L`Europa dalla A alla Z
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L`Europa dalla A alla Z
L’Europa dalla A alla Z Werner Weidenfeld Wolfgang Wessels l'Institut für Europäische Politik COMMISSIONE EUROPEA Guida all’integrazione europea 2 Sommario Premessa Come cambia l’Europa L’Europa dalla A alla Z Agricoltura Ambiente Ampliamento Banca europea per gli investimenti Bilancio Comitato economico e sociale Comitato delle regioni Commissione europea Concorrenza Conferenza intergovernativa Consiglio europeo Consiglio dell’Unione europea Corte dei conti europea Corte di giustizia delle Comunità europee Cultura Energia Euro Europa dei cittadini Europa delle donne Europol Gioventù e istruzione Giustizia e affari interni Industria Istituto monetario europeo Mediterraneo e Medio Oriente Mercato interno Mezzi di comunicazione di massa Modelli teorici e idee guida dell’integrazione europea Parlamento europeo Pesca Politica dei consumatori Politica economica Politica estera e di sicurezza comune Politica regionale Politica sociale Politica di sviluppo Procedure decisionali Relazioni esterne Ricerca e tecnologia Sanità Sistema monetario europeo Società dell’informazione Trasporti Trattati Unione econimica e monetaria Unione europea Glossario europeo Cronologia dell’integrazione europea Elenco degli autori Elenco di abbreviazioni 3 4 Premessa I pochi anni che mancano all'inizio del XXI secolo sono pieni di sfide per l'Unione europea. In primo luogo, nel 1997 dovrebbe essere varata una riforma delle istituzioni, seguono poi le tappe conclusive dell'unione economica e monetaria e infine si preparerà un ampliamento dell'Unione alle nuove democrazie dell'Europa centrale e orientale, nonché a Cipro. Nello stesso tempo, molti cittadini dell'Unione europea si trovano a dover far fronte a un'elevata disoccupazione e ad altre difficoltà. La globalizzazione dell'economia sembra mettere in forse il modello della società europea, e per questo molte persone guardano al futuro con pessimismo e scetticismo. Questo stato di cose ha innescato in molti paesi un dibattito sul senso e sugli obiettivi dell'integrazione europea alle soglie del 2000. Il cambio di millennio può essere interpretato come segnale di un nuovo inizio. L'Europa uscirà dal secolo più sanguinoso e più oscuro della sua storia, per entrare in una nuova era che, dopo la storica cesura dell'anno 1989, sembra promettere la pace invece della guerra e una crescita comune invece di una divisione del continente. Non basta però un cambiamento di data, ancorché intensamente simbolico, a garantire pace e benessere; per conseguire i quali è necessaria la partecipazione attiva della popolazione allo sviluppo della società e delle forme di convivenza. È con questi obiettivi che, all'indomani della seconda guerra mondiale, per cinque decenni è stata costruita, passo dopo passo, l'Unione europea. Per segnare nuovi progressi o per imprimerle un nuovo slancio, i cittadini del continente devono esprimersi sul modo in cui vogliono che l'integrazione europea venga realizzata. La costruzione della democrazia inizia con la capacità dei cittadini di formarsi un'opinione e con la libera discussione. In questa pubblicazione, la Commissione europea, insieme a esperti indipendenti, illustra i compiti, l'organizzazione e le politiche dell'UE sotto diverse angolazioni. Si è chiesto agli autori di esprimersi nel modo più conciso, chiaro e obiettivo possibile sugli argomenti di rispettiva competenza, per offrire al lettore un panorama sintetico ma documentato sull'UE. Agli articoli della guida all'Europa segue un glossario con brevi definizioni della terminologia comunitaria. In tal modo, sui vari argomenti, ne «L'Europa dalla A alla Z» ogni lettore potrà scegliere tra una consultazione più rapida e una lettura più approfondita. Chi, ad esempio, desideri sapere cosa si nasconda dietro l'acronimo Socrates può trovare la risposta nell'elenco delle abbreviazioni, mentre l'ABC dell'Europa contiene una breve descrizione di questo programma di scambio tra istituti universitari dell'Unione europea. Maggiori informazioni si troveranno nell'articolo sulla politica dell'istruzione e della gioventù dove viene spiegato perché l'UE offra un programma di questo tipo e quali siano gli altri obiettivi prioritari di questo settore. Un sistema di rimandi (->) permette di volta in volta una lettura più mirata. Un prospetto cronologico dà informazioni sulle principali date dell'integrazione europea dal 1946 al 1996. Un'informazione obiettiva è indispensabile per formarsi un'opinione sulle questioni fondamentali della politica europea. Vi invitiamo a informarvi e a discutere dell'Europa! Un supplemento in fondo al volume riporta gli estremi di altre informazioni pubblicate dalla Commissione per portare a conoscenza dei cittadini la sua visione delle cose. Informazioni di attualità che completano questo volume (e molti altri dati) possono essere consultate anche su Internet all'indirizzo http:\\europa.eu.int. In ogni Stato membro la Commissione europea e il Parlamento europeo hanno uffici e rappresentanze i cui indirizzi figurano alla fine del volume. «L'Europa dalla A alla Z» è il titolo di un libro che l'Istituto di politica europea di Bonn pubblica con grande successo da diversi anni. Per la loro collaborazione vorremmo ringraziare i curatori, il professor Werner Weidenfeld, direttore del Centro di ricerca politica applicata di Monaco, il professor Wolfgang Wessels, il Dr. Mathias Jopp, direttore dell'Istituto di politica europea, il signor Gerhard Eickhorn, responsabile della casa editrice Europa Union e la sig.ra Nicole Schley, redattrice del gruppo di ricerca sull'Europa dell'Università di Monaco, diretto dal signor Josef Janning. 5 6 Come cambia l'Europa Da alcuni anni la storia dell'Europa corre a ritmo accelerato. Stiamo attraversando un periodo di transizione pieno di conflitti e senza un modello predominante, un'epoca - per così dire - senza nome. La concomitanza di integrazione e disgregazione, internazionalizzazione e provincializzazione, ricerca di equilibrio e nuove ambizioni di potere, delineano il singolare profilo dell'Europa odierna, sulla quale gravano nuovi rischi e tante incertezze. Non esiste più un antagonista col quale misurarsi. L'Europa può contare solo su se stessa per evadere positivamente. Che senso può avere che le nazioni e i cittadini dell'Europa si uniscano in un sistema politico comune? Come deve configurarsi questo sistema politico per soddisfare le aspettative dei suoi cittadini? La situazione di stallo in cui si trova attualmente il processo di integrazione, pur presentando risvolti più complessi, non è che un prodotto della logica su cui negli anni Cinquanta è stata costruita la Comunità dei Sei. Già nell'Europa dei Dodici e poi dei Quindici, si paga un prezzo alto per quella vecchia logica, con una notevole perdita della capacità d'agire. La conferenza per la revisione del trattato di Maastricht del 1996/97 deve definire un quadro che permetta all'Europa di funzionare con venti e, nel medio periodo, anche con trenta Stati membri. La situazione di partenza dopo la seconda guerra mondiale Nell'ora più buia per l'Europa, sulle macerie ancora fumanti della seconda guerra mondiale, nasce, col nome di «integrazione», il progetto più creativo per garantire la sopravvivenza dell'Europa. Già nel discorso pronunciato da Churchill il 19 settembre 1946 a Zurigo, poco dopo la fine della guerra, viene formulata l'idea decisiva di fondare gli «Stati Uniti d'Europa», la cui prima tappa doveva essere la creazione di un Consiglio d'Europa. Churchill parlava di un'unione di tutti gli Stati dell'Europa che desideravano aderire, sotto la guida della Francia e della Germania. Il conflitto sempre più acceso tra Est e Ovest diede un impulso durevole al movimento europeo che cominciava a organizzarsi nel 1948. La creazione dell'Organizzazione europea di cooperazione economica (OECE), che avrebbe dovuto coordinare l'attuazione del Piano Marshall, mostrò inoltre chiaramente che la situazione internazionale poteva esercitare una pressione notevole che accelerava il processo di unificazione europea. Mentre si consolidava il blocco orientale, nascevano i timori di una minaccia comunista. Gli americani sostenevano il progetto di unificazione europea nella speranza che avrebbe contribuito alla distensione internazionale e favorito l'apertura di nuovi e più vasti mercati. Nel contempo, gli Stati dell'Europa occidentale desideravano unirsi per impedire nuove e pericolose iniziative autonome di singoli Stati nazionali. Questo atteggiamento comune non impedì però che, dopo la creazione del Consiglio d'Europa il 5 maggio 1949, i vari tentativi di integrazione si dividessero in base a due modelli organizzativi diversi: la confederazione di Stati e lo Stato federale. In nessun momento dell'immediato dopoguerra l'idea di unificazione europea si è ricollegata a un preciso progetto politico a o un unico modello di integrazione. Non essendo condizionato da una concezione univoca dell'Europa, il processo di unificazione poteva prendere avvio, a seconda della situazione, in ambiti politici completamente diversi, alla ricerca di sempre nuovi progressi. Nel corso degli anni gli sforzi per unificare l'Europa sono stati condotti in uno spirito prettamente pragmatico. Il Consiglio d'Europa Nel maggio 1948 il Congresso europeo dell'Aia sollecitò la fondazione del Consiglio d'Europa. Fu questa la data di nascita del movimento europeo, in cui si contrapponevano federalisti e unionisti, divisi sulla questione della rinuncia della sovranità nazionale a favore di quella europea. In una «dichiarazione politica» fu proposta l'unione politica ed economica degli Stati europei con un trasferimento limitato della sovranità nazionale. Non veniva menzionato, però, né l'obiettivo di uno Stato federale europeo né quello di una costituzione europea. Ciò non impedì comunque che vari punti significativi della risoluzione dell'Aia trovassero successivamente applicazione nell'ambito del Consiglio d'Europa. La Comunità europea del carbone e dell'acciaio Su iniziativa del ministro degli Esteri francese Robert Schumann (Piano Schumann del 9 maggio 1950), il 18 aprile 1951 si giunse alla firma del trattato istitutivo della Comunità europea del carbone e dell'acciaio (CECA), la cui idea originaria risaliva al commissario francese per la programmazione, Jean Monnet. La CECA aveva il compito di creare un mercato comune del carbone e dell'acciaio che permettesse il controllo, la pianificazione e lo sfruttamento comuni di queste materie prime e dei loro prodotti derivati. La proposta era dettata principalmente dalla volontà di accantonare la tradizionale inimicizia franco-tedesca e di creare le basi di una federazione europea. Il trattato CECA entrò in vigore il 23 luglio 1952: per la prima volta un settore strategico, che fino a quel momento era di competenza degli Stati nazionali, passò nelle mani di un'organizzazione sovrannazionale. Questa ampia integrazione economica del settore del carbone e dell'acciaio avrebbe dovuto portare più tardi a un'unificazione politica. Comunità europea di difesa e Comunità politica europea Il 27 maggio 1952 i rappresentanti degli Stati membri della CECA firmarono il trattato che istituiva la Comunità europea di difesa (CED). L'iniziativa era stata promossa dal primo ministro francese dell'epoca, René Pleven, che aspirava a 7 L’EUROPA DALLA A ALLA Z 8 creare un esercito europeo comune, sotto l'autorità di un ministro europeo della difesa. Questo progetto incide profondamente sulla sovranità degli Stati nazionali, di cui le forze armate sono un elemento essenziale. Il successo rappresentato dall'integrazione parziale conseguita con la CECA e dagli avvii della CED spinge a cercare di completare l'opera sotto il profilo politico, definendo un modello costituzionale. Il 10 settembre 1952, nella prima riunione del Consiglio della CECA, i sei ministri degli Esteri decidono di estendere l'Assemblea CECA e di trasformarla in Assemblea ad hoc incaricata di elaborare la costituzione di una Comunità politica europea. Le competenze di questa nuova comunità dovevano estendersi ai settori della CECA e della difesa, a «garantire (...) il coordinamento della politica estera degli Stati membri». La Comunità politica europea si prefiggeva così lo sviluppo del mercato comune negli Stati membri, il miglioramento del livello di vita e l'aumento dell'occupazione. Nel giro di due anni la CECA esistente e la prevista CED dovevano essere integrate nella Comunità politica europea. I successivi negoziati dei ministri degli Esteri non permisero però di raggiungere un accordo sulle prerogative di sovranità che i singoli Stati avrebbero dovuto cedere. Nell'agosto 1954 l'Assemblea nazionale francese rifiutò di ratificare la CED. Vennero così a mancare i presupposti per il progetto di costituzione europea e l'idea di una Comunità politica europea fu abbandonata. 1957 25 marzo 1957: Italia, Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo firmano i trattati di Roma che istituiscono la Comunità economica europea (CEE) e la Comunità europea dell'energia atomica (Euratom) I trattati di Roma Alla conferenza dei ministri degli Esteri della CECA, tenutasi a Messina dall'1 al 2 giugno 1955, si decise di avviare i negoziati per l'integrazione in altri due settori. L'idea di base era formulata nel cosiddetto «Rapporto Spaak» - dal nome del politico belga Paul-Henri Spaak. Da queste trattative nacquero i trattati di Roma, firmati il 25 marzo 1957, che istituiscono la Comunità economica europea (CEE) e la Comunità europea dell'energia atomica (Euratom). I sei paesi fondatori della CECA aspiravano a un'unione doganale nell'ambito della CEE. Venne inoltre sancito l'obiettivo di creare un mercato comune che permettesse la libera circolazione di persone, servizi e capitali. L'Euratom doveva invece promuovere la costruzione e lo sviluppo dell'industria nucleare nei sei Stati membri, nonché l'approvvigionamento in materie prime, nel quadro dell'impegno a utilizzare la fissione nucleare esclusivamente a scopi pacifici. Mediante il trattato di fusione dell'8 aprile 1965, che entrò in vigore il 1 luglio 1967, vennero unificati gli organi della CECA, della CEE e dell'Euratom. Il trattato di amicizia franco-tedesco Dopo il fallimento del Piano Fouchet, che prevedeva procedure semplificate tra gli Stati membri della CEE per concordare decisioni politiche, occorrerà attendere la ratifica del trattato di amicizia franco-tedesco nel 1963 affinché l'integrazione segni nuovi progressi. Il trattato fu concluso da Adenauer e De Gaulle nell'intento di stabilire una stretta collaborazione politica, che a termine avrebbe finito col coinvolgere gli altri Stati membri della CEE. Questo ravvicinamento di Germania e Francia doveva diventare il motore dell'unione politica dell'Europa. Negli anni Sessanta vennero chiaramente alla luce le difficoltà insite nella realizzazione dei trattati di Roma. Dato che in tali trattati non erano stati presi in considerazione diversi aspetti della politica economica, da più parti venne rivendicata la creazione di un'unione economica e monetaria, per evitare altre crisi dovute a politiche di orientazione nazionale. Il compromesso di Lussemburgo Dopo vari successi sulla via dell'integrazione europea, il compromesso di Lussemburgo del 1966 segnò un regresso. Il periodo transitorio fissato dal trattato, prevedeva che dal 1 gennaio 1966 il Consiglio dei ministri avrebbe potuto adottare decisioni in settori di rilievo a maggioranza qualificata. La Francia tentò di impedire questa procedura con la sua «politica della sedia vuota», cioè non partecipando più alle riunioni degli organi comunitari dal 1 luglio 1965. Il compromesso di Lussemburgo del 27 gennaio 1966 stabiliva che in caso di divergenze si doveva cercare di raggiungere un consenso. La Francia sosteneva che, ove non fosse possibile trovare un'intesa, ciascuno Stato membro disponesse di un diritto di veto per salvaguardare i propri interessi vitali. Questa politica ha sensibilmente ostacolato i lavori del Consiglio dei ministri, impedendo che si sviluppasse una politica di integrazione dinamica. 9 L’EUROPA DALLA A ALLA Z 10 1973 1 gennaio 1973: Danimarca, Irlanda e Regno Unito entrano a far parte della CEE; i trattati di adesione sono stati firmati a Bruxelles il 22 gennaio 1972 L'ampliamento verso Nord Il vertice riunito all'Aia dall'1 al 2 dicembre 1969 impresse nuovo slancio alla politica di integrazione. Oltre all'ampliamento della Comunità verso Nord, gli Stati membri decisero di istituire l'Unione economica e monetaria (UEM) entro il 1980, di procedere a varie riforme istituzionali, nonché di ampliare le prerogative del Parlamento europeo e di eleggere i suoi membri a suffragio universale diretto. I negoziati per l'adesione, avviati il 30 giugno 1970 con Regno Unito, Danimarca, Norvegia e Irlanda, si conclusero il 22 gennaio 1972 con la firma dei trattati di adesione. Fin dal 20 ottobre 1971, la maggioranza della Camera dei Comuni britannica si era pronunciata per l'ingresso nella CEE. Anche nei referendum in Irlanda e in Danimarca la maggioranza votò a favore, mentre solo i norvegesi rifiutarono l'adesione alla Comunità. Dal vertice dell'Aia emerse comunque la necessità di riformare importanti settori della Comunità europea e di intensificare l'integrazione. Rapporti di riforma Le crisi e il ristagno della CE negli anni Sessanta riportarono in auge alcune procedure di carattere intergovernativo. Venne istituita la cosiddetta Cooperazione politica europea (CPE), che rappresentò il principale strumento di coordinazione della politica estera degli Stati membri. Il 27 ottobre 1970, i ministri degli esteri si misero d'accordo sui principi e sulle modalità di una più stretta collaborazione politica, che erano stati prospettati nel rapporto Davignon. Le incertezze sugli obiettivi da perseguire portarono la Comunità europea, che ormai aspira a diventare una «Unione europea», a tratteggiare un quadro generale, che il rapporto Tindemans avrebbe dovuto precisare nei dettagli. Tale rapporto attribuì il ruolo di organo decisionale al Consiglio europeo, istituito da un vertice dei capi di Stato e di governo, e sottolineò la necessità di una maggiore integrazione europea, se necessario procedendo a due velocità. Primo impulso all'unione economica e monetaria Al vertice dell'Aia e in due risoluzioni del Consiglio del marzo 1971 e del marzo 1972 venne ribadita la volontà di completare il mercato comune con una politica economica e monetaria, che portasse alla realizzazione di un'unione economica e monetaria entro il 1980. L'obiettivo era quello di concretare la libertà di circolazione sancita dai trattati di Roma e di creare un meccanismo fisso di cambio che garantisse una convertibilità illimitata delle valute. Inoltre, gli Stati membri avrebbero dovuto trasferire alle istituzioni comunitarie alcune competenze essenziali in materia di politica economica e monetaria. Questo piano andava attuato in fasi, secondo modalità precisate nel cosiddetto piano Werner dell'ottobre 1970 (dal nome del primo ministro e ministro delle Finanze lussemburghese dell'epoca). Tuttavia, strategie fondamentalmente divergenti e l'apparire della crisi economica negli Stati membri impedirono di coordinare la politica economica e monetaria e di realizzare un sistema comunitario fisso di cambio. Sul lungo periodo, però, la lotta contro l'inflazione portata avanti dalla metà degli anni Settanta nei paesi della Comunità porterà a un ravvicinamento delle politiche economiche e monetarie. Ciò ha favorito l'iniziativa franco-tedesca di Helmut Schmidt e Giscard d'Estaing, volta a creare un sistema monetario europeo (SME), imperniato su un meccanismo comune di cambio. Lo SME entrò in vigore il 13 marzo 1979, con effetto retroattivo dal 1 gennaio dello stesso anno. I tassi di cambio dovevano stabilizzarsi per il bene dello sviluppo economico degli Stati membri, i quali si adoperavano anche per ridurre l'inflazione. Bilancio alla fine degli anni Settanta Alla fine degli anni Settanta, un bilancio obiettivo del processo di integrazione europea non poteva che registrare successi e conquiste, ma anche inadempimenti e lacune. • La CE aveva indubbiamente segnato progressi verso la realizzazione delle libertà fondamentali sancite dai trattati di Roma. I principali ostacoli alla libera circolazione delle merci erano stati eliminati ed era stata introdotta una tariffa doganale comune. Nell'ambito del mercato comune, si procede inoltre a ravvicinare le legislazioni per liberalizzare gli scambi e l'esercizio delle professioni. Ma nonostante questi risultati positivi, alcuni obiettivi continuano a non essere realizzati, o solo in misura parziale: esistono ancora formalità doganali, in materia di fiscalità indiretta permangono molte differenze. Per colmare queste lacune occorreva progredire nella realizzazione del mercato comune. • Benché si potessero formulare molte critiche di dettaglio, vari settori politicamente rilevanti erano pur sempre passati sotto il controllo della Comunità, e ciò aveva contribuito in misura significativa al benessere economico e alla stabilità democratica dell'Europa occidentale. • Il mercato comune era stato inoltre completato ponendo in essere una politica commerciale estera comune. 11 12 • La rete di accordi preferenziali e di associazione creata dalla Comunità ha rafforzato la sua posizione internazionale permettendole di promuovere una politica di sviluppo più attiva. D'altra parte, non si può ignorare che l'obiettivo di un'unione economica e monetaria non era ancora raggiunto. Si vedeva però che la Comunità era pronta a impegnarsi anche in settori politici diversi da quelli previsti dai trattati, se ciò risultava opportuno. L'osservazione vale in particolare per la creazione di nuovi strumenti, che a rigore non rientravano nelle finalità della Comunità europea, ma che sul piano politico presentavano un collegamento (per esempio la CPE, il Consiglio europeo e lo SME). Lo stesso si può dire per la riforma del finanziamento comunitario, per il riequilibrio dei poteri all'interno della Comunità, col trasferimento delle competenze di bilancio al Parlamento europeo, o per l'approvazione dell'atto relativo alle elezioni europee. Travalicando gli ambiti fissati dai trattati di Roma, sorsero però nuovi problemi di integrazione, poiché, per includere tra le responsabilità della Comunità questioni che originariamente non erano di sua competenza, diventava necessario coordinare le politiche nazionali.Vengono così ad affiancarsi due strategie: decisioni sovrannazionali e coordinamento internazionale; il pericolo è che la strategia di coordinamento internazionale finisca coll'interferire con la strategia sovrannazionale. I problemi all'inizio degli anni Ottanta Con la crisi economica che imperversa dalla metà degli anni Settanta, negli Stati membri cominciano a manifestarsi tendenze al protezionismo e al ripiegamento verso un certo nazionalismo. La sfavorevole congiuntura mondiale e i problemi economici che colpivano la Comunità inasprirono il divario tra interessi comunitari e interessi nazionali. La solidarietà cominciò a entrare in crisi. Inoltre, i problemi connessi con la struttura istituzionale della Comunità europea limitavano la sua capacità d'azione. Ciascuna istituzione comunitaria versava in difficoltà enormi. Negli ultimi anni, la Commissione aveva accusato una notevole perdita di influenza. Poiché il Consiglio dei ministri prendeva decisioni solo all'unanimità, il diritto di iniziativa della Commissione si trovò in gran parte svuotato del suo significato. I lavori del Consiglio dei ministri, il principale organo decisionale della Comunità, rivelavano una sempre maggiore inefficienza e le sue procedure decisionali diventavano sempre meno trasparenti. Quanto al Parlamento europeo, le sue competenze restavano limitate alla procedura di bilancio, mentre il suo coinvolgimento in altri ambiti rimaneva assai scarso. Gli anni Ottanta furono caratterizzati anche da negoziati difficoltosi per l'ampliamento della Comunità verso Sud. Una crescente resistenza da parte di vari Stati membri - in particolare della Francia - ritardava l'adesione di nuovi paesi. La prospettiva di un ampliamento del mercato comune e di un rafforzamento della posizione politica della Comunità nel mondo era naturalmente allettante, ma si temevano anche conseguenze negative: un aumento delle spese agricole e degli aiuti dei fondi strutturali, nonché la necessità di ristrutturare la politica della pesca. Inoltre, la Comunità si trovava a dover affrontare nuovamente il problema L’EUROPA DALLA A ALLA Z dell'incisività delle sue procedure decisionali, che erano state concepite per un'Europa a Sei. 1981 1 gennaio 1981: la Grecia entra nella Comunità dopo che il trattato di adesione è stato firmato ad Atene il 28 maggio 1979 L'ampliamento verso Sud Dopo aver rovesciato la dittatura militare e aver istituito un regime democratico, il 1 gennaio 1981 aderiva alla Comunità europea la Grecia. Si trattava del secondo ampliamento. La Comunità europea aveva anche sempre prospettato a Spagna e Portogallo - altri due paesi a regime dittatoriale - la possibilità di un ingresso nella Comunità europea non appena fosse stata ripristinata la democrazia. Entrambi i paesi iberici impressero questa dimensione europea al loro processo di democratizzazione e a quel punto toccò alla Comunità mantenere la parola data. Quando il 29 marzo 1985 vennero firmati i trattati di adesione di Spagna e Portogallo, che sarebbero entrati in vigore il 1 gennaio 1986, nonostante vari timori regnava un'atmosfera di festa. Queste due adesioni erano considerate come una delle massime vittorie per la politica europea, giacché esse trasformavano l'assetto politico della Comunità. A uno sviluppo tendenzialmente imperniato sull'unificazione politica, subentrava un'impostazione di stampo più economico. Il processo d'integrazione segnò anche un altro cambiamento, giacché i due successivi ampliamenti a Sud trasferivano il peso politico verso il Mediterraneo. 13 L’EUROPA DALLA A ALLA Z 1986 14 1 gennaio 1986: Spagna e Portogallo entrano nella Comunità dopo che i trattati sono stati firmati a Madrid e Lisbona il 12 giugno 1985 Il completamento del mercato interno Uno dei pilastri grazie ai quali è stato possibile ampliare l'integrazione europea, è l'Atto unico europeo (AUE), adottato dai capi di Stato e di governo nel vertice di Lussemburgo del 1985. La sua entrata in vigore è venuta a coincidere con l'adesione di Spagna e Portogallo. L'Atto unico europeo si prefigge principalmente la realizzazione del mercato interno, già contemplata dai trattati istitutivi della Comunità. Vi erano importanti motivi per ribadire questo obiettivo e per fissare una precisa scadenza al suo conseguimento, il 31 dicembre 1992. • La posizione della Comunità europea sui mercati mondiali si stava sensibilmente indebolendo. Era passata l'epoca in cui essa poteva vantare uno dei più forti tassi di crescita. • In materia di ricerca e applicazione dei risultati della ricerca, le risorse disponibili non venivano sfruttate con sufficiente incisività. • Un decennio di incremento della disoccupazione, in presenza di tassi di crescita che in un primo tempo avevano segnato una rapida espansione, rimetteva in discussione l'efficacia della politica economica europea. • Progressivamente si prendeva coscienza dei costi enormi che la compartimentazione del mercato generava. Era indispensabile decidere finalmente la creazione di un mercato senza ostacoli di sorta. Il completamento del mercato interno porta a un'estensione veramente notevole dei settori nei quali le decisioni intervengono a livello europeo. I singoli Stati, cui spettavano fino a quel momento le decisioni politiche per garantire il buon funzionamento del mercato, vedono trasferita al sistema politico della Comunità una parte sempre maggiore dei loro poteri. La capacità di agire diventa in tal modo uno dei problemi più dibattuti nell'Europa degli anni Novanta. L’EUROPA DALLA A ALLA Z 1990 3 ottobre 1990: la Germania è riunificata e i territori della DDR entrano a far parte della Comunità Dalla Comunità europea all'Unione europea Le conseguenze del mercato interno in termini di politica sia interna che esterna rendono necessaria una prodigiosa intensificazione del processo decisionale. Occorre infatti adeguare al nuovo stato di cose vari aspetti della Comunità: unione monetaria, ambiente, politica estera, sicurezza interna ed esterna. Ma anche l'assetto istituzionale della Comunità deve evolvere: occorrono una guida politica efficiente, un sistema decisionale trasparente, sul quale il Parlamento eserciti un effettivo controllo, nonché una struttura federale che garantisca una ripartizione dei poteri. La Comunità è riuscita indubbiamente a compiere un passo decisivo perseguendo lo sviluppo della politica monetaria. L'unione monetaria e la Banca centrale europea sono nuovamente all'ordine del giorno. Le ultime tappe politiche sulla via dell'unione monetaria sono state il «memorandum per la creazione di una zona monetaria europea e di una Banca centrale europea», stilato da Hans-Dietrich Genscher, ex ministro tedesco degli Affari esteri (febbraio 1988), la decisione del Consiglio europeo di Hannover di istituire un comitato guidato dall'allora presidente della Commissione, Jacques Delors (giugno 1988), il rapporto conclusivo del comitato Delors, l'ingresso della Spagna nel sistema monetario europeo, il 19 giugno 1989, nonché la decisione del Consiglio europeo di Madrid (giugno 1989) di avviare, il 1 luglio 1990, la prima delle tre fasi previste dal rapporto Delors e di iniziare i lavori per la revisione del trattato. Il rapporto presentato dal comitato Delors il 17 aprile 1989 è uno dei contributi fondamentali al dibattito politico sull'unione monetaria. Il progetto prevede un piano in tre fasi per realizzare l'unione economica e monetaria, imperniata su un Sistema europeo di banche centrali (SEBC). 15 16 Il 7 febbraio 1992, la firma del trattato sull'Unione europea a Maastricht sancisce la riforma più articolata dei trattati di Roma. Il nuovo trattato ha delineato con chiarezza le tappe di attuazione dell'Unione economica e monetaria. • Il 1 gennaio 1994 è iniziata la seconda fase, che si prefigge di consentire al maggior numero possibile di Stati membri la partecipazione alla fase finale e di avviare i lavori preparatori per l'istituzione di una Banca centrale europea. • Precisi criteri determinano la partecipazione alla fase finale: stabilità dei prezzi, rigore di bilancio, convergenza dei tassi di interesse e partecipazione al sistema monetario europeo. • Entro il 1996, i capi di Stato e di governo dovevano determinare se una maggioranza di Stati membri soddisfasse detti criteri. In caso affermativo, essi avrebbero fissato la data di inizio della terza fase. • Diversamente, il passaggio alla terza e ultima fase sarebbe avvenuto automaticamente il 1 gennaio 1999. Il vertice di Maastricht ha contribuito altresì a potenziare la politica estera e di sicurezza comune. • Gli Stati membri si sono impegnati a porre in essere una politica estera e di sicurezza comune (PESC) in tutti i settori. • Una volta che il Consiglio dei ministri abbia adottato all'unanimità un'azione comune, le successive decisioni in qualsiasi fase dello svolgimento possono ormai essere prese a maggioranza qualificata. È la prima volta che la Comunità europea si discosta in quest'ambito dalla norma dell'unanimità. • L'Unione dell'Europa occidentale (UEO) è chiamata a svolgere un ruolo nuovo nel quadro della politica di sicurezza. Essa formerà parte integrante dell'Unione europea e dell'Alleanza atlantica. Le altre decisioni del vertice di Maastricht vertevano sulla creazione di una cittadinanza europea, sul potenziamento della cooperazione nei settori della politica interna ed esterna, ma soprattutto su un'estensione delle prerogative del Parlamento europeo. • Spetta al Parlamento approvare la composizione della Commissione europea. La durata del mandato della Commissione coincide con la legislatura del Parlamento. • Il Parlamento ottiene il diritto di costituire commissioni d'inchiesta e di ricevere petizioni. • Nel quadro della procedura legislativa comunitaria, il Parlamento dispone ormai di un diritto di codecisione per le questioni attinenti al mercato interno, alla protezione dei consumatori, all'ambiente e alle reti transeuropee. Ma il processo di ratifica del trattato di Maastricht da parte dei vari Stati membri si è rivelato più lungo e più difficile del previsto. In Danimarca, Irlanda e Francia sono stati indetti referendum sul trattato. Mentre negli ultimi due paesi l'esito della consultazione popolare è stato favorevole, il 50,7% dei danesi si è espresso contro le decisioni di Maastricht, minacciando di bloccare tutte le riforme sostanziali previste dal trattato. Ed è così che nel corso del 1992, l'anno emblematico del completamento del mercato interno, si sono succedute senza sosta opinioni contrastanti. Il «no» dei danesi è diventato un «sì» grazie a una serie di concessioni. La leggendaria incomprensibilità del trattato sull'Unione europea ha però continuato a innescare violenti dibattiti, soprattutto in Gran Bretagna e nella Repubblica federale tedesca. La ratifica del trattato da parte del Parlamento britannico e il rigetto dei ricorsi per incostituzionalità in Germania fecero però cadere gli ultimi ostacoli. Tutti gli Stati avevano ratificato il trattato e depositato a Roma gli strumenti di ratifica. Con quasi un anno di ritardo, il trattato poté entrare in vigore il 1 novembre 1993. Oltre Maastricht: approfondimento e ampliamento Nonostante i progressi compiuti grazie al trattato sull'Unione europea, restano ancora da realizzare varie riforme politiche. Anche se a Maastricht l'obiettivo di un'Unione organizzata su base federale non ha potuto essere inserito nel nuovo trattato, nel lungo periodo non ci sono alternative a un rigoroso federalismo con una ripartizione chiara delle competenze in base al principio di sussidiarietà. Nel «dopo Maastricht» l'integrazione europea dipenderà dal modo in cui si riusciranno a perseguire due obiettivi fondamentali: da un lato, un approfondimento dell'Unione e un'intensificazione delle politiche esistenti per poter agire con maggiore incisività; dall'altro, la capacità di gestire gli ampliamenti già realizzati e quelli previsti. Le difficoltà incontrate nel processo di ratifica del trattato di Maastricht hanno quasi eclissato il fatto che per il completamento del mercato interno non si sia riusciti a rispettare la data «mitica» del 1 gennaio 1993. L'attuazione al 95% delle norme previste costituisce comunque un successo importante, ma i problemi tuttora irrisolti - l'armonizzazione dei sistemi fiscali e la sicurezza interna - hanno un po' raffreddato gli entusiasmi. La relazione di un gruppo di esperti guidato dall'ex commissario europeo Peter Sutherland aveva già messo in rilievo che per il buon funzionamento del mercato interno sarebbero state sempre più indispensabili una struttura politica e una stretta cooperazione. Maastricht e il mercato interno, che hanno messo in evidenza il carattere globale del processo, rappresentano due tentativi di dare impulso alla capacità d'azione della Comunità, per poter affrontare con strumenti più efficaci i numerosi compiti che la politica europea ha ancora davanti a sé. 17 L’EUROPA DALLA A ALLA Z 1995 18 1 gennaio 1995: Austria, Finlandia e Svezia entrano nell'Unione dopo che i trattati di adesione sono stati firmati a Corfù il 24 e 25 giugno 1994 Dal 1 gennaio 1995, con l'ingresso di Finlandia, Austria e Svezia, gli Stati membri dell'Unione sono saliti a 15 e il problema dell'approfondimento si pone oggi in modo più urgente che mai. Data l'evidente forza di attrazione esercitata dall'Unione, la «capacità di agire» diventerà un problema sempre più cruciale in un'Europa passata da 6 Stati membri ai 15 di oggi e che potrebbe contare fino a 21, 25, 28 paesi e circa 500 milioni di abitanti nei prossimi anni. Di fronte a questa nuova situazione, è essenziale chiedersi come sia possibile organizzare una comunità di Stati contrassegnata da una tale eterogeneità - politica, economica, culturale. A uno studio approfondito della storia dell'unificazione europea non può sfuggire che proprio la differenziazione è stata la chiave del successo: fin dall'inizio si sono registrate varie forme organizzative, diverse forme di adesione, ritmi diversi nell'attuazione delle politiche. Le strutture dell'unione politica, della politica estera e di sicurezza comune, dell'unione economica e monetaria e del mercato unico non potranno più essere identiche. Un sistema così complesso e variegato è gestibile solo se segue un programma preciso. La differenziazione può essere realizzata calibrando l'integrazione e a tale scopo si possono delineare tre modelli: • la rapida integrazione di un nucleo forte di Stati membri, sulla base delle decisioni adottate a Maastricht in materia di unione politica e monetaria, • la costituzione di un'unione politica indipendentemente dalla partecipazione all'unione economica e monetaria, • la creazione di un'unione politica da parte degli Stati membri dell'UEO, privilegiando nel processo di approfondimento politico le scelte in materia di sicurezza. Prendendo spunto dalle iniziative franco-tedesche, potrebbero svilupparsi in Europa occidentale più nuclei fondamentali, sufficientemente efficaci per contrastare la nascita di un'«Europa alla carta»; tali nuclei, inoltre, potrebbero sovrapporsi e limitare in tal modo i rischi di una minore efficacia. Già la situazione attuale, tuttavia, presenta elementi di differenziazione: il sistema monetario europeo, il periodo di transizione previsto per ogni ampliamento, la politica sociale, le clausole di dissociazione (opt-out), accordi aggiuntivi quali l'accordo di Schengen, le eccezioni nel campo della politica ambientale, della sicurezza sul lavoro e del mercato interno. È indubbio che il prossimo ampliamento imporrà delle riforme istituzionali: • in un'Europa con venti o trenta Stati membri non è pensabile che ogni paese sia rappresentato da un commissario europeo, • sarà impossibile mantenere il principio della rotazione per la presidenza del Consiglio dell'UE, • se si continuerà ad applicare lo stesso sistema di ponderazione dei voti e lo stesso criterio per la maggioranza qualificata, gli Stati membri più piccoli avrebbero la possibilità di sconfiggere nelle votazioni quelli più grandi. L'Unione europea dovrà dunque trovare una strategia che le permetta di conseguire un livello più elevato di integrazione, sviluppando tuttavia varie forme di differenziazione perché solo così continuerà a essere governabile. Complessivamente, queste diverse riforme potrebbero creare un'Europa nuova, in grado di proseguire le conquiste sulla lunga via dell'unificazione europea. La creazione di una Comunità paneuropea Con la fine del conflitto ideologico fra Est e Ovest l'Europa è giunta alle soglie dell'unità. Numerosi accordi di cooperazione con gli Stati dell'Europa centroorientale, il trattato sullo Spazio economico europeo e i negoziati di adesione, ma anche il potenziamento delle strutture di cooperazione nella CSCE, nel Consiglio d'Europa e in altri contesti hanno tutti lo stesso obiettivo: creare una rete di relazioni contrattuali che garantiscano la stabilità in tutta l'Europa e stimolino la crescita economica nelle nuove democrazie. Dove l'integrazione resta parziale e la capacità di agire per il futuro non è ancora piena, infatti, continuano a incombere tragedie: ne è un esempio traumatico la guerra nella ex Iugoslavia, un evento che peserà a lungo sulla politica europea. Sull'Unione europea ricade, in quanto attore principale a livello europeo, una particolare responsabilità da cui, come catalizzatore di tutte le aspettative di pace, stabilità, democrazia e prosperità economica, essa non può esimersi. Deve perfezionare le proprie strutture decisionali e la definizione dei propri obiettivi per acquisire autorevolezza e poter agire sulla scena europea e mondiale. Quello che ancora oggi è solo il nucleo incompleto - limitato all'Europa occidentale - di un'unificazione europea rappresenta infatti, fin dalle sue origini, la prefigurazione 19 20 di una futura unione paneuropea, un'Europa senza frontiere separatrici, un'Europa dove si scambino liberamente opinioni, capitali e servizi, un'Europa in cui i conflitti vengano risolti pacificamente e non con la violenza. All'interno come all'esterno, nel trasferimento delle competenze e nell'ulteriore sviluppo delle istituzioni, la politica europea si trova di fronte a una nuova e fondamentale esigenza di legittimità. Per decenni i principi e le decisioni relativi all'integrazione europea sono stati accolti con grande entusiasmo; oggi, ogni minimo passo deve essere giustificato di fronte a un'opinione pubblica divenuta ormai scettica. L'Europa deve mettere a disposizione ciò che è necessario al benessere comune dei suoi Stati membri e, in primo luogo, deve garantire il futuro, vale a dire prosperità economica, competitività a livello internazionale, tutela della pace, sicurezza dal rischio di nuovi conflitti e costruzione di un'Unione che coinvolga tutta l'Europa e in cui i cittadini possano realizzare le loro aspirazioni. Werner Weidenfeld L'articolo rispecchia le opinioni personali dell'autore. L’EUROPA DALLA A ALLA Z L'Europa dalla A alla Z 21 22 Agricoltura Base giuridica: Articoli da 38 a 47 del trattato CE. Obiettivi: Incrementare la produttività dell'agricoltura e assicurare così un tenore di vita equo a coloro che vi lavorano, stabilizzare i mercati, garantire gli approvvigionamenti e assicurare prezzi ragionevoli nelle consegne ai consumatori. Strumenti: Organizzazione comune dei mercati agricoli, che prevede la salvaguardia dei prezzi mediante interventi sul mercato interno, dazi sulle importazioni e (per il latte e lo zucchero) limitazioni della produzione, miglioramento delle condizioni di produzione attraverso il sostegno alle aziende agricole e misure a carattere interaziendale, miglioramento delle condizioni di commercializzazione, sovvenzioni intese a compensare gli handicap naturali, programmi specifici per le zone svantaggiate e le regioni mediterranee. Bilancio 1996: Al settore agricolo (esclusa la pesca) sono stati destinati 41 476 milioni di ecu, ossia circa il 48% del bilancio generale CE. A norma dell'articolo 38 del trattato CEE (dal 1993: trattato CE) il mercato comune comprende l'agricoltura e il commercio dei prodotti agricoli; l'articolo 39 precisa le finalità della politica agricola comune (cfr. riquadro); l'articolo 40 definisce lo sviluppo graduale della politica agricola comune e prevede per l'organizzazione dei mercati agricoli diverse possibilità, di cui soltanto l'introduzione di un'organizzazione comune dei mercati si è dimostrata praticabile. La politica e il mercato agricoli sono quindi venuti ad assumere nella CE un ruolo di rilevanza particolare, confermato anche nel trattato sull'Unione europea. A motivo dell'elevata regolamentazione del settore, le disposizioni concernenti il mercato agricolo rappresentano la quota maggiore nella normativa comunitaria. I costi elevati e gli interessi nazionali divergenti hanno fatto sì che in più occasioni la politica agricola comune si è trasformata in un terreno di scontro per la Comunità. Il tentativo di garantire un tenore di vita equo agli agricoltori, principalmente sostenendo prezzi interni superiori a quelli mondiali, ha attirato sulla Comunità accuse di protezionismo e determinato eccedenze sempre più consistenti. Malgrado il crescente intervento pubblico, l'obiettivo della garanzia dei redditi agricoli non è stato conseguito. L’EUROPA DALLA A ALLA Z Politica dei prezzi e del mercato L'organizzazione comune dei mercati, su cui si fonda la politica dei prezzi e del mercato, separa il -> mercato interno da quello mondiale. Ciò avviene fondamentalmente mediante il sistema dei prelievi, ossia l'applicazione di dazi all'importazione, di importo pari alla differenza tra il prezzo mondiale - più basso e un prezzo d'entrata, in modo che la merce importata non possa venire offerta ad un prezzo inferiore al prezzo indicativo o di orientamento fissato per il mercato interno. Per l'esportazione vengono concesse restituzioni, calcolate in modo analogo. Tutti i prezzi applicabili nell'ambito della politica agricola comune vengono fissati annualmente dal -> Consiglio. I costi connessi al sostegno dei prezzi sono a carico del Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia, sezione garanzia. Percentuale della forza lavoro occupata in agricoltura Uomini e donne 20,4 21 18 15 12,0 11,5 12 9,3 9 6 5,3 4,9 4,4 3,9 3,8 3,3 3,2 2,7 3 7,8 7,3 7,5 2,1 UK S FIN P A NL L I IRL F E EL D DK B EUR 15 0 23 24 Le 21 organizzazioni comuni si dividono sostanzialmente in tre gruppi, fondati su principi diversi: 1. Organizzazioni di mercato imperniate sul sostegno dei prezzi: per circa il 70% dei prodotti agricoli l'organizzazione comune dei mercati garantisce, oltre alla protezione esterna, i prezzi e la commercializzazione. Rientrano tra questi prodotti i cereali principali, lo zucchero, i prodotti lattiero-caseari, le carni, taluni prodotti ortofrutticoli e il vino da tavola. Il prodotto che non si riesce a smerciare ad un prezzo determinato - il prezzo d'intervento - viene acquistato dall'organismo d'intervento nazionale. Attualmente, in molte organizzazioni di mercato il meccanismo d'intervento non è più così automatico, in quanto si interviene soltanto quando il prezzo di mercato scende al di sotto di determinate soglie; inoltre, non viene pagato l'intero prezzo d'intervento. Per il latte e lo zucchero, infine, l'organizzazione comune prevede delle quote, che limitano il sostegno ai quantitativi massimi di produzione fissati per l'azienda. 2. Organizzazioni di mercato imperniate sulla protezione esterna comune: circa un quarto dei prodotti agricoli viene tutelato soltanto nei confronti della concorrenza dei paesi terzi, senza garantirne il prezzo sul -> mercato interno. Rientrano in questa categoria le uova, il pollame, alcuni prodotti ortofrutticoli (non compresi nel gruppo 1), le piante ornamentali e vini diversi da quello da tavola. Di norma la protezione esterna viene attuata mediante l'imposizione di dazi. Se il prezzo d'offerta supera determinate soglie viene riscosso anche un prelievo. 3. Organizzazioni di mercato imperniate sugli aiuti diretti: fino alla riforma della politica agricola comune si distingueva tra aiuti complementari e aiuti forfettari, i primi dei quali erano destinati a garantire ai produttori un reddito adeguato senza far aumentare i prezzi al consumo. I semi oleosi e le leguminose vengono importati in franchigia. Fino alla riforma i trasformatori beneficiavano di un aiuto per i quantitativi acquistati provenienti dalla produzione comunitaria; a decorrere dalla riforma l'aiuto viene versato ai produttori. Per le olive, il tabacco e il grano duro i produttori ricevono un aiuto che si aggiunge alla garanzia dei prezzi di mercato conseguente alle misure d'intervento e di protezione esterna. Gli aiuti forfettari vengono concessi per prodotti che nella Comunità rappresentano quote di produzione modeste: lino e canapa, cotone, bachi da seta, luppolo, sementi e foraggi essiccati. Le fluttuazioni dei tassi di cambio determinano un problema fondamentale. Dato che nell'ambito delle organizzazioni di mercato i prezzi sono fissati in unità monetarie europee (ecu), al momento della conversione nella valuta nazionale dovrebbero essere diminuiti in caso di apprezzamento ed aumentati in caso di deprezzamento della stessa. Per evitare le ripercussioni negative di improvvise variazioni di questo tipo, nell'ambito dell'organizzazione comune dei mercati agricoli vengono applicati tassi di conversione (tassi verdi) che si discostano dal tasso centrale per collocarsi a livelli superiori nei paesi la cui moneta si rivaluta ed a livelli inferiori nei paesi la cui moneta si svaluta. Ne consegue che nei primi venivano riscossi prelievi all'importazione e concesse restituzioni all'esportazione; nei secondi venivano riscossi prelievi all'esportazione e versate restituzioni all'importazione. Il mercato unico istituito nel 1993 ha reso impossibili i prelievi e le restituzioni. Si è quindi proceduto ad eliminare secondo uno schema preciso gli eventuali divari monetari (differenze tra i tassi di conversione agricoli e i tassi rappresentativi), prevedendo per le valute fluttuanti la possibilità di oscillare in senso positivo o negativo e per quelle a margine fisso soltanto la possibilità di aumenti di prezzo nei paesi a valuta debole. Dopo l'ampliamento al 15% del margine di fluttuazione, deciso il 2 agosto 1993, è stato stabilito che gli scarti monetari tra due paesi non potessero superare i cinque punti percentuali, totalmente a carico del paese con lo scarto positivo. Politica delle strutture agrarie Gli orientamenti strutturali del 1972 rappresentano il primo programma comunitario di politica delle strutture agrarie, che si fonda sulla destinazione degli aiuti agli investimenti esclusivamente alle aziende con potenzialità di sviluppo. Nel 1975 il programma è stato integrato dalla direttiva sull'agricoltura nelle zone montane e in talune zone svantaggiate, al fine di mantenere l'attività agricola anche in condizioni sfavorevoli. L'insieme delle misure è stato raggruppato nel 1985 nel regolamento sul miglioramento dell'efficienza delle strutture agrarie (regolamento efficienza). La Comunità partecipa al finanziamento per quote variabili, che sono più elevate nei paesi a basso reddito. Il contributo è a carico della sezione orientamento del FEAOG. Nell'ambito della riforma dei Fondi strutturali del 1988 è stato deciso di coordinare gli interventi finanziari del FEAOG, sezione orientamento, quelli del Fondo europeo di sviluppo regionale e quelli del Fondo sociale europeo nell'obiettivo 1 («promuovere lo sviluppo e l'adeguamento strutturale delle regioni il cui sviluppo è in ritardo») e nell'obiettivo 5b («promozione dello sviluppo delle zone rurali»). L'obiettivo 5a («adeguamento delle strutture agrarie») consiste in sostanza nella prosecuzione della politica delle strutture agrarie, viene finanziato esclusivamente dal FEAOG, sezione orientamento, nel quadro del regolamento sull'efficienza e non ha limitazioni geografiche. L'obiettivo 5b, che ha limiti geografici propri, comprende ampie zone della Francia, del Regno Unito e della Germania. Della dotazione per la politica strutturale (che nel periodo 1989-1993 è raddoppiata raggiungendo i 60 miliardi di ecu) 3,4 miliardi di ecu sono stati destinati all'obiettivo 5a e 2,8 miliardi di ecu all'obiettivo 5b. Prima ancora della scadenza del periodo d'intervento il Consiglio ha deciso, per il periodo 1994-1999, un altro raddoppio degli stanziamenti per le misure strutturali. In tale sede è stata aumentata del 40% la dotazione per l'obiettivo 5b e sono state ampliate considerevolmente le zone sovvenzionabili. 25 26 Riforma della politica agricola comune I crescenti oneri finanziari conseguenti al progresso tecnico e le illimitate garanzie di mercato hanno imposto una correzione di rotta. Il primo provvedimento in tal senso è rappresentato dall'introduzione, nel 1984, delle quote lattiere. Per gli altri prodotti i prezzi dell'organizzazione di mercato non sono stati aumentati o lo sono stati in lieve misura e il meccanismo d'intervento è stato reso meno automatico. Sulla base di una decisione del -> Consiglio europeo in occasione del vertice straordinario del febbraio 1988 a Bruxelles sono stati introdotti stabilizzatori per i cereali, i semi oleosi e le piante proteiche per cui in caso di superamento dei quantitativi garantiti prefissati i prezzi d'intervento vengono ridotti automaticamente. Tutti gli Stati membri hanno dovuto presentare un programma di ritiro dei seminativi dalla produzione, ma il successo dell'iniziativa è stato soltanto parziale. Lo stesso dicasi per il programma di prepensionamento, che gli Stati membri hanno potuto proporre dal 1988 e che prevede il pensionamento anticipato degli agricoltori interessati, di età superiore ai 55 anni, qualora rinuncino per almeno cinque anni alla produzione o cedano i propri terreni agricoli ad altre aziende. Per evitare un nuovo boom delle spese agricole, nel 1988 è stato fissato, con la cosiddetta «linea direttrice agricola» un massimale per le spese obbligatorie della sezione garanzia del FEAOG. Partendo da una base di 27,5 miliardi di ecu, tale limite è fissato al 74% del tasso d'aumento del prodotto nazionale lordo della Comunità. La riforma del 1992 è fondata sull'abbandono del sostegno ai prezzi, con compensazione degli effetti sui redditi agricoli mediante pagamenti diretti. Nel settore dei cereali, tra il 1993-1994 e il 1995-1996 il prezzo d'intervento è stato progressivamente ridotto del 33%. I produttori sono stati compensati con un aiuto, proporzionato alla riduzione di prezzo, che può raggiungere i 207 ecu/ha (media europea), ad eccezione dei piccoli produttori, ma soltanto qualora venga ritirata dalla produzione una parte delle superfici finora investite a cereali e semi oleosi; per il ritiro dalla produzione viene corrisposto un premio di 262 ecu/ha. Per i semi oleosi i produttori spuntano soltanto il prezzo mondiale, oltre ad un aiuto per superficie pari in media a 384 ecu/ha. Nel settore delle carni bovine il prezzo d'intervento è diminuito in un triennio complessivamente del 15%. Per i primi novanta bovini da ingrasso di ogni azienda viene concesso un premio di 180 ecu/capo. Nell'ambito delle misure di accompagnamento sono stati aumentati gli incentivi per le colture estensive e l'utilizzazione di metodi di produzione rispettosi dell'ambiente. Il ritiro dei seminativi dalla produzione a fini ambientali può essere finanziato per un periodo ventennale. Inoltre, l'aumento del contributo comunitario ha reso più interessanti le azioni di rimboschimento. Conclusione dell'Uruguay Round del GATT Al termine di sette anni di trattative, il 15 dicembre 1993 è stato concluso l'Uruguay Round dell'accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio (GATT), le cui disposizioni sono entrate in vigore il 1 luglio 1995. Nel corso dei negoziati è stato particolarmente difficile trovare un'intesa sulle questioni agricole, dati gli interessi opposti dell'UE e degli Stati Uniti. Nel novembre 1992 è stato finalmente raggiunto un accordo («Accordo di Blair House») che è stato recepito nell'atto finale con modifiche minime e i cui punti principali sono i seguenti: a) riduzione del 20% rispetto alla base 1986-1988 del sostegno al mercato interno tenendo conto delle riduzioni apportate dal 1986; sono invece esclusi dalla riduzione i pagamenti compensativi concessi dall'UE nell'ambito della riforma della politica agricola comune; b) trasformazione di tutte le misure di protezione esterna in dazi doganali, da ridurre entro il 2000 mediamente del 36% e di almeno il 15% per prodotto; c) riduzione entro il 2000 delle spese per le restituzioni alle esportazioni del 36% rispetto alla base 1986-1990 e riduzione del 21% dei quantitativi esportati in regime di restituzione; nel periodo transitorio 1995-2000 può essere scelto come periodo di riferimento il 1991-1992; d) dal 1995, accesso minimo al mercato pari al 3% dei consumi interni con riferimento al 1986-1988 e aumento di tale quota al 5% entro il 2000; adeguate riduzioni dei dazi doganali pari alla quota di accesso al mercato; e) impegno dell'UE di fissare per i semi oleosi una superficie di base di 5,128 milioni di ha (superficie coltivata 1989-1991), di cui deve essere ritirata dalla produzione una quota pari a quella dei cereali e comunque non inferiore al 10%; f) qualora le importazioni dell'UE di prodotti sostitutivi dei cereali superino 19,2 milioni di tonnellate e quelle di foraggi 40,5 milioni di tonnellate (importazioni del 1990-1992), avvio di negoziati tra l'UE e gli Stati Uniti. Per certi mercati (zucchero, carni bovine, prodotti lattiero-caseari) le conclusioni dell'Uruguay Round avranno effetti restrittivi superiori alla riforma della politica agricola comune. Ampliamento della Comunità Nell'ambito dei negoziati per l'adesione dell'Austria, della Svezia, della Finlandia e della Norvegia, conclusisi il 1 aprile 1993, è stato difficile trovare un'intesa sul settore agricolo, dato il forte sostegno di cui beneficiava l'agricoltura dei paesi candidati all'adesione, anche per motivi di politica regionale. Tra i problemi principali figurava il mantenimento dell'agricoltura nelle regioni artiche e subartiche della Scandinavia e nelle regioni montane austriache dopo l'allineamento del sostegno nazionale su livelli comunitari. La richiesta di un regime transitorio da parte dei paesi candidati non è stata soddisfatta, in quanto le compensazioni per l'adesione e i meccanismi complementari di mercato 27 28 sarebbero stati legati ai controlli alle frontiere, contrari ai principi del mercato unico. La questione di politica regionale è stata affrontata dalla Comunità concedendo compensazioni considerevoli. Per i paesi scandinavi è stato istituito un nuovo obiettivo di politica regionale - l'obiettivo n. 6 - il cui unico criterio di ammissibilità è la densità di popolazione (inferiore a 8 abitanti/km2). A titolo di sostegno all'adeguamento dell'agricoltura alle condizioni della politica agricola comune la Comunità ha offerto ai nuovi Stati membri compensazioni per 2,97 miliardi di ecu nel periodo 1995-1998. Per le spese strutturali sono stati stanziati in bilancio complessivamente 8,89 miliardi di ecu fino al 1999. Prospettive L'UE deve adeguare taluni aspetti della sua politica agricola alle nuove condizioni dell'accordo GATT. A lungo termine si dovrà stabilire se con la riforma della politica agricola comune sia stata raggiunta definitivamente una situazione di stabilità. Essendo certo che vi saranno sempre maggiori progressi tecnici, la produzione continuerà ad aumentare e l'accordo GATT avrà effetti restrittivi anche nei settori in cui ciò attualmente non si verifica. La Comunità si ritroverà quindi a dover scegliere tra la riduzione dei prezzi e l'adozione di misure che limitino ulteriormente la produzione. Inoltre, con l'andar del tempo si porrà in termini ancora più urgenti la questione dell'accettazione delle compensazioni introdotte nella riforma. Dal punto di vista della politica estera la politica agricola comune dovrà affrontare l'impatto dell'integrazione dei paesi dell'Europa centro-orientale ( -> ampliamento). Winfried von Urff http://europa.eu.int/pol/env/en/info.htm Ambiente Base giuridica: Articoli 2, 3, punto k, e da 130 R a 130 T del trattato CE. Obiettivi: Tutela e miglioramento della qualità dell'ambiente; tutela della sanità pubblica, uso prudente e razionale delle risorse naturali; promozione di provvedimenti a livello internazionale, intesi a risolvere problemi ambientali di dimensioni regionali o mondiali. Strumenti: Disposizioni legislative, segnatamente direttive che determinano norme di qualità ambientale (livello di inquinamento), norme applicabili ai processi di fabbricazione (relative alle emissioni, alla concezione dei prodotti ed alla gestione aziendale) ed ai prodotti (valori limite per l'inquinamento o le emissioni di un determinato prodotto); programmi di azione per la tutela dell'ambiente, programmi di aiuti finanziari. Bilancio: Nel 1995 circa 144 milioni di ecu. Con il trattato sull'Unione europea (TUE), la Comunità ha incluso la politica ambientale nel suo campo d'azione (articolo 3 del trattato CE, nuovo testo), associando l'obiettivo di una crescita duratura ed il rispetto per l'ambiente (articolo 2 CE). La politica ambientale, sviluppata negli anni 70, ottiene così un nuovo status giuridico. L'Atto unico europeo del 1987 che conferì alla CE competenze in materia di politica dell'ambiente, precisava già che l'imperativo della tutela ambientale doveva essere presente in tutte le azioni comunitarie. Tale principio universale, unico nel trattato CE, conferisce alla tutela dell'ambiente una posizione particolare; fra la teoria e la pratica il divario è però considerevole, specialmente in un'epoca di recessione caratterizzata dall'acuto conflitto fra gli interessi economici e le esigenze della politica ambientale. Ne costituiscono un chiaro esempio le norme comuni relative alla limitazione delle emissioni dei veicoli a motore, stabilite una prima volta nel 1970 e modificate in seguito a più riprese, da ultimo nel 1994. Non si è ancora imposta la convinzione che, in un contesto politico adeguato, la crescita economica è compatibile con il rispetto dell'ambiente e che la tutela dell'ambiente non costituisce necessariamente un freno alla competitività, può anzi, al contrario, migliorarla. 