terzi che violano i diritti di proprietà industriale (marchi,
ecc.).
Armonizzazione fiscale.
Le diverse aliquote fiscali costituiscono un ostacolo per il -> mercato unico. Il
trattato CE prevede l'armonizzazione dell'imposizione indiretta (articolo 99 CE).
Questo implica la rimozione di tutte le frontiere fiscali all'interno della Comunità, i
cui effetti hanno dovuto essere compensati per evitare distorsioni competitive.
L'esempio più notevole è dato dall'IVA: tanto più vicine sono le aliquote IVA degli
Stati membri, quanto più ridotta diviene l'importanza della compensazione
richiesta. Nel campo dell'imposizione diretta, l'armonizzazione delle imposte
dirette sulle imprese creerà una parità di condizioni sul piano competitivo per tutti
gli operatori. Ma l'armonizzazione fiscale implica delle notevoli restrizioni alla
sovranità nazionale e pertanto ha sempre incontrato una notevole resistenza.
Nell'ottobre 1992 il Consiglio ha adottato delle direttive sul ravvicinamento delle
aliquote IVA e delle accise, in preparazione alla rimozione dei controlli alle
frontiere per i viaggi privati. Nell'ambito del compromesso fiscale, si prevede di
passare al principio del paese di origine per gli scambi commerciali nel 1997. Fino
ad allora i controlli che restano necessari a causa delle diverse aliquote fiscali
esistenti negli Stati membri, vengono effettuati non più alle frontiere ma presso le
stesse imprese.
Armonizzazione.
Si tratta del coordinamento o dell'allineamento delle misure di politica economica
e delle norme legislative e amministrative degli Stati membri al fine di impedire
disfunzioni del mercato comune.
ASEAN (Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico).
Dal 1978 esiste un accordo di cooperazione politica fra l' UE e gli Stati dell'ASEAN
(Brunei, Indonesia, Malesia, Filippine, Singapore, Tailandia e Vietnam) che ha
portato all'istituzione di una conferenza biennale dei ministri degli Esteri dell'UE e
dell'ASEAN. Numerosi comitati e un ufficio permanente (comitato di Bruxelles
dell'ASEAN/ABC) assicurano continui contatti nell'intervallo fra le conferenze
ministeriali. Anche gli scambi sono di estrema importanza in quanto l'UE è il
secondo partner di importanza nelle esportazioni degli Stati ASEAN.
Associazione delle camere di commercio e dell'industria europee. Fondata nel
1958, l'associazione comprende 24 organizzazioni. Attraverso i suoi membri
l'associazione a Bruxelles rappresenta più di 1 200 camere di commercio e
dell'industria che a loro volta rappresentano più di 13 milioni di imprese in tutta
Europa. Indirizzo: 5, rue Archimède, boîte 4, B-1040 Bruxelles.
Atti delle istituzioni della Comunità (strumenti giuridici).
Gli atti adottati dal Consiglio e dalla Commissione possono assumere forme
diverse. Un regolamento è direttamente efficace in tutti gli Stati membri, come la
legge nazionale. Una direttiva richiede che gli Stati membri adottino norme
adeguate per raggiungere le finalità stabilite, ma lascia loro la scelta della forma e
dei mezzi. Le decisioni possono essere rivolte a Stati membri, imprese o singoli
individui ed hanno efficacia diretta. Le raccomandazioni e i pareri non sono
vincolanti. Lo stesso vale per le risoluzioni programmatiche del Consiglio.
Atto unico europeo.
L'Atto unico europeo, ratificato nel 1987, ha completato e modificato i trattati di
Roma, ampliando i poteri della Comunità in diversi settori e perfezionando le
procedure decisionali. L'introduzione delle decisioni prese sulla base di un voto a
maggioranza qualificata, nel quadro della procedura di cooperazione, era una delle
necessità fondamentali per il completamento del -> mercato interno. Mentre
l'unificazione dei mercati era al centro dell'attenzione politica, l'Atto unico ha
fornito una base giuridica per la cooperazione politica europea (CPE), che si era
sviluppata a partire dal 1970. Il trattato di Maastricht è una continuazione del
processo di approfondimento avviato con l'Atto unico europeo.
Azione comune.
L'Azione comune è lo strumento con il quale gli Stati membri dell'UE cercano di
difendere i loro interessi nell'ambito della nuova politica estera e di sicurezza
comune prevista dal trattato sull'Unione europea (articolo J.3, TUE). Il Consiglio,
agendo all'unanimità, definisce la portata e gli obiettivi dell'azione comune e gli
strumenti, le procedure e le condizioni per la sua realizzazione. Nei pareri che
esprimono e nelle iniziative che intraprendono, gli Stati membri sono quindi tenuti
ad attenersi alle posizioni convenute, assicurando in tal modo che l'Unione possa
agire come una forza coesa.
Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo.
Costituita il 14 aprile 1991 con sede a Londra, la BERS, come la BEI, concede
prestiti per iniziative imprenditoriali e progetti di infrastrutture, diretti a
promuovere la transizione verso un'economia libera e di mercato nell'Europa
centrale e orientale. Le risorse finanziarie della Banca ammontano a 10 miliardi di
ecu. In quanto fondatori della Banca, l'Unione europea e gli Stati membri
detengono una partecipazione di maggioranza del 51%. Nel 1994 la Banca ha
finanziato 91 nuovi progetti per un valore totale di 1,87 miliardi di ecu.
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Barriere commerciali.
L'eliminazione dei dazi doganali e delle restrizioni quantitative negli scambi fra gli
Stati membri della CE ha costituito un passo importante verso la creazione di un > mercato unico. Tuttavia il libero scambio può essere frenato anche da altri
ostacoli (noti come «ostacoli non tariffari»). Questi comprendono dazi sulle
importazioni e ostacoli tecnici dovuti alle differenze esistenti nelle legislazioni o
nelle norme sulle qualità fra gli Stati (ad esempio per i prodotti alimentari o i
medicinali). Armonizzando, standardizzando e avvicinando le proprie normative, gli
Stati membri sono riusciti in larga misura a ridurre tutti i sussistenti ostacoli agli
scambi prima della data dell'entrata in vigore del mercato unico a fine 1992.
BC-Net/Rete per la cooperazione fra imprese.
Costituita nel 1988, la rete per la cooperazione fra le imprese collega circa 600
consulenti di impresa del settore pubblico e privato. Attraverso un sistema
informatico centrale in funzione presso il Centro per la cooperazione fra le
imprese di Bruxelles, essi aiutano le piccole e medie imprese dell'UE e di una serie
di altri paesi a trovare dei partner ai fini di una cooperazione. La cooperazione
transfrontaliera consente alle piccole imprese di superare le loro ridotte
dimensioni e partecipare ai programmi di ricerca e sviluppo dell'UE. Indirizzo:
Centro per la cooperazione fra le imprese, 80 rue d'Arlon, B-1040 Bruxelles.
BCC.
Mediante un semplice formulario il centro per la cooperazione delle imprese
permette di trovare dei partner in più di 60 paesi in tutto il mondo. Vi sono più di
500 uffici di collegamento riconosciuti che difendono le informazioni sulle offerte
raccolte a livello centrale a Bruxelles.EIC, BC-NET, EEIG. Per ulteriori informazioni,
contattare: Commissione europea, DG XXIII, Unità B.2, Rue de la Loi 200, B-1049
Bruxelles, Tel. (322) 296 50 03.
BEUC.
L'Ufficio europeo delle unioni di consumatori costituisce un'organizzazione che
comprende le associazioni nazionali dei consumatori, e si preoccupa di
promuovere gli interessi dei consumatori nell'UE. Indirizzo: 36, avenue de Tervuren,
bte 4, B-1040 Bruxelles.
Cabotaggio.
Con cabotaggio si intende la fornitura di servizi di trasporto commerciali
all'interno di un paese, dove non è necessario l'attraversamento delle frontiere. In
precedenza solo i vettori nazionali erano autorizzati a effettuarlo. Nel trasporto su
strada un permesso di cabotaggio autorizza un trasportatore di uno Stato membro
ad accedere al mercato del trasporto commerciale negli altri Stati membri per un
periodo di due mesi. Il rilascio di licenze di cabotaggio è iniziato nel 1990. A causa
delle differenze fiscali esistenti fra gli Stati membri, è stato impossibile
liberalizzare i servizi di cabotaggio pienamente entro il 1 gennaio 1993. In seguito
a un accordo raggiunto al Consiglio sull'introduzione di una vignetta regionale e
ad accordi in materia di imposizione fiscale degli autoveicoli commerciali pesanti,
il numero delle licenze di cabotaggio è stato fissato a 30 000 per il 1994, con un
aumento annuo del 30%. A partire dal 1998 i trasportatori dell'UE potranno
trasportare merci negli altri Stati membri senza alcuna limitazione. Anche per
quanto riguarda il cabotaggio nel trasporto aereo si sta attuando una
liberalizzazione graduale che dovrà essere completata nel 1997.
Caleidoscopio/Kaleidoscope.
Avviato nel 1990, il programma Kaleidoscope mira principalmente a diffondere e
migliorare la conoscenza della cultura e promuovere la cooperazione culturale e
artistica fra gli esperti. Esso comprende tre azioni a sostegno di tre tipi di progetti:
1) avvenimenti culturali e artistici aventi una dimensione europea;
2) promozione della creazione artistica e culturale (formazione professionale e
formazione continua);
3) promozione della cooperazione culturale attraverso le reti (scambio di
informazioni fra gli istituti culturali in Europa).Ariane.
Per ulteriori informazioni, contattare: Commissione europea, DG X, unità D.1, Rue
de la Loi 200, B-1049 Bruxelles, Tel. (322) 299 94 19.
Carta europea dell'energia.
Lanciata all'Aia nel 1991, la Carta europea dell'energia attualmente ha 51
firmatari. Essa propone un codice di condotta che stabilisce i principi, gli obiettivi
e le modalità per raggiungere una cooperazione paneuropea nel settore
dell'energia. Gli obiettivi includono un miglioramento della sicurezza delle
forniture energetiche e l'incoraggiamento di un mercato unico europeo
dell'energia, tenendo conto dei requisiti di protezione dell'ambiente. Dopo più di
tre anni di negoziati il trattato sulla carta europea dell'Energia è stato firmato a
Lisbona il 17 dicembre 1994 ( -> energia).
Carta sociale europea.
Al fine di tener conto della dimensione sociale del mercato unico (in sé stesso una
realtà essenzialmente economica), il 9 dicembre 1989 il Consiglio europeo ha
adottato una Carta europea dei diritti sociali fondamentali, fissando dei requisiti
minimi in un elenco di 30 punti. Esso comprende diritti fondamentali per tutti i
cittadini dell'UE per quanto riguarda la libera circolazione, la parità di
trattamento, la protezione sociale e l'adeguatezza dei salari. Sebbene la carta dei
diritti sociali non sia giuridicamente vincolante, il Regno Unito ha votato contro di
essa ( -> politica sociale).
Cedefop.
Si tratta del Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale (Centre
européen pour le développement de la formation professionelle), che si preoccupa
di promuovere la cooperazione a livello europeo in materia di formazione
241
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professionale. Inizialmente aveva sede a Berlino. Indirizzo: Cedefop, P.O. Box 27,
GR-55102 Thessaloniki (Finikas), tel. (3031) 490 111, fax (3031) 490 102.
CELEX.
Celex è una banca dati multilingue dell'UE che viene continuamente aggiornata.
Oltre alla legislazione ufficiale e alla giurisprudenza dell'UE (presenti col testo
integrale), contiene un gran numero di altri documenti come le proposte della
Commissione, le interrogazioni presentate dai membri del PE e i pareri della Corte
dei conti. Complessivamente contiene dalle 50 000 alle 60 000 pagine per lingua.
CEN/Cenelec.
Il CEN (comitato europeo di normalizzazione) e il Cenelec (comitato europeo di
normalizzazione elettrotecnica) sono gli organismi europei responsabili per le
norme tecniche. Hanno la loro sede a Bruxelles e fungono da organizzazione
congiunta sulle norme tecniche europee, comprendendo le diverse istituzioni
nazionali sia dell'UE che dell'EFTA competenti in materia. Nell'UE la Commissione
e il Consiglio definiscono i profili dei requisiti dei prodotti (vale a dire norme
comuni sui requisiti in materia di sanità e sicurezza, criteri minimi ai fini della
tutela dei consumatori), che gli organismi sulle norme tecniche europee poi
trasformano in norme ufficiali. Attraverso la sostituzione delle norme nazionali
con quelle tecniche viene accelerata l'armonizzazione in materia.
Centro comune di ricerca.
Gli Stati membri dell'Euratom hanno istituito il Centro comune di ricerca nel 1957
per la ricerca sugli usi pacifici dell'energia nucleare. Esistono otto istituti separati
a Ispra (Italia), Geel (Belgio), Karlsruhe (Germania), Petten (Paesi Bassi) e Siviglia
(Spagna). Inoltre nel 1983 è stato istituito un importante centro per il lavoro
sperimentale sulla fusione termonucleare (JET) a Culham (Regno Unito). Il Centro
comune di ricerca effettua ricerche nell'ambito dei programmi UE, concentrandosi
sugli aspetti della tecnologia industriale, della tutela dell'ambiente, dell'energia e
della standardizzazione. Il bilancio del Centro comune di ricerca ammonta a 900
milioni di ecu (1995-1999).
Centro europeo della gioventù.
Il Centro europeo della gioventù è stato costituito dal Consiglio d'Europa a
Strasburgo come centro di formazione internazionale e luogo di incontro. Vi si
svolgono seminari e corsi per associazioni giovanili europee per aiutarle a
organizzarsi a livello europeo, perseguire una cooperazione, scambiarsi
informazioni ed esprimere i propri punti di vista. Indirizzo: European Youth Centre,
30 rue Pierre de Coubertin, F-67000 Strasbourg Wacken.
CERN.
Il CERN (Organizzazione europea per la ricerca nucleare - l'acronimo deriva dalla
precedente denominazione francese: Conseil européen pour la recherche
nucléaire) è un'organizzazione internazionale europea per la ricerca nucleare,
fondata nel 1954, che ha la sua sede centrale a Ginevra. Il suo obiettivo è di
promuovere la cooperazione fra i paesi europei nella ricerca fondamentale, a scopi
puramente scientifici, in materia di energia nucleare e nei settori connessi.
Cittadinanza dell'Unione.
Ai sensi dell'articolo 8 CE è cittadino dell'Unione chiunque abbia la cittadinanza
di uno Stato membro. I cittadini dell'Unione godono dei seguenti diritti: di
circolare e soggiornare liberamente nel territorio dell'UE, di votare ed essere eletto
nelle elezioni comunali ed europee dello Stato membro in cui risiede, di godere
della tutela da parte delle autorità diplomatiche e consolari di altri Stati membri
nel territorio di un paese terzo, e ha il diritto di petizione dinanzi al Parlamento
europeo. Inoltre il Parlamento europeo nomina un mediatore incaricato di
esaminare i ricorsi esaminati dai cittadini dell'Unione in merito
all'amministrazione della Comunità.
Clausola della nazione più favorita.
Un paese che concede a un altro lo status di nazione più favorita si impegna a
concedergli tutte le condizioni commerciali più favorevoli in materia di politica
commerciale che esso già concede ad altri paesi. Tale principio costituisce un
elemento fondamentale del GATT e di altri accordi commerciali.
Comitato dei rappresentanti permanenti (Coreper).
Il Comitato dei rappresentanti permanenti è un organo subordinato del Consiglio.
Esso è composto dai rappresentanti degli Stati membri a livello di ambasciatori, o
dai loro sostituti, ed è responsabile, ai sensi dell'articolo 151 del trattato CE, della
preparazione dei lavori del Consiglio e dell'esecuzione dei compiti che gli vengono
affidati da quest'ultimo. Subordinati al Coreper sono 250 gruppi di lavoro nei quali
vengono esaminati gli atti giuridici da adottare.
Commissione d'inchiesta.
Il trattato sull'Unione europea ha attribuito al Parlamento europeo il nuovo potere
di istituire delle commissioni d'inchiesta al fine di accertare eventuali violazioni
del diritto comunitario. A norma dell'articolo 138 C, CE queste commissioni
temporanee possono essere istituite su richiesta di un quarto dei membri del
Parlamento.
Compromesso di Lussemburgo.
Vedi Consiglio dell'Unione europea.
Comunità europea dell'energia atomica (Euratom).
L'Euratom è stata istituita il 1 gennaio 1958 contemporaneamente alla CEE. Il suo
obiettivo è di svolgere un'attività di ricerca e di sviluppo dell'energia nucleare,
creare un mercato comune dei combustibili nucleari, controllare l'industria
nucleare in modo da proteggere la salute e impedire gli abusi. A partire dal 1967 si
è proceduto alla fusione delle istituzioni della Comunità europea dell'energia
atomica, della CECA e della CEE.
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Comunità europea per il carbone e l'acciaio (CECA).
La CECA, prima fra le Comunità europee, venne istituita nel 1951 dalla Repubblica
federale di Germania, Francia, Italia e i paesi del Benelux. Uno degli obiettivi della
creazione di un mercato comune per i prodotti del carbone e dell'acciaio era di
vincolare la Germania all'Europa postbellica e garantire la pace nell'Europa
occidentale. Le istituzioni della CECA, della CEE e dell'Euratom vennero fuse nel
1967 in virtù di quello che divenne noto come «trattato di fusione».
Confederazione europea dei sindacati (CES).
Fondata a Bruxelles nel 1973, i suoi membri comprendono 41 confederazioni
sindacali di 23 paesi europei e 16 unioni sindacali di categoria. I suoi obiettivi
consistono nel rappresentare gli interessi sociali, economici e culturali dei
lavoratori in Europa e vigilare sul mantenimento e il rafforzamento della
democrazia. I rappresentanti della CES partecipano a diversi comitati UE e EFTA.
Indirizzo: 37, Rue Montagne aux Herbes Potagères, B-1000 Bruxelles.
Conferenza di Barcellona.
Nel novembre 1995, gli Stati dell'UE hanno adottato, assieme a dodici Stati del
Mediterraneo, la dichiarazione di Barcellona. Con l'obiettivo di garantire la
sicurezza nella regione del Mediterraneo, sono stati affrontati tre settori. Il primo
prevede una cooperazione politica e di sicurezza, garantendo i diritti umani e le
libertà politiche fondamentali. Il secondo mira a istituire un'area di libero scambio
mediterranea entro il 2010. Il terzo riguarda i problemi sociali e culturali, incluso il
reciproco rispetto sul piano della cultura e della religione. La conferenza di
Barcellona rappresenta l'inizio dell'approfondimento delle relazioni fra l'UE e gli
Stati della costa meridionale del Mediterraneo ( -> Mediterraneo e politica del
Medio Oriente).
Conferenza di Messina.
Alla conferenza di Messina dell'1 e 2 giugno 1955, i sei ministri degli Esteri della
CECA decisero di avviare negoziati sull'integrazione in altri settori, seguendo il
modello della Comunità europea del carbone e dell'acciaio. Il risultato furono i
trattati di Roma, istitutivi della CEE e dell'Euratom, che vennero firmati il 25
marzo 1957.
Congresso dell'Aia.