29 30 Lo sviluppo della politica ambientale della CE: dalla terapia alla profilassi Nei trattati del 1957 non si prevedevano competenze comunitarie in materia di ambiente. Gli Stati membri reagirono all'ingravescente inquinamento con provvedimenti a livello nazionale. L'inquinamento però, fenomeno transfrontaliero, non può essere combattuto efficacemente nel contesto esclusivo delle politiche nazionali. I provvedimenti nazionali a tutela dell'ambiente e le disposizioni applicabili ai prodotti industriali si rivelarono inoltre ostacoli al commercio, incompatibile, in quanto tali, con l'obiettivo comunitario della libera circolazione delle merci; andarono di conseguenza moltiplicandosi le richieste di un'azione in campo ecologico. Poco dopo la prima conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente umano, nel giugno 1972, in occasione di un vertice della CE a Parigi, la Commissione ( -> Commissione europea) propose di elaborare un programma di azione sull'ambiente, la cui base giuridica era l'articolo 2 del trattato CE che annoverava, fra i compiti della Comunità, la promozione di «uno sviluppo armonioso delle attività economiche» nonché «una crescita sostenibile» negli Stati membri, obiettivi perseguibili solo nel rispetto dell'ambiente. Si faceva riferimento anche al preambolo del trattato, e più precisamente ai termini «miglioramento costante delle condizioni di vita e di occupazione». Come base giuridica vennero assunti anche l'articolo 235, che conferisce poteri d'azione alla Comunità in casi non previsti dal trattato, e l'articolo 100 che prevede il «ravvicinamento delle disposizioni, legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri che abbiano un'incidenza diretta sull'instaurazione o sul funzionamento del mercato comune». Gli atti legislativi da adottare su tale base dovevano necessariamente esser votati all'unanimità dal Consiglio dei ministri ( -> Consiglio dell'Unione europea). Già dall'inizio degli anni '70 pertanto erano state riconosciute la necessità e la legittimità di una politica comune dell'ambiente. Andò quindi costituendosi un diritto comunitario dell'ambiente, costituito di obblighi e divieti, che comprende oggi oltre 200 tra direttive e regolamenti, relativi in particolare alla tutela delle acque, alla qualità dell'aria, ai prodotti chimici, alla protezione della fauna e della flora, all'inquinamento acustico, all'eliminazione dei rifiuti. La caratteristica del diritto comunitario in materia di ambiente è di tener sempre conto degli imperativi economici; la legislazione in tale settore è in costante evoluzione. L'efficacia della legislazione comunitaria in campo ecologico dipende dall'impegno degli Stati membri, cioè dalla trasposizione delle direttive nel diritto nazionale. Le numerose procedure per infrazione ai trattati in tale settore (per esempio per quanto concerne la tutela delle acque) sono un chiaro indizio delle lacune in materia. Oltre al diritto comunitario, la Comunità ha lanciato programmi di azione nel settore dell'ambiente, in funzione di obiettivi ed orientamenti prioritari. Già nel terzo programma di azione (1983) andava delineandosi il principio fondamentale della prevenzione; nel quarto programma di azione (19871992) si stabiliva il passaggio ad una politica prettamente preventiva. La Comunità ha anche istituito programmi di ricerca in campo ambientale, come STEP (Scienza e tecnologica per la protezione ambientale) ed EPOCH (Programma europeo per la climatologia e i rischi naturali). Solo con l'adozione dell'Atto unico europeo, nel 1987, è stata attribuita expressis verbis alla Comunità una competenza specifica in materia di politica ambientale (articoli da 130 R a 130 T del trattato CEE). Vi ricevevano veste ufficiale anche principi già messi in pratica di tempo: prevenzione, «chi inquina paga», interventi contro l'inquinamento alla fonte. Veniva poi introdotto il principio di sussidiarietà: la Comunità interviene solo qualora gli obiettivi possono essere meglio conseguiti a livello comunitario che nazionale. Il principale strumento che consente di integrare nella definizione e nell'esecuzione di qualsiasi provvedimento comunitario gli imperativi connessi alla tutela dell'ambiente, come prescritto dall'Atto unico europeo, è lo studio dell'impatto sull'ambiente. La direttiva sull'impatto ambientale è entrata in vigore, dopo 22 progetti preliminari, nel luglio 1988. Prevede una procedura unica, applicabile in sede di pianificazione di progetti economici, per esaminarne l'impatto sugli umani, la flora, la fauna e l'ambiente. L'Atto unico europeo prevedeva per il settore dell'ambiente una procedura di decisione all'unanimità, con semplice consultazione del Parlamento europeo; il Consiglio dei ministri poteva prendere a maggioranza qualificata ( -> procedure decisionali) solo le decisioni conseguenti. Da allora peraltro i provvedimenti a tutela dell'ambiente concernenti il completamento del -> mercato interno poterono essere presi anche su base del nuovo articolo 100 A del trattato CEE. In tali casi si applicava la procedura di codecisione con il Parlamento, che, prevedendo la possibilità del voto maggioritario, accelerava il processo decisionale. Le decisioni a voto maggioritario sono diventate possibili però solo con il trattato di Maastricht, che prevede inoltre una partecipazione più intensa del Parlamento europeo al processo decisionale (procedura in virtù dell'articolo 189 B del trattato CE). Restano peraltro esclusi alcuni importanti settori: è tuttora necessaria l'unanimità per le disposizioni relative alle ecotasse ed all'energia. Una politica comune dell'ambiente negli anni '90 A causa del programma del mercato interno, la politica dell'ambiente suscita maggiore attenzione ed ha assunto carattere di urgenza: uno studio fatto eseguire dalla Commissione nel 1989 avvertiva del rischio di aggravamento dell'inquinamento nel mercato interno, segnatamente a causa dell'intensificarsi dei trasporti. La Commissione intende promulgare norme ecologiche severe, per garantire la tutela dell'ambiente nel mercato interno. Sono inoltre consentite disposizioni nazionali a protezione dell'ambiente (articolo 100 A, paragrafo 4 e 130 T CE): possono essere mantenute infatti in vigore le disposizioni più severe di quelle comunitarie, purché compatibili con il trattato; qualora peraltro si rivelino ostacoli al commercio, costituiscono infrazione al diritto comunitario. Le norme ecologiche più severe sono quelle in vigore nei paesi nordici ed in Germania. Parallelamente allo sviluppo del diritto ambientale, la Comunità ha preso tutta una serie di provvedimenti. La strategia del quinto programma di azione «per uno sviluppo durevole e sostenibile», adottato nel 1993, consiste nel creare un'interrelazione tra le diverse categorie di attori e nel fornire incoraggiamenti 31 32 positivi per pervenire a ulteriori progressi nel contesto di un approccio preventivo della tutela dell'ambiente, specialmente nei settori dei trasporti e dell'energia. Nel 1994 si è registrato un nuovo fallimento del tentativo di introdurre la tassa comune energia/CO2, in discussione dal 1990, che pertanto continua ad essere lasciata alle iniziative nazionali. Alcuni Stati membri l'hanno già introdotta; nel 1995 la Commissione propose una direttiva quadro, recante parametri comuni per l'introduzione volontaria della tassa. La politica comune in materia di limitazione delle emissioni dei veicoli a motore si limita attualmente ai programmi Altener (azioni specifiche a favore di un maggior sfruttamento delle energie rinnovabili) e SAVE (azioni specifiche per aumentare l'efficienza energetica) nonché ad un programma di osservazione delle emissioni di CO2; i paesi dell'Unione europea si sono impegnati ad istituire programmi nazionali per la limitazione delle emissioni di CO2 che però non sono ancora completi né armonizzati. L'obiettivo comunitario di stabilizzare le emissioni di CO2 al livello del 1990 fino al 2000 non può pertanto essere conseguito. Anche nella politica internazionale dell'ambiente la tutela del clima è un tema centrale. Nel dicembre 1990, di fronte all'aumento delle pressioni provenienti tanto dall'interno, e segnatamente dalle organizzazioni di tutela dell'ambiente, che dagli Stati Uniti, i ministri europei dell'Ambiente sono pervenuti ad un accordo in merito alla riduzione del 50% della produzione e dell'uso dei CFC (clorofluorocarburi) entro l'inizio del 1992 ed al divieto assoluto di produrre ed utilizzare tali sostanze alla metà del 1997. L'accordo era stato preceduto da lunghe trattative internazionali, iniziate già alla fine degli anni 70, nel corso delle quali la Comunità, grande produttrice ed esportatrice di CFC, rappresentata dalla Commissione, si era mostrata scarsamente accessibile al colloquio, a causa principalmente delle obiezioni della Francia e del Regno Unito. In possesso di nuove relazioni scientifiche allarmanti, i ministri dell'Ambiente decisero alla fine del 1992 di abbandonare la produzione del CFC nel gennaio 1995. Nella politica comune dell'ambiente resta di attualità anche l'aspetto «terapia». Con il libro verde del 1993 la Commissione ha riaperto il dibattito sul problema del risanamento dei danni all'ambiente. Nella politica CE dell'ambiente rientrano anche la promozione finanziaria di investimenti intesi al miglioramento dell'ambiente, tramite il programma LIFE (strumento finanziario per l'ambiente) o il fondo strutturale ed il Fondo di coesione ( -> politica regionale). Nel quadro del Fondo regionale, per esempio, fu lanciato, alla fine del 1979, il programma Envireg, inteso alla lotta contro l'inquinamento nelle zone costiere economicamente deboli della CE. Anche la -> Banca europea per gli investimenti concesse prestiti, per esempio per la costruzione di impianti di selezione e smaltimento dei rifiuti. Dalla primavera del 1993, inoltre, a determinati prodotti viene attribuita un'etichetta ecologica CE; dal 1995 anche alle ditte può essere attribuita, dopo adeguato esame, una marcatura ecologica. Nell'ottobre 1993 iniziò i suoi lavori l'Agenzia europea dell'ambiente a Copenaghen, con compiti principalmente di informazione e documentazione; dopo aver deciso, nel maggio 1990, la fondazione dell'agenzia e l'istituzione di una rete di osservazione per l'ambiente, per tre anni il Consiglio non era riuscito ad accordarsi sulla sede. Nel frattempo ha ricevuto una base giuridica il diritto di ogni cittadino della CE ad ottenere informazioni esaustive sulla tutela dell'ambiente e l'inquinamento, nonché ad accedere liberamente ai centri amministrativi responsabili. Per rispettare l'obbligo di tener conto degli imperativi ecologici in tutti i suoi campi di azione, l'Unione europea deve accettare le proprie responsabilità ecologiche anche nelle -> relazioni con i paesi terzi e in particolare con l'Europa orientale ed i paesi in via di sviluppo. La promessa di contribuire attivamente al piano per l'ambiente delle Nazioni Unite, deciso a Rio, non è ancora stata mantenuta. La promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell'ambiente è stata inserita fra gli obiettivi della politica comunitaria dell'ambiente a Maastricht (articolo 130 R, paragrafo 1, del trattato). La CE è parte contraente di vari accordi di tutela dell'ambiente. Gli accordi con paesi terzi o gruppi di paesi contengono ormai una clausola relativa all'ambiente. L'intensificarsi della cooperazione con i paesi dell'Europa orientale ha comportato la conclusione di accordi bilaterali specifici di cooperazione nel settore della salvaguardia dell'ambiente. L'Unione europea partecipa in via determinante al programma di azione ecologica per l'Europa centrale ed orientale, sviluppato nel 1993; la terza conferenza dei ministri dell'Ambiente di tutta l'Europa si è svolta nell'ottobre 1995 a Sofia. L'agenzia europea per l'ambiente collabora con i paesi dell'Europa centrale ed orientale. Bilancio e prospettive Oltre che sul piano nazionale e bilaterale, l'Unione europea è andata sempre più rivelandosi un elemento attivo fondamentale della politica dell'ambiente in Europa. Ha preso provvedimenti in tutti i settori rilevanti. La politica europea dell'ambiente peraltro rivela una dicotomia: se l'aumento delle attività in materia è il segno di una maggior sensibilità nei confronti dei problemi ecologici, la maggiore concretezza ed efficacia della politica europea dell'ambiente suscita sempre maggiori riserve da parte dei settori economici interessati. La riconciliazione tra ambiente e sviluppo è una sfida ancora aperta. La Commissione elabora strategie a tal fine; si cita per esempio il -> libro bianco «Crescita, competitività e occupazione» del 1993. Per riorientare in senso ecologico l'economia, la tecnica e la società, sarebbero necessarie l'introduzione di ecotasse ed imposte «verdi» nonché una riforma in senso ecologico del sistema fiscale. In tale settore peraltro non si registrano progressi: è fallita l'introduzione di una tassa comune sull'energia. Restano poi problematiche le possibili conseguenze del principio di sussidiarietà, caro agli uomini politici: la Commissione ha già dovuto ritirare alcuni atti giuridici. Esiste addirittura il rischio che siano rese meno severe le norme europee in materia di ambiente. L'efficace integrazione della dimensione ambientale nelle sue politiche costituirà un banco di prova per l'Unione europea. Per tener conto delle esigenze ecologiche 33 34 in tutte le attività comunitarie, la Commissione ha nominato un funzionario responsabile dell'ambiente in tutte le direzioni generali; nel 1994 inoltre ha fondato il foro consultivo generale per l'ambiente. Anche in futuro la politica ambientale però non potrà sfuggire al conflitto fra gli interessi dell'economia e gli interessi dell'ecologia. Alcuni progetti strutturali, promossi dall'Unione europea e considerati necessari, sono contrari agli interessi ecologici. Alla metà degli anni 90 la politica ambientale comune ha urgente bisogno di nuovi impulsi; si può sperare che esercitino un influsso positivo i nuovi Stati membri, per esempio l'Austria, interessata ad una politica ecologica dei trasporti. Anita Wolf-Niedermaier http://europa.eu.int/en/agenda/newmem.html Ampliamento Base giuridica: Preambolo, articolo O e articolo F, paragrafo 1, del trattato sull'Unione europea, articolo 3 A, paragrafo 1 del trattato CE. Richieste di adesione: Da parte di dieci paesi dell'Europa centrale ed orientale: Ungheria (31.3.1994), Polonia (5.4.1994), Romania (22.6.1995), Repubblica slovacca (27.6.1995), Lettonia (27.10.1995), Estonia (28.11.1995), Lituania (8.12.1995), Bulgaria (14.12.1995), Repubblica ceca (17.1.1996), Slovenia (10.6.1996) e altri quattro Stati: Turchia (14.4.1987), Cipro (3.7.1990), Malta (16.7.1990), Svizzera (20.5.1992). Il -> Consiglio europeo di Madrid, del dicembre 1995, dichiarò che l' -> ampliamento dell'Unione europea rappresentava un'esigenza politica ed un'opportunità storica. A tutt'oggi, quattordici Stati, tra i quali dieci Stati associati dell'Europa centrale ed orientale, hanno inoltrato domanda di adesione al -> Consiglio. Mentre la -> Commissione europea aveva già formulato, il 20 dicembre 1989, il proprio parere provvisorio negativo nei confronti della richiesta della Turchia, al Consiglio sono pervenuti il 30 giugno 1993 i pareri favorevoli concernenti le domande di Cipro e Malta. È ancora in sospeso la domanda di adesione presentata dalla Svizzera, che non ha avuto seguito dopo il referendum negativo sull'adesione al SEE (dicembre 1992). Attualmente la Commissione sta elaborando il parere relativo alle richieste presentate dai paesi che hanno sottoscritto un accordo europeo, protagonisti dell'attuale politica di ampliamento. La prima fase negoziale con i paesi dell'Europa centrale ed orientale deve essere segnata - come ha nuovamente sottolineato il Consiglio europeo nel luglio 1996 a Firenze - dall'avvio delle trattative con Cipro, dunque sei mesi dopo la chiusura della -> Conferenza intergovernativa. Quest'ultima è chiamata a preparare l' Unione europea alle ripercussioni istituzionali dell'allargamento ad una Unione composta da 20-25 Stati membri, in cui il -> processo decisionale e la composizione degli organi dovranno essere rimodellati per soddisfare i criteri di efficienza, capacità operativa e legittimità. L'adesione all'UE serve agli Stati dell'Europa centrale ed orientale per consolidare la loro sicurezza interna ed il processo di modernizzazione, per proseguire e rafforzare la transizione verso la democrazia e l'economia di mercato. L'interesse politico che l'UE accorda al consolidamento duraturo, nella regione limitrofa, dei princípi su cui si fondano gli ordinamenti politici ed economici occidentali prevale 35 36 sulle stesse motivazioni economiche (estensione del -> mercato interno). Con la fine del conflitto Est-Ovest l'UE è investita di una maggiore responsabilità nello scacchiere europeo e deve contribuire in modo determinante alla creazione delle strutture necessarie ad una comunità sicura basata sul benessere, l'equilibrio sociale e la democrazia. Nell'ampliamento verso Oriente si deve riflettere sulle complicazioni che il caso della Russia presenta sul piano della politica di sicurezza. L'allargamento ad Est rappresenta una sfida alla volontà della politica d'integrazione ed al contempo mette seriamente alla prova la capacità di riforma della Comunità dei Quindici. La sfida non è fronteggiabile né facendo ricorso al modello seguito nelle quattro precedenti tornate di adesione, né può essere evitata rinviandola sine die e limitandosi semplicemente ad approfondire il processo di integrazione intracomunitaria quale premessa indispensabile per un allargamento agli Stati dell'Est. Per tale motivo l'UE ha scelto di procedere su due strade parallele cercando di conciliare sul piano temporale e concettuale, i punti chiave dell'«Agenda 2000» (conclusione della conferenza intergovernativa 19961997, nuovo regime delle risorse proprie dell'UE, riforma della politica di coesione, strutturale e della politica agricola comune, avvio della terza fase dell'-> unione economica e monetaria, futuro dell'UEO) con la cosidetta «strategia di convergenza» e con le trattative sull'adesione delle nuove democrazie. Va infatti riconosciuto che l'ampliamento verso Est acuisce i latenti conflitti sulla ripartizione delle risorse tra i paesi beneficiari ed i pagatori netti dell'UE e costringe in pari tempo ad adottare decisioni strategiche che non vanifichino le finalità d'integrazione. La prospettiva dell'ampliamento alimenta anche il dibattito sulla maggiore flessibilità e differenziazione del processo di integrazione dell'UE, nonché sullo spostamento dell'asse politico ed economico dell'Unione. Attualmente gli Stati dell'Europa centrale ed orientale procedono su quattro sentieri interconnessi in vista dell'adesione all'UE: 1) applicazione delle disposizioni previste dagli accordi europei bilaterali e utilizzazione delle possibilità di cooperazione e di dialogo; 2) applicazione pratica dei programmi di adeguamento nazionale in linea con gli orientamenti tracciati dal «libro bianco per l'integrazione degli stati dell'Europa centrale ed orientale nel mercato unico»; 3) partecipazione al dialogo strutturato presso le istituzioni dell'Unione, che può estendersi a tutte le politiche ed attività di tutti i pilastri dell'UE. A tali relazioni multilaterali prendono parte i dieci Stati associati PECO ed occasionalmente Malta e Cipro; 4) gestione del concreto processo di adesione avviato con la richiesta formale in tal senso ed attualmente al centro dell'attenzione pubblica. Fondamenti giuridici e procedure generali di adesione Fin dal loro insediamento le Comunità europee sono concepite come organizzazioni aperte. Infatti, già l'articolo 87 del trattato CECA stabiliva che qualsiasi Stato europeo poteva inoltrare una richiesta di adesione. L'articolo 237 del trattato CEE, nonché l'articolo 205 del trattato Euratom hanno fatto proprio tale principio. Con l'entrata in vigore del TUE l'articolo 237 del trattato CEE è stato sostituito dall'articolo O, dalla formulazione pressoché identica. La frase centrale recita: «Ogni Stato europeo può domandare di diventare membro dell'Unione». Soddisfare il requisito geografico prescritto agli Stati europei non è sufficiente. Infatti l'articolo F, introdotto dal TUE, precisa che lo Stato che voglia aderire deve disporre di un sistema di governo fondato sui principi democratici. Tali condizioni erano già state ribadite dal Consiglio europeo nel 1978 in una dichiarazione sulla democrazia. Inoltre l'articolo 3 A, paragrafo 1 del trattato CE dispone che gli Stati membri e la Comunità adottano una -> politica economica condotta conformemente al principio di un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza. Neppure con l'adempimento di tutti i requisiti sorge per tali paesi il diritto giuridico all'adesione. La decisione relativa all'adesione è infatti un atto di discrezionalità politica che spetta in primo luogo al Consiglio ed agli Stati membri. Inoltre, gli Stati membri dispongono, ai sensi dell'articolo N del TUE, del diritto illimitato di presentare progetti intesi a modificare i trattati, progetti che potrebbero vertere anche sulle condizioni previste per l'adesione. La procedura generale di adesione per i nuovi Stati membri, così come si è sviluppa nella prassi nel corso degli anni, è molto più articolata di quanto possa far pensare la formulazione dell'articolo O del TUE. Inizialmente, lo Stato che desidera entrare a far parte dell'Unione presenta la domanda di adesione al Consiglio. Tale dichiarazione unilaterale di volontà può essere ritirata dallo Stato candidato fino all'atto del deposito degli strumenti di ratifica, come è avvenuto nel caso della Norvegia nel 1994. Nel parere provvisorio inviato al Consiglio, la Commissione illustra le possibilità generali ed i problemi connessi alla richiesta adesione. Successivamente, il Consiglio delibera a maggioranza semplice sull'avvio dei negoziati ai sensi dell'articolo O, i quali sono condotti dalla presidenza dell'UE, a nome degli Stati membri, con il sostegno della Commissione. Solo nella fase conclusiva trova applicazione la procedura descritta nell'articolo O. Innanzitutto il Consiglio ascolta il parere definitivo formulato dalla Commissione in relazione all'adesione, che tuttavia non lo vincola. Il Consiglio, deliberando all'unanimità, decide se accogliere la richiesta di adesione. Invece spetta agli Stati membri sulla base dell'articolo O definire, attraverso gli strumenti di adesione (che comprendono estesi e complessi atti di adesione), con il paese candidato le modalità concrete e le condizioni per l'ammissione. Queste ultime contengono la previsione di periodi transitori che consentono allo Stato candidato delle divergenze, limitate nel tempo, rispetto al trattato CE. Gli adattamenti ai trattati istitutivi che si rendono necessari sono soprattutto quelli che il nuovo ingresso rende obbligatori, ad es. in relazione alle disposizioni che disciplinano le istituzioni. Nel corso dell'intera fase delle trattative il Parlamento europeo viene informato sull'andamento dei colloqui. Esso deve approvare l'adesione dei nuovi Stati con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei membri che lo compongono. Solo successivamente il Consiglio delibera con piena cognizione del trattato di adesione negoziato. Si tratta di un trattato di diritto internazionale che richiede la ratifica di tutti gli Stati firmatari, in conformità delle rispettive procedure costituzionali nazionali. Il deposito degli strumenti di ratifica conclude la procedura di adesione. Con l'entrata in vigore lo Stato aderente diventa parte 37 38 contraente di diritto internazionale in tutti i trattati istitutivi delle Comunità europee ed assume tutti i diritti e gli obblighi di uno Stato membro dell'Unione. Nonostante l'ampliamento, la CE conserva la propria identità di persona giuridica. L'adesione comporta per il nuovo membro l'accettazione dell'intero diritto comunitario, primario e derivato, che diventa vincolante nei suoi confronti (acquis communautaire). Condizioni, fasi e opzioni dell'allargamento dell'UE all'Est europeo Con riferimento all'allargamento agli Stati associati dell'Europa centrale ed orientale, il Consiglio europeo aveva individuato, già nel giugno 1993 a Copenaghen, i criteri per l'ammissione, che la Commissione deve tenere in considerazione nell'elaborazione del proprio parere provvisorio. I criteri di Copenaghen dettano i requisiti economici e politici necessari per un'adesione a pieno titolo, senza però costituire una lista dettagliata di punti da adempiere o un oggettivo parametro di valutazione. Il Consiglio ha previsto che il paese candidato deve soddisfare i seguenti criteri: 1) stabilità della democrazia e delle sue istituzioni (Stato di diritto, sistema multipartitico, diritti dell'uomo, tutela delle minoranze, pluralismo, ecc.); 2) una economia di mercato funzionante in grado di fronteggiare la pressione competitiva del -> mercato interno; 3) capacità di farsi carico dei diritti e dei doveri che discendono dal corpus normativo dell'UE; 4) accettazione degli obiettivi dell'Unione politica nonché dell' Unione economica e monetaria (UEM). Il quinto criterio è riferito alla 5) capacità dell'UE di ammettere nuovi Stati membri senza pregiudicare la dinamica del processo integrativo. Senza dubbio l'ultimo criterio menzionato riflette l'interesse maggioritario dell'Unione a conservare il proprio patrimonio giuridico ed a salvaguardare la prospettiva realistica di un ulteriore approfondimento dell'integrazione. Il «sì» sostanziale dell'Unione europea all'ampliamento verso Est è pertanto condizionato sotto vari aspetti. Il Consiglio europeo ha sottolineato, in occasione del vertice di Madrid, la necessità di creare i presupposti di una graduale ed armonica integrazione dei paesi associati, e ciò soprattutto attraverso lo sviluppo dell'economia di mercato, l'adeguamento delle strutture amministrative di tali paesi e la creazione di solide condizioni generali nel settore economico e monetario. La strategia di convergenza dell'UE, varata nel dicembre 1994 per la preparazione degli Stati associati in vista dell'ammissione, contiene - ad es. nel quadro del programma PHARE o della cosidetta procedura del libro bianco - provvedimenti di sostegno ai processi di ripresa e di adeguamento. Nei singoli casi, la Commissione valuta la capacità del candidato di assumere gli obblighi che il diritto comunitario gli impone in tutti i settori di attività dell'Unione e che postulano un'armonizzazione legislativa e una sua applicazione effettiva a tutti i livelli. Il suo parere si conclude con la raccomandazione di avviare i relativi negoziati. Determinante risulta non tanto la «fotografia» della L’EUROPA DALLA A ALLA Z situazione al momento della candidatura, quanto piuttosto la valutazione dei progressi che lo Stato candidato potrà presumibilmente realizzare, sia alla luce dell'evoluzione del diritto dell'Unione sia con riferimento alla situazione politica ed economica. I pareri verranno pubblicati non prima del secondo semestre del 1997, dopo la conclusione della -> conferenza intergovernativa. Si prevede che l'avvio delle trattative di adesione avverrà nel corso del 1998. UNIONE EUROPEA - Motore d'Europa Unione europea Paesi candidati all'adesione Bulgaria, Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta*, Polonia, Repubblica ceca, Repubblica slovacca, Romania, Svizzera*, Turchia, Ungheria Stati che hanno concluso accordi europei Slovenia e Stati che hanno presentato domanda di adesione** * Domanda attualmente in sospeso ** eccettuati: Malta, Cipro, Svizzera e Turchia (Malta dal 1971 e Cipro dal 1973 hanno firmato un accordo di associazione con l'UE. Con la Turchia esiste un'unione doganale dal 31.12.1995). 39 40 Nell'elaborazione del suo parere, la Commissione si basa in misura sostanziale sulle informazioni fornite dal candidato. La fonte principale è rappresentata dalle risposte, inoltrate entro la fine di luglio 1996 e costantemente aggiornate attraverso successive richieste di informazioni, al questionario «Informazioni necessarie per la preparazione del parere in relazione alla richiesta di adesione all'Unione europea». Integrate da intensi colloqui di sondaggio tenuti dalla Commissione, esse offrono dettagliate delucidazioni circa il singolo profilo nazionale. Secondo la missione affidatale dal Consiglio europeo di Madrid, la Commissione elaborerà altresì diversi rapporti ed altri documenti relativi all'allargamento. Si tratta in primo luogo di dettagliati studi sulle ripercussioni (impact studies), intesi a valutare le ripercussioni dell'ampliamento sulla politica comunitaria, e segnatamente sulla -> politica agricola comune (PAC) e sulle -> politiche strutturali (politica regionale strutturale). Tra i dati chiave vanno annoverati la rilevante posizione occupata dall'agricoltura nei mercati del lavoro e nell'economia dei dieci Stati dell'Europa centro-orientale (PECO) (7,8% del PIL e 26,7% degli occupati, contro il 2,5% e 5,7% rispettivamente nell'UE), un fabbisogno ulteriore stimato in 12 miliardi di ecu, calcolato alle condizioni di una PAC invariata, e spese esorbitanti nel caso si applicasse ai nuovi Stati membri la politica strutturale e di coesione senza adeguamenti, in quanto i dieci Stati candidati raggiungono allo stato attuale mediamente solo il 30% del PIL medio pro capite. La Commissione elabora anche un documento complessivo sull'allargamento, che affronta questioni di natura «orizzontale», quali ad es. il tipo e la durata delle disposizioni transitorie e il successivo sviluppo della strategia di convergenza nel quadro del programma strategico complessivo. Immediatamente dopo la conclusione della conferenza intergovernativa, la Commissione deve inoltre presentare una comunicazione sul futuro quadro finanziario dell'Unione, nel quale deve tener conto dell'ipotesi di un ampliamento. L'elaborazione delle nuove disposizione che dopo il 1999 si sostituiranno al regime previgente è considerata una delle imprese più ardue che l'UE dovrà affrontare per prepararsi all'ampliamento. Queste difficoltà scaturiscono sia dalla presenza di rilevanti disavanzi pubblici sia dall'inquietudine dei paesi beneficiari netti, che temono riforme radicali dell'attuale assetto normativo. Il ritmo dell'ampliamento verso Est dipenderà dalle possibilità di apprestare compensazioni politiche e finanziarie (che saranno oggetto di un pacchetto globale) e dai rapporti di forza all'interno della Comunità. Circa sei mesi dopo la chiusura della conferenza intergovernativa, il Consiglio adotta, sulla base delle comunicazioni della Commissione e dei risultati della stessa, le necessarie delibere, stabilendo quali paesi dell'Europa centrale ed orientale possano partecipare alla prima tornata di negoziati. A tale proposito, si delineano due posizioni: da un lato una partenza in massa, che prevede l'inizio simultaneo dei negoziati con tutti i dieci PECO, salvo la possibilità di concluderli in date diverse; d'altro lato, la formazione di un gruppo di paesi - ipotesi delicata dal punto di vista politico ma tecnicamente più facile da gestire - che prevede l'avvio e la conclusione dei negoziati soltanto con alcuni dei PECO. I paesi esclusi dalla prima tornata negoziale rientreranno in una o in più tornate successive in vista dell'adesione. In questa opzione, che chiaramente è fondata sulla diversa idoneità all'adesione dei vari candidati e sulla limitata capacità di assorbimento dell'UE, devono tuttavia essere ponderati i rischi di una possibile regressione del processo di riforma e di stabilizzazione per l'UE e il pregiudizio sul piano politico ed economico che ne risulterebbe. Entrambe le opzioni e le varianti ipotizzabili si ricollegano all'esigenza di differenziare - senza discriminare - i singoli Stati candidati; l'obiettivo deve essere quello di osservare il principio della parità di trattamento secondo criteri unitari comprensibili. In considerazione della prevedibile durata dei negoziati, del tempo necessario alla ratifica e del raccordo con il programma «Agenda 2000», il prossimo ampliamento dovrebbe aver luogo solo verso la metà del primo decennio del 2000. Barbara Lippert 41 http://www.eib.org/ 42 Banca europea per gli investimenti Data di fondazione e sede: 1.1.1958; Lussemburgo. Membri: Tutti gli Stati membri dell'UE. Base giuridica: Articoli 198 D e 198 E, del trattato che istituisce la Comunità europea. Organi: Consiglio dei governatori dei 15 ministri delle Finanze (fissa le direttive generali della politica creditizia), Consiglio d'amministrazione (garantisce l'osservanza delle disposizioni del trattato, decide in merito alla concessione dei prestiti e delle garanzie), comitato direttivo, comitato di verifica. La Banca europea per gli investimenti è una banca e, contemporaneamente, una istituzione autonoma dell'-> Unione europea. Essa concede prestiti e garanzie destinati a finanziare progetti di investimenti che contribuiscano ad un equilibrato sviluppo della Comunità. In quanto banca, essa opera secondo i normali principi economici che in tutte le banche regolano l'erogazione del credito e collabora strettamente con altre istituzioni finanziarie. Non si prefigge, però, scopi di lucro: gli interessi sui crediti che essa concede corrispondono al costo dei prestiti contratti, aumentati di una quota pari allo 0.15%. Mediante la concessione di prestiti e garanzie, la Banca ha il compito di finanziare (normalmente, fino al 50% dei costi complessivi) progetti finalizzati agli obiettivi politici ed economici della Comunità e selezionati in modo che gli investimenti finanziati contribuiscano ad uno sviluppo stabile e durevole. I prestiti possono essere concessi a mutuatari sia pubblici che privati per investimenti in settori come le infrastrutture, l'energia. l'industria, i servizi e l'agricoltura. Per poter esercitare questa attività finanziaria, la BEI ricorre in gran parte a prestiti obbligazionari che contrae sul mercato dei capitali della Comunità e sui mercati mondiali. Il capitale sottoscritto, che è versato dagli Stati membri, dall'1 gennaio 1995 ammonta a 62 miliardi di ecu. Secondo lo statuto, l'ammontare dei prestiti e delle garanzie erogate non deve superare il limite massimo del 250% del capitale. Nel 1994 la BEI ha concesso crediti per un totale di 19,9 miliardi di ecu. Di questi, 17,7 miliardi hanno finanziato investimenti della Comunità. Poiché l'obiettivo principale della BEI è quello di contribuire allo sviluppo delle regioni economicamente più deboli, nel 1994, la parte più cospicua di tale somma, il 72%, è stata stanziata a questo scopo. Da questo punto di vista, la Banca persegue gli stessi fini dei fondi strutturali ( -> Politica regionale) e di altri strumenti di intervento finanziario della Comunità. Oltre alle iniziative a favore delle infrastrutture propriamente regionali, l'elenco dei progetti ammissibili al finanziamento comprende l'ampliamento delle infrastrutture di trasporto e di telecomunicazione, la protezione dell'ambiente e delle condizioni di vita, gli iniziative di risanamento dell'assetto territoriale urbano, il conseguimento della sicurezza negli approvvigionamenti di energia della Comunità, il miglioramento della competitività internazionale dell'industria nonché la sua integrazione a livello europeo, soprattutto attraverso la valorizzazione delle piccole e medie imprese. Al di fuori della CE, la BEI dà un importante contributo alla politica per lo sviluppo. Finora sono stati sottoscritti con 12 paesi mediterranei vari protocolli finanziari. Insieme alla Banca mondiale e ad altre istituzioni è stato inoltre elaborato e finanziato un programma per la protezione dell'ambiente. Complessivamente, la BEI è in grado di intervenire finanziariamente in 130 paesi circa, legati alla UE da reciproci interessi economici. Nel 1990, per la prima volta, il consiglio dei governatori ha autorizzato la BEI ad erogare prestiti, destinati a finanziare progetti in settori prioritari dello sviluppo economico, alla Polonia, all'Ungheria e alla ex RDT. Da allora, questa opportunità è stata estesa a 10 paesi dell'Europa centrale ed orientale. Fino al 1997, potranno essere concessi prestiti per un volume complessivo di 3 miliardi di ecu. Nel 1994, i finanziamenti all'esterno della Comunità sono nuovamente aumentati a 2 246 miliardi di ecu. La BEI partecipa, con il 3% del capitale sottoscritto, alla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, fondata nel 1990 con sede a Londra, che funge da pendant della BEI stessa per i Paesi dell'Europa orientale. L'importanza della Banca europea per gli investimenti è andata costantemente crescendo, permettendole così di divenire una banca internazionale di primaria importanza. Grazie alla sua attività, è stato possibile contenere le divergenze di sviluppo tra i vari Stati dell'UE. Uno dei suoi punti di forza consiste nella flessibilità con cui è in grado di adeguarsi agli obiettivi della Comunità. Dal 1992, in seguito all'approvazione dell'iniziativa a favore della crescita e alla pubblicazione, da parte del -> Consiglio europeo, del libro bianco sulla competitività gli 860 funzionari della BEI si sono visti attribuire una serie di nuovi compiti. Oltre ad un strumento di prestito temporaneo, di 7 miliardi di ecu, e oltre al Fondo europeo per gli investimenti, istituito nel 1994 per il finanziamento delle reti transeuropee, la BEI ha anche sostenuto mediante prestiti a tasso agevolato investimenti volti a creare occupazione presso piccole e medie imprese. Olaf Hillenbrand 43 44 Bilancio Basi giuridiche: Articoli da 199 a 209 A del trattato CE; articoli J.11, paragrafo 2, e K.8, paragrafo 2, del TUE e decisione del Consiglio del 31 ottobre 1994 relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee. Obiettivi: Finanziamento delle spese e delle attività dell'UE e delle sue politiche; fissazione delle priorità finanziarie nel quadro dell'azione politica dell'UE. Strumenti: Risorse proprie ed altri mezzi di finanziamento dell'UE; bilancio generale dell'UE e singole sezioni del bilancio dell'Unione; procedura di bilancio e controllo finanziario ad opera della Corte dei conti europea. La politica comune di bilancio dell'Unione europea (UE) costituisce la base delle sue attività politiche, definisce il quadro del suo intervento finanziario e al tempo stesso manifesta la sua volontà effettiva di procedere sulla via dell'integrazione e della realizzazione dei suoi obiettivi. Momento centrale della politica di bilancio è la procedura annuale di elaborazione e di adozione definitiva del bilancio generale dell'Unione e dei suoi organi ed istituzioni, procedura che ha il compito di stabilire la struttura del bilancio e il livello delle spese operative ed amministrative dell'Unione europea («utilizzazione delle risorse»). La procedura di bilancio è parte integrante del sistema finanziario dell'Unione. Sistema finanziario dell'Unione europea Il sistema finanziario dell'Unione europea si è via via modificato, al passo con le diverse tappe della costruzione europea: dalla fondazione della Comunità europea del carbone e dell'acciaio (CECA, 1951), della Comunità economica europea e della Comunità europea dell'energia atomica (CEE e CEEA, 1957) fino alla fusione degli organi delle tre Comunità (1967). I contributi nazionali che finanziavano la CEE e la CEEA sono stati gradualmente sostituiti dalle cosiddette «risorse proprie». Nel 1970 il Consiglio ha adottato la «Decisione relativa alla sostituzione dei contributi finanziari degli Stati membri con risorse proprie delle Comunità», entrata in vigore il 7 gennaio 1971 previa ratifica da parte di tutti gli Stati membri. Secondo tale decisione, i contributi nazionali al bilancio comunitario dovevano essere gradualmente eliminati entro il 1 gennaio 1975 per essere sostituiti da un sistema che avrebbe consentito alla Comunità di finanziare integralmente il suo bilancio con risorse proprie. La data L’EUROPA DALLA A ALLA Z prevista ha dovuto essere rinviata di cinque anni ed è solo a partire dal 1 gennaio 1980 che il bilancio comunitario si è interamente autofinanziato. Finanziamento del bilancio generale 1988 e 1992-1996 (esecuzione in stanziamenti di pagamento) (in milioni di ecu) 90000 80000 70000 60000 50000 40000 30000 20000 10000 0 1988 1992 Diritti o tasse agricole Dazi doganali * 1996: bilancio 1993 1994 1995 1996* IVA Quarta risorsa Varie Le risorse proprie dell'Unione europea L'articolo 201 del trattato CE, che costituisce la base giuridica principale della decisione del Consiglio del 1970, non precisa in dettaglio la nozione di «risorse proprie». Pertanto, è un quadro relativamente ampio quello nel quale sono state definite, nel 1970, tre fonti principali di entrate: • i prelievi agricoli (prelievi, premi, importi supplementari o compensativi, percepiti sugli scambi di prodotti agricoli con i paesi terzi), • i dazi doganali, riscossi con altri diritti dello stesso tipo, sulla base della Tariffa doganale comune (TDC) negli scambi con i paesi terzi, • le entrate provenienti dall'imposta sul valore aggiunto (IVA) riscossa dagli Stati membri, che inizialmente corrispondeva ad un'aliquota dell'1% di una base imponibile uniforme concordata dagli Stati membri. Quest'ultima risorsa costituisce la parte preponderante delle entrate del bilancio comunitario. Con l'ampliamento del 1 gennaio 1986 a dodici Stati membri, l'aliquota è stata portata all'1,4%, percentuale che è tuttora in vigore anche dopo 45 L’EUROPA DALLA A ALLA Z 46 l'ampliamento del 1 gennaio 1995 a quindici Stati membri. L'aumento del massimale IVA ha determinato anche l'aumento della parte di questa risorsa al 66% delle risorse totali; attualmente (1995) essa rappresenta circa il 54%. Riforma del sistema finanziario Con la riforma della Comunità derivata dall'Atto unico europeo (1986) e nella prospettiva del trattato sull'Unione europea, il sistema finanziario comunitario è stato iscritto, in due tappe successive (1988 e 1992), in una nuova struttura a medio termine (1999) strettamente collegata con il completamento del mercato unico e con una politica strutturale mirata, in grado di garantire la «sicurezza del bilancio». Il 12 febbraio 1988, il Consiglio europeo di Bruxelles ha approvato il cosiddetto «pacchetto Delors», ovvero un insieme di misure finanziarie coordinate concernenti la politica agricola e le politiche strutturale e regionale. Gli elementi centrali di questo nuovo sistema, entrato in vigore retroattivamente il 1 gennaio 1988, sono i seguenti: • il massimale complessivo delle risorse proprie, comprendente pertanto tutti i tipi di risorse, è stato fissato all'1,2% del prodotto nazionale lordo (PNL) annuale complessivo degli Stati membri ai prezzi di mercato; • per gli anni dal 1988 al 1992 sono stati fissati massimali intermedi vincolanti, per evitare che il massimale complessivo delle risorse proprie fosse raggiunto prima del dovuto; Finanziamento del bilancio generale 1996 per Stato membro (%) FIN: 1,5% SE: 2,9% UK: 10,8% P: 1,5% B: 3,8% DK: 1,9% A: 2,9% D: 30,0% NL: 5,8% L: 0,2% I: 12,1% EL: 1,5% IRL: 0,9% E: 6,4% F: 17,6% • alle prime tre risorse proprie è stata aggiunta una quarta risorsa, risultante dal calcolo di una base imponibile uniforme applicata alla somma dei PNL degli Stati membri, ai prezzi di mercato; • la quarta risorsa ha carattere addizionale, ossia viene riscossa solo nella misura in cui il fabbisogno della Comunità non può essere coperto dalle tre «risorse proprie tradizionali». Un'altra innovazione riguarda le entrate provenienti dall'IVA: dal 1986 in poi l'aliquota di IVA da versare alla Comunità è sempre rimasta fissata all'1,4% delle entrate IVA degli Stati membri, ma la base imponibile di uno Stato membro da considerare per il versamento a titolo delle risorse proprie IVA non deve superare il 55% del suo PNL. Questa regola (il cosiddetto «livellamento») garantisce una ripartizione più equilibrata dell'onere finanziario fra gli Stati membri. Al vertice di Edimburgo, il 12 dicembre 1992, il Consiglio europeo ha approvato il «pacchetto Delors II»: basato sulla riforma del 1988, introduce nuovi elementi destinati a garantire il finanziamento dell'UE fino al 1999 nella prospettiva dell'attuazione del trattato sull'Unione europea, compresi lo sviluppo degli aiuti strutturali, il miglioramento della competitività dell'industria europea e il finanziamento della politica estera e di sicurezza comune (PESC). Gli elementi principali del «pacchetto Delors II» sono: • la modifica della struttura delle risorse proprie comunitarie, a partire dal 1 gennaio 1995, allo scopo di ridurre la parte di risorse IVA aumentando quella della risorsa basata sul PNL; • il mandato alla Commissione di esaminare e quindi riferire in merito all'introduzione, all'orizzonte 1999, di una quinta risorsa. Le risorse proprie della Comunità sono riscosse dagli Stati membri e messe a disposizione della Commissione, che è responsabile dell'esecuzione del bilancio (articolo 205 del trattato CE) e che detiene anche taluni poteri di verifica e di controllo. Oltre alle risorse proprie, le entrate dell'Unione possono provenire anche dall'assunzione di prestiti destinati a finanziare gli investimenti nell'industria carbosiderurgica (prestiti CECA) e nel settore dell'energia nucleare (prestiti Euratom); in campo economico, i prestiti possono anche essere utilizzati per finanziare le misure di sostegno comunitario e gli investimenti nell'industria, nella ricerca e nella tecnologia, nei settori dell'energia e dell'infrastruttura (prestiti CE), in particolare mediante il nuovo strumento comunitario (NSC), istituito nel 1979 per promuovere i progetti d'investimento negli Stati membri e ridurre le disparità regionali nella Comunità. Struttura del bilancio Dal 1967 vi è un bilancio generale unico per le tre Comunità, ora riunite in Unione europea. Il bilancio generale comprende tutte le entrate e le spese dell'UE ed è 47 48 annuale. Deve essere completo e le entrate e le spese devono essere in pareggio (articolo 199 del trattato CE). Gli stessi principi valgono anche per le spese di funzionamento della politica estera e di sicurezza comune (PESC) e della cooperazione nel campo della giustizia e degli affari interni. L'esercizio finanziario inizia il 1 gennaio e termina il 31 dicembre. Nella parte riservata alle spese, il bilancio copre le spese di funzionamento delle istituzioni e le spese operative della Comunità europea (in particolare, il FEAOG, i Fondi regionale, sociale e di coesione) e dell'Euratom (ricerca ed investimenti). Separatamente sono trattate talune categorie di spese, le principali delle quali sono le operazioni della CECA, le assunzioni ed erogazioni di prestiti delle CE, il Fondo europeo di sviluppo (FES) per i paesi ACP associati alla Comunità nell'ambito della convenzione di Lomè (cfr. politica dello sviluppo), che sono finanziati con contributi degli Stati membri. Gli stanziamenti per le spese dell'Unione sono distinti in stanziamenti d'impegno e stanziamenti di pagamento. I primi costituiscono la dotazione finanziaria assegnata ai programmi pluriennali durante un esercizio finanziario. Gli stanziamenti di pagamento coprono invece la spesa effettiva risultante dagli impegni assunti nell'esercizio in corso o dagli impegni riportati dagli esercizi precedenti. A partire dal passaggio al sistema di autofinanziamento, tra il 1975 ed il 1980, il volume del bilancio della Comunità/Unione europea è costantemente aumentato. Tra il 1973 (anno dell'adesione del Regno Unito, dell'Irlanda e della Danimarca) ed il 1981 (adesione della Grecia), la spesa comunitaria è aumentata in media del 23% all'anno e questa tendenza è continuata allo stesso ritmo negli anni successivi. Solo con il bilancio del 1986, il primo comprendente anche la Spagna ed il Portogallo, il tasso d'aumento è sceso per la prima volta al 18% circa. Tra il 1988 ed il 1992 il bilancio comunitario è aumentato alla media del 4,8% all'anno. Struttura del bilancio CE/UE 1958-1994 (milioni di UC / UCE / ecu) (*) Spese totali 1958 8,6 1960 28,3 1970 5 448,4 1980 1990 1994 16 057,1 46 604,6 70 013,5 di cui: FEAOG (agricoltura) Fondo sociale Fondo regionale Industria / R&S (**) Funzionamento Altre 8,6 0,0 23,4 4,9 5 228,3 64,0 114,7 41,4 11 596,1 502,0 751,8 212,8 938,3 2 056,1 27 233,8 3 212,0 4 554,1 1 738,7 2 298,1 7 567,9 40 222,0 5 819,0 7 701,9 2 593,0 2 428,0 11 249,6 * UC (unità di conto) fino al 1970, UCE (unità di conto europea) - 1980, ecu dal 1990 (1ecu = circa 1.942 LIT al 31 marzo 1997) ** 1980 e 1990: industria, ricerca energetica; 1994: ricerca e sviluppo tecnologico, industria. Fonti: Relazione economica annuale 193 della Commissione delle Comunità europee; Gazzetta ufficiale delle Comunità europee L 34 del 1994 L’EUROPA DALLA A ALLA Z In termini di struttura, gli obiettivi che caratterizzano il bilancio dell'Unione europea corrispondono, almeno in parte, a quelli dei bilanci nazionali e richiedono ugualmente elevati livelli di spese d'investimento (ad esempio politica regionale e promozione della ricerca tecnologica). Tuttavia, in termini finanziari, il volume annuale del bilancio dell'Unione, sebbene in costante aumento, è relativamente modesto - la spesa del 1995 per i 15 membri dell'Unione ampliata è pari a 77,2 miliardi di ecu in stanziamenti di pagamento - e può appena essere paragonato al volume di un bilancio nazionale, che è destinato a coprire tutte le spese e gli obiettivi strutturali di un moderno Stato industriale e sociale. Le spese per la politica agricola e il mercato comune agricolo rappresentano ancora la parte preponderante e più dinamica del bilancio. Questa spesa agricola, che dal 1968 al 1975 è passata dal 72% al 93% circa del bilancio, dopo il 1976 si è situata tra il 60% e il 75%, scendendo al 57% circa nel 1992. Dal 1992 la proporzione del bilancio dedicata all'agricoltura è ulteriormente diminuita, fino al 52% nel 1994. Ripartizione delle spese europee 1988 1996 59% 48% 18% 31% 2% 11% 2% 4% 3% 1% 4% 3% 3% <1% 6% 5% Agricoltura (FEAOG-garanzia) Azioni esterne Azioni strutturali Amministrazione Ricerca Comunità europea del carbone e dell'acciaio (CECA) Altre politiche interne Fondo europeo di sviluppo Oltre alla politica agricola ed alle spese di funzionamento dell'Unione (che rappresentano il 5% circa all'anno), il bilancio generale finanzia altri quattro settori principali (esclusi PESC nonché giustizia e affari interni): la politica delle strutture, la cooperazione allo sviluppo, la ricerca e la tecnologia e le altre 49 50 politiche (cultura, energia, industria, trasporti e ambiente). Oltre alle spese assorbite dalla politica agricola, il 36% circa del bilancio dell'Unione è destinato ad altri settori, in particolare alle attività creative e orientate verso il futuro. La procedura di bilancio dell'UE La procedura di elaborazione del bilancio generale comprende diverse tappe, alle quali partecipano la Commissione, il Parlamento europeo e il Consiglio dell'Unione europea. Le singole fasi della procedura sono stabilite all'articolo 203 del trattato CE. I bilanci suppletivi e rettificativi, necessari per fare fronte a situazioni inevitabili o impreviste in fatto di spese, sono stabiliti nello stesso modo. Quando il sistema finanziario comunitario è stato modificato per introdurre le risorse proprie, è stata modificata, in due tappe nell'ambito delle riforme dei trattati del 1970 e del 1975, anche la procedura di bilancio. Dal 1975 il Parlamento ed il Consiglio costituiscono l'«autorità di bilancio» comune della Comunità (o dell'Unione) e sono dotati di poteri di decisione complementari e collegati. La procedura di bilancio si svolge come segue: la Commissione sottopone al Consiglio ed al Parlamento un progetto preliminare di bilancio, che comprende le singole proposte del Parlamento, del Consiglio, della Commissione, della Corte di giustizia e della Corte dei conti europea. Su questa base il Consiglio stabilisce il progetto di bilancio, che poi trasmette al Parlamento. Durante le fasi successive della procedura il Parlamento dispone di diversi poteri: 1. per le cosiddette «spese obbligatorie», il Parlamento può indirizzare proposte di emendamenti al Consiglio, che decide in ultima istanza. Sono definite spese obbligatorie in linea di massima quelle spese che, a causa della base giuridica o dell'importo, costituiscono un obbligo legale che risulta dai trattati o dal diritto derivato dai trattati o da impegni assunti a titolo del diritto internazionale o privato (un esempio tipico è la spesa agricola); 2. per la fissazione delle «spese non obbligatorie» (fondi comunitari a finalità strutturale ed altre politiche operative, per esempio ricerca e tecnologia), il Parlamento può modificare le proposte di spesa del Consiglio, entro un margine annuale calcolato dalla Commissione, e approvarle, a maggioranza qualificata, anche in caso di opposizione del Consiglio. Poiché la distinzione delle spese in obbligatorie e non obbligatorie determina se la decisione finale sul livello delle spese stesse spetta al Consiglio o al Parlamento, la classificazione delle spese in queste categorie è stata oggetto di una lotta di potere tra le due istituzioni. Altre fasi della procedura sono le seguenti: • il Consiglio adotta un progetto modificato, tenendo conto degli emendamenti e delle proposte di modifiche del Parlamento; • nell'ambito della procedura di «concertazione», il Consiglio ed il Parlamento cercano di conciliare le rispettive posizioni; • il Parlamento esamina il progetto di bilancio in seconda lettura ed adotta il bilancio nella forma definitiva. Il bilancio è quindi pubblicato nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee; • il Parlamento può, tuttavia, respingere l'intero bilancio per «motivi importanti» e chiedere al Consiglio di trasmettergli un nuovo progetto (articolo 203, paragrafo 8, del trattato CE). Se il bilancio non è stato approvato all'inizio dell'esercizio, viene applicato un regime provvisorio, previsto dall'articolo 204, che si basa sul bilancio dell'esercizio precedente. Fanno parte della procedura di bilancio e del coordinamento della politica di bilancio anche le diverse forme del cosiddetto «dialogo interistituzionale». Questo dialogo si è sviluppato gradualmente, man mano che la Comunità diventava finanziariamente indipendente dopo il 1970, ed assume varie forme, compresa la concertazione sugli atti giuridici con implicazioni finanziarie, il «dialogo a tre» sul bilancio e le misure più recenti sulla disciplina di bilancio, che contengono anche gli elementi della programmazione finanziaria a medio termine fino al 1999. Lo scopo del «dialogo a tre» e degli accordi interistituzionali è di evitare o ridurre i conflitti tra le istituzioni nella preparazione del bilancio e rendere sempre più snella la procedura di bilancio. Esecuzione del bilancio Una volta adottato, il bilancio viene eseguito dalla Commissione sotto la propria responsabilità (articolo 205 del trattato CE). Ciò vale soprattutto per la sezione III, che contiene tutte le più importanti spese operative dell'Unione. Le altre istituzioni eseguono ciascuna la propria sezione del bilancio. Presso ogni istituzione un controllore finanziario verifica l'insieme dei pagamenti e delle entrate. Inoltre, la Corte dei conti europea controlla, in assoluta indipendenza, l'esecuzione del bilancio nel suo insieme e stabilisce se la gestione finanziaria è stata corretta. Ogni anno la Commissione deve trasmettere al Consiglio ed al Parlamento i conti dell'esercizio precedente. Su raccomandazione del Consiglio, il Parlamento dà alla Commissione lo scarico per l'esecuzione del bilancio, basandosi sui conti annuali della Commissione e sulla relazione annuale della Corte dei conti accompagnata dalle risposte delle istituzioni. Conclusioni e prospettive Il sistema finanziario non è soltanto un aspetto della struttura generale dell'Unione, ma è anche uno strumento che consente di misurare i progressi compiuti verso l'integrazione completa. Il bilancio e le finanze dell'Unione sono dunque strettamente legati al suo sviluppo politico ed istituzionale e costituiscono un mezzo importante per rafforzare l'integrazione. L'attuale struttura e proporzione delle spese del bilancio evidenziano chiaramente che sarà molto difficile finanziare un ulteriore sviluppo dell'Unione, in particolare verso l'unione economica e monetaria e l'unione politica, partendo dal sistema delle risorse proprie e dal volume di finanziamento attuali. Per questo, nel 51 52 dicembre 1992, il Consiglio europeo ha deciso, sulla base del trattato di Maastricht, di modificare non solo le strutture istituzionali dell'Unione, ma anche le grandi linee del sistema finanziario (pacchetto Delors II), per adattarlo alle esigenze di un'integrazione più completa nel corso degli anni fino al 1999. Questo rafforzamento dell'integrazione richiederà anche una maggiore autonomia finanziaria, ossia nuove risorse proprie, che l'Unione dovrebbe ricevere direttamente (ad esempio competenze fiscali). Inoltre, il bilancio dell'Unione dovrebbe essere ristrutturato in modo che la politica agricola non rappresenti più l'attuale parte preponderante del bilancio e che vengano consentite spese più elevate per le politiche operative. A tale riguardo il pacchetto Delors II, negoziato nel 1992, è solo una fase intermedia, applicabile soltanto al periodo immediatamente prevedibile di programmazione (1993-1999). La prossima fase della riforma è la conferenza intergovernativa del 1996, dalla quale il Parlamento attende un'estensione dei propri poteri di bilancio e un riesame del sistema finanziario dell'Unione. È comunque già chiaro che se in futuro l'Unione europea dovrà allargarsi a più di quindici Stati membri, dovrà anche sottoporre ad una revisione radicale il suo sistema finanziario. Thomas Läufer http://europa.eu.int/ces/ces.html Comitato economico e sociale Base giuridica: Articolo 4, paragrafo 2; articoli da 193 a 198 del trattato CE. Composizione: 222 membri provenienti dai 15 Stati membri, ripartiti come segue: Germania, Francia, Regno Unito e Italia, 24; Spagna, 21; Belgio, Grecia, Paesi Bassi, Austria, Portogallo e Svezia, 12; Danimarca, Finlandia e Irlanda, 9; Lussemburgo, 6 (articolo 194 del trattato CE). Il Comitato designa tra i suoi membri il presidente e l'ufficio di presidenza. Funzione: Rappresentanza istituzionalizzata degli interessi delle varie categorie della vita economica e sociale degli Stati membri, funzione consultiva. Strumenti: Pareri rivolti al Consiglio ed alla Commissione. Bilancio: Per il 1995: 26,3 milioni di ecu; inoltre, 57,8 milioni di ecu destinati alla struttura organizzativa che condivide con il Comitato delle regioni. Il Comitato economico e sociale (CES) fu istituito dai trattati di Roma nel 1957 con il compito di rappresentare gli interessi delle varie categorie della vita economica e sociale. La creazione del Comitato ha consentito soprattutto a tali categorie di prendere parte, all'interno dell'-> Unione europea, alla realizzazione del -> mercato interno e quindi al processo di integrazione. Il CES ha inoltre la facoltà istituzionale di far conoscere alla -> Commissione europea ed al -> Consiglio dell'Unione europea la propria opinione in merito a tutte le questione di interesse comunitario sotto forma di pareri. Diritti e competenze Il Comitato può essere consultato nel quadro delle -> procedure decisionali dal Consiglio e dalla Commissione in tutti i casi in cui tali istituzioni lo ritengano opportuno. In determinati casi, il trattato prevede che essi siano tenuti a consultare il Comitato, tra l'altro in merito alle misure necessarie per attuare la libera circolazione dei lavoratori (articolo 49 del trattato CE) e la libertà di stabilimento (articolo 54 del trattato CE), la collaborazione nel campo sociale (articoli 118, 121 CE), le questioni relative all'istruzione e formazione professionale (articoli 126, 127 CE), la sanità pubblica e protezione dei consumatori (articoli 129, 129 A CE), nonché le questioni ambientali (articolo 130 S) e lo sviluppo regionale (articolo 130 CE). La Commissione ed il Consiglio fissano al Comitato, per la presentazione del suo parere, un termine che non può essere 53 L’EUROPA DALLA A ALLA Z 54 inferiore alle quattro settimane. Allo scadere del termine fissato, le istituzioni possono non tener conto dell'assenza di parere. Inoltre il Comitato, qualora lo ritenga opportuno, può formulare un parere di propria iniziativa (articolo 198 CE). Di norma, il Comitato si riunisce in seduta plenaria dieci volte all'anno ed adotta a maggioranza semplice, sulla base dei testi elaborati dalle sezioni specializzate, in media circa 180 pareri all'anno, di cui circa il 10% formulati di propria iniziativa. I pareri sono presentati al Consiglio ed alla Commissione e pubblicati nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee. Comitato economico e sociale Organo consultivo dell'Unione europea 222 rappresentanti dei gruppi economici e sociali Settori nei quali il Comitato deve essere consultato dal Consiglio e dalla Commissione Politica agricola comune • Politica dei trasporti • Regolamenti sul mercato unico • Politica sociale • Formazione • Politica dei consumatori • Politica dell'ambiente • Politica regionale e strutturale • Politica dell'industria • Ricerca, ecc. Struttura I membri del CES sono suddivisi in tre grandi sezioni: lavoratori dipendenti, datori di lavoro e esponenti di vari interessi: professioni libere, agricoltura, cooperative, camere di commercio e associazioni di consumatori. I membri vengono nominati all'unanimità dal Consiglio, su proposta dei singoli Stati membri, dopo aver consultato la Commissione, per un periodo di quattro anni e possono essere rieletti. Il Comitato designa al proprio interno l'ufficio di presidenza per una durata di due anni, composto da 30 membri (10 per ogni categoria) del quale fanno parte un presidente e due vicepresidenti, che vengono nominati a rotazione nei tre gruppi. Il presidente è responsabile dell'andamento corretto dei lavori del CES. Assieme all'ufficio di presidenza ha il compito di intrattenere le relazioni con i paesi terzi. I compiti del presidente consistono tuttavia essenzialmente nel dirigere e coordinare le attività dei diversi organi di lavoro del Comitato, nonché nel determinare gli orientamenti politici. Tra gli organi di lavoro rientrano le nove sezioni specializzate, che coprono tutti i settori nei quali il CES opera: questioni economiche, finanziarie e monetarie; relazioni esterne; settore sociale; tutela dell'ambiente e sanità pubblica e protezione dei consumatori; agricoltura e pesca; sviluppo regionale; industria e commercio; trasporti e comunicazioni; energia, energia atomica e ricerca. Conclusioni Data la sua natura di organo consultivo, il vero strumento a disposizione del CES il parere - ha spesso un effetto limitato quando si tratta di far valere gli interessi delle diverse categorie economiche e sociali. Per tale motivo i suddetti gruppi preferiscono esercitare pressione direttamente sulla Commissione europea, in quanto ritengono che sia un mezzo più promettente per il raggiungimento dei loro obiettivi. Questa è anche la ragione per la quale il Comitato sta tentando di migliorare la propria posizione finora secondaria all'interno del sistema istituzionale dell'UE e aspiri a diventare un organo a pieno titolo con possibilità di influire direttamente sul processo legislativo. Da diversi anni il Comitato ha assunto con sempre maggiore frequenza compiti che vanno al di là delle attribuzioni che il trattato gli conferisce. Ad esempio esso svolge, con il sostegno delle altre istituzioni europee, diverse azioni intese a contribuire a migliorare i rapporti tra i cittadini dell'Unione europea e le sue istituzioni. Con ciò il CES intende dimostrare di essere in realtà molto di più di una semplice lobby che rappresenta i diversi gruppi di interesse. Nicole Schley 55 http://europa.eu.int/comreg/comreg.html 56 Comitato delle regioni Basi giuridiche: Articolo 4, paragrafo 2), del trattato CE e articoli da 198 A a 198 C. Competenze: Consulenza della Commissione e del Consiglio; iniziativa autonoma. Composizione: 222 rappresentanti degli enti regionali e locali dell'Unione europea: 24 ciascuno per Germania, Francia, Regno Unito e Italia, 21 per la Spagna, 12 per ciascuno per Belgio, Grecia, Paesi Bassi, Austria, Portogallo e Svezia, 9 per ciascuno per Danimarca, Finlandia e Irlanda, 6 per il Lussemburgo. Bilancio 1995: 27 milioni di ecu. Il Comitato delle regioni, istituito dal trattato sull'Unione europea, deve garantire la rappresentanza degli interessi degli enti locali e regionali nella Unione europea (EU) e la loro partecipazione al processo di integrazione. Il Comitato delle regioni si compone di 222 rappresentanti indipendenti degli enti locali e regionali e di un pari numero di sostituti, i quali vengono nominati dal Consiglio dell'Unione all'unanimità per un periodo di quattro anni su proposta degli Stati membri. Il trattato non contiene alcuna prescrizione sulla ripartizione dei seggi all'interno degli Stati membri e neppure sull'organizzazione interna del Comitato. In quasi tutti gli Stati membri vi è stato un dibattito e in certi casi molto acceso sulla distribuzione dei seggi fra enti di vari livelli. Nonostante tutte le difficoltà incontrate per quanto riguarda la ripartizione, il Comitato delle regioni, durante il suo primo mandato (1994-1998), si compone per circa la metà di rappresentanti regionali e per circa la metà di rappresentanti di collettività locali. In seno alla struttura dell'Unione europea al Comitato delle regioni spetta la funzione di organo consultivo del Consiglio e della Commissione europea. Esso ha il compito di farsi portavoce degli interessi regionali e locali al livello del processo decisionale, badando anzitutto alla compatibilità delle normative dell'Unione europea con i problemi regionali e locali e con le prassi amministrative. Il Comitato delle regioni si occupa di portare le decisioni prese a livello europeo più vicino alla gente e alle sue preoccupazioni. Per adempiere alle proprie mansioni esso deve essere obbligatoriamente consultato in una serie di settori «tipicamente regionali» (articoli 126, 128, 129, 129 D, 130 B, 130 D e 130 E del trattato CE) e L’EUROPA DALLA A ALLA Z può inoltre essere consultato facoltativamente su qualsiasi altro problema o affrontarlo di propria iniziativa. I pareri del Comitato delle regioni non hanno l'effetto di ritardare o di condizionare le decisioni prese dalle istanze competenti. Pertanto il Comitato non ha nessuna possibilità formale di far valere le proprie opinioni e non può intraprendere alcun passo in caso di violazione del suo diritto a essere consultato. Comitato delle regioni Organo consultivo dell'Unione europea 222 rappresentanti regionali e comunali Settori nei quali il Comitato deve essere consultato dal Consiglio e dalla Commissione Promozione della formazione professionale e generale • Cultura • Sanità • Reti transeuropee • Politica regionale e strutturale PARERI COMPLEMENTARI QUANDO DEI PROBLEMI PER I QUALI VIENE CONSULTATO IL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE COINVOLGONO INTERESSI REGIONALI. Organizzazione interna I pareri del Comitato vengono discussi in otto sezioni specializzate e presentati per approvazione in seduta plenaria. In vista della conferenza governativa del 1996, accanto ai gruppi specializzati è stato istituito un comitato ad hoc «problemi istituzionali». Per tale motivo i politici regionali e locali dedicano moltissimo del loro tempo ai lavori del Comitato delle regioni. La cooperazione fra i membri del Comitato delle regioni ha luogo formalmente nell'ambito di gruppi politici; finora se ne sono costituiti quattro (partito popolare europeo, partito socialdemocratico europeo, liberali e «radicali»). In questo caso l'appartenenza al gruppo non è, come avviene in seno al Parlamento europeo, rigidamente condizionata all'appartenenza a un corrispondente partito nazionale, bensì anzitutto è appartenenza individuale al gruppo. 