Il congresso dell'Aia del maggio 1948, organizzato da un comitato internazionale
di movimenti favorevoli all'unità europea, riunì circa 750 uomini politici
provenienti da quasi tutti i paesi europei. L'appello a favore di un'Europa unita e
democratica lanciato dal congresso nella sua risoluzione finale, trovò una vasta
eco e fornì l'impulso per l'avvio dei negoziati che portarono alla fondazione del
Consiglio d'Europa un anno più tardi. La risoluzione dell'Aia inoltre prevedeva una
Convenzione europea sui diritti dell'uomo (più tardi realizzata dal Consiglio
d'Europa), una Corte europea dei diritti dell'uomo e un'Assemblea parlamentare
europea, istituzioni che vennero create successivamente. Il congresso dell'Aia
segnò inoltre l'inizio del movimento europeista.
Consigli di fabbrica europei.
Nel settembre 1994, dopo anni di opposizione, il Consiglio dell'UE ha finalmente
varato una direttiva sull'istituzione di consigli di fabbrica europei. Una volta che la
direttiva sarà stata recepita negli ordinamenti nazionali, le imprese con almeno 1
000 lavoratori negli Stati membri che occupano almeno 150 persone in uno o più
Stati membri, dovranno istituire un consiglio di fabbrica a livello dell'impresa
entro tre anni. I consigli di fabbrica hanno diritto di essere sentiti e debbono
essere informati sulle principali decisioni della società. In virtù del protocollo
sociale, il Regno Unito è escluso dall'applicazione di questa norma.
Consiglio d'Europa.
Il Consiglio d'Europa venne fondato nel 1949 dai 16 Stati europei con l'obiettivo di
promuovere l'unità e la cooperazione in Europa. Ha sede a Strasburgo e conta ora
40 Stati membri. Il Consiglio d'Europa si è occupato particolarmente dei problemi
concernenti i diritti umani, gli affari sociali, l'istruzione e la cultura. Il suo
strumento più importante è l'adozione di convenzioni. Dato che gli organi
istituzionali del Consiglio d'Europa non possono emanare norme giuridicamente
vincolanti, i singoli Stati membri debbono ratificare le sue decisioni. Ai fini
dell'applicazione della convenzione del Consiglio d'Europa per la tutela dei diritti
dell'uomo, sono state istituite la Commissione europea per i diritti dell'uomo e la
Corte europea per i diritti dell'uomo.
Contingenti tariffari.
L'introduzione di contingenti tariffari consente le importazioni di quantitativi
limitati di merci particolari in esenzione doganale o ad aliquote ridotte.
Utilizzando i contingenti tariffari l'UE o i singoli Stati membri possono garantire le
forniture di merci essenziali senza ridurre la loro protezione doganale oltre
l'importo coperto dal contingente.
Controlli alle frontiere.
A causa della diversità delle legislazioni e delle normative in materia fiscale, di
sanità e di sicurezza, sono necessari i controlli su merci e persone che viaggiano
da un paese all'altro. Nel programma per il mercato unico, gli Stati membri della
CE dovevano allineare le rispettive normative nazionali attraverso
un'armonizzazione o attraverso il riconoscimento reciproco in modo che i controlli
alle frontiere potessero essere smantellati entro il 1 gennaio 1993. Ciò è stato
possibile per il traffico merci. Ma a causa di riserve nazionali e di problemi di
sicurezza irrisolti, i controlli sulle persone non sono stati completamente eliminati
prima del 26 marzo 1995 e solo fra i paesi che hanno firmato il trattato di
Schengen ( -> giustizia e affari interni, -> Europol).
Controllo delle fusioni tra imprese.
Nel settembre 1990 entrò in vigore il regolamento sul controllo delle
concentrazioni tra imprese, in base al quale le fusioni transfrontaliere fra imprese
che hanno una cifra d'affari mondiale superiore a 5 miliardi di ecu (inizialmente)
debbono ricevere l'autorizzazione preventiva della Commissione. L'obiettivo è di
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evitare eccessive concentrazioni di potere in singoli settori dell'economia. Le
fusioni che restano al di sotto di tale soglia rimangono soggette alla normativa
nazionale.
Convenzione di Lomé.
Le convenzioni di Lomé sono accordi multilaterali nel settore degli scambi e dello
sviluppo fra l'UE e i 70 paesi ACP. Essi attribuiscono ai paesi ACP lo status di paese
associato all'UE, offrendo loro, oltre che un'assistenza finanziaria, anche
importanti vantaggi commerciali nelle esportazioni verso l'UE. Le convenzioni
costituiscono il cuore della politica degli aiuti ai PVS dell'UE. Lomé I venne
conclusa nel 1975, per un periodo di cinque anni; essa venne seguita da Lomé II
(1980), Lomé III (1985) e infine Lomé IV nel 1990, che avrà una durata di 10 anni,
con un bilancio di 13,2 miliardi di ecu per il primo quinquennio. Obiettivo
principale della convenzione è lo sviluppo a lungo termine dei paesi partecipanti.
Lomé IV comprende inoltre accordi per la tutela dei diritti umani e lo sviluppo
della democrazia.
Convenzione europea dei diritti dell'uomo (ECHR).
Tale convenzione è stata firmata il 4 novembre 1950 dai membri del Consiglio
d'Europa, che si sono impegnati a tutelare i diritti fondamentali essenziali. Questi
includono il diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della persona, il diritto a
un processo equo, il diritto al rispetto della vita privata e di famiglia, il diritto alla
libertà di pensiero, di coscienza e di religione, il diritto alla libertà di espressione e
di riunione, il divieto della tortura, della schiavitù e del lavoro forzato. Chiunque
subisca una violazione dei propri diritti e libertà, a norma della convenzione ha
diritto di presentare un ricorso presso un tribunale nazionale. Per assicurare il
rispetto dei diritti umani una Commissione e una Corte europee dei diritti
dell'uomo sono state istituite a Strasburgo.
Convertibilità.
La convertibilità è il grado in cui una valuta può essere scambiata con un'altra.
Una moneta è convertibile quando le autorità monetarie consentono ai non
residenti di cambiarla con oro o con divise estere e ai residenti di cambiarla con
divise estere.
Cooperazione politica europea.
La cooperazione politica europea era un sistema di cooperazione e coordinamento
della politica estera attuato dagli Stati membri della CE a partire dal 1970.
Attraverso contatti permanenti fra i loro governi, gli Stati membri cercano di agire
adottando posizioni uniformi in materia di politica estera. Inserita nel trattato
CEE, dall'AUE nel 1987, la Cooperazione politica europea si è trasformata, nel
trattato sull'Unione europea, nella -> politica estera e di sicurezza comune.
COPA.
comitato delle organizzazioni professionali agricole della Comunità europea
(Comité d'organisations professionnelles agricoles), che costituisce uno dei più
importanti gruppi di difesa di interessi professionali nella Comunità. Esso si
mantiene in costante contatto con le istituzioni dell'UE e emana pareri sullo
sviluppo della -> politica agricola comune della Comunità. Fondato nel 1958, il
suo obiettivo principale consiste nell'assicurare condizioni di vita e di lavoro
dignitose, nonché il miglioramento dei redditi, per gli agricoltori. Indirizzo: 23-25,
rue de la Science, B-1040 Bruxelles.
COST.
La Cooperazione europea nel settore della ricerca scientifica e tecnica comprende
più di 20 paesi. Suo obiettivo fondamentale è la programmazione comune di
progetti di ricerca finanziati da singoli paesi nei settori della tecnologia e
dell'informazione, delle telecomunicazioni, dell'oceanografia, della metallurgia e
della scienza dei materiali, della tutela dell'ambiente, della meteorologia,
dell'agricoltura, della tecnologia alimentare, della ricerca medica e della salute.
Criteri di convergenza.
I criteri di convergenza fissati nel trattato di Maastricht sono condizioni per
l'ingresso nella prevista -> unione economica e monetaria europea. Sono requisiti
prescritti per accedere alla UME: 1) aver raggiunto un alto grado di stabilità dei
prezzi; 2) evitare eccessivi disavanzi di bilancio; 3) avere evitato gravi tensioni sui
tassi di cambio all'interno dello SME nel corso dei due anni precedenti; 4) aver
mantenuto i tassi di interesse a lungo termine a un livello non superiore del 2%
rispetto ai paesi dove i prezzi sono più stabili. I criteri sono stati fissati in modo
deliberatamente rigido al fine di garantire la stabilità della prevista moneta unica
(articolo 109 J, CE).
Deroghe concesse alla Danimarca.
Dopo il risultato negativo del referendum svoltosi in Danimarca il 2 giugno 1992
relativo al trattato sull'Unione europea, il Consiglio europeo di Edimburgo, nel
dicembre 1992, adottò una formula di compromesso, consentendo alla Danimarca
di ratificare il trattato dopo lo svolgimento di un secondo referendum nel maggio
1993. In base a tale soluzione, la Danimarca non è obbligata a 1) partecipare alla
terza fase dell'Unione economica e monetaria e all'introduzione di una moneta
unica; 2) a partecipare alla preparazione e alla realizzazione di una politica di
difesa comune; 3) a limitare la cittadinanza nazionale nell'ambito dei programmi
per la cittadinanza europea. Infine, 4) qualsiasi trasferimento di poteri alla
Comunità nei settori della giustizia e degli affari interni richiederà l'autorizzazione
del Parlamento danese con una maggioranza di 5/6 o un ulteriore referendum. È
stato anche ribadito chiaramente che ogni paese potrà continuare a mantenere e
migliorare la propria politica dei redditi, i propri obiettivi in materia ambientale
nonché i vantaggi dello stato sociale.
Dialogo sociale.
Dialogo sociale è l'espressione utilizzata per definire gl incontri fra i
rappresentanti dell'imprenditoria e i lavoratori («le parti sociali») a livello europeo.
Esso risale alla metà degli anni '80, quando la Confederazione europea dei
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sindacati (CES), l'organizzazione dei datori di lavoro UNICE e il Centro europeo
delle imprese pubbliche (ECPE) iniziarono a riunirsi sotto la presidenza della
Commissione. Sulla strada verso il completamento del mercato unico, il dialogo
sociale venne visto come un modo per contribuire ad assicurare condizioni
generali ragionevoli.
Dichiarazione di Petersberg.
La dichiarazione di Petersberg del 19 giugno 1992 ha costituito una tappa
fondamentale sulla strada della trasformazione dell'Unione dell'Europa occidentale
(UEO) nella componente di difesa dell'Unione europea e del pilastro europeo
dell'Alleanza atlantica. La dichiarazione del Consiglio dei ministri dell'UEO
prevedeva, fra l'altro, che, accanto alle missioni nel quadro delle Nazioni Unite o
della Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa, figurino anche in
determinate circostanze azioni di combattimento «per il mantenimento della
pace». Per la preparazione di questi piani di difesa attiva è stata decisa la
creazione di una cellula di pianificazione militare.
Dichiarazione solenne sull'Unione europea.
La dichiarazione solenne uscita dal Consiglio europeo di Stoccarda nel giugno
1983 segnò un passo importante sulla strada verso l'Unione europea. La
dichiarazione rispecchiava il crescente desiderio che la politica estera fosse più
strettamente coordinata nel quadro della cooperazione politica europea. In essa
vennero decisi miglioramenti degli strumenti istituzionali e una cooperazione sul
ravvicinamento delle legislazioni oltre ad un'indicazione degli obiettivi concreti
per l'integrazione economica negli anni seguenti.
Direttive.
La direttiva è lo strumento giuridico con il quale il Consiglio o la Commissione
possono chiedere agli Stati membri di modificare o adottare atti di diritto interno
entro un certo termine, al fine di raggiungere gli obiettivi fissati nella direttiva
stessa.
Diritti antidumping e diritti compensativi.
I diritti antidumping vengono imposti sulle merci importate ad un prezzo più basso
di quello che sarebbe stato applicato sul mercato nazionale del paese esportatore.
Se le merci in questione sono oggetto di sovvenzioni, vengono applicati i diritti
compensativi. Questi due tipi di diritti doganali hanno acquisito importanza in
seguito all'ampio smantellamento dei dazi doganali operato negli ultimi anni. Essi
possono essere imposti solo ad importazioni che sono incompatibili con il mercato
comune in quanto alterano la concorrenza o attribuiscono un ingiusto vantaggio a
talune imprese o tipi di merci ( -> mercato unico).
ECHO.
Istituito nel 1992, l'Ufficio della Comunità europea per gli aiuti umanitari offre
aiuto e sostegno alle vittime di calamità o di guerre. L'ECHO offre assistenza
gratuita a qualsiasi paese al di fuori dell' UE. Alcuni dei beneficiari più importanti
sono stati i popoli della ex Iugoslavia, di Ruanda, Burundi, Sudan, Angola, Haiti, la
regione del Caucaso, l'Afghanistan e Cuba. Per ulteriori informazioni,
contattare: Commissione europea, Ufficio della Comunità europea per gli aiuti
umanitari (ECHO), Rue de la Loi 200, B-1049 Bruxelles, Tel. (322) 295 44 00.
ECIP.
Il programma della Comunità europea per favorire gli investimenti internazionali
promuove gli investimenti dell' UE in Asia, nei paesi terzi della regione del
Mediterraneo e in America latina. Il programma ECIP sostiene quattro procedure
complementari: l'individuazione di partner e di progetti adeguati, misure
preparatorie e la costituzione di un'impresa comunitaria, il finanziamento delle
necessità di capitale, la formazione del management e l'assistenza nella gestione
dell'impresa comunitaria. Complessivamente nel periodo 1992-1997 sono stati
stanziati circa 300 milioni di ecu. -> MED.
Per ulteriori informazioni, contattare: Commissione europea, DG I - Programma
ECIP, Rue de la Loi 200, B-1049 Bruxelles, Tel. (322) 299 02 04.
Ecu (Unità monetaria europea).
L'ecu è l'unità monetaria e contabile europea. Si tratta di un «paniere» costituito
da determinate percentuali (deciso all'unanimità) di monete che fanno parte del > Sistema monetario europeo (SME). L'ecu costituisce la pietra angolare dello
SME: è il valore di riferimento fondamentale per calcolare il margine di
fluttuazione esistente fra le monete della Comunità, serve come unità contabile
per esprimere attivi e passivi e viene utilizzata dalle banche centrali degli Stati
membri per le liquidazioni dei saldi commerciali e come moneta di riserva. La
Comunità utilizza l'ecu per il suo bilancio e per i vari fondi, per fissare i prezzi
agricoli, i dazi doganali e prelievi analoghi. L'ecu può anche essere utilizzata per
operazioni fra privati. Dato che viene calcolata partendo dal valore medio delle
monete UE, l'uso dell'ecu riduce il rischio delle fluttuazioni dei tassi di cambio.
EFTA.
L'Associazione europea di libero scambio (EFTA) venne costituita nel 1960, in
reazione alla creazione della CEE, al fine di impedire discriminazioni economiche.
Nel corso degli anni, le due organizzazioni hanno sviluppato stretti legami
economici che hanno portato alla creazione, nel 1994, dello Spazio economico
europeo (SEE). L'EFTA ha perso molto della sua importanza per il fatto che, a tappe
successive, molti dei suoi membri hanno aderito alla Comunità. Dopo l'ingresso di
Austria, Finlandia e Svezia nell'UE nel 1995, gli unici membri dell'EFTA rimasti
sono ormai l'Islanda, il Liechtenstein, la Norvegia e la Svizzera.
EIC.
Gli Euro Info Centres (Euro Info Centri) sono stati costituiti specialmente per le
imprese e gli altri operatori economici al fine di fornire informazioni sul
funzionamento del -> mercato unico, sui programmi di ricerca e sviluppo
comunitari, sugli strumenti strutturali della Comunità, sulle relazioni esterne
dell'Unione e la concessione di appalti pubblici. Essi favoriscono inoltre la
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cooperazione e i contatti fra società di tutta Europa (attraverso il BC-NET) ai fini
del rafforzamento dei contatti fra gli stessi EIC. BCC.
Per ulteriori informazioni, contattare: Commissione europea, DG XXIII, Euro Info
Centres, Rue de la Loi 200, B-1049 Bruxelles, Tel. (322) 296 13 50.
Erasmus (Programma di azione comunitario in materia di
mobilità degli studenti).
Il programma Erasmus è operativo dal 1987, e promuove gli scambi di studenti e
insegnanti, nonché la cooperazione fra le università europee. Nell'anno
accademico 1994/95 circa 127 000 studenti nell'UE si sono avvalsi della
possibilità di completare parte dei loro studi in un altro Stato membro ( ->
istruzione e gioventù).
Eurathlon.
Il programma Eurathlon prevede un sostegno agli avvenimenti sportivi che
sviluppano la comprensione fra i cittadini della Comunità, in particolare i giovani e
le donne, che si interessano a sport popolari e praticano sport come attività
ricreativa. Esso promuove inoltre misure relative alla formazione sportiva per
sportivi e funzionari del settore sportivo (allenatori, istruttori e arbitri) sotto forma
di corsi comuni. Collegato a Eurathlon è anche il programma «Sport per i disabili»
che prevede misure speciali dirette a integrare i disabili nel mondo dello sport.
(-> Helios).
Per ulteriori informazioni, contattare: Commissione europea, DG X, unità B 5,
Sezione sport, Eurathlon/Sport per i disabili, Rue de la Loi 200, B-1049 Bruxelles,
Tel. (322) 295 66 59.
Eureka (European Research Coordination Agency - Agenzia
europea per il coordinamento della ricerca).
Lanciata nel 1985, Eureka costituisce un'iniziativa di ricerca europea, diretta a
migliorare la competitività dell'Europa in settori fondamentali per il futuro,
attraverso una più stretta cooperazione in campo industriale, tecnologico e
scientifico. Essa comprende la Commissione europea, i 15 Stati membri dell'UE e
altri 7 paesi. I progetti avviati (circa 700 complessivamente) sono tutti puramente
civili e sono selezionati dall'industria, la comunità scientifica e i governi dei paesi
partecipanti. Essi sono organizzati a titolo di iniziative private e possono ottenere
sovvenzioni fino a un 50% del costo (ricerca e tecnologia).
Euridice.
Istituita nel 1980, Euridice è una rete di informazioni dell'UE, che permette alle
autorità comunitarie e nazionali di scambiarsi domande e risposte e costituire in
tal modo una base di informazioni in merito ai diversi sistemi pedagogici europei
( -> giovani e istruzione).
Eurocontrol.
L'Organizzazione europea per la sicurezza della navigazione aerea venne fondata a
Bruxelles nel 1960 dalla convenzione internazionale relativa alla cooperazione per
la sicurezza della navigazione aerea. I suoi membri, oltre agli Stati membri dell'UE,
comprendono anche Cipro, Ungheria, Malta, Norvegia, Svizzera e Turchia.
Eurocontrol dirige e controlla il traffico aereo militare e civile ad altitudini
superiori ai 25 000 piedi e al di fuori dello spazio aereo nazionale.
Eurostat.
L'Eurostat è l'Ufficio statistico dell'Unione europea. Esso produce e pubblica
regolarmente analisi e previsioni statistiche, fornisce alle istituzioni dell'UE dati
validi su cui basare le proprie decisioni e iniziative e mette a disposizione delle
amministrazioni nazionali e del pubblico informazioni su argomenti connessi
all'UE, che si prestano a un'analisi statistica. Quando possibile, esso svolge anche
una funzione di centralizzazione, coordinando e integrando le diverse statistiche
nazionali in un sistema uniforme e comparabile. Indirizzo: Eurostat Information
Office, JMO, B3/089, L-2920 Luxembourg.
Eurovisione.
Eurovisione è il centro tecnico e organizzativo dell'Unione europea della
radiodiffusione (VER), fondata nel 1950. Il suo obiettivo è di incoraggiare la
cooperazione fra emittenti radiotelevisive e promuovere gli scambi di programmi e
trasmissioni. Nel corso degli anni vi è stato un notevole incremento degli scambi
di programmi al fine di ridurre i costi. Essa si concentra attualmente sulla
ridiffusione di notiziari e trasmissioni sportive.
Fondi strutturali.
I fondi strutturali dell'UE sono gestiti dalla Commissione al fine di finanziare
l'aiuto strutturale della Comunità. Essi comprendono la sezione orientamento del
FEAOG per l'agricoltura, il Fondo regionale per l'aiuto strutturale nel quadro della
politica regionale, il Fondo sociale per le misure di politica sociale e il nuovo
Strumento finanziario di orientamento della pesca (SFOP). Anche il Fondo di
coesione creato nel 1993 serve al perseguimento degli obiettivi di politica
strutturale della Comunità. Il sostegno finanziario proveniente dai fondi strutturali
è diretto principalmente alle regioni più povere al fine di rafforzare la coesione
economica e sociale dell'Unione in modo che le sfide del mercato unico possano
essere raccolte in tutta l'Unione. L'azione è concentrata su sei obiettivi principali.
La parte più importante va all'obiettivo n. 1 (sviluppo e aggiustamento strutturale
delle regioni in ritardo di sviluppo). Complessivamente il bilancio dei fondi
strutturali si è quadruplicato negli ultimi anni, totalizzando più di 161 miliardi di
ecu per il periodo 1993-1999.
Fondo di coesione.
Ai sensi dell'articolo 130 D, CE, il Fondo di coesione è stato istituito nel 1993 al
fine di erogare contributi finanziari a progetti in materia di ambiente e di reti
transeuropee nel settore delle infrastrutture dei trasporti. I finanziamenti del
fondo sono destinati esclusivamente ai quattro paesi più poveri della Comunità
(Irlanda, Grecia, Spagna e Portogallo), con l'obiettivo di ridurre le disparità fra le
economie degli Stati membri dell'UE. Nel 1994 sono stati finanziati 51 progetti.
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Dal 1993 al 1999 l'importo dei finanziamenti disponibile attraverso il fondo su
base annuale varia da 1,5 miliardi di ecu a 2,6 miliardi ecu, per un totale di 15,1
miliardi di ecu.
Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia
(FEAOG).
Il FEAOG finanzia la politica agricola comune dell'UE. Il suo obiettivo è di fornire
un sostegno al mercato e promuovere gli aggiustamenti strutturali in agricoltura.
Il FEAOG è diviso in due sezioni: la sezione garanzia finanzia misure di sostegno ai
prezzi e le restituzioni alle esportazioni per garantire ai coltivatori prezzi stabili,
mentre la sezione orientamento concede sovvenzioni per piani di
razionalizzazione, modernizzazione e miglioramenti strutturali nell'attività
agricola ( -> agricoltura).
Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR).
Il FESR contribuisce a ridurre gli squilibri esistenti fra le regioni della Comunità. Il
Fondo è stato istituito nel 1975 e concede un'assistenza finanziaria per lo sviluppo
di progetti nelle regioni più povere. Dal punto di vista delle risorse finanziarie, il
FESR è di gran lunga il più importante dei fondi strutturali dell'UE.
Fondo europeo di sviluppo.
Istituito nel 1957 da parte della Comunità e degli Stati membri, il Fondo europeo
di sviluppo finanzia misure dirette a promuovere lo sviluppo economico e sociale
dei paesi ACP. Oltre a programmi di investimento in questi settori, esso finanzia
progetti di cooperazione tecnica, piani per promuovere l'esportazione, la
commercializzazione e le vendite nonché aiuti di emergenza per casi speciali. Le
risorse del Fondo sono in parte devolute alla stabilizzazione delle entrate derivanti
dall'esportazione di taluni prodotti nell'ambito del sistema Stabex. Ogni Fondo ha
una durata di cinque anni. Il settimo Fondo, relativo al periodo 1990-1995,
ammontava a 10,7 miliardi di ecu.
Fondo europeo per gli investimenti.
Di fronte al peggioramento della situazione economica e alla crescita della
disoccupazione, il Consiglio europeo, nel 1992, decise di avviare un'iniziativa per la
crescita e lo sviluppo. Sotto la guida della Commissione, nel giugno 1994 venne
istituito il Fondo europeo per gli investimenti. Con un capitale di 2 miliardi di ecu,
il Fondo contribuirà a promuovere la ripresa economica negli Stati membri
attraverso il finanziamento dello sviluppo di infrastrutture transeuropee e
fornendo un sostegno alle piccole e medie imprese attraverso garanzie di prestito.
Fondo sociale europeo.
Istituito nel 1960, il Fondo sociale europeo è il principale strumento della politica
sociale della Comunità. Esso offre un'assistenza finanziaria a programmi di
formazione professionale, e per la creazione di posti di lavoro. Circa il 75% dei
finanziamenti autorizzati è destinato alla lotta contro la disoccupazione giovanile.
Con l'aumento delle risorse di bilancio nel quadro del pacchetto Delors II, sono
state apportate delle modifiche al Fondo sociale e il principale obiettivo consiste
ora nel migliorare il funzionamento dei mercati del lavoro e contribuire al
reinserimento dei disoccupati nella vita lavorativa. Un'ulteriore azione si occuperà
della promozione delle pari opportunità, aiutando i lavoratori ad adeguarsi ai
mutamenti nell'industria e nei sistemi di produzione ( -> politica sociale).
FORCE.
FORCE è un programma d'azione dell'UE diretto a promuovere una formazione
professionale continua. Indirizzo: Fehrbelliner Platz 3, D-10707 Berlino.
Forum dei giovani europei.
Il Forum dei giovani europei dell'UE è un'associazione di organizzazioni giovanili
nella Comunità che è stata fondata nel 1978. Esso serve da piattaforma per le
organizzazioni giovanili nei confronti delle istituzioni dell'UE, cercando di
promuovere la partecipazione dei giovani ai futuri sviluppi dell'Unione europea. I
suoi membri sono comitati giovanili nazionali e organizzazioni giovanili
internazionali che rispondono ai criteri stabiliti nel suo statuto. Indirizzo:
European Youth Forum, 112 rue Joseph II, B-1040 Bruxelles.
GATT.
Attualmente sono 123 gli Stati firmatari dell'accordo generale sulle tariffe e il
commercio, che rappresentano in totale il 90% degli scambi mondiali. L'obiettivo
del GATT è di lavorare per lo smantellamento delle barriere commerciali. Dopo sei
tornate di negoziati multilaterali, venne raggiunto un accordo al Tokyo Round per
smantellare le barriere non tariffarie. Nel 1986 si aprì l'Uruguay Round, i cui
negoziati andavano oltre la rimozione delle barriere commerciali e le distorsioni
affrontando nuovi argomenti come gli scambi nei servizi, i problemi di
investimento connessi al commercio e il miglioramento degli accordi per la tutela
della proprietà intellettuale. Dopo anni di discussioni l'Uruguay Round si concluse
il 15 dicembre 1993. La competenza in materia di problemi commerciali è ora
passata dal GATT alla nuova Organizzazione mondiale per il commercio (OMC), che
ha iniziato i suoi lavori agli inizi del 1995.
GEIE.
A partire dal 1 luglio 1989 le imprese della Comunità hanno potuto avvalersi dei
Gruppi europei di interesse economico (GEIE), che costituiscono un primo
strumento per la cooperazione transnazionale. A differenza di una società, esso
non può rivolgersi a terzi, ma deve concentrarsi sui propri membri. Attraverso la
registrazione nello Stato dove ha la propria sede (l'informazione viene inoltre
pubblicata nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee), il GEIE acquisisce la
piena capacità giuridica. (-> BCC, BC-NET, EIC).
Giovani per l'Europa.
Giovani per l'Europa III è un programma d'azione destinato a promuovere gli
scambi di giovani nell'Unione europea. La terza fase (1995-1999) prevede la
continuazione dell'attuale programma Giovani per l'Europa e include inoltre
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progetti nel quadro dei programmi PETRA e Tempus. Gestito su base
decentralizzata da singoli organismi nazionali, nel prossimo quinquennio il
programma interesserà più di 400 000 giovani di età compresa fra i 15 e i 25
anni, inclusi giovani provenienti da paesi terzi ( -> istruzione e gioventù).
Indirizzo: Ministero degli Affari esteri, Agenzia Giovani per l'Europa, Piazzale della
Farnesina 1, I-00194 Roma, Tel. (06) 323 62 18.
Gioventù per l'Europa III.
Obiettivo di questo programma d'azione è promuovere gli scambi fra i giovani
nell'UE, l'Islanda, la Norvegia e il Liechtenstein. Rivolto ai giovani di età compresa
fra i 15 e i 25 anni, esso offre a quanti sono interessati un'assistenza nella
preparazione di uno scambio internazionale fra giovani, nonché un aiuto
finanziario. Sono previsti anche programmi di formazione per leader e
organizzatori di gruppi giovanili. (-> Horizon, Youthstart, Eurathlon).
Per ulteriori informazioni, contattare: Commissione europea, DG XXII (Istruzione e
formazione professionale per i giovani), Rue de la Loi 200, B-1049 Bruxelles.
Gruppo Trevi (Terrorismo, radicalismo, estremismo, violenza
internazionale).
È il nome dato alla cooperazione informale fra i ministri degli Interni e della
Giustizia della CE/UE per combattere il terrorismo internazionale e il traffico di
droga. Esso è stato costituito nel 1975 ed è divenuto operativo a partire dal 1976.
I ministri responsabili della sicurezza interna nella Comunità si incontrano a
questo livello due volte l'anno per discutere la cooperazione e le strategie comuni.
Il gruppo Trevi coopera anche con paesi non membri. La cooperazione fra gli Stati
membri in materia di giustizia e affari interni è disciplinata dall'articolo K del
trattato sull'Unione europea.
Helios II.
Si tratta di un programma destinato a integrare i disabili nella vita economica e
sociale. Il programma Helios II (1993-96) contribuisce a sviluppare lo scambio di
esperienze organizzando seminari, viaggi conoscitivi e esperienze di lavoro, relativi
a diversi argomenti ogni anno. Lavorando assieme alle organizzazioni non
governative, la Commissione partecipa ad attività di finanziamento nei campi della
riabilitazione medica, dell'integrazione nei sistemi educativi generali e
professionali e l'indipendenza dei disabili. (-> Horizon, Eurathlon (sport per i
disabili)).
Per ulteriori informazioni, contattare: Commissione europea, DG V, unità E.3, Rue
de la Loi 200, B-1049 Bruxelles, Tel. (322) 296 05 61.
Horizon.
Questo programma si rivolge a tutte le persone che sono particolarmente esposte
a pregiudizi al momento della ricerca di un lavoro, come i disabili, i disoccupati di
lunga durata, i tossicodipendenti, gli immigrati e i senza tetto. Il programma
sostiene le misure dirette a migliorare la qualità della formazione del gruppo in
questione assieme alle attività che portano direttamente alla creazione di posti di
lavoro per tale gruppo. (-> Helios, Youthstart, NOW).
Per ulteriori informazioni, contattare: Commissione europea, DG V, unità B.4, Rue
de la Loi 200, B-1049 Bruxelles, Tel. (322) 295 28 70.
Importi compensativi.
Gli importi compensativi sono riscossi sulle importazioni di taluni prodotti agricoli
al fine di compensare le differenze di prezzo esistenti nella Comunità in
conseguenza delle fluttuazioni dei tassi di cambio, contribuendo in tal modo alla
stabilità dei prezzi comuni.
Info 92.
Info 92 costituisce una delle oltre 40 banche dati create dall'UE. Essa contiene
informazioni costantemente aggiornate sul mercato unico e vi si può accedere in
vari modi, anche via modem (a pagamento).
Iniziativa di crescita.
Al vertice di Edimburgo nel dicembre 1992, i capi di Stato e di governo hanno
deciso un'iniziativa di crescita per i prossimi anni diretta a rinvigorire l'economia
europea, rendendo più celere il finanziamento per gli sviluppi infrastrutturali.
L'iniziativa includeva la costituzione di uno strumento di prestito temporaneo del
valore di 8 miliardi di ecu, gestito dalla Banca europea per gli investimenti e un
Fondo europeo per gli investimenti per un valore di 2 miliardi di ecu, allo scopo di
fornire garanzie agli investimenti pubblici e privati. Complessivamente tal
strumenti dovrebbero promuovere investimenti per un totale di più di 30 miliardi
di ecu. Combinato con il Fondo di coesione di recente creazione e i provvedimenti
presi a livello nazionale, questo programma di ripresa economica dovrebbe poter
generare una crescita robusta, contribuendo a creare posti di lavoro durevoli e
promuovendo la competitività dell'Europa.
Iniziative comunitarie.
Si tratta di programmi di azione o di aiuto istituiti per completare il
funzionamento dei fondi strutturali in determinati settori. Le iniziative
comunitarie sono preparate dalla Commissione e coordinate e applicate sotto il
controllo nazionale. Nel 1994 la Commissione ha proposto delle linee guida per 15
iniziative comunitarie fino al 1999, che prevedono un finanziamento da parte dei
fondi strutturali per un totale di 13,45 milioni di ecu. Le iniziative riguardano la
cooperazione transfrontaliera (Interreg, REGEN II), lo sviluppo rurale (Leader II), le
regioni ultraperiferiche (REGIS II), le risorse umane (NOW, Horizon, Youthstart), le
trasformazioni industriali e l'occupazione (ADAPT), la trasformazione industriale
(Rechar II, bacini carboniferi; Resider II, aree siderurgiche; Konver, conversione
dell'industria della difesa; RETEX, aree tessili, industria tessile portoghese), la
promozione delle piccole e medie imprese (SMEs), le aree urbane in crisi (URBAN)
e le zone di pesca (PESCA).
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Integrazione flessibile.
Con l'espressione «integrazione flessibile» si intende un processo di integrazione
che si svolge a velocità differenziate. Il concetto di Europa a due velocità significa
che il processo di maggiore integrazione della Comunità interesserà inizialmente
solo quegli Stati membri che sono in grado di parteciparvi. Il vantaggio che
presenta questo tipo di impostazione risiede nel fatto che il ritmo del processo di
unificazione non sarà quello imposto dallo Stato membro più lento o meno
entusiasta. D'altro canto tale impostazione flessibile presenta il rischio che il
processo di integrazione comune possa perdersi per strada. Esempi di integrazione
flessibile sono costituiti dalle disposizioni sull' unione economica e monetaria e
sulla politica sociale. L'UEM costituisce un obiettivo comune al quale
parteciperanno inizialmente solo alcuni Stati membri, mentre il Regno Unito ha
ottenuto la facoltà di non applicare le disposizioni relative alla politica sociale.
Una variante della integrazione flessibile è costituita dal concetto di «nocciolo
duro», in base al quale un gruppo di Stati membri precede gli altri nel processo di
integrazione.
Interreg.
Interreg è un'iniziativa comunitaria per regioni di frontiera che offre assistenza in
materia di cooperazione transfrontaliera su programmi come progetti di
infrastruttura, cooperazione fra organismi pubblici, joint ventures fra imprese e la
cooperazione in materia di tutela ambientale.
Istituto universitario europeo.
L'Istituto universitario europeo, con sede a Fiesole presso Firenze, venne istituito
dagli Stati membri dell'UE e aperto nel 1976. Il suo obiettivo è di contribuire allo
sviluppo del patrimonio culturale e scientifico dell'UE attraverso l'insegnamento e
la ricerca nelle scienze umane e sociali. Circa 200 studenti borsisti seguono corsi
post-laurea nelle quattro facoltà (Storia e civiltà, Economia, Diritto, Politica e
Scienze sociali). Indirizzo: Via dei Roccettini, Badia Fiesolana, I-50016 San
Domenico di Fiesole (Firenze).
JESSI (Iniziativa comune europea nelle tecnologie del silicio
nella dimensione submicronica).
JESSI è un progetto di ricerca Eureka la cui durata va fino al 1997, comprendente
vari istituti di ricerca e società francesi, britanniche, italiane, olandesi e tedesche.
Obiettivo del progetto, che ha una dotazione di bilancio di 3,8 miliardi di ecu, è di
ampliare la tecnologia dei microprocessori a circuito integrati.
JET (Joint European Torus).
JET costituisce il più importante progetto sperimentale nel programma di ricerca e
formazione sulla fusione termonucleare controllata.
JOULE.
JOULE (Joint Opportunities for Unconventional or Long-term Energy Supply) è un
programma specifico di ricerca e di sviluppo tecnologico nel settore delle energie
non nucleari. I finanziamenti stanziati per il periodo 1994-1998 ammontano a un
totale di 967 milioni di ecu.
Le quattro libertà fondamentali.
L'obiettivo principale del trattato CEE era di sopprimere le barriere economiche fra
gli Stati membri come primo passo verso più stretti legami politici. Il trattato
pertanto aveva cercato di istituire un mercato comune all'interno della Comunità,
basato sulle quattro libertà fondamentali: libera circolazione di merci, persone,
servizi e capitali. Dato che dopo quasi 30 anni questo obiettivo non era ancora
stato raggiunto, la Commissione, nel 1985, pubblicò il suo «libro bianco sul
completamento del mercato interno», nel quale fissava un calendario pratico per
arrivare a un autentico -> mercato unico entro il 31 dicembre 1992. Alla scadenza
di questa data, le quattro libertà erano state in gran parte realizzate e solo la
libera circolazione delle persone non aveva potuto essere realizzata pienamente
entro il termine previsto.
Leader.
Iniziativa della Comunità per lo sviluppo rurale nel quadro dei fondi strutturali. Il
programma Leader offre un'assistenza per lo sviluppo economico delle comunità
rurali nelle regioni dove le strutture sono più deboli. L'accento è posto
sull'organizzazione dello sviluppo rurale, sull'acquisizione di nuove qualifiche, sulla
promozione del turismo rurale, sul sostegno alle piccole imprese innovatrici e sulla
promozione di prodotti agricoli ad elevato valore. La seconda fase dell'iniziativa ha
una dotazione di bilancio di 1,4 miliardi di ecu (1994-1999).
Leonardo da Vinci.
A partire dal 1995 i programmi della Comunità sulla formazione professionale
sono stati raggruppati, ampliati o continuati sotto la denominazione di
programma Leonardo da Vinci ( -> giovani e istruzione). Leonardo, che dovrebbe
essere dotato di un bilancio di 620 milioni di ecu (1995-1999), sostituirà, fra
l'altro, i seguenti programmi, man mano che si esauriscono: Comett (programma
di cooperazione fra università ed imprese per la formazione nel campo delle
tecnologie), PETRA (formazione professionale iniziale), FORCE (formazione
professionale continua) e Eurotecnet (innovazione nei metodi di insegnamento).
Libera circolazione dei capitali.