57 58 Al vertice dell'amministrazione del Comitato delle regioni è il segretario generale (fino al 1999 tale carica sarà ricoperta da Dietrich Pause). Bilancio e prospettive Il Comitato delle regioni ha senza dubbio avviato la propria attività in condizioni molto difficili. Ciò nonostante esso è riuscito in poco tempo a diventare operativo e a formulare pareri su problemi talora molto importanti in una prospettiva di politica regionale (fra l'altro, iniziative comunitarie nell'ambito dei fondi strutturali, diritto di elettorato attivo per i cittadini europei in occasione di elezioni comunali, libro verde sulla politica audiovisiva dell'Unione europea). In futuro esso dovrà anzitutto occuparsi di consolidare quanto prima le proprie strutture operative interne e, in termini di contenuti, evitare il rischio di dispersione e concentrarsi sui problemi politici dell'Unione europea di maggiore rilevanza da un punto di vista regionale e locale. In tali condizioni il Comitato potrebbe riuscire a darsi un proprio profilo istituzionale e quindi a divenire un foro di politiche europee basate sul consenso e vicine ai cittadini. Christian Engel http://europa.eu.int/en/comm.html Commissione europea Base giuridica: Articoli 155 e 163 del trattato CE; per quanto riguarda la PESC: articoli J.5, 3 capoverso, J.6, J.7, J.8, 3° capoverso, J.9 del TUE; per quanto riguarda la giustizia e la politica interna: articoli K.3, 2 capoverso, K.4, 2capoverso, K.6, K.9 del TUE. Obiettivi: Garantire il funzionamento e lo sviluppo del mercato comune; rappresentare gli interessi comuni della UE, sia all'interno che all'estero. Strumenti: Diritto di iniziativa in seno al processo legislativo dell'UE; diritto di partecipare alla produzione, all'attuazione ed al controllo del diritto comunitario; rappresentanze internazionali. Bilancio: 2,7 miliardi di ecu di stanziamenti amministrativi; 77,8 miliardi di ecu di stanziamenti operativi (1996). Per «Commissione delle Comunità Europee» - come recita la denominazione giuridicamente esatta, anche se, nel 1993, è stato introdotto per semplicità il termine «Commissione europea» - si intende il collegio dei 20 commissari ed il complesso apparato amministrativo, ad essi sottoposto, con sede principale a Bruxelles. Essa si articola in 26 direzioni generali, affiancate da altri servizi orizzontali come il segretariato generale, il servizio giuridico, l'Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, l'Ufficio statistico, il servizio di traduzione, il servizio comune interpretazione e conferenze, e altri ancora). Tra funzionari e agenti temporanei vi lavorano circa 15 500 persone, l'11% dei quali nel servizio linguistico. Sviluppo storico e funzioni Antesignana della Commissione è stata l'«Alta Autorità» della Comunità europea del carbone e dell'acciaio (CECA), alla quale, nel trattato CECA, venne esplicitamente riconosciuto un «carattere sovrannazionale». Il suo primo presidente, Jean Monnet, (1952-1955), istituì un apparato amministrativo agile, flessibile, rivolto alla soluzione delle questioni concrete. Dopo la ratifica dei trattati di Roma, nel 1958 venne istituita la «Commissione della Comunità economica europea», il cui primo presidente fu Walter Hallstein (1958-1967). Mentre il Consiglio dei Ministri (oggi -> Consiglio dell'Unione europea) avrebbe dovuto rappresentare gli interessi degli Stati membri, la Commissione fu concepita 59 60 come organo di tutela degli interessi comunitari. A questo scopo, le venne affidata, attraverso i trattati, l'esecuzione di una serie di compiti concreti elencati in forma generale all'articolo 155 del trattato CEE - che possono essere riassuntivamente ricondotti a tre funzioni essenziali: 1) la funzione di iniziativa in seno al processo decisionale della CE: il Consiglio può prendere decisioni solo su proposta della Commissione; 2) la funzione legislativa, grazie al quale la Commissione, nel quadro delle proprie competenze, ha il potere di emanare atti con efficacia vincolante e di concludere accordi internazionali; 3) la funzione amministrativa e di controllo, che conferisce alla Commissione il potere di dare attuazione agli atti comunitari e di controllare l'applicazione dei trattati da parte degli Stati membri. Il trattato di fusione (in vigore dal 1° luglio 1967) unificò l'Alta Autorità e le due Commissioni dell'epoca, quella della CEE e quella della Comunità europea dell'energia atomica (CEEA), in un'unica «Commissione delle Comunità europee». La nomina di Jacques Delors a nuovo presidente della Commissione, nel 1985, e l'adozione, nel 1986, dell'Atto unico europeo - con l'obiettivo di dar vita, entro il 1992, al mercato unico ( -> mercato interno) - hanno avviato una fase di pronunciato dinamismo della Commissione. Il gran numero di provvedimenti, elencati nel libro bianco sul completamento del mercato interno, nonché le numerose politiche che, da quel momento, cominciarono ad essere trattate a livello comunitario ( -> ricerca e tecnologia, -> politica regionale, -> politica dell'ambiente), hanno fatto della Commissione un importante interlocutore per associazioni, imprese, regioni e comuni. Con la caduta del muro di Berlino e la fine del conflitto Est-Ovest vennero a crearsi per la Commissione nuovi spazi di manovra nel campo delle -> relazioni esterne della Comunità. Grazie a questi sviluppi, e sotto la guida del suo dinamico presidente Jacques Delors (1985-1995), il ruolo della Commissione si è rafforzato sotto due aspetti: 1) in primo luogo, ha assunto sempre maggior importanza come mediatrice tra i governi nazionali, soprattutto a causa del più diffuso ricorso alle decisioni prese a maggioranza in seno al Consiglio; 2) in secondo luogo, l'intensificazione delle relazioni economiche e commerciali ne hanno rafforzato il ruolo internazionale. Nel gennaio 1995, con l'elezione a presidente del lussemburghese Jacques Santer è stata inaugurata una nuova era della Commissione, caratterizzata piuttosto da un'attività di moderazione e di consolidamento. Organo decisionale La Commissione europea si trova al centro del processo di preparazione, produzione, attuazione e controllo della normativa dell'UE ( -> Unione europea). Rispetto al primo pilastro dell'Unione europea le sue funzioni sono le seguenti: 1. Preparazione delle decisioni: in quasi tutte le materie (fanno eccezione: l'associazione di Paesi terzi e l' -> ampliamento), il Consiglio può approvare atti legislativi solo sulla base di una proposta della Commissione. I progetti degli atti vengono elaborati in specifici gruppi di studio e di lavoro nei quali, oltre ai funzionari della Commissione, siedono anche funzionari degli Stati membri, rappresentanti di associazioni ed esperti indipendenti. Nel corso della procedura decisionale, la Commissione può modificare o ritirare, in qualsiasi momento, una proposta di legge anche se essa è già stata ufficialmente trasmessa al Consiglio. Le raccomandazioni, i pareri e le altre comunicazioni della Commissione (come, ad esempio, i vari libri bianchi o verdi, in merito a particolari questioni politiche) non rappresentano formali proposte di legge sottoposte al Consiglio, ma prese di posizione dalle quali, tuttavia, possono scaturire importanti impulsi per la successiva produzione normativa. Nel campo delle relazioni esterne, la Commissione può essere autorizzata dal Consiglio - nell'ambito di un preciso mandato - ad intraprendere trattative con paesi terzi o con organizzazioni internazionali (per esempio, gli Stati dell'Europa centrale ed orientale, oppure il GATT). 2. Elaborazione delle decisioni: la Commissione concorre all'elaborazione delle decisioni attraverso la partecipazione dei propri funzionari ai gruppi di lavoro del Consiglio (250, circa), attraverso i propri funzionari di rango più elevato e attraverso la presenza del proprio vicesegretario generale in seno al Coreper. Anche se possono esercitare una certa influenza sui rappresentanti dei governi nazionali i funzionari della Commissione non dispongono di un proprio diritto di voto. Alle sedute del Consiglio partecipa il commissario competente per materia, il quale non può tuttavia influire se non in misura molto limitata sulle trattative tra i vari ministri. La Commissione dispone di propri poteri decisionali, che esercita indipendentemente dal Consiglio, soprattutto per quanto riguarda la propria organizzazione interna, il bilancio, la concorrenza e la tutela del mercato (p.es., decisioni sulle sovvenzioni alle imprese o sulle fusioni tra imprese). 3. Esecuzione delle decisioni: la Commissione decide sotto la propria responsabilità del bilancio dell'UE (politica di bilancio) (cfr. articolo 205 del trattato CE). La Commissione può anche emanare autonomamente direttive, regolamenti e decisioni (soprattutto nel campo del mercato interno e della -> politica agricola), nell'ambito dei poteri ad essa delegati dal Consiglio per l'esecuzione delle decisioni del Consiglio stesso. Per gli Stati membri, tali decisioni sono altrettanto vincolanti delle decisioni del Consiglio. Nel 1994, la Commissione ha emanato complessivamente 7 034 provvedimenti di questo tipo. Poiché l'applicazione di questi atti è molto importante, gli Stati membri fiancheggiano i poteri esecutivi della Commissione con un complicato sistema di comitati regolato da una decisione del Consiglio detta «comitatologia». Si tratta di 380 comitati circa, di vario tipo, che vanno dai «comitati consultivi», ai «comitati di gestione», fino ai «comitati di regolamentazione», nei quali, sotto la presidenza di un rappresentante della Commissione, funzionari nazionali discutono e decidono sui provvedimenti esecutivi della Commissione. A seconda del tipo di comitato, i funzionari nazionali possono influire in misura maggiore o minore sui poteri esecutivi della Commissione: mentre in un comitato consultivo essi vengono semplicemente consultati, all'interno di un comitato di gestione essi possono anche respingere 61 provvedimenti della Commissione. Nei comitati di regolamentazione l'influenza nazionale raggiunge il suo livello più elevato: a seguito di un voto negativo del comitato, in base ad una variante della -> procedura decisionale (la «procedura con rete di sicurezza»), può infatti intervenire il Consiglio che può decidere a maggioranza semplice di non emanare alcun provvedimento. Anche se alle procedure dei comitati non può essere disconosciuta una certa funzione di controllo, nella pratica esse si sono dimostrate un ottimo strumento di dibattito e di collegamento tra le amministrazioni nazionali e la Commissione, con il quale il Consiglio non interferisce se non in casi eccezionali. 62 4. Controllo delle decisioni: nell'ambito delle procedure di infrazione al trattato (articolo 169 del trattato CE) la Commissione può ricorrere, davanti alla -> Corte di giustizia europea, contro uno Stato membro che abbia contravvenuto al trattato o ad altri atti della CE/UE. Per questo, essa viene anche chiamata la «custode dei trattati». Nel 1995 la Commissione ha iniziato 1 000 procedimenti di questo tipo, ricorrendo in 72 casi alla Corte di giustizia; nello stesso anno la Corte ha emanato una sentenza in 39 casi, in 36 dei quali ha accolto le istanze della Commissione. Se lo Stato membro non ottempera agli obblighi stabiliti dalla sentenza, la Commissione ha la facoltà, in base all'articolo 171 del trattato CE, di esigere una sanzione pecuniaria. Inoltre, mediante altri tipi di ricorso, essa può portare davanti alla Corte di giustizia anche altre istituzioni dell'UE. Nel TUE, la Commissione viene menzionata, in relazione al processo decisionale, anche per quanto riguarda la -> politica estera e di sicurezza comune (PESC, secondo pilastro dell'UE) e la -> cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni (GAI, terzo pilastro dell'UE). In questo casi, tuttavia, il suo diritto d'intervento è molto più limitato di quanto non lo sia nel primo pilastro, dal momento che tali settori hanno un carattere intergovernativo molto più pronunciato. Nel campo della PESC, la Commissione può presentare proposte al Consiglio (articolo J.8, paragrafo 3, TUE). Del resto, essa è «pienamente associata ai lavori» della PESC (articolo J.9 TUE), soprattutto per quanto riguarda la rappresentanza all'estero e l'attuazione delle «azioni comuni» (articolo J.5, paragrafo 3, TUE). Ciò vale anche per le prerogative della Commissione nel campo della GAI (articolo K.4, TUE). Su particolari aspetti del terzo pilastro, la Commissione può sottoporre proposte al Consiglio, ma non detiene il monopolio sulla presentazione delle proposte (articolo K.3 TUE). Struttura amministrativa e procedimenti interni La Commissione ha, essenzialmente, una struttura a tre livelli: 1. Il collegio, composto dai 20 commissari (compreso il presidente della Commissione, nella sua qualità di primus inter pares), nominati dagli Stati membri, previa approvazione del -> Parlamento europeo, per un periodo di 5 anni, ma che obbediscono al principio di indipendenza. Il Parlamento europeo può destituire il collegio con un voto di sfiducia (articolo 144, trattato CE); 2. I gabinetti, direttamente sottoposti ai commissari, composti da un ristretto numero di collaboratori politici di fiducia; 3. Le 26 direzioni generali e gli altri servizi che, come i ministeri nazionali, sono strutturate secondo principi gerarchici e di competenza e si articolano ulteriormente in direzioni e in divisioni. La Commissione dispone, inoltre, di proprie rappresentanze negli Stati membri dell'UE e di 126 delegazioni presso paesi terzi ed organizzazioni internazionali. I funzionari sono soggetti ad uno statuto dei funzionari europei e i loro emolumenti sono a carico del bilancio dell'Unione europea. Oltre ad essi, lavorano nella Commissione anche esperti in vari settori, assunti a tempo determinato, nonché funzionari nazionali, che le vengono «prestati» per un periodo di tempo limitato. Su iniziativa della Commissione, ma anche del Consiglio e del -> Consiglio europeo, i funzionari delle unità amministrative competenti procedono alla stesura del progetto del provvedimento. La direzione generale responsabile di un determinato progetto, organizza, nell'ambito di specifici gruppi «interservizio» oppure attraverso incontri ad hoc, il coordinamento con le altre direzioni generali ad esso interessate. A seconda delle questioni politiche affrontate, possono emergere rivalità o anche il tentativo, da parte delle direzioni generali più «forti», di affermarsi a spese delle più «deboli». In ogni caso, è obbligatorio consultare il suo servizio giuridico: il suo consenso aumenta la probabilità che un testo provvisorio si imponga nell'ambito dell'amministrazione. I capi di gabinetto, durante il loro incontro settimanale, decidono quali documenti riscuotano già un consenso tra i vari servizi (i cosiddetti «punti A») e quali, invece, richiedano un'ulteriore discussione ed una decisione da parte del collegio dei commissari (cosiddetti «punti B»). I gabinetti, pertanto, esercitano una cospicua influenza sulla preparazione e sull'approvazione dei progetti di documenti. Soprattutto il gabinetto Delors, in passato, ha fatto largo uso di questo potere di fatto per raggiungere importanti obiettivi. Il collegio dei commissari si riunisce sotto la direzione del presidente della Commissione; esso decide a maggioranza semplice. Nella pratica, tuttavia, si procede per lo più secondo il principio del consenso. Per rendere più spediti i lavori del collegio, sono stati introdotti la «delega» e il «procedimento scritto». Con la delega, un commissario viene autorizzato a decidere da solo su talune questioni, in genere a carattere piuttosto tecnico (soprattutto nell'ambito agricolo), senza che con ciò venga meno la responsabilità collettiva del Collegio. Con il procedimento scritto, la decisione su una determinata questione, in merito alla quale esiste un accordo sostanziale, viene distribuita a cura del segretariato generale, mediante circolare, alle direzioni generali ed ai gabinetti. Il segretariato generale è depositario, pertanto, di un'importante funzione di coordinamento. Se 63 64 entro il termine preventivamente stabilito non vengono rese note riserve o proposte di modifica il provvedimento si ritiene approvato. Fabbrica di idee o governo europeo? È molto diffusa l'immagine della Commissione come una sorta di «eurocrazia» tecnocratica. È, invece, assai poco nota la stretta collaborazione che essa pone in essere con i rappresentanti delle associazioni, delle regioni e della amministrazioni nazionali, nel corso di tutto il processo decisionale. Questo coinvolgimento degli organismi interessati, nonché la sua capacità di sintetizzare le conoscenze degli esperti e di elaborare rapidamente proposte di soluzione, conferiscono alla Commissione il carattere di una dinamica «fabbrica di idee». Si deve, tuttavia, riconoscere che - soprattutto sotto la presidenza Delors - la Commissione ha acquistato un suo preciso profilo politico e si è addentrata in settori (come la lotta alla disoccupazione o la politica estera) appartenenti piuttosto a quelli classici di un normale governo. Il rafforzamento del ruolo del Parlamento europeo nel procedimento di nomina della Commissione, se ha consolidato da un lato il legame con i parlamentari e con la popolazione non è tuttavia riuscito a ridurre il grave deficit di legittimità di cui soffre la Commissione. Nell'ambito della -> conferenza intergovernativa del 1996 sarà discussa la riduzione del numero dei commissari ed una riforma strutturale della Commissione, ragion per cui è molto improbabile un'ulteriore evoluzione verso la costituzione di un Governo europeo. In futuro, invece, il ruolo della Commissione dipenderà essenzialmente dalla misura in cui essa sarà capace di dare un effettivo contributo alla soluzione dei problemi concreti - economici, politici e sociali - che l'Unione si troverà ad affrontare. Dietrich Rometsch http://europa.eu.int/pol/comp/en/info.htm Concorrenza Base giuridica: Articoli 4, 5, 65, 66 del trattato CECA; articoli 3, lettera g), 5, da 85 a 94 del trattato CE. Obiettivi: Un sistema economico che garantisca che la concorrenza non sia falsata e che i partecipanti al mercato operino in condizioni di parità. Strumenti: Divieto dei cartelli, divieto dell'abuso di posizioni dominanti sul mercato, controllo delle concentrazioni, controllo degli aiuti di Stato. La politica di concorrenza ha l'obiettivo di creare e mantenere un sistema che garantisca una concorrenza non falsata all'interno dello spazio economico. Nella teoria liberale dell'economia, la politica di concorrenza mira a garantire mercati a concorrenza perfetta e si adopera per prevenire la formazione di monopoli e di oligopoli che possano imporre i loro prezzi a svantaggio dei consumatori. I monopoli sono ammessi solo in casi eccezionali, per garantire l'approvvigionamento di beni o servizi di significativo interesse pubblico. Ad esempio, l'Europa ha avuto monopoli di Stato nei trasporti, nei servizi postali e nelle telecomunicazioni. Nel quadro giuridico dei trattati, l' Unione europea ha a sua disposizione una vasta gamma di strumenti di politica di concorrenza che devono servire a far rispettare il divieto di cartelli nel -> mercato unico europeo e dell'abuso di posizione dominante sul mercato, a garantire uguale trattamento per le imprese pubbliche e private, a vigilare sulle concentrazioni e sulle sovvenzioni statali. A causa della globalizzazione dell'economia, tuttavia, l'Unione europea si trova sempre più confrontata con il problema di dover conciliare il mantenimento della concorrenza all'interno del mercato unico europeo con la competitività delle imprese europee sul mercato mondiale. Principi La -> Commissione europea si considera il garante della concorrenza sia all'interno che all'esterno dell'Unione europea. Tuttavia, i suoi poteri di intervento in queste due aree differiscono sensibilmente. Il titolo V del trattato CE, nei tre capitoli che contengono gli articoli da 85 a 94, disciplina i diversi aspetti e le procedure della politica di concorrenza. In conformità di tali disposizioni la Commissione interviene in linea di principio, nei limiti del campo d'applicazione del trattato, quando gli aiuti di Stato, gli accordi tra le imprese, le concentrazioni o altre forme di cooperazione rappresentano un pericolo per la concorrenza. 65 66 Gli articoli 85 e 86 del trattato CE vietano gli «accordi anticoncorrenziali» tra le imprese che possono pregiudicare il commercio tra gli Stati membri e l'abuso di «posizione dominante sul mercato comune». Quando viene a conoscenza di accordi tra imprese, in seguito a denunce o di propria iniziativa, la Commissione può indagare sul caso e, laddove necessario, imporre sanzioni giuridicamente vincolanti per condotta anticoncorrenziale. Questi due articoli rivestono importanza fondamentale per la politica di concorrenza europea in quanto incidono direttamente sul comportamento delle imprese. Il numero complessivo dei casi trattati ai sensi degli articoli 85 e 86 del trattato CE è cresciuto sensibilmente negli ultimi 15 anni. Ad esempio, il numero dei casi esaminati nel 1980 era di 299, mentre era salito a 404 nel 1993. Tuttavia, gli articoli 85 e 86 del trattato CE prevedono anche delle deroghe. Se la situazione dei mercati internazionali rende necessaria la costituzione di oligopoli europei affinché le imprese europee possano tenere testa alla intensificata concorrenza internazionale, la Commissione può autorizzare tali accordi in casi specifici. Gli accordi verticali tra imprese possono essere approvati solo se danno come risultato una maggiore efficienza attraverso l'accesso a nuovi mercati. Tuttavia, tali accordi non possono prevedere prezzi concordati o la ripartizione del mercato. Dal 1990, gli articoli 85 e 86 del trattato CE sono stati integrati dal regolamento sul controllo delle concentrazioni, che prevede il controllo preventivo delle operazioni di concentrazione tra imprese che possono avere ripercussioni a livello europeo. Esso consente anche un intervento a monte delle operazioni di concentrazione, approvando o vietando preventivamente gli accordi. Rivestono grande importanza per la politica di concorrenza anche gli aiuti di Stato e le sovvenzioni che possono falsare la concorrenza. Gli articoli da 92 a 94 del trattato CE disciplinano la procedura per la sorveglianza sugli aiuti da parte della Commissione, una attività che è stata considerevolmente intensificata dalla fine degli anni '80 in seguito ad un aumento nelle concessioni di sovvenzioni. Tuttavia, la Commissione non vieta per principio i programmi di aiuto nazionali, a condizione che siano esplicitamente tesi a correggere squilibri strutturali in certi settori della produzione. Ad esempio, essa ha autorizzato vari programmi di ristrutturazione delle industrie siderurgiche, sovvenzionati dagli Stati membri dell'Unione europea, ma in cambio ha chiesto una notevole riduzione della capacità produttiva onde risanare il settore. Il controllo delle sovvenzioni si basa sul principio che gli aiuti di Stato devono avere carattere strutturale, avere natura definitiva e produrre un beneficio per l'intero settore industriale. Oltre alla funzione di controllo, la Commissione europea si sta anche adoperando per assumere un ruolo attivo nella promozione della concorrenza. Nel 1993, ad esempio, la Commissione ha emanato una comunicazione sui servizi nel settore delle telecomunicazioni, che ne proponeva la completa liberalizzazione entro il 1998. Lo scopo era di creare le condizioni per un servizio universale entro tale data. La scadenza vuole essere sufficientemente lontana per consentire alle imprese del settore, che finora godevano di diritti esclusivi, di adeguarsi alle mutate circostanze. Valutazione L'Europa promuove e nello stesse tempo teme la concorrenza. Tale apparente paradosso caratterizza la situazione dell'Unione europea, che è confrontata con un dilemma derivante dal fatto che la politica di concorrenza europea opera a livelli diversi. La politica di concorrenza nell'Unione europea si occupa innanzitutto del comportamento delle imprese e degli Stati all'interno dell'Unione e tiene conto solo in maniera incompleta della globalizzazione dell'economia. Nel mercato unico, l'Unione europea dispone di un sistema giuridico per sanzionare efficacemente ogni condotta anticoncorrenziale. Tuttavia, le misure che prende non possono avere efficacia su scala mondiale. Di conseguenza, le stesse misure possono rafforzare la concorrenza all'interno del mercato unico, ma indebolire la competitività delle imprese europee nei confronti dei concorrenti internazionali. A tutt'oggi non esiste un sistema internazionale di regolamentazione della concorrenza. La costituzione di oligopoli o di monopoli può dare origine a mercati imperfetti a livello mondiale, ostacolando la libera concorrenza. Per impedire un tale processo, le autorità nazionali ricorrono a strumenti di politica industriale e commerciale che per i loro effetti protezionistici mettono i mercati nazionali al riparo dall'aggressiva concorrenza internazionale. La politica della concorrenza da una parte e la politica industriale e commerciale dall'altra si trovano in conflitto. Queste ultime mirano entrambe a garantire i migliori risultati di mercato, mentre la politica di concorrenza si occupa dell'ottimizzazione del funzionamento del mercato. Il risultato di tale conflitto, e delle diverse posizioni assunte a tale proposito dagli Stati membri, è un blocco che impedisce all'Europa di agire in modo coerente, tenendo conto delle esigenze sia del mercato unico europeo sia dei mercati mondiali. Alla luce delle tendenze economiche internazionali, tuttavia, l'Europa ha bisogno sempre di più di una politica di concorrenza che assicuri sia la concorrenza sul mercato unico europeo che la competitività delle imprese europee sul mercato mondiale. A tale scopo sono necessari sforzi particolari a livello multilaterale, in seno alle organizzazioni economiche internazionali, quali l'OCSE, il G 7, il GATT e l'OMC (WTO), la Banca mondiale o il Fondo monetario internazionale per definire le norme giuridicamente vincolanti di un sistema di concorrenza internazionale che garantisca la libera concorrenza tra tutti gli operatori del mercato. Jürgen Turek 67 http://europa.eu.int/en/agenda/igc-home/index.html 68 Conferenza intergovernativa Base giuridica: Articolo N, paragrafo 2, TUE e compiti di revisione previsti dagli articoli B, quinto trattino, TUE, 189 B trattato CE, J.10 e J.4 TUE, nonché dichiarazioni n. 1 e 16 al trattato CE. Obiettivi: Miglioramento dell'efficienza delle istituzioni e delle procedure decisionali, una Europa più vicina ai cittadini, consolidamento della capacità d'azione nella politica estera e di sicurezza comune dell'Unione, ulteriore sviluppo delle politiche interne e nel settore giuridico. La conferenza intergovernativa (CIG) per la revisione del trattato CE è stata inaugurata il 29 marzo 1996 in occasione del Consiglio europeo di Torino ed i lavori si protrarranno presumibilmente fino al 1997 inoltrato. I negoziati sono condotti a scadenza settimanale dai rappresentanti particolari dei ministri degli Esteri ed una volta al mese dai ministri stessi. Il -> Consiglio europeo segue l'andamento della CIG, eventualmente anche convocando riunioni ad hoc. Il -> Parlamento europeo è tenuto periodicamente informato e può far conoscere il proprio parere. Sviluppo La CIG risale all'impegno sancito dal trattato di operare una revisione, nell'anno 1996, delle procedure e politiche recentemente introdotte. Successivamente sono state presentate proposte da parte dei singoli Stati membri ed è stato definito il calendario di riforma, in occasione dei Consigli europei di Bruxelles, Corfù, Madrid e Torino. La CIG prende anche in debita considerazione le prossime tornate di ampliamento dell' Unione europea, che dovranno essere precedute da un approfondimento del processo di integrazione. I lavori preparatori sono stati affidati ad un gruppo di riflessione nominato dai capi di Stato e di governo (lugliodicembre 1995), la cui relazione ha illustrato in dettaglio le opzioni di revisione del trattato. Precedentemente il -> Consiglio e la -> Commissione avevano elaborato le relazioni sul tema del funzionamento del trattato CE ed il -> Parlamento europeo aveva emanato due risoluzioni in materia. Alla vigilia dell'inaugurazione della CIG, la Commissione ha formulato chiaramente le sue aspettative. Problematiche fondamentali I negoziati intergovernativi vertono su tre settori tematici. Il primo riguarda i cittadini e l'Unione europea e tratta le questioni relative al consolidamento dei diritti del cittadino e dei diritti fondamentali nel TUE, all'incremento della trasparenza nelle procedure dell'UE ed al miglioramento della sua sicurezza interna. Il secondo settore si incentra sull'aumento dell'efficienza delle procedure attraverso una possibile estensione della votazione a maggioranza, la revisione delle ponderazioni nelle votazioni in seno al Consiglio (per migliorare l'equilibrio tra gli Stati membri più grandi e meno grandi) e la semplificazione delle procedure con particolare riguardo il potere di codecisione del Parlamento europeo ( -> procedura decisionale). Il terzo settore è riferito ad una maggiore capacità di azione dell'UE nella politica estera e di sicurezza comune da realizzarsi con l'istituzione di una unità di analisi e di pianificazione, (eventuali) modifiche del sistema decisionale, con una più intensa presenza dell'Unione in politica estera e con l'ulteriore sviluppo della politica di difesa. In tempi recenti è tornato alla ribalta dell'Unione il tema della politica europea per l'occupazione a causa dell'elevato numero di disoccupati. Inoltre, una proposta franco-tedesca ha messo sul tappeto la questione generale della flessibilità delle procedure, nel senso di permettere eventualmente ad un gruppo di Stati membri di avanzare con più celerità nel processo di integrazione. Bilancio A tutt'oggi la conferenza intergovernativa ha realizzato solo progressi minimi. Particolari problemi sono causati non solo dall'atteggiamento di chiusura dell'attuale governo britannico; anche tra gli altri Stati membri le questioni della concreta portata giuridica degli emendamenti o integrazioni al trattato sono controverse, sebbene una netta maggioranza dimostri un interesse analogo per le riforme. In considerazione della necessità di ratificare i risultati scaturiti dai negoziati, ci si deve attendere soprattutto un consolidamento ed una prudente evoluzione delle procedure esistenti e delle norme che attualmente disciplinano l'attribuzione delle competenze. Mathias Jopp 69 http://europa.eu.int/inst/en/cl.htm#european 70 Consiglio europeo Data di fondazione: 10 dicembre1974. Base giuridica: Articolo D (disposizioni comuni) del trattato sull'Unione europea. Frequenza delle riunioni: Almeno 2 volte all'anno; normalmente, però, 3 volte. Composizione: I capi di Stato o di governo degli Stati membri nonché il presidente della Commissione europea, con la partecipazione dei ministri degli Affari esteri e di un membro della Commissione europea. Modalità di votazione: Consenso. Nessun'altra «istituzione» ha influenzato così profondamente il processo di integrazione dell'Europa occidentale negli anni '70, '80 e fino all'inizio degli anni '90, come il Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo. Di particolare rilievo sono state le decisioni del Consiglio europeo in merito all'Atto unico europeo (AUE), al trattato sull'Unione europea (TUE) e ad altre questioni istituzionali delle CE/UE, soprattutto con riferimento ai numerosi ampliamenti, compresa l'ammissione nella CE dei cinque nuovi Länder tedeschi. In senso strettamente giuridico il Consiglio europeo non è un'istituzione della CE. Fondato su un'intesa tra i governi convenuti alla conferenza di Parigi del 1974, il Consiglio europeo viene nominato per la prima volta in un testo giuridicamente vincolante - ma sempre al di fuori del trattato CEE - all'articolo 2 dell'AUE. Anche nel trattato di Maastricht esso figura nella sezione delle «Disposizioni comuni» (articolo D, TUE) «a monte» (per così dire) della Comunità europea e, quindi, al di fuori dei checks and balances costituzionali di quest'ultima. I compiti istituzionali fissati dal trattato Secondo l'articolo D del TUE, il Consiglio europeo «dà all'Unione l'impulso necessario al suo sviluppo e ne definisce gli orientamenti politici generali». Il Consiglio europeo elabora, inoltre, «un progetto di indirizzi di massima per le politiche economiche degli Stati membri e della Comunità» (articolo 103, paragrafo 2, CE) e «definisce i principi e gli orientamenti generali della politica estera e di sicurezza comune» (articolo J.8, paragrafo 1, TUE; -> politica estera e di sicurezza comune). Funzioni effettive La gamma delle sue attività e funzioni effettive è - rispetto a tale elenco - molto più vasta e differenziata. Innanzitutto, va ricordato il suo ruolo di «architetto costituzionale». Assai spesso attribuita al Consiglio europeo, questa funzione - che consiste nel dare alla costruzione europea un «impulso politico generale» e nel deliberare sulle questioni inerenti l'Unione europea - all'inizio, cioè negli anni 70, è stata da esso svolta con molto riserbo. Solo a partire dagli anni 80 il Consiglio ha cominciato e dar vita a numerose iniziative, alcune delle quali di vasta portata, come la convocazione delle conferenze intergovernative sull' Atto unico europeo, sull'-> unione economica e monetaria (Strasburgo, 1989) e sull'-> unione politica (Dublino, 1990), da esso decisa con l'adozione del trattato sull'Unione europea (Maastricht, 1992). Con tali decisioni, i capi di Stato e di governo hanno notevolmente ampliato la sfera delle attività comuni. Dalla conferenza al vertice dell'Aia del 1969 che suggellò la nascita della cooperazione politica europea, fino all'adozione degli elementi essenziali dell'Atto unico europeo e del trattato di Maastricht sull'Unione europea - con i quali venivano esplicitamente integrate nei trattati europei politiche del tutto nuove o nuovi «pilastri» - i capi di Stato e di governo hanno sempre definito i problemi dell'Europa occidentale come compiti comuni della CE e di altre forme della loro cooperazione, fissando anche le modalità secondo le quali essi andavano affrontati. Una seconda funzione è rappresentata dall'individuazione delle grandi linee direttive nelle questioni economiche e sociali e dalle dichiarazioni di politica estera, che sono considerate di particolare importanza («Organo di indirizzo politico»). Soprattutto in politica estera, il Consiglio europeo ha assunto un profilo sempre più netto. Esso ha rilasciato proprie prese di posizione su tutte le questioni più spinose e critiche della politica internazionale degli anni 70, 80 e dei primi anni 90, dal Sudafrica, al Medio Oriente, alla dissoluzione dell'Unione Sovietica. Particolare significato, ai fini dello sviluppo della CE, ha avuto una funzione che il Consiglio europeo non menziona o considera soltanto subordinata: quella di adottare esso stesso, almeno de facto, decisioni essenziali per la Comunità europea («produttore di decisioni»). In tal modo, il Consiglio è divenuto un'istanza decisionale fondamentale della Comunità, specialmente nelle più controverse questioni finanziarie e istituzionali, anche se esso non ha mai assunto in nessun caso decisioni giuridicamente vincolanti per la CE/UE. Agli indirizzi politici dei capi di governo è stata poi data la forma di atti giuridici della CE/UE attraverso la normale procedura prevista dai trattati. Modalità decisionali I processi decisionali del Consiglio europeo obbediscono ad una serie di caratteristiche costanti. Un aspetto essenziale di tale processo è rappresentato dal 71 72 varo dei cosiddetti «pacchetti negoziali»: solo i capi di Stato e di governo sono in grado, infatti, di «compensare», vicendevolmente e tra più settori politici, le richieste e le concessioni degli Stati membri. Proprio come nell'Atto unico europeo - dove l'interesse di taluni Stati membri all'apertura del -> mercato interno venne collegato alla richiesta di una migliore «coesione economica e sociale» - il Consiglio europeo è riuscito più volte nella storia della CE a portare avanti la costruzione europea anche grazie a metodi da «mercato dei cavalli» tra Stati membri; è certamente vero che tutto ciò richiede ai capi di governo molto tempo e notevoli sforzi, ma il progresso della Comunità (o dell'Unione europea), dipende in misura decisiva da questo tipo di trattative al vertice. Lo ha recentemente dimostrato la genesi delle prime sezioni del trattato di Maastricht sull'Unione europea, quando i capi di governo sono stati costretti - e contro le loro originali intenzioni - ad occuparsi intensamente di formulazioni concrete. I tentativi dei capi di Stato e di governo di indicare semplicemente grandi obbiettivi politici si sono rivelati poco solidi: proprio nel dettaglio «tecnico», infatti, finisce con l'emergere chiaramente la controversia politica e solo a tale livello possono, quindi, essere assunte le decisioni più difficili. I capi di governo dei paesi più grandi possono influenzare i dibattiti in seno al Consiglio europeo più profondamente di quanto accada in seno al -> Consiglio dell'Unione europea. A seconda del tema in discussione, però, anche il presidente della -> Commissione europea o singoli capi di governo di Stati minori possono giocare un ruolo di primaria importanza. Lo stile di negoziazione è più diretto e più personale che nel Consiglio dell'UE. Il presidente di turno del Consiglio europeo assume importanti compiti direttivi in tutte le fasi del processo decisionale in misura più ampia che in seno al Consiglio. Effetti su altri organi dell'UE All'atto della fondazione del Consiglio europeo esisteva il non infondato timore che tale organo avrebbe finito col modificare in modo permanente l'equilibro istituzionale della Comunità delle origini. Ci si attendeva in molti casi che i capi di governo annullassero il monopolio dell'iniziativa legislativa della Commissione europea, «declassassero» il Consiglio dell'Unione a camera subordinata e si sottraessero de facto anche ai pochi poteri del -> Parlamento europeo (PE). A fronte di tali timori, l'evoluzione del Consiglio europeo mostra un bilancio contraddittorio: nei settori comunitari di cui i capi di Stato e di governo si occupano personalmente, sono essi che - sia pure dopo l'attività preparatoria della Commissione e del Consiglio - di fatto, decidono e che spesso hanno ridotto le norme previste dai trattati a «procedure di ratifica» puramente formali. In numerosi altri settori il Consiglio europeo non ha toccato direttamente, o lo ha fatto solo raramente, la normale cooperazione istituzionale. Nel complesso, la Commissione e, specialmente il suo stesso presidente, hanno assunto, attraverso il Consiglio europeo, un profilo più netto e prestigio maggiore, dal momento che sono presenti in tale organo supremo e possono utilizzare le «conclusioni» del Consiglio europeo come autorevole «mandato» per molte delle loro attività a livello dell'UE. Attraverso le decisioni del Consiglio europeo sono stati anche ampliati i diritti della Commissione soprattutto in seno alle procedure intergovernative relative alla politica estera e di sicurezza comune e alla cooperazione dei ministri della Giustizia e degli Affari interni. Le conseguenze sono invece più negative nei confronti del Parlamento europeo: pur essendo, da qualche tempo, possibile che, all'inizio di ogni seduta del Consiglio europeo, il presidente del PE illustri la posizione degli eurodeputati, di fatto i diritti propri del PE nei confronti del Consiglio, stabiliti dai trattati, restano puramente «formali» se quest'ultimo è vincolato alle decisioni del Consiglio europeo e non è, quindi, disposto - in seno alla procedura CE vera e propria - che a trattative meramente marginali. Anche al di fuori dei controlli e contrappesi costituzionali (checks and balances) che nel trattato di Maastricht sono stati nuovamente ed esplicitamente confermati - la posizione del Consiglio europeo resta assai problematica dal punto di vista giuridico-costituzionale, anche perché le sue attività restano sottratte ad un possibile controllo da parte della Corte di giustizia delle Comunità europee ( -> Corte di giustizia europea; articolo L, TUE). Il bilancio della politica di integrazione Il Consiglio europeo ha esercitato un'azione efficace sulla politica di integrazione. Con la loro partecipazione diretta, i capi di Stato e di governo hanno sostenuto, e continuano a sostenere, una responsabilità immediata, anche nei confronti della stabilità, dell'efficienza e della direzione di sviluppo della CE e dell'UE. In tal modo, quest'organo non è il prodotto casuale dell'umore politico di qualche capo di governo ma segno di una poderosa evoluzione dell'Europa occidentale verso un'impiego comune degli strumenti di governo e, quindi, verso una nascente fusione istituzionale. Wolfgang Wessels 73 http://ue.eu.int/angl/summ2.htm 74 Consiglio dell'Unione europea Base giuridica: Articoli da 145 a 148 e da 150 a 154 del trattato CE. Competenze: Potere decisionale, coordinamento delle politiche nazionali, competenze di esecuzione. Composizione: Un rappresentante di ciascuno Stato membro a livello ministeriale Sistema di votazione: Le decisioni sono adottate a maggioranza semplice o qualificata, ovvero all'unanimità. Il Consiglio dell'Unione è l'istituzione che rappresenta gli Stati membri. Esso svolge anche le funzioni di un organo legislativo e dispone di competenze di esecuzione. Pur non originariamente dotato di una propria struttura amministrativa, il rapido aumento delle funzioni della Comunità europea in termini quantitativi e qualitativi ha portato ad un sovraccarico di lavoro ed alla moltiplicazione dei settori in cui è prevista la partecipazione dell'istituzione, che attualmente si può riunire in oltre 20 «consigli settoriali» composti dai ministri competenti per le materia più diverse. Già nel 1958 il -> comitato dei rappresentanti permanenti (Coreper) fu istituito a sostegno dei lavori del Consiglio. Al Coreper furono subordinati gruppi di lavoro composti da funzionari nazionali, il cui numero oggi si aggira attorno ai 200. Il Coreper ed i gruppi di lavoro costituiscono, assieme al segretariato generale del Consiglio, la struttura di sostegno, ormai notevolmente accresciuta, del Consiglio. La storia del Consiglio dei ministri, così denominato fino all'entrata in vigore dell'Unione europea il 1 novembre 1993, è stata fortemente caratterizzata, negli anni dal 1970 al 1985, dalla carenza di poteri decisionali. La mancata applicazione della possibilità prevista dal trattato CEE di votazione a maggioranza qualificata in diversi settori, l'-> ampliamento della CE nel 1973, così come l'incapacità degli Stati membri di definire unanimemente, dopo il raggiungimento degli obiettivi del mercato comune ( -> mercato interno) finalità comuni di più ampio respiro, bloccarono il Consiglio in una «trappola decisionale». L'istituzionalizzazione del -> Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo (1994), subentrato ai «vertici» che precedentemente si riunivano periodicamente ma senza scadenza precisa, costituì il tentativo di creare un'autorità politica che doveva facilitare il lavoro del Consiglio dei ministri e degli altri organi comunitari, definendo in termini chiari priorità e linee direttrici. In realtà, la creazione del Consiglio europeo ridusse ulteriormente la funzione e l'autorità decisionale del Consiglio, poiché si instaurò la prassi di demandare le decisioni importanti ai capi di Stato e di governo. Una certa dinamicità al processo decisionale all'interno del Consiglio dei ministri fu apportata dall'-> Atto unico europeo (AUE) del 1986 e soprattutto dall'obiettivo, condiviso da tutti gli Stati membri, di completare il mercato interno. Anziché affrontare direttamente il problema del rifiuto da parte degli Stati membri di applicare la votazione a maggioranza, l'AUE stabilì abilmente un collegamento tra il principio di maggioranza e le decisioni attinenti alla realizzazione del mercato interno. Dal 1986, la prassi ha dimostrato che il processo decisionale del Consiglio si è accelerato e che le delibere adottate a maggioranza sono diventate prassi normale. Il trattato sull'Unione europea ha abrogato la differenziazione, presente ancora nell'AUE, tra Consiglio dei ministri della CE e le riunioni ministeriali che si tengono nel quadro delle relazioni esterne. L'organo competente in materia di -> politica estera e di sicurezza comune (PESC) nonché nella collaborazione nei settori della giustizia e degli affari interni è ora il Consiglio, e nella PESC è stata persino introdotta la possibilità, in circostanze particolari, di adottare decisioni a maggioranza qualificata. L'interdipendenza dei tre pilastri dell'->Unione europea (UE) si riflette attualmente nella denominazione ufficiale di «Consiglio dell'Unione europea». Funzioni e posizione istituzionale La funzione principale del Consiglio consiste nel rappresentare gli interessi degli Stati membri a livello dell'Unione. Il fatto che il Consiglio disponga al contempo di competenze generali di decisione, dimostra che la politica dell'UE è sostanzialmente determinata dagli interessi degli Stati membri e che questi prevalgono sugli interessi della Comunità, rappresentati dalla -> Commissione europea e dal -> Parlamento europeo. Originariamente il Consiglio disponeva di un potere esclusivo di decisione in tutti i settori della politica comunitaria. Anche le competenze di esecuzione erano prevalentemente esercitate dal Consiglio. Sebbene la posizione del Consiglio all'interno del sistema istituzionale non abbia subito sostanziali modifiche, ora il Consiglio è tenuto a delegare le proprie competenze di esecuzione alla Commissione ed a condividere la funzione decisionale con il Parlamento europeo in materie come il -> bilancio e l'associazione di Stati terzi e per la conclusione di nuovi trattati di adesione all'UE. Con l'introduzione nell'AUE della «procedura di cooperazione» (articolo 189C del trattato CE) tra il Consiglio ed il Parlamento e della «procedura di codecisione» (articolo 189 B) nel trattato dell'Unione europea, l'influenza esercitata dal Parlamento sulla legislazione CE/UE si è andata sensibilmente rafforzando. Nel settore dell' Unione economica e monetaria il Consiglio, su raccomandazione della Commissione, è responsabile del coordinamento e della sorveglianza multilaterale delle politiche nazionali di bilancio. 75 76 La posizione ancora dominante del Consiglio all'interno del sistema istituzionale è stata ulteriormente limitata soprattutto dal fatto che nella sfera delle politiche comunitarie, con qualche trascurabile eccezione, può agire soltanto sulla base di una proposta della Commissione. Ad ogni riunione del Consiglio e degli organi a lui subordinati prendono parte anche rappresentanti della Commissione, che hanno facoltà di modificare o di ritirare la proposta della Commissione in qualsiasi momento. Atteso che il Consiglio può modificare una proposta della Commissione soltanto deliberando all'unanimità, mentre in molti casi può adottare un testo presentato dalla Commissione a maggioranza qualificata, ne consegue che in seno al Consiglio, senza l'accordo della Commissione, possono essere adottate solo poche decisioni. Attualmente invece, nella PESC il diritto di iniziativa (articolo J.8, paragrafo 3, TUE) è esercitato sia dalla Commissione che dagli Stati membri, mentre nella cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni tale facoltà è accordata in primo luogo agli Stati membri (articolo K.3, paragrafo 2, TUE). Sistemi di votazione Le modalità di votazione del Consiglio non sono disciplinate in un unico corpo di disposizioni, bensì in distinti articoli del trattato CE che sanciscono in che forma e con l'applicazione di quale sistema di votazione le singole istituzioni prendono parte al -> processo decisionale. In base al trattato, la votazione a maggioranza semplice in seno al Consiglio viene adottata ogniqualvolta non sia espressamente indicato diversamente. Le votazioni che richiedono una particolare maggioranza («maggioranza qualificata»), o addirittura che devono essere adottate «all'unanimità», rappresentano tuttavia la norma. In determinate decisioni di rilievo costituzionale, oltre all'approvazione all'unanimità è richiesta la ratifica da parte degli Stati membri, in conformità delle loro rispettive norme costituzionali (ad es. in materia di risorse proprie ai sensi dell'articolo 201 del trattato CE). Quando è richiesta la maggioranza qualificata, ai voti degli Stati membri viene attribuita la seguente ponderazione stabilita all'articolo 148, paragrafo 2, del trattato CE: Germania, Francia, Regno Unito ed Italia 10 voti ciascuna, Spagna 8, Belgio, Grecia, Paesi Bassi e Portogallo 5, Austria e Svezia 4, Danimarca, Finlandia ed Irlanda 3, Lussemburgo 2. La maggioranza qualifica è raggiunta quando una delibera è sostenuta da almeno 62 voti favorevoli su 87; 26 voti (29%) possono quindi costituire la «minoranza qualificata». Il trattato CEE disponeva che, al termine di un periodo transitorio, determinate decisioni potessero essere adottate a maggioranza qualificata. Nel 1965, anno della prevista introduzione di tale principio, la Francia vi si oppose e ritirò il proprio rappresentante dalle riunioni del Consiglio («politica della sedia vuota»). Nei nove mesi che seguirono il Consiglio si trovò nell'impossibilità di decidere alcunché, fino a che, il 18 gennaio 1966 fu raggiunto il cosiddetto «compromesso di Lussemburgo». Esso prevedeva che in seguito, allorché fossero stati in gioco «interessi nazionali vitali», si doveva proseguire nella ricerca di un compromesso fintanto che lo Stato membro interessato si fosse allineato alla decisione comune. In pratica questo «compromesso» ha fatto sì che tra il 1966 ed il 1985 in seno al Consiglio, salvo poche eccezioni, le votazioni a maggioranza fossero limitate soltanto alle questioni di bilancio. L'interpretazione implicitamente accettata dagli Stati membri, che vedevano nel «compromesso di Lussemburgo» un diritto di veto nei confronti di una delibera che non li trovava d'accordo, ha fatto sì che di regola si cercasse di raggiungere l'unanimità, consentendo così anche ad un solo Stato membro di bloccare o rinviare per anni l'adozione di una decisione del Consiglio. L'AUE non ha abrogato il compromesso di Lussemburgo, ma ha portato alla sospensione della sua applicazione. Nei negoziati per l'ampliamento dell'UE a Finlandia, Austria e Svezia, il Regno Unito e la Spagna si opposero per lungo tempo all'adeguamento aritmetico dei voti necessari per raggiungere la maggioranza (62) o viceversa la «minoranza» qualificata (26). Entrambi i paesi volevano mantenere - per salvaguardare l'influenza dei «grandi» Stati e, nel caso della Spagna, per mantenere un «fronte meridionale» - la vecchia regola di 23 voti per formare un blocco minoritario. La soluzione adottata nell'aprile del 1994 assomiglia ad un rilancio parziale del compromesso di Lussemburgo: in linea di principio solo 26 voti costituiscono una minoranza ma, qualora siano espressi da 23 a 25 voti contrari, si devono svolgere ulteriori negoziati in materia, ma non viene stabilito per quanto tempo. È un segnale indicativo di un diffuso disegno di «rinazionalizzazione» della politica europea. Funzionamento: un meccanismo orientato alla ricerca del consenso Indipendentemente dal sistema di votazione applicato nel singolo caso, il Consiglio nel suo funzionamento costituisce un meccanismo orientato alla ricerca del consenso tra gli Stati membri. Il processo decisionale, all'interno di questo meccanismo, si svolge su tre distinti livelli. Numerosi gruppi di lavoro composti da funzionari nazionali sono chiamati a discutere gli aspetti tecnici delle proposte elaborate dalla Commissione. I gruppi di lavoro trasmettono tutti i testi da loro esaminati al -> comitato dei rappresentanti permanenti, che agisce in qualità di una seconda «camera di compensazione», che, a questo livello già politico, cerca di comporre le divergenze di interessi ancora esistenti tra gli Stati membri e di produrre un testo di delibera che in alcuni casi può essere approvato anche a maggioranza qualificata. In entrambi i casi, la presidenza è assunta da un rappresentante dello Stato membro che esercita la Presidenza nel Consiglio. La stretta compenetrazione tra le amministrazioni degli Stati membri e l'UE è dimostrata dal fatto che i gruppi di lavoro sono composti prevalentemente dai funzionari nazionali che sono presenti anche negli organismi consultati dalla Commissione nella fase preparatoria dei progetti di decisione. Le rappresentanze permanenti presso l'UE costituiscono il più importante anello di congiunzione tra gli Stati membri e l'Unione; esse sono costantemente a stretto contatto con la Commissione ed i rappresentanti permanenti degli altri Stati membri. 