Essa si ha quando i capitali possono spostarsi liberamente fra paesi aventi monete
diverse. A causa degli effetti sulla bilancia dei pagamenti di un paese e quindi
sulla stabilità della sua moneta, nella maggior parte dei paesi esistono restrizioni
sui movimenti di capitali. Nel 1988 il Consiglio decise che la circolazione dei
capitali all'interno degli Stati membri della CE avrebbe dovuto essere totalmente
liberalizzata entro il 1 luglio 1990. La Comunità inoltre intende liberalizzare i
movimenti di capitali fra i paesi dell'UE e i paesi terzi nella maggior misura
possibile ( -> mercato unico).
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Libera circolazione delle merci.
La libera circolazione delle merci è una delle quattro libertà essenziali al
funzionamento del mercato comune. La libera circolazione delle merci attraverso
le frontiere dell'UE implica un'armonizzazione delle imposte e dei dazi doganali,
regole uniformi per la tutela della salute, dei consumatori e dell'ambiente e la
rimozione di tutti gli ostacoli al commercio. Con il completamente del mercato
interno la libera circolazione delle merci è stata in larga misura raggiunta.
Tuttavia, in determinati settori si applicano ancora alcune deroghe o soluzioni
transitorie. A partire dal 1993 i controlli che si rendono ancora necessari non
vengono più effettuati alle frontiere ma presso le sedi delle imprese.
Libera circolazione delle persone.
I lavoratori dipendenti e autonomi dei paesi dell'UE hanno il diritto di lavorare e
prendere dimora in qualsiasi altro Stato membro dell'UE, nonché godere dei
vantaggi sociali disponibili in tale Stato, alle stesse condizioni dei cittadini
nazionali, senza discriminazioni per motivi di nazionalità (articolo 48 CE). Con il
completamento del mercato unico, i cittadini dell'Unione possono prendere
dimora, lavorare e restare dopo il pensionamento, in qualsiasi Stato desiderino
dell'Unione europea. Tuttavia, i sistemi di sicurezza sociale rimangono di
competenza esclusiva degli Stati membri e quindi al fine di impedire abusi, il
diritto di libera circolazione non si applica a quanti dipendono dall'assistenza
sociale. Il principio di non discriminazione per i cittadini UE comprende il diritto
illimitato di ingresso in qualsiasi Stato membro.
Liberalizzazione.
Si tratta della rimozione delle restrizioni nazionali esistenti alla libera circolazione
di merci, servizi, pagamenti e capitali oltre frontiera, che impediscono la libera
concorrenza fra Stati. Oltre all'UE, nella quale la liberalizzazione fra i suoi membri
è più avanzata, una serie di altre organizzazioni internazionali si sforza di
promuovere questo processo, in particolare il GATT, l'OCSE e il Fondo monetario
internazionale (FMI).
Libertà di stabilimento.
La libertà di stabilimento è il diritto dei cittadini dell'UE di stabilirsi in un altro
Stato membro per gestirvi un'impresa, un'azienda agricola o a titolo di lavoratori
autonomi (articoli da 52 a 58 CE). Sebbene le restrizioni alla libertà di stabilimento
siano state vietate a decorrere dal 1 gennaio 1970, esse esistono sempre nella
pratica sotto forma di differenze nelle normative nazionali che disciplinano le
professioni e i vari requisiti per le autorizzazioni. Con la fine del 1992 la maggior
parte di queste barriere sono state rimosse attraverso l'armonizzazione e il
riconoscimento reciproco delle qualifiche professionali e i diplomi ( -> mercato
unico).
Libro bianco sul completamento del mercato interno.
Questo libro bianco venne pubblicato dalla Commissione e approvato formalmente
dal Consiglio europeo nel 1985. Conteneva un elenco di 282 proposte e
provvedimenti diretti a eliminare gli ostacoli pratici, tecnici e fiscali che
impedivano la realizzazione del -> mercato interno (o mercato unico). Ogni anno
la Commissione presenta al Consiglio e al Parlamento europeo una relazione sulle
misure che sono state attuate. Al 1 gennaio 1993 il 95% circa delle misure
elencate nel libro bianco era stato adottato.
Libro bianco sulla crescita, la competitività e l'occupazione.
Pubblicato dalla Commissione europea nel dicembre 1993, questo libro bianco
espone una serie di proposte strategiche dirette, fra l'altro, a ridurre l'elevato
livello di disoccupazione nell'Unione europea. Esso prevede oltre a una politica
economica orientata al mercato, il miglioramento delle infrastrutture attraverso la
creazione di reti transeuropee e misure di politica dell'occupazione, che devono
essere realizzate principalmente dagli Stati membri. La Commissione spera che
questo renda possibile una riduzione del 50% del tasso di disoccupazione, entro la
fine del secolo.
Libro bianco.
Nella terminologia dell'UE un libro bianco costituisce una serie ufficiale di
proposte in un determinato settore della politica. Un libro verde, invece, si limita a
esporre un insieme di idee che debbono servire da base di discussione per il
raggiungimento di una decisione.
LIFE.
Il 18 maggio 1992 è stato adottato un regolamento che crea uno strumento unico
per il finanziamento di azioni in materia ambientale, inglobando tutti quelli già
esistenti (GUA, Medspa, ACNAT). LIFE finanzia misure ambientali prioritarie sia
nella Comunità che nel quadro di programmi di cooperazione internazionale.
Complessivamente per il periodo 1991-1995 sono stanziati 400 milioni di ecu ( ->
ambiente).
Lingua.
Programma dell'UE diretto a promuovere l'insegnamento e l'apprendimento delle
lingue straniere, allo scopo di migliorare la comunicazione all'interno dell'Unione
europea. Il sostegno riguarda solo le lingue degli Stati membri dell'UE, in
particolare quelle meno utilizzate.
Lingue ufficiali dell'UE.
In base ad un regolamento del Consiglio approvato all'unanimità, attualmente le
lingue ufficiali dell'UE sono 11, tutte aventi pari status giuridico: danese,
finlandese, francese, greco, inglese, italiano, olandese, portoghese, spagnolo,
svedese e tedesco. Nessuno degli Stati membri intende rinunciare all'uso della
propria lingua per motivi di prestigio e quindi ogni atto ufficiale dell'UE viene
tradotto in tutte le lingue ufficiali. Un funzionario su cinque dell'UE lavora nei
servizi linguistici. Sotto il livello ministeriale le lingue di lavoro sono l'inglese, il
francese e, in misura crescente, il tedesco. La -> Corte di giustizia, con sede in
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Lussemburgo, utilizza solo il francese come lingua di lavoro, pur consentendo alle
parti di utilizzare la propria lingua nel corso del procedimento.
Maggioranza qualificata.
Il -> Consiglio decide o all'unanimità o con un voto a maggioranza semplice o
qualificata. L'Atto unico europeo e il trattato sull'Unione europea hanno ampliato
l'uso del voto a maggioranza nell'ambito del processo decisionale, al fine di poter
contribuire agli interessi comunitari un peso superiore in caso di contrasto con gli
interessi nazionali. Nel voto a maggioranza qualificata, ai sensi dell'articolo 148
CE, la Germania, la Francia, il Regno Unito e l'Italia dispongono di 10 voti
ciascuno, la Spagna 8, il Belgio, i Paesi Bassi, la Grecia e il Portogallo 5, l'Austria,
la Svezia, la Danimarca, la Finlandia e l'Irlanda 3 e il Lussemburgo 2. Una decisione
viene adottata se ottiene almeno 62 voti (su 87). Le decisioni in materia di politica
estera e di sicurezza comune richiedono, inoltre, il sostegno di almeno 10 Stati
membri. Nel corso di una riunione informale svoltasi a Ioannina nel 1994, i
ministri degli Esteri hanno deciso che, in caso di una maggioranza qualificata
molto ridotta, sarebbe stato fatto qualsiasi sforzo per raggiungere una
maggioranza più ampia. Questo compromesso ha risolto il dibattito
sull'opportunità di una nuova riponderazione della maggioranza qualificata dopo il
recente ampliamento.
Marchio europeo di qualità ecologica (marchio verde).
Concesso per la prima volta nel 1994, il marchio verde europeo è diretto a
incoraggiare i consumatori ad acquistare prodotti che non sono nocivi per
l'ambiente e in tal modo incrementare la domanda di tali prodotti. I criteri per la
concessione del marchio verde sono fissati dall'UE, ma le decisioni sono prese dalle
autorità nazionali. Il simbolo ha la forma di un fiore con petali a stella.
MED.
Questo programma promuove la cooperazione locale con i paesi terzi del
Mediterraneo. Andando oltre la struttura tradizionale della cooperazione
bilaterale, vengono finanziate misure dirette a costituire società nell'area
mediterranea (MED-Invest), progetti regionali per il miglioramento delle
infrastrutture (MED-Urbs), misure di cooperazione fra le università nel campo della
ricerca (MED-Campus e MED-Avicenne) e la cooperazione in materie relative ai
media (MED-Media).(-> ECIP).
MEDIA (Programma di azione volto a promuovere lo sviluppo
dell'industria audiovisiva europea).
Programma diretto a sviluppare l'industria audiovisiva nell'Unione europea e a
creare strutture competitive. Esso offre un'assistenza in materia di formazione dei
lavoratori nell'industria cinematografica, per lo sviluppo di progetti
cinematografici e per la distribuzione di programmi in tutta Europa ( -> mezzi di
comunicazione di massa).
Mediatore.
A norma dell'articolo 138 E, CE il -> Parlamento europeo nomina un mediatore per
la durata del Parlamento, abilitato a ricevere le denunce di qualsiasi cittadino
dell'Unione riguardanti casi di cattiva amministrazione nell'azione delle istituzioni
o degli organi comunitari. Egli può procedere alle indagini che ritiene giustificate e
trasmette una relazione al Parlamento europeo e all'istituzione interessata. Nel
luglio 1995 è stato nominato a tale incarico il finlandese Jacob Magnus
Södermann. Indirizzo: Palais de l'Europe, F-67006 Strasbourg Cedex.
Mercato interno.
È definito dall'articolo 7 A, 2 comma, del trattato CE come «uno spazio senza
frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle
persone, dei servizi e dei capitali secondo le disposizioni del presente trattato».
Mercato unico.
( -> Mercato interno).
Modifica dei trattati.
Gli Stati membri o la Commissione possono presentare proposte dirette a
modificare i trattati al Consiglio (articolo N del TUE). Dopo aver consultato il
Parlamento europeo e, se del caso, la Commissione, il Consiglio può convocare una
conferenza intergovernativa degli Stati membri incaricata di perfezionare tali
emendamenti. Gli emendamenti devono essere ratificati da tutti gli Stati membri
secondo le rispettive procedure costituzionali. Il 7 febbraio 1992 venne firmato a
Maastricht il trattato sull'Unione europea. Dopo l'Atto unico europeo, il trattato di
Maastricht ha costituito la seconda più importante revisione dei trattati di Roma.
A norma dell'articolo N del trattato una conferenza intergovernativa nel 1996
dovrà rivedere e, se necessario, modificare il trattato sull'Unione europea.
Monitor.
Monitor è un programma comunitario nel campo dell'analisi strategica, della
previsione e della valutazione nel settore della ricerca e della tecnologia. Esso
comprende tre campi d'azione: SAST (analisi strategica nel campo della -> scienza
e della tecnologia); FAST (previsione e valutazione nel campo della scienza e della
tecnologia); SPEAR (programma di supporto per le attività di valutazione della
ricerca).
Norme sull'origine.
Dato che è sovente difficile stabilire qual è il vero paese d'origine in caso di merci
la cui produzione comporta una serie di fasi di trasformazione in diversi
stabilimenti, le norme sull'origine stabiliscono quale paese deve essere considerato
come il paese d'origine. Attraverso le norme sull'origine l'UE cerca di impedire a
imprese di paesi terzi di «aggirare» le frontiere esterne trasferendo singole fasi di
produzione nella Comunità.
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NOW.
Il programma per le pari opportunità per le donne, mira ad agevolare l'ingresso
delle donne nella vita lavorativa. Più che limitarsi ad aiutare le donne ad evitare la
disoccupazione, esso intende migliorare le loro possibilità di accedere alle
industrie con un futuro promettente e posizioni leader. Per questo motivo fra le
misure da incentivare figurano la formazione al management, la costituzione di
piccole e medie imprese o cooperative e la formazione di personale di assistenza.
Un'importanza particolare è attribuita alle attività transnazionali. Per il periodo
1994-1999 è stato stanziato un totale di 470 milioni di ecu. -> Horizon. Per
ulteriori informazioni, contattare: Commissione europea, DG V, unità B.4, Rue de la
Loi 200, B-1049 Bruxelles, Tel. (322) 296 31 14.
Nuovo strumento comunitario (NSC).
L'NSC è uno degli strumenti finanziari utilizzati dalla Comunità. Per contribuire al
raggiungimento dei propri obiettivi di politica strutturale la Comunità contrae
prestiti, che poi concede a sua volta, in stretta cooperazione con la BEI, al fine di
finanziare investimenti nel settore dell'energia, dello sviluppo regionale, della
ristrutturazione e dell'adattamento industriale e misure per promuovere la crescita
economica.
OCSE.
Istituita nel 1961, l'OCSE (Organizzazione per la cooperazione economica e lo
sviluppo) promuove la cooperazione internazionale fra i paesi industrializzati a
economia di mercato. Il suo obiettivo principale è di coordinare la politica
economica, commerciale e di sviluppo. Tutti i paesi dell'UE fanno parte dei 24
membri dell'OCSE.
Organizzazione mondiale del commercio (OMC-WTO).
Dopo la conclusione dell'Uruguay Round dei negoziati GATT, nel 1995 è stata
costituita una nuova organizzazione mondiale del commercio indipendente, alla
quale appartengono tutti gli attuali membri del GATT. I compiti dell'OMC
comprendono fra l'altro lo sviluppo delle relazioni commerciali fra i suoi membri
nonché il ruolo di sede per i futuri negoziati commerciali multilaterali.
Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa
(OSCE).
A partire dal 1 gennaio 1995 la OSCE svolge il lavoro iniziato negli anni '70 con la
Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa (CSCE). La CSCE ha svolto
un ruolo importante nello sviluppo della politica europea di distensione. Con la
Carta di Parigi del 1990 la conferenza ha registrato profondi cambiamenti,
acquisendo anche funzioni operative. La OSCE opera in tre «panieri»: i problemi
della sicurezza in Europa (paniere 1); la cooperazione in problemi economici,
scientifici, tecnologici e dell'ambiente (paniere 2); e cooperazione nei problemi
umanitari e altri (paniere 3). Complessivamente l'OSCE conta 57 membri, inclusi
gli Stati Uniti e il Canada.
Pacchetto
Delors I. Si trattava di un insieme di proposte di riforma presentato dalla
Commissione nel 1987 dirette a rivedere il finanziamento della CE, porre un freno
alla spesa agricola, lanciare i fondi strutturali della CE e rivedere le norme sulla
gestione di bilancio. Costituì la base delle decisioni adottate dal Consiglio europeo
di Bruxelles nel febbraio 1988 e, assieme all'Atto unico europeo, ha avuto
un'importanza fondamentale per la realizzazione del programma del mercato
unico.
Pacchetto Delors II.
Nel febbraio 1992, dopo la firma del trattato sull'Unione europea, la Commissione
presentò il pacchetto Delors II, con l'intento di assicurare il finanziamento dell'UE
a medio termine. Le risorse di bilancio dovevano essere incrementate per
permettere di realizzare le decisioni adottate a Maastricht, in particolare al fine di
promuovere la competitività, rafforzare la coesione economica e sociale fra gli
Stati membri ed estendere il ruolo internazionale dell'UE. Nel dicembre 1992 il
pacchetto venne approvato dal Consiglio europeo di Edimburgo, che autorizzò un
graduale incremento delle risorse proprie dell'UE dall'1,2% all'1,27% del PNL entro
il 1999, un ulteriore incremento delle risorse dei Fondi strutturali e la creazione di
un Fondo di coesione.
Pagatore/beneficiario netto.
Sebbene l'UE venga finanziata attraverso le risorse proprie e persegua obiettivi di
livello europeo, la differenza fra quello che un paese versa al bilancio UE e quello
che ottiene, ha sempre costituito una fonte di preoccupazione per i politici. Dato
che la politica agricola comune assorbe ancora un'elevata percentuale del bilancio
UE, i paesi che sono i principali produttori nel settore agricolo ne beneficiano di
più. In quanto paese industriale, la Germania è il più importante pagatore netto:
secondo alcune stime essa ha versato circa 25 miliardi di ecu in più nel bilancio
del 1994, rispetto a quanto abbia ottenuto; ma in quanto principale paese
esportatore è anche uno dei paesi che beneficiano maggiormente del mercato
comune.
Parere conforme (assenso).
Un atto adottato con la procedura del parere conforme può entrare in vigore solo
se il Parlamento europeo lo ha approvato a maggioranza dei suoi membri. La
procedura si applica in vari settori, comprese le decisioni relative alla cittadinanza
dell'Unione, ai fondi strutturali e di coesione, alle norme che disciplinano le
elezioni dirette, ai trattati internazionali e all'adesione di nuovi membri all'Unione
europea ( -> procedure decisionali).
Parità centrali.
Il tasso centrale è il tasso di cambio stabilito per una valuta all'interno del ->
Sistema monetario europeo (SME). Quando le valute divergono, esse si spostano
dalle parità centrali. Se la divergenza di una valuta dalla parità centrale
raggiungeva il 2,25%, scattava il meccanismo di intervento dello SME per
263
264
riportarla verso la parità centrale. Le parità centrali possono essere modificate con
l'accordo di tutti i partecipanti allo SME. Dato che non ci si avvalse di questa
possibilità, a partire dall'autunno del 1992 lo SME cominciò a subire forti tensioni
in più di un'occasione. Dopo la crisi più grave dell'agosto 1993, il Consiglio decise
di lasciar fluttuare le valute rispetto alle loro parità centrali, fino al 15% in
entrambe le direzioni, senza che questo comporti un intervento.
Patente di guida europea.
La patente di guida europea è stata istituita il 1 luglio 1996. Le categorie sono
cambiate (A - motocicli, B - automobili, C - autocarri, D - bus, E - autoveicoli con
rimorchio di più di 750 kg) e i titolari debbono sottoporsi a una visita medica ogni
10 anni. Con il nuovo sistema, una patente non deve essere più cambiata quando
ci si sposta in un altro Stato dell'UE.
PETRA.
PETRA è un programma d'azione comunitario per la formazione professionale dei
giovani e la loro preparazione alla vita professionale. In vigore dal 1989, il suo
obiettivo è di migliorare la qualità della formazione alla luce delle necessità del
mercato comune e assicurare una formazione professionale di elevata qualità per i
giovani. A questo fine è stata costituita una rete di iniziative di formazione ( ->
istruzione e giovani).
PHARE.
Il programma di aiuto per la ristrutturazione economica dell'Europa orientale è
stato deciso nel 1989 da 24 paesi (CE, EFTA, USA, Canada, Australia, Turchia,
Nuova Zelanda, Giappone), affidando alla Commissione il compito del suo
coordinamento. Il programma PHARE consiste in una serie di progetti e iniziative
individuali. L'UE e i suoi Stati membri contribuiscono per circa il 50% al suo
finanziamento. Gli aiuti vengono concessi a misure dirette a sostenere il processo
di riforma economica nell'Europa orientale. L'UE e i paesi beneficiari del
programma PHARE redigono dei programmi indicativi annuali che fissano gli
obiettivi fondamentali e individuano il tipo di aiuti. La responsabilità
dell'applicazione dei programmi normalmente è di competenza degli stessi paesi
beneficiari. Il principio fondamentale è che l'aiuto debba andare sostanzialmente
alle imprese private. Nel quadro di una decisione del Consiglio del novembre 1992
il programma PHARE è stato integrato in una strategia pluriennale collegata agli
accordi europei e ad altre iniziative di aiuto. Il 1994 ha visto la realizzazione di
125 programmi per un totale di 963,3 milioni di ecu ( -> ampliamento).