77 78 Le riunioni del Consiglio sono avvenimenti importanti, in occasione delle quali i ministri sono accompagnati e assistiti da esperti e possono avere fino ad un centinaio di persone al seguito. Sempre più spesso accade tuttavia che il Consiglio, nelle sue varie vesti, si riunisca in sedute «informali», nelle quali i ministri discutono tra loro. Per risolvere problemi di particolare gravità hanno luogo i cosiddetti «Supervertici», ai quali partecipano i ministri responsabili di due o più dicasteri di ciascuno Stato membro. Sulla scia del dibattito sulla trasparenza avviato dopo Maastricht, dal 1993 si tengono, per la prima volta, riunioni pubbliche del Consiglio. Nonostante la possibilità, colta con sempre maggiore frequenza, di adottare una votazione a maggioranza qualificata, nella prassi corrente la ricerca dell'unanimità prevale a tutti i livelli del Consiglio. Anche gli Stati membri che rientrano nella maggioranza sono consapevoli che in altre questioni essi stessi si potrebbero trovare in posizione di minoranza, nel qual caso dipenderebbero dalla comprensione dei loro partner. Inoltre, le discussioni in seno al Consiglio sono per lo più caratterizzate da coalizioni tra Stati membri, che possono cambiare velocemente. Ridurre con troppa rapidità alcuni Stati membri all'isolamento potrebbe significare che probabilmente non si potrà contare in seguito sulla maggioranza qualificata. In pratica, pertanto, le delibere vengono adottate a maggioranza soltanto quando uno o più Stati membri non vogliono o non possono accettare un compromesso. Uno dei più importanti strumenti della capacità operativa del Consiglio è rappresentato dalla presidenza, che è esercitata a turno dagli Stati membri ogni semestre. Assistita dal segretariato generale del Consiglio - la «memoria» di tale istituzione -, spetta alla Presidenza preparare i lavori del Consiglio, condurre le discussioni e sondare la possibilità di compromessi tra gli Stati membri. In questo ultimo compito il presidente lavora a stretto contatto con la Commissione, in quanto un compromesso spesso può essere raggiunto solo con il suo contributo. Prospettive Per il futuro si pone la questione se il Consiglio si svilupperà nella direzione di un Consiglio federale o Senato europei. Tuttavia è realistico aspettarsi che il Consiglio, come è avvenuto fino ad oggi, condividerà le proprie competenze solo gradualmente con altri organismi dell'UE e soprattutto con il Parlamento europeo. In modo più sensibile che nelle federazioni di tipo tradizionale, l'Unione europea sarà caratterizzata anche in futuro dalla doppia legittimità degli Stati membri nel Consiglio e dalla rappresentanza popolare nel Parlamento europeo. Giova sottolineare che il Consiglio possiede oggi una vasta competenza nel quadro dei vigenti trattati comunitari, e anche nei settori che non rientrano tra le politiche comuni della PESC e della collaborazione nei settori della giustizia e degli affari interni e pertanto deve adoperarsi al fine di mantenere la coerenza tra le attività svolte dai tre pilastri dell'Unione. Christian Engel http://www.eca.eu.int/ Corte dei conti europea Base giuridica: Articolo 4; articoli da 188 A a 188 C e 206 del trattato CE. Obiettivi: Esame della gestione finanziaria e contabile, nonché della legittimità e regolarità di tutte le operazioni di pagamento dell'UE e dei suoi organi; esame dell'efficienza economica del bilancio dell'UE. Strumenti: Dopo la chiusura di ciascun esercizio finanziario, la CC compila una relazione annuale che il PE provvede ad esaminare, prima di consentire alla Commissione europea lo scarico del bilancio. Se necessario, la CC può presentare delle relazioni speciali. Composizione: 15 membri, corrispondenti al numero degli Stati membri dell'UE, nominati per sei anni dal Consiglio, che delibera all'unanimità, previa consultazione del PE. Il presidente viene eletto per tre anni. La sede è a Lussemburgo. Modalità di votazione: La CC europea è un organo collegiale e, normalmente, decide a maggioranza dei suoi membri. Ai singoli membri vengono assegnati specifici settori di controllo. La Corte dei conti europea (CC) è un organo che è cresciuto parallelamente allo sviluppo dell' -> Unione europea. Il trattato sull'Unione europea, del 7 febbraio 1992, innalza la CC al rango di un'istituzione della Comunità (articolo 4 CE nuovo testo). La Corte dei conti venne istituita dal trattato del 22 luglio 1975 (entrato in vigore l'1 giugno 1977) firmato dai governi degli Stati membri che modificava talune disposizioni finanziarie. Parallelamente al consolidamento delle finanze della Comunità europea e al conferimento ad essa di entrate proprie - nel frattempo, grazie alle decisioni del -> Consiglio europeo del dicembre 1992, la CE poteva concentrarsi sul completamento dell'UE ( -> bilancio) - era opportuno che anche il controllo sul bilancio comunitario venisse perfezionato e rafforzato. L'istituzione della Corte dei conti andò di pari passo con la nuova ripartizione dei poteri di bilancio e con la riformulazione delle norme sulle procedure di bilancio del 1975, attraverso la quale vennero assegnati, soprattutto al -> Parlamento europeo (PE), più ampi poteri nell'elaborazione e nella definizione del bilancio comunitario. Con il trattato del 22 luglio 1975, il PE ottenne, tra l'altro, la prerogativa esclusiva di concedere alla -> Commissione europea - che esegue il 79 80 bilancio sotto la propria responsabilità - lo scarico del medesimo. Il PE è tenuto in tale circostanza a cooperare con la CC che, a questo scopo, dopo la conclusione di ogni esercizio finanziario, presenta una propria relazione. La Corte dei conti esamina i conti di tutte le entrate e le spese della Comunità e dell'Unione europea. L'intero complesso del bilancio della CE/EU rientra nelle sue competenze, funzione che ha cominciato a svolgere con l'esame dei bilanci dal 1984 al 1986 e che ora copre l'intero bilancio dell'UE e delle tre Comunità che operano al suo interno. In linea di massima, tale controllo si estende anche agli organismi creati dalle istituzioni e ad esse subordinati. La funzione più importante della Corte dei conti è la presentazione della relazione annuale sui conti di gestione della CE, sull'attività finanziaria della CECA e - a seconda dei casi - di determinati organismi ausiliari delle istituzioni. Si tratta di norma solo di un controllo a posteriori della gestione finanziaria. Una norma - in base alla quale, in qualsiasi momento, la Corte dei conti può prendere posizione su questioni particolari e, nell'ambito di un controllo concomitante, verificare, con lo strumento delle relazioni speciali, operazioni non ancora concluse - garantisce la trasparenza e pubblicità del bilancio. L'iniziativa in questo senso può essere assunta dalla Corte dei conti stessa o da altre istituzioni europee. Dal 1977 la Corte dei conti ha assunto gradualmente lo status di organo autonomo di controllo e verifica, la cui oggettiva autorità e capacità di imporsi sono ampiamente riconosciute. Ciò nonostante, la Corte dei conti si trova in una situazione istituzionale difficile. Infatti, tra il PE - che è il suo partner nell'attività di controllo, in quanto autorità di bilancio, e con il quale essa, in tale funzione, prevalentemente coopera - e la Commissione, alla cui gestione contabile e finanziaria il PE, in base alla relazione della Corte dei conti, concede lo scarico, si instaura, com'è inevitabile in questi casi, una relazione piena di tensioni. La Corte dei conti si è occupata in modo particolarmente analitico della -> politica agricola dell'UE, alla quale essa ha sempre rimproverato, tra l'altro, uno scarso senso per l'equilibrio del mercato e la mancanza di norme efficaci per la contabilizzazione e la valutazione delle giacenze dovute a sovrapproduzione, nonché carenti controlli dei rimborsi alle esportazioni. In questo campo della lotta alle frodi, che suscita vasta eco nell'opinione pubblica europea, il PE chiede, da tempo, l'istituzione di un'unità di controllo comunitaria indipendente, dotata del potere di adottare provvedimenti urgenti. Thomas Läufer http://europa.eu.int/cj/index.htm Corte di giustizia delle Comunità europee Base giuridica: Articoli da 165 a 188 del trattato CE; articolo L del trattato sull'Unione europea (TUE). Obiettivi: La Corte di giustizia assicura il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione del trattato CE e del TUE. Composizione: 15 giudici ed 8 avvocati generali (articoli 165 e 166 CE) nominati di comune accordo per sei anni dai governi degli Stati membri. I giudici designano tra loro, per tre anni, il presidente della Corte. Ogni tre anni si procede ad un rinnovamento parziale dei giudici e degli avvocati generali (articolo 167 CE). La sede è a Lussemburgo. Modalità di votazione: Nei casi dei ricorsi da parte di Stati membri o di istituzioni delle Comunità, la CGCE si riunisce, a richiesta, in seduta plenaria. Altrimenti essa può istituire sezioni composte di tre, cinque o sette giudici ciascuna (articolo 165 CE). Le discussioni non sono pubbliche. Le decisioni della Corte sono prese alla maggioranza dei giudici. Lingue procedurali sono le lingue ufficiali dell'UE. Lingua di lavoro è il francese. La Corte di giustizia delle Comunità europee (CGCE) è una delle cinque principali istituzioni della Comunità (articolo 4, n. 1, CE). In origine, tramite l'accordo sulle istituzioni comuni delle Comunità europee, del 25 marzo 1957, essa fungeva da Corte comune delle Comunità. I suoi avvocati generali preparano parallelamente ai giudici relatori le cause pendenti davanti alla Corte, esprimono su di esse, nella fase orale, la loro posizione indipendente e, soprattutto, presentano in tale sede le proprie conclusioni in forma di parere giuridico insieme a concrete proposte di decisione. Gli avvocati generali, pur essendo membri della Corte in quanto istituzione, non prendono parte né alla formazione delle sentenze né alle votazioni. La posizione eminente della CGCE in seno al sistema comunitario e la sua autorità nell'interpretazione e nell'applicazione del diritto comunitario derivano soprattutto dal fatto che essa decide a maggioranza seguendo esclusivamente la propria concezione del diritto e della giustizia. Essa agisce, insomma, come un autentico organo sovrannazionale, non vincolato agli interessi degli Stati membri. 81 82 Dati e competenze In qualità di unico organo di controllo giurisdizionale dell'UE, alla Corte di giustizia sono stati demandati numerosi compiti istituzionali non riconducibili all'esercizio della semplice funzione giudiziaria. La Corte può infatti agire in qualità di: • giudice costituzionale: definisce e chiarisce i diritti e gli obblighi reciproci delle istituzioni europee e dei rapporti che intercorrono tra gli Stati membri e l'UE; • giudice della legittimità: esamina la compatibilità degli atti di diritto derivato (atti emanati dal -> Consiglio dell'UE e dalla -> Commissione europea) con i trattati e con i principi fondamentali del diritto; • giudice amministrativo: esamina i ricorsi di persone fisiche e giuridiche contro provvedimenti dell'UE che li riguardano direttamente e le controversie tra l'UE e i suoi dipendenti (cause del personale); • giudice civile: accerta la responsabilità extracontrattuale ed esamina le cause per il risarcimento dei danni cagionati dalle istituzioni della CE/UE o dai loro agenti nell'esercizio delle loro funzioni amministrative; • tribunale arbitrale: in taluni casi particolari la CGCE può fungere da tribunale arbitrale in forza di una clausola attributiva di competenza. Inoltre, il Consiglio, la Commissione o uno Stato membro possono chiedere alla CGCE pareri sulla compatibilità con il trattato CE di un accordo progettato tra l'UE ed un Paese terzo o una organizzazione internazionale (articolo 228, n. 6, trattato CE). In questo caso, la CGCE svolge, almeno parzialmente, anche una funzione di controllo sulla validità di atti internazionali. Tutte queste competenze sono rimaste invariate anche dopo la ratifica del trattato sull'Unione europea (TUE) da parte dei parlamenti nazionali. Nel quadro del TUE, le competenze della CGCE si limitano espressamente agli atti giuridici comunitari - in particolare modifiche al trattato e trattati di adesione - (articolo L del TUE). Tipi di ricorsi e di procedimenti I principali procedimenti esperibili dinanzi alla CGCE sono i seguenti: • ricorsi diretti all'annullamento di atti comunitari aventi efficacia obbligatoria promossi da istituzioni od organismi dell'UE, dai suoi Stati membri e - in taluni casi - anche da singole persone fisiche o giuridiche (articolo 173 CE); • procedimenti di infrazione, promossi dalla Commissione o da uno Stato membro contro un altro Stato membro per violazione di obblighi imposti dai trattati o dagli atti di diritto comunitario derivato, (articoli 169 e 170 CE) o da trattati conclusi dall'UE (p.es., articolo 228 CE); • ricorsi per carenza promossi da istituzioni dell'UE e dagli Stati membri contro il Consiglio o la Commissione qualora si astengano dal prendere decisioni prescritte dal diritto comunitario (articolo 175 CE); • controversie relative all'applicazione o all'interpretazione dello statuto dei funzionari, cioè controversie tra l'UE ed il suo personale (articolo 179 CE). Oltre alle sentenze in merito al diritto dei trattati e alla legittimità dei singoli atti di diritto derivato, la CGCE si pronuncia sempre più spesso in via pregiudiziale (articolo 177 CE), cioè dietro richiesta di una giurisdizione nazionale (il cosiddetto rinvio pregiudiziale) sull'interpretazione e sulla validità di disposizioni del diritto comunitario che tale giurisdizione reputi rilevanti per la definizione di un procedimento pendente dinanzi ad essa. La pronuncia pregiudiziale della CGCE è vincolante per il tribunale nazionale che ha posto il quesito pregiudiziale. Proprio lo strumento dell'interpretazione in via pregiudiziale rappresenta un importante canale di collegamento tra la CGCE e le giurisdizioni degli Stati membri in quanto consente l'applicazione uniforme del diritto comunitario in tutta Europa e garantisce anche una giurisprudenza europea uniforme. Il Tribunale di primo grado Con decisione del Consiglio del 24 ottobre 1988 alla CGCE venne affiancato un «Tribunale di primo grado delle CE», il quale, in determinate materie (statuto dei funzionari, questioni di concorrenza), funge da giudice di merito; le sue decisioni possono essere impugnate dinanzi alla CGCE. La base giuridica per l'istituzione del Tribunale di primo grado è stata fornita dall'Atto unico europeo che ha inserito nel trattato CEE l'articolo 168 A. Il nuovo Tribunale è ora composto di 15 membri che esercitano l'attività giudicante ma che possono anche assolvere alle funzioni di avvocato generale; la durata del loro incarico è di sei anni. L'istituzione del TPG, che ha iniziato la propria attività il 31 ottobre 1989, aveva lo scopo di ridurre il carico di lavoro della CGCE. Attualmente (1993/94), le sue competenze sono state estese a tutti i tipi di ricorso proposti da persone fisiche e giuridiche contro atti emanati da istituzioni europee. Ciò servirà a smaltire il numero crescente di procedimenti che anche i singoli cittadini promuovono dinanzi alla giurisdizione europea ed a suddividere equamente il carico di lavoro tra la CGCE ed il Tribunale. Giurisprudenza Fin dall'inizio la CGCE ha avuto un ruolo fondamentale nel consolidamento della CE come comunità di diritto. Da essa sono venuti, e continuano a venire, impulsi significativi per lo sviluppo del diritto comunitario e per l'approfondimento dell'integrazione europea. Tale funzione è particolarmente evidente nel costante controllo giurisdizionale degli atti del Consiglio (articolo 189 CE) e nell'interpretazione del diritto comunitario, che è contemporaneamente giurisprudenza e, pertanto, anche un elemento caratterizzante del ruolo politico della Corte di giustizia. Attraverso la propria giurisprudenza, la CGCE ha permanentemente provveduto a colmare le lacune della normativa comunitaria, che essa ha sempre considerato espressione di un ordinamento giuridico distinto e indipendente da quello degli Stati membri e del quale ha dato un'interpretazione, 83 84 in caso di dubbio, favorevole alla Comunità, ai suoi obiettivi di integrazione ed ai suoi cittadini («in dubio pro Communitate»). Uno dei compiti di cui la CGCE si è fatta carico in modo particolare è stato quello di tutelare i diritti umani e fondamentali di fronte al potere sovrano delle CE. Nel 1977, il -> Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione rilasciarono una dichiarazione comune nella quale professavano il proprio rispetto dei diritti umani nella Comunità. Ma già in precedenza la CGCE aveva emesso varie sentenze in tema di tutela dei diritti fondamentali. La maggior parte delle sentenze ha comunque per oggetto il diritto commerciale (specialmente la concorrenza) e l'attuazione delle politiche comuni della CE/UE e sono pronunciate soprattutto in seguito a procedimenti di infrazione ai sensi degli articoli 169 e 170 del trattato CE. Purtroppo, negli ultimi anni, questi procedimenti hanno raggiunto, e tuttora mantengono, livelli numericamente elevati. Nel 1993 la Commissione ha iniziato 1 206 procedimenti; in 44 casi ha promosso un ricorso davanti alla CGCE che ha pronunciato complessivamente 35 sentenze su violazioni di obblighi derivanti dal diritto comunitario. Gli effetti delle sentenze Le sentenze della CGCE vincolano innanzitutto le parti del procedimento. Le sentenze vengono pubblicate integralmente nella Raccolta ufficiale della Corte; i loro estremi e il dispositivo vengono anche pubblicati nella Gazzetta ufficiale dell'UE. Le decisioni della Corte, che pronunciano la nullità totale o parziale di singoli atti delle CE/UE, hanno effetto erga omnes. Va però notato che sono suscettibili di esecuzione solo le sentenze che comportano obblighi pecuniari e che possono essere eseguite dagli Stati membri. Prima dell'entrata in vigore del trattato sull'Unione europea, i poteri della Corte trovavano il loro limite nella disponibilità degli Stati membri a sottomettersi spontaneamente alle sue sentenze. Dal 1993, però, la CGCE può infliggere ammende agli Stati membri che non si conformano ad una sua sentenza (articolo 171 del trattato CE, nuovo testo). Thomas Läufer http://europa.eu.int/pol/cult/en/info.htm Cultura Base giuridica: Articolo 128 del trattato CE; articolo 92, paragrafo 3, lettera d), del trattato CE. Obiettivi: Migliorare la conoscenza e la diffusione della cultura e della storia dei popoli europei; tutela dei beni culturali; scambi culturali non commerciali; incentivi alla creazione artistica e letteraria; sviluppo di un'industria culturale europea. Strumenti: Attività e programmi di carattere culturale, politica sociale e dell'occupazione. Bilancio 1995: 15,2 milioni di ecu, pari a circa lo 0,02 % del bilancio CE. La politica dell'Unione europea nel settore culturale Prima che entrasse in vigore il trattato sull'Unione europea (1993) la cultura e la politica culturale non avevano ancora alcun esplicito riconoscimento nei trattati comunitari. Stanti le riserve di ordine politico e costituzionale che vari Stati mantenevano dinanzi all'ipotesi di una Comunità investita di competenze in campo culturale, le iniziative culturali dell'UE potevano scaturire soltanto da singole decisioni del->Consiglio. L'articolo 128 CE (nuovo testo) fornisce ora il necessario fondamento normativo per l'inserimento del settore culturale tra le attività dell'Unione europea e prescrive che ogni decisione sia presa dal Consiglio all'unanimità dopo aver consultato il ->comitato delle regioni. Nell'UE tutte le istituzioni contribuiscono ad elaborare ed attuare la politica culturale. Gli impulsi decisivi per ogni iniziativa nel settore culturale vengono dati dal Consiglio europeo. Il Consiglio formato dai ministri della Cultura e dell'Istruzione si occupa delle questioni inerenti la politica culturale in generale, mentre la Commissione europea è responsabile sia della preparazione che dell'attuazione delle decisioni del Consiglio. La cultura e la politica culturale sono attualmente di competenza della sua direzione generale X, la cui denominazione ufficiale è appunto «Informazione, comunicazione, cultura e audiovisivo». Mediante i poteri di cui dispone in materia di bilancio anche il ->Parlamento europeo può dare un contributo alla dotazione finanziaria delle iniziative culturali; tra l'altro, ai sensi dell'articolo 189 B del trattato CE, esso partecipa al relativo processo decisionale. 85 86 Di norma, anche nel settore culturale, l'UE può valersi degli stessi strumenti giuridici con i quali opera negli altri settori della politica comunitaria; va tuttavia rilevato che è espressamente esclusa l'armonizzazione delle disposizioni legislative ed amministrative degli Stati membri. Di norma però il Consiglio si limita ad emanare risoluzioni e conclusioni che gli Stati membri si impegnano ad osservare più sul piano politico che sul piano giuridico. Essi forniscono peraltro alla Commissione un ausilio prezioso in sede di attuazione dei programmi. Nei settori della->politica economica e della->politica sociale, i programmi culturali dell'Unione europea sono intesi sia a migliorare la situazione economicosociale di tutti coloro che operano nel settore culturale sia a sviluppare quella che è stata chiamata la «industria culturale» europea, obiettivo che si ricollega a sua volta al completamento del->mercato interno. Particolare rilievo assumono a questo riguardo le sovvenzioni e il trattamento fiscale delle produzioni culturali e dei beni culturali, la tutela dei diritti degli autori e dei titolari dei diritti connessi e le garanzie economico-sociali per coloro che operano nel settore culturale, la promozione dell'industria audiovisiva ( i mezzi di comunicazione di massa), nonché la formazione e il perfezionamento professionale nel settore culturale. Sono finalità della politica culturale della Comunità ai sensi dell'articolo 128 CE l'incoraggiamento, il sostegno ed eventualmente l'integrazione dell'azione degli Stati membri in settori come il miglioramento della conoscenza e la diffusione della cultura e della storia dei popoli europei, la conservazione e la tutela dei beni culturali di importanza europea, gli scambi culturali di carattere non commerciale, la creazione artistica e letteraria, compresa quella audiovisiva la cooperazione con gli Stati terzi e le organizzazioni internazionali, in particolare con il Consiglio d'Europa. Le attività dell'Unione europea nel settore culturale e della politica culturale coincidono spesso, sotto il profilo dei contenuti, con l'attività esplicata dal Consiglio d'Europa, ma da queste si distinguono sotto il profilo del metodo, in quanto sostengono e contribuiscono al finanziamento di iniziative e programmi già operativi. Alcuni esempi di questi progetti sono, ad esempio i concerti delle «orchestre europee» (orchestra dei giovani, orchestra barocca, orchestra jazz), i festival di poesia, le manifestazioni culturali il più delle volte organizzate da artisti disoccupati grazie al programma Caleidoscopio 2000, l'aggiornamento e il perfezionamento professionale dei giovani artisti, la tutela dei beni culturali (programma Raffaello), lo sviluppo e il consolidamento delle tecniche di conservazione, la promozione delle traduzioni letterarie (programma Ariane), la partecipazione all'organizzazione delle manifestazioni annuali «Città europea della cultura» o «Capitale europea della cultura». Conclusioni Se si prescinde dalle attività culturali che hanno un'incidenza diretta sul piano economico e che rappresentano iniziative «politiche» nel senso proprio del termine, la politica culturale in tutta l'Unione europea ha principalmente lo scopo di incentivare e promuovere il massimo numero possibile di iniziative private. La politica culturale di carattere non commerciale, che pure ha trovato riconoscimento ufficiale nel trattato di Maastricht, è ancora in attesa di una sua concretizzazione ad opera della Commissione europea, mentre gli Stati membri premono soprattutto affinché il principio di sussidiarietà venga osservato alla lettera. Il vasto e multiforme ventaglio delle iniziative culturali europee continuerà comunque ad avere il suo motore nell'iniziativa privata, con finalità e sviluppi propri. Bernd Janssen 87 http://europa.eu.int/pol/ener/en/info.htm 88 Energia Base giuridica: Norme specifiche per il carbone nel trattato CECA; norme specifiche per l'energia nucleare nel trattato Euratom; disposizioni generali del trattato CE relative all'abolizione degli ostacoli al commercio (articoli da 12 a 37) ed alle regole di concorrenza (articoli da 85 a 94) nonché articolo 3, paragrafo t), del trattato CE. Obiettivi: Garantire un approvvigionamento energetico sicuro, a basso prezzo, non dannoso per la salute umana o per l'ambiente; sviluppare energie alternative; realizzare il mercato interno dell'energia. Strumenti: Interventi principalmente nei settori del carbone e dell'energia atomica; programmi di promozione dell'energia nucleare o delle ricerche sulla fusione; promozione e aiuti strutturali a progetti di dimostrazione nel settore delle tecnologie dell'energia; disposizioni per l'interazione nel mercato delle energie trasportate via cavo o conduttura; determinazione dei livelli di tutela dell'ambiente nella produzione e nel consumo energetico. Nell'economia europea dalla metà degli anni 60 la principale fonte energetica è costituita dal petrolio. Nel 1973 la dipendenza dei paesi CE dal petrolio raggiunse il culmine, arrivando al 67% del consumo energetico totale, per stabilizzarsi al 45% alla fine degli anni 80. Oltre 4/5 del petrolio utilizzato nella CE devono essere importati da paesi terzi, percentuale destinata ad aumentare ulteriormente in un prossimo futuro, quando si esauriranno i campi petroliferi del Mare del Nord. Nel 1994 i 2/3 del petrolio importato provenivano da paesi dell'OPEC. Per il gas naturale i paesi della CE dipendono per oltre 1/3 dalle importazioni; dagli anni 80 il fornitore principale è la Russia. Le scorte di carbone sono relativamente abbondanti nell'Unione europea ma gli alti costi di estrazione rendono il prodotto scarsamente concorrenziale nei confronti del carbone di importazione, che mantiene i prezzi ad un livello inferiore. L'->Unione europea (UE) è autonoma esclusivamente per l'energia elettrica prodotta negli impianti idroelettrici o nucleari, che hanno fornito nel 1994 il 16% dell'energia totale utilizzata. Il problema principale della politica energetica è garantire la disponibilità di energia sicura, abbondante e a basso costo. La dipendenza dalle importazioni di petrolio provenienti dalla regione del Golfo, area di crisi politica mondiale, costituisce un grave fattore di rischio per il settore energetico. La politica energetica della EU deve pertanto vegliare prioritariamente a minimizzare tale rischio, conducendo L’EUROPA DALLA A ALLA Z segnatamente ricerche sulle energie alternative. Da qualche anno a questa parte, oltre ai tradizionali problemi di approvvigionamento, si fa sentire con urgenza sempre maggiore l'esigenza di determinare nuove priorità in campo energetico. Vanno citati i problemi specifici relativi all'energia nucleare (rischio di fall-out, problemi di società, smaltimento delle scorie) e, d'altra parte, i molteplici rischi per l'ambiente derivanti dall'uso di combustibili fossili (carbone, petrolio, gas), che hanno assunto una dimensione inquietante quando è risultato chiaro che l'aumento del biossido di carbonio nell'atmosfera poteva influire sulle condizioni climatiche (effetto serra). Si tratta di problemi comuni a tutti i paesi europei; di conseguenza si manifesta sempre più la tendenza ad affrontarli sul piano comunitario. Fonti di energia EUR 15 1995 (%) Produzione Petrolio 23% Consumo Lignite 12% Elettricità primaria 4% Gas 24% Lignite 13% Antracite 8% Nucleare 29% Totale: 690,6 Mio TEP (*) Antracite 4% Elettricità primaria 2% Petrolio 44% Nucleare 16% Gas 21% Totale 1.308,4 Mio TEP (*) (*) La tonnellata di equivalente petrolio (tep/toe) è un'unità standard per misurare i quantitativi di energia che corrisponde al contenuto energetico di una tonnellata di petrolio grezzo con un valore calorifico netto di 41 868 kjoules/kg. Evoluzione della politica energetica europea All'atto della costituzione della Comunità europea non era stata prevista una politica energetica comune. Il quadro istituzionale per il carbon fossile fu creato nel 1951, con la Comunità europea del carbone e dell'acciaio (CECA), quello per 89 90 l'energia atomica nel 1957, con la Comunità europea dell'energia atomica (CEEA, Euratom). Per le altre fonti energetiche era competente la Comunità economica europea (CEE) fondata nel 1957, che non aveva però attribuzioni specifiche in materia. Le speranze riposte nella CECA e nell'Euratom andarono deluse già dopo qualche anno, mentre la CEE otteneva invece risultati validi nei settori della gestione dell'energia e della politica di integrazione. Negli anni '60 l'importazione di grandi quantità di energia a basso prezzo da paesi extraeuropei contribuì considerevolmente alla crescita economica europea. La crisi petrolifera del 1973 (quadruplicazione del prezzo del greggio, minaccia di boicottaggio da parte dei paesi esportatori di petrolio del Medio Oriente) rese evidente per gli europei i pericoli insiti nella dipendenza dalle importazioni da paesi terzi per la copertura del fabbisogno energetico. Dopo il 1973 i governi europei si sforzarono in primo luogo di liberarsi dalla dipendenza dal petrolio grazie a programmi energetici nazionali (particolarmente la Francia con lo sviluppo massivo dell'energia atomica) oppure, di concerto con altri paesi industrializzati, di sviluppare una strategia comune nei confronti del cartello petroliero dell'OPEC. L'agenzia internazionale per l'energia (AIE) fondata nel 1974 nel quadro dell'OCSE, alla quale aderirono tutti i principali paesi industrializzati, stabilì la costituzione di scorte in comune per far fronte ad un'eventuale interruzione dell'approvvigionamento di greggio. In tale contesto la CE poteva svolgere solo un ruolo secondario nella politica energetica. Nel novembre 1983 il Consiglio dei ministri Energia attribuì per la prima volta alla Comunità le competenze per una politica europea dell'energia. Con la relazione «Mercato interno dell'energia» (maggio 1988), la Commissione fuse in un programma organico tutta una serie di progetti, alcuni dei quali già di vecchia data. Liberalizzando al massimo il mercato europeo dell'energia, intende dare impulso alla crescita congiunturale specialmente nei settori del gas e dell'elettricità, incrementare la flessibilità del sistema europeo di approvvigionamento energetico e smantellare gli ostacoli nazionali all'integrazione. La tutela dell'ambiente dovrà nel contempo diventare un elemento integrante della politica energetica. Il trattato che istituisce la Comunità europea (CE) ha sottolineato l'importanza di tali obiettivi senza però istituire nuove basi giuridiche per la politica energetica europea. Strumenti, procedura decisionale, singoli programmi Su base dei trattati, l'Unione europea dispone di tutta una serie di strumenti che le consentono di intervenire nella politica energetica degli Stati membri: regole di concorrenza e norme commerciali, contingenti, massimali di prezzi, standard tecnici e valori limite, facoltà di controllo e sistemi di informazione, aiuti finanziari ed fondi di investimento. Interventi diretti sono possibili in particolare nei settori del carbone e dell'acciaio. L'autonomia dell'Unione europea è ovviamente limitata dal fatto che gli Stati membri partecipano al processo decisionale. Il -> processo decisionale nell'ambito della politica energetica dell'UE rispecchia la disomogeneità che caratterizza il settore. In linea di massima la -> Commissione europea ha una posizione di forza nei settori regolati dai trattati CECA e CEEA (carbone, energia atomica), dove può agire direttamente ed autonomamente in qualità di autorità ispettiva sovranazionale o di rappresentante della Comunità nei confronti dei paesi terzi. A norma del diritto internazionale, per le energie disciplinate esclusivamente dal trattato CE (petrolio, gas ed elettricità), le competenze della Commissione si limitano alle disposizioni regolamentari quadro, prese di concerto con il -> Consiglio dell'Unione europea. Malgrado le competenze formali peraltro, il carattere sempre più politico di alcuni problemi energetici impone frequentemente una conciliazione di interessi nazionali lunga e complessa, che si articola in tutto il sistema istituzionale dell'UE. Il -> Consiglio europeo ha preso frequentemente posizione sui problemi della politica dell'energia fin dall'inizio degli anni 70. Anche il -> Parlamento europeo manifesta, dagli anni 80, un crescente interesse per la politica dell'energia, principalmente in correlazione con la tutela dell'ambiente e la protezione dei consumatori. Tradizionalmente, l'impegno dell'Unione europea per la promozione di nuove fonti energetiche si concentra sull'energia atomica (fissione e fusione nucleari). Parallelamente però vanno assumendo importanza sempre maggiore l'esigenza di misure di risparmio energetico, di tecnologie razionali e «pulite» e la ricerca nel campo delle energie rinnovabili (solare, eolica, geotermica). Il quarto programma quadro ricerca e sviluppo (1994-1998) prevede a tal fine una linea di bilancio di 2,256 miliardi di ecu. Nel dicembre 1994 il Consiglio europeo ha deciso un programma specifico relativo al finanziamento delle reti transeuropee di trasporto dell'energia, che prevede per esempio l'eliminazione degli accordi esclusivi in materia di elettricità e gas tra Stati membri e paesi esportatori. Il proliferare di provvedimenti, programmi e strumenti non deve però indurre in inganno: nel bilancio totale dell'Unione europea l'energia ha un ruolo marginale, riflesso della marginalità della politica energetica dell'UE nei confronti di quella degli Stati membri. Bilancio In una prospettiva di lungo periodo, il bilancio della politica energetica europea è positivo. L'obiettivo di un approvvigionamento in energia sicura, a costi contenuti e «pulita» è stato sostanzialmente conseguito nei decenni scorsi. Si tratta peraltro di un successo momentaneo. Dopo la realizzazione del mercato interno dovranno essere ridefinite e motivate alcune posizioni controverse nel settore della politica dell'energia, essenzialmente relative al ruolo dell'energia nucleare ed alle priorità alla tutela dell'ambiente. Il progetto di limitare le emissioni di gas ad effetto serra mediante una tassa europea sull'energia è fallito a causa degli interessi contrapposti dei paesi membri. La nuova apertura dell'Unione europea nei confronti dell'Europa centrale e orientale, la garanzia a lungo termine di un approvvigionamento di petrolio proveniente dal Medio Oriente ed i conflitti di interessi con quelli che soni i concorrenti diretti (gli altri paesi industrializzati ed i 91 92 paesi in via di sviluppo) sono germe di future sfide e potenziali conflitti che esulano dagli orizzonti della politica energetica europea in senso stretto. Per quanto concerne la cooperazione fra i paesi dell'Europa occidentale ed orientale, il trattato della Carta europea dell'energia, firmato nel dicembre 1994 da 45 Stati, contiene una serie di obiettivi comuni ed un codice di comportamento, che peraltro deve ancora essere verificato nella pratica. Erwin Häckel http://euro.eu.int/ Euro Base giuridica: Articoli da 102 A a 109 M del trattato CE (Unione economica e monetaria). Obiettivo: Introduzione dell'euro come moneta stabile dell'Unione europea Ai sensi del trattato sull'Unione europea, la fase finale di istituzione dell'->unione economica e monetaria (UEM) inizierà il 1 gennaio 1999. In questa fase si procederà all'introduzione progressiva di una moneta unica, l'euro, nei paesi che possiedono i requisiti prescritti per partecipare all'UEM. In origine, il trattato CE prevedeva che la nuova moneta si chiamasse ecu (European Currency Unit o unità monetaria europea). Da quando è stato instaurato il -> Sistema monetario europeo, l'ecu funge da unità di conto tra gli Stati membri. L'ecu è un paniere di monete, ovvero è formato dai valori ponderati delle monete dei vari Stati membri dell'Unione. Questo è il motivo per cui negli ultimi anni l'ecu ha perso valore rispetto alle valute più stabili. La nuova moneta non sarà invece una moneta paniere, il suo valore tenderà a orientarsi verso quello delle monete più stabili, senza contare che essa deve simboleggiare l'identità europea: ecco perché, nel dicembre 1995, i capi di Stato e di governo hanno concordato la denominazione euro. Questo nome ha il duplice vantaggio di essere breve e di poter essere scritto allo stesso modo in tutte le lingue dell'Unione. L'euro è suddiviso in cento centesimi. Sostituire le monete europee con l'euro è un'impresa ambiziosa. Per semplificare al massimo gli aspetti tecnici di questa transizione (per esempio le modifiche da apportare ai distributori automatici), in un primo tempo l'UEM comincia con la fissazione irrevocabile dei tassi di cambio tra le monete partecipanti. Ogni moneta nazionale diventa soltanto un'espressione della moneta comune. Conformemente al trattato, dopo l'avvio dell'UEM la politica monetaria verrà definita dalla Banca centrale europea. Questa istituzione è indipendente dal potere politico e si prefigge quale obiettivo principale la stabilità monetaria. Secondo le previsioni attuali, il conio di monete e la stampa di banconote in euro inizierà dopo che si sarà deciso quali saranno i paesi partecipanti, decisione che sarà presa nel corso del 1998. I tassi di cambio delle monete partecipanti verrà fissato irrevocabilmente, a decorrere dal 1 gennaio 1999 con decisione unanime 93 94 del Consiglio dei ministri dell'Economia e delle Finanze (il Consiglio «ECOFIN»). A quel momento la conversione in euro sarà obbligatoria solo per alcuni prestiti assunti dalle amministrazioni pubbliche. L'euro potrà però essere utilizzato nelle transazioni bancarie. La messa in circolazione di banconote e monete denominate euro inizierà il 1 gennaio 2002. Per un periodo massimo di sei mesi sarà ancora possibile usare parallelamente le monete nazionali, ma dal 1 luglio 2002 solo l'euro avrà corso legale nei paesi che partecipano all'UEM. Contrariamente ai timori che vengono talvolta espressi, l'introduzione dell'euro non equivale a una riforma monetaria, ma a un'operazione di conversione. Certo, tutti gli importi verranno espressi in un'altra valuta, ma ciò non modificherà in alcun modo il loro valore reale. Tutte le condizioni contrattuali - dai contratti di locazione fino ai crediti bancari - resteranno immutate per i contratti in corso. La novità consiste nel fatto che il compito di garantire la stabilità della moneta unica spetterà alla Banca centrale europea (BCE), che verrà istituita nel 1998. La struttura e il funzionamento di questo organismo ricalcheranno quelli della Deutsche Bundesbank (la banca federale tedesca), che ha dato ottimi risultati. Contrariamente però alle banche centrali nazionali, la BCE potrà impostare la propria politica monetaria in funzione della situazione complessiva nella zona euro. A tal fine essa disporrà degli strumenti monetari messi a punto dal suo predecessore, l'Istituto monetario europeo (IME). Questi strumenti non sono ancora definiti, ma i vari governatori delle banche centrali nazionali, riuniti nel consiglio dell'IME, hanno punti di vista relativamente vicini. Dopo l'istituzione della BCE, spetterà al suo consiglio prendere le decisioni in materia di politica e strumenti monetari, nonché scegliere la grafica dei biglietti. Complessivamente, prima di avviare l'UEM resta tutta una serie di aspetti tecnici da definire, quali una procedura di fissazione dei tassi di cambio alla data di conversione delle monete o la creazione di un quadro giuridico per la conversione in euro, per permettere che tutti gli operatori economici possano formulare le loro previsioni in piena cognizione di causa. Per convincere gli europei dell'utilità di una moneta unica, occorre, da un lato fornire loro informazioni complete, dall'altro badare a prendere le decisioni politiche nella massima trasparenza. L'accettazione da parte dei cittadini della loro nuova moneta è però solo una delle condizioni necessarie per il pieno successo dell'unione monetaria. Occorre anche fare in modo che, nel lungo periodo, l'euro si dimostri all'altezza di tutte le speranze che avrà destato. Olaf Hillenbrand 95 Euro: tutte le tappe per accedervi 1° luglio 1990 1° gennaio 1993 1° novembre 1993 Inizio della prima fase dell'unione economica e monetaria. Liberalizzazione totale dei movimenti di capitali nei paesi dell'Unione europea (salvo deroga provvisoria). Completamento del mercato interno. • Congelamento della composizione del paniere ecu. • Entrata in vigore del trattato sull'Unione europea firmato a Maastricht. Inizio della seconda fase dell'UEM. 15-16 dicembre 1995 31 dicembre 1996 (data limite) Consiglio europeo di Madrid • Adozione del nome «euro» per la moneta unica • Fissazione dello scenario tecnico d'introduzione dell'euro e del calendario per il passaggio alla moneta unica previsto nel 1999 (la fine di tale processo è prevista per il 2002). • Definizione da parte dell'IME del quadro regolamentare, organizzativo, logistico della Banca centrale europea (BCE) e del Sistema europeo di banche centrali (SEBC). • Preparazione, da parte della Commissione, del Consiglio e dell'IME, della normativa relativa alla BCE e al SEBC e all'introduzione della moneta unica. 1° gennaio 1999 A partire dal 1° gennaio 1999 Inizio della terza fase dell'UEM • Il SEBC definisce ed attua la politica monetaria unica in euro e conduce le operazioni di cambio nella stessa valuta. • Gli Stati membri effettuano in euro le nuove emissioni di titoli del debito pubblico. • Il Consiglio fissa in modo irrevocabile i tassi di conversione delle monete dei paesi partecipanti tra loro e rispetto all'euro. • L'euro diviene una moneta a pieno diritto ed il paniere ecu ufficiale cessa di esistere. • Entra in vigore il regolamento del Consiglio che definisce il quadro giuridico relativo all'introduzione dell'euro. 96 1° gennaio 1994 31 maggio 1995 • Istituzione dell'Istituto monetario europeo (IME) con sede a Francoforte. • Rafforzamento delle procedure di coordinamento delle politiche economiche a livello europeo. • Lotta contro I disavanzi eccessivi e politica di convergenza economica tra gli Stati membri. Adozione da parte della Commissione del libro verde sulla moneta unica (scenario di riferimento per il passaggio alla moneta unica). 1998 (il più presto possibile) Non appena possibile dopo tale decisione I capi di Stato o di governo decidono quali Stati membri parteciperanno per primi alla moneta unica, in funzione dei criteri di convergenza e in base ai risultati economici nel 1997. • Gli Stati membri nominano I responsabili della BCE. • La BCE e il Consiglio fissano la data d'introduzione delle banconote e delle monete metalliche in euro. • Il SEBC inizia a stampare banconote in euro. • Il Consiglio e gli Stati membri iniziano a coniare monete metalliche in euro. Fra il 1° gennaio 1999 ed il 1° gennaio 2002 al più tardi • Il SEBC cambia alla pari le valute applicando I tassi di cambio fisati in modo irrevocabile. • Il SEBC e le pubbliche autorità degli Stati membri sorvegliano il processo di passaggio alla moneta unica nel settore creditizio e finanziario; essi assistono inoltre tutti i settori econimici nella preparazione alla transizione verso la moneta unica. Entro il 1° gennaio 1999 Preparazione finale della BCE e del SEBC. • Il Consiglio adotta la normativa concernente la chiave di ripartizione per la sottoscrizione del capitale, la raccolta di informazioni statistiche, le riserve minime, la consultazione della BCE e le ammende e penalità di mora che possono essere inflitte alle imprese. • La BCE ed il SEBC si preparano alla fase operativa: istituzione della BCE, adozione del quadro regolamentare, sperimentazione della politica monetaria, ecc. Entro il 1° gennaio 2002 Entro il 1° luglio 2002 • Il SEBC immette progressivamente in circolazione le banconote in euro e ritira quelle in valuta nazionale. • Gli Stati membri immettono progressivamente in circolazione le banconote metalliche in euro e ritirano quelle in valuta nazionale. Fine della transizione verso l'euro per gli Stati membri partecipanti. ... Completamento del processo ... Europa dei cittadini Base giuridica: Nessun riferimento specifico nel trattato poiché l'espressione rinvia a un complesso di disposizioni attinenti a vari ambiti che incidono direttamente sulla vita dei cittadini; articoli 8 e da 8 A a 8 D del trattato CE (cittadinanza dell'Unione); articolo 3 B CE (sussidiarietà). Obiettivi: Libertà di stabilimento e di residenza; eliminazione degli effetti negativi del processo d'integrazione; creazione di un'immagine positiva; identificazione con l'Unione europea; incentivazione della mobilità. Strumenti: Strumenti adeguati ai vari settori politici; informazione del pubblico; programmi di sostegno. Il rapporto dei cittadini con -> l'Unione europea sfugge a facili semplificazioni: da un lato, infatti, si diffonde fra i cittadini un disagio sociale e psicologico di fronte a una cosiddetta superburocrazia remota, il cui operato sembra impossibile controllare e indirizzare in conformità dei propri interessi. D'altro lato, invece, la capacità di intervento dell'UE suscita grandi aspettative, che non sempre - al livello attualmente raggiunto dall'integrazione - possono essere soddisfatte, come dimostra chiaramente il conflitto nell'ex Iugoslavia. Astrazioni confuse e impersonalità delle istituzioni, difficoltà di attribuire a un soggetto istituzionale la responsabilità delle iniziative assunte a livello europeo, sono tutti fattori che contribuiscono ad aumentare nei cittadini tale sensazione di distanza, che sembra precludere qualsiasi possibilità di trovare una via nella «eurogiungla» . Stato d'animo attuale I dibattiti suscitati dal trattato sull'Unione europea (-> trattati) e la difficoltà di trovare punti di riferimento in un mondo non più marcato dal bipolarismo hanno raffreddato le aspettative suscitate dal processo di unificazione europea negli Stati membri dell'UE. Dopo una fase di grande impulso intorno alla metà degli anni 80, che può essere spiegata almeno parzialmente come conseguenza delle grandi campagne di informazione e di pubblicità organizzate nel quadro della realizzazione del mercato unico europeo ( -> mercato interno), nonché della situazione economica favorevole, all'inizio degli anni 90 tale tendenza ha cominciato a registrare un'inversione. Solo fra qualche anno, dopo uno studio accurato degli orientamenti rilevati nell'opinione pubblica, si potrà stabilire con certezza se tali dati riflettano effettivamente un rifiuto dell'idea dell'integrazione 97 L’EUROPA DALLA A ALLA Z 98 - e debbano costituire quindi un punto di partenza per nuovi sforzi in tal senso oppure se si tratti solo di un fatto congiunturale. In media, l'integrazione europea continua a godere del sostegno di oltre il 50% dei cittadini dell'Unione. In un primo periodo le iniziative a favore dell'integrazione riscossero il consenso delle élite, mentre nei cittadini suscitavano solo un appoggio piuttosto generico. Allo sviluppo di tale processo, però, si è accompagnato anche un aumento delle decisioni di ridistribuzione e del numero di cittadini direttamente interessati dai regolamenti europei. Con l'accumularsi di norme legislative di portata europea si è fatta più pressante l'esigenza di avere maggiori informazioni sulle decisioni adottate in tale contesto e di poter incidere su di esse. Alle istituzioni europee è stato riconosciuto lo status di centro di elaborazione politica. L'emergere di punti di vista e opinioni differenti nel dibattito politico ha stimolato nei cittadini un'analoga differenziazione in relazione all'integrazione europea. Tale processo rientra nella normale vita democratica e fa parte di quella cultura del dibattito democratico così necessaria per il formarsi di un'opinione pubblica informata e in cui la dimensione europea acquista sempre maggior spessore. CITTADINANZA DELL'UNIONE Quali benefici offre il trattato di Maastricht ai cittadini? Soprattutto nuovi diritti e nuove libertà derivanti dalla cittadinanza dell'Unione, che è attribuita automaticamente da tutti i cittadini degli Stati membri. Il diritto di risiedere in qualsiasi Stato dell'Unione è sostanzialmente migliorato. A partire dal 1994 i cittadini dell'Unione hanno diritto di votare e candidarsi alle elezioni del Parlamento europeo in qualsiasi paese dell'Unione essi risiedano. Anche alle elezioni comunali del paese di residenza diventa possibile votare e candidarsi. Nei paesi al di fuori dell'Unione europea, i cittadini dell'Unione possono chiedere l'assistenza diplomatica e consolare a qualsiasi Stato membro dell'UE se il loro paese non ha una rappresentanza in tale Stato. Il diritto a presentare petizioni al Parlamento europeo e a rivolgersi al mediatore europeo sono sanciti dal trattato. L'Unione europea deve rispettare i diritti fondamentali e umani garantiti dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e derivanti dalle tradizioni costituzionali comuni a tutti gli Stati membri. . Unificazione europea: fin dall'inizio a favore dei cittadini È caratteristica della storia dell'unificazione europea la ricerca degli strumenti e dei meccanismi più efficaci per garantire una coesistenza pacifica fra gli Stati e fra coloro che vi vivono, soprattutto nelle situazioni in cui interessi contrastanti entrano in conflitto. Proprio l'idea di un'Europa dei cittadini ha dato impulso alla fondazione della Comunità europea. La visione spesso riduttiva secondo cui la CEE sarebbe stata creata essenzialmente per favorire l'economia trascura il fatto che l'obiettivo primario è sempre stato il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei cittadini. Una volta completate le prime fasi dell'integrazione ci si impegnò per codificare gli sforzi compiuti in vista della realizzazione di un'Europa dei cittadini. Come tappe fondamentali di questo processo ricordiamo la relazione Tindemans (1974), l'introduzione dell'elezione diretta del -> Parlamento europeo (1979), il comitato Adonnino per la preparazione dell'Atto unico europeo, numerosi programmi per la promozione della mobilità e degli scambi, la cittadinanza dell'Unione prevista dal trattato di Maastricht e tutta una complessa regolamentazione volta a garantire ai cittadini un particolare livello di tutela (tutela della salute, tutela dei consumatori, ecc.). Disposizioni specifiche nel quadro della cittadinanza dell'Unione Il rapporto fra i cittadini e l'Unione europea rispecchia un processo di reciproca influenza, come dimostra la produzione normativa in cui tale rapporto si sostanzia. La libera circolazione delle persone e il diritto di stabilimento e di residenza sono stati introdotti, al più tardi, con il completamento del mercato interno (benché esso non possa ancora considerarsi ultimato). Per quanto riguarda il tema «Europa dei cittadini», il trattato di Maastricht (TUE), oltre a dare una sistemazione razionale alle disposizioni vigenti, ha introdotto alcune novità. Esso specifica infatti i diritti di cui devono godere i cittadini dell'Unione: il diritto di soggiornare liberamente dove si desidera (articolo 8 A CE), l'esercizio del diritto di voto attivo e passivo per il Parlamento europeo (PE) e a livello locale, indipendentemente dalla località di residenza (articolo 8 B CE), il diritto alla tutela diplomatica e consolare in un paese terzo da parte di un altro Stato membro dell'UE se il proprio Stato non vi è rappresentato (articolo 8 C CE), il diritto di petizione al Parlamento europeo in relazione agli atti della Comunità (articolo 8 D CE), la possibilità di presentare denunce a un difensore civico (il «mediatore») nominato dal PE in relazione agli atti amministrativi della Comunità (articolo 138 E CE). Per la prima volta, inoltre, vengono citati nel TUE i partiti, i quali, fra gli altri compiti, hanno quello di contribuire alla formazione di una coscienza europea (articolo 138 A CE). L'introduzione dell'idea di cittadinanza dell'Unione nel trattato sull'Unione europea è espressione del tentativo di creare un legame più diretto fra i cittadini e l'Unione, che spesso resta per loro solo un concetto astratto. Per essere cittadini dell'Unione è necessario essere cittadini di uno Stato membro. È interessante notare, tuttavia, che nel trattato si menzionano solo i diritti derivanti dalla cittadinanza dell'Unione e non i doveri ad essa connessi. 99 100 A questa stessa esigenza di avvicinare l'Unione europea ai cittadini risponde anche il principio di sussidiarietà, introdotto dal trattato di Maastricht (articolo 3 B del trattato CE, nuovo testo). Bilancio: il problema della legittimazione democratica Quando non tiene conto del benessere dei cittadini la politica è priva di qualsiasi legittimazione. D'altra parte, è estremamente difficile che da un processo politico che coinvolge un gran numero di cittadini e che riflette le diversità geografiche e culturali possano scaturire strutture che consentano l'accesso diretto dei cittadini. Inizialmente, il sistema politico dell'Unione europea si basava sugli Stati membri, che ne costituivano gli organi decisionali. Quando, soprattutto negli anni '80 e '90, l'integrazione ha cominciato a registrare importanti progressi tanto sul piano della sua incidenza quanto delle sfere da essa toccate, si è assistito a uno spostamento del potere decisionale verso il Parlamento europeo e nel dibattito sul trattato di Maastricht fu principalmente contro il «deficit di legittimazione» che si appuntarono le critiche. Fino ad oggi le decisioni sulla politica europea hanno avuto una duplice fonte di legittimazione: il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali. Dal 1979 il Parlamento europeo viene eletto direttamente dai cittadini dell'UE, ma nel procedimento di formazione della legislazione europea i poteri di cui gode sono ancora limitati. I suoi membri, inoltre, vengono scelti sulla base di simboli nazionali e le scelte elettorali sono determinate da motivazioni nazionali. Gravi difficoltà - determinate se non altro dai calendari delle sedute plenarie e di quelle delle commissioni - si riscontrano infine nell'organizzare i contatti fra i deputati e la loro circoscrizione elettorale, nonché i rapporti reciproci fra i funzionai di partito europei e gli organi decisionali nazionali. In molti casi, la politica dell'Unione europea è ancora dominata dal -> Consiglio dell'Unione europea, che costituisce la seconda fonte di legittimazione politica. Con l'aumento dei settori in cui le decisioni a maggioranza vengono adottate a livello del Consiglio - consentendo quindi di mettere in minoranza con il voto i rappresentanti degli Stati membri - e il rafforzamento dei poteri di codecisione riconosciuti al Parlamento europeo, il problema della legittimazione politica dell'azione comunitaria ( -> procedure decisionali) è divenuto più urgente. Le modalità per migliorare l'influenza dei rappresentanti nazionali eletti sulla legislazione comunitaria e il rafforzamento del Parlamento europeo saranno temi di discussione della conferenza intergovernativa (->) del 1996 sulla revisione del TUE. Il controllo sul potere politico europeo deve essere garantito - almeno finché non interverranno novità di rilievo - da questi pilastri legittimatori. La conferenza intergovernativa del 1996 dovrà impegnarsi proprio per creare un miglior equilibrio fra i vari pilastri che garantiscono la legittimità. L'Unione europea sta attraversando una fase di transizione. Al Parlamento europeo mancano ancora, sul piano legislativo, i poteri necessari per rappresentare un'effettiva fonte di legittimazione diretta, mentre i parlamenti nazionali possono rivestire questo ruolo solo in forma indiretta. Non si deve inoltre dimenticare uno dei principi supremi degli ordinamenti democratici (ribadito dalla Corte costituzionale tedesca a proposito di Maastricht), vale a dire che spetta in definitiva al popolo definire i doveri ed esercitare i poteri dello Stato. Proprio tenendo presente tutto ciò, ai tentativi di rafforzare i poteri del Parlamento europeo si oppone talvolta l'argomento che non esiste ancora un popolo europeo. Prospettive: i cittadini sono ancora al centro dell'unificazione Come abbiamo detto, il trattato di Maastricht ha stimolato il dibattito sui rapporti fra l'Unione europea e i suoi cittadini; attualmente la discussione si concentra su tre aspetti: 1. le modalità per rendere il sistema decisionale dell'Unione europea più chiaro, più comprensibile e quindi più trasparente per i cittadini. È necessario infatti rendere la politica europea meno impersonale e razionalizzare la ripartizione delle responsabilità a livello nazionale o europeo; 2. l'opportunità di inserire in una costituzione o in un documento analogo un elenco dei diritti fondamentali che fornisca ai cittadini talune garanzie; 3. l'esigenza di migliorare la qualità dell'informazione fornita dalle istituzioni europee. Il progresso costante dell'integrazione, la penetrazione della politica europea nella vita quotidiana dei cittadini, la differenziazione del processo di integrazione, infatti, impongono anche un approccio diversificato all'informazione. Melanie Piepenschneider 101 102 Europa delle donne Base giuridica: Articolo 119 CE; articoli 2 e 6 del trattato CE (politica sociale); varie decisioni della Corte di giustizia europea. Obiettivi: Pari opportunità per uomini e donne nella vita sociale, professionale e politica; assistenza alle donne svantaggiate; misure volte a stimolare la consapevolezza. Strumenti: Commissione del Parlamento europeo per diritti della donna; unità della Commissione per la parità di opportunità fra donne e uomini; comitato consultivo sulle pari opportunità; servizio informazione donne della Commissione europea. Nei trattati che istituiscono -> l'Unione europea la politica a favore delle donne in quanto tale non trova alcun esplicito riconoscimento. Fin dalla sua istituzione nel 1957, tuttavia, la Comunità economica europea ha dato vita a varie iniziative che in qualche modo hanno inciso sui diritti delle donne. In tali iniziative si possono individuare due orientamenti: da un lato, l'inserimento di elementi di politica sociale nelle disposizioni di politica economica al fine di eliminare, nel mercato comune, la discriminazione a danno delle donne, dall'altro, l'adozione di misure volte ad attenuare le conseguenze della crisi strutturale del mercato del lavoro. Oltre a ciò, si deve tenere conto anche della trasformazione del ruolo sociale della donna: è innegabile, infatti, che nel corso degli anni sono aumentate le sfere di attività in cui le donne sono presenti e le pressioni cui sono sottoposte, mentre le loro esigenze personali sono mutate. La vita professionale delle donne, tuttavia, non può essere confrontata a quella degli uomini perché le scelte delle donne continuano, ancora oggi, ad essere determinate dalla dialettica fra vita familiare e vita professionale. L'inizio: l'articolo 119 del trattato CEE Il tema l'Europa delle donne veniva affrontato indirettamente già nel trattato di Roma. In particolare, nell'articolo 119 del trattato CEE - oggi CE - veniva definito l'obbligo degli Stati membri di garantire la parità di retribuzione fra uomini e donne per uno stesso lavoro. Con i progressi dell'integrazione europea il principio della parità di retribuzione per uno stesso lavoro è diventato il punto di partenza per ulteriori riflessioni sulle pari opportunità e sull'eliminazione delle forme di discriminazione indiretta a danno delle donne Negli anni '70, di fronte al mancato rispetto da parte di alcuni Stati membri dell'articolo 119 CEE, la Commissione reagì con una serie di proposte di direttive. La -> Corte di giustizia delle Comunità europee, da parte sua, si è dimostrata, grazie all'interpretazione estensiva data all'articolo citato e alla coerente applicazione di tali direttive CE, la forza trainante nella concretizzazione dell'idea delle pari opportunità. Al -> Consiglio europeo di Maastricht nel 1991, inoltre, è stato firmato un accordo in materia di -> politica sociale che, dall'entrata in vigore del trattato sull'Unione europea, disciplina la questione della parità fra uomini e donne per quanto riguarda le loro opportunità sul mercato del lavoro e il trattamento sul lavoro (articolo 2 dell'accordo sulla politica sociale). L'articolo 6 dell'accordo sulla politica sociale garantisce l'applicazione del principio della parità di retribuzione senza discriminazione fondata sul sesso, pur lasciando agli Stati membri la facoltà di mantenere o adottare misure che prevedano vantaggi specifici a favore delle donne (discriminazione positiva). Nel libro bianco sulla politica sociale europea (1994) la -> Commissione europea, tenendo conto dei problemi strutturali del mercato del lavoro, ha formulato una serie di proposte dirette ad aiutare le donne a conciliare vita professionale e vita familiare. In tale documento si suggerisce fra l'altro di pubblicare, a partire dal 1996, una relazione annuale sull'uguaglianza intesa come una sorta di strumento di controllo dell'attuazione della politica in esame. Il lavoro delle istituzioni dell'UE Il problema della «situazione femminile in Europa» ha fornito lo stimolo per la costituzione della prima commissione d'inchiesta nella storia del -> Parlamento europeo. Dal 1984 la commissione è denominata «commissione per i diritti della donna» e si occupa di pubblicare relazioni, tenere udienze e sostenere gli interessi delle donne nelle consultazioni sul bilancio dell'UE e prende posizione su diversi temi che riguardano direttamente o indirettamente le donne. Nella Commissione europea è stata creata un'unità per la parità delle opportunità fra donne e uomini nell'ambito della direzione generale V (Occupazione, relazioni industriali e affari sociali). L'unità, che ha il compito di controllare l'applicazione delle direttive CE da parte degli Stati membri, fornisce un sostegno alle donne e prepara le misure che hanno un impatto sulla situazione femminile in campi quali la formazione professionale, l'adeguamento alle nuove tecnologie, la costituzione di società gestite da donne, l'istruzione delle ragazze e altre ancora. Nel frattempo è nata una serie di reti di esperti indipendenti che si occupano di sostegno all'occupazione. Nel 1982, inoltre, è stato costituito il comitato consultivo per l'uguaglianza delle possibilità tra le donne e gli uomini che si riunisce regolarmente e ha il compito di coordinare le misure dei singoli Stati e di sostenere la politica della Commissione, e dal 1988 esiste anche un Consiglio dei ministri informale sulla condizione della donna, che promuove e mira a stimolare un maggiore impegno a livello europeo a sostegno di misure che favoriscono una migliore conciliabilità fra vita professionale e vita familiare. 103 104 Le sfide future Sempre più spesso i problemi strutturali del mercato europeo del lavoro colpiscono in modo particolarmente grave le donne. In questo contesto, le riflessioni su nuovi modelli di lavoro e su una riduzione degli orari lavorativi nel quadro di una generale ridistribuzione del lavoro possono aprire la via a due sviluppi contrastanti: da un lato, la riduzione delle ore di lavoro e dunque dei salari reali può indurre un numero più elevato di donne a cercare lavoro e contribuire così al bilancio familiare; dall'altro, quando la risorsa lavoro scarseggia, le donne vengono escluse dal mercato del lavoro prima degli uomini oppure costrette in misura maggiore ad accettare lavori a tempo parziale e «condizioni di impiego atipiche» come impieghi ausiliari a tempo determinato. Di fronte all'aumento del numero di famiglie composte da un solo membro o con un solo genitore, si impongono misure di tutela specifiche, in particolare per quanto riguarda i regimi pensionistici che non devono tutelare solo le persone impiegate a tempo pieno. Fino ad ora, non solo le numerose iniziative del Parlamento europeo, ma anche le direttive proposte dalla Commissione europea in materia sono rimaste lettera morta per motivi strutturali o di contenuto. Dai nuovi membri dell'Unione europea, e in particolare dalla Svezia, si aspettano nuove proposte e un nuovo slancio al dibattito. Anche la modernizzazione, nell'Europa occidentale come in quella orientale, pone nuove sfide: lo sviluppo tecnologico procede a ritmo sempre più veloce, le competenze e le conoscenze specialistiche risultano superate in breve volgere di tempo. Le conseguenze sono gravi soprattutto per le donne: per far fronte a queste sfide, infatti, è necessario integrare costantemente la formazione di base con nuove qualifiche, ma, nel contesto della tradizionale divisione dei compiti fra uomo e donna nella vita professionale e familiare che tuttora caratterizza la nostra struttura sociale, risulta estremamente difficile soddisfare questa esigenza. Conclusione Fino ad oggi si possono individuare quattro fasi nello sviluppo delle iniziative dell'Unione europea a favore delle donne. In primo luogo, si è fissato l'obbligo sociale e politico degli Stati membri di garantire lo stesso trattamento a uomini e donne in materia di retribuzione. In secondo luogo, il principio della parità è stato esteso anche ad altre sfere politiche, quali la politica dell'occupazione, dell'istruzione e della famiglia, e in tale contesto è stata resa vincolante una serie di norme a tutela dell'occupazione. In terzo luogo, da oggetto delle decisioni politiche le donne ne sono diventate il soggetto; oggi non si adottano più regolamenti per le donne, al contrario, queste sono ormai forze attive nel processo politico e il numero crescente di donne presenti in Parlamento è una manifestazione di questa nuova tendenza, benché proprio sotto questo aspetto il cammino da percorrere sia ancora lungo. In quarto luogo, in conseguenza dei problemi strutturali del mercato del lavoro, le questioni connesse alla ripartizione del lavoro e agli orari di lavoro non vengono più discusse esclusivamente nel quadro della politica sociale ma anche nell'ambito della politica dell'occupazione. Questo nuovo approccio trova espressione in alcuni passi del -> libro bianco «Crescita, competitività e occupazione» della Commissione europea, benché poco spazio vi sia dedicato alle questioni specificamente connesse alle politiche femminili. Numerosi problemi, tuttavia, sono ancora in attesa di soluzione. Per cominciare, resta molto da fare per stimolare la consapevolezza sulle possibilità, i diritti e le prospettive il relazione al mercato del lavoro, nonché sulle qualifiche necessarie per il futuro e le opportunità di formazione permanente. Fino ad oggi, infatti, l'informazione si è rivolta per lo più alla donne lavoratrici, ma proprio da una diffusa consapevolezza dell'esigenza di sviluppare tali politiche dipende la qualità della normativa per il miglioramento della situazione femminile. È infatti essenziale che tali questioni non vengano relegate al rango di aspetti collaterali della politica sociale e dell'occupazione, bensì che venga loro riconosciuto un valore intrinseco. A questo scopo potrebbe essere opportuno inserire il principio dell'uguaglianza in un catalogo dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Oltre a ciò, guadagna terreno l'impressione che, fino ad oggi, le misure adottate dall'Unione europea nel campo della politica femminile abbiano avuto scarsa incidenza sullo sviluppo della situazione occupazionale e delle prospettive di lavoro delle donne. Sotto questo profilo si impone un riesame delle disposizioni dell'UE e della loro attuazione negli Stati membri, nonché delle strutture oggi operanti per la tutela degli interessi della donna. Melanie Piepenschneider 105 http://europa.eu.int/en/agenda/europol.html 106 Europol Articoli del trattato: Articolo K.1 punto 9 TUE; convenzione Europol. Membri e sede: Tutti gli Stati dell'UE; L'Aia (Paesi Bassi). Organi: Consiglio di amministrazione, direttore, autorità di controllo comune per la protezione dei dati, controllore finanziario, comitato finanziario. Europol è l'Ufficio europeo di polizia previsto dal trattato sull'Unione europea del 7 febbraio 1992; è un organo sovrannazionale istituito in ambito intergovernativo. Prima che venisse ratificata la convenzione che ha dato vita a Europol operava già all'Aia una «Unità droghe Europol» dove gli ufficiali di collegamento degli Stati dell'UE disponevano di un accesso diretto agli archivi di lavoro e a informazioni sulle indagini in corso nei rispettivi Stati di appartenenza e si scambiavano nell'osservanza di certe condizioni - informazioni relative alle persone coinvolte nel traffico di droga. L'Unità droghe aveva già colto una serie di successi contribuendo attivamente alla soluzione di alcuni grossi casi di criminalità internazionale, in particolare coordinando i cosiddetti carichi controllati (ossia mantenendo segretamente sotto stretta sorveglianza i trasporti di stupefacenti fino alla loro consegna agli spacciatori, e sequestrandoli al momento più opportuno). Le richieste d'informazione inoltrate dalle autorità nazionali sono in costante crescita; nel 1995 le richieste che hanno ricevuto risposta sono state 2.000. L'analisi dei fenomeni criminosi si concreta principalmente nella raccolta di statistiche, nella ricerca dei prezzi di spaccio degli stupefacenti e nell'identificazione delle nuove piste seguite dagli spacciatori. Il 10 marzo 1995 un'azione comune del Consiglio ampliò le competenze dell'Unità droghe al traffico illegale di sostanze radioattive e nucleari, all'immigrazione clandestina e al traffico di autoveicoli rubati; per il 1996 era previsto l'allargamento delle competenze alla tratta degli esseri umani. La convenzione Europol è stata firmata dagli Stati membri il 26 luglio 1995 (Gazzetta ufficiale C 316 del 27 novembre 1995). In un protocollo interpretativo, anch'esso firmato dagli Stati membri, alla -> Corte di giustizia delle Comunità europee veniva attribuita la competenza a pronunciarsi in via pregiudiziale sull'interpretazione della convenzione stessa. L'Europol ha lo scopo di rendere più efficace la cooperazione delle autorità nazionali nella prevenzione e nella lotta contro le forme più gravi di criminalità internazionale; la sua azione si esplica nell'ambito della cooperazione fra gli Stati membri istituita all'articolo K.1, punto 9, del TUE. In un primo tempo sono di sua competenza: il traffico illecito di stupefacenti, il traffico di sostanze nucleari e radioattive, l'immigrazione clandestina, la tratta degli esseri umani e il traffico di autoveicoli rubati. Entro due anni dall'entrata in vigore della convenzione l'Europol dovrà anche occuparsi di terrorismo e di riciclaggio di fondi illeciti connessi a queste forme di criminalità. Il Consiglio, deliberando all'unanimità, può incaricare Europol di occuparsi di altre forme di criminalità elencate nell'allegato alla convenzione. Nell'ambito di queste finalità istituzionali Europol ha il compito di agevolare lo scambio d'informazioni tra gli Stati membri, raccogliere informazioni, collazionarle e analizzarle, il compito di trasmettere alle autorità competenti di ogni Stato membro - tramite le unità nazionali specializzate - tutte le informazioni che le riguardano in modo da contribuire alle indagini in corso negli Stati membri) e infine, di gestire sistemi informatizzati di raccolta dati. Questi ultimi sono di due tipi. Il primo è un sistema informativo contenente dati su persone condannate per reati di competenza dell'Europol o che siano comunque sospettate di aver commesso o partecipato a tali reati (queste banche dati devono essere parimenti accessibili all'Europol, alle unità nazionali e agli ufficiali di collegamento distaccati presso Europol). L'altro sistema d'informazioni gestito da Europol consiste in archivi di lavoro per fini di analisi, che possono talora contenere i cosiddetti «soft data» (cioè dati non particolarmente protetti) e dati relativi a persone che potrebbero intervenire come testimoni nel corso di indagini e a persone che sono state o potrebbero essere vittime di certi reati. Altri atti collegati alla convenzione e che sono necessari per il funzionamento di Europol sono il regolamento finanziario e lo statuto relativo ai diritti e agli obblighi degli ufficiali di collegamento. Sotto il profilo giuridico e politico assumono particolare rilevanza le disposizioni di applicazione per gli archivi di lavoro e lo Statuto del personale. L'Europol ha personalità giuridica. I suoi organi sono: 1) il consiglio di amministrazione che, di norma, prende tutte le decisioni più importanti al di fuori dell'ambito strettamente tecnico; è formato da un rappresentante di ogni Stato dell'UE e le sue decisioni sono prese a maggioranza di due terzi salvo che sia altrimenti disposto; 2) il direttore, che è nominato con decisione unanime del Consiglio, sentito il consiglio di amministrazione per quattro anni rinnovabili una sola volta; il direttore è responsabile, tra l'altro, dell'esecuzione dei compiti assegnati a Europol e dell'amministrazione; può essere dimissionato (e con lui i due vicedirettori) con decisione del Consiglio presa a maggioranza di due terzi; 3) l'autorità di controllo comune che deve garantire un'adeguata protezione dei dati; 4) il controllore finanziario; 5) il comitato finanziario. 107 108 L'Europol non deve essere confuso con l'Interpol (International Criminal Police Organization) che è un'organizzazione alla quale collaborano attualmente le forze di polizia di 177 paesi e che ha sede a Lione (Francia). A differenza dell'Europol, Interpol non si ricollega a nessun particolare raggruppamento di Stati ma è un'organizzazione a vocazione mondiale. Reinhard Rupprecht http://europa.eu.int/pol/educ/en/info.htm Gioventù e istruzione Basi giuridiche: Articolo 3 p), articolo 126, e articolo 127 del trattato CE, singole azioni anche in forza dell'articolo 235 del trattato CE. Obiettivi: Contributo della CE allo sviluppo di un'istruzione di alto livello qualitativo; sviluppo di una dimensione europea nel campo dell'istruzione; promozione della mobilità di studenti e docenti, del riconoscimento accademico di diplomi e periodi di studio, della cooperazione tra istituzioni dell'istruzione, degli scambi tra giovani, dello sviluppo dell'insegnamento a distanza; promozione e perfezionamento della formazione professionale di base, della formazione permanente e della riqualificazione; promozione e sviluppo della cooperazione tra istituzioni dell'istruzione negli Stati membri. Strumenti: Decisioni (in base alla procedura dell'articolo 189 B o 189 C del trattato CE) relative al varo di programmi d'azione, direttive del Consiglio, risoluzioni del Parlamento europeo o del Consiglio, comunicazioni, libri verdi o libri bianchi della Commissione europea. Bilancio: In generale la linea di bilancio B 3-1, bilancio CE 1996: 418 milioni di ecu (circa lo 0,9% del bilancio totale); se del caso, anche altre risorse di bilancio (ad esempio il Fondo sociale europeo). Bibliografia: libro bianco della Commissione europea «Insegnare e apprendere: verso la società conoscitiva», COM(95) 590 def. del 29.11.1995. Con il trattato sull'Unione europea (TUE) i programmi e le iniziative della CE nel campo della formazione professionale e della politica dell'istruzione generale sin dalla fondazione della CECA hanno subito una riorganizzazione. Il nuovo articolo 127 definisce le finalità del mandato affidato al Consiglio dall'articolo 128 (inserito nel trattato CE dall'AUE), che lo incarica di varare le linee generali per l'attuazione di una politica comune nel campo della formazione professionale. Allo scopo di definire i contenuti della politica in materia di formazione personale, il TUE ha inserito nel trattato CE anche un nuovo articolo 126, che offre un fondamento giuridico alle attività comunitarie nei settori dell'istruzione generale, scolastica, universitaria, dell'istruzione extrascolastica non professionale e alla politica per la gioventù. Nel quadro di tali attività d'istruzione non finalizzate alla formazione professionale, la Comunità punta a un alto profilo qualitativo 109 110 dell'istruzione; allo sviluppo di una dimensione europea nel campo dell'istruzione, segnatamente attraverso la diffusione e l'insegnamento delle lingue degli Stati membri; al miglioramento della mobilità di docenti e studenti attraverso i programmi di scambio ed il riconoscimento reciproco di diplomi e titoli di studio; alla cooperazione tra gli istituti d'insegnamento; a programmi di scambi fra giovani ed alla formazione a distanza. Nel campo della politica di formazione professionale gli sforzi comunitari di norma si concentrano sull'adeguamento ai mutamenti industriali, con particolare attenzione al miglioramento delle opportunità di occupazione attraverso la promozione della formazione professionale iniziale, della formazione continua e della riqualificazione, sul rafforzamento della mobilità delle persone in formazione e degli istruttori nonché sulla cooperazione tra istituti di formazione e imprese. La portata delle misure basate sugli articoli 126 e 127 del trattato CE è limitata dal fatto che i programmi d'insegnamento e la configurazione dei sistemi d'istruzione nazionali rimangono di competenza esclusiva degli agli Stati membri. Questa barriera alla politica d'istruzione comunitaria restringe notevolmente il potere delle istituzioni comunitarie di dar vita ad iniziative in questo settore. Infatti né l'articolo 126, né l'articolo 127 del trattato CE affidano alla Comunità il compito di armonizzare le politiche d'istruzione degli Stati membri. I provvedimenti nel campo della politica della gioventù e dell'istruzione sono decisi dal Consiglio che delibera a maggioranza qualificata. La base giuridica per la politica generale dell'istruzione e della gioventù è l'articolo 189B del trattato CE, quella della politica di formazione professionale è l'articolo 189C. Attuazione della politica della gioventù e dell'istruzione Nel 1994 e nel 1995 le attività della CE nel campo della politica della gioventù e dell'istruzione hanno portato a una revisione sostanziale dei programmi comunitari esistenti: il programma Socrates (dotazione di bilancio: 850 milioni di ecu fino al 1999) raggruppa ormai anche le precedenti azioni di formazione nel settore universitario Erasmus, Lingua, Eurydice, NARIC e ARION, e vi aggiunge il programma Comenius - incentrato sul settore scolastico - nonché azioni relative all'insegnamento a distanza e alla dimensione europea della formazione per adulti. Il programma di scambio Gioventù per l'Europa III (dotazione: 126 milioni di ecu fino al 1999) prosegue le precedenti azioni in materia. Infine il programma Leonardo da Vinci (dotazione: 620 milioni di ecu fino al 1999) comprende le azioni comunitarie in materia di formazione professionale, Comett, FORCE, PETRA, Eurotecnet e IRIS. Tutti e tre i programmi sono fondamentali per la strategia degli organi comunitari, che oltre a garantire un accesso equo e universale all'istruzione generale o professionale punta non solo a sviluppare standard d'istruzione di alto livello e concorrenziali su scala mondiale, ma anche a prevenire l'esclusione sociale, affiancando agli strumenti d'azione comunitari in materia di politica dell'istruzione quelli relativi all'occupazione. In questo contesto il Consiglio, sulla base delle conclusioni del -> Consiglio europeo di Cannes (giugno 1995) ha varato una risoluzione sulla risposta dei sistemi scolastici ai problemi del razzismo e della xenofobia. In occasione dell'«Anno europeo dell'istruzione e della formazione lungo tutto l'arco della vita 1996», proclamato dal Parlamento e dal Consiglio, la Commissione europea ha pubblicato un libro bianco dal titolo «Insegnare e apprendere: verso la società conoscitiva», il quale, oltre a contenere orientamenti per la lotta contro la disoccupazione giovanile e per l'integrazione e la formazione permanente di giovani e adulti nella vita lavorativa, lancia alcune proposte per la loro pratica realizzazione. La strategia della Commissione europea nel settore dell'istruzione tende sempre più a sensibilizzare i cittadini dell'Unione e il sistema educativo alla necessità di apprendere nuove lingue e nuove cognizioni, di ampliare il bagaglio delle nozioni, competenze e qualifiche individuali, ed anche alla necessità di precostituire nuovi procedimenti di convalida e accreditamento delle conoscenze. Inoltre il piano d'azione «Apprendere nella società dell'informazione» formula una serie di capisaldi programmatici per promuovere il collegamento delle scuole primarie e secondarie nella CE attraverso reti elettroniche, in modo da intensificare la diffusione di forme e strumenti di insegnamento multimediali. Valutazione e prospettive Nel complesso, la nuova strategia programmatica e d'azione della CE nel settore dell'istruzione e della gioventù riceve delle valutazioni positive. Tuttavia non vanno sottovalutate le preoccupazioni manifestatesi all'interno di alcune istituzioni dell'insegnamento, le quali temono l'influenza diretta, a loro parere eccessiva, esercitata dalla Commissione europea sugli aspetti programmatici e organizzativi dell'istruzione. Da parte sua, nel valutare e analizzare i nuovi programmi d'istruzione da essa lanciati, la Commissione europea, nel libro verde «Istruzione, formazione, ricerca», elenca una serie di ostacoli, in parte gravosi, all'attuazione della mobilità transnazionale di studenti e docenti. Accenniamo qui ai problemi relativi allo status giuridico dei tirocinanti, agli ostacoli di ordine fiscale e contributivo gravanti sulle borse di ricerca, al fatto che gli aiuti alla formazione sono legati all'espletamento della formazione nel paese che concede gli aiuti nonché alle permanenti carenze nel riconoscimento delle qualifiche di studio ottenute all'estero. In considerazione delle molteplici sfere di competenza e dei molteplici interessi in gioco negli Stati membri, l'eliminazione di tali barriere potrà avvenire solo in maniera graduale. Andreas Maurer 111 112 Giustizia e affari interni Base giuridica: Articoli 7 A, da 8 a 8C e 100 del trattato CE; articoli da K.1 a K.9 TUE. Obiettivi: Estensione della cittadinanza dell'UE, circolazione senza controlli attraverso le frontiere interne dell'UE; miglioramento della cooperazione degli Stati firmatari dell'accordo di Schengen e degli Stati dell'UE nelle questioni inerenti la giustizia e gli affari interni, compresa la creazione di istituzioni comuni. Nel 1985, nel villaggio lussemburghese di Schengen, in prossimità del punto in cui si incontrano le frontiere di Germania, Francia e Lussemburgo (il Dreiländereck), questi tre Stati, il Belgio e i Paesi Bassi firmarono un accordo sulla progressiva soppressione dei controlli sulle persone alle loro frontiere comuni. In una successiva convenzione del 14 giugno 1990 (la convenzione sull'applicazione dell'accordo di Schengen) furono concordate alcune misure intese a compensare la minore sicurezza conseguente all'abolizione dei controlli alle frontiere. Queste misure sono le seguenti: • un sistema comune automatizzato di ricerca, lo Schengen Information System (SIS), che consente agli Stati membri di costituire e gestire, secondo precisi criteri, delle banche dati relative a persone e a determinati oggetti (armi da fuoco, documenti in bianco, documenti d'identità, banconote registrate, autoveicoli rubati, ecc.). Le forze di polizia degli altri Stati membri possono consultare questi archivi unitamente alle informazioni contenute nelle banche dati nazionali; un'unità centrale di supporto tecnico con sede a Strasburgo ne cura il costante aggiornamento; • controlli intensi e per quanto possibile uniformi a tutti i punti di passaggio delle frontiere esterne degli Stati di Schengen (e, se possibile, anche di quelle della -> Unione europea); • intensificata cooperazione tra le forze di polizia all'interno dei confini degli Stati firmatari attraverso la creazione di una struttura di comunicazione, esercitazioni comuni, vigilanza transfrontaliera e diritto di inseguire oltre frontiera gli autori dei reati; • obbligo di fornire agli altri Stati membri tutte le informazioni utili alla prevenzione e al contrasto del crimine; • maggiore cooperazione nella lotta al traffico di stupefacenti e alla connessa criminalità; • armonizzazione delle normative sul possesso delle armi da fuoco negli Stati membri di Schengen. La giustizia e gli affari interni nell'Unione europea L'accordo di Schengen va considerato una sorta di progetto pilota mirante ad inserire i settori della giustizia e degli affari interni nelle politiche dell'Unione europea. Prima del 1992 la cooperazione tra le forze di sicurezza degli Stati della Comunità si svolgeva in modo del tutto informale mediante le riunioni del cosiddetto «gruppo di Trevi», formato dai ministri della Giustizia e degli Affari interni degli Stati della CEE, al di fuori di qualsiasi cornice istituzionale, come poteva essere un trattato multilaterale. Codesta cooperazione -che si articolava in incontri preparatori di gruppi di lavoro e riunioni semestrali dei ministri competenti - era comunque pervenuta ad alcuni risultati tra i quali, in primo luogo, un più fitto scambio di informazioni e una più intensa collaborazione in settori come la lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata, la sicurezza aerea e nucleare, la protezione civile (incendi e catastrofi naturali) senza dimenticare la dotazione tecnico-scientifica delle forze di polizia. Ai fini dell'integrazione dei settori della giustizia e degli affari interni nelle politiche dell'Unione la spinta risolutiva venne dal trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992 (trattato sull'Unione europea). Nell'ambito del cosiddetto «primo pilastro» dell'Unione europea, l'articolo 7 A CE definisce il->mercato interno (che è un obiettivo da raggiungere progressivamente) come uno spazio senza frontiere interne nel quale è assicurata la libera circolazione dei beni, dei servizi, dei capitali e delle persone. Nella seconda parte del trattato CE, e precisamente all'articolo 8 e seguenti, viene introdotta per la prima volta la nozione di «cittadinanza dell'Unione», in virtù della quale al cittadino dell'Unione è riconosciuto il diritto di viaggiare («circolare») e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri (articolo 8 A, paragrafo 1). L'articolo 8 B, paragrafo 1 conferisce inoltre ai cittadini dell'Unione il diritto di votare e di candidarsi (i cosiddetti diritti di elettorato attivo e passivo) alle elezioni comunali nello Stato membro in cui risiedono, alle stesse condizioni dei cittadini di questo Stato. L'articolo 100 C del trattato CE prevede una politica comune per i visti, nella quale il -> Consiglio dell'Unione europea, pronunciandosi all'unanimità su proposta della -> Commissione europea e dopo aver consultato il->Parlamento europeo, determina quali siano gli Stati non comunitari (i «paesi terzi») i cui cittadini devono essere in possesso di un visto per l'attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione. Tutte le altre questioni relative alla giustizia e agli affari interni nell'UE sono disciplinate dall'articolo K e seguenti del trattato sull'Unione europea (TUE). Ivi 113 114 sono considerate questioni di interesse comune: la politica di asilo, l'attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri, la politica dell'immigrazione e la politica nei confronti di cittadini di paesi terzi, la lotta contro l'immigrazione, il soggiorno e il lavoro illegali, la lotta contro la tossicodipendenza, la lotta contro la frode internazionale, la cooperazione giudiziaria in materia civile e penale, la cooperazione nel settore doganale e la cooperazione di polizia per la prevenzione e la lotta contro le forme più gravi di criminalità internazionale, compresa la creazione dell'Ufficio europeo di polizia -> Europol. Nei settori testé ricordati il Consiglio - formato dai ministri della Giustizia e degli Affari interni degli Stati membri - può adottare posizioni comuni e, in ottemperanza al principio di sussidiarietà, anche azioni comuni e accordi (articolo K.3). Di norma il Consiglio si pronuncia all'unanimità; le sue riunioni sono preparate da gruppi di lavoro, da comitati di indirizzo e, ai sensi dell'articolo K.4 del TUE, anche da un comitato di coordinamento il quale ha, tra l'altro, il compito di fornirgli pareri e di contribuire, nell'ambito del cosiddetto «primo pilastro», alla preparazione dei suoi lavori sia nei settori della giustizia e degli affari interni (articolo K.1 del TUE) sia nei settori di cui all'articolo 100 C del trattato CE («primo pilastro»). Nell'ambito del «terzo pilastro» (cioè nel settore della giustizia e degli affari interni) la Commissione è pienamente associata a tutti i lavori. Dal canto suo, il Parlamento europeo viene tenuto costantemente informato dalla presidenza del Consiglio e dalla Commissione sull'andamento dei lavori e viene consultato sulle questioni più importanti. L'8 febbraio 1993 il Consiglio adottò un regolamento che istituiva un Centro europeo per l'osservazione delle droghe e delle tossicodipendenze, il quale ha iniziato la sua attività a Lisbona nel 1994. In base ad un piano d'azione presentato dalla Commissione, il Consiglio sta attualmente elaborando una nuova strategia per la lotta contro la droga che comprende misure sia preventive che repressive. Nel 1994 il Consiglio europeo di Essen, in considerazione del vistoso aumento dei furti di autoveicoli, chiese l'introduzione, in tutti gli autoveicoli di nuova fabbricazione, di sistemi di bloccaggio elettronico; questi dispositivi saranno obbligatori sin dal 1997 per l'omologazione di tutti i nuovi modelli di veicoli e, dal 1998, per tutti i nuovi veicoli. Politica degli stranieri e politica dei visti In conseguenza della crescente pressione che esercita l'aumento dell'immigrazione su quasi tutti i membri dell'UE, la relazione di Maastricht sull'armonizzazione della politica di immigrazione e di asilo sottolinea la necessità di introdurre alcune restrizioni fondamentali: a parte la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, l'immigrazione viene sostanzialmente limitata al ricongiungimento familiare. Eccettuato il caso di coloro che aspirano ad occupare posti di lavoro temporanei, ai cittadini di Stati terzi che desiderino esercitare un'attività lavorativa verrà in genere rifiutato l'ingresso. Ai lavoratori autonomi l'ingresso a fini di esercizio di un'attività economica viene concesso solo se questa attività si concreta in un beneficio per l'economia del paese (investimenti, innovazioni, trasferimento di tecnologia o di creazione di posti di lavoro). Un'altra risoluzione del Consiglio ha facilitato agli studenti di paesi terzi l'ingresso nell'Unione, per cui gli allievi delle scuole inferiori di questi Stati, se risiedono in uno Stato membro, possono effettuare viaggi scolastici negli altri Stati membri senza bisogno di visti d'ingresso. Il Cirefi (Centre for Information, Discussion and Exchange on the Crossing of Frontiers and Immigration) che prima era un semplice gruppo di lavoro, si è trasformato in uno strumento operativo e di lotta contro l'immigrazione clandestina e l'importazione illegale di manodopera. La comunitarizzazione della politica in materia di visti ha registrato progressi confortanti. Il regolamento (CE) n. 2317/95 ha stabilito un elenco di paesi non comunitari i cui cittadini devono essere in possesso del visto per entrare nell'Unione europea. Il regolamento (CE) n. 1683/95 ha a sua volta stabilito il formato uniforme e le caratteristiche (infalsificabilità) per i visti degli Stati membri. Il 23 novembre 1995 il Consiglio ha adottato una raccomandazione sulla cooperazione consolare in tema di visti che contiene un elenco comune di paesi extracomunitari i cui cittadini devono munirsi di un visto di transito. Le disposizioni che disciplinano la validità dei visti in tutti gli Stati membri saranno specificate nella convenzione sull'attraversamento delle frontiere esterne che è tuttora oggetto di negoziato in seno al Consiglio. Il 23 novembre 1995 il Consiglio ha anche approvato una risoluzione sullo status dei cittadini dei paesi extracomunitari che risiedono da lungo tempo nel territorio degli Stati membri. La politica dell'asilo e i rifugiati L'alto numero di richiedenti l'asilo, di rifugiati e profughi dai luoghi dove infuriano le guerre civili ha fatto della politica in materia di asilo e di rifugiati il tema dominante delle riunioni dei ministri dell'interno dell'Unione. Dopo vari anni di negoziati, il 23 novembre 1995 il Consiglio ha adottato una posizione comune sulla definizione del termine «rifugiati» di cui all'articolo I della convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 sullo status dei rifugiati. In una risoluzione adottata successivamente (20 giugno 1996) il Consiglio ha chiesto che ai rifugiati venga prestato soccorso nel luogo stesso in cui si trovano e nelle regioni dalle quali provengono, soprattutto mediante la creazione di zone protette. Gli Stati dell'UE concordano nel ritenere necessaria l'emanazione di norme che consentano al rifugiati in situazioni di emergenza di essere accolti nel loro territorio in tempi rapidi e a parità di condizioni, ma le posizioni sono tuttora discordi sui criteri da assumere per un'equa suddivisione dei costi conseguenti, e 115 116 cioè se debbano essere presi in considerazione anche parametri come la percentuale di disoccupati e la percentuale degli stranieri rispetto alla popolazione totale di un determinato paese. Il CIREA (Centro d'informazione, riflessione e scambi sulle questioni dell'asilo) ha già definito alcuni indirizzi per l'elaborazione dei rapporti sulla situazione dell'asilo e l'affrontamento di un sistema statistico comune. Lotta contro il razzismo e la xenofobia Nel processo di integrazione europea la necessità di lottare contro il razzismo e la xenofobia assume particolare significato in considerazione del gran numero di atti di violenza a sfondo razzistico (e anche antisemitico) che si sono verificati in questi ultimi anni. Secondo una rassegna del gruppo di lavoro «Terrorismo» del Consiglio, nel 1995 sono registrati negli Stati membri i seguenti atti di xenofobia e di razzismo: 10 omicidi, 15 tentati omicidi, 100 attentati e 468 casi di lesioni personali. Una commissione consultiva sul razzismo e la xenofobia istituita dal Consiglio europeo ha presentato a Cannes nel giugno 1995 una relazione conclusiva ricca di ben 107 raccomandazioni e suggerimenti in relazione agli interventi nei settori dell'istruzione, dell'informazione, della comunicazione sociale e della cooperazione giudiziaria e di polizia. Il Consiglio europeo ha esortato il Consiglio dell'Unione a studiare i problemi giuridici e finanziari inerenti all'istituzione di un centro europeo di osservazione sul razzismo e la xenofobia ed a studiare le relazioni che potrebbero instaurarsi tra il costituendo centro e il Consiglio d'Europa. Il Consiglio dell'UE e gli Stati membri hanno deciso di proclamare l'anno 1997 «Anno europeo della lotta contro il razzismo» per attirare l'attenzione del pubblico europeo sulla minaccia che il razzismo, la xenofobia e l'antisemitismo costituiscono per il rispetto dei diritti fondamentali e l'unità della Comunità. Un altro obiettivo di questa iniziativa contro il razzismo è lo scambio di esperienze e di informazioni sui vantaggi delle misure di integrazione prese dai singoli Stati membri. Fra i vari progetti in programma per l'Anno europeo contro il razzismo vanno citati le conferenze, i seminari, le campagne d'informazione e le manifestazioni sportive e culturali. Grazie ad una campagna di informazione identificata da un «logo» unico per tutta Europa e attraverso slogan e manifesti, si cercherà di mostrare ai cittadini europei che tutti i progetti nazionali rappresentano il contributo di ogni paese a una grande azione comune dell'Unione europea. Nelle intenzioni della Commissione europea, l'Anno europeo dev'essere una manifestazione che colpisce l'attenzione e si radica nella coscienza della gente in modo tale da non esaurirsi nell'immediato; verranno quindi largamente pubblicizzati tutti i risultati concreti che saranno stati raggiunti, così da suscitare nell'opinione pubblica europea una reazione duratura e favorevole alle strategie di lotta contro il razzismo. Oltre ai provvedimenti comunitari, che avranno il sostegno di un gruppo ad hoc di rappresentanti degli Stati membri, vi sarà in ogni Stato un comitato nazionale di coordinamento con il compito di fornire guida e appoggio ai progetti presentati dalle autorità locali e centrali. Giustizia Anteriormente al trattato di Maastricht erano già stati fatti vari tentativi di intensificare la cooperazione fra gli Stati membri nel campo della giustizia: un chiaro esempio ne è la convenzione di applicazione degli accordi di Schengen. Il trattato sull'Unione europea considera la cooperazione giudiziaria in materia penale una questione di interesse comune. Successivamente, dopo mesi di negoziato, si sono fatti progressi sulla strada della semplificazione delle procedure di estradizione (estradizione semplificata con l'assenso dell'interessato) e nella lotta contro le frodi in danno del bilancio comunitario. La convenzione sulla tutela degli interessi finanziari dell'Unione è stata firmata nel 1994. Nel complesso, l'integrazione nel settore della giustizia e degli affari interni procede a rilento. Si registrano infatti grosse divergenze di opinione tra Stati membri sull'interpretazione da dare all'espressione «cooperazione intergovernativa»: alcuni Stati ritengono che l'articolo K.1 e seguenti del TUE non conterrebbero alcun obbligo di dar corpo a una politica comune di sicurezza su basi istituzionali, ma offrirebbero soltanto la possibilità di avvalersi dell'aiuto organizzativo dell'UE per risolvere singoli problemi nel settore della giustizia e degli affari interni. Lo strumento offerto dall'articolo K.8, paragrafo 2 TUE, in base al quale il Consiglio può decidere all'unanimità che le spese operative possono essere poste a carico del bilancio delle Comunità europee, viene in genere respinto da alcuni Stati membri. È tuttavia lecito ritenere che si potranno fare ulteriori progressi nel campo della giustizia qualora alla conferenza intergovernativa - che è iniziata nel 1996 - i settori della giustizia e degli affari interni venissero più intensamente «comunitarizzati» e se venisse conseguentemente estesa la competenza sovrannazionale dell'UE in questi stessi settori. Reinhard Rupprecht 117 http://europa.eu.int/pol/ind/en/info.htm 118 Industria Base giuridica: Articolo 130 del trattato CE, nei limiti previsti dall'articolo 3, paragrafo b) e dal titolo V (Concorrenza) del medesimo trattato. Obiettivi: Promuovere la competitività sul piano internazionale, l'efficienza e la capacità di innovazione delle imprese, creando un ambiente favorevole, principalmente per le piccole e medie imprese (PMI); promuovere la ricerca e lo sviluppo (R&S), la cooperazione tra le imprese e la ristrutturazione nel contesto di un «Sistema di mercati aperti e concorrenziali». Strumenti: Consultazione e coordinazione fra gli Stati membri su iniziativa della Commissione europea; appoggio ad azioni specifiche degli Stati membri, previa decisione all'unanimità del Consiglio. Bilancio: Il progetto preliminare di bilancio del 1995 attribuiva direttamente ad azioni di politica industriale solo 38,5 milioni di ecu. I principali impulsi finanziari alla politica industriale provengono da altre voci di bilancio (R&S, formazione informazione e comunicazione, mercato interno, reti transeuropee), con una dotazione complessiva di 3,7 miliardi di ecu. Del prestito di 17,7 miliardi di ecu erogato nel 1993 dalla BEI, furono attribuiti al settore dell'industria e dei servizi 4,2 miliardi - di cui 1,50 alle PMI - ed alle reti transeuropee 7,2 miliardi. Mentre la politica della concorrenza intende mantenere condizioni di mercato eque, cioè non discriminatorie, per tutte le imprese, la politica industriale effettua interventi selettivi sul mercato, intesi a tutelare le industrie minacciate dalle importazioni oppure a promuovere la cooperazione tra le PMI nella «fase precompetitiva» della produzione (R&S, finanziamento), allo scopo di consolidare i «settori chiave» d'avanguardia o di promuovere la produttività e abbassare i costi in tutti i settori. Si serve degli strumenti classici quali interventi fiscali, aiuti finanziari, appalti di opere pubbliche, promozione della ricerca, ma cerca anche nuove vie, istituendo organismi di trasferimento delle tecnologie e dando vita ad enti che sono sede di dialogo fra i rappresentanti dell'economia, delle scienze e della politica (consulenza tecnologica). La politica industriale moderna si appoggia sulla saggezza degli strateghi che orientano l'offerta nazionale di beni e di servizi in base a probabili tendenze future; oggi la parola d'ordine è «ristrutturazione». Base giuridica I trattati di Parigi e di Roma non prevedevano expressis verbis una politica industriale comune. Il trattato che istituiva la Comunità europea del carbone e dell'acciaio contiene però alcune disposizioni concrete applicabili all'industria mineraria europea e alla maggior parte dei rami dell'industria siderurgica. Anche il trattato Euratom (CEEA) concerne un settore ben preciso essendo specificamente inteso a «sviluppare le ricerche ed assicurare la diffusione delle cognizioni tecniche» nonché ad «agevolare gli investimenti». Nel trattato CE la base giuridica della politica industriale non era definita con precisione. Prima che questo fosse sostituito dal trattato CE, l'azione della Comunità in tale settore trovava fondamento negli obiettivi generali del trattato stesso, in altri termini nell'articolo 235. L'articolo 130 del trattato CE invece conferisce espressamente alla Comunità competenze in materia di politica industriale. La facoltà di ricorrere a provvedimenti specifici, peraltro, è soggetta al principio di sussidiarietà (articolo 3 B del trattato) ed all'accordo unanime del -> Consiglio dell'Unione europea. Nuovi obiettivi Per troppo tempo la politica industriale comune si è limitata alla gestione delle crisi in settori specifici. Nel 1975 ed all'inizio degli anni 80 la Commissione CE ( -> Commissione europea) ha avviato programmi strutturali per la siderurgia, l'industria tessile, i cantieri navali, i calzaturifici. In alcuni casi (siderurgia) tali programmi avevano una netta connotazione dirigistica: per consentire la riduzione concertata della capacità di tutte le imprese del settore, infatti, bloccavano provvisoriamente il gioco della concorrenza e si accompagnavano a restrizioni sul piano esterno. Tali provvedimenti furono in gran parte abrogati o resi meno severi nella seconda metà degli anni 80, caratterizzata da un miglioramento congiunturale. All'inizio degli anni 90 la Commissione sviluppò nuove impostazioni in materia di politica industriale. In un documento che forniva le direttrici in materia, sottolineò l'importanza della concorrenza, dell'apertura dei mercati e di provvedimenti «orizzontali», intesi a migliorare la produttività e promuovere le innovazioni. Tali iniziative hanno determinato la codificazione dei limiti della politica industriale nell'articolo 130 del trattato, ispirando anche la più recente iniziativa della Commissione in materia di politica industriale, che definisce quattro priorità: promozione degli investimenti immateriali, sviluppo della collaborazione industriale, garanzia di condizioni eque di concorrenza, modernizzazione degli interventi statali. La prima priorità concerne principalmente il miglioramento della formazione professionale, lo sviluppo di nuove forme di organizzazione del lavoro, l'istituzione di regolari controlli di qualità, le ricerche in materia di nuove tecnologie e lo sviluppo di reti di informazione ed infine l'esigenza di orientare maggiormente la politica della ricerca sulle esigenze del mercato. 119 120 La seconda priorità prevede lo sviluppo di strumenti di gestione comune delle iniziative private ed il consolidamento della posizione delle imprese europee nei mercati in espansione geografica. A tal fine la Commissione raccomanda segnatamente l'eliminazione degli ostacoli giuridici e fiscali, l'organizzazione di riunioni di concertazione dei rappresentanti dell'industria e la promozione, su basi giuridicamente coerenti, degli investimenti all'estero, ed in particolare nell'Europa centro-orientale, dove l'Unione europea è disposta addirittura a garantire parzialmente gli investimenti, nonché nell'America latina, nei paesi mediterranei e nei nuovi paesi industrializzati dell'Asia, dove peraltro si tratta essenzialmente di sviluppare la cooperazione tecnologica. La terza priorità si articola su due piani: interno ed esterno. Sul piano interno gli obiettivi sono i seguenti: libera concorrenza assoluta nel -> mercato interno europeo, grazie ad una più efficace gestione degli aiuti, fatti salvi gli imperativi della -> politica regionale strutturale e di altre politiche comunitarie aventi incidenza finanziaria; eliminazione delle eccezioni alla regole di concorrenza per il gas, l'energia elettrica e le telecomunicazioni. Sul piano esterno l'obiettivo principale è affinare gli strumenti di politica commerciale di cui dispone la Comunità, applicandoli anche al settore dei servizi, istituendo così un regime di concorrenza a livello internazionale, che vada oltre i risultati dell'Uruguay Round del GATT. La Comunità intende avere la possibilità di reagire con maggiore efficacia alla proliferazione delle alleanze strategiche sui mercati mondiali ed agli accordi bilaterali discriminatori, quale l'accordo fra gli Stati Uniti ed il Giappone in materia di semiconduttori. L'«industrial assessement mechanism» contribuirà ad individuare le discriminazioni non apparenti fra la Commissione e quei paesi terzi in cui le imprese europee hanno difficoltà ad impiantarsi, nonostante la posizione competitiva sul piano della concorrenza. La quarta priorità infine prevede lo smantellamento delle disposizioni a carattere vincolante, la semplificazione delle procedure amministrative ed una maggiore cooperazione tra le autorità nazionali e quelle comunitarie. Nel libro bianco sulla crescita, la competitività e l'occupazione, la Commissione ha tentato di integrare nella politica industriale i temi dell'occupazione e del mercato del lavoro. Ritiene che i settori che presentano un maggior potenziale di crescita e quindi di incremento occupazionale siano quelli della cultura, della sanità e della biotecnologia, dell'ambiente, delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione. Le innovazioni in tale settore dovranno essere tutelate dalle imitazioni grazie ad un'adeguata legislazione in materia di brevetti. Secondo il libro bianco la creazione di reti transeuropee di trasporti, energia e telecomunicazioni è una conditio sine qua non per l'avvento della società dell'informazione, ma anche per la realizzazione del mercato interno in tutte le sue potenzialità, compreso l'ampliamento in direzione dell'Europa centrale ed orientale. Gli investimenti necessari a tal fine da oggi al duemila, che ammontano a circa 370 miliardi di ecu (120 dei quali finanziati dalla Comunità) dovrebbero, secondo la Commissione, avere notevoli conseguenze positive sul mercato del lavoro, tanto in sede di costruzione che di gestione. Punti controversi La politica industriale è sempre stata oggetto di polemiche nella Comunità. Gli economisti tedeschi, fondandosi su una solida tradizione liberistica, consideravano che i memorandum, le azioni ed i programmi strutturali della politica industriale, compreso il recente libro bianco nonché i tentativi di istituire una «concorrenza sana» nel commercio con l'estero, fossero ispirati dallo spirito francese della pianificazione e dal «colbertismo». La Francia in particolare ha attirato l'attenzione sul ritardo tecnologico nei confronti degli Stati Uniti e del Giappone, sulla strategia commerciale del Giappone, che potrebbe condurre al monopolio dei settori tecnologici chiave, sull'estrema mobilità dei capitali e della tecnologia in mercati che sono ormai mondiali, sulla frammentazione nazionale del mercato comunitario nonché sui problemi strutturali: il necessario processo di adeguamento, modernizzazione e concentrazione, secondo gli economisti francesi, non può essere lasciato completamente in balia delle forze del mercato, perché ciò comporterebbe gravi e duraturi rischi per l'Europa. Tali divergenze sono andate appianandosi con la progressiva attuazione del mercato interno: la Francia ha abbandonato la pianificazione settoriale mentre la Germania ricorreva maggiormente alle sovvenzioni statali ed agli interventi di politica industriale e tecnologica. L'idea di una politica industriale è andata diffondendosi in Germania anche a causa del rischio di disindustrializzazione di intere regioni dell'Est. Attualmente la promozione della cooperazione fra imprese e della ricerca è considerata essenziale in tutti gli Stati membri. Ciononostante le vecchie polemiche sono rinate, per varie ragioni: finora la Commissione è pervenuta solo parzialmente a far accettare il suo nuovo assioma in materia di politica industriale, che dà priorità ad un «sistema di mercati aperti e concorrenziali». Alcuni Stati membri in effetti non rispettano le disposizioni i materia di sovvenzioni alla siderurgia, mentre ad altri settori dell'economia vengono concessi aiuti rilevanti e mentre le decisioni sugli aiuti regionali assumono carattere sempre più spiccatamente politico in sede di Consiglio. Questo conflitto latente fra la politiche industriale e quella regionale, da un lato, e la politica della concorrenza, dall'altro, andrà esacerbandosi con l'aumento delle spese per la politica strutturale e la R&S. Le più recenti controversie riguardavano le reti transeuropee: secondo alcuni Stati membri infatti i finanziamenti della Comunità dovrebbero essere ridotti al minimo mentre la Commissione ed altri Stati membri sottolineano l'eccezionale significato di tali reti in quanto iniziativa suscettibile di vivificare l'industria europea. Sono anche oggetto di dibattito l'elaborazione di strumenti di politica commerciale e la rappresentanza della Comunità (Stati membri o Commissione) in seno al WTO, la nuova organizzazione mondiale del commercio. Fritz Franzmeyer 121 http://europa.eu.int/emi/emi.html 122 Istituto monetario europeo Data di insediamento: 1 gennaio 1994. Membri: Un presidente a tempo pieno e i governatori delle banche centrali nazionali degli Stati membri dell'Unione europea (consiglio dell'IME). Basi giuridiche: Articolo 109 F del trattato che istituisce la Comunità europea (CE), modificato dal trattato sull'Unione europea (TUE) firmato il 7 febbraio 1992; protocollo sullo statuto dell'Istituto monetario europeo (allegato al TUE). Struttura: Presidente, direttore generale, segretariato generale, quattro direzioni. L'Istituto monetario europeo (IME) è stato insediato ufficialmente all'inizio del 1994, in corrispondenza con il passaggio alla seconda fase dell'-> unione economica e monetaria (UEM); esso aveva però già iniziato la propria attività dal 1 novembre 1993. La sede dell'Istituto è a Francoforte. Come primo presidente, gli Stati membri dell'Unione europea hanno designato il belga Alexandre Lamfalussy. L'IME è subentrato nelle funzioni svolte dal comitato dei governatori delle banche centrali. Il calendario dell'UEM prevede che, con l'avvio della terza fase - non prima del 1997 - a esso subentreranno un Sistema europeo di banche centrali (SEBC) e la Banca centrale europea. Il compito principale dell'IME è preparare questa transizione. Ciò presupponeva innanzitutto che entro la fine del 1996 esso definisse gli strumenti e le procedure necessarie per gestire una politica monetaria unica. L'IME ha poi il compito di intensificare la cooperazione tra le banche centrali nazionali dell'Unione europea nonché il coordinamento delle politiche monetarie degli Stati membri, per garantire la stabilità dei prezzi. Esso deve controllare il funzionamento del sistema monetario europeo (SME) e agevolare l'uso dell'-> euro. L'Istituto deve inoltre adoperarsi per agevolare i pagamenti transfrontalieri e predisporre i preparativi tecnici per le future banconote in euro. L'organo supremo di decisione è il consiglio dell'IME, composto dai governatori delle banche centrali nazionali, al cui interno ciascun membro dispone di un voto. Il consiglio dell'IME non deve accettare istruzioni di sorta né dagli organi comunitari né dai governi degli Stati membri. Esso si pronuncia di massima a maggioranza semplice. Per adottare pareri e raccomandazioni è necessaria una maggioranza di due terzi. La pubblicazione di questi pareri e raccomandazioni può essere decisa solo all'unanimità. Le disposizioni che disciplinano l'IME - lavori preparatori, compiti di consulenza, procedure di votazione - non gli conferiscono alcuna competenza specifica in fatto di politica monetaria o di intervento sui mercati dei cambi ed esso non dispone quindi di alcun potere per influire sulle scelte politiche. L'IME è l'organo della transizione. Eckard Gaddum 123 124 Mediterraneo e Medio Oriente Obiettivi: Sostegno del processo di pace del Medio Oriente, stabilizzazione politica e sociale della seconda zona strategicamente rilevante, accanto all'Europa orientale. Strumenti: Cooperazione finanziaria, sviluppo di strutture commerciali stabili e conseguente sviluppo economico. Bibliografia: Relazioni future della Comunità con il Maghreb SEC (92) 401, aprile 1992; Relazioni e cooperazione future tra la Comunità ed il Medio Oriente, COM (93) 375, settembre 1993; Una politica mediterranea più incisiva per l'Unione europea: instaurazione di un nuovo partenariato euromediterraneo, COM (94) 427, novembre 1994; Conclusioni della presidenza del Consiglio europeo di Essen, 1994, e Cannes 1995, Supplemento 2/95 al->Bollettino dell'Unione europea,. La politica dell' -> Unione europea (UE) nei confronti della regione del Mediterraneo e del Medio Oriente trova sostanzialmente origine negli anni 70: a seguito dello scoppio della guerra dello Yom Kippur tra Israele ed i suoi vicini arabi ed il conseguente embargo petrolifero applicato dai produttori arabi, nel novembre 1973 gli Stati membri, attraverso una risoluzione emanata nel quadro della Cooperazione politica europea, si dichiararono a favore di una rapida conclusione del conflitto nel Medio Oriente. Inoltre decisero, in occasione dell'incontro al vertice di Copenaghen nel dicembre 1973, l'instaurazione di un dialogo euroarabo. Nel 1976 e 1977 furono conclusi, nell'ambito della «politica globale mediterranea», accordi di cooperazione di validità illimitata con tutti i paesi del bacino meridionale ed orientale del Mediterraneo, corredati da cosiddetti protocolli finanziari, ciascuno di durata quinquennale. Questi erano intesi, attraverso i trasferimenti finanziari previsti, a contribuire allo sviluppo commerciale dei partner contrattuali. Complessivamente, fino al 1996, hanno trovato applicazione quattro generazioni di protocolli finanziari. Nel 1980 il -> Consiglio europeo varò la cosiddetta «Dichiarazione di Venezia», che doveva promuovere il dialogo tra l'OLP ed Israele e cercare una soluzione al conflitto tra le due parti. Dall'inizio degli anni 90, l'impegno europeo in quella regione ha fatto registrare una notevole espansione. Il processo di pace tra israeliani ed arabi, a tratti molto rapido, offriva nuove possibilità di sviluppo politico ed economico. Per sostenere il L’EUROPA DALLA A ALLA Z processo, l'Unione ha partecipato soprattutto alla dimensione multilaterale del processo di pace, che prese l'avvio in questa forma con la conferenza di Madrid nel 1991. 125 Interscambi commerciali UE - Paesi terzi del Mediterraneo (EUR12 - 1994 - in miliardi di ecu) Importazioni Altri 5% Esportazioni Altri 11% Marocco Turchia 10% 21% Marocco 10% Turchia 19% Algeria 10% Algeria 16% Malta-Cipro 5% Tunisia 8% Israele 11% Tunisia 8% Libia 16% Egitto 8% Libia 4% Malta-Cipro 10% Egitto 8% Israele 20% Eurostat Tuttavia si delineano anche nuove fonti di pericolo per la sicurezza in Europa: le economie dei paesi interessati risultano sottosviluppate se confrontate con l'Europa, il rapporto tra i redditi pro capite è di 1 a 10, l'accrescimento demografico è tumultuoso, da 146 milioni di persone nel 1990 ad oltre 230 milioni nell'anno 2010: tutti fattori che possono portare a tensioni sociali e rafforzare ulteriormente il fondamentalismo islamico. In risposta a queste sfide l'UE ha elaborato una politica mediterranea in tre fasi: nel 1992 la -> Commissione europea formulò l'obiettivo di un partenariato euromaghrebino, un anno più tardi quello di una collaborazione a lungo termine con Israele ed i suoi vicini arabi del Mashrak. Entrambe le iniziative sfociarono nel progetto di un esteso partenariato euromediterraneo, nel cui ambito sono stati conclusi nel 1995 i negoziati per gli accordi di associazione con Israele, Marocco e Tunisia. 126 Il primo risultato positivo di questo progetto di partenariato è stata la conferenza di Barcellona tenutasi il 27 e 28 novembre 1995, alla quale parteciparono tutti gli Stati membri dell'UE e gli Stati del bacino del Mediterraneo, comprese (ma con l'eccezione della Libia) la Giordania e le Autorità palestinesi dei territori autonomi, nonché l'Albania ed i paesi dell'ex Iugoslavia. La conferenza deliberò un ampio programma volto ad una nuova impostazione delle relazioni euromediterranee, che si articola su tre pilastri. Il primo pilastro crea un partenariato di sicurezza tra i paesi partecipanti, che deve essere instaurato grazie ai meccanismi della composizione pacifica dei conflitti, al controllo degli armamenti e all'applicazione di altri principi. Il secondo formula l'obiettivo dell'avvio di più intense relazioni commerciali interregionali. L'elemento fondamentale è la realizzazione di una zona di libero scambio nel bacino euromediterraneo entro l'anno 2010. A quel punto i prodotti industriali circoleranno liberamente sul mercato transmediterraneo e si sarà creata così la più grande zona di libero scambio al mondo con oltre 600 milioni di potenziali consumatori. Il terzo pilastro infine estende il partenariato agli aspetti sociali e culturali. L'impegno europeo è integrato da aiuti finanziari pari a 4,6 miliardi di ecu per il periodo dal 1995 al 1996. A questi vanno aggiunti i prestiti a lungo termine erogati dalla -> Banca europea per gli investimenti (BEI) per un valore analogo. Il sostegno finanziario mira a consentire le riforme strutturali nel settore commerciale e politico che sono necessarie per l'attuazione degli accordi di libero scambio nei paesi meridionali. Nel 1992 il PNL medio pro capite ammontava, negli Stati della sponda meridionale del Mediterraneo, a circa 1 500 USD, contro i circa 20 000 USD dell'UE. Per aumentare il reddito in termini reali della regione si dovrebbe conseguire, nei prossimi decenni, una crescita economica del 6%. L'UE cerca di raggiungere questo obiettivo attraverso il contenimento del settore pubblico ed il potenziamento dell'economia privata. Inoltre intende, con particolari strumenti finanziari, così come attraverso accordi di partenariato, promuovere lo scambio intraregionale di merci, che finora ha costituito soltanto il 7% del volume del commercio della regione. Sven Behrendt http://europa.eu.int/pol/singl/en/info.htm Mercato interno Base giuridica: Articolo 2 (instaurazione di un mercato comune) del trattato CE; articolo 3, paragrafo a) (abolizione di dazi doganali, delle restrizioni quantitative e tutte le altre misure di effetto equivalente); articolo 3, paragrafo c) (eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali); articoli da 7 A a 7 C (instaurazione del mercato interno entro il 1992, disposizioni procedurali e deroghe); articolo 3, paragrafo d) e 100 C (entrata e circolazione delle persone nel mercato interno e criteri uniformi in relazione all'obbligo dei visti); articolo 8 A del trattato CE (diritto di ogni cittadino dell'Unione di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri). Benché il termine ufficiale per il completamento del mercato unico (31 dicembre 1992) sia stato superato da tempo, questo capitolo dell'integrazione europea non può dirsi chiuso; piuttosto, il processo di realizzazione delle cosiddette «quattro libertà» (libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali) è ancora in corso. Negli anni che seguirono l'istituzione della Comunità economica europea sono stati realizzati significativi progressi in termini di «integrazione negativa», vale a dire l'eliminazione dei dazi doganali e delle restrizioni quantitative. Invece nel processo di attuazione della libera circolazione delle merci e dei fattori della produzione nel contesto di un «mercato comune» e di realizzazione delle «quattro libertà» i progressi sono stati lenti. La libera circolazione delle merci veniva spesso ostacolata dalle legislazioni nazionali intese a tutelare i consumatori, la salute pubblica o l'ambiente. Solo una piccola parte di tali norme giuridiche è stata armonizzata in virtù della procedura di ravvicinamento delle disposizioni legislative (prevista dall'articolo 100 del trattato CE), la cui adozione richiedeva all'inizio l'unanimità. La libertà di circolazione delle persone era ancora limitata dalle differenze nei diplomi professionali, la disparità di regolamenti e la vigilanza prudenziale alle frontiere ostacolavano la prestazione di servizi transfrontalieri e le restrizioni sui movimenti di capitali distorcevano le decisioni in materia di investimenti e di depositi. Libro bianco della Commissione Nel giugno 1985, di fronte a quella che sembrava una impasse del processo di integrazione ed in risposta ai timori, in alcuni casi giustificati, che l'Europa si trovasse svantaggiata nella competizione con il Giappone e con gli Stati Uniti, la- 127 128 >-> Commissione europea presentò il «libro bianco sul completamento del mercato interno». Si trattava di un programma legislativo dettagliato, corredato di un preciso calendario, contenente 270 misure legislative ritenute essenziali per il completamento del mercato interno. Il libro bianco era diviso in tre principali capitoli dedicati rispettivamente all'abbattimento delle barriere fisiche, tecniche e fiscali (imposte indirette). La maggior parte di tali misure riguardava l'aspetto tecnico. Nessuna delle proposte verteva tuttavia su argomenti strettamente interconnessi con il progetto del mercato unico e che successivamente sarebbero stati affrontati da Maastricht, quali lo «spazio sociale europeo», la convergenza delle politiche economiche e monetarie o l'armonizzazione delle imposte dirette. Sistema di votazione a maggioranza Ai fini della effettiva realizzazione del mercato interno era anche essenziale accelerare la procedura legislativa. L'articolo 100 A dispone infatti che la maggior parte delle disposizioni attinenti all'instaurazione ed al funzionamento del mercato interno possono essere adottate dal -> Consiglio dell'Unione europea a maggioranza qualificata. In diversi casi, il solo timore di essere messi in minoranza è spesso sufficiente a rendere gli Stati membri più disponibili a raggiungere compromessi. Tuttavia, alcuni settori chiave, quali la libertà di circolazione delle persone (almeno in parte) e, in particolar modo, l'armonizzazione fiscale, sono esplicitamente esclusi da tale disposizione e richiedono pertanto ancora l'adozione all'unanimità. La partecipazione del -> Parlamento europeo (PE) al processo legislativo dell' Unione europea è stata considerevolmente rafforzata dall'introduzione di due nuove -> procedure decisionali: la «procedura di cooperazione» (articolo 189 C del trattato CE) e la «procedura di codecisione» (articolo 189 B del trattato CE). Il Parlamento ora può, votando alla maggioranza assoluta dei membri che lo compongono, opporsi ad una posizione comune definita a maggioranza qualificata dal Consiglio. In questo caso, quest'ultimo può imporre la propria volontà soltanto deliberando all'unanimità, se si tratta di procedura di cui all'articolo 189 C, mentre deve accettare la decisione del PE nel caso di procedura di cui all'articolo 189 B. Ad esempio, nel marzo 1995, la Direttiva sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, nonostante l'approvazione del comitato di conciliazione, è stata rigettata dal Parlamento senza che il Consiglio potesse opporvisi. Costi e benefici Il mercato unico produce i suoi effetti attraverso una serie di «reazioni a catena» a diversi livelli. Ad esempio, l'eliminazione dei controlli e delle formalità alle frontiere comporta una immediata riduzione dei costi delle imprese. Le economie di scala sono rese possibili dalle dimensioni stesse del mercato unico; una maggiore competitività tra imprese porta alla razionalizzazione e ad una maggiore specializzazione, con conseguente incremento della competitività internazionale dell'UE. In preparazione di un esteso rapporto sulla valutazione delle ripercussioni del programma del mercato unico e come base per l'emanazione di un nuovo «ordine del giorno» per il mercato interno, nel 1996 la Commissione ha presentato 39 studi settoriali, i cui risultati erano già parzialmente contenuti nel libro bianco sulla «crescita, competitività ed occupazione», pubblicato nel 1993. Secondo tale indagine, il completamento del mercato interno avrebbe portato, tra l'altro, alla creazione di 9 milioni di nuovi posti di lavoro tra il 1986 ed il 1990, all'aumento del prodotto interno lordo annuale di mezzo punto percentuale nonché ad un raddoppio degli scambi nei settori finora «protetti». Resta tuttavia problematico stabilire esattamente quanto di tali risultati possa essere attribuito esclusivamente al fattore «completamento del mercato unico». Inoltre, devono essere presi in considerazione, accanto alle conseguenze complessive del programma, anche le disparità regionali, i costi ambientali e gli effetti sociali. Ad esempio, le politiche di accompagnamento nonché lo stanziamento di ingenti somme di denaro per i fondi strutturali ed il Fondo di coesione che sono necessari per compensare, o per lo meno attenuare, gli effetti negativi del mercato unico, sono fattori altrettanto importanti nel calcolo. Tuttavia, nel rafforzamento della coesione economica e sociale, vanno considerati non solo i trasferimenti finanziari, ma anche l'entrata in vigore graduale delle direttive e la previsione di deroghe. Strategie Il programma del mercato unico prevede due strategie complementari per realizzare un unico grande mercato. La prima strategia rifiuta l'armonizzazione «istituzionale», limitando il ravvicinamento legislativo ad un numero minimo di norme fondamentali che garantiscono la protezione della sanità pubblica, l'ambiente ed i consumatori, attività che in grande misura erano in passato di competenza degli Stati membri. La seconda prevede di aumentare il numero di armonizzazioni «funzionali», basate sul «reciproco riconoscimento», un principio che è stato approvato e ribadito in più occasioni dalla -> Corte di giustizia delle Comunità europee (CGCE). Dalla fine del periodo transitorio, vi è stato un conflitto di interessi, nei settori sottratti alla competenza comunitaria, tra i poteri residuali degli Stati membri da un lato e le esigenze della libera circolazione delle merci dall'altro. Mentre l'articolo 30 del trattato CE ha sempre vietato «qualsiasi provvedimento che possa intralciare, direttamente od indirettamente, in atto o in potenza, le importazioni tra Stati membri» (Sentenza Dassonville della CdG, 1974), tali misure possono essere autorizzate se giustificate da motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute, protezione dell'ambiente e dei consumatori. Tuttavia il ricorso all'articolo 36 del trattato CE, e quindi il mantenimento di misure nazionali restrittive degli scambi, è possibile solo se tali misure non sono applicate in modo discriminatorio, sono necessarie e proporzionate, e costituiscono il mezzo meno interventista per raggiungere gli effetti desiderati. 