Piano Marshall.
Programma annunciato dal segretario di Stato degli Stati Uniti George C.
Marshall nel 1947, destinato a ricostruire l'economia europea dopo la seconda
guerra mondiale (programma di ricostruzione dell'Europa). Fino al 1952 vennero
messi a disposizione di 18 paesi dell'Europa occidentale circa 14 miliardi di USD
sotto forma di crediti, prestiti a fondo perduto, aiuto alimentare e in materie
prime. Il piano Marshall svolse un ruolo fondamentale nella ricostruzione
dell'economia dell'Europa occidentale e in particolare della Germania occidentale.
Dal punto di vista politico rientrava nella politica americana di contenimento
dell'influenza comunista.
Piano Schuman.
Il 9 maggio 1950 il ministro degli Esteri francese, Robert Schuman, presentò un
piano per un'integrazione limitata che mise in moto il processo che sfociò
nell'istituzione della Comunità europea per il carbone e l'acciaio nel 1952. Tale
piano realizzava una serie di interessi contrastanti. La Francia mirava a poter
mettere sotto controllo congiunto l'industria siderurgica e carbonifera tedesca al
fine di eliminare qualsiasi possibilità di guerre future, mentre la Germania - che
era ancora sotto sovranità limitata - vedeva la possibilità di essere riconosciuta
con pari dignità fra i sei membri fondatori e l'occasione, offerta dal programma, di
operare una riconciliazione. Per commemorare tale data, il 9 maggio è stato
proclamato giorno dell'Europa.
Posizione comune.
I due pilastri non comunitari dell'Unione europea - la politica estera e di sicurezza
comune e la cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni prevedono la cooperazione intergovernativa fra gli Stati membri dell'UE. I governi
si informano e consultano reciprocamente e possono inoltre adottare posizioni e
azioni comuni. Attraverso una posizione comune gli Stati membri possono definire
e difendere un'impostazione UE coordinata il più strettamente possibile e coerente
con le politiche nazionali (PESC: articolo J.2, UE; CGAI: articolo K.3, TUE).
Prelievi agricoli.
Si tratta di una sorta di dazi imposti sui prodotti agricoli importati nell'UE da paesi
terzi, allo scopo di compensare la differenza esistente fra i prezzi più bassi del
mercato mondiale e il livello dei prezzi all'interno della Comunità. Le loro aliquote
variano seguendo l'andamento dei prezzi sul mercato mondiale. Questi prelievi
all'importazione garantiscono prezzi elevati agli agricoltori dell'UE e costituiscono
una fonte di entrate importante per l'Unione. Speculari ai prelievi agricoli sono le
restituzioni all'esportazione, che servono a coprire la differenza di prezzo esistente
sul mercato nella direzione opposta.
Prezzi di intervento.
Nel quadro della politica agricola comune, i prezzi dei principali prodotti agricoli
possono scendere solo fino a un certo limite, noto come prezzo di intervento.
Quando i prezzi scendono al di sotto di tale limite, gli organismi di intervento
nazionale debbono acquistare i prodotti in questione al prezzo di intervento (non
esiste un limite quantitativo), offrendo così ai produttori un prezzo garantito ( ->
agricoltura).
Prezzi limite.
Nel sistema dei prezzi agricoli dell'UE il prezzo limite è costituito dal prezzo di
costo dei prodotti di trasformazione (uova, pollame, suini), il prelievo agricolo e un
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prelievo addizionale. Questi prodotti godono di una protezione speciale nei
confronti delle importazioni provenienti da paesi terzi i cui prezzi sono inferiori al
costo di produzione, oltre a quella offerta dai prelievi agricoli. Il prezzo limite
viene calcolato sulla base della media dei costi di produzione sul mercato
mondiale. Se i prezzi all'importazione sono inferiori, viene imposto un prelievo
addizionale per portarli al livello del prezzo limite.
Prezzo d'entrata.
I prezzi d'entrata sono i prezzi minimi per le importazioni di prodotti agricoli
nell'UE. Le importazioni che sono più a buon mercato vengono portate al livello
del prezzo d'entrata imponendo dei prelievi e dei dazi doganali. L'obiettivo è di
proteggere i coltivatori europei dalla concorrenza estera.
Principio del paese d'origine.
Il principio del paese d'origine disciplina il trattamento doganale e lo status delle
merci importate. In base a tale principio, le importazioni sono assoggettate a
regole concordate con il paese d'origine. Tuttavia, il principio non si applica al
trattamento fiscale. Dato che le tasse indirette nell'UE non sono state
armonizzate, negli scambi fra due Stati le merci che vengono esportate sono
esonerate dall'imposta alla frontiera e tassate al momento dell'importazione; in
altre parole, vengono tassate nel paese di destinazione. Con lo smantellamento dei
controlli alle frontiere dopo il 1 gennaio 1993, ha dovuto essere organizzato un
sistema di comunicazione al fine di poter trasferire i controlli presso le sedi delle
imprese. Dopo il 1996 l'IVA sulla maggior parte delle merci verrà riscossa nel paese
d'origine. I consumatori privati saranno quindi in grado di acquistare la maggior
parte delle merci alle condizioni che si applicano nel paese d'origine e poi
importarle.
Principio del paese di destinazione.
In base al principio del paese di destinazione, le merci esportate sono esonerate
dall'IVA nel paese di origine (l'imposta viene cioè dedotta) e pagano tale imposta
nel paese di destinazione. Con l'introduzione del mercato unico, la Commissione
europea sta cercando di passare da questo principio, l'unico attualmente
utilizzato, al principio del paese di origine entro il 1997. Gli esportatori dovranno
semplicemente pagare l'IVA dovuta nel paese di origine, indipendentemente dalla
destinazione, eliminando in tal modo la necessità di dedurre la tassa al momento
dell'esportazione e caricarla al momento dell'importazione. Il gettito fiscale
risultante dovrà passare attraverso una «stanza di compensazione» per essere
ripartito fra gli Stati membri dell'UE in base ai flussi commerciali.
Principio di non discriminazione.
Nessun tipo di discriminazione per motivi di nazionalità è consentito nei settori
disciplinati dal trattato CE. In quanto integra il principio della libertà di
stabilimento è un caposaldo fondamentale del mercato unico. Inoltre esso rafforza
quel senso di uguaglianza e di appartenenza che è importante ai fini della
creazione di un'identità europea.
Principio di sussidiarietà.
Il trattato sull'Unione europea ha introdotto il principio di sussidiarietà nel
trattato CE (articolo 3 B, CE). Questo principio significa che la Comunità può agire
nei settori che non sono di sua esclusiva competenza «soltanto se e nella misura in
cui gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati
dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti
dell'azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario».
Procedimento d'infrazione.
I ricorsi per infrazione vengono promossi dinanzi alla Corte di giustizia perché
decida su presunte violazioni dei trattati da parte degli Stati membri. Quando si
ritiene che sia stata commessa una violazione, il ricorso può essere presentato
tanto da uno degli Stati membri quanto dalla Commissione (articoli 169, 170 CE).
Il TUE ha attribuito alla Corte di giustizia il nuovo potere di imporre sanzioni agli
Stati membri che non si conformino alle sue sentenze (articolo 171 CE).
Procedura di codecisione.
La procedura di codecisione è stata introdotta dal trattato sull'Unione europea
(articolo 189 B, CE), e attribuisce più ampi poteri al -> Parlamento europeo. La
legislazione viene adottata in una procedura a più fasi che coinvolge sia il
Consiglio che il Parlamento. Se sorge un disaccordo fra le due istituzioni dopo la
seconda lettura del Parlamento, il Consiglio può convocare un comitato di
conciliazione composto da un uguale numero di membri per entrambe le parti. Se
non viene raggiunto un accordo, un atto non può essere adottato contro la
volontà del Parlamento. La procedura di cui all'articolo 189 B, CE, si applica alle
decisioni concernenti il mercato unico (articolo 100 A, CE), la libera circolazione, il
diritto di stabilimento, la libera prestazione di servizi, l'istruzione, la cultura, la
sanità, la tutela dei consumatori, nonché l'adozione di linee guida o programmi
concernenti le reti transeuropee, la ricerca e l'ambiente ( -> procedure decisionali).
Procedura di cooperazione.
La procedura di cooperazione a norma dell'articolo 149 CEE costituiva una nuova
forma di cooperazione fra le istituzioni della Comunità, introdotta dall'Atto unico
europeo nel 1987. Essa attribuiva al Parlamento europeo un maggiore peso nel
processo decisionale. La procedura venne ampiamente utilizzata per le decisioni
concernenti il completamento del mercato unico. Un elemento fondamentale
nell'accrescere l'influenza del Parlamento consisteva nell'introduzione di una
seconda lettura sia al Parlamento che al Consiglio. Il trattato sull'Unione europea
ha esteso l'uso della procedura di cooperazione, che ora figura all'articolo 189 C
del trattato CE ( -> procedure decisionali).
Procedure dei comitati («Comitatologia»).
Ai sensi del trattato CE, la -> Commissione europea è - di norma - competente per
l'esecuzione delle decisioni adottate dal -> Consiglio dell'Unione europea (articolo
145 CE). Il Consiglio vigila sulle attività di esecuzione della Commissione
attraverso una serie di comitati composti da esperti nazionali che svolgono una
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funzione consultiva, di gestione o normativa, a seconda della sensibilità del settore
in questione. I comitati consultivi hanno solo la facoltà di presentare
raccomandazioni non vincolanti alla Commissione. I comitati di gestione, invece,
possono rinviare le misure di esecuzione della Commissione al Consiglio affinché
decida in merito entro un termine determinato, con sospensione temporanea delle
misure in questione. Se il Consiglio non raggiunge una decisione nel termine
previsto, la Commissione può procedere con l'esecuzione delle misure. I comitati di
regolamentazione possono sospendere le misure della Commissione e rinviarle al
Consiglio; ma se il Consiglio non ha preso la decisione entro il termine previsto, la
Commissione può adottare le misure in questione solo se il Consiglio non le ha
respinte esplicitamente, cosa che può fare a maggioranza semplice. A dispetto
degli auspici della Commissione il Consiglio tende a preferire la procedura del
comitato di regolamentazione che, a norma della decisione del 18 luglio 1987
(decisione 87/373/CEE sulle procedure dei comitati) è libero di scegliere quando
preferisce. Il termine «comitatologia» tende a definire questa impostazione
restrittiva da parte del Consiglio dei poteri esecutivi della Commissione.
Progetto Jean Monnet.
Questo progetto promuove l'insegnamento della storia dell'integrazione europea,
fornendo un aiuto finanziario alla costituzione di strutture educative permanenti
nei settori del diritto comunitario, dell'economia europea, della politica e della
storia attraverso cattedre presso università e altri istituti di istruzione superiore
all'interno e all'esterno della Comunità. Oltre all'istituzione di cattedre, vengono
aiutati progetti, corsi e studi connessi all'integrazione e vengono concesse borse di
studio per un dottorato. Per ulteriori informazioni, contattare: Commissione
europea, DG X, Unità C.6, Jacqueline Lastenouse Bury, Rue de la Loi 200, B-1049
Bruxelles, Tel. (322) 299 94 53.
Programma di azione SME.
Il programma di azione per le piccole e medie imprese (SME) è diretto a migliorare
la crescita, la competitività e l'occupazione. A tale programma è stato destinato
un totale di 112,2 milioni di ecu, che comprende progetti pilota e subprogrammi
relativi alla cooperazione, all'informazione e alle finanze e ha una durata prevista
dal 1993 al 1999. Il Gruppo europeo di interesse economico (GEIE) partecipa
all'applicazione del programma d'azione SME. (-> EEIG, BCC, BC-NET, CSF).
Programmi quadro per la scienza e la tecnologia.
I programmi quadro per lo sviluppo tecnologico e la ricerca ( -> ricerca e
tecnologia) hanno costituito la base della politica della Comunità in questo settore
a partire dal 1984 e costituiscono lo strumento principale per la sua realizzazione.
Essi fissano la direzione strategica per gli obiettivi, le priorità e il volume globale
del finanziamento e della ricerca dell'UE. Avendo una durata di cinque anni, essi
offrono ai programmatori della ricerca una base stabile per lo sviluppo dei
progetti.
Protocollo zucchero.
Il protocollo zucchero costituisce un elemento addizionale alla convenzione di
Lomé nell'ambito della -> politica di sviluppo dell'UE. Per contribuire a garantire le
entrate dei paesi in via di sviluppo che dipendono principalmente dall'agricoltura,
l'Unione garantisce l'acquisto ogni anno di un quantitativo concordato di zucchero
di canna a prezzi UE, che sono notevolmente più elevati dei prezzi del mercato
mondiale.
QCS.
I quadri comunitari di sostegno coordinano le attività regionali dell' UE,
coinvolgendo occasionalmente anche i quattro fondi strutturali (FESR, FSE, FEAOG,
SFOP) e la BEI. In ogni caso tuttavia i progetti devono essere inseriti in piani già
sviluppati dalle autorità nazionali, autorità regionali e i loro partner economici.
(-> FIFG, EAGGF, ESF, ERDF, EIC, BCC).
Quote.
Le quote sono restrizioni quantitative in materia di importazioni o esportazioni e
vengono utilizzate per regolamentare l'offerta. Oltre all'imposizione di quote sulle
merci, un altro modo per limitare gli scambi è l'uso di quote sulle divise, limitando
l'importo di divise disponibili per l'acquisto di particolari tipi di prodotti.
RACE.
RACE (Programma di ricerca e sviluppo sulle tecnologie di telecomunicazioni
avanzate per l'Europa) è il programma più vasto dell'Unione europea nel settore
delle telecomunicazioni. Uno degli obiettivi più importanti consiste nello sviluppo
di tecnologie di telecomunicazioni a banda larga per la trasmissione simultanea di
suoni, immagini e dati ( -> società dell'informazione).
Rapporto Cecchini.
Il rapporto Cecchini, che risale al 1988, è uno studio che viene effettuato, su
richiesta della Commissione europea, sull'istituzione del mercato unico entro il
1992. Il rapporto analizzava le conseguenze economiche del mercato unico,
prevedendo una crescita economica a lungo termine e un miglioramento della
competitività per la CE. Esso calcolava che la rimozione delle barriere esistenti
(controlli alle frontiere, ostacoli tecnici e fiscali e così via) avrebbe potuto produrre
risparmi per circa 200 miliardi di ecu, comportando una riduzione dei prezzi al
consumo, una maggiore crescita economica e la creazione di almeno 1,8 milioni di
posti di lavoro in pochi anni.
Rapporto Spaak.
Nell'aprile del 1956 venne presentato ai ministri degli Esteri degli Stati della CECA
il rapporto Spaak, che raccomandava la creazione di una Comunità economica
europea e di una Comunità europea dell'energia atomica. Alla conferenza di
Messina del 1955 i ministri chiesero a un comitato di esperti sotto la presidenza
del ministro degli Esteri belga, Paul-Henri Spaak, di esaminare le modalità per
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proseguire l'integrazione economica. Il rapporto Spaak formò la base dei trattati di
Roma che vennero firmati il 25 marzo 1957.
Ravvicinamento.
Il ravvicinamento è lo strumento utilizzato dall'UE per superare le distorsioni che
possono crearsi nel mercato comune per effetto di divergenti disposizioni
nazionali fissate con leggi, regolamenti o misure amministrative. L'articolo 100 A
CE prevede il ravvicinamento delle disposizioni che hanno come oggetto la
costruzione e il funzionamento del mercato unico. Di norma il Consiglio si avvale
delle direttive ai fini del ravvicinamento (vedi anche -> armonizzazione).
Regolamento sugli ostacoli agli scambi.
Il nuovo regolamento del dicembre 1994 che si occupa degli ostacoli agli scambi
consente alle industrie e alle società dell' UE nonché agli Stati membri di chiedere
un intervento dell'UE che assicuri il rispetto dei regolamenti commerciali
internazionali qualora paesi terzi dovessero introdurre o mantenere ostacoli agli
scambi. Il termine «pratiche commerciali illecite», su cui si basava il nuovo
strumento di politica commerciale (NSPC), predecessore del presente regolamento,
è stato sostituito dal termine «ostacoli agli scambi».
Regolamento.
I regolamenti sono la fonte legislativa comunitaria più importante. Essi hanno
un'applicazione generale, sono obbligatori in ogni loro parte e direttamente
applicabili in tutti gli Stati membri.
Restituzioni alle esportazioni.
Gli agricoltori che esportano i propri prodotti verso paesi terzi ricevono delle
restituzioni all'esportazione dirette a compensare la differenza esistente fra
l'elevato livello dei prezzi in vigore nell'Unione europea e i prezzi più bassi quotati
sul mercato mondiale. Le restituzioni all'esportazione quindi sono sussidi variabili
destinati a garantire agli agricoltori un prezzo minimo e consentire all'UE di
vendere le proprie eccedenze agricole sul mercato mondiale. Le restituzioni
all'esportazione sono quindi l'equivalente speculare dei prelievi sulle importazioni
di prodotti agricoli nell'UE ( -> agricoltura).
Reti transeuropee.
Al fine di sfruttare il pieno potenziale del mercato unico, la Comunità
contribuisce allo sviluppo di reti transeuropee (articoli da 129 B a 129 D, CE), vale
a dire infrastrutture transfrontaliere nel settore dei trasporti, dell'energia, delle
telecomunicazioni e dell'ambiente. Le misure apportate devono promuovere
l'interoperabilità delle reti nazionali e il loro accesso. Nel 1994 il Consiglio
europeo ha deciso di fornire un sostegno a 14 progetti prioritari nel settore dei
trasporti e a 10 progetti nel settore dell'energia.
Riconoscimento reciproco.
Esso significa che gli Stati membri riconoscono reciprocamente le rispettive norme
o requisiti se consentono di ottenere lo stesso risultato. In base a questo principio
la Corte di giustizia ha stabilito nella causa Cassis de Dijon che un prodotto
legalmente prodotto e commercializzato in uno Stato membro può essere venduto
in tutta la Comunità. Nello sforzo di raggiungere l'obiettivo di un mercato unico, il
riconoscimento reciproco costituisce un'alternativa flessibile all'alquanto
complesso e burocratico processo di armonizzazione.
Ricorsi per carenza.
Se il Consiglio o la Commissione europea si astengono dal pronunciarsi
violando in tal modo il trattato (articolo 175 CE), si può adire la Corte di
giustizia nei loro confronti. Qualsiasi Stato membro o istituzione dell'UE o
qualsiasi persona fisica o giuridica può presentare un ricorso se l'istituzione in
questione non ha preso posizione al termine di un periodo di due mesi dopo essere
stata richiesta di farlo. Ad esempio, nel 1985 la Corte di giustizia si pronunciò a
favore del Parlamento europeo nella causa da questi promossa contro il Consiglio
(ministri dei Trasporti), stabilendo che quest'ultimo non era intervenuto per
realizzare la libertà di prestatore di servizi nel settore dei trasporti, come il
trattato gli imponeva di fare.