129 130 Reciproco riconoscimento Gli scambi tra gli Stati membri sono spesso limitati da impedimenti che vengono presentati sotto forma di norme di sicurezza. Nella controversia sulle importazioni del liquore francese Cassis de Dijon in Germania, la Corte di giustizia ritiene che il divieto d'importazione costituisse un mezzo eccessivamente restrittivo per raggiungere il fine desiderato (la protezione dei consumatori) e dichiarò che a tale scopo era sufficiente una etichetta che riportasse chiaramente l'indicazione del tasso alcoolico. Tale sentenza introdusse il principio del reciproco riconoscimento come uno dei principi guida della creazione del mercato unico e non solo nel settore delle merci. Esso si applica anche alle merci provenienti da paesi terzi, quando siano state immesse in libera pratica in uno degli Stati membri. Da allora la Corte ha confermato la sentenza Cassis de Dijon a più riprese, ad es. in diversi casi relativi alla purezza della birra, ai prodotti lattieri, alle salsicce e alla pasta di grano duro italiana. Tuttavia, essa non ha sempre dato priorità alla libera circolazione delle merci; in alcuni casi ha ritenuto prevalenti altre «esigenze imperative» (ad esempio nella sentenza sui «vuoti a rendere»). Qualora il principio del reciproco riconoscimento non possa essere applicato, prevale la «nuova strategia in materia di armonizzazione tecnica e normalizzazione», che la Commissione adotta dal 1985. Ciò significa che il Consiglio stabilisce tramite direttive soltanto i requisiti di sicurezza di base, formulati in termini piuttosto generici, che sono intesi a proteggere la salute pubblica, l'ambiente ed i consumatori, mentre i particolari tecnici sono demandati alle norme europee ( -> politica dei consumatori). Norme europee Le due organizzazioni deputate a definire la normazione europea, il CEN per le norme generali e Cenelec per il settore elettrotecnico, sono composte da membri appartenenti alle organizzazioni nazionali di normazione. Così come avviene in seno al Consiglio, è necessaria la maggioranza qualificata per adottare una decisione. E, come nella procedura legislativa dell'UE, gli Stati membri sono tenuti a ritirare gli standard nazionali che non risultano compatibili con le norme europee. La nuova strategia prevede che una merce prodotta secondo le norme europee deve conformarsi ai requisiti fondamentali di sicurezza stabiliti dalla direttiva. I produttori possono anche scegliere di non attenervisi, ma in tal caso l'onere della prova si inverte: spetta a loro dimostrare che il prodotto è sicuro. Così come per le norme nazionali, quelle stabilite dal CEN e dal Cenelec non sono vincolanti; l'adesione è facoltativa. Attualmente si contano quasi 300 comitati tecnici che lavorano su 10 000 progetti di normazione. Al fine di prevenire la creazione di nuovi ostacoli al commercio e di promuovere il principio del reciproco riconoscimento, gli Stati membri si sono impegnati con l'adozione della direttiva 83/189/CEE, più volte ampliata, a notificare preventivamente alla Commissione tutti i progetti di normazione e regolamentazione tecnica. Stato di attuazione Tutte le misure legislative contemplate dal libro bianco della Commissione, tranne undici proposte, sono state realizzate. Si tratta di 259 misure contenute in 275 testi legislativi. Mentre l'eliminazione delle barriere tecniche è avvenuta senza problemi e si è potuto raggiungere una soluzione provvisoria soddisfacente per quanto riguarda le barriere fiscali, la completa eliminazione degli impedimenti di carattere fisico pone ancora difficoltà. Tra i successi riportati nei principali settori attinenti al programma per il mercato unico si annoverano, accanto alle summenzionate direttive ispirate alla «nuova strategia»: la liberalizzazione della circolazione dei capitali, l'apertura degli appalti di lavori pubblici e forniture (che rappresentano 8% del PNL dell'UE) nonché l'estensione delle disposizioni comunitarie sugli appalti ai settori precedentemente esclusi (energia, acqua potabile, trasporti e telecomunicazioni), la liberalizzazione dei servizi finanziari (banche ed assicurazioni) e dei trasporti (cabotaggio stradale e trasporto aereo), il reciproco riconoscimento dei diplomi universitari e di formazione professionale, l'instaurazione a lungo attesa di una procedura uniforme a livello europeo di omologazione degli autoveicoli e l'istituzione di una Agenzia europea per la valutazione dei prodotti medicinali (a Londra) e di un Ufficio europeo dei brevetti (ad Alicante). Regime provvisorio per il settore fiscale La strategia adottata dal libro bianco per eliminare gli ostacoli fiscali nel mercato interno si è rivelata politicamente non realizzabile nel medio termine. La soluzione proposta prevedeva il passaggio dal sistema di tassazione del paese di destinazione a quello del paese di origine con il versamento preliminare dell'imposta sulle operazioni transfrontaliere, introduzione di forcelle per le aliquote fiscali nazionali, mantenimento della ripartizione del gettito fiscale secondo il principio del paese di destinazione attraverso un «sistema di compensazione». Tuttavia, per poter eliminare i controlli alle frontiere nei tempi previsti, è stato adottato un regime provvisorio, valido fino a tutto il 1996, che si è nel frattempo rivelato molto efficiente: le operazioni tra privati (escluso l'acquisto di vetture) vengono già tassate in base al principio del paese di origine, mentre le operazioni transfrontaliere effettuate dalle imprese continuano ad essere tassate nel paese di destinazione sulla base delle consegne registrate da importatori ed esportatori. Anche per le accise vige tuttora il principio del paese di destinazione. Inoltre sono state fissate le aliquote minime per le diverse imposte speciali di consumo così come per l'imposta sul valore aggiunto: 15% per l'aliquota normale e 5% per l'aliquota ridotta. Barriere fisiche: l'ultimo ostacolo Con l'eliminazione dell'avviso di passaggio e del documento amministrativo unico, la nuova disciplina delle rilevazioni statistiche degli scambi intracomunitari, l'abolizione dei controlli veterinari alle frontiere e di quelli sugli autoveicoli (controlli che ora sono effettuati nei luoghi di produzione all'interno del paese) ed 131 132 il regime provvisorio per le imposte indirette, si sono realizzati considerevoli progressi nella direzione dell'abbattimento delle barriere materiali nel settore della libera circolazione delle merci. Tuttavia le questioni altamente politiche, quali la lotta al terrorismo, al traffico di droga e ad altre forme di criminalità nonché le politiche di asilo e di immigrazione, che devono essere risolte se si vuole procedere all'eliminazione dei controlli sulle persone, hanno trovato finora soluzioni soltanto parziali. Segnali incoraggianti sono giunti grazie alle convenzioni di Dublino e Europol ( -> Europol), nonché, anche se si colloca al di fuori del quadro giuridico dell'UE, con la realizzazione della libera circolazione delle persone tra i «paesi Schengen» dal marzo 1995, i cui effetti sono avvertiti in maniera molto diretta dai cittadini. La Commissione ha presentato tre proposte di direttive nel luglio 1995 volte ad eliminare definitivamente le rimanenti difficoltà e realizzare la piena libertà di circolazione delle persone. L'introduzione di un diritto generale di soggiorno, non dipendente dall'attività lavorativa, per studenti, pensionati e persone non attive e la riconferma della libertà di circolazione e soggiorno per i cittadini dell'Unione (articolo 8 A del trattato CE) riveste invece grande importanza soprattutto nell'ottica dell'->Europa dei cittadini. I problemi dell'attuazione Con l'approssimarsi e lo scadere del termine previsto, l'attenzione è andata progressivamente volgendosi ai problemi dell'attuazione e sulla gestione del mercato unico: le misure adottate dalla Comunità, per lo più direttive, dovevano essere recepite nelle legislazioni nazionali, nel rispetto del loro spirito, ed applicate entro limiti di tempo ben precisi. Mediamente, gli Stati membri hanno recepito il 92,9% della legislazione attinente al mercato unico. In testa alla classifica si trovano la Danimarca ed i Paesi Bassi con il 99,1%, seguiti da Regno Unito, Svezia e Lussemburgo, mentre Austria, Finlandia, Grecia, Italia e Germania registrano i tassi più alti di mancato recepimento della legislazione. Una valutazione meramente quantitativa può però essere fuorviante, poiché non tiene conto delle eventuali manchevolezze dell'attuazione, il cui controllo da parte della Commissione procede solo con molta lentezza. Recepimento delle disposizioni attinenti al mercato interno negli Stati membri Misure notificate In % Non applicabili Deroghe Misure non notificate Recepimento parziale Violazione del trattato per recepimento incompleto Fonte: Commissione europea (Situazione al 16.9.1996) 275 Misure sono entrate in vigore; 219 richiedono leggi di recepimento nazionali. Conseguenze Il pericolo della «Fortezza Europa», evocato dai paesi terzi all'inizio del programma del mercato unico, si è rivelato ampiamente infondato. Il completamento del mercato interno ha comportato piuttosto il superamento delle lacune esistenti nella politica commerciale comune dell'Unione; da quando sono stati eliminati i controlli alle frontiere gli Stati membri non possono più invocare le misure di protezione previste dall'articolo 115 del trattato CE. L'ultima di tali lacune è stata colmata con l'istituzione dell'organizzazione per il controverso mercato delle banane. Ancora una volta il dibattito su Maastricht ha dimostrato che la creazione del mercato unico rappresentava un mezzo per raggiungere un obiettivo, nonché un obiettivo in sé stesso; la credibilità del progetto del mercato unico ha infine spianato la strada ad una maggiore integrazione ed alla creazione di una -> unione economica e monetaria. Kristin Schreiber 133 http://europa.eu.int/pol/av/en/info.htm 134 Mezzi di comunicazione di massa Base giuridica: Riferimenti indiretti negli articoli 59 e 60 del trattato CE (libera prestazione di servizi), negli articoli da 130 F a 130 Q CE (ricerca e sviluppo tecnologico) e nell'articolo 128 CE (cultura). Obiettivi: Creare un mercato europeo dei mezzi di comunicazione, promuovere e sviluppare un'industria dei programmi competitiva, introdurre uno standard per la televisione ad alta definizione. Programmi: Media II per promuovere lo sviluppo dell'industria televisiva europea, Eureka 95 per creare lo standard HDTV, Eureka audiovisivo per la promozione delle infrastrutture audiovisive. I mezzi di comunicazione di massa sono gli strumenti privilegiati per la diffusione di informazioni, cultura e intrattenimento; sotto questo profilo, la loro funzione sociale è di primaria rilevanza. Una politica dei mezzi di comunicazione deve riuscire a garantire un delicato equilibrio fra le esigenze dell'economia e quelle della cultura. Considerati sotto il profilo economico, i mezzi di comunicazione sono soggetti, nella vigente normativa comunitaria, alla legislazione sul -> mercato interno; prima dell'entrata in vigore del trattato sull'Unione europea, invece, la cultura rimaneva una materia di competenza esclusivamente nazionale. Le nuove competenze che l'articolo 128 CE (nuovo testo) attribuisce alla -> Unione europea nel settore culturale consistono, in sostanza, nell'incoraggiare la cooperazione tra Stati membri e nel sostenerne ed integrarne l'azione. Nel caso dei mezzi di comunicazione a stampa il principio della libera circolazione delle informazioni negli Stati dell'Unione era già pacificamente acquisito da decenni, per cui non è stato necessario emanare nei loro confronti alcuna normativa comune. Di conseguenza, la politica dei mezzi di comunicazione dell'UE resta circoscritta quasi esclusivamente al settore audiovisivo, ad un settore, cioè, che nell'ultimo decennio ha visto i cambiamenti più spettacolari. Originariamente, la politica dei mezzi di comunicazione risultava limitata sia dalla scarsezza delle frequenze disponibili sia dalle stesse normative nazionali; il quadro è stato profondamente rivoluzionato dall'avvento della televisione via cavo e via satellite: esplosione dell'offerta di programmi televisivi, da un lato, e scavalcamento delle politiche nazionali per il generalizzarsi delle trasmissioni transfrontaliere, dall'altro. In pari tempo, le imprese cinematografiche e televisive manifestavano l'esigenza di poter recuperare i sempre più elevati costi di produzione ampliando l'area di ricezione dei loro programmi, cioè allargando la propria audience. Le produzioni cinematografiche e televisive europee non sono remunerative se non in parte e l'80% di esse non viene trasmesso fuori del paese d'origine mentre, ad esempio, le produzioni americane recuperano tutti i costi nel loro mercato interno e successivamente inondano l'Europa offrendo i loro programmi a prezzi molto inferiori. Il mercato europeo dei mezzi di comunicazione La Comunità europea ha cominciato a occuparsi della creazione di un mercato europeo dei mezzi di comunicazione all'inizio degli anni '80. Il principio ispiratore è sempre stato quello di garantire - armonizzando le disposizioni sull'emittenza radiotelevisiva - che la diffusione transfrontaliera dei programmi televisivi (che de facto non poteva più essere impedita) non violasse la normativa degli Stati che li ricevono. Dopo una lunga preparazione, il Consiglio ( -> Consiglio dell'Unione europea) adottò il 3 ottobre 1989 la direttiva nota come «Televisione senza frontiere» (direttiva 89/552/CEE) che consente ai programmi audiovisivi di essere diffusi liberamente in tutta l'UE nell'osservanza di alcuni requisiti minimi e di alcune finalità di politica culturale. La direttiva detta una serie di regole con riguardo al tempo di trasmissione dedicato alla pubblicità, alla tutela dei minori, al diritto di replica, nonché disposizioni nella controversa materia della produzione, distribuzione e promozione di programmi televisivi europei, in base alle quali oltre il 50% del tempo di trasmissione deve essere riservato a produzioni europee. Inoltre, è previsto che almeno il 10% del tempo di trasmissione o del bilancio di programmazione vengano riservati alle opere di produttori indipendenti. Non essendo però prescritte da disposizioni di natura cogente, tali «quote» devono essere osservate solo «ogniqualvolta sia possibile» e ogni loro eventuale violazione non è di conseguenza sanzionabile. Protocolli addizionali lasciano agli Stati membri la facoltà di dettare norme più severe sugli enti di radiodiffusione soggetti alla loro giurisdizione. I successivi tentativi della -> Commissione europea per aggiornare e ampliare la portata della direttiva sulla televisione hanno rinfocolato le critiche che investono proprio la ragion d'essere stessa del provvedimento. Mentre la Francia in particolare preme da anni affinché venga stabilita una quota obbligatoria per le produzioni europee, in modo da sostenere almeno transitoriamente la propria industria cinematografica, altri Stati membri ritengono che una norma del genere costituisca un inutile e facilmente eludibile provvedimento protezionistico. Nel marzo 1995 la Commissione ha presentato la proposta di revisione della direttiva «Televisione senza frontiere» che detta, tra l'altro, norme obbligatorie in materia di quote con validità decennale. Su questo punto è stato possibile ottenere il consenso del Parlamento europeo ma non quello del Consiglio, il quale, nel giugno 135 136 1996, ha adottato una posizione comune che proroga per altri cinque anni il precedente regime delle quote «flessibili». Ogni futura revisione della direttiva dovrà peraltro tener conto degli enormi cambiamenti che le mutazioni tecnologiche hanno indotto nell'industria audiovisiva (un solo esempio: le televendite) Per altro verso sono stati più volte espressi dubbi circa le competenze dell'UE in relazione al settore dei mezzi di comunicazione: se è vero che, come sostiene l'Unione, la televisione deve essere considerata un servizio, è anche vero che l'imposizione di quote costituisce in pari tempo un'interferenza nella programmazione televisiva che ad esempio in Germania è competenza dei Länder. In questi ultimi anni si è assistito all'adozione di alcuni provvedimenti che hanno contribuito a meglio definire il mercato europeo dei mezzi di comunicazione: nel 1993 sono state emanate le direttive relative all'armonizzazione del diritto di autore nel caso di emissioni televisive transnazionali e, con la presentazione di un libro verde in questa materia nel 1992, si è aperto in tutta l'Unione un acceso dibattito sull'opportunità che venga emanata una normativa europea diretta a garantire il pluralismo nei mezzi di comunicazione e impedire il costituirsi di posizioni dominanti. Il sostegno all'infrastruttura audiovisiva Nell'Unione europea le produzioni televisive e cinematografiche sono considerate canali privilegiati per la diffusione della cultura e delle identità europee. La difficile situazione del mercato indusse nel 1994 la Commissione europea a presentare un libro verde che invitava al dibattito su una serie di opzioni strategiche per il rafforzamento dell'industria dei programmi. Si è trattato del primo passo di un'iniziativa destinata ad approdare ad un piano che dovrebbe trasformare i mezzi di comunicazione sociale nella Comunità europea in strumenti capaci di sostenere la concorrenza internazionale e le sfide del futuro. Mediante interventi di sostegno accuratamente mirati si vuole superare il frazionamento dei mercati e dare rilievo alla grande ricchezza culturale dell'Europa. Sono questi del resto gli obiettivi del programma MEDIA, che è operativo già dal 1987. Per migliorare la competitività delle produzioni europee questo programma mette a disposizione dei fondi per finanziare non solo la formazione e il perfezionamento professionale degli operatori del settore ma anche attività come il doppiaggio, il noleggio e la distribuzione dei programmi, nonché forme di cooperazione fra gli operatori. Il programma MEDIA vuole infatti contribuire a creare un ambiente favorevole alla produzione cinematografica europea senza interferire nel processo di produzione propriamente detto. Dato che l'esiguità dei fondi si è rivelata un serio fattore frenante, la dotazione finanziaria della seconda fase di MEDIA (MEDIA II) che si estende sugli anni 1996-2000 è stata raddoppiata ed è oggi di 400 milioni di ecu. Unificazione delle norme tecniche Oltre alle barriere costituite dalle lingue, in Europa esiste anche il problema dell'incompatibilità dei sistemi televisivi. Per questo motivo si era deciso di introdurre nella Comunità la televisione ad alta definizione (HDTV), che consente emissioni di qualità cinematografica, in modo da unificare le norme tecniche. Purtroppo, la politica dell'alta definizione è stata un fallimento sul piano industriale, in conseguenza dell'abbandono della norma (provvisoria) D2-MAC, che avrebbe dovuto rappresentare il primo passaggio obbligato in direzione della televisione ad alta definizione. Nel frattempo, però, l'ampia diffusione dei satelliti di telecomunicazione diretta ha indotto produttori e consumatori a voltare le spalle alla norma europea perché troppo costosa e priva di interesse. Dopo una fase di fiere resistenze, questo progetto - così lontano dalla realtà del mercato - fu ritirato mentre contemporaneamente veniva lanciato, nel quadro di Eureka, un progetto per lo sviluppo di un sistema europeo di televisione ad alta definizione, dotato di una generosa dotazione finanziaria, con l'obiettivo iniziale di istituire una norma mondiale. Per quanto negli Stati Uniti fosse già stato sviluppato un sistema numerico (digitale) ad alta definizione che poteva essere ricevuto anche via antenna, la Comunità tenne in piedi fino alla fine del 1992 il proprio progetto il quale, essendo basato sulla tecnologia analogica, era già tecnicamente sorpassato. Fu solo grazie all'opposizione irriducibile del Regno Unito che il progetto venne accantonato. Nel 1994 si è cominciato a lavorare - sempre nell'ambito di Eureka - ad uno standard digitale. Nei prossimi anni, fino a quando verrà introdotta la televisione ad alta definizione in formato 16:9 continueranno quindi ad esistere varie norme e vari formati in concorrenza fra di loro. Poiché il successo della nuova tecnologia dipenderà in gran parte dall'offerta di programmi televisivi, il Consiglio ha varato, nel luglio 1993, ad un piano di azione quadrennale forte di una dotazione finanziaria di 220 milioni di ecu, che serviranno a finanziare le produzioni nel nuovo formato 16:9 e a compensare i costi aggiuntivi che questa trasformazione comporta. Prospettive Alla soglia dell'era digitale il mondo dei media rappresenta uno dei principali mercati europei del futuro: servizi interattivi, programmi individuali a richiesta e possibilità di collegarsi a reti informatiche che coprono l'intero globo terrestre porranno sicuramente la politica europea dei mezzi di comunicazione dinanzi a nuove sfide. L'avvento della «società dell'informazione» multimediale è considerato a Bruxelles una opportunità storica. Tuttavia, a parte l'aspetto puramente economico-commerciale, va osservato che in futuro il ruolo dei mezzi di comunicazione nella formazione dell'identità europea non dovrà essere trascurato. Al di là e nonostante le regolamentazioni comuni, la politica dei mezzi di comunicazione in Europa deve avere la funzione di conservare la grande varietà dei sistemi europei. In questo senso, progetti comuni come il canale di informazioni «Euronews» (che trasmette in cinque lingue) o il canale culturale 137 138 «Arte» e i programmi transfrontalieri specializzati potranno rivelarsi preziosi per il contributo che daranno alla dimensione europea della nostra vita di tutti i giorni. Olaf Hillenbrand Modelli teorici e idee guida dell'integrazione europea Dato che la politica europea ha lasciato fino ad oggi volutamente nel vago quella che dovrebbe essere la forma definitiva del processo d'integrazione, i modelli di sviluppo della -> Unione europea (UE) acquistano la loro importanza per quattro ordini di ragioni. In primo luogo, questi modelli unificano le aspettative degli attori rispetto al processo d'integrazione, consentendo loro di adeguarsi alle nuove circostanze; in secondo luogo, forniscono una giustificazione al ruolo delle istituzioni nel processo di formazione della Comunità (questo vale specialmente per il->Parlamento europeo); in terzo luogo, influiscono sull'opinione pubblica europea, consentendo ai cittadini di identificare i propri valori e le proprie aspettative con il livello di sviluppo raggiunto dalla Comunità ad ogni tappa; infine, i modelli sono espressione del riconoscimento politico di un valore come quello dell'integrazione europea, attribuiscono il dovuto rilievo alla politica europea e hanno quindi un effetto stabilizzatore nelle fasi in cui le decisioni sull'Europa diventano controverse. Il significato e i limiti della funzione assunta da questi modelli di integrazione europea sono venuti alla luce con il dibattito che ha accompagnato la ratifica del trattato sull'Unione europea. In Germania, come in altri Stati membri, la visione di uno Stato federale europeo si è tramutata nell'incubo di un «superstato», mentre altrove (e non soltanto nel Regno Unito durante il dibattito su Maastricht) si sono riaffacciate visioni più tradizionali come quella della «Europa delle patrie». La funzione orientatrice dei vecchi modelli di integrazione si è affievolita con l'acuirsi dell'incertezza sul futuro ordinamento europeo, sull'ampiezza dell'integrazione e sui rapporti fra integrazione e nazioni. Mentre in periodi di stabilità concetti vaghi come «Unione europea» servivano a rafforzare il consenso, nello stadio di integrazione raggiunto con il trattato di Maastricht e con la caduta della pressione esterna rappresentata dal vecchio conflitto Est-Ovest la situazione sembra essersi ribaltata perché lo stesso concetto ha finito col polarizzare le posizioni nella polemica sull'approfondimento dell'integrazione. Nel dibattito attuale su quelli che devono essere i modelli del processo d'integrazione si affrontano - chiamiamole così - tre correnti di pensiero. La prima prospetta un lento distacco dall'obiettivo degli «Stati Uniti d'Europa» e l'avvicinamento alla più apprezzata formula dell'associazione di Stati, che privilegia la coesistenza, in un sistema politico di tipo particolare, di sovranità nazionale e di integrazione sovrannazionale. La seconda corrente di pensiero trae alimento dai risultati delle inchieste d'opinione che hanno documentato il mutato atteggiamento dei cittadini d'Europa nei confronti dei progressi dell'integrazione: 139 140 l'accoglienza del trattato sull'Unione europea da parte dell'opinione pubblica europea segnala che il bisogno di integrazione è già stato soddisfatto. Quello che, in una prospettiva federalista, poteva apparire un trampolino di lancio per il successivo balzo in avanti sembra oggi per molti europei il massimo auspicabile. La terza corrente di pensiero si pone in certo qual modo in opposizione alle prime due in quanto si interroga su quello che dovrà essere il valore dell'integrazione europea come modello-guida per gli altri paesi. Infatti, la prospettiva di un ampiamento dell'UE verso Est significa estendere il principio ispiratore e le forme organizzative dell'integrazione dell'Europa occidentale a quasi tutto il territorio del vecchio continente. I costi che questo evento comporterebbe, il probabile spostamento nell'equilibrio dei poteri e del consenso politico e le prevedibili conseguenze sull'assetto istituzionale sono di dimensioni tali da rimettere in questione l'attuale indirizzo del processo di integrazione. È proprio questo ordine di considerazioni che ha innescato la recente discussione sulla necessità di rendere più flessibile e differenziato il processo d'integrazione dell'UE, della proposta di un'Europa «a geometria variabile» o di un'Europa a più velocità, fino all'idea di una Unione europea che si forma intorno ad un «nocciolo duro» di Stati. I vari aspetti del dibattito dimostrano che molte delle vecchie controversie sui modelli dell'integrazione europea vengono riproposte oggi in veste rinnovata. Lungi dall'apparire storicamente superati, i vecchi modelli si riaffacciano nel nuovo contesto. Vino vecchio in botti nuove. Stato federale - Associazione di Stati - Confederazione di Stati «Stato federale europeo» e «Confederazione di Stati europei» sono i due poli concettuali ai quali si è fatto ricorso, fin dagli albori della Comunità all'inizio degli anni Cinquanta, per descrivere la forma che avrebbe assunto l'Europa una volta realizzata l'integrazione di tutti gli Stati membri. Un'organizzazione con poteri decisionali sovranazionali, rappresentata in tutte le sue diverse forme dall'immagine dello Stato federale, era l'ideale che guidava soprattutto la politica italiana, tedesca e degli Stati del Benelux. Ad essa si contrapponeva la concezione francese - espressa dal suo presidente De Gaulle - dell'«Europa delle patrie», nella quale il motore del processo d'integrazione sarebbe spettato alla cooperazione intergovernativa tra Stati sovrani. Il modo in cui si è sviluppata la Comunità europea dimostra che il cammino seguito finora non ha rispettato la rigida linea di demarcazione fra i due modelli: lo dimostra proprio la sua struttura odierna, che presenta le caratteristiche di entrambi. È bensì vero che la politica europea del Regno Unito alla fine degli anni '80 ha deliberatamente riesumato la retorica gollista per giustificare il rifiuto dell' -> Unione monetaria, della politica estera e di sicurezza comune o della->politica sociale; in realtà, però, per Margaret Tatcher e per il suo successore John Major lo scopo primario era ed è quello di limitare e non di ridurre la crescita di elementi sovrannazionali. Attualmente, il dibattito sulla forma istituzionale che assumerà la Comunità in via definitiva riguarda specialmente la natura del futuro Stato. L'orientamento «federale» del processo d'integrazione, peraltro già delineato nei trattati di Roma, trova espressione in tutta una serie di termini usati per definirla: negli ultimi 30-40 anni è stata delineata l'immagine degli «Stati Uniti d'Europa» e un'immagine ad essa analoga, quella di «Repubblica federale d'Europa». Fare proprio il modello dello Stato federale implica automaticamente che al processo d'integrazione vengano applicate le norme delle costituzioni dei paesi dell'occidente democratico. Concetti federalistici come la ripartizione delle competenze fra Unione e Stati membri, la democraticità del processo decisionale e le garanzie dei diritti civili e politici assumono valenza di postulati nel quadro generale dello Stato federale. Nel linguaggio dei comunicati e delle decisioni europee dagli anni '70 in poi si trova più volte espresso il concetto di «Unione europea» per ricomprendere questi diversi modelli. I vari tentativi fatti successivamente per dargli un concreto contenuto (vanno citati al riguardo il rapporto Tindemans e il progetto di costituzione presentato dal Parlamento europeo nel 1984) sono falliti sul piano politico. Ad un esame superficiale parrebbe che il trattato di Maastricht, istituendo l'Unione europea, abbia realizzato un vecchio obiettivo della politica europea, ma questa costruzione non elimina l'ambivalenza del termine. Se è vero, infatti, che le modificazioni del trattato - soprattutto attraverso l'introduzione di un nuovo procedimento decisionale chiamato «codecisione» ( -> procedure decisionali) e attraverso il principio di sussidiarietà - connotano il modello di Unione europea in senso più marcatamente federalistico, è anche vero che il preambolo del trattato di Maastricht ne parla come di una «Unione fra i popoli d'Europa». Ma vi è più: l'Unione non ha, sul piano del diritto internazionale, lo stesso rango della Comunità europea. La «Comunità economica europea» si è trasformata nella più ampia «Comunità europea», però l'edificazione dei tre pilastri nel nuovo trattato sull'Unione europea sta a sottolineare proprio il parallelismo di strutture sovrannazionali e strutture intergovernative. La->politica estera e di sicurezza comune (PESC) si basa in sostanza sull'unanimità fra gli Stati membri; l'opzione, pur sancita dal trattato, delle decisioni a maggioranza sui successivi sviluppi delle azioni comuni non è mai stata utilizzata, almeno per ora; se si eccettuano, inoltre, l'Unità antidroghe (che va considerata precorritrice di -> Europol), nell'ambito del terzo pilastro non sono state istituite, almeno a tutto il 1995, altre istituzioni permanenti. Al contrario, l'introduzione di una cittadinanza dell'Unione e le disposizioni sulla partecipazione dei cittadini comunitari alle elezioni comunali e europee nel paese di residenza sono espressione di un più accentuato carattere statuale dell'UE. Questa ambivalenza si riscontra anche nel fatto che spesso i responsabili delle istituzioni europee criticano il cambiamento del termine «Comunità» con quello di «Unione» perché, sul piano linguistico, questo cambiamento, visto dall'esterno, avrebbe appannato il carattere solidaristico del processo di integrazione. In conclusione, il trattato sull'Unione europea, con la sua controversa ratifica da parte degli Stati membri, ha delineato ancora una volta un modello guida dai contorni incerti. La tensione che ancora esiste fra uno sviluppo della Comunità in senso sovranazionale e uno in senso intergovernativo è sempre 141 142 presente e sembra addirittura irrobustirsi in quanto fondamento costruttivo per il futuro; all'inizio del terzo millennio l'Unione europea in quanto associazione di Stati non si sgretolerà, ma non prenderà nemmeno la direzione dello Stato federale europeo inizialmente immaginato. Motivazioni Fino dagli anni '50 la costruzione della Comunità persegue quattro grandi obiettivi: sicurezza, pace, libertà e prosperità. Ad essi si aggiunge la crescita economica, il desiderio di una convergenza equilibrata in campo economico e sociale e la volontà di dare un contributo alla civiltà europea tramite l'integrazione degli Stati. Con l'ampliamento a Sud negli anni '80 i governi decisero di introdurre anche concetti come «democrazia» e «stabilità politica». Queste grandi finalità sancite dai trattati corrispondono agli ambiti tradizionali dell'attività statuale e costituiscono una delle principali motivazioni dell'integrazione. Ora, l'obiettivo fondamentale dei governi degli Stati membri è la conservazione della loro sovranità, intesa come capacità di agire dello Stato; siamo quindi davanti al tentativo di affrontare problematiche che presentano ormai implicazioni planetarie precostituendo una struttura nuova che rafforzi la loro capacità di agire, all'indomani di due conflitti mondiali che hanno indebolito l'Europa e scalfito la sua capacità di orientare la politica mondiale. I diversi aspetti di questa motivazione si trovano definiti nella pubblicistica come desiderio di «far sentire la propria presenza» o «la propria voce» o nell'espressione «europeizzazione dell'Europa»; concetti come «terzo polo» (o «terza potenza») o l'immagine di un'Europa come «potenza civile» davano un certo orientamento, che corrispondeva anche all'auspicio che dall'attività della Comunità e delle sue istituzioni scaturisse una «identità europea». Secondo altre teorie, l'unità dell'Europa sarebbe stata la reazione alla disintegrazione e ai conflitti degli Stati nazionali. Dopo il 1989, le speranze riposte nel processo d'integrazione si rivelarono la molla della politica estera di vari Stati ex comunisti dell'Europa centrorientale e - in pari tempo - il rovescio della medaglia dell'attrazione che su di essi esercita il successo politicoeconomico dell'integrazione occidentale. L'ingresso nell'Unione europea era diventato la tappa obbligata per il «ritorno all'Europa». Le reazioni dei governi europei ai sommovimenti nell'Europa centrorientale, all'unificazione tedesca e alla prospettiva di un allargamento all'Est sono pervase da due diverse motivazioni. In un certo senso, questi cambiamenti radicali hanno confortato la determinazione di «segnare una nuova tappa nel processo di integrazione europea» come prevede il preambolo dei TUE, e quindi a rinsaldare ulteriormente i legami di tutti gli Stati membri all'interno del processo stesso e a contestare in tal modo le tendenze centrifughe nascenti dalla disgregazione dei blocchi. Sotto questo profilo l'ulteriore approfondimento dell'UE viene considerato un presupposto necessario per il suo allargamento. L'unità europea come processo Oltre alle dichiarazioni d'intenti e alle motivazioni profonde, una funzione di ideaguida è assolta anche da quei concetti funzionali, di procedimento, che indicano una direzione e un orientamento all'agire, al di là della specifica situazione di un dato momento. Alcune delle strategie che ora illustreremo dimostrano che è lo stesso cammino da percorrere che può diventare il traguardo del processo di unificazione. Ciò vale, con particolare evidenza, per il concetto stesso di integrazione. Nelle dichiarazioni dei movimenti europeistici si trova di frequente una concezione dell'integrazione carica di valenze normative, concezione che è considerata l'unica risposta contemporanea alla forza distruttiva dell'ultranazionalismo. La variante analitica di questa concezione è il funzionalismo, che considera l'integrazione una risposta specifica ai problemi posti dalla creazione di una struttura internazionale complessa. Il concetto di integrazione funzionale acquista il suo valore di guida per l'azione nelle previsioni dei suoi sostenitori sul futuro dell'Europa, e precisamente nella fiducia che i risultati e le esperienze che emergono in alcuni settori interconnessi avranno effetti diffusivi su altri settori determinando in definitiva la spinta verso una Comunità politica. Altre concezioni del processo in atto hanno, per così dire, più una funzione di supporto, in quanto aumentano la plausibilità delle dichiarazioni di intenzioni: di conseguenza, esse acquistano maggiore attrattiva ogni qualvolta l'effettivo processo di integrazione ristagna. Sotto questo profilo meritano di essere rilevate due strategie relative al processo di integrazione comunitaria che rivendicano entrambe la dignità di costruzioni concettuali. La prima, la strategia sperimental-pragmatica, è una formula politicoamministrativa più che accademica e privilegia un approccio flessibile all'integrazione, se necessario al di fuori quadro giuridico-istituzionale, in modo da sormontare eventuali blocchi del processo decisionale. La Cooperazione politica europea e il -> Sistema monetario europeo sono considerati, in questo senso, brillanti esempi di esperimenti pragmatici coronati dal successo ( -> la politica estera e di sicurezza comune e la cooperazione nei settori della -> giustizia e affari interni seguono lo stesso modello, ancorché dall'interno dell'assetto istituzionale dell'UE). La seconda strategia, che favorisce un processo d'integrazione attuabile per gradi successivi o da una parte soltanto della Comunità per sormontare le fasi di stallo, sembra addirittura più ricca sul piano concettuale. «L'integrazione flessibile» intende evitare che il ruolo della Comunità venga ridimensionato da costruzioni esterne e, nel contempo, mira a consentire anche solo a una parte della Comunità di procedere sulla via dell'approfondimento al momento giudicato più opportuno. All'interno di questo disegno si colloca anche il concetto del «nucleo centrale» degli Stati europei il quale, partendo dai membri fondatori della Comunità, prospetta un anello di Stati meno integrati disposto intorno a una struttura 143 144 centrale altamente integrata. Altre teorie privilegiano un sistema a più tappe dove il grado di integrazione aumenta via via che gli Stati si muovono verso il centro (è il sistema dei «cerchi concentrici»), soluzione incentrata sull'idea di una confederazione intorno all'UE o sulla ristrutturazione e trasformazione dello Spazio economico europeo (SEE) come una specie di anticamera alla partecipazione piena all'Unione europea. Comune a questi due modelli è la visione dell'ampliamento e dell'integrazione dell'Unione europea come due processi paralleli: in tal modo essi salvaguardano la dinamicità del processo d'integrazione nonostante le vistose differenze che si registrerebbero in un'Unione europea formata da 25 o addirittura da 30 Stati. Josef Janning http://www.europarl.eu.int/ Parlamento europeo Base giuridica: Articoli da 137 a 144 del trattato CE; articoli 158 e 189 B CE. Composizione: 626 deputati dei 15 Stati dell'UE. Più importante, dal punto di vista politico, è il raggruppamento in gruppi parlamentari (cfr. infra) Competenze: Poteri deliberativi e di controllo (articolo 137 CE). Voto di sfiducia nei confronti della Commissione (articolo 144 CE). Inoltre, a seguito di modifiche dei trattati e specifici accordi: diritto di decisione, per quanto riguarda le spese non obbligatorie del bilancio CE (articolo 203 CE) ed accordi di adesione e di associazione (articolo 238 CE e articolo N TUE); diritto di partecipazione, consultazione nel corso del procedimento legislativo (articoli 43, 100, 130 S del trattato CE); procedure di cooperazione (articolo 189 C del trattato CE); diritto di porre interrogazioni alla Commissione (articolo 140 CE); forme di partecipazione al di fuori del quadro dei trattati (informazioni riservate sulla negoziazione di trattati commerciali o di associazione, diritto di rivolgere interrogazione alla presidenza della PESC, concertazione durante il procedimento legislativo); diritto di approvazione sull'insediamento di una nuova Commissione europea (articolo 158 CE) nonché diritto di codecisione in taluni atti legislativi (articolo 189 B) e diritto di nominare il mediatore europeo. Modalità di votazione: Normalmente, maggioranza semplice; in caso di decisioni importanti (p.es., mozione di sfiducia contro la Commissione, decisioni relative al bilancio) secondo le modalità stabilite nel trattato CE. Il Parlamento europeo (PE) è l'organo parlamentare dell'UE che, dal 1979, viene eletto a suffragio universale diretto. Suo precursore è stata l'Assemblea comune della Comunità europea del carbone e dell'acciaio. Nei trattati istitutivi delle Comunità europee le competenze del PE si limitavano alla semplice consulenza del -> Consiglio dell'Unione europea e al controllo della > Commissione europea. In varie fasi successive tali competenze sono state notevolmente irrobustite senza però raggiungere l'ampiezza di quelle che sono proprie di un parlamento nazionale. Il principale argomento a favore del rafforzamento istituzionale del PE è stato sempre il riferimento alla necessità di una maggior legittimazione democratica nel processo decisionale dell' Unione europea (UE). La Corte costituzionale tedesca, nella sua sentenza del 12 ottobre 1993 sul trattato sull'Unione europea, ha 145 L’EUROPA DALLA A ALLA Z 146 stabilito che la legittimazione democratica, allo stato attuale delle intese, interviene attraverso l'aggancio dell'attività delle istituzioni europee a quella dei parlamenti nazionali. Ad essa si aggiunge, però, la legittimazione democratica mediata dal Parlamento europeo eletto dai cittadini degli Stati membri. Ai sensi dell'articolo 138 del trattato CE, il numero di deputati per i 15 Stati dell'UE è di 626. Tale numero rispecchia solo in parte il numero di abitanti dei vari Stati membri; di conseguenza, un eurodeputato tedesco rappresenta circa 800 000 cittadini, mentre il suo collega lussemburghese ne rappresenta solo 60 000 circa. Di maggior significato politico rispetto alla suddivisione secondo l'appartenenza nazionale sono i gruppi parlamentari che compongono il PE, i quali sono espressione dell'associazione dei partiti europei. Il quadro della situazione, a seguito delle elezioni europee del 1995 è il seguente: Deputati al Parlamento europeo ripartiti per Stato membro e appartenenza ai gruppi politici (Ottobre 1996) B DK D EL PSE 6 3 40 10 21 16 1 18 2 PPE 7 3 47 9 30 12 4 14 2 UPE - - - 2 - 16 7 27 - 6 GCSU/SVN 2 V 1 ARE 5 1 - 4 2 9 1 7 1 - 6 5 1 - - 12 - 2 12 2 - 4 2 1 EDN - 4 - - - 12 - - - 2 - - - NI 3 - - - - 11 - 11 - - 5 - - 16 99 25 64 87 15 87 6 31 21 25 16 22 ELDR NITOTALE 25 E F IRL I L NL A P FIN S UK 7 8 10 4 7 63 216 10 6 1 4 5 19 173 1 - 3 - - - 56 10 - 1 - 8 3 6 1 3 3 2 - 52 33 1 - 1 - - 1 - 4 - 2 27 20 - - 18 - 1 31 87 626 TOTALE Gruppi politici: PSE: Partito del socialismo europeo; PPE: Partito popolare europeo; UPE: Unione per l'Europa; ELDR: Partito europeo dei liberali democratici e riformatori; GCSU/SVN: Gruppo confederale della sinistra unitaria europea/sinistra verde nordica; V: verdi; ARE: Alleanza radicale europea; EDN: Europa delle nazioni; NI: non iscritti. Ai sensi dell'articolo 140 del trattato CE, il PE designa tra i suoi membri il presidente e l'ufficio di presidenza. Il presidente rappresenta il PE a livello internazionale e davanti alle altre istituzioni; egli può delegare tali funzioni. Le decisioni del Parlamento vengono prese nel corso di sedute plenarie; i lavori preparatori si svolgono in 20 commissioni: • commissione per gli affari esteri, la sicurezza e la politica di difesa; • commissione per l'agricoltura e lo sviluppo rurale; • commissione per i bilanci; • commissione per i problemi economici e monetari e la politica industriale; • commissione per la ricerca, lo sviluppo tecnologico e l'energia; • commissione per le relazioni economiche esterne; • commissione giuridica e per i diritti dei cittadini; • commissione per gli affari sociali e l'occupazione • commissione per la politica regionale; • commissione per i trasporti e il turismo; • commissione per la protezione dell'ambiente, la sanità pubblica e la tutela dei consumatori; • commissione per la cultura, la gioventù, l'istruzione, e i mezzi di informazione; • commissione per lo sviluppo e la cooperazione; • commissione per le libertà pubbliche e gli affari interni; • commissione per il controllo dei bilanci; • commissione per gli affari istituzionali; • commissione per la pesca; • commissione per il regolamento, la verifica dei poteri e le immunità; • commissione per i diritti della donna; • commissione per le petizioni. Di norma, il PE vota a maggioranza semplice; in caso di decisioni importanti, tuttavia, esistono dei quorum stabiliti dal trattato CE: una mozione di sfiducia nei confronti della Commissione, richiede, per essere approvata, due terzi dei voti espressi e la maggioranza dei membri del Parlamento (articolo 144); emendamento, o rigetto, di una posizione comune del Consiglio, nell'ambito della procedura di cooperazione: maggioranza assoluta dei membri del Parlamento (articoli 189 B o 189 C); emendamento del bilancio: maggioranza dei membri; modifica, in prima lettura, di spese obbligatorie: maggioranza assoluta dei voti espressi; modifica, in seconda lettura, entro i tassi massimi di aumento: maggioranza dei membri e, contemporaneamente, dei tre quinti dei suffragi espressi; rigetto del bilancio: maggioranza dei membri e dei due terzi dei suffragi espressi (articolo 203). 147 148 Funzioni Dal momento che in seno all'UE non esiste un governo europeo che sia insediato e controllato dal Parlamento, le funzioni del Parlamento europeo non sono paragonabili a quelle dei parlamenti degli Stati membri; nell'ambito del procedimento di formazione delle leggi, inoltre, il PE dispone di poteri decisionali solo molto limitati. Possono essere definite come funzioni del PE le tre attività che seguono: • la funzione di indirizzo politico comprende tutte quelle attività del PE che mirano ad influenzare le attuali politiche dell'UE; vi rientrano i tre settori dell'iniziativa, della partecipazione al procedimento legislativo e del controllo; • la funzione di architetto del sistema concerne lo sviluppo da imprimere al sistema istituzionale dell'UE, sia per quanto riguarda le modifiche al processo decisionale che per quanto riguarda la ridistribuzione delle competenze tra l'UE e gli Stati membri; • la funzione di interazione si riferisce alle relazioni tra deputati ed elettori; si tratta di dar voce agli interessi degli elettori, di aggregare le posizioni diverse e di mobilitare i cittadini verso obiettivi significativi. Il Parlamento europeo, fin dalle prime elezioni europee nel 1979, è stato in grado di assicurare ampiamente la funzione di indirizzo politico - specialmente nell'ambito dell'iniziativa e del controllo - ed anche quella dell'architettura del sistema. Il PE registra, invece, grandi difficoltà soprattutto nell'esplicare la propria funzione di interazione. L’EUROPA DALLA A ALLA Z La partecipazione del Parlamento europeo al processo legislativo - Panorama Assenso («Parere conforme») Codecisione diritti dei cittadini dell'Unione • accordi internazionali • elezioni europee • compiti della Banca centrale europea • compiti dei fondi strutturali e di coesione • approvazione della Commissione europea completamento del mercato unico • riconoscimento dei diplomi • sanità • cultura/ricerca • cooperazione nel settore dell'istruzione • reti transeuropee • tutela dei consumatori • programma di azione per la tutela ambientale Cooperazione trasporti • ambiente • protezione sul posto di lavoro • cooperazione con i paesi in via di sviluppo • promozione della formazione professionale • fondi sociali e regionali Procedura di bilancio -> Bilancio Consultazione in altri settori della legislazione europea L'indirizzo politico A seguito delle prime elezioni europee del 1979, Il PE ha cominciato a sviluppare un'ampia gamma di nuove attività e ad assumere numerose iniziative contro la violazione dei diritti umani in varie parti del mondo, ad affrontare questioni connesse al terzo mondo ed avvenimenti d'attualità dell'UE. A causa della debolezza dei propri poteri, la sua capacità di influenzare le decisioni importanti dell'UE nei tradizionali campi di competenza di quest'ultima non era affatto soddisfacente. I deputati cominciarono a cercare, specialmente per quanto riguardava il bilancio ed il procedimento legislativo, la prova di forza con il Consiglio senza esitare neppure di fronte alla possibilità di coinvolgere la -> Corte di giustizia europea in questo tipo di controversie. Nel 1980 e nel 1985 venne respinto il bilancio della CE, con la conseguenza che, fino ad elaborazione avvenuta di un nuovo progetto di bilancio, la Comunità dovette procedere con il 149 150 sistema cosiddetto dei «dodicesimi provvisori»: ogni mese era disponibile un dodicesimo delle risorse dell'esercizio precedente. Dal 1979, il PE è andato intensificando l'efficacia dei suoi controlli attraverso l'uso intenso del diritto di interrogazione, un'attenta azione di sorveglianza politica delle spese dell'UE da parte della sua commissione dei bilanci e attraverso l'istituzione di commissioni d'inchiesta. La varietà di tutte queste - spesso non ben coordinate - attività, gli è valsa l'accusa di non concentrare abbastanza la propria attenzione sugli affari essenziali dell'UE. In seguito all'entrata in vigore dell'Atto unico europeo (AUE), nel luglio 1986 e del trattato sull'Unione europea, nel novembre 1993, la situazione si è modificata nel senso che, attualmente, la partecipazione all'emanazione dei provvedimenti relativi al mercato interno conquista uno spazio sempre più ampio in seno ai lavori parlamentari. A questo proposito, le nuove procedure di cooperazione (articolo 189 C) e di codecisione (articolo 189 B) si sono ampiamente affermate nella prassi anche se non possono sostituirsi ad effettivi, più penetranti poteri decisionali in campo legislativo. La Commissione ed il Consiglio vanno incontro alle richieste e ai desideri dei deputati in misura più ampia che in passato. Il Parlamento europeo ha anche fortemente sottolineato la necessità di tener adeguatamente conto della dimensione sociale ed ecologica all'atto della realizzazione del -> mercato interno. L'architettura del sistema Ai fini della riforma dell'UE, il Parlamento europeo ha un importante ruolo da svolgere in un duplice senso: nel quadro di un modello democratico della Comunità - e in quanto rappresentanza eletta dei cittadini - ad esso compete, innanzitutto, un ruolo decisionale di primo piano; esso, poi, è anche un insostituibile motore dei cambiamenti. Questa tendenza si era palesata già prima delle elezioni europee del 1979 attraverso i reiterati tentativi del PE di presentare progetti per una Comunità più democratica e più efficiente, tra i quali vanno segnalati il progetto di trattato dell'Assemblea ad hoc della CECA, del 1953, la relazione Pleven sul «Progetto di un trattato sulla fondazione di un'Unione dei popoli europei», del 1961, nonché la relazione Bertrand sull'Unione europea, del 1975. All'indomani delle prime elezioni europee, l'attività volta a rimodellare il sistema si è fortemente intensificata ed è culminata il 14 febbraio 1984 nell'approvazione del «Progetto di trattato sulla fondazione dell'Unione europea». Si tratta di un progetto che presenta l'architettura di una costituzione europea: Parlamento e Consiglio partecipano con pari diritti all'elaborazione degli atti dell'Unione europea; tra gli Stati membri e l'Unione viene introdotta una chiara suddivisione delle competenze nella quale il principio di sussidiarietà assume un significato decisivo. Dopo il 1984, il progetto non poté più essere realizzato ma contribuì a dare un impulso decisivo all'elaborazione dell'Atto unico. Con il trattato di Maastricht sull'Unione europea, entrato in vigore nel novembre 1993, il ruolo del Parlamento europeo è considerevolmente aumentato. Esso, per esempio, ha ottenuto non solo il potere di approvare l'insediamento della nuova Commissione europea, che poi resta in carica per lo stesso periodo di tempo del Parlamento, ma anche una più ampia partecipazione al processo legislativo attraverso la nuova - e molto complicata - procedura di codecisione, descritta all'articolo 189 B del trattato CE. Il trattato di Maastricht ha anche istituito la figura del mediatore al quale i cittadini europei possono indirizzare le loro denunce (articolo 138 E). Resta insoddisfacente, invece, l'ampiezza dei poteri attribuiti al Parlamento sia nell'ambito della -> politica estera e di sicurezza comune che nell'ambito della -> giustizia e degli affari interni. La -> conferenza intergovernativa incaricata di esaminare il trattato di Maastricht incide in modo particolare sulla posizione istituzionale del Parlamento europeo perché, tra l'altro, prevede una verifica delle modalità di applicazione della procedura di codecisione. Tale procedura è contraddistinta da decisioni a maggioranza in seno al Consiglio e da tre letture da parte del Parlamento per cui, alla fine, la posizione del Parlamento è praticamente equiparata a quella del Consiglio. Il suo campo di applicazione si limita, tuttavia, ad una serie di settori riguardanti soprattutto il mercato interno. Secondo il Parlamento, nella futura attività legislativa, tale procedura dovrà diventare la regola, anche se in taluni casi particolarmente delicati - come modifiche ai trattati, adesioni, risorse proprie, sistema elettorale uniforme, ampliamenti delle competenze ai sensi dell'articolo 235 del trattato CE continuerà ad essere necessaria l'unanimità del Consiglio o dei governi degli Stati membri. Nella propria risoluzione del 17 maggio 1995 sulla conferenza intergovernativa del 1996, il Parlamento europeo si è occupato a fondo della ripartizione delle competenze tra UE e Stati membri. Settori come quello della politica estera e di sicurezza e della giustizia e della politica interna («secondo e terzo pilastro»), rimasti finora nella sfera della cooperazione tra i governi, dovranno progressivamente entrare a far parte della sfera di competenza della Comunità. Con ciò, la Commissione ed il Parlamento, in futuro, potranno partecipare in modo più incisivo alle decisioni in questi settori. La Corte di giustizia europea diverrebbe, quindi, competente per il controllo della legalità in questi settori. Per la politica estera e di sicurezza comune viene proposta una procedura che consente, ad una maggioranza qualificata degli Stati dell'UE, azioni - umanitarie, diplomatiche o militari - che possano essere qualificate come «azioni comuni». Nessun paese potrà essere costretto, contro la propria volontà, a prender parte ad un azione siffatta così come nessun paese potrà, con la propria opposizione, impedire alla maggioranza di dar corso a tale azione. 