Risorse proprie.
Fino al 1970 la spesa comunitaria era finanziata interamente dai contributi
provenienti dagli Stati membri, dopo tale anno il suo finanziamento ha cominciato
a spostarsi gradualmente verso le risorse proprie. Il sistema delle risorse proprie
offre alla CE un certo grado di indipendenza finanziaria dagli Stati membri,
rendendole più facile perseguire più ampi obiettivi di politica europea in modo
autonomo. Il 1 gennaio 1971 gli Stati membri cominciavano a versare il gettito
proveniente dai prelievi agricoli e dai dazi doganali al bilancio CE (integralmente a
partire dal 1975) e dal 1979 anche una percentuale del gettito IVA degli Stati
membri completa il finanziamento del bilancio. Nel 1988 la crisi delle finanze
della CE venne risolta con l'adozione da parte del Consiglio europeo delle decisioni
proposte nel pacchetto Delors I. Quest'ultimo introduceva una quarta risorsa
consistente in una percentuale (calcolata su base annuale) del PIL degli Stati
membri. Nel dicembre 1992 il Consiglio europeo di Edimburgo decise un ulteriore
incremento delle risorse proprie, portando la percentuale del PIL dall'1,2%
all'1,27% fino al 1999 (-> pacchetto Delors II).
SAVE (Azioni specifiche per migliorare l'efficienza
energetica).
Si tratta di un programma diretto a promuovere un migliore uso delle risorse
energetiche dell'UE proteggendo l'ambiente. I principali settori di investimento
sono gli studi tecnici sull'elaborazione di norme e specifiche tecniche, le misure
dirette a promuovere lo sviluppo dell'infrastruttura per le fonti energetiche
rinnovabili, l'assistenza nella creazione di reti di informazione al fine di migliorare
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il coordinamento delle attività della Comunità e dei singoli Stati e le misure
dirette a incoraggiare un uso più efficiente dell'energia elettrica.->Thermie II.
Per ulteriori informazioni, contattare: Commissione europea, DG XVII, unità
C.2/SAVE, Rue de la Loi 200, B-1049 Bruxelles, Tel.: (322) 296 00 23.
Servizi.
La libera prestazione di servizi costituisce una delle quattro libertà fondamentali
stabilite nel trattato CE (articolo 59) ed è divenuta una realtà con l'introduzione
del -> mercato unico. Essa consente ai cittadini dell'UE di prestare servizi oltre
frontiera senza subire restrizioni per motivi di nazionalità. Con il termine «servizi»
si intende qualsiasi servizio fornito attraverso attività di lavoro autonomo nel
settore industriale, agricolo o delle libere professioni.
SFOP.
A partire dal 1994, nello SFOP (Strumento finanziario per l'orientamento della
pesca) sono stati riuniti gli strumenti della Comunità nel settore della pesca. Esso
viene applicato in tutte le regioni costiere, e il suo compito principale è di
migliorare la competitività delle strutture e sviluppare imprese efficienti
nell'industria della pesca cercando di mantenere l'equilibrio fra le capacità di
pesca e le risorse disponibili.(->CSF).
Simboli europei.
Uno dei modi per far sì che i cittadini possano identificarsi con un'entità politica
complessa com'è l'Europa e l'Unione europea è l'uso dei simboli. A partire dal 1986
la CE/UE ha adottato la bandiera del Consiglio d'Europa, che reca un cerchio di 12
stelle d'oro su uno sfondo azzurro. Il numero di stelle, per inciso, non ha niente a
che vedere con il numero degli Stati membri, ma è solo un simbolo di perfezione.
Attingendo sempre al Consiglio d'Europa, l'UE utilizza come proprio inno l'«Inno
alla gioia» della Nona sinfonia di Beethoven. Altri simboli utilizzati dall'UE sono
l'attribuzione annuale di premi europei, l'uso del simbolo dell'Europa al posto delle
indicazioni doganali alle frontiere interne, il passaporto europeo, la patente di
guida uniforme e il giorno dell'Europa (il 9 maggio).
Socrates.
Istituito agli inizi del 1995, Socrates è un programma che riunisce i precedenti
programmi nel settore dell'istruzione, Erasmus e Lingua, più altre misure ( ->
istruzione e giovani). Il finanziamento disponibile ammonta a 850 milioni di ecu
(1995-1999), imperniato su tre aree principali: 1) misure per l'istruzione superiore
(ad es. scambi di studenti, riconoscimento degli studi effettuati all'estero,
dimensione europea degli studi); 2) misure per l'istruzione prescolastica,
elementare e media (ad es. progetti di scuole comuni, formazione avanzata per gli
insegnanti); 3) misure generali (ad es. produzione di materiale pedagogico,
formazione avanzata per insegnanti di lingue).
Sovvenzione.
Le sovvenzioni sono aiuti concessi alle imprese dei governi per fini specifici di
politica economica, sotto forma di un aiuto finanziario diretto o di agevolazioni
fiscali e simili. Ad esempio, sovvenzioni possono essere concesse per mantenere in
vita un'impresa o un intero settore, per aiutare le imprese ad adeguarsi alle
mutate circostanze, ad incentivare la produttività e la crescita dell'industria.
Nell'UE sono vietate le sovvenzioni che alterano la concorrenza. Deroghe sono
consentite quando le sovvenzioni mirano a miglioramenti sociali, strutturali e
regionali. Dato che le sovvenzioni sono un ostacolo al libero scambio sono in atto
degli sforzi, ad esempio in sede GATT, per eliminarle completamente.
Spazio economico europeo (SEE).
In base al trattato SEE firmato nel 1992, lo Spazio economico europeo comprende
il territorio dell'EFTA e dell'UE. All'interno di quest'area, con i suoi 380 milioni di
abitanti, le merci, i servizi, i capitali e i lavoratori possono spostarsi liberamente
come in un mercato unico senza frontiere nazionali al suo interno. Per rendere
possibile questo obiettivo, i paesi dell'EFTA hanno acconsentito ad accogliere circa
l'80% delle norme CE relative al mercato unico. La Svizzera, tuttavia, non ha
potuto aderire in seguito al risultato negativo di un referendum che ha ritardato il
processo di ratificazione. In seguito a ciò, il trattato SEE entrò in vigore solo il 1
gennaio 1994. L'importanza del SEE tuttavia è stata notevolmente sminuita
dall'ingresso di tre membri dell'EFTA nell'UE il 1 gennaio 1995.
Stabex.
Il sistema Stabex costituisce una delle pietre angolari della politica di sviluppo
dell'UE. L'UE garantisce ai paesi ACP dei livelli minimi di entrate per circa 40
prodotti agricoli, che rappresentano la maggior parte delle loro esportazioni. Se le
loro entrate scendono rispetto alla media degli anni precedenti, la Comunità
interviene per colmare il disavanzo con dei prestiti compensativi o dei crediti a
fondo perduto ( -> sviluppo).
Stabilizzatori.
Nel 1988 il Consiglio europeo decise di introdurre degli stabilizzatori al fine di
ridurre le spese della politica agricola. In base a tale programma, i prezzi garantiti
per taluni prodotti agricoli vengono ridotti nella campagna successiva quando è
stato superato il massimale di produzione fissato nella campagna precedente.
Questo contribuisce a ridurre la produzione di eccedenze ( -> agricoltura).
Standardizzazione.
Il mercato unico richiede l'introduzione di norme europee che sostituiscano quelle
nazionali esistenti. Nell'ambito delle direttive di armonizzazione dell'UE, le
organizzazioni sulle norme tecniche europee CEN e Cenelec stanno sviluppando
delle norme tecniche europee. Le norme tecniche europee pertanto elimineranno
un'ampia gamma di ostacoli agli scambi.
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Stati ACP.
Sono i 70 paesi in via di sviluppo dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico che hanno
stipulato con l'UE la (quarta) convenzione di Lomé ( -> politica di sviluppo).
Sysmin.
Sistema inteso a stabilizzare le entrate provenienti dall'industria estrattiva dei
paesi ACP. Fra il resto, vengono concessi prestiti speciali nel quadro di Sysmin per
finanziare progetti specifici nel settore minerario. Nel caso di una caduta delle
esportazioni o della produzione del grezzo a causa di difficoltà di ordine tecnico o
politico, queste misure di aiuto contribuiscono a mantenere la redditività
dell'industria mineraria e in tal modo impedire un calo delle entrate dalla
esportazioni in questo settore.
TACIS.
TACIS (Assistenza tecnica alla Comunità di Stati indipendenti) è un programma di
aiuti dell'UE creato nel 1990 al fine di fornire un'assistenza tecnica agli Stati
indipendenti dell'ex Unione Sovietica e Mongolia.
Tariffa esterna. Con l'introduzione graduale dell'unione doganale nella CEE a
partire dal 1968, i diversi territori doganali degli Stati membri sono divenuti una
sola zona doganale. I dazi doganali esistenti sono stati sostituiti da una tariffa
doganale comune, la «tariffa doganale esterna». A partire dal 1975 il gettito
proveniente dalla tariffa esterna comune è destinato interamente al bilancio CE.
Tempus.
Tempus è il programma di mobilità transeuropea per studi universitari. In seguito
all'apertura dell'Europa centrale e orientale, l'UE ha cercato di rispondere alle
esigenze specifiche dei paesi in questione creando il programma Tempus, che
funziona secondo le stesse linee esistenti per i programmi comunitari in materia di
istruzione e formazione, ed una Fondazione europea per la formazione
professionale. Tempus offre un'assistenza finanziaria a progetti comuni presentati
da organizzazioni dei paesi dell'UE con partner provenienti dai paesi dell'Europa
centrale e orientale. In origine esso comprendeva l'Ungheria, la Polonia, la
Cecoslovacchia e i suoi due Stati eredi, l'ex Iugoslavia e la Bulgaria. Il programma
si concentra soprattutto su determinate aree di particolare importanza per il
processo di trasformazione economica e sociopolitica nell'Europa centrale e
orientale. Anche la seconda fase del programma (1994-1998) copre gli Stati
dell'ex Unione Sovietica nel quadro del programma Tacis.
Thermie II.
Questo programma offre un sostegno finanziario a progetti di dimostrazione di
tecnologie innovative nel settore dell'energia. I progetti debbono sperimentare su
scala reale la capacità di funzionamento delle nuove tecniche e tecnologie che
hanno superato la fase della ricerca, ma che sono di difficile applicazione a causa
dei maggiori rischi tecnologici che presentano rispetto a progetti tradizionali.
SAVE.
Per ulteriori informazioni, contattare: Commissione europea, DG XVII (Energia),
Progetti dimostrativi, risparmio energetico ed energie alternative, Rue de la Loi
200, B-1049 Bruxelles, Tel. (322) 296 04 36.
Trattati di Roma.
I trattati di Roma sono i trattati che istituiscono la Comunità economica europea
(CEE) e la Comunità europea per l'energia atomica (Euratom) più i protocolli
addizionali. Essi vennero firmati il 25 marzo (Natale di Roma) 1957 da Belgio,
Germania, Francia, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi. La CEE e l'Euratom, assieme
alla Comunità europea per il carbone e l'acciaio (CECA), che venne istituita alcuni
anni prima, costituiscono le Comunità europee. Il più importante fra i trattati è il
trattato CEE (ridenominato trattato CE nel 1993), il cui preambolo stabilisce gli
obiettivi principali (essi comprendono un'unione sempre più stretta fra i popoli
dell'Europa, un progresso economico e sociale dei loro paesi, un miglioramento
costante delle condizioni di vita e di occupazione, il mantenimento della pace e
della libertà). I trattati di Roma entrarono in vigore il 1 gennaio 1958 ( -> trattati).
Trattato CEE.
I trattati che istituiscono la Comunità economica europea e la Comunità europea
dell'energia atomica vennero firmati a Roma il 25 marzo 1957 da Belgio, Francia,
Germania, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi. Il trattato CEE, che è il trattato più
importante con un campo di applicazione più vasto, costituisce il cuore del
processo di integrazione europeo. Esso ha subito due importanti revisioni con
l'Atto unico europeo e il trattato sull'Unione europea. Con l'entrata in vigore del
trattato sull'Unione europea, il 1 gennaio 1993, il trattato CEE è stato
ridenominato trattato CE.
Trattato di fusione.
Il trattato di fusione dell'8 aprile 1965 («trattato che istituisce un Consiglio unico
e una Commissione unica delle Comunità europee») ha istituito istituzioni comuni
per la Comunità europea dell'energia atomica, la Comunità europea del carbone e
dell'acciaio e la Comunità economica europea. Esso è entrato in vigore il 1 luglio
1967. Il Parlamento europeo e la Corte di giustizia tuttavia hanno costituito
istituzioni comuni per tutte e tre le Comunità fin da quando vennero istituite la
CEE e l'Euratom.
Trattato di Schengen.
Concluso a Schengen (Lussemburgo) nel 1985, mira alla rimozione graduale dei
controlli alle frontiere interne fra gli Stati membri. Vi è inoltre un altro accordo in
materia di domande di asilo e di cooperazione transfrontaliera fra le forze di
polizia. La data originaria del 1990 per l'apertura delle frontiere ai viaggiatori ha
dovuto essere rinviata diverse volte. Tuttavia una volta costituito il SIS (Sistema di
informazione Schengen) per contribuire alla lotta contro la criminalità
transfrontaliera, è stata decisa la completa rimozione dei controlli alle frontiere il
26 marzo 1995, inizialmente fra sette Stati UE (Germania, Francia, Spagna,
Portogallo, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo). L'Italia, la Grecia e l'Austria
275
L’EUROPA DALLA A ALLA Z
276
seguiranno. Il Regno Unito, l'Irlanda, la Danimarca, la Svezia e la Finlandia non
fanno parte dell'accordo di Schengen ( -> giustizia e affari interni).
EUROPA SENZA FRONTIERE
L'accordo di Schengen
NESSUN CONTROLLO
alle frontiere interne. Controlli più rigidi alle frontiere esterne, inclusi i porti e gli aeroporti.
POLITICA DEI VISTI E DI RESIDENZA
parzialmente armonizzata. Visto uniforme per tutti i paesi Schengen. Politica di asilo comune.
COOPERAZIONE FRA LE FORZE DI POLIZIA
Sistema di informazione Schengen (SIS) - sistema informatico comune di informazione e indagine.
Possibilità per le forze di polizia di inseguire i sospetti oltre frontiera
NORGE
ISLAND
SUOMI
FINLAND
SVERIGE
DANMARK
NEDERLAND
DEUTSCHLAND
BELGIË LUXEMBOURG
BELGIQUE
ÖSTERREICH
FRANCE
ITALIA
PORTUGAL
ESPAÑA
Firmatari dell'accordo di Schengen
Accordo di Schengen in vigore
Accordo di cooperazione
Ufficio dei brevetti europeo.
L'Ufficio dei brevetti europeo è un'organizzazione internazionale che ha la sua
cede centrale a Monaco. Esso contribuisce a promuovere una protezione uniforme
dei brevetti in Europa grazie a un procedimento unico per il rilascio e la tutela di
brevetti che acquistano validità in tutti i paesi firmatari della convenzione sul
brevetto europeo. Sebbene tale ufficio non sia un'istituzione dell'UE, nel 1975 i
nove paesi CE hanno adottato una convenzione sul brevetto comunitario, in base
alla quale i brevetti rilasciati dall'Ufficio europeo dei brevetti sono validi per il
mercato comune. È sufficiente un'unica domanda di brevetto per ottenere un
brevetto per ognuno dei 17 Stati firmatari. Indirizzo: Erhardtstraße 27, D-80298
Munich.
UNICE. (Unione delle confederazioni europee dell'industria e
dei datori di lavoro).
Fondata nel 1959, l'UNICE rappresenta gli interessi delle confederazioni che ne
sono membri dei paesi dell'UE e dell'EFTA. Essa coordina le loro posizioni su
problemi europei e ne fa arrivare i pareri in particolare alle istituzioni europee.
Indirizzo: Rue Joseph II, 4, boîte 4, B-1040 Bruxelles.
Unione dell'Europa occidentale (UEO).
Essa si sviluppò nel 1954, con il trattato di Bruxelles, firmato nel 1948, in funzione
difensiva nei confronti della Germania. Il suo ruolo fondamentale consiste nel
garantire l'assistenza reciproca in caso di un attacco contro l'Europa e nel
mantenimento della pace e della sicurezza in Europa. Per un lungo periodo l'UEO è
stata considerata come il braccio più debole della NATO, nonostante il fatto che gli
accordi fra i suoi firmatari andassero oltre gli accordi NATO. L'UEO sta attualmente
acquisendo una rinnovata importanza in conseguenza del dibattito circa un
pilastro europeo nella politica di difesa e di una dichiarazione concernente l'UEO
contenuta nel trattato di Maastricht che ne prevede il graduale sviluppo come
componente di difesa dell'Unione europea.
Unione doganale.
Un'unione doganale è la fusione di diverse aree doganali in una sola. I dazi
doganali esistenti fra i suoi membri vengono eliminati. A differenza di una zona di
libero scambio, i suoi membri non possono riscuotere i propri dazi doganali sulle
importazioni provenienti dai paesi terzi. Al loro posto viene imposta una tariffa
esterna comune. La CE ha potuto completare l'istituzione dell'unione doganale per
le merci industriali il 1 luglio 1968, con un anno e mezzo di anticipo sul termine
previsto, mentre gli ultimi accordi per i prodotti agricoli sono stati completati il 1
gennaio 1970. I membri successivi dell'UE hanno ottenuto un periodo transitorio
prima dell'applicazione completa dell'unione doganale anche sul loro territorio.
Vertice dell'Aia.
Il vertice dell'Aia del 1969 costituì una pietra miliare nella storia dell'integrazione
europea. I capi di Stato e di governo dei sei Stati membri della CE vi esposero i
loro obiettivi per un ulteriore sviluppo della Comunità. Fra essi figuravano la
277
278
decisione di ampliare la Comunità al nord Europa e le prime iniziative verso
un'unione economica e monetaria attraverso l'ulteriore ravvicinamento degli Stati
membri dal punto di vista economico e politico.
Voto a maggioranza.
Molte delle decisioni prese dal Consiglio dell'Unione europea sono adottate
all'unanimità. Ma al fine di impedire che i progressi nella Comunità venissero
bloccati da interessi particolari, i trattati di Roma prevedevano anche una
votazione a maggioranza semplice o qualificata. Tuttavia, dopo il compromesso di
Lussemburgo - e fino all'entrata in vigore dell'Atto unico europeo - la maggior
parte delle decisioni venivano prese all'unanimità. Da allora, il voto a maggioranza
è stato esplicitamente richiesto per decisioni concernenti il mercato unico (con
solo poche eccezioni) e viene regolarmente utilizzato nella pratica. I settori nei
quali viene fatto ricorso al voto a maggioranza qualificata sono stati ulteriormente
estesi dal trattato sull'Unione europea ( -> procedure decisionali).
Youthstart.
Youthstart è uno strumento importante nella lotta contro la disoccupazione
giovanile. Destinato ai giovani di età inferiore ai 20 anni, il suo obiettivo è di
assicurare un livello minimo di formazione e qualifiche su tutto il territorio dell'
UE, creare collegamenti fra la formazione e il mercato del lavoro, promuovere la
consulenza indipendente e rendere disponibili infrastrutture di sostegno.Giovani
per l'Europa, Horizon.