151 152 Secondo i progetti del Parlamento, anche in futuro dovrà essere mantenuto il ruolo centrale della Commissione e la sua indipendenza. Il monopolio dell'iniziativa, che appartiene alla Commissione, non viene, pertanto, messo in discussione - anche per evitare, in tal caso, una rinazionalizzazione della politica europea che sarebbe da temere se venisse riconosciuto al Consiglio un diritto di iniziativa. Questa posizione si spiega col fatto che il ruolo politico del Parlamento dipende essenzialmente dalla forza istituzionale della Commissione, al cui insediamento esso partecipa in misura determinante. Interazione con gli elettori e ruolo/modello politico Nonostante i molteplici sforzi, il PE continua ad incontrare notevoli difficoltà nello spiegare ai cittadini dell'UE le proprie funzioni e la propria attività. Secondo un'indagine rappresentativa, svolta per conto della Commissione dell'UE nella primavera del 1995, solo il 52% dei cittadini dell'UE aveva recentemente letto o sentito parlare del PE. Appena il 44% degli interrogati - contro il 52% di quattro anni prima - auspicavano un rafforzamento istituzionale di tale organismo; il 55% degli interrogati affermava che le motivazioni a carattere nazionale erano decisive nel voto alle elezioni europee. Tutto ciò dimostra che, davanti ai suoi elettori, il Parlamento europeo non è ancora stato in grado di precisare il proprio ruolo istituzionale. Ciò potrebbe anche essere dovuto al fatto che un deputato europeo deve rappresentare - in media statistica - ben 600 000 cittadini europei. Il ruolo del PE e la sua immagine nell'opinione pubblica dipendono essenzialmente da due fattori: dalla particolarità del sistema dell'UE e, al suo interno, dalla posizione istituzionale del Parlamento, nonché dalla percezione delle proprie funzioni e dalle priorità che esso stabilisce nello svolgimento del proprio lavoro. Se si cercasse un modello realistico in grado di descrivere il ruolo del Parlamento europeo, si potrebbe suggerire il concetto di co-autore istituzionale: si ricordi che il PE partecipa in varie forme al processo decisionale in seno all'UE. Pur senza poter decidere in tutti i casi le procedure, esso dispone nel complesso di tali poteri e mezzi di pressione che gli altri organi coinvolti devono tener conto dei suoi obiettivi ed interessi, anche se in casi specifici, al Parlamento mancano determinati poteri decisionali. Questo concetto di «co-autore» è quello che meglio descrive l'attuale situazione istituzionale del PE in seno al sistema dell'UE. Si tratta però di un modello che non esprime le esperienze cui sono abituati sia gli elettori che i deputati europei con i propri parlamenti nazionali. Per ora, il PE non è divenuto l'organo legislativo europeo; tuttavia, la sua posizione corrisponde, in misura anche maggiore di quanto non accada a taluni parlamenti nazionali, allo schema classico della suddivisione dei poteri, dal momento che esso controlla l'esecutivo nella sua interezza e non attraverso un'opposizione perennemente in minoranza. Bilancio Ormai alla quarta legislatura, si può dire che il PE abbia saputo conquistarsi nell'architettura istituzionale della Comunità una posizione che va ben al di là di quella descritta nei trattati istitutivi: oggi, esso partecipa, con conseguenze visibili, al procedimento legislativo sul mercato interno, influenza, con i propri poteri sul bilancio, attività essenziali della Comunità ed ha la possibilità, attraverso le interrogazioni parlamentari, le commissioni d'inchiesta, quelle ad hoc ed i dibattiti urgenti, di rendere comprensibili per i cittadini il funzionamento della Comunità. Inoltre, esso influenza anche in vari modi gli orientamenti in politica estera della Comunità e dei suoi Stati membri. Tutto ciò non può nascondere, tuttavia, la necessità sempre presente di una riforma: il PE continua a non disporre di poteri decisionali essenziali; l'interesse dei media al suo lavoro continua ad essere abbastanza limitato ed anche la sua notorietà non è molto elevata. In questa situazione, un ulteriore rafforzamento istituzionale del Parlamento europeo potrebbe produrre dei progressi tali da andare oltre le riforme stabilite nel trattato sull'Unione europea. Un'occasione in questo senso è offerta dalla conferenza intergovernativa del 1996 che verificherà varie norme del trattato di Maastricht. Le riforme in tale sede invocate devono fornire precisi orientamenti ai cittadini, semplificare l'ordinamento vigente e garantire maggior democrazia attraverso una rivalutazione del ruolo del Parlamento. Otto Schmuck 153 http://europa.eu.int/pol/fish/en/info.htm 154 Pesca Base giuridica: Articolo 38 del trattato CE. Obiettivi: Assicurare un reddito adeguato a coloro che lavorano nel settore della pesca e garantire la stabilità dei prezzi, un approvvigionamento sicuro, prezzi ragionevoli per i consumatori, nonché la conservazione e la tutela delle risorse ittiche. Strumenti: Introduzione di un'organizzazione di mercato e sostegno alle organizzazioni di produttori, determinazione del totale ammissibile di catture nelle acque territoriali dell'Unione e relativa ripartizione tra gli Stati membri, adozione di norme relative agli attrezzi e alle taglie minime, controllo del rispetto delle norme, conclusione di accordi di pesca con paesi terzi, misure strutturali per il settore. Bilancio: 1996 = 27,8 milioni di ecu (costi relativi all'organizzazione di mercato). L'«Europa blu», come viene talvolta chiamata la politica comune della pesca, costituisce dal punto di vista giuridico un fenomeno recente nell'ambito del processo di integrazione europea. È dal 1970 che due regolamenti comunitari garantiscono a tutti i pescatori della CE il libero accesso, a pari condizioni, alle zone di pesca della Comunità, pur con alcune eccezioni a favore di zone costiere particolarmente dipendenti dall'attività di pesca. L'ampliamento della Comunità verso nord, avvenuto nel 1973, ha esteso notevolmente le zone di pesca, con la conseguenza che la politica della pesca è diventata materia di negoziato.Il Regno Unito, l'Irlanda e la Danimarca hanno potuto ottenere, per la propria pesca costiera, alcune concessioni - la creazione di zone di sei o dodici miglia -che sono rimaste in vigore fino al 1983. Il problema della ripartizione dei diritti di pesca è stato dibattuto, dalla metà degli anni 70 in poi, sia a livello comunitario che in ambito internazionale. Alla terza conferenza sul diritto del mare, organizzata dalle Nazioni Unite, non è stato però possibile raggiungere un accordo su questo punto e numerosi stati hanno allora introdotto una zona di 200 miglia, iniziativa seguita nel 1977 anche dalla CE. La conseguenza è stata un'ulteriore riduzione delle possibilità di pesca in acque internazionali, che ha indotto i paesi con zone di pesca limitrofe a concordare diritti di pesca reciproci. Dal canto suo la Comunità ha concluso accordi di pesca con numerosi paesi terzi. Alla conservazione delle risorse ittiche si è provveduto determinando annualmente il totale ammissibile di catture e i relativi contingenti. Con l'ampliamento verso sud del 1986 si sono ulteriormente estese le zone di pesca comunitarie, mentre il numero dei pescatori è raddoppiato. Per la Spagna e il Portogallo sono state decise misure transitorie, in vigore fino al 1996, che disciplinano l'accesso alle acque reciproche e limitano i diritti di pesca. Organizzazione di mercato Secondo l'articolo 38 del trattato CE le disposizioni concernenti l'agricoltura e gli scambi di prodotti agricoli si applicano, in quanto compatibili, anche alla pesca. Nell'intento di ampliare le organizzazioni di mercato agricole, il Consiglio dei ministri ( -> Consiglio dell'Unione europea) ha adottato, nel 1970, il regolamento sull'organizzazione comune dei mercati per i prodotti della pesca, successivamente modificato nel 1976, nel 1981 e nel 1992. Sono state innanzi tutto stabilite norme comuni di commercializzazione, riguardanti la classificazione in base alla qualità, al calibro e al peso nonché l'imballaggio, la presentazione e l'etichettatura dei prodotti, con l'obiettivo di garantire la trasparenza dei mercati e di scartare i prodotti di qualità scadente. La commercializzazione è affidata alle organizzazioni dei produttori. Ogni anno vengono fissati prezzi di orientamento per le singole specie ittiche, mentre le organizzazioni di produttori possono stabilire prezzi di ritiro: se scendono al di sotto di tali prezzi, i prodotti consegnati dai membri di queste organizzazioni non vengono messi in vendita ma ottengono invece una compensazione finanziaria, pagata in parte dal Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia ( -> politica strutturale regionale). Anche coloro che non aderiscono a queste organizzazioni sono talvolta tenuti a rispettare (obbligo generale) i prezzi di ritiro che, per le principali specie ittiche, corrispondono al 70-90% del prezzo di orientamento. Alle importazioni di pesce nell'Unione vengono applicati dazi doganali mentre per alcune specie e i relativi prodotti trasformati sono stabiliti prezzi di riferimento, basati sui prezzi alla produzione degli ultimi tre anni. Per le importazioni si può esigere che i prezzi non siano inferiori al prezzo di riferimento e per alcuni prodotti è possibile applicare una tassa di compensazione pari alla differenza tra il prezzo di riferimento ed il prezzo franco frontiera maggiorato del dazio doganale. Per le esportazioni sono previste restituzioni che coprono la differenza tra il prezzo all'interno della Comunità e il prezzo su determinati mercati d'esportazione. Politica strutturale Contemporaneamente alla prima versione dell'organizzazione comune dei mercati (l'ultima versione è del 1976) è stato adottato, il 20 ottobre 1970, un regolamento che istituisce una politica strutturale comune nel settore della pesca. L'obiettivo è di promuovere uno sviluppo equilibrato ed armonioso del settore in questione nonché lo sfruttamento razionale delle risorse biologiche dei mari, dei fiumi e dei laghi. Per garantire il coordinamento delle politiche strutturali gli Stati membri si sono impegnati a trasmettere alla Commissione europea una relazione annuale 155 156 sulla situazione strutturale del settore della pesca, sulla natura e la portata delle misure previste per l'anno in corso e sui programmi pluriennali. La Commissione è invece tenuta a trasmettere annualmente al Parlamento europeo e al Consiglio dei ministri una relazione sulla situazione strutturale del settore della pesca, sul coordinamento della politica strutturale a livello comunitario, sulle misure adottate a tal fine e sul finanziamento comunitario. Dopo lunghi e difficili negoziati sono stati adottati, nel 1993, i programmi di orientamento pluriennali per la flotta peschereccia, validi fino al 1996. Partendo dagli obiettivi in termini di capacità precedentemente stabiliti per il 1991, essi prevedono per tutti gli Stati membri una riduzione dello sforzo di pesca, differenziato a seconda delle specie bersaglio e dei metodi di pesca. La riduzione prevista è del 20% per la pesca con reti da traino di specie ittiche demersali, i cui stock sono gravemente in pericolo, e del 15% per i pesci piatti. Per quanto riguarda invece la pesca di specie pelagiche, che presentano una situazione relativamente favorevole, e la pesca con attrezzi fissi (reti fisse, reti trappola, ecc.), considerata come selettiva e rispettosa degli stock, la riduzione si limita a quella prevista nell'anno di riferimento 1991. Contrariamente ai precedenti programmi comunitari, i massimali per le dimensioni delle flotte sono stati fissati in base allo «sforzo di pesca», rappresentato dal prodotto della capacità di pesca moltiplicata per i tempi di pesca; gli obiettivi previsti possono essere raggiunti, nella misura massima del 45%, mediante una diminuzione dei tempi di pesca. Dato che i tassi di riduzione si basano su obiettivi precedentemente fissati, il ridimensionamento delle flotte rispetto alla situazione all'inizio del programma (inizio 1993) è assai diversa a seconda degli Stati membri. Nel quadro della riforma dei fondi strutturali è stato introdotto un unico strumento finanziario per la pesca, lo SFOP (strumento finanziario di orientamento per la pesca) che ha sostituito, dal 31 dicembre 1993, i regimi di aiuto comunitari precedenti. In futuro le decisioni su eventuali aiuti spetteranno fondamentalmente agli Stati membri, entro il limite delle risorse loro assegnate e in base ad un sistema di programmazione semplificato. Conservazione e gestione comunitaria degli stock ittici Uno spazio economico unificato ( -> mercato interno) implica che le zone di pesca che adesso appartengono debbano essere accessibili senza alcuna discriminazione nazionale. Non è stato dapprima possibile garantire tale obiettivo, in quanto i settori della pesca dei vari Stati membri presentavano gradi di efficienza diversi ed era necessario proteggere la pesca costiera da concorrenti più agguerriti. All'inizio è stata pertanto introdotta, per un periodo di 5 anni, una zona esclusiva di tre miglia. Dopo l'ampliamento delle zone di pesca esclusive da 12 a 200 miglia, entrato in vigore il 1 gennaio 1970, la Comunità ha dovuto trovare una soluzione che garantisse uno sfruttamento razionale a livello comunitario e la salvaguardia delle risorse ittiche. La fissazione dei totali ammissibili di cattura, la relativa ripartizione tra gli Stati membri e la normativa sull'accesso alle acque costiere sono state oggetto di difficili trattative in seno al Consiglio dei ministri tra il 1976 e il 1982. Il 25 gennaio 1983 è stato raggiunto un accordo che autorizza gli Stati membri a mantenere, per un periodo di 20 anni, zone esclusive sino ad un massimo di 12 miglia, purché garantiscano il rispetto dei diritti di pesca tradizionali di altri Stati membri. Per le principali specie ittiche i contingenti di cattura sono stati riconfermati per i successivi 20 anni, pur con continui adeguamenti dovuti all'evoluzione degli stock. Con il rarefarsi delle riserve ittiche e la relativa concorrenza è diventato sempre più importante poter controllare il rispetto dei contingenti di cattura e delle restrizioni decise di comune accordo in relazione ai metodi di pesca. A questo proposito il Consiglio dei ministri ha deciso, nel 1993, una serie di novità fondamentali: le autorità degli Stati membri sono tenute, in caso di violazioni delle normi vigenti, ad adottare le opportune misure fino a promuovere eventuali azioni penali contro tali violazioni. I controlli sono di competenza degli Stati membri, mentre la Commissione provvede a vigilare sulla loro efficacia, soprattutto mediante ispezioni improvvise e il ricorso a nuove tecnologie per la localizzazione continua delle navi. Tutti i pescherecci debbono tenere un giornale di bordo che consenta di verificare se sono state rispettate le norme comunitarie sulla composizione delle catture in relazione agli attrezzi utilizzati. Winfried von Urff 157 http://europa.eu.int/pol/cons/en/info.htm 158 Politica dei consumatori Basi giuridiche: Articoli 3 S e 129 A del trattato che istituisce la Comunità europea. Obiettivi: Protezione dei consumatori attraverso la tutela del diritto alla sicurezza e alla salute, risarcimento dei danni, tutela degli interessi economici, rappresentazione, informazione e istruzione. Strumenti: Programmi d'azione e strumenti giuridici. Bilancio: 1996: informazione dei consumatori: 8 milioni di ecu; rappresentazione dei consumatori e accesso ai tribunali: 6,15 milioni di ecu; controllo della qualità e monitoraggio della produzione: 5,9 milioni di ecu; totale: 20,05 milioni di ecu. Il -> mercato unico dell'->Unione europea (UE) offre un'enorme scelta di merci e servizi. Ma mentre il mercato dei consumi cresce, la sua trasparenza diminuisce e spesso, per i consumatori, è difficile orientarsi nella giungla del mercato europeo. L'UE, con i suoi programmi d'azione e con la sua produzione legislativa, ha il compito di uniformare a livello transfrontaliero i requisiti per i prodotti e le condizioni di commercio e creare così una solida base per le attività commerciali, a tutto beneficio di chi vende e di chi consuma. Il trattato sull'Unione europea, entrato in vigore nel novembre 1993, con gli articoli 3 S e 129 A ha introdotto nel trattato CE l'obiettivo di garantire ai cittadini dell'Unione un «alto livello di protezione dei consumatori», assegnando per la prima volta alla politica europea dei consumatori lo status di settore autonomo della politica dell'Unione. Sviluppo della protezione dei consumatori Già il preambolo al trattato che istituisce la Comunità economica europea (CEE) fissava l'obiettivo di un «miglioramento costante delle condizioni di vita», a beneficio dei consumatori negli Stati membri. Anche l'articolo 2 dello stesso trattato pone le basi per la promozione di «un miglioramento sempre più rapido del tenore di vita». Inoltre la politica agricola ( -> agricoltura) (articolo 39 CEE) ha il compito di garantire il sostentamento dei consumatori a prezzi ragionevoli. E non bisogna dimenticare che le normative comunitarie in materia di concorrenza (articolo 86 del trattato CEE) vietano di «limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico a danno dei consumatori». Con il progredire dell'integrazione europea apparve sempre più evidente la necessità di una politica comune per i consumatori. Nel 1975 il Consiglio dei ministri ( -> Consiglio dell'Unione europea) varò il «Programma preliminare della Comunità economica europea per una politica di protezione e di informazione del consumatore», incentrato sulla tutela di cinque diritti fondamentali: 1) protezione della salute e della sicurezza, 2) protezione degli interessi economici dei consumatori, 3) dritto a informazioni affidabili, 4) tutela giuridica, 5) rappresentanza dei consumatori a livello comunale e nazionale. Negli anni 1981-1986, 1990-1993 e 1993-1995 seguirono quindi altri programmi per i consumatori, che in linea di massima confermarono criteri e obiettivi del primo piano d'azione. Ma malgrado questo costante lavoro di aggiornamento la protezione dei consumatori in Europa ebbe un'avvio molto stentato, perché spesso a questi ambiziosi piani si contrapponevano potenti interessi economici. Nel 1987 il varo dell'Atto unico europeo diede nuovo slancio alla protezione dei consumatori: il nuovo articolo 100 A, paragrafo 11, del trattato CEE prescriveva infatti che nello sviluppo del mercato unico ci si dovesse basare su un «livello di protezione elevato» in materia di sanità, sicurezza, protezione dell'ambiente e protezione dei consumatori. Con questa disposizione l'AUE creava le basi giuridiche concrete per la protezione dei consumatori in Europa. Nel TUE tale disposizione è completata dalla nozione di «azioni specifiche» per la sanità e la sicurezza nonché per gli interessi e l'informazione dei consumatori. Attuazione della protezione dei consumatori Come la realizzazione del mercato unico, anche l'attuazione della protezione dei consumatori è stata un processo graduale. Dapprima la Commissione europea, attraverso l'armonizzazione delle normative, ha cercato di garantire un livello di protezione uniforme a livello comunitario, provvedendo contemporaneamente a smantellare le barriere al commercio. Tuttavia presto furono evidenti i limiti di una siffatta politica per i consumatori: troppo forte era la lobby industriale, troppo deboli le basi giuridiche della protezione dei consumatori e troppo macchinose le procedure di armonizzazione per i singoli prodotti. Le discussioni sulle direttive e i regolamenti europei a volte duravano anni, e l'obbligo di raggiungere l'unanimità in seno al Consiglio rendeva ancor più farraginoso il meccanismo decisionale. Nel 1985, con il suo libro bianco sul mercato interno, la Commissione decise un nuovo approccio alla politica per i consumatori. Da allora le direttive sulla protezione della salute e della sicurezza vengono adottate dal Consiglio «in blocco», per intere categorie di prodotti, rendendo così superfluo il lungo processo di ravvicinamento «in dettaglio», prodotto per prodotto, delle normative nazionali. L'elaborazione di norme tecniche per i requisiti basilari di sicurezza dei prodotti è stata affidata ad esperti dei comitati di normalizzazione privati CEN e Cenelec. Oggi il marchio del CEN funge da sigillo di qualità e garantisce un livello comune di protezione minima. 159 160 Dal 1987 vale il principio del riconoscimento reciproco: ciò che viene legalmente prodotto e commercializzato in uno Stato membro può essere venduto in tutti gli altri Stati membri: lo ha deciso la -> Corte di giustizia europea nella sua ormai storica sentenza nota col nome di «Cassis de Dijon». Tuttavia per il consumatore questo principio, oltre al vantaggio di poter scegliere tra una più vasta gamma di prodotti, comporta anche dei rischi. Infatti esso consente la commercializzazione a livello europeo anche di prodotti la cui procedura di produzione in alcuni paesi sarebbe giudicata illecita. Per proteggere i consumatori sono stati quindi posti alcuni limiti alla libera circolazione delle merci: i singoli Stati membri possono decidere delle normative di protezione più severe, e in determinati casi possono vietare l'importazione di specifici prodotti, a condizione che esistano dei motivi giustificati, come ad esempio la protezione della salute o la difesa degli interessi dei consumatori. Nel 1996, a causa dell'epidemia di encefalopatia spongiforme bovina, è stato decretato il divieto assoluto di esportazione per la carne di manzo britannica. Parallelamente l'UE ha lanciato un programma di lotta contro tale malattia. Una direttiva europea prescrive che qualsiasi prodotto alimentare sia dotato di un'etichetta che informa il consumatore sulla composizione e la data di scadenza. Una serie di criteri di purezza ed elenchi vincolanti specificano esattamente quali additivi sono consentiti e quali no. In base a un progetto di regolamento, in futuro i prodotti sottoposti a manipolazione genetica saranno soggetti a un obbligo di stampigliatura qualora abbiano subito delle mutazioni chimiche dimostrabili. Per la conservazione dei prodotti elementari mediante irradiazione continuano invece a valere le disposizioni nazionali, giacché fino ad oggi non si è provveduto a una regolamentazione a livello dell'Unione. Dal 1994 nell'UE è stato attuato il mercato transnazionale delle assicurazioni. Ogni società che possiede la licenza per operare in uno Stato membro può offrire polizze anche in altri Stati membri. A causa delle forti diversità dei sistemi giuridici l'UE ha rinunciato a unificare totalmente le disposizioni. Per l'utente ciò comporta uno scenario complicato e spesso confuso. Per questo motivo le associazioni dei consumatori chiedono un'armonizzazione della legislazione di base sulle polizze di assicurazione. Da sempre l'azione delle associazioni dei consumatori europei ha influito sul modello politico inducendo a migliorare la protezione dei cittadini. Nel 1985, con il varo della direttiva sulla responsabilità relativa ai prodotti, è stata accolta una dello loro istanze fondamentali. Nel caso di danni non è più il consumatore a dovere provare al produttore gli eventuali difetti del prodotto, ma è il produttore a dover dimostrare che il prodotto non era difettoso. Qualora il produttore non sia in grado di fornire tale prova, deve risarcire i danni. Un ulteriore esempio dell'attuazione della protezione dei consumatori è la direttiva sulle vendite a domicilio, in base alla quale il cliente ha diritto a una settimana di riflessione prima che il contratto acquisti efficacia. I venditori sono obbligati ad informare per iscritto i consumatori di questo loro diritto. Vi sono poi numerose altre direttive varate dalla Comunità in favore dei consumatori, su questioni come la sicurezza dei giocattoli, dei prodotti cosmetici, tessili e dei materiali di costruzione, nonché sulla protezione dalla pubblicità ingannevole e dalle clausole abusive nei contratti di vendita per corrispondenza. Inoltre esistono regolamentazioni comuni per quanto riguarda le offerte di viaggi «tutto compreso», i crediti al consumatore o i diritti dei viaggiatori aerei. Per informare i cittadini sul cosiddetto «euroshopping» e aiutarli a orientarsi nella giungla di decisioni, direttive e regolamenti, l'Unione europea ha attivato una serie di punti di informazione per i consumatori, sparsi per il territorio del mercato unico. Tali centri d'informazione intendono fungere da «avvocati dei cittadini», cercando di fornire consigli su come evitare le «trappole europee». Ad esempio essi informano sul dove e come si possono fare gli acquisti più a buon mercato. Grazie all'attivazione della rete informatica Coline i centri per i consumatori hanno oggi a disposizione un moderno mezzo di comunicazione per potere appurare velocemente e in modo mirato quali sono le normative e le disposizioni in vigore nei paesi confinanti per un settore specifico. Bilancio Il trattato sull'Unione europea ha riconosciuto maggiore importanza alla politica dei consumatori. Tuttavia rimane molto da fare perché i consumatori possano approfittare appieno del mercato interno, e soprattutto sussistono ancora forti disparità tra gli Stati membri per quanto riguarda la consapevolezza della rilevanza di una politica di protezione dei consumatori. Ancora oggi, sia dal punto di vista giuridico che da quello organizzativo, ciascuno Stato membro segue indirizzi propri per la protezione dei consumatori: mentre la Germania e il Regno Unito dispongono di fitte reti di punti d'informazione, i consumatori greci, per esempio, hanno solo pochissimi punti dove poter ottenere una consulenza. Il grado di protezione dei consumatori sembra diminuire nettamente a misura che si procede verso il sud della Comunità. Lo spettro delle opinioni, da quelle propense a una politica più liberale e favorevole all'industria a quelle che invocano norme più severe, è vario come l'Unione europea stessa. Ralf Schmitt 161 http://europa.eu.int/pol/emu/en/info.htm 162 Politica economica Base giuridica: Articoli 2, 3, 3 A, 4 A; articoli da 102 A a 104 C, da 105 a 109, da 109 A a 109 D, da 109 E a 109 M del trattato CE. Obiettivi: Sviluppo armonioso ed equilibrato, miglioramento del tenore di vita, promozione della convergenza e della coesione, elevato livello di occupazione, stabilità dei prezzi, finanze pubbliche e condizioni monetarie sane, equilibrio duraturo delle bilance dei pagamenti. Strumenti: comitato monetario con funzioni consultive, comitato di politica economica, Istituto monetario europeo, «sorveglianza multilaterale»; terza fase: comitato economico e finanziario, Sistema europeo di Banche centrali. Nel quadro del trattato sull'Unione europea, entrato in vigore il 1 novembre 1993, i capi di Stato e di governo riuniti a Maastricht hanno adottato alcune decisioni concernenti l'-> unione economica e monetaria (UEM), che hanno importanti conseguenze per la politica economica della Comunità, ampliatasi il 1 gennaio 1995 con l'adesione di Austria, Svezia e Finlandia. Obiettivi, competenze e poteri nell'ordinamento preMaastricht Le disposizioni del trattato CEE del 1957 (divenuto trattato CE nel 1993), che disciplinavano la vita economica conformemente agli obiettivi complessivi della Comunità, riflettevano un compromesso tra le considerazioni economiche e le necessità dell'integrazione, da una parte, e le resistenze nazionali a rinunciare alla sovranità in materia di politica economica, dall'altra. Gli obiettivi economici in sé stessi non erano mai stati contestati. L'articolo 2 del trattato CEE definiva come segue le finalità della Comunità: «uno sviluppo armonioso delle attività economiche nell'insieme della Comunità, un'espansione continua ed equilibrata, una stabilità accresciuta, un miglioramento sempre più rapido del tenore di vita e più strette relazioni fra gli Stati che ad essa partecipano». Nella parte del trattato CEE dedicato alla politica economica, l'articolo 104 integra tali finalità con i seguenti elementi: un alto livello di occupazione, la stabilità del livello dei prezzi e l'equilibrio della bilancia globale dei pagamenti. Il trattato CEE lasciava gran parte dei poteri decisionali in materia di politica economica e monetaria ai governi nazionali, che erano però tenuti a considerare la loro politica di congiuntura e la politica dei cambi come una «questione d'interesse comune» (articoli 103 e 107 del trattato CEE) ed a coordinare le politiche economiche e monetarie conformemente all'articolo 105, vale a dire a perseguire obiettivi comuni. Per risolvere il problema del coordinamento, la Comunità ha introdotto un quadro istituzionale appropriato prevedendo dei comitati, quali il comitato monetario, i comitati di politica congiunturale, di politica economica a medio termine e di politica di bilancio. Insufficienza del coordinamento Le divergenze sempre più marcate tra gli obiettivi nazionali in materia di stabilità, che non si sono potute eliminare nell'ambito dei comitati, hanno portato a reazioni non coordinate di politica economica. Tale processo di disintegrazione della politica economica e monetaria era in contraddizione con le esigenze del trattato CEE che, accanto all' «instaurazione di un mercato comune» cita il «ravvicinamento progressivo delle politiche economiche degli Stati membri» come strumenti per la realizzazione dei suoi obiettivi. Lo SME, nuovo strumento di cooperazione Non è stato possibile procedere ad un nuovo tentativo di rafforzamento della cooperazione in materia di politica economica e monetaria fino a quando le posizioni nazionali in materia di politica di stabilità non si sono ravvicinate ed ha cominciato a prendere corpo l'idea secondo la quale soltanto una politica di stabilità dei prezzi poteva contribuire a risolvere il problema della disoccupazione. Tale ravvicinamento delle posizioni ha finalmente permesso di creare il -> Sistema monetario europeo, vale a dire un sistema di tassi di cambio fissi (ma aggiustabili), dotato di regole d'intervento chiaramente definite. Il marco tedesco ha assunto la funzione di moneta trainante ed assicura da allora la stabilità del sistema. Lo SME ha visto nascere una tendenza alla convergenza economica che, passando per l'asse Bonn-Francoforte-Parigi, si propaga all'insieme dei paesi partecipanti al sistema. Di fronte alla restrizione del loro margine di manovra economica, certi paesi hanno dapprima reagito mantenendo le restrizioni alla libera circolazione dei capitali. La liberalizzazione dei movimenti di capitali, realizzata nella Comunità il 1 luglio 1990, ha reso ancora più sensibile la perdita di autonomia in materia di politica economica. La logica del -> mercato interno vuole che l'erosione delle competenze nazionali in materia di politica economica e monetaria sia attivamente compensata a medio termine dalla transizione della Comunità verso una UEM retta da un Sistema europeo di banche centrali. La politica economica in pratica: dagli anni '80 all'inizio degli anni '90 All'inizio degli anni '80, non esisteva ancora l'unanimità tra gli Stati membri sui provvedimenti da adottare per rilanciare lo sviluppo e lottare contro la disoccupazione. Nel 1985, quando la crescita reale del prodotto interno lordo (PIL) era del 2,5%, il tasso di disoccupazione era vicino all'11%, il fabbisogno di 163 164 finanziamento degli Stati membri della CE rappresentava il 5,2% del PIL ed il tasso d'inflazione, nonostante fosse nettamente diminuito rispetto all'inizio del decennio, si aggirava sempre sul 6%. È in tale contesto che il Consiglio ( -> Consiglio dell'Unione europea) decise, nel 1985, di adottare la «strategia di cooperazione per la crescita e l'occupazione»: tale strategia era basata sulla cooperazione stretta tra governi, datori di lavoro e lavoratori, ma anche tra i paesi. Si trattava al contempo di frenare la crescita dei salari, di rendere più dinamica la domanda e di migliorare la situazione dei mercati delle merci, dei capitali e del lavoro. Inoltre, il miglioramento della distribuzione dei mercati dei beni e dei servizi, e quindi, delle condizioni di crescita, era tra gli obiettivi del programma per la realizzazione del mercato unico nel 1993, che la Commissione ( -> Commissione europea) ha presentato nel suo libro bianco del giugno 1985. La strategia di cooperazione doveva far aumentare il tasso di crescita medio della Comunità dal 2,5% (alla metà degli anni 80) al 3,5% e riportare il tasso di disoccupazione all'8% per il 1990. Il tasso di crescita considerato necessario è stato raggiunto soltanto alla fine degli anni '80, ed il tasso di disoccupazione, che aveva fatto registrare un picco del 10,8% nel 1985, era ridisceso all'8,1% nel 1990. Tuttavia, all'inizio degli anni '90, non si è più riusciti a mantenere nella Comunità la crescita necessaria per una riduzione duratura della disoccupazione (tasso di crescita del PIL nel 1994: 1,5%) ed il tasso di disoccupazione è risalito all'11% nel 1994. Il tasso di inflazione, in calo, ha raggiunto il 3,3% nel 1994, in un contesto caratterizzato da una leggera diminuzione della convergenza, nonostante una temporanea fiammata dopo il 1988. Nei tre nuovi Stati membri (Austria, Svezia e Finlandia) il tasso di inflazione era inferiore a quello medio. Nel corso della seconda metà degli anni '80, il disavanzo di bilancio complessivo degli Stati membri è stato riportato dal 5,2% del PIL (1985) al 2,6% (1989), ma dal 1990 si registra una netta tendenza all'aumento (1994: 5,6%). In diversi Stati membri sono necessari considerevoli sforzi di risanamento. La politica economica dall'inizio degli anni '90 Le decisioni adottate a Maastricht in materia di UEM rivestono grande importanza per la politica economica e monetaria. Un processo in tre tappe, delle quali la prima è iniziata il 1 luglio 1990 e la seconda il 1 gennaio 1994, deve condurre, entro il 1 gennaio 1999, all'instaurazione dell'UEM. Considerando le sensibili divergenze di opinioni che hanno separato fino a tempi recenti gli Stati membri in relazione al quadro di riferimento da adottare, è un fatto degno di nota che il trattato precisi espressamente che il sistema economico dell'Unione e degli Stati membri è l'economia di mercato aperta e in libera concorrenza (articoli 3 A, 102 A e 105 del trattato CE). Resta tuttavia da stabilire in quale modo tale principio verrà realizzato nella vita economica nel corso dei prossimi anni. Gli Stati membri devono considerare le loro politiche economiche come una «questione d'interesse comune» e assicurarne il coordinamento nell'ambito del Consiglio, conformemente ad un esteso elenco di principi e obiettivi (articolo 103 del trattato CE). Come principi direttivi della politica economica e monetaria, il trattato cita: prezzi stabili, finanze pubbliche e condizioni monetarie sane nonché bilancia dei pagamenti sostenibile (articolo 3 A, paragrafo 3, del trattato CE). Il Consiglio definisce gli indirizzi di massima delle politiche economiche degli Stati membri e dell'Unione e, previo esame da parte del Consiglio europeo, li adotta sotto forma di raccomandazioni rivolte agli Stati membri. Al fine di promuovere e di consolidare la convergenza delle politiche economiche, viene rafforzato il sistema esistente della «sorveglianza multilaterale». Se la politica economica di uno Stato membro è incompatibile con gli indirizzi di massima, il Consiglio può rivolgere allo Stato interessato le raccomandazioni appropriate e - per esercitare maggiore pressione - può eventualmente renderle pubbliche. L'attività di coordinamento e di sorveglianza è riferita in primo luogo alla politica di bilancio. A differenza della politica monetaria (nel corso della terza fase), la politica di bilancio non diventa di competenza comunitaria, ma è sottoposta ad un processo di armonizzazione che diventa progressivamente più rigoroso. L'inserimento, nel trattato, di certi importanti principi comuni della politica di stabilità intende garantire che quest'ultima non sia unicamente fondata sulla politica monetaria. Tra i principi in vigore dal 1994, giova citare in particolare il divieto di qualsiasi finanziamento monetario dei bilanci pubblici (articoli 104 e 104 A), la responsabilità di ciascuno Stato per il proprio disavanzo di bilancio (articolo 104 B), così come l'obbligo per gli Stati membri di evitare disavanzi pubblici eccessivi (articolo 104 C). Avvalendosi di determinati criteri (ad es. il disavanzo complessivo delle amministrazioni pubbliche di un paese non deve superare il 3% del PIL e il debito totale non deve essere superiore al 60 % del PIL), la Commissione sorveglia l'evoluzione del bilancio degli Stati membri e determina - basandosi anche su altri criteri - se esista un «disavanzo eccessivo». In caso affermativo, il Consiglio avvia una procedura che ha lo scopo di ridurre tale disavanzo e che, nell'ultima fase, prevede la possibilità d'infliggere sanzioni pecuniarie. All'inizio della fase finale (dove non esisterà più una politica monetaria nazionale), il comitato monetario, che interviene nelle attività di coordinamento e di sorveglianza, verrà disciolto e sostituito da un comitato economico e finanziario. Per la fase finale, le disposizioni del trattato relative alla politica monetaria prevedono la creazione di un Sistema europeo di banche centrali (SEBC), nonché la fissazione dei tassi di cambio in vista dell'introduzione di una moneta unica nella Comunità nel 1999 al più tardi. Il SEBC - che è composto dalla Banca centrale europea (BCE) e dalle banche centrali nazionali - è incaricato di definire e di attuare la politica monetaria della Comunità. Nel corso della fase di transizione, la politica monetaria resta di competenza degli Stati membri. Così, l' -> Istituto monetario europeo (IME), creato all'inizio del 1994 con sede a Francoforte, non ha il compito di orientare la politica economica, ma di assicurare un coordinamento in tale settore, come avveniva nel comitato dei governatori delle banche centrali. Il SEBC, il cui statuto particolareggiato forma oggetto di un protocollo allegato al 165 166 trattato, ha per obiettivo principale il mantenimento della stabilità dei prezzi, esercita i suoi compiti in piena indipendenza e non sostiene le politiche economiche generali se non quando è necessario per non compromettere la realizzazione dell'obiettivo menzionato. Anche i criteri di convergenza pongono certi problemi. Infatti, si parla solo della stabilità dei prezzi relativi. Nella determinazione dei disavanzi, vengono considerati i saldi dei «bilanci pubblici», in modo che i disavanzi di un eventuale «bilancio ufficioso» possano essere nascosti. L'UE deve provare che è in grado di far sorgere e di consolidare una «cultura della stabilità» che è un presupposto fondamentale per garantire occupazione e crescita durevoli. Con il libro bianco su crescita, competitività e occupazione, pubblicato nel dicembre 1993, vale a dire immediatamente dopo l'entrata in vigore del trattato UE, la Commissione ha reagito al problema più grave che conosce l'Unione: la disoccupazione, che da un ciclo all'altro si fa sempre più consistente tra gli Stati dell'Unione. Il sottotitolo del libro bianco («Le sfide e le vie da percorrere per entrare nel XXI secolo») evidenzia che si tratta di un documento strategico di largo respiro, il cui obiettivo è di contribuire alla riduzione della disoccupazione. A tale scopo, esso assegna all'Unione l'obiettivo ambizioso di creare 15 milioni di posti di lavoro entro la fine del secolo. La gamma di strumenti previsti dal libro bianco per creare le condizioni necessarie alla crescita è diversificata: tra l'altro, esso prevede il miglioramento del quadro macroeconomico, l'investimento in infrastrutture moderne in vista dell'accesso a nuovi mercati di sviluppo, la formazione del capitale umano necessario, il miglioramento della competitività interna ed esterna, l'accelerazione dell'innovazione grazie alla promozione selettiva dei progetti di ricerca e di sviluppo, il ritorno a prezzi più competitivi attraverso la riduzione dei costi e delle imposte, oltre ad una maggiore flessibilità del lavoro. Il libro bianco tratta altresì il rapporto tra l'impiego delle risorse, l'ambiente e la crescita. Anche se, nel complesso, il libro bianco non offre una strategia omogenea ed il suo contenuto fa sorgere, in alcuni punti, delle riserve di ordine istituzionale, esso costituisce una base di riflessione importante e propone alcuni orientamenti per le decisioni che devono essere adottate ai diversi livelli all'interno dell'Unione europea e che condizioneranno in parte la riuscita dell'UEM. Henry Krägenau http://europa.eu.int/pol/cfsp/en/info.htm Politica estera e di sicurezza comune Membri: Tutti gli Stati membri dell'Unione europea. Base giuridica: Trattato sull'Unione europea, articoli B e C (obiettivi, quadro istituzionale unico, coerenza), articolo J (disposizioni che regolano la politica estera e di sicurezza comune), articoli L e P, paragrafo 2 (disposizioni finali) e quattro dichiarazioni allegate al trattato. Abrogazione dei titoli I e III e dell'articolo 30 dell'Atto unico europeo del 28 febbraio 1986. Obiettivi: Difesa degli interessi fondamentali nel settore della politica estera, in particolare l'indipendenza e la sicurezza dell'Unione, ivi compresa la definizione a termine di una politica di difesa comune e di una difesa comune, nonché il mantenimento della pace ed il consolidamento della democrazia, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti dell'uomo. Strumenti: Posizioni comuni ed azioni comuni, votazioni ed iniziative concertate nelle organizzazioni internazionali ed in occasione di conferenze internazionali, azioni diplomatiche, missioni informative comuni, abbinamento degli strumenti diplomatici e comunitari. Bilancio: Per il 1996: 68,25 milioni di ecu. La politica estera e di sicurezza comune (PESC) designa un sistema, unico a livello mondiale, di collaborazione tra gli Stati membri dell' -> Unione europea (UE) nelle questioni di politica estera internazionale. La PESC forma, accanto alla -> Comunità europea (CE), il secondo dei pilastri su quali poggia l'Unione europea. Al contempo, essa rappresenta per i governi che vi prendono parte uno strumento fondamentale di protezione degli interessi nazionali in un'epoca di interdipendenze mondiali. La PESC opera per preservare l'identità dell'Unione europea sulla scena internazionale; i suoi principali obiettivi sono: lo scambio, virtualmente costante, di informazioni e di opinioni su questioni di politica estera e internazionale, la convergenza delle posizioni nazionali, anche attraverso l'elaborazione di un approccio comune di base e la realizzazione dello stesso sotto forma di azioni comuni. Tappe fondamentali e carenze riscontrate negli anni '70 e '80 Già all'inizio degli anni 70 apparve chiaro che la decisione dei padri fondatori della Comunità di rinunciare ad elaborare una politica estera se non direttamente 167 168 integrata quantomeno coordinata si rivelava sempre più irrealistica. Da un lato, la Comunità si presentava sulla scena internazionale, in virtù della sua politica commerciale estera, come uno dei protagonisti, dall'altro, aumentava la consapevolezza che una crescente integrazione della Comunità nell'economia mondiale l'avrebbe resa dipendente dagli avvenimenti al di fuori dei propri confini e che gli Stati dell'Europa occidentale avrebbero potuto affrontare meglio tale pressione internazionale se avessero concertato un atteggiamento comune. Il conflitto arabo-israeliano del 1973 fu uno dei primi banchi di prova della Cooperazione politica europea (CPE), che non furono sempre coronati da successo. L'OSCE rappresenta uno dei settori di intervento in cui la Comunità dei Sei, prima, e, in seguito alla serie di successivi ampliamenti, dei Quindici, ha tradizionalmente manifestato un atteggiamento comune. Quantunque la «politica delle dichiarazioni», spesso criticata perché troppo passiva e tardiva, abbia prodotto degli effetti sui destinatari, ad es. in alcuni casi di violazione dei diritti dell'uomo, l'impostazione stessa della CPE si è rivelata eccessivamente selettiva ed inefficace in determinate situazioni di crisi. La Comunità riconobbe che anche l'offerta o il ritiro di risorse commerciali o, all'occasione, militari potevano rappresentare degli strumenti idonei ad accrescere la credibilità del proprio intervento. L'abbinamento della diplomazia della CPE e degli strumenti comunitari apparve inevitabile (ad esempio nel caso dell'invasione irachena del Kuwait, della guerra in Iugoslavia o in risposta al crollo dell'ex Unione Sovietica o al processo di democratizzazione nell'Europa centrale ed orientale), decisione che non poteva rimanere tuttavia senza conseguenze sul piano delle procedure e degli organi decisionali. Il profilarsi di nuove sfide in materia di politica estera, un nuovo impulso verso l'integrazione, favorita dal programma per il mercato interno, ed il dibattito attorno all'UEM negli anni 1990-91 alimentarono le discussioni sulle fondamenta di una politica estera e di sicurezza europea, che hanno portato alla formulazione delle disposizioni contenute nell'articolo J del trattato dell'Unione, entrato in vigore il 1 novembre 1993. Elementi di base della PESC e prime esperienze Dotando la PESC di una competenza a tutto campo in materia di sicurezza dell'Unione, «ivi compresa la definizione a termine di una politica di difesa comune, che potrebbe successivamente condurre a una difesa comune» (articolo J.4), l'Unione si riprometteva una maggiore coerenza e capacità d'azione. Il notevole aumento di competenze è espressione dei mutati interessi nella politica di sicurezza nell'Europa occidentale, che non possono più essere esclusivamente tutelati nel quadro dell'Alleanza atlantica. Dal punto di vista istituzionale, tale compito spetta all'Unione dell'Europa occidentale, che da decenni non riveste alcuna importanza. In quanto «parte integrante dello sviluppo dell'Unione europea», essa si attiva su richiesta dell'Unione per elaborare ed attuare decisioni ed azioni che hanno rilevanza sotto l'aspetto della politica di difesa (come è avvenuto per lo spiegamento di una forza di polizia comunitaria per amministrare la città bosniaca di Mostar). Analogamente ad altre disposizioni sulla PESC, quelle contenute nell'articolo J.4 del TUE sono il risultato di interessi nazionali contrapposti e pertanto si prestano a diverse interpretazioni all'atto della loro attuazione pratica. Lo stesso avviene, perlomeno fino alla scadenza del trattato UEO nel 1998, per l'autonomia istituzionale degli organi dell'UEO e della PESC, che dal punto di vista dell'efficienza potrebbe dare adito a dubbi, soprattutto nella misura in cui la UEO estende le sue capacità di intervento nel settore della gestione delle crisi, interferendo così nelle materie di competenza dell'UE. Per ridurre gli effetti negativi, dall'entrata in vigore del TUE ci si adopera per stabilire sistematici rapporti di lavoro tra la UEO e la UE. I primi tentativi di dare espressione all'importanza intrinseca della dimensione militare prevista dal trattato sull'Unione, sono stati attuati finora in modo alquanto controverso, in quanto inizialmente era stato proposto un concetto molto ampio di sicurezza, senza toccare gli aspetti di una difesa comune, che dal punto di vista concettuale ed operativo erano ritenuti altamente sensibili. È il caso ad esempio delle questioni relative agli obblighi di assistenza ed alle garanzie di sicurezza per i membri attuali e futuri, alle ripercussioni sull'Alleanza atlantica o alle capacità militari con o senza il supporto della NATO. Con l'abbandono del principio dell'unanimità - una grande innovazione nella PESC rispetto ai criteri tradizionali della diplomazia - e l'introduzione dello strumento dell'azione comune con esplicito effetto vincolante per gli Stati membri, si è inteso fornire una risposta alle giustificate critiche mosse all'inefficienza delle procedure decisionali interne ed all'incapacità di fornire all'esterno una immagine unitaria ed attiva. Non deve sorprendere che le disposizioni del trattato siano state adottate a seguito di aspre battaglie e, soprattutto secondo l'ottica del Regno Unito, siano da attuare secondo l'interpretazione più restrittiva possibile. La possibilità di adottare decisioni a maggioranza è espressamente limitata allo strumento delle azioni comuni, ed anche in questo caso è prevista solo per l'attuazione delle stesse, mentre rimane inalterata la facoltà del Consiglio - nella sua veste di organo decisionale centrale - di stabilire in qualsiasi fase della procedura il principio da adottare: voto all'unanimità o a maggioranza. In considerazione di questa ed altre carenze istituzionali (quali la riorganizzazione dei comitati di esperti, la ripartizione dei compiti tra comitato politico ed il comitato dei rappresentanti permanenti) un primo bilancio della PESC nella sua fase iniziale si presta a valutazioni contrastanti. La rapidità di reazione dimostrata, perlomeno all'inizio, con la prima azione comune nell'ottobre/novembre 1993 è stata successivamente controbilanciata in più occasioni da decisioni che non offrivano risposte soddisfacenti alle sfide internazionali o che sollevavano imprevisti problemi, quali la questione del finanziamento delle azioni comuni. A titolo esemplificativo, l'invio di osservatori europei per sorvegliare l'andamento delle elezioni in Russia non si è rivelato un intervento accuratamente elaborato e coordinato, poiché ha interessato soltanto un aspetto marginale della strategia di stabilizzazione della presidenza russa ed è 169 170 rimasto al di fuori del quadro molto più importante dell'accordo di partenariato tra la Russia e l'Unione europea. Anche gli sforzi compiuti dall'Unione per ridare lustro, attraverso una azione comune, alla sua immagine fortemente appannata in relazione alla guerra nell'ex Iugoslavia, hanno ottenuto solo modesta risonanza nei mezzi di comunicazione e presso il pubblico europeo. Il tentativo fu anche compromesso dal fatto che il -> Consiglio dell'Unione per mesi ha cercato di raggiungere l'accordo su una questione fondamentale, vale a dire sulle modalità di copertura dei costi della PESC, indicati nell'articolo J.11 TUE come spese operative. Davanti alle casse vuote degli Stati membri, il ricorso al bilancio della Comunità sembrò una proposta allettante. Tale decisione doveva tuttavia significare agli occhi dei fautori dell'integrazione - in primis il -> Parlamento europeo (PE) e la -> Commissione europea (CE) - che si sarebbero applicate le disposizioni in materia di procedura di bilancio comunitario, il che ridestò l'attenzione dei sostenitori dell'approccio intergovernativo della PESC. Alla fine, tutti convennero, nel corso del 1994, che le azioni comuni potevano essere finanziate dal bilancio comunitario o da contributi nazionali, da calcolarsi sulla base del prodotto interno lordo degli Stati membri. I contributi comunitari per le misure operative sono imputati dal 1995 al bilancio della Commissione (sezione III B 8). La Commissione ed il Parlamento europeo diventano così protagonisti della PESC. Le spese puramente amministrative, ad esempio quelle relative alle riunioni della PESC, al servizio d'interpretariato, ecc. sono coperti da fondi del bilancio del Consiglio e, grazie al regolamento interistituzionale attualmente in vigore, sottratti al «controllo» del PE. Tra le prime azioni comuni rientrava anche il patto di stabilità, particolarmente apprezzato come modello di diplomazia preventiva. Attraverso una serie di proposte procedurali e di conferenze esso mira ad incanalare tempestivamente in un dialogo, al quale partecipano anche i rappresentanti dell'Unione europea, i potenziali conflitti nelle relazioni tra gli Stati dell'Europa centrale ed orientale e, nella migliore delle ipotesi a raggiungere opportuni accordi prima che tali conflitti scoppino. Infine l'Unione si è impegnata a mantenere la propria presenza in uno dei tradizionali settori portanti, il Medio Oriente, attraverso una azione comune. Ha predisposto un quadro di aiuti dell'ordine di 500 milioni di ecu, con i quali l'Unione intende consolidare l'accordo di autonomia per gli ex territori occupati di Gaza e Gerico concluso tra Israele e l'OLP. I partecipanti alla PESC e gli osservatori hanno giudicato che la prima parte dell'azione comune nei confronti del Sudafrica sia stato, perlomeno a quello stadio, positivo. L'obiettivo dichiarato iniziale dell'Unione, di contribuire alla realizzazione delle prime elezioni democratiche in Sudafrica nell'anno 1994 attraverso l'invio di una delegazione elettorale europea composta da oltre 450 osservatori, che doveva tra l'altro occuparsi delle questioni di natura tecnica-organizzativa, della consulenza e della formazione degli addetti al processo elettorale e della trasmissione delle informazioni al pubblico ed ai media. Sulla scia del processo di democratizzazione che è in corso, l'Unione prevede inoltre di dare seguito al programma di aiuto già esistente nel quadro della politica comunitaria, porre fine alle sanzioni tuttora applicate e concludere un accordo di cooperazione di ampia portata, compresa la ormai consueta clausola di sicurezza con riferimento ai diritti dell'uomo ed alla democrazia. Analogamente a quanto è avvenuto quando l'Unione doveva adottare una posizione nei confronti di altre questioni internazionali (ad es. i rapporti con l'Ucraina, gli aiuti al Ruanda), il processo decisionale è stato ostacolato a più riprese dai problemi di demarcazione delle competenze, che andavano al di là degli aspetti tecnico-giuridici e riflettevano la tensione delle relazioni tra i seguaci dell'«ortodossia» comunitaria, che temono una interferenza della PESC sul primo pilastro, ed i sostenitori della politica estera tradizionale del secondo pilastro, che ritengono indispensabile che sia la PESC a dettare gli orientamenti generali in materia. Negli anni 1994-1996 sono state individuate le linee direttrici e votati gli strumenti giuridici per intraprendere ulteriori azioni comuni, che per la prima volta fanno riferimento al settore della sicurezza. Tuttavia, in questo settore devono essere innanzitutto affrontate le questioni procedurali, quali, tra l'altro, la preparazione della conferenza sul trattato di non proliferazione di armi nucleari e l'introduzione di un sistema di controllo per le esportazioni dall'Unione verso paesi terzi di merci che possano essere impiegate a scopi civili e militari (cosiddette «merci a duplice impiego»). La struttura della PESC La PESC, analogamente alla precedente Cooperazione politica europea, è articolata dal punto di vista istituzionale in quattro livelli gerarchici. A capo, si trova il Consiglio europeo che definisce i principi e gli orientamenti generali (articolo J.8, paragrafo 1, TUE), costituisce la massima autorità decisionale in caso di insormontabili divergenze di opinioni tra gli organi inferiori, introduce proposte di riforme ed è portavoce delle posizioni comuni all'esterno. Il secondo livello, nonché istanza decisionale determinante nelle questioni degli affari correnti, è il Consiglio dell'Unione, vale a dire una istituzione della CE (articolo J.8, paragrafo 2, TUE). In pratica si è inteso con tale fusione realizzare l'auspicata coerenza ed una maggiore efficacia delle strutture decisionali; tuttavia tale approccio cela - come dimostrato dalle prime esperienze - anche ampio potenziale di conflitti e nuovi problemi di demarcazione. Non deve pertanto sorprendere che la fusione degli organi del livello politico della CE e della CPE abbia avuto ripercussioni sull'apparato burocratico. È il caso delle attività e dell'immagine del comitato politico, che è composto dai direttori dei dipartimenti politici dei ministeri degli Esteri degli Stati membri. Benché abbia ancora il compito di preparare i lavori sostanziali del Consiglio, di propria iniziativa o su richiesta del Consiglio, nonché di controllare l'attuazione della PESC, la sua funzione di cerniera tra i livelli amministrativo e politico, come avveniva precedentemente nell'ambito della CPE, esso viene attualmente limitato dall'«intrusione» di un nuovo protagonista, il -> Comitato dei rappresentanti permanenti (Coreper). A questo organo, composto da rappresentanti al livello di 171 172 ambasciatori degli Stati membri, spetta tradizionalmente la preparazione ed il completamento dei lavori del Consiglio, comprese le questioni di competenza della PESC. L'approssimativa ripartizione dei compiti attribuiti ai due organi - il comitato politico esamina il contenuto della PESC, mentre il Coreper funge da organo di coordinamento tecnico ed è responsabile per gli aspetti di pertinenza comunitaria - sembrerebbe aver instaurato un modus vivendi accettabile per entrambe le parti, il che non esclude che possa ingenerare in determinati casi rivalità o inefficienza nei processi decisionali. Il comitato politico ed il Coreper sono coadiuvati nel loro operato da oltre due dozzine di gruppi di esperti. Uno status particolare ha assunto fino ad oggi il gruppo dei corrispondenti europei che supervisionava ed osservava l'organizzazione generale della PESC/CPE. Tale funzione potrebbe in futuro essere assolta anche dal segretariato PESC, che è stato integrato nel segretariato generale del Consiglio all'entrata in vigore del trattato sull'Unione, sempre che venga dotato di un organico più adeguato rispetto al vecchio modello. Un altro importante componente di questo quarto livello gerarchico è costituito dalle riunioni, tenute generalmente a scadenza mensile, degli ambasciatori degli Stati UE nei paesi terzi ed in occasione di organizzazioni e conferenze internazionali. La gestione interna della PESC, così come la sua immagine esterna, dipende in larga misura dalla presidenza, che viene esercitata a turno da ciascuno Stato dell'Unione per la durata di sei mesi secondo l'ordine delle denominazioni di ciascun paese previsto dall'articolo 146 del trattato CE; si tratta di un sistema che presenta incontestabili vantaggi, ma anche notevoli inconvenienti. La «prossimità» istituzionale, che nel frattempo è divenuta evidente, tra PESC e CE trova espressione anche nel fatto che la Commissione, temuta per molti anni quale membro potenziale della CPE, può ora esercitare un diritto di iniziativa in ambito PESC paragonabile a quello di uno Stato membro, che gli consente di diventare un partner più attivo e «pienamente associato» (articolo J.9 TUE); tale facoltà si esprime anche attraverso la partecipazione di rappresentanti della Commissione in tutte le relazioni esterne della presidenza, che hanno luogo secondo la formula della Troika. Essi sono anche coinvolti nelle consultazioni PESC degli ambasciatori degli Stati dell'UE nei paesi terzi. Di nuova introduzione è invece l'obbligo della Commissione di informare il Parlamento europeo in merito allo sviluppo della PESC, obbligo che condivide ora con la presidenza. Nei principi e soprattutto agli occhi dei governi è rimasto immutato il ruolo del Parlamento europeo nella PESC. L'articolo J.7 TUE conferma i diritti di interrogazione già esistenti e ampiamente esercitati dai parlamentari, nonché un obbligo di resoconto periodico della presidenza. Tuttavia non si deve dimenticare che il PE dispone di notevoli possibilità di intervento grazie al suo potere di approvare tutti gli accordi importanti sottoscritti dall'Unione con i paesi terzi, nonché ai poteri di bilancio, in particolar modo quando si tratta di fondi comunitari necessari per l'attuazione delle decisioni PESC. Il PE si avvale in modo deliberato dei poteri riconosciutigli per migliorare il proprio status nell'ambito della PESC. Prospettive L'interpretazione finora piuttosto restrittiva delle disposizioni PESC ed il mantenimento da parte degli Stati membri delle pratiche consuete fanno prevedere che ci sarà poco spazio di manovra per la revisione alla conferenza intergovernativa. Soprattutto il Regno Unito sembra voler insistere sul modello intergovernativo; ma anche nei nuovi Stati membri o in Francia vi sono perplessità ad abbandonare la regola dell'unanimità. Gli Stati del Benelux, e chiaramente anche la Germania, ritengono invece imperativo un tale passo, soprattutto nella prospettiva di una Unione ampliata fino a comprendere 20 o più Stati membri. Tra i Quindici e in seno al Parlamento europeo si controverte sull'opportunità e sulle modalità dell'integrazione dell'UEO nella struttura dell'Unione, che diverrebbe un nuovo, quarto pilastro con l'opzione di una fusione con la PESC sulla base di un programma graduale ancora da definire. La Commissione ed i governi degli Stati membri dell'UE segnalano ugualmente la necessità di migliorare le capacità di analisi e di pianificazione della PESC. A tale proposito viene proposto, in innumerevoli varianti, un «nucleo di analisi» composto da rappresentanti della Commissione, degli Stati membri e del segretariato generale del Consiglio e dell'UEO. Se tale organo debba avere competenze soltanto nelle relazioni interne della PESC ovvero anche verso l'esterno, come debba essere collocata nella gerarchia della PESC e a chi ne verrà affidata la direzione, sono questioni tutte da chiarire che costituiscono un potenziale campo minato. Elfriede Regelsberger 173 http://europa.eu.int/pol/reg/en/info.htm 174 Politica regionale Basi giuridiche: Preambolo, articoli 2, 3, 39, da 123 a 125 e da 130 A a 130 E del trattato CE. Obiettivi: Rafforzare la coesione economica e sociale dell'Unione, in particolare mediante misure di politica regionale, strutturale, sociale, agricola e occupazionale. Strumenti: I tre fondi strutturali (Fondo europeo per lo sviluppo regionale (FESR), Fondo sociale europeo (FSE) e Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (FEAOG); lo Strumento finanziario di orientamento per la pesca (SFOP); il Fondo di coesione per gli Stati membri il cui prodotto interno lordo pro capite è inferiore al 90% della media comunitaria, interventi nei settori dell'ambiente e delle reti di trasporti transeuropee; la Banca europea per gli investimenti (BEI), la Comunità europea del carbone e dell'acciaio (CECA). Bilancio: Per il 1994 (impegni): fondi strutturali 21,3 miliardi di ecu (29% del bilancio dell'Unione europea) di cui FESR 9 miliardi di ecu, FSE 6,5 miliardi di ecu, FEAOG-orientamento 3,3 milioni di ecu, SFOP 0,4 miliardi di ecu, iniziative comunitarie 1,7 miliardi di ecu, altre misure 0,4 miliardi di ecu; Fondo di coesione 1,9 miliardi di ecu (2,5%). BEI (al di fuori del bilancio comunitario): prestiti effettuati nella Comunità nel 1993: 17,7 miliardi di ecu. Le disomogeneità economiche e sociali all'interno dell'Unione europea (UE) sono notevoli. Fra i problemi strutturali dominano gli squilibri regionali, che si rispecchiano in cospicue differenze di reddito fra le regioni dell'Unione europea e in problemi occupazionali di considerevole entità. Come ci sono differenze regionali all'interno dei singoli Stati membri si riscontrano pure notevoli differenze fra le prestazioni delle rispettive economie nazionali. Quando la Comunità si è allargata in direzione sud, le differenze fra il benessere si sono ulteriormente accresciute, poiché i nuovi Stati membri comprendevano alcune regioni pochissimo sviluppate. Poi la Germania orientale, con i suoi gravi problemi economici e strutturali, è diventata anch'essa parte dell'Unione europea. La Finlandia, l'Austria e la Svezia, membri dell'Unione europea a partire dal 1995, sono invece paesi prosperi, anche se non privi di problemi strutturali. Le regioni economicamente meno sviluppate dell'Unione comprendono la Grecia, il Portogallo, buona parte della Spagna, l'Italia meridionale e la Sardegna, l'Irlanda, L’EUROPA DALLA A ALLA Z l'Irlanda del nord, la Corsica, i dipartimenti francesi d'oltremare e i nuovi Länder tedeschi. Il problema dell'arretratezza regionale nell'Unione è reso ancora più acuto dalle difficoltà particolari dovute al fatto che quelle che prima erano zone ricche si battono per portare avanti necessari processi di ristrutturazione e per abbandonare i settori industriali in declino, come le miniere di carbone, la siderurgia, i cantieri navali e l'industria tessile, per dedicarsi a settori industriali e ai servizi con buone prospettive future. I tre nuovi Stati membri solo in casi isolati hanno regioni poco sviluppate, se giudicate col metro comunitario. Prodotto interno lordo pro capite nel 1993 in parità di potere di acquisto 190 Amburgo Alcune regioni il cui PIL supera la media dell'EUR-15 di oltre il 50% Bruxelles 182 Ile de France 166 Darmstadt 164 161 Vienna 100 EUR 15 49 Egeo settentrionale (Grecia) Regioni con meno della metà della media EUR-15 Epiro (Grecia) 46 Madeira (Portogallo) 45 Azzorre (Portogallo) 42 Alentejo (Portogallo) 42 0 40 80 120 160 200 Motivazione dell'azione comunitaria Già da molto tempo si era riconosciuta la necessità, da un lato, di attutire l'impatto dell'integrazione economica sui lavoratori e sui settori economici particolarmente colpiti e, d'altro lato, di pervenire ad un equilibrio finanziario fra regioni ricche e regioni meno favorite. Già il trattato di Roma diceva che occorreva prendere provvedimenti per ovviare alle conseguenze nocive, agricole e sociali, dell'integrazione. La necessità di strumenti specifici di politica regionale si è resa più evidente nel 1973, cioè al momento dell'adesione alla Comunità di Danimarca, Irlanda e Regno Unito, e ha portato nel 1975 al varo della politica regionale comunitaria. 175 176 Impostazione della politica strutturale La politica strutturale comunitaria ha una duplice impostazione consistente nell'offrire incentivi finanziari e nel coordinare la politica degli Stati membri. La politica regionale comprende anche il controllo delle sovvenzioni concesse a livello nazionale, per garantire che non vi siano distorsioni alla concorrenza. I fondi strutturali sono il nucleo della politica strutturale europea. Il Fondo sociale europeo (politica sociale) è stato istituito fin dal 1960 e con il passare degli anni è diventato uno strumento sempre più incisivo della politica europea del mercato del lavoro. Il FEAOG (politica agricola) è stato istituito nel 1962 e la sua sezione orientamento ha la funzione di incoraggiare gli adeguamenti strutturali. Nel 1975 è stato istituito il Fondo europeo per lo sviluppo regionale (FESR), fra l'altro per evitare che un nuovo Stato membro, cioè il Regno Unito - paese importatore di prodotti agricoli senza gli onerosi problemi degli altri - diventasse la vittima finanziaria di una politica agricola carente. Anche successivamente la Comunità ha fornito aiuti finanziari per lo sviluppo delle regioni meno favorite. Oltre ai fondi strutturali, sono numerosi gli strumenti comunitari per attuare una politica strutturale: il Fondo di coesione per gli Stati membri economicamente deboli (istituito nel 1993) lo Strumento finanziario di orientamento per la pesca (SFOP), istituito nel 1993, e i crediti forniti dalla Banca europea per gli investimenti (BEI) e dalla Comunità europea del carbone e dell'acciaio. In origine tali fondi strutturali venivano in ampia misura stanziati indipendentemente l'uno dall'altro e non era quindi sempre possibile evitare che una sovvenzione si sovrapponesse a un'altra o l'annullasse. Ma da diversi anni la Comunità cerca di coordinare più strettamente tutti i provvedimenti di politica strutturale, affinché quest'ultima risulti omogenea e più efficace ai fini del conseguimento dei propri obiettivi. L' Atto unico europeo del 1986 chiedeva alla -> Commissione europea di presentare un'adeguata proposta globale. Il Consiglio ( -> Consiglio dell'Unione europea) ha approvato tale riforma dei fondi strutturali, previa consultazione del > Parlamento europeo e del -> comitato economico e sociale. Tale decisione è stata presa all'unanimità. Alla luce dell'esperienza registrata successivamente, le misure sono state di nuovo modificate nell'estate del 1993 ed è stato istituito uno strumento finanziario indipendente di -> politica della pesca (SFOP). Le singole decisioni sulle sovvenzioni a titolo dei fondi strutturali sono proposti dalla Commissione in cooperazione con il Parlamento europeo e approvate dal Consiglio dei ministri a maggioranza qualificata. Nel febbraio 1992, con il -> trattato sull'Unione europea, gli Stati membri hanno deciso di creare entro la fine del 1993 un Fondo di coesione a beneficio di Spagna, Portogallo, Grecia e Irlanda. Con la concessione di sovvenzioni per progetti relativi all'ambiente e ai trasporti (in quest'ultimo caso, a reti transeuropee) si voleva stimolare lo sviluppo regionale e potenziare i collegamenti fra il centro e la periferia. Il Fondo è stato istituito nella primavera del 1993 in base a un L’EUROPA DALLA A ALLA Z regolamento provvisorio. Il trattato prevedeva anche espressamente, nel contesto della politica strutturale, diritti di consultazione per l'istituendo -> Comitato delle regioni. Disoccupazione: forti disparità regionali Tasso di disoccupazione nelle regioni dell'Unione (in %, 1994) F F F F E P P >14 <6% 10-14 % Dati non disponibili 6-10 % Fonte: Eurostat 177 178 Principi di politica strutturale Con la riforma dei fondi strutturali del 1988, e sulla base ancora più ampia gettata dal Consiglio nel luglio 1993 e valida per il periodo 1994-1999, la politica strutturale della Comunità continua a focalizzarsi su cinque aree prioritarie, anche se con obiettivi parzialmente nuovi rispetto a quelli del 1988: 1. Aiuto alle regioni meno sviluppate. Una regione è considerata poco sviluppata se il prodotto interno lordo pro capite è inferiore al 75% della media comunitaria. 