Per ulteriori informazioni, contattare: Commissione europea, DG V, unità B.4, Rue
de la Loi 200, B-1049 Bruxelles, Tel. (322) 299 40 73.
L’EUROPA DALLA A ALLA Z
Cronologia
dell'integrazione europea
279
280
Cronologia
dell'integrazione europea
a cura di Michael Matern
19 settembre 1946
In un discorso a Zurigo Winston Churchill lancia un appello a
favore degli Stati Uniti d'Europa.
8-10 maggio 1948
Il comitato di coordinamento per l'unità europea organizza il
congresso dell'Aia. Nelle sue risoluzioni il congresso lancia
un appello per un'Europa unita e democratica e la creazione
del Consiglio d'Europa.
5 maggio 1949
Viene costituito a Londra il Consiglio d'Europa, con sede a
Strasburgo.
9 maggio 1950
Il ministro degli Esteri francese Robert Schuman propone la
creazione della Comunità europea del carbone e dell'acciaio
(CECA).
24 ottobre 1950
Il primo ministro francese René Pleven presenta un piano per
la creazione di un esercito europeo integrato.
18 aprile 1951
Il Belgio, la Repubblica federale di Germania, la Francia,
l'Italia, il Lussemburgo e i Paesi Bassi («i Sei») firmano il
trattato che istituisce la Comunità europea del carbone e
dell'acciaio (trattato di Parigi).
27 maggio 1952
I Sei firmano il trattato che istituisce la Comunità europea di
difesa (CED). L'Assemblea nazionale francese rifiuta di
ratificarlo nel 1954.
10 agosto 1952
L'Alta Autorità, l'istituzione esecutiva della CECA, inizia i
suoi lavori sotto la presidenza di Jean Monnet.
10 settembre 1952
I ministri degli Esteri dei Sei chiedono all'Assemblea comune
della CECA di redigere un trattato che istituisce la Comunità
politica europea (CPE). Esso viene presentato il 10 marzo
1953.
10 febbraio 1953
Viene istituito il mercato comune per il carbone, il ferro e i
rottami.
1 maggio 1953
Viene istituito il mercato comune per l'acciaio.
30 agosto 1954
Il trattato che istituisce la CED e quindi la CPE viene respinto
dall'Assemblea nazionale francese.
1-2 giugno 1955
I ministri degli Esteri, riuniti a Messina, decidono di
proseguire sulla strada dell'integrazione. Viene costituito un
comitato intergovernativo presieduto da Paul-Henri Spaak.
25 marzo 1957
A Roma i Sei firmano i trattati che istituiscono la Comunità
economica europea (CEE) e l'Euratom (trattati di Roma).
1 gennaio 1958
I trattati di Roma entrano in vigore. Walter Hallstein è il
primo presidente della Commissione CEE, Louis Armand il
primo presidente della Commissione Euratom.
1 gennaio 1959
I dazi doganali all'interno della CEE vengono ridotti del 10%.
21 luglio 1959
Sette Stati membri dell'Organizzazione per la cooperazione
economica europea (OECE), Austria, Danimarca, Norvegia,
Portogallo, Svezia, Svizzera e Regno Unito decidono di
fondare l'EFTA (Associazione europea di libero scambio). Il
trattato entra in vigore il 3 maggio 1960.
1 gennaio 1961
I dazi nazionali degli Stati membri della CEE vengono
parzialmente allineati per la prima volta. L'obiettivo è una
tariffa esterna unica.
10 febbraio 1961
I capi di Stato o di governo decidono una più stretta
cooperazione politica. Viene istituito un comitato di
funzionari presieduto da Christian Fouchet incaricato di
redigere un piano.
9 luglio 1961
Viene firmato l'accordo di associazione CEE-Grecia.
31 luglio 1961
L'Irlanda chiede di entrare nella CEE.
9 agosto 1961
Il Regno Unito chiede di entrare nella CEE.
10 agosto 1961
La Danimarca chiede di entrare nella CEE.
8 novembre 1961
Vengono aperti i negoziati di adesione con il Regno Unito.
14 gennaio 1962
Il Consiglio adotta i primi quattro regolamenti per un
mercato comune dell'agricoltura, il primo regolamento
finanziario e il regolamento che disciplina la concorrenza.
17 aprile 1962
I negoziati sull'unione politica vengono abbandonati in
281
quanto non è stato raggiunto nessun accordo sulle proposte
del comitato Fouchet.
282
30 aprile 1962
La Norvegia chiede di entrare nella CEE.
14 gennaio 1963
Il presidente francese de Gaulle pone il veto
all'ingresso del Regno Unito.
22 gennaio 1963
La Francia e la Repubblica federale di Germania firmano il
trattato di amicizia e cooperazione di Parigi (trattato
dell'Eliseo).
29 gennaio 1963
I negoziati per l'adesione del Regno Unito vengono interrotti.
20 luglio 1963
Viene firmato a Yaoundé (capitale del Camerun) la
convenzione di associazione fra la CEE e 17 Stati africani e il
Madagascar (convenzione di Yaoundé).
12 settembre 1963
Viene firmato l'accordo di associazione CEE-Turchia.
8 aprile 1965
Viene firmato il trattato di fusione degli organi esecutivi
delle tre Comunità europee CECA, CEE ed Euratom (trattato
di fusione).
10 maggio 1967
Il Regno Unito presenta la seconda domanda di adesione alla
CEE. Anche l'Irlanda presenta la seconda domanda.
11 maggio 1967
La Danimarca presenta la seconda domanda di adesione alla
CEE.
1 luglio 1967
Entra in vigore il trattato di fusione dell'8 aprile 1965. Jean
Rey è il primo presidente della Commissione unificata di
tutte e tre le Comunità (CECA, CEE, Euratom).
24 luglio 1967
La Norvegia presenta la seconda domanda per entrare nella
Comunità.
28 luglio 1967
La Svezia chiede di entrare nella Comunità.
1 luglio 1968
Viene completata l'unione doganale e istituita la tariffa
esterna comune.
29 luglio 1968
È garantita la libera circolazione dei lavoratori all'interno
della Comunità al fine di istituire il mercato comune del
lavoro.
18 dicembre 1968
La Commissione presenta al Consiglio dei ministri il «Piano
Mansholt» per la riforma dell'agricoltura nella Comunità.
4 marzo 1969
Le Comunità firmano l'accordo di associazione con la Tunisia
e il Marocco.
29 luglio 1969
Viene firmata la seconda convenzione di Yaoundé che entra
in vigore il 1 gennaio 1971.
1-2 dicembre 1969
I capi di Stato e di governo si riuniscono all'Aia al fine di
discutere il completamento del mercato unico, una maggior
integrazione e l'ampliamento della CE. Essi decidono di
arrivare gradualmente all'unione economica e monetaria
(UEM) entro il 1980, di accelerare l'integrazione e la
cooperazione in materia politica. Decidono inoltre di avviare
i negoziati con la Danimarca, l'Irlanda, la Norvegia e il Regno
Unito.
19-22 dicembre 1969
Il Consiglio decide un accordo finanziario per l'agricoltura, di
destinare alla CE le risorse proprie e di rafforzare i poteri di
bilancio del Parlamento europeo.
1 gennaio 1970
La responsabilità della politica commerciale esterna passa
dagli Stati membro alla CE.
21 aprile 1970
Il Consiglio decide che a decorrere dal 1975 la CE sarà
dotata di risorse proprie finanziarie («risorse proprie»).
30 giugno 1970
Si apre a Lussemburgo la seconda tornata di negoziati con
Danimarca, Irlanda, Norvegia e Regno Unito.
2 luglio 1970
L'italiano Franco Maria Malfatti diventa presidente della
Commissione CE.
8 ottobre 1970
Viene presentato al Consiglio e alla Commissione il piano
Werner sul raggiungimento graduale dell'unione economica
e monetaria, che prende il nome del primo ministro del
Lussemburgo.
27 ottobre 1970
I ministri degli Esteri della CE, riuniti a Lussemburgo,
presentano il rapporto Davignon sulla cooperazione politica
europea (CPE) ai capi di Stato e di governo.
5 dicembre 1970
Viene firmato l'accordo di associazione CE-Malta.
1 luglio 1971
La Comunità adotta il «sistema di preferenze generalizzate»
negli scambi con 91 paesi in via di sviluppo.
22 gennaio 1972
Vengono firmati i trattati relativi all'adesione di Danimarca,
Irlanda, Norvegia e Regno Unito alle Comunità europee.
283
284
21 marzo 1972
Viene istituito il «serpente» monetario: i governi degli Stati
membri e il Consiglio decidono di lasciar fluttuare i cambi
delle valute degli Stati membri della CE entro un margine
non superiore al 2,25%.
22 marzo 1972
Sicco Mansholt diventa presidente della Commissione CE.
10 maggio 1972
In un referendum l'Irlanda vota a favore dell'ingresso nella
CE.
13 luglio 1972
La Camera dei comuni approva l'ingresso del Regno Unito
nella CE.
22 luglio 1972
Vengono firmati accordi di libero scambio con gli Stati EFTA
che non hanno chiesto di entrare nella CE (Austria, Islanda,
Portogallo, Svezia e Svizzera).
25 settembre 1972
In un referendum la Norvegia respinge l'adesione alla CE.
2 ottobre 1972
In un referendum la Danimarca vota a favore dell'adesione
alla CE.
19-20 ottobre 1972 I capi di Stato e di governo della Comunità ampliata
decidono di trasformare la CE in un'Unione europea e
adottano un nuovo calendario per l'UEM.
19 dicembre 1972
Viene firmato l'accordo di associazione CE-Cipro.
1 gennaio 1973
La CE è formalmente ampliata a nove Stati membri. Alla CE è
attribuita competenza esclusiva per la politica commerciale
comune.
11-12 marzo 1973
L'Irlanda, l'Italia e il Regno Unito escono dal «serpente»
monetario. I ministri delle Finanze della CE decidono di
lasciar fluttuare congiuntamente le loro monete nei
confronti del dollaro mantenendo tassi di cambio fissi tra
loro.
14 maggio 1973
La Norvegia firma l'accordo di libero scambio con la CE.
23 luglio 1973
I ministri degli Esteri della CE presentano la seconda
relazione sulla CPE (rapporto di Copenaghen).
26-27 luglio 1973
Si svolge a Bruxelles la conferenza ministeriale fra la CE e i
46 Stati dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico (Stati ACP) per
avviare relazioni stabili.
5 ottobre 1973
La Finlandia firma l'accordo di libero scambio con la CE.
21 gennaio 1974
I ministri dell'Occupazione e degli Affari sociali adottano il
programma di azione sociale della Comunità con il quale la
CE inizia a occuparsi di tre settori: problemi
dell'occupazione, armonizzazione delle condizioni di vita e di
lavoro e partecipazione delle parti sociali alle decisioni di
politica sociale ed economica della CE.
9-10 dicembre 1974 Al vertice di Parigi i capi di Stato e di governo della CE
decidono di riunirsi regolarmente come Consiglio europeo.
28 febbraio 1975
LA CE e i 46 Stati ACP firmano la prima convenzione di Lomé
(capitale del Togo) che offre un'assistenza finanziaria e
tecnica e facilitazioni commerciali.
10-11 marzo 1975
A Dublino i capi di Stato e di governo si riuniscono per la
prima volta come Consiglio europeo.
18 marzo 1975
Il Consiglio dei ministri decide di costituire il Fondo europeo
di sviluppo regionale (FESR).
11 maggio 1975
La CE e Israele firmano un accordo di cooperazione.
5 giugno 1975
In un referendum il Regno Unito vota a favore della
permanenza nella CE.
12 giugno 1975
La Grecia chiede di entrare nella CE.
16 settembre 1975
Vengono stabilite relazioni ufficiali fra la CE e la Cina.
1-2 dicembre 1975 Il Consiglio europeo di Roma decide di introdurre un
passaporto europeo e di partecipare al dialogo Nord-Sud.
16 febbraio 1976
Il Consiglio di mutua assistenza economica (Comecon)
propone un accordo fra i suoi membri e la CE.
27 luglio 1976
Si aprono i negoziati di adesione con la Grecia.
20 dicembre 1976
Roy Jenkins diventa presidente della Commissione CE.
28 marzo 1977
Il Portogallo chiede di entrare nella CE.
1 luglio 1977
I dazi doganali fra i nove Stati membri CE vengono
completamente soppressi.
28 luglio 1977
La Spagna chiede di entrare nella CE.
6-7 luglio 1978
Il Consiglio europeo di Brema approva il piano che istituisce
il Sistema monetario europeo (SME) e l'unità monetaria
europea (ecu).
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286
5 settembre 1978
I paesi CE avviano i negoziati sulla politica comune della
pesca.
17 ottobre 1978
Vengono aperti i negoziati di adesione col Portogallo.
5 febbraio 1979
Vengono aperti i negoziati di adesione con la Spagna.
13 marzo 1979
Lo SME entra in vigore retrospettivamente dal 1 gennaio
1979.
28 maggio 1979
Vengono firmati ad Atene gli atti relativi all'adesione della
Grecia.
7-10 giugno 1979
Si svolgono nei nove Stati membri le prime elezioni del
Parlamento europeo a suffragio universale diretto.
17-20 luglio 1979
Si svolge a Strasburgo la prima sessione del Parlamento
eletto direttamente. Simone Veil viene eletta primo
presidente del Parlamento.
31 ottobre 1979
A Lomé viene firmata la seconda convenzione tra la CE e 58
Stati ACP.
7-8 marzo 1980
La Comunità firma l'accordo di cooperazione con gli Stati
dell'ASEAN.
2 aprile 1980
La Comunità firma l'accordo di cooperazione con la
Iugoslavia.
12-13 giugno 1980 Il Consiglio europeo di Venezia pubblica una dichiarazione
sul conflitto nel Medio Oriente.
28 luglio 1980
La CE firma l'accordo di cooperazione con la Romania.
6 ottobre 1980
La Commissione dichiara lo stato di crisi manifesta
dell'industria dell'acciaio e chiede al Consiglio di approvare
l'introduzione di quote di produzione.
1 gennaio 1981
La Grecia diventa il decimo Stato membro CE.
6 e 20 gennaio 1981 I ministri degli Esteri di Italia e Germania propongono di
rafforzare la CPE (iniziativa Colombo/Genscher).
6 gennaio 1981
Gaston Thorn diventa presidente della Commissione CE.
13 ottobre 1981
Al Consiglio europeo di Londra i ministri degli Esteri della CE
approvano il rapporto di Londra sui miglioramenti
procedurali per la CPE.
4 gennaio 1982
I ministri degli Esteri della CE condannano l'imposizione
della legge marziale alla conferenza speciale sulla situazione
in Polonia.
19 febbraio 1982
Pieter Dankert viene eletto secondo presidente del
Parlamento dopo l'introduzione delle elezioni europee.
23 febbraio 1982
In un referendum la Groenlandia vota a favore dell'uscita
dalla CE.
30 giugno 1982
Dichiarazione congiunta di Parlamento, Consiglio e
Commissione sulle misure per migliorare le procedure di
bilancio.
25 gennaio 1983
Dopo sei anni di negoziati gli Stati membri raggiungono un
accordo sulla politica comune della pesca.
17-19 giugno 1983 A Stoccarda il Consiglio europeo firma la cosiddetta
«dichiarazione solenne sull'Unione europea».
14 febbraio 1984
Il Parlamento approva il progetto di trattato sull'Unione
europea redatto dalla commissione affari istituzionali
presieduta da Altiero Spinelli.
14-17 giugno 1984 Seconde elezioni dirette al Parlamento europeo.
25-26 giugno 1984 In Consiglio europeo di Fontainebleau compie dei progressi
in settori importanti: decisione di costituire il comitato
Dooge sugli affari istituzionali e il comitato Adonnino sulla
«Europa dei cittadini».
24 luglio 1984
Pierre Pfimlin viene eletto terzo presidente del Parlamento
da quando sono state istituite le elezioni europee.
26 settembre 1984
Viene siglato l'accordo di cooperazione economica e
commerciale fra la Cina e la CE.
8 dicembre 1984
Viene firmata la terza convenzione di Lomé dalla CE e da 65
Stati ACP.
7 gennaio 1985
Jacques Delors diventa presidente della Commissione CE.
29-30 marzo 1985
Il Consiglio europeo di Bruxelles approva i «Programmi
mediterranei integrati» che eliminano tutti i residui ostacoli
per l'adesione di Spagna e Portogallo.
12 giugno 1985
Vengono firmati gli strumenti di adesione di Spagna e
Portogallo.
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288
14 giugno 1985
La Commissione presenta il libro bianco sul completamento
del mercato interno.
28-29 giugno 1985 Il Consiglio europeo raggiunge una decisione a maggioranza
per indire la conferenza intergovernativa incaricata di
modificare i trattati di Roma ai sensi dell'articolo 236 CEE.
2-3 dicembre 1985
Il Consiglio europeo di Lussemburgo approva la riforma
istituzionale, l'estensione delle competenze della Comunità e
le norme sulla cooperazione in politica estera. Le modifiche
al trattato vengono riunite nell'Atto unico europeo.
1 gennaio 1986
La Spagna e il Portogallo entrano nella Comunità, portando il
numero degli Stati membri a 12.
17 e 28 febbraio 1986
I governi dei 12 Stati membri firmano l'Atto unico europeo.
1 gennaio 1987
Viene insediato a Bruxelles il segretariato della CPE.
20 gennaio 1987
Sir Henry Plumb viene eletto quarto presidente del
Parlamento europeo eletto direttamente dai cittadini
europei.
14 aprile 1987
La Turchia chiede di entrare nella CE.
1 luglio 1987
Entra in vigore l'Atto unico europeo.
11-12 febbraio 1988 Il Consiglio europeo di Bruxelles approva il «Pacchetto Delors
I» che riforma il sistema finanziario e la politica agricola
comune e raddoppia i fondi strutturali CE.
29 marzo 1988
La Commissione presenta il rapporto Cecchini («Il costo della
non Europa») che quantifica i vantaggi di un mercato unico.
26 settembre 1988
Viene firmato un accordo di cooperazione economica e
commerciale fra l'Ungheria e la CE.
15-18 giugno 1989 Terze elezioni dirette al Parlamento europeo.
26-27 giugno 1989 Il Consiglio europeo di Madrid decide di indire la conferenza
intergovernativa conformemente al «Piano Delors», preparato
dai governatori delle Banche centrali sotto la direzione del
presidente della Commissione Delors, che prevede la
creazione della UEM in tre tappe.
29 giugno 1989
La Spagna entra nello SME.
17 luglio 1989
L'Austria chiede di entrare nella CE.
26 luglio 1989
Enrico Barón Crespo viene eletto quinto presidente del
Parlamento europeo eletto direttamente dai cittadini
europei.
19 settembre 1989
Viene firmato l'accordo di cooperazione commerciale ed
economica fra la Polonia e la CE.
15 dicembre 1989
Viene firmata la quarta convenzione di Lomé fra la CE e 68
Stati ACP.
19 dicembre 1989
Iniziano i negoziati fra la CE e i paesi EFTA sul rafforzamento
della cooperazione e la formazione dello Spazio economico
europeo (SEE).
9 maggio 1990
Viene firmato l'accordo di cooperazione e scambio fra la
Bulgaria e la CE.
19 giugno 1990
Viene firmato il secondo trattato di Schengen a
Lussemburgo.