2. Riconversione delle regioni, delle zone di frontiera e delle piccole aree gravemente colpite da declino industriale. In tali zone l'attività industriale originariamente dominante è senz'altro in fase declinante e la disoccupazione supera la media comunitaria. 3. Lotta a lungo termine contro la disoccupazione e facilitazioni per l'ingresso nel mercato del lavoro offerte ai giovani e alle persone a rischio di emarginazione. 4. Agevolazioni all'adeguamento dei lavoratori ai mutamenti industriali e alle trasformazioni dei sistemi produttivi. 5. Aiuto allo sviluppo delle zone rurali mediante l'accelerazione del processo di adeguamento delle strutture agricole e in forza di esso, compreso l'adeguamento delle strutture di pesca. I presupposti per la concessione di aiuti sono la caratterizzazione della zona come scarsamente popolata, con un'alta percentuale della manodopera addetta all'agricoltura, bassi livelli di reddito agricolo ed economia regionale globale al di sotto della media. Come risultato dei negoziati per l'adesione dei quattro paesi dell'EFTA, possiamo inoltre ricordare l'obiettivo n. 6 che consiste nell'aiutare regioni a densità di popolazione estremamente bassa. Tale criterio entra in gioco se la densità di popolazione è inferiore a 8 individui per km2. Tali regioni - ubicate in Scandinavia - hanno diritto alla medesima assistenza delle regioni dell'obiettivo n. 1. Tale obiettivo sarà sottoposto a un nuovo esame all'atto della revisione delle disposizioni del fondo strutturale, prevista per il 1999. L'azione comunitaria è soggetta al principio di sussidiarietà, secondo il quale i provvedimenti comunitari possono solo integrare quelli a carattere nazionale o locale, nonché altre azioni, e debbono essere adottati solo nei casi in cui le risorse dell'ente che assume l'iniziativa risultino inadeguate. Applicazione delle misure approvate Le misure comunitarie di incentivazione strutturale debbono risultare organiche al relativo quadro comunitario di sostegno (QCS), il quale è delineato dalla Commissione in seguito a negoziati con le autorità nazionali e, nel caso degli obiettivi nn. 1, 2 e 5b), è basato sui piani di sviluppo regionale messi a punto dai governi nazionali in cooperazione con i competenti organi locali e regionali. Tali piani debbono contenere l'analisi dell'impatto socioeconomico e ambientale nella regione o nella zona interessata, prevedere la strategia da seguire, prospettare i settori principali da assistere e comprendere una valutazione degli effetti previsti sull'occupazione e sull'ambiente, insieme con particolari sulle modalità di spesa dei fondi comunitari richiesti, ripartiti per singole istituzioni finanziarie. Nel caso delle regioni dell'obiettivo n. 1, i piani debbono comprendere anche particolari sui fondi nazionali posti a disposizione. Per quanto riguarda le regioni degli obiettivi nn. 3 e 4, i piani d'azione nazionale messi a punto dallo Stato membro costituiscono la base del quadro comunitario di sostegno. Tali piani contengono anche la descrizione della situazione, il riepilogo delle strategie di politica del mercato del lavoro ritenute adeguate, l'impiego cui saranno destinati a fondi richiesti e gli effetti previsti. I quadri comunitari di sostegno comprendono gli obiettivi e i punti principali, la caratteristica e i termini dell'intervento comunitario, nonché un piano finanziario da cui risulta l'entità e l'origine dello stanziamento comunitario. Nella maggior parte dei casi essi vengono attuati tramite i cosiddetti programmi operativi, che mettono insieme una serie di progetti che si integrino fra loro. Tali programmi vengono messi a punto dalle autorità nazionali o su iniziativa della Commissione (iniziative comunitarie). I quadri comunitari di sostegno possono anche coprire singoli progetti di notevole entità o richieste di sovvenzioni globali. In quest'ultimo caso deve essere istituito un ente speciale incaricato di verificare l'attuazione di talune misure. Misure Il Fondo europeo per lo sviluppo regionale interviene in particolare quando si tratta di investimenti produttivi e di rilevante portata economica, nonché di progetti relativi a infrastrutture in settori che comprendono la sanità e l'istruzione, nonché le reti di trasporto transeuropee, le telecomunicazioni e l'energia. Per sfruttare le potenzialità locali di sviluppo di una determinata regione, per incoraggiare le innovazione e il turismo e per fornire servizi, il FESR può sovvenzionare piccole attività con aiuti sia operativi, sia per quanto riguarda gli investimenti, e partecipare a progetti di ricerca e di sviluppo. Il Fondo sociale europeo ha come priorità assoluta la lotta contro la disoccupazione, che comprende misure volte ad agevolare l'ingresso nel mercato del lavoro, a facilitare la parità di possibilità, a incoraggiare la riqualificazione e a creare nuovi posti di lavoro. Nelle regioni dell'obiettivo n. 1 possono ricevere sovvenzioni anche l'estensione e il miglioramento dell'addestramento generale e specifico, in particolare mediante la formazione dei formatori. La sezione orientamento del FEAOG stimola misure strutturali nell'agricoltura, nonché la ristrutturazione della produzione agricola e le attività secondarie degli agricoltori. In qualità di strumenti specifici di politica strutturale, e conformemente a una proposta della Commissione, i fondi strutturali sovvenzionano 13 iniziative comunitarie approvate in sette settori differenti: cooperazione interregionale e reti transfrontaliere, sviluppo rurale, regioni particolarmente lontane dal centro, occupazione e miglioramento delle qualifiche, trasformazioni industriali, zone urbane in crisi e ristrutturazione delle attività di pesca. Attingendo al Fondo di coesione la Comunità sovvenziona investimenti volti a migliorare l'ambiente e ad estendere le reti di trasporto transeuropee in Grecia, Spagna, Irlanda e Portogallo. Lo SFOP non soltanto sovvenziona particolari misure strutturali nel settore della pesca vera e propria, ma supporta anche progetti che comprendono l'agricoltura e la trasformazione e la commercializzazione dei suoi prodotti. Nelle regioni 179 180 dell'obiettivo n. 1, i fondi strutturali e lo SFOP arrivano abitualmente a coprire fino al 75% (in casi eccezionali, debitamente motivati, fino all'85%) dei costi globali e almeno il 50% della spesa pubblica. Nelle altre regioni, l'Unione sostiene fino al 50% dei costi globali, ma essi debbono rappresentare almeno il 25% della spesa pubblica in fatto di misure di incoraggiamento. A tale scopo le regioni vengono classificate in termini di gravità dei problemi regionali e di risorse finanziarie disponibili per lo Stato membro interessato. La BEI eroga prestiti per investimenti relativi alle infrastrutture, di solito al tasso di mercato. Su richiesta della Commissione, la BEI eroga anche prestiti attingendo agli stanziamenti del nuovo strumento comunitario (NSC -> politica di bilancio), per i quali la Commissione può anche fornire agevolazioni per diminuire il tasso d'interesse e quindi rendere più economico il prestito. Le «facilitazioni di Edimburgo» prevedevano la disponibilità di ulteriori fondi per progetti relativi alle infrastrutture nel 1993 e nel 1994, allo scopo di determinare un boom economico in Europa, in particolare nei settori dei trasporti, delle telecomunicazioni e dell'energia (anzitutto per le reti transeuropee), nonché nel settore della tutela dell'ambiente e del rinnovamento urbano. Risorse finanziarie In seguito alla decisione presa dal -> Consiglio europeo del febbraio 1988, le risorse strutturali della Comunità si sono raddoppiate in termini reali fra il 1987 e il 1993. Al vertice di Edimburgo, del dicembre 1992, è stato nuovamente deciso di incrementare in notevolissima misura tali fondi fra il 1993 e il 1999. Ai prezzi del 1992, i fondi strutturali (compreso lo SFOP) dovevano assumere impegni per 24 milioni di ecu nel 1997 e per 27,4 milioni di ecu nel 1999. Circa il 70% di tali importi è destinato alle regioni dell'obiettivo n. 1. Tali risorse sono integrate dal Fondo di coesione, che disponeva di 1,5 miliardi di ecu nel 1993 e dovrà disporre di 2,5 miliardi di ecu nel 1997 e di 2,6 miliardi di ecu nel 1999. È stata fornita una ripartizione a carattere indicativo delle spese di politica strutturale per singolo Stato membro. Da tale ripartizione risulta che i problemi connessi con il sottosviluppo regionale godono tuttora di un'assoluta priorità. Valutazione Non vi è dubbio che misure più concentrate e meglio coordinate abbiano reso più efficace la politica strutturale comunitaria. Recentemente le procedure di erogazione dei prestiti sono state ulteriormente semplificate e la Commissione incoraggia gli Stati membri ad avvalersi sempre più della procedura semplificata all'atto di redigere singoli documenti sulle strategie e sui programmi. Il notevole aumento delle risorse disponibili per i fondi rispecchia meglio la gravità dei problemi. Si fanno sentire sempre più i dubbi sul fatto che la capacità delle regioni sovvenzionate di spendere tali fondi forse è stata già superata e che il potenziamento delle attività di incoraggiamento non lascia abbastanza spazio alle iniziative locali. Sono state espresse pure critiche in merito al fatto che la Commissione, tramite le iniziative comunitarie, influenza in misura sempre maggiore l'impostazione della politica regionale violando in tal modo il principio di sussidiarietà, anche perché una serie di iniziative potrebbero essere inserite nei quadri comunitari di sostegno. Infine si nutrono dubbi in merito all'istituzione di altri nuovi fondi e strumenti finanziari, giacché essa porrebbe a repentaglio la trasparenza delle azioni di politica strutturale. Inoltre non si risolve così il problema fondamentale della politica strutturale globale dell'Unione europea: in ultima analisi essa costituisce più che altro il surrogato di un efficace sistema di riequilibrio finanziario regionale. Tale sistema, comunque sia, richiederebbe un livello di consenso e di integrazione politica che probabilmente non potrà essere raggiunto in un futuro prevedibile. Bernard Seidel 181 http://europa.eu.int/pol/socio/en/info.htm 182 Politica sociale Basi giuridiche: Preambolo e articoli 2, 3 I, J e P, da 48 a 51, da 117 a 125, 130 B, 130 D del trattato che istituisce la Comunità europea, protocollo sulla politica sociale. Obiettivi: Miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, promozione dell'occupazione e della parità di opportunità, tutela sociale minima. Strumenti: Fondo sociale europeo, programmi, misure giuridiche per l'allineamento e l'integrazione delle disposizioni e leggi nazionali. Bilancio: 6.233 milioni di ecu (1994), di cui 5.819 milioni di ecu per il Fondo sociale europeo (complessivamente il 9% del bilancio UE per il 1994). Dopo che già nel trattato istitutivo della Comunità europea del carbone e dell'acciaio (1951) erano state inserite disposizioni di politica sociale, anche il trattato che istituisce la Comunità economica europea elencava tra gli obiettivi dell'integrazione il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, cui si intendeva arrivare soprattutto con l'ausilio del Fondo sociale europeo e con il coordinamento e la cooperazione tra Stati membri. Nel quadro dell'attuazione della libertà di movimento dei lavoratori, uno degli obiettivi basilari del -> mercato interno, già prima del 1970 fu istituito un sistema che garantiva le prestazioni sociali per i lavoratori occupati in altri Stati membri. Sviluppi Fu il lancio del primo «Programma di azione sociale» (1974) a segnare l'inizio di una vera e propria politica sociale comunitaria; infatti fino ad allora la politica sociale era rimasta confinata all'attività del Fondo sociale europeo. A partire dalla metà degli anni '70 i capisaldi della politica sociale furono una serie di programmi d'azione dedicati a temi specifici come la sicurezza e la tutela sul posto di lavoro ( -> sanità) e la promozione della parità di opportunità per le donne ( -> Europa delle donne) nonché dell'inserimento di gruppi svantaggiati nel mondo del lavoro. Solo una minima parte delle attività di politica sociale potevano richiamarsi a specifiche basi giuridiche. I programmi di politica sociale si basavano su disposizioni generiche in materia di competenze (articoli 100 e 236 del trattato CEE), e presupponevano sempre una deliberazione votata all'unanimità dal -> Consiglio dell'Unione europea. Tuttavia in linea di principio dal 1974 venne riconosciuta la competenza della CE a varare disposizioni di politica sociale. Con l'->Atto unico europeo (AUE) le competenze della CE nel campo della politica sociale non furono ampliate in misura significativa: il nuovo articolo 118 A del trattato CEE si limitava infatti a prevedere misure di protezione della sicurezza e della salute sul posto di lavoro, che il Consiglio ha facoltà di varare a maggioranza qualificata in cooperazione con il -> Parlamento europeo ( -> procedure decisionali). Esemplificativo del persistente rifiuto di alcuni Stati membri a riconoscere alla CE maggiori possibilità di intervento nella legislazione sociale sotto questo profilo il fatto che l'articolo 100 A del trattato CEE (anch'esso inserito dall'AUE), che intende facilitare il ravvicinamento legislativo al fine di completare rapidamente il mercato unico, non si applica alle disposizioni relative «ai diritti ed interessi dei lavoratori dipendenti». Durante i negoziati precedenti il varo del trattato sull'Unione europea, a causa del rifiuto del governo britannico ad acconsentire all'ampliamento delle competenze della CE, la politica sociale minacciò di diventare un ostacolo all'unificazione. Infine fu il -> Consiglio europeo di Maastricht (dicembre 1991) a trovare un compromesso: le disposizioni di politica sociale del trattato CE vennero lasciate immutate, ma al trattato sull'Unione venne aggiunto un «protocollo sulla politica sociale» a carattere vincolante. Tale protocollo autorizza i rimanenti 11 Stati membri a fare ricorso alle istituzioni, alle procedure e ai meccanismi del trattato allo scopo di attuare, senza il Regno Unito, una più ampia politica sociale comunitaria. In un accordo allegato al protocollo vengono fissati gli obiettivi della politica sociale da attuare senza il Regno Unito; tuttavia solo nel campo dei diritti dei lavoratori tali obiettivi vanno significativamente al di là di quanto contenuto nel trattato CE. In linea di principio altri settori del diritto del lavoro (diritto di associazione, di sciopero e di serrata), così come le questioni salariali, rimangono esclusi dall'azione comune; inoltre le deliberazioni relative ai diritti e alla sicurezza e protezione sociale dei lavoratori continuano ad essere soggette a voto unanime. Con l'attuazione del protocollo sociale, per la prima volta nella storia comunitaria si sviluppa comunque un diritto comunitario derivato limitato a una parte degli Stati membri. Non bisogna dimenticare che in teoria ne potrebbe risultare un vantaggio concorrenziale per il Regno Unito, ma ciononostante, sin dal primo esempio di ricorso al protocollo sociale - la direttiva del 22 settembre 1994 relativa ai consigli d'impresa europei, da vent'anni oggetto di controversie - è apparso evidente che gli altri 11 Stati membri sono decisi a sfruttare le possibilità da esso offerte, creando una base di disposizioni minime europee nei settori basilari della politica sociale. Il Fondo sociale europeo In base al trattato CE l'obiettivo del Fondo sociale europeo (FSE) è fornire un contributo al miglioramento delle opportunità di occupazione per i lavoratori. La storia del FSE è assai mutevole: creato nel 1960, inizialmente esso serviva 183 184 soprattutto per finanziare misure di trasferimento e riqualificazione; erano soprattutto gli Stati membri «ricchi», più abili nel presentare le domande di finanziamento, ad approfittarne maggiormente: fino al 1972 la metà dei fondi è confluita nelle casse della Repubblica federale di Germania. Più tardi, negli anni 80, i fondi vennero destinati soprattutto all'integrazione dei giovani disoccupati nella vita lavorativa. Dal 1972 furono introdotte rigorose quote nazionali, grazie alle quali gran parte dei fondi andarono agli Stati membri «più poveri». Nell'ambito del completamento del mercato interno il FSE fu ampiamente riformato. In base alle disposizioni dell'AUE - riprese senza modifiche significative nel trattato sull'Unione - il FSE, insieme al Fondo europeo di sviluppo regionale ( -> politica strutturale regionale) e alla sezione «orientamento» del FEAOG ( -> politica agricola) concorre alla «coesione economica e sociale» dell'Unione (articolo 130 B del trattato CE). In base alle decisioni relative al «pacchetto Delors» (1988) e al «pacchetto Delors II» (1992) i fondi strutturali vengono aumentati annualmente di 27 miliardi di ecu (in prezzi del 1992) fino al 1999 (1994-1999: 141,5 miliardi di ecu, di cui 40 miliardi di ecu per il FSE). In base al regolamento quadro del luglio 1993 il FSE è destinato soprattutto a finanziare le misure relative all'obiettivo n. 3 (lotta contro la disoccupazione di lunga durata, inserimento dei giovani nella vita lavorativa) e all'obiettivo n. 4 (adattamento dei lavoratori ai mutamenti del sistema produttivo) dei fondi strutturali, ma anche alle azioni svolte nel quadro dell'obiettivo n. 2 (rinnovamento delle regioni industriali tradizionali); a ciò si aggiungono una serie di cosiddette «iniziative comunitarie» a favore di determinate azioni o gruppi di persone. «Dimensione sociale» del mercato interno e «dialogo sociale» Il motto della «dimensione sociale» del mercato interno simboleggia il tentativo di dare un immagine più umana e sociale al mercato interno e all' Unione europea nel suo complesso, nonché a combattere il pericolo, evocato dai sindacati, di un «dumping sociale». Il termine «dimensione sociale» evoca quindi sia l'opzione di fondo in favore dell'integrazione che la volontà di varare concrete misure legislative. Una componente fondamentale della «dimensione sociale» è il «dialogo sociale». Il tentativo di fare sedere le parti sociali intorno a un tavolo, per condurre trattative a respiro europeo volte a raggiungere posizioni comuni, ha avuto un precedente negli anni '70, con il «comitato permanente per i problemi dell'occupazione» e la cosiddetta «conferenza a tre», ma in quel frangente il tentativo di realizzare un'azione concertata fallì per l'insufficiente disponibilità al compromesso e la mancanza di competenza, sia da parte comunitaria che dei raggruppamenti d'interessi. Il termine di «dialogo sociale» è stato introdotto dall'AUE (articolo 118 B del trattato CE) e ulteriormente definito dall'articolo 3 del protocollo sociale di Maastricht: con esso si è voluto indicare che le parti sociali devono partecipare alla realizzazione del mercato interno e alla sua dimensione sociale, ad esempio L’EUROPA DALLA A ALLA Z discutendo insieme delle linee guida generali della politica dell'UE e mettendone a punto le priorità comuni nel corso di vertici o incontri - dedicati a specifici temi politici o settori economici - tra i rappresentanti dei raggruppamenti d'interessi europei (CES, UNICE, CEIP) e della Commissione europea. Globalmente il «dialogo sociale» può essere considerato il tentativo di dare vita a una sorta di «partnership sociale» a livello europeo; si tratta tuttavia di un concetto del tutto sconosciuto all'interno di molti Stati membri e che oltretutto presuppone un livello d'integrazione assai maggiore tra le stesse associazioni d'interessi europee. Sicurezza sociale: sensibile divario secondo gli Stati membri Spese per la sicurezza sociale in % del prodotto interno lordo (1993)* B 26,34 DK 32,31 D 29,70 EL 15,48 E 23,20 F 29,18 IRL 20,44 I 24,53 L 24,00 NL 32,12 P 17,33 UK 26,75 27,52 EUR 15 0 5 10 15 20 25 30 35 * Cifre provvisorie, tranne Danimarca. Dati non disponibili per Austria, Finlandia e Svezia. Fonte: Eurostat Carta sociale A dare una concreta fisionomia alla «dimensione sociale» del mercato interno dovrebbe contribuire soprattutto la «Carta comunitaria dei diritti sociali 185 186 fondamentali dei lavoratori», varata nel dicembre 1989 dal Consiglio europeo con l'ovvio voto contrario del Regno Unito. Tuttavia, dopo la presentazione, nell'aprile 1989, di un progetto del comitato economico e sociale, nel corso delle trattative in seno al Consiglio - soprattutto a causa del rifiuto opposto dal Regno Unito l'ambizioso obiettivo di una carta di diritti vincolanti e azionabili in sede giudiziaria sfociò in una mera dichiarazione d'intenti politici su una serie di diritti sociali fondamentali, dalla formazione professionale e la libertà d'associazione al diritto dei lavoratori a essere informati, fare sentire la propria voce e partecipare al processo decisionale. Per perseguire comunque dei progressi nel campo della politica sociale, già nel dicembre 1989 la Commissione presentò un programma d'azione per l'attuazione della Carta, che prevedeva 47 azioni concrete. Le iniziative in questione, sulle quali la decisione spetta al Consiglio, si trovano in gran parte in avanzato stato di lavorazione: si pensi ad esempio alle direttive sui licenziamenti collettivi, sulla prova del rapporto di lavoro, sulla tutela della maternità, sulla protezione dei giovani sul lavoro e sul tempo di lavoro. Prevedibilmente l'attuazione delle rimanenti misure avverrà nell'ambito del protocollo sociale, senza la partecipazione del Regno Unito. Verso un'unione sociale? Anche se negli anni scorsi - principalmente per effetto del mercato unico - sono stati fatti notevoli passi avanti verso il traguardo di una politica sociale europea, e sempre più sono i settori delle normative nazionali che ormai sono stati sostituiti, o perlomeno affiancati, da prescrizioni minime europee, la strada che porta a una vera «unione sociale» è ancora lunga. Per ora importanti settori del diritto del lavoro e del diritto sociale rimangono puramente nazionali, come del resto i sistemi d'istruzione e di assicurazione sociale, per i quali solo a lungo termine i progressi nell'integrazione del mercato del lavoro e la crescente mobilità della forza lavoro, accompagnati al sempre più accentuato allineamento dei livelli di vita, porteranno forse a un'uniformazione, se non addirittura a una soluzione globale europea. Per il momento la situazione vede ancora sistemi diversi in concorrenza reciproca. Ad ogni modo la discussione sul futuro della politica sociale europea è in pieno svolgimento. A questo proposito il «libro verde» in materia, presentato dalla Commissione nel novembre 1993, insieme al «libro bianco sulla politica sociale europea» del luglio 1994, elaborato sulla base del libro verde e delle oltre 500 prese di posizione pervenute in proposito, apre prospettive oltremodo interessanti. Assai indicativa è l'impostazione globale data alla problematica - i temi affrontati vanno da un obiettivo fondamentale come la lotta alla disoccupazione fino al futuro dello stato sociale - ma anche il fatto che per la prima volta si discute apertamente a livello europeo dell'esistenza e del futuro di un «modello sociale europeo». Lanciare un dibattito europeo sulla sopravvivenza di tale modello è un passo importante verso una possibile intesa sugli obiettivi e la portata di una politica sociale europea. 187 Christian Engel http://europa.eu.int/pol/dev/en/info.htm 188 Politica di sviluppo Base giuridica: Articoli da 131 a 136 del trattato CE (Associazione dei paesi e territori d'oltremare), articolo 238 (convenzioni di Lomé), articolo 113 (politica commerciale) e articolo 43 del trattato CE (aiuti alimentari). Il trattato sull'Unione europea attribuisce alla Comunità vaste competenze nel settore della cooperazione allo sviluppo (articoli da 130 U a 130 Y). Strumenti: Accordi di associazione con gruppi di Stati, accordi commerciali e di cooperazione, sistemi delle preferenze generalizzate, assistenza finanziaria, aiuti alimentari e in caso di calamità, coordinamento e armonizzazione delle politiche nazionali di sviluppo. Bilancio: per il 1995: 2,651 miliardi di ecu, corrispondenti a circa 3,4% del bilancio comunitario; circa 2,5 miliardi di ecu all'anno per la cooperazione nell'ambito delle convenzioni di Lomé. Dalla metà degli anni '70 l'->Unione europea (UE) si è occupata in misura crescente di questioni attinenti al settore della politica di sviluppo. In mancanza di una precisa attribuzione di competenze, è andata progressivamente elaborando una propria gamma di strumenti di politica di sviluppo ed una cornice finanziaria che si sono rivelate pienamente aderenti alle possibilità di azione dei suoi Stati membri. Soltanto dall'entrata in vigore, nel novembre 1993, del trattato di Maastricht che istituisce l'Unione europea, l'UE è chiamata ad assolvere compiti chiaramente definiti ad integrazione delle attività poste in essere dagli Stati membri. Non è prevista una ulteriore europeizzazione della politica di sviluppo, perlomeno allo stadio attuale, ma l'obiettivo dichiarato consiste in un maggiore coordinamento delle attività dell'Unione e degli Stati membri. Sebbene fino agli inizi degli anni '90 non disponesse di poteri d'azione propri in materia di politica dello sviluppo, l'UE ha avviato molteplici attività nel settore della cooperazione Nord-Sud: innanzitutto partecipa dal 1969, per ragioni di politica agricola, agli accordi alimentari internazionali; dal 1971 ha concesso ai paesi in via di sviluppo privilegi commerciali unilaterali nell'ambito del sistema preferenziale generalizzato. Inoltre, dalla metà degli anni 70 l'UE eroga, sulla base di diverse delibere del Consiglio adottate ai sensi dell'articolo 235 CEE, aiuti finanziari e aiuti d'urgenza, operando a stretto contatto con organizzazioni (private) per gli aiuti internazionali. L’EUROPA DALLA A ALLA Z Il trattato sull'Unione europea rafforza sensibilmente la base giuridica della politica di sviluppo della Comunità. Gli articoli da 130 U a 130 Y aggiungono al TUE un nuovo titolo «Cooperazione allo sviluppo» che individua tre obiettivi: promozione dello sviluppo economico e sociale, integrazione dei paesi in via di sviluppo nell'economia mondiale e la campagna contro la povertà. Esso sancisce espressamente che la politica della Comunità nel settore della cooperazione allo sviluppo integra quelle svolte dagli Stati membri. Aiuti al terzo mondo Aiuto pubblico dei principali donatori (in milioni di dollari, 1992) 33 776 35 000 30 000 25 000 15 000 11 151 11 709 20 000 2 515 97 5 000 973 1 273 451 1 054 10 000 * Unione europea e Stati membri. ** Tra cui Arabia Saudita ed Emirati arabi uniti. ***Tra cui Cina, India, Corea del sud, Taiwan e Venezuela. Nuova Zelanda Australia Canada Norvegia Altri paesi in fase di sviluppo donatori (***) Paesi arabi (**) Giappone USA (*) EUR 15 0 189 190 Obiettivi e strumenti Gli anni '80 hanno registrato un nuovo orientamento della politica di sviluppo della Comunità. Nel «Memorandum Pisani» dell'ottobre 1982, la -> Commissione europea, su insistente richiesta del primo -> Parlamento europeo eletto a suffragio universale (nel 1979), formulò nuovi obiettivi, che da allora sono stati rielaborati in diverse occasioni. Accanto a considerazioni di carattere generale - soprattutto il mantenimento della pace a livello mondiale - tale documento conferisce priorità a sei obiettivi pratici: sostegno degli sforzi effettuati dagli stessi paesi in via di sviluppo; promozione dell'autosufficienza alimentare con particolare riferimento allo sviluppo agricolo; sviluppo delle risorse umane e rispetto della dimensione culturale; sviluppo delle capacità autonome di ricerca scientifica e applicata; utilizzo sistematico di tutte le risorse naturali disponibili; ripristino e mantenimento dell'equilibrio ecologico. Tale sistema di priorità trova sempre più frequente impiego nella pratica dell'attribuzione dei fondi. Nel maggio 1992 la Commissione ha presentato una comunicazione sulla «politica della cooperazione allo sviluppo fino all'anno 2000», nella quale vengono illustrate le conseguenze del trattato di Maastricht. Particolare rilievo viene oggi accordato alla cooperazione nel settore del rispetto dei diritti umani e del corretto funzionamento dell'amministrazione pubblica e degli organi di governo. Gli strumenti della politica di sviluppo della Comunità comprendono sia accordi commerciali, di associazione e di cooperazione stipulati con gruppi di Stati o con paesi singoli, sia una molteplicità di strumenti di sviluppo a destinazione globale. Tali sono il sistema preferenziale generalizzato - che garantisce ai paesi favoriti un più facile accesso ai mercati dell'UE - gli aiuti alimentari, le misure di soccorso in caso di calamità naturali e il sostegno finanziario ai paesi dell'Asia e dell'America latina. Le convenzioni di Lomé La cooperazione nell'ambito delle convenzioni di Lomé rappresenta il nucleo centrale della politica di sviluppo della Comunità. La prima convenzione di Lomé fu firmata nel 1975 tra gli allora nove Stati membri e 46 paesi ACP. Essa subentrava alla convenzione di Yaoundé. Nel dicembre 1989 i rappresentanti degli Stati membri europei, diventati dodici, e 69 paesi in via di sviluppo sottoscrissero la quarta convenzione (la Namibia si è aggiunta nel 1990). Lomé IV ha una durata decennale (dal marzo 1990 fino a febbraio 2000), prevedendo la possibilità di rinegoziare i termini dell'assistenza finanziaria nell'anno 1995. In pratica, il capitolo sulla politica commerciale consente l'esportazione in esenzione da dazi sul mercato UE del 99% di tutti i prodotti ACP. I prodotti sensibili, disciplinati dalle norme applicate ai mercati agricoli della Comunità, sono ancora largamente esclusi dal libero accesso al mercato comunitario. Al contrario, gli Stati ACP possono applicare dazi sulle importazioni dall'UE sempre che ciò non risulti discriminatorio rispetto ad altri paesi industrializzati. Uno degli strumenti più importanti dell'accordo UE-ACP consiste nel Sistema di stabilizzazione dei proventi delle esportazioni (Stabex), elaborato come parte della cooperazione di Lomé. Oggi viene riconosciuto in tutto il mondo come un modello di portata giuridica limitata, ma di efficacia pratica apprezzabile. Il sistema Stabex si applica ad oltre 40 materie prime agricole e garantisce la compensazione dalle casse di Bruxelles - al di sotto di una quotazione massima e in presenza di particolari condizioni - nel caso di un ribasso dei proventi delle vendite. Un sistema analogo è stato messo a disposizione dal 1987 anche dei più poveri paesi dell'Asia e dell'America latina. Altri capitoli della quarta convenzione di Lomé vertono sulla questione dell'indebitamento, la protezione dell'ambiente e i diritti umani. Le risorse finanziarie per il periodo 1990-1995 sono state aumentate da 9 miliardi di ecu, nell'ambito di Lomé III, a 12,6 miliardi di ecu. Dopo una prolungata fase negoziale (accompagnata da qualche meschina manovra negoziale da parte di alcuni Stati membri) il Consiglio europeo di Cannes del 1995 ha approvato la dotazione di 13,3 miliardi di ecu per il FES per il periodo 1996-2000. I risultati della cooperazione attuata fino ad oggi nell'ambito della convenzione di Lomé sono tutt'altro che soddisfacenti: la quota dei paesi ACP nel volume complessivo dell'interscambio UE è in continuo calo da anni. All'inizio degli anni '90 era sceso al 4-5%, a fronte degli oltre 7 punti percentuali registrati prima del 1975; inoltre, da allora il prezzo delle materie prime è diminuito e l'indebitamento dei paesi aderenti a Lomé è aumentato. Stando ad una relazione speciale redatta dalla -> Corte dei conti europea nel luglio 1995, le quote Stabex annuali non sono state sufficienti in nessuno dei primi tre anni dell'applicazione di Lomé IV. Tra il 1990 ed il 1992 si è potuto finanziare solo il 40,7% delle richieste legittime. La situazione alimentare continua a destare grandi preoccupazioni. Nonostante i risultati non siano completamente soddisfacenti - ed anche perché non dispongono di alcuna alternativa realistica - gli stati ACP sono tuttora molto interessati a proseguire la cooperazione nell'ambito della Convenzione di Lomé. Conclusioni La politica di sviluppo dell'UE alla metà degli anni '90 presenta le seguenti caratteristiche: in primo luogo, la Comunità in quanto associazione transnazionale privilegia il sostegno di progetti di integrazione regionale, quali i progetti volti alla creazione di infrastrutture transfrontaliere. Dopo il 1990 l'Unione ha messo a disposizione risorse più consistenti a favore degli aiuti umanitari, compresi taluni aspetti degli aiuti alimentari della Comunità, aiuti a favore dei rifugiati, progetti di risanamento in seguito a crisi e misure di prevenzione delle crisi. Tra il 1990 ed il 1994 i fondi erogati sono cresciuti costantemente, passando da 114 milioni di ecu a 764 milioni di ecu. L'Ufficio europeo per gli aiuti umanitari (European Community Humanitarian Office - ECHO) è stato istituito al fine di gestire l'attuazione del programma dal punto di vista tecnico. Ad eccezione di piccole concessioni fatte nell'ambito della convenzione di Lomé, l'Unione non ha finora 191 192 contribuito in modo significativo alla soluzione del problema dell'indebitamento. Essa afferma di non disporre di competenze in materia. Otto Schmuck Procedure decisionali Basi giuridiche: Articoli 137, 138 B, 141 e 142 CE (Parlamento europeo); articoli 145 e 148, da 150 a 152, 189 A del trattato CE (Consiglio); articoli 155, 189 A del trattato CE (Commissione); articoli da 189 a 191 CE. Procedure speciali per le decisioni in materia di politica estera e di sicurezza comune (PESC) e in materia di giustizia e affari interni (GAI), agli articoli J e K del TUE. Istituzioni interessate: Commissione europea, Parlamento europeo e Consiglio dell'Unione europea. Queste istituzioni vengono assistite dal comitato economico e sociale (CES) e dal comitato delle regioni (CdR), con funzioni consultive (articolo 4, paragrafo 2). Decisioni: Gli atti della CE sono quelli elencati all'articolo 189. Le decisioni in materia di bilancio (articolo 203 CE) e nei settori PESC e GAI (articoli J e K del TUE) sono atti atipici. Le decisioni della Comunità europea e dell'Unione europea vengono adottate in base a procedure diverse, disciplinate da precise norme, che insieme determinano il processo decisionale dell' Unione europea (UE). Al centro del processo decisionale vi è la legislazione comunitaria, che di massima si articola in tre fasi: iniziativa, consultazione e decisione (che è poi lo schema di base di ogni processo legislativo). Di fatto il processo decisionale della CE si divide però in diverse procedure, la cui struttura varia a seconda dell'argomento trattato (politica comunitaria). Lo schema di base del procedimento legislativo prevede una stretta cooperazione tra Commissione europea, -> Parlamento europeo (PE) e -> Consiglio dell'Unione europea. La Commissione detiene il potere di iniziativa ed è responsabile dei lavori preparatori; il Parlamento procede alla consultazione pubblica sulla proposta, esprimendo le posizioni delle varie forze politiche rappresentate al suo interno e formula pareri e risoluzioni. Sia il Consiglio che il Parlamento possono a loro volta chiedere alla Commissione di elaborare proposte, e in tal modo influire sul diritto di iniziativa della Commissione. Attualmente il Consiglio detiene ancora il ruolo di legislatore di ultima istanza, ma il trattato sull'Unione europea ha riconosciuto al Parlamento un potere legislativo parziale in alcuni ambiti (procedura di codecisione ai sensi dell'articolo 189 B CE). Nel procedimento di formazione degli atti comunitari le istituzioni sono vincolate all'osservanza di un rigido sistema di prerogative. Questo sistema si fonda sul 193 194 principio della «attribuzione di competenze specifiche»; in pratica, ciò che determina se le istituzioni abbiano la facoltà di agire in un determinato settore, quali provvedimenti possano eventualmente prendere, quale forma giuridica debbano assumere questi provvedimenti e quali norme procedurali vadano rispettate, sono esclusivamente le disposizioni dei trattati, soprattutto del trattato CE quale è stato modificato e completato dal trattato sull'Unione europea. Nel quadro della -> politica estera e di sicurezza comune (PESC), nonché della cooperazione in materia di -> giustizia e affari interni (GAI), il trattato sull'Unione europea prevede procedure decisionali specifiche (articoli J e K). I procedimenti di formazione degli atti comunitari In virtù del trattato CE, la ripartizione delle competenze fra le tre istituzioni che partecipano al processo legislativo prevede che tutti i provvedimenti legislativi di base vengano adottati dal Consiglio, che per la sua composizione costituisce il tramite politico con gli Stati membri; fin dalle origini, infatti, il consenso di questi ultimi è stato indispensabile per permettere lo sviluppo della CE/UE. Ai sensi dell'articolo 189 CE, la legislazione è formata soprattutto dai regolamenti e dalle direttive («diritto comunitario derivato»). Il regolamento ha una portata generale; esso è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno Stato membro. La direttiva vincola invece gli Stati membri cui è rivolta solo per il risultato da raggiungere lasciando loro la scelta della forma e dei mezzi di recepimento nella legislazione nazionale, entro un termine fissato. Ai sensi dell'articolo 191 CE, gli atti comunitari entrano in vigore solo dopo la loro pubblicazione nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee (GUCE), oppure dopo la notifica ai loro destinatari. Procedura di consultazione In base alla procedura generale di consultazione, di norma la Commissione elabora proposte legislative in virtù del proprio diritto di iniziativa (articoli 155, 190 CE), sulle quali il Consiglio consulta il Parlamento (articoli 137, 190 CE) prima di deliberare in ultima istanza (articolo 145 CE). Ai sensi degli articoli 152 e 138 B CE, il Consiglio e il Parlamento possono anche chiedere alla Commissione di elaborare proposte in determinati settori. Occorre distinguere tra la «consultazione obbligatoria» e la «consultazione facoltativa» del Parlamento. Questa distinzione è importante anche in ordine alle conseguenze giuridiche di un'eventuale omissione, da parte del Consiglio, di consultazione del Parlamento. Nei casi in cui il trattato la prescriva obbligatoriamente, la consultazione del Parlamento costituisce un requisito formale inderogabile, pena la nullità dell'eventuale atto adottato dal Consiglio, conformemente a una sentenza della->Corte di giustizia delle Comunità europee (CGCE) del 1980. La caratteristica essenziale della procedura di consultazione è che il Parlamento procede a una sola lettura. In pratica, la procedura si articola come segue. La proposta della Commissione viene presentata formalmente dal Consiglio al Parlamento, affinché questo esprima il suo parere; il presidente del Parlamento trasmette la proposta alla commissione competente ed, eventualmente, ad altre commissioni che devono essere consultate. Le conclusioni delle commissioni vengono presentate sotto forma di rapporto alla sessione plenaria, la quale può adottarle tali e quali o chiedere delle modifiche. Il parere del Parlamento viene trasmesso al Consiglio e alla Commissione, affinché quest'ultima possa eventualmente modificare la propria proposta originaria nel senso auspicato dal Parlamento. La Commissione e il Consiglio esaminano le proposte di emendamenti del Parlamento ed esprimono la propria posizione in merito, perlopiù in modo informale. Essi fanno sapere al Parlamento se intendano accogliere o respingere le sue proposte di emendamenti. Al termine, il Consiglio adotta l'atto in questione con la maggioranza e la ponderazione dei voti previste (articolo 148, paragrafo 2, CE), ponendo termine in tal modo alla procedura. Cosa significa «maggioranza qualificata» ? In Consiglio i 15 governi degli Stati membri dell'UE dispongono complessivamente di 87 voti, ripartiti in funzione della dimensione dei paesi. Nei casi in cui il trattato CE prescrive la maggioranza qualificata, sono necessari almeno 62 degli 87 voti (articolo 148 CE) per adottare una decisione. Se invece è sufficiente la maggioranza semplice, devono votare a favore almeno 8 dei 15 Stati membri. L'attuale ponderazione dei voti è la seguente: Belgio Danimarca Germania Grecia Spagna 5 3 10 5 8 Francia Irlanda Italia Lussemburgo Paesi Bassi 10 3 10 2 5 Austria Portogallo Finlandia Svezia Regno Unito 4 5 3 4 10 Procedura di cooperazione Consiglio-Parlamento Dal 1958 al 1987 quello ora descritto è stato il procedimento legislativo abituale della Comunità. Per ambiti specifici, in particolare per atti connessi principalmente con la realizzazione e il funzionamento del ->mercato interno (cfr. articolo 100 A CE), dal 1 luglio 1987 è stata introdotta dall'Atto unico (-> trattati) una speciale «procedura di cooperazione» tra Consiglio e Parlamento, con la partecipazione della Commissione; questa procedura doveva garantire sia che le decisioni venissero adottate dal Consiglio a maggioranza qualificata, sia che il Parlamento venisse coinvolto maggiormente nel processo decisionale. La nuova procedura ha reso necessarie ampie modifiche delle disposizioni del trattato e dal 1987, per le decisioni relative al mercato interno, è richiesta una doppia lettura in Parlamento e in Consiglio. Come avveniva già precedentemente, la Commissione presenta una proposta, sulla quale il Parlamento deve pronunciarsi; il Consiglio esamina la proposta in prima lettura ed elabora una -> «posizione comune» che, debitamente motivata, viene sottoposta al Parlamento. Il Parlamento ha tre mesi di tempo per approvare il progetto del Consiglio, respingerlo o proporre emendamenti; negli ultimi due casi è necessaria la maggioranza assoluta dei membri del Parlamento. 195 196 Qualora quest'ultimo formuli proposte di emendamenti, spetta alla Commissione avviare la fase successiva del procedimento (termine: un mese). Esistono allora due possibilità. Nel primo caso, la Commissione accoglie gli emendamenti del Parlamento e allora il Consiglio può adottare il provvedimento in seconda lettura a maggioranza qualificata, nel testo modificato dal Parlamento. Se però il Consiglio vuole discostarsi dalla proposta modificata, la sua decisione deve essere presa all'unanimità. Se non riesce a raggiungere l'unanimità, il Consiglio deve accettare le proposte del Parlamento, se non vuole esporsi a un ricorso per carenza (termine per l'adozione di una decisione: tre mesi). Nella seconda ipotesi, qualora cioè la Commissione non accolga gli emendamenti del Parlamento, vige sempre la norma (d'applicazione anche al di fuori di questa procedura) in base alla quale il Consiglio può approvare la proposta della Commissione a maggioranza qualificata, oppure discostarsene solo all'unanimità; anche per adottare eventuali emendamenti del Parlamento non accolti dalla Commissione oppure una proposta respinta dal Parlamento, il Consiglio deve deliberare all'unanimità. Affinché il Parlamento possa svolgere appieno il proprio ruolo nel quadro della procedura di cooperazione, occorre che il Consiglio decida effettivamente - come previsto dal trattato - a maggioranza qualificata. Ciò implica, in particolare, che non venga invocato il cosiddetto «compromesso di Lussemburgo», del 29 gennaio 1966, che di fatto permette agli Stati membri, in nome della difesa di interessi vitali, di opporsi a una decisione a maggioranza e di esigere che le decisioni vengano prese all'unanimità. Procedura di codecisione Con l'articolo 189 B del trattato CE è stato introdotto un nuovo modo per coinvolgere il Parlamento europeo nel procedimento legislativo comunitario, conferendogli un diritto di codecisione in determinati settori; questa procedura di codecisione permette tra l'altro una terza lettura in Parlamento. La nuova procedura è entrata in vigore il 1 novembre 1993. Essa ricalca la «procedura di cooperazione», ma contiene due innovazioni. In primo luogo, in caso di divergenza tra Consiglio e Parlamento, viene convocato un comitato di conciliazione; in secondo luogo, qualora il comitato di conciliazione non riesca a raggiungere un'intesa, il Parlamento ha il diritto di respingere la proposta a maggioranza assoluta dei membri che lo compongono. In tal modo, non è possibile adottare alcun provvedimento contro il volere del Parlamento. La rilevanza della procedura di codecisione risulta evidente dai settori nei quali essa è obbligatoria per varare un atto legislativo: cultura, istruzione, sanità, protezione dei consumatori, reti transeuropee, ricerca e tecnologia, nonché tutela ambientale. Procedura di codecisione, ai sensi dell'articolo 189b CE Proposta della Commissione Parere del Parlamento (prima lettura) Posizione comune del Consiglio a maggioranza qualificata (prima lettura) Parlamento (seconda lettura) Approvazione Il PE non si pronuncia Adozione entro un termine di 3 mesi Il Consiglio convoca il comitato di conciliazione Il PE propone emendamenti a proposta a maggioranza assoluta Il Consiglio accoglie gli emendamenti (entro 3 mesi) a maggioranza qualificata (con l'accordo della Commissione) Adozione dell'atto Il PE annuncia la reiezione a maggioranza assoluta Il Consiglio non accoglie gli emendamenti Convocazione del Convocazione del da parte dei presidenti del Consiglio e del PE all'unanimità (se la Commissione non è d'accordo) Il comitato di conciliazione raggiunge un'intesa a maggioranza qualificata dei rappresentanti del Consiglio e a maggioranza dei rappresentanti del PE Adozione dell'atto Il comitato di conciliazione non riesce a raggiungere un'intesa Il Consiglio conferma entro sei settimane la posizione comune in prima lettura a maggioranza qualificata Il PE respinge la proposta a maggioranza assoluta: l'atto non viene adottato Il Consiglio adotta l'atto (a maggioranza qualificata) Il PE respinge il testo entro 6 settimane (a maggioranza assoluta) Il PE respinge il testo Reiezione dell'atto Adozione dell'atto Il PE adotta l'atto (a maggioranza assoluta) (entrambi devono approvare il testo entro 6 settimane) Adozione dell'atto 197 198 Parere conforme Questa procedura trova applicazione soprattutto per l'adozione di cosiddetti atti «costituzionali», che definiscono l'identità e la struttura della CE/UE. Oltre agli accordi di adesione e di associazione, per i quali questa procedura era prevista fin dal 1987, il «parere conforme» del Parlamento attualmente è necessario anche per l'adozione di importanti accordi internazionali e per la fissazione di una procedura uniforme per l'elezione del Parlamento stesso. Senza il parere conforme (l'assenso) del Parlamento, le decisioni del Consiglio sono prive di efficacia. Procedure speciali Oltre alla procedura legislativa ordinaria e alle procedure di cooperazione, di codecisione e di parere conforme, il trattato CE prevede anche altre procedure speciali per l'adozione di atti legislativi che trovano applicazioni in particolare per l'elaborazione del bilancio, la conclusione di accordi internazionali, la decisione sulle elezioni del Parlamento europeo, le disposizioni finanziarie che disciplinano le risorse proprie della Comunità e per la revisione dei trattati. Altri atti speciali sono i regolamenti interni delle istituzioni dell'Unione, che ciascuna di esse adotta autonomamente per disciplinare il proprio funzionamento. Neppure le decisioni nel quadro della PESC e quelle adottate in conformità degli articoli J e K del TUE costituiscono provvedimenti legislativi ai sensi del trattato CE. Nuove riforme Se le procedure qui esaminate vengono criticate perché troppo complesse, non meno criticato è il fatto che il Parlamento europeo non partecipi in modo sufficientemente incisivo al processo legislativo e si contesta anche la legittimità delle decisioni del Consiglio. Per questo si spera soprattutto che la -> conferenza intergovernativa in corso per la revisione del trattato di Maastricht permetterà di democratizzare il processo legislativo mediante un coinvolgimento più attivo del Parlamento, nonché di razionalizzare e semplificare le procedure decisionali. Al riguardo si prevede tra l'altro che, in base alla cosiddetta «clausola evolutiva» (articolo 189 B, paragrafo 8, CE), anche il campo d'applicazione della procedura di codecisione praticata dal 1993 possa essere ampliato. Uno dei compiti prioritari fondamentali per dare all'Unione europea un nuovo assetto costituzionale, che nella prospettiva del futuro approfondimento e -> ampliamento dell'Unione diventa sempre più necessario, è appunto una riforma in profondità del processo decisionale. Thomas Läufer http://europa.eu.int/pol/ext/en/info.htm Relazioni esterne Base giuridica: Articoli 3 b), q), r); 9, da 18 a 29, 110, 113, 115; 130 U - Y; da 131 a 136 A; 228, da 228 a A-231, 238 del trattato CE; articolo O del TUE. Obiettivi: Definizione e attuazione di una politica commerciale estera comune fondata su una tariffa doganale comune nei confronti degli Stati terzi; tutela degli interessi comuni di politica estera nelle relazioni commerciali internazionali; progressiva liberalizzazione dell'economia internazionale; sviluppo di strette relazioni nel settore della politica economica e commerciale nei confronti di particolari gruppi di Stati o singoli Stati; promozione dello sviluppo nel terzo mondo attraverso la cooperazione commerciale ed economica. Nel linguaggio corrente dell'->Unione europea (UE), per relazioni esterne si intendono quelle relazioni che l'UE intrattiene con i paesi terzi e le organizzazioni internazionali nel settore economico e commerciale. Nonostante il grande rilievo che assumono nel quadro della politica estera, esse vanno tuttavia distinte, dal punto di vista del contenuto e sotto il profilo giuridico, dalla -> politica estera e di sicurezza comune (PESC), che ha per oggetto le relazioni di natura strettamente politica tra l'Unione europea ed i paesi terzi e le organizzazioni internazionali. Le relazioni esterne, i cui principali elementi sono costituiti dalla politica commerciale comune, la politica di associazione e la -> politica di sviluppo, formano, assieme alla PESC, la base della politica estera europea. Esse si fondano sulla tariffa doganale comune dell'UE, la competenza esterna attribuita alle istituzioni dell'UE, le procedure stabilite dai trattati, un esteso corpus di norme comunitarie derivate ed una rete sempre più ampia di accordi bilaterali e multilaterali sottoscritti con i paesi terzi. Origine e fondamenti giuridici Il mercato comune ( -> mercato unico) dell'UE e l'unione doganale che la circonda non sarebbero potuti sopravvivere senza norme uniformi di importazione e di esportazione ed una tutela comune degli interessi nei confronti dei paesi terzi. I sei paesi fondatori delle Comunità europee furono pertanto indotti ad attribuire, già nei trattati istitutivi, alle istituzioni CE competenze che consentissero di dare una struttura unitaria alle relazioni instaurate nell'ambito del commercio estero, a differenza delle relazioni attinenti alla sfera della politica estera, che rimase un settore soggetto alla sovranità degli Stati membri. Tale decisione fondamentale era stata adottata in vista dell'obiettivo di sviluppare una politica commerciale 199 200 comune (articolo 113 del trattato CE) che, secondo il disposto del trattato, doveva diventare di esclusiva competenza della Comunità dopo il periodo transitorio, terminato nel 1970. Inoltre, la Comunità può anche concludere accordi con paesi terzi in altri settori in cui non è espressamente prevista la sua competenza esterna, qualora le sia attribuita la competenza di regolamentare tali settori sul piano interno, come avviene nel quadro della -> pesca o della -> ricerca e tecnologia. I cosiddetti «poteri impliciti» sono stati riconosciuti nella sentenza AETR del 1971 dalla -> Corte di giustizia europea e costituiscono una importante integrazione della base giuridica che disciplina le relazioni esterne. Tuttavia, c'è sempre stato disaccordo sulla suddivisione delle competenze tra l'UE e gli Stati membri ed il problema è stato spesso, e viene tuttora, risolto coinvolgendo negli accordi internazionali non solo la Comunità ma anche gli Stati membri (cosiddetti «accordi misti»). Per lo sviluppo delle relazioni esterne riveste grande importanza il fatto che la Comunità sia rappresentata da delegazioni della -> Commissione europea in gran parte dei paesi terzi e delle organizzazioni internazionali e che quasi tutti i paesi dispongano di rappresentanze diplomatiche presso l'UE a Bruxelles. All'interno dei molteplici settori che rientrano nelle relazioni esterne, la politica commerciale comune mantiene tuttora un ruolo centrale, non solo perché è di gran lunga la politica estera più integrata ma anche per il suo particolare significato politico, in quanto riflesso esterno del mercato unico ed orientamento politico della maggiore potenza commerciale del mondo. Politica commerciale autonoma La politica commerciale autonoma comprende tutte le misure dell'Unione relative alle esportazioni ed importazioni di merci, adottate non nell'ambito degli obblighi verso i paesi terzi imposti dal trattato, ma autonomamente. Si tratta di norme comuni in materia di esportazione e di importazione, misure anti-dumping, misure contro sovvenzioni o pratiche commerciali illegali nonché contingentamenti e divieti commerciali motivati da questioni di politica estera (embarghi, sanzioni commerciali). Le misure autonome sono particolarmente importanti per la protezione dell'economia comunitaria dai possibili danni derivanti dalle importazioni da paesi terzi. A tale proposito si possono distinguere quattro gruppi di misure: 1) Misure antidumping, sotto forma di dazi antidumping temporanei, possono essere adottate dalla Commissione su richiesta dell'industria comunitaria interessata, previa consultazione degli Stati membri ed esame della Commissione. Esse possono venire successivamente trasformate in dazi antidumping definitivi dal -> Consiglio che delibera a maggioranza semplice. Il presupposto necessario, lo stesso che vale per tutte le misure di protezione, è la determinazione di un danno (già esistente o imminente) all'industria interessata. 2) Misure antisovvenzioni, che sono dirette - contrariamente alle misure antidumping - non contro pratiche commerciali illecite commesse da settori industriali stranieri, bensì contro le esportazioni sovvenzionate dai paesi terzi e dirette verso la Comunità. La procedura è analoga a quella applicata nel caso delle misure antidumping e può portare all'introduzione di diritti temporanei o definitivi di compensazione sui prodotti in questione. Le misure antisovvenzione e antidumping sono conformi alle pratiche ammesse dal GATT. 3) Misure relative alla «clausola di salvaguardia», possono essere adottate quando sussistano «gravi danni» per una industria della Comunità causati da un sostanziale aumento delle importazioni da un paese terzo con conseguente considerevole abbassamento dei prezzi. Esse prendono la forma di controlli e contingentamenti all'importazione. A causa delle norme molto restrittive imposte dal GATT in tale settore, la Comunità si è avvalsa molto limitatamente di tale opzione fino ad oggi. 4) Dal 1984, la Comunità dispone anche del «nuovo strumento di politica commerciale» che le permette di reagire in modo relativamente veloce alla pratiche commerciali illecite adottate da paesi terzi a danno delle merci provenienti dalla Comunità. Tale strumento prevede che dapprima si applichino le procedure di consultazione e conciliazione internazionale, ma che in una fase successiva si possano anche adottare misure più severe quali la sospensione delle concessioni commerciali, l'aumento dei diritti doganali sulle importazioni dai paesi interessati e restrizioni quantitative. Una forma particolare di politica commerciale autonoma è rappresentata dalle sanzioni commerciali motivate da questioni di politica estera, quali l'embargo commerciale imposto all'Iraq e alla Bosnia. Le sanzioni di tale tipo possono, in virtù dell'articolo 228 A del trattato CE, essere deliberate dal Consiglio a maggioranza qualificata su proposta della Commissione nell'ambito della PESC. Una base fondamentale per la politica commerciale, sia autonoma sia prevista dal trattato, si trova nella tariffa doganale comune, disciplinata agli articoli 9 e da 18 a 29 del trattato CE, che consente alla Comunità di applicare dazi esterni comuni nei confronti degli Stati terzi. Su proposta della Commissione, il Consiglio può decidere in qualsiasi momento autonome modifiche alla Tariffa doganale comune. 201 L’EUROPA DALLA A ALLA Z 202 Bilancia commerciale Percentuale sugli scambi mondiali (esclusi gli scambi intra-UE) Valori in miliardi di ecu - 1995 Principali fonti delle importazioni UE Mondo 48,2 Principali destinazioni delle esportazioni UE Mondo 45,8 EUR 15 18,5 EUR 15 20,2 USA 20,0 Russia 1,2 Cina 3,4 Giappone 8,7 USA 15,9 Russia Cina 2,1 4,0 Giappone 12,0 La politica commerciale prevista dal trattato La politica commerciale prevista dal trattato copre tutti gli accordi UE con i paesi terzi relativi ad importazione ed esportazioni di merci. Tali accordi possono essere limitati a particolari paesi terzi o gruppi di paesi terzi, oppure possono avere dimensione globale, come è avvenuto nella recente tornata di negoziati conclusi nell'ambito del GATT (l'Uruguay Round) nel dicembre 1993. Nel campo della politica commerciale prevista dal trattato, la Commissione ha il monopolio non soltanto sulle proposte, ma anche sui negoziati, che sono tuttavia soggetti a stretto controllo da parte degli Stati membri per il tramite del Consiglio, il quale non le consente molto spazio di manovra. Nel corso delle trattative, alle quali gli Stati membri assistono sempre attraverso propri osservatori, la Commissione deve attenersi alle dettagliate istruzioni ricevute dal Consiglio (cosidetto «mandato di negoziazione») e deve riferire costantemente sul progresso e sui problemi delle trattative dinnanzi ad un comitato speciale designato dal Consiglio (articolo 113, paragrafo 3, del trattato CE). Gli accordi sono quindi conclusi («ratificati») dal Consiglio su proposta della Commissione. Mentre il -> Parlamento europeo deve essere consultato in caso di altri accordi, in conformità della uniforme procedura di conclusione dei trattati prevista dall'articolo 228 del trattato CE (e gli accordi di associazione e taluni altri importanti accordi devono persino avere la sua approvazione) per quanto riguarda gli accordi conclusi nell'ambito della politica commerciale comune, il Consiglio non è neppure tenuto a consultare il Parlamento. Tale istituzione viene tuttavia tenuta al corrente, per il tramite dei suoi comitati competenti, sull'andamento delle trattative e sul contenuto degli accordi. La Comunità ha concluso una varietà di accordi commerciali con i paesi terzi. Alcuni di essi si estendono all'intero settore delle relazioni commerciali, molti altri sono limitati a determinati prodotti o categorie di prodotti. Importanti elementi, dal punto di vista del contenuto, sono ad esempio le autolimitazioni degli Stati terzi nelle importazioni della Comunità ed il mantenimento dei sistemi preferenziali con la Comunità. Negli ultimi dieci anni, la Comunità si è ampiamente avvalsa delle possibilità offertele dalla politica commerciale comune al fine di sviluppare ed integrare meglio lo spazio economico limitrofo, vale a dire i paesi dell'Europa centrale ed orientale e quelli che si affacciano sul Mediterraneo. Di particolare importanza per la politica commerciale basata sul trattato sono state le successive grandi tornate dei negoziati GATT tenutisi a partire dagli anni 60. Sebbene la Comunità non sia formalmente una parte contraente del GATT o dell'organizzazione che le è subentrata, l'Organizzazione mondiale del commercio (World Trade Organization - WTO), essa rappresenta gli Stati membri in veste di negoziatore. Nell'Uruguay Round, la Comunità è intervenuta con successo a sostegno di ulteriori importati riduzioni dei diritti di importazione, l'introduzione dei servizi nel sistema commerciale internazionale, standard minimi di protezione della proprietà intellettuale, una più precisa definizione del meccanismo regolatore del GATT e la revisione delle procedure di conciliazione nelle controversie commerciali. Per contro ha dovuto fare delle concessioni soprattutto in relazione alla -> politica agricola, dovendo accettare sostanziali tagli dei rimborsi alle esportazioni, alle esportazioni sovvenzionate ed al livello interno di sostengo, così come nel settore dei tessili, dovendo aderire ad una graduale eliminazione delle quote concesse nell'ambito dell'accordo sul commercio internazionale dei tessili conclusosi nel 1994, per la protezione dell'industria tessile e dell'abbigliamento europea. Permangono tuttora problemi non risolti, soprattutto nell'area dei servizi e dell'acciaio, nei quali vi è ancora sufficiente potenziale di conflitto tra la Comunità e gli USA. Nuove iniziative nelle relazioni con gli Stati Uniti ed i paesi asiatici Sia gli USA, in quanto principale partner commerciale della Comunità, che svolge un ruolo chiave nel sistema economico mondiale, sia le economie politiche in rapida evoluzione degli Stati industrializzati dell'Asia, in quanto nuovi mercati in espansione e potenze commerciali con un enorme potenziale di sviluppo, rivestono importanza capitale per la politica economica estera della Comunità. In entrambi i casi la Comunità ha recentemente adottato nuove e rilevanti iniziative. Nel dicembre del 1995 la Comunità e gli USA si sono accordati su una «agenda transatlantica» comune, che prevede, accanto ad una più intensa cooperazione politica ed una collaborazione rafforzata