25-26 giugno 1990 Il Consiglio europeo di Dublino decide di indire una
conferenza intergovernativa sull'UEM e un'altra sull'unione
politica.
1 luglio 1990
Ha inizio la prima fase dell'UEM.
4 luglio 1990
Cipro chiede di entrare nella CE.
16 luglio 1990
Malta chiede di entrare nella CE.
21 agosto 1990
La Commissione adotta un pacchetto di misure per integrare
la Repubblica democratica tedesca nella CE.
3 ottobre 1990
Entra in vigore il trattato fra la Repubblica federale di
Germania e la Repubblica democratica tedesca che unifica la
Germania. I cinque nuovi Länder entrano a far parte della CE.
8 ottobre 1990
Il Regno Unito diventa il decimo membro dello SME.
29 marzo 1991
I membri dell'accordo di Schengen e la Polonia firmano un
accordo sull'abolizione dei visti, che entra in vigore l'8 aprile
1991.
24 giugno 1991
I ministri delle Finanze si mettono d'accordo
sull'armonizzazione dell'IVA e delle accise su alcool, tabacco
e oli minerali. Dal 1993 l'aliquota IVA normale non deve
289
essere inferiore al 15%.
290
25 giugno 1991
La Spagna e il Portogallo aderiscono all'accordo di Schengen.
1 luglio 1991
La Svezia chiede di entrare nella CE.
9-10 dicembre 1991 Vertice europeo a Maastricht. I capi di Stato e di governo
raggiungono un accordo sul testo del trattato sull'Unione
europea.
16 dicembre 1991
Vengono firmati a Bruxelles gli accordi europei fra CE e
Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia.
13 gennaio 1992
Egon Klepsch viene eletto sesto presidente del Parlamento
europeo.
7 febbraio 1992
Viene firmato il trattato di Maastricht sull'Unione europea.
18 marzo 1992
La Finlandia chiede di aderire alla CE.
5 aprile 1992
L'escudo portoghese aderisce allo SME.
2 maggio 1992
A Oporto i ministri degli Esteri della CE e dell'EFTA firmano
l'accordo che istituisce lo Spazio economico europeo (SEE).
20 maggio 1992
La Svizzera chiede di aderire alla CE.
2 giugno 1992
In un referendum, il 50,7% dei danesi vota contro la ratifica
del trattato sull'Unione.
20 settembre 1992
In un referendum, il 51,05% dei francesi vota a favore della
ratifica del trattato sull'Unione.
25 novembre 1992
La Norvegia chiede di aderire alla CE.
6 dicembre 1992
In un referendum la Svizzera vota contro il trattato SEE.
11-12 dicembre 1992
Il Consiglio europeo di Edimburgo accoglie la richiesta
danese di poter non aderire alla moneta unica e alla politica
di difesa comune nell'Unione europea. Esso approva il
pacchetto Delors II sugli accordi finanziari per la CE fino al
1999 e l'iniziativa di crescita.
22 dicembre 1992
Viene firmato un accordo europeo fra la CE e la Bulgaria.
1 gennaio 1993
Il mercato unico è in larga misura completato.
12 gennaio 1993
L'Islanda ratifica il trattato SEE. Con l'eccezione della
Svizzera tutti gli Stati EFTA lo hanno fatto.
1 febbraio 1993
Firma dell'accordo europeo fra la CE e la Romania.
17 marzo 1993
Un protocollo aggiuntivo permette alla CE e all'EFTA di far
entrare in vigore il trattato SEE dopo il ritiro della Svizzera.
18 maggio 1993
In seguito all'accettazione della richiesta danese di avere la
facoltà di non partecipare alla terza fase dell'UEM (opt-out)
(Protocollo n. 12 TUE), il 56,8% dei danesi vota a favore del
trattato sull'Unione in un secondo referendum.
2 agosto 1993
In seguito ai disordini all'interno dello SME, i ministri
dell'Economia e delle Finanze allargano temporaneamente la
fascia di fluttuazione del meccanismo di cambio europeo dal
2,25% al 15%.
4 ottobre 1993
Viene rinegoziato l'accordo europeo firmato dalla CE e dagli
Stati successori della Cecoslovacchia.
12 ottobre 1993
La Corte costituzionale tedesca decide a favore del trattato
sull'Unione europea. La sua ratifica è ora completata in tutti
gli Stati membri.
29 ottobre 1993
Al vertice speciale di Bruxelles i capi di Stato e di governo
dell'Unione europea decidono la sede delle nuove istituzioni
UE. L'Istituto monetario europeo avrà sede a Francoforte,
l'Europol nei Paesi Bassi e l'Agenzia europea dell'ambiente in
Danimarca.
1 novembre 1993
Entra in vigore il trattato sull'Unione europea.
10-11 dicembre 1993 La situazione economica nell'Unione europea diventa
l'argomento principale del Consiglio europeo di Bruxelles. Il
presidente della Commissione Delors presenta il libro bianco
sulla crescita, la competitività e l'occupazione.
1 gennaio 1994
Ha inizio la seconda fase dell'unione economica e monetaria.
16 marzo 1994
Vengono conclusi i negoziati di adesione con la Norvegia,
dopo l'Austria, la Finlandia e la Svezia.
1 aprile 1994
L'Ungheria chiede di aderire all'UE.
8 aprile 1994
La Polonia chiede di aderire all'UE.
9-12 giugno 1994
Quarte elezioni dirette nel Parlamento europeo.
291
292
12 giugno 1994
In un referendum il 66,4% degli austriaci vota a favore
dell'adesione all'UE.
24-25 giugno 1994 Al Consiglio europeo riunito a Corfu l'UE e la Russia firmano
un accordo di cooperazione.
19 luglio 1994
Klaus Hänsch (PSE) viene eletto settimo presidente del
Parlamento europeo eletto direttamente dai cittadini
europei.
16 ottobre 1994
In un referendum il 57% dei finlandesi vota a favore
dell'adesione all'UE.
13 novembre 1994
Il 52,2% degli svedesi vota a favore dell'adesione all'UE.
27-28 novembre 1994
Il 52,2% dei norvegesi vota contro l'adesione all'UE.
9-10 dicembre 1994 Il Consiglio europeo di Essen decide la strategia per
avvicinare i paesi dell'Europa centrale e orientale all'UE e
approva la nuova strategia per il Mediterraneo della
Commissione.
1 gennaio 1995
Austria, Finlandia e Svezia entrano nell'UE.
9 gennaio 1995
L'Austria aderisce allo SME.
19 gennaio 1995
Dopo un acceso dibattito il Parlamento europeo approva la
nuova Commissione europea.
23 gennaio 1995
La Commissione, presieduta da Jacques Santer, inizia il suo
mandato quinquennale.
26 marzo 1995
Entra il vigore il trattato di Schengen. Non sono più previsti
controlli sui passaporti fra i paesi del Benelux, Francia,
Germania, Portogallo e Spagna.
12 giugno 1995
L'UE firma gli accordi di associazione con l'Estonia, la
Lettonia e la Lituania.
22 giugno 1995
La Romania chiede di aderire all'UE.
26-27 giugno 1995 Il Consiglio europeo di Cannes incarica il «gruppo di
riflessione» di preparare la conferenza intergovernativa del
1996 sulla revisione del trattato sull'Unione europea.
27 giugno 1995
La Repubblica slovacca chiede di aderire all'UE.
18 luglio 1995
L'UE firma il primo accordo di associazione con la Tunisia
come parte della sua nuova politica mediterranea.
17 settembre 1995 In Svezia si svolgono per la prima volta le elezioni per il
Parlamento europeo.
27 ottobre 1995
La Lettonia chiede di entrare nell'UE.
20 novembre 1995 L'UE firma l'accordo di associazione con Israele.
27-28 novembre 1995
Alla conferenza euromediterranea di Barcellona l'UE approva
la cooperazione a lungo termine con i paesi dell'Africa del
Nord e del Medio Oriente. Uno degli obiettivi è la
costituzione di un'area di libero scambio euromediterranea
entro il 2010.
28 novembre 1995 L'Estonia chiede di entrare nell'UE.
2 dicembre 1995
Viene firmata a Madrid la nuova «agenda transatlantica».
L'Unione europea e gli USA dichiarano la propria volontà di
sviluppare gli scambi e lavorare assieme per risolvere i
problemi internazionali.
8 dicembre 1995
La Lituania chiede di entrare nell'UE.
14 dicembre 1995 La Bulgaria chiede di entrare nell'UE.
15-16 dicembre 1995
Il Consiglio europeo di Madrid decide di denominare «euro»
la futura moneta europea. Il calendario per l'introduzione
dell'UEM rimane immutato. A partire dal 2002 l'euro sarà la
sola moneta avente corso legale negli Stati membri
dell'UEM. È firmato un accordo di libero scambio con gli
Stati del Mercosur.
1 gennaio 1996
Entra in vigore un'unione doganale fra l'UE e la Turchia.
17 gennaio 1996
La Repubblica ceca chiede di entrare nell'UE.
29 febbraio 1996
La Russia diventa il 39 membro del Consiglio d'Europa.
27 marzo 1996
Dopo che alcuni scienziati britannici hanno dimostrato che
l'encefalopatia spongiforme bovina (BSE) può essere
trasmessa all'uomo attraverso il consumo di carne bovina, la
Commissione europea impone un divieto di esportazione a
livello mondiale sulla carne bovina britannica e i prodotti
derivati.
293
294
29 marzo 1996
A Torino si apre solennemente la conferenza
intergovernativa sulla revisione del trattato di Mastricht.
Entro dodici mesi dovranno essere presentate proposte in
materia di giustizia e affari interni, per avvicinare le
istituzioni ai cittadini, per la trasparenza, per il
miglioramento dell'efficienza istituzionale e delle strutture
decisionali di politica estera.
3 giugno 1996
I ministri degli Affari sociali e del Lavoro dell'UE adottano
una posizione comune al fine di adottare la direttiva sui
trasferimenti di lavoratori. I dipendenti inviati dalle loro
società in altri paesi dell'UE devono essere impiegati alle
condizioni che si applicano nel paese ospitante.
10 giugno 1996
La Slovenia chiede di entrare nell'UE.
20 giugno 1996
I ministri dell'Energia dell'UE adottano il regolamento sulla
liberalizzazione del mercato e dell'energia nell'UE.
21-22 giugno 1996 Il Consiglio europeo di Firenze adotta la convenzione
Europol.
13 ottobre 1996
In Austria si svolgono per la prima volta le elezioni del
Parlamento europeo.
14 ottobre 1996
La Finlandia aderisce allo SME.
20 ottobre 1996
In Finlandia si svolgono per la prima volta le elezioni del
Parlamento europeo.
6 novembre 1996
La Croazia diventa il 40 membro del Consiglio d'Europa.
24 novembre 1996
Rientro della lira nel meccanismo di cambio dello SME.
13-14 dicembre 1996
Il Consiglio europeo di Dublino vara un patto di stabilità e di
crescita per l'UEM. Sono presentate al pubblico le future
banconote denominate euro. I capi di Stato e di governo
impegnano l'UE ad una lotta più decisa contro la criminalità
internazionale.
L’EUROPA DALLA A ALLA Z
Elenco degli autori
Sven Behrendt - Centro per la ricerca politica applicata (anche in EN), Università
di Monaco.
Udo Diedrichs - Institut für politische Wissenschaft und Europäische Fragen
(Istituto di scienze politiche e affari europei), Università di Colonia.
Dr. Christian Engel - Staatskanzlei des Landes Nordrhein-Westfalen (Cancelleria
del land Renania settentrionale-Vestfalia), Düsseldorf.
Dr. Jürgen Erdmenger - Commissione europea, direzione generale dei trasporti,
Bruxelles.
Dr. Fritz Franzmeyer - Deutsches Institut für Wirtschaftsforschung (Istituto
tedesco per la ricerca economica), Berlino.
Dr. Eckart Gaddum - ZDF-Landesstudio (Centro regionale del secondo canale
televisivo tedesco), Turingia.
Prof. Erwin Häckel - Deutsche Gesellschaft für Auswärtige Politik (Società tedesca
per la politica estera), Bonn.
Olaf Hillenbrand - Centro per la ricerca politica applicata, Università di Monaco.
Josef Janning - Centro per la ricerca politica applicata, Università di Monaco.
Bernd Janssen (†) - Centro per la formazione europea (anche in DE), Bonn.
Dr. Mathias Jopp - Institut für Europäische Politik (Istituto per la politica europea),
Bonn.
Henry Krägenau - HWWA-Institut für Wirtschaftsforschung (HWWA Istituto di
ricerca economica), Amburgo.
Dr. Thomas Läufer - Ufficio del portavoce del Bundestag, Bonn.
Barbara Lippert - Institut für Europäische Politik (Istituto per la politica europea),
Bonn.
Michael Matern - Landeszentrale für politische Bildung Rheinland-Pfalz (Ufficio
per la formazione politica del land Renania-Palatinato), Magonza.
Andreas Maurer - Institut für Europäische Politik (Istituto per la politica europea),
Bonn.
Patrick Meyer - Centro per la ricerca politica applicata, Università di Monaco.
295
L’EUROPA DALLA A ALLA Z
296
Prof. Jörg Monar - Centro per gli studi federali, Università di Leicester.
Dr. Melanie Piepenschneider - Fondazione Konrad Adenauer, St. Augustin.
Dr. Elfriede Regelsberger - Institut für Europäische Politik (Istituto per la politica
europea), Bonn.
Dieter Rometsch - Institut für Europäische Politik (Istituto per la politica europea),
Bonn.
Reinhard Rupprecht - Bundesministerium des Innern, Abteilung Innere Sicherheit,
(Ministero degli interni, dipartimento sicurezza interna), Bonn.
Nicole Schley - Centro per la ricerca politica applicata, università di Monaco.
Dr. Peter-W. Schlüter - Istituto monetario europeo, Francoforte sul Meno.
Ralf Schmitt - Badisches Tagblatt, Wirtschaftsredaktion (Redazione economica del
Badisches Tagblatt), Baden-Baden.
Dr. Otto Schmuck - Rappresentanza della Renania-Palatinato presso il governo
federale, Bonn.
Kristin Schreiber - Commissione europea, direzione generale per l'industria,
Bruxelles.
Dr. Bernhard Seidel - Deutsches Institut für Wirtschaftsforschung (Istituto tedesco
per la ricerca economica), Berlino.
Jürgen Turek - Centro per la ricerca politica applicata, Università di Monaco.
Prof. Winfried von Urff - Titolare della cattedra di politica agricola, Università di
Monaco-Weihenstephan.
Prof. Wolfgang Wessels - Titolare della cattedra di scienze politiche e affari
europei, Università di Colonia.
Prof. Dr. Werner Weidenfeld - Geschwister-Scholl-Institut für Politische
Wissenschaft (Istituto di scienze politiche Geschwister-Scholl), Università di
Monaco.
Anita Wolf-Niedermaier - Graduiertenkolleg des Mannheimer Zentrums für
Europäische Sozialforschung (Scuola di ricerca del centro di ricerca sociale
europeo di Mannheim).
Redazione:
Nicole Schley - Centro di ricerca politica applicata, Università di Monaco.
Elenco di abbreviazioni
ASE
ASEAN
BCE
BEI
Benelux
BERS
CCR
CE
CECA
Cedefop
CEE
CEN
Cenelec
CES
CES
CGCE
Comett
Consiglio Ecofin
COPA
Coreper
COST
CPE
Ecu
EFTA
EMI
Envireg
Erasmus
Esprit
Euratom
Eureka
Europol
FEAOG
Agenzia spaziale europea
Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico
Banca centrale europea
Banca europea per gli investimenti
Unione economica tra il Belgio, i Paesi Bassi ed il Lussemburgo
Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo
Centro comune di ricerca
Comunità europea
Comunità europea del carbone e dell'acciaio
Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale
Comunità economica europea
Comitato europeo di normalizzazione
Comitato europeo di normalizzazione elettrotecnica
Confederazione europea dei sindacati
Comitato economico e sociale
Corte di giustizia delle Comunità europee
Programma di cooperazione tra università e imprese per la
formazione nel campo delle tecnologie
Consiglio dei ministri dell'Economia e delle Finanze
Comitato delle organizzazioni professionali agricole della
Comunità europea
Comitato dei rappresentanti permanenti
Cooperazione europea nel settore della ricerca scientifica e
tecnica
Cooperazione politica europea
Unità monetaria europea
Associazione europea di libero scambio
Istituto monetario europeo
Iniziativa comunitaria per la tutela dell'ambiente e lo sviluppo
socioeconomico
Programma di azione comunitario in materia di mobilità degli
studenti
Programma strategico europeo di ricerca e sviluppo nelle
tecnologie dell'informazione (European strategic programme
for research in information technologies)
Comunità europea dell'energia atomica
Agenzia europea per il coordinamento della ricerca (European
research coordinating agency)
Ufficio europeo di polizia
Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia
297
298
FECOM
FES
FESR
FSE
GATT
HDTV
Interreg
JET
Leonardo da Vinci
Lingua
MEDIA
NET
NSC
ONU
OSCE
PAC
Paesi ACP
PE
PESC
PETRA
PHARE
PIL
PMI
PNL
QCS
RACE
SEE
SFOP
SIS
SME
Socrates
Sprint
TACIS
Fondo europeo di cooperazione monetaria
Fondo europeo di sviluppo
Fondo europeo di sviluppo regionale
Fondo sociale europeo
Accordo generale sulle tariffe doganali e il commercio
Televisione ad alta definizione
Iniziativa comunitaria concernente le zone di frontiera
Joint European Torus
Nuova denominazione del programma PETRA
Programma d'azione inteso a promuovere la conoscenza delle
lingue straniere nella Comunità europea
Programma d'azione volto a promuovere lo sviluppo
dell'industria audiovisiva europea (1991-1995)
Next European Torus
Nuovo strumento comunitario (assunzione e concessione di
prestiti per promuovere gli investimenti) (detto anche
«Sportello Ortoli)
Organizzazione delle Nazioni Unite
Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa
Politica agricola comune
Stati dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico firmatari della
convenzione di Lomè
Parlamento europeo
Politica estera e di sicurezza comune
Programma di azione per la formazione professionale e la
preparazione dei giovani alla vita adulta e professionale
Programma comunitario di aiuto a favore dei paesi dell'Europa
centrale e orientale
Prodotto interno lordo
Piccole e medie imprese
Prodotto nazionale lordo
Quadro comunitario di sostegno
Programma di ricerca e sviluppo sulle tecnologie di
telecomunicazioni avanzate per l'Europa (Research and
development in advanced communications technology for
Europe)
Spazio economico europeo
Strumento finanziario di orientamento della pesca
Sistema informativo Schengen
Sistema monetario europeo
Nuova denominazione del programma Erasmus
Programma strategico per l'innovazione ed il trasferimento di
tecnologie (Strategic programme for innovation and tecnology
transfer)
Assistenza tecnica alla Comunità di Stati indipendenti
TARIC
TDC
Tempus
TREVI
UE
UEM
UEO
UNICE
WTO/OMC
Tariffa doganale integrata delle Comunità europee
Tariffa doganale comune
Programma di cooperazione transeuropea per l'istruzione
superiore
Terrorismo, radicalismo, estremismo e violenza internazionale
Unione europea
Unione economica e monetaria
Unione dell'Europa occidentale
Unione delle confederazioni europee dell'industria e dei datori
di lavoro
Organizzazione mondiale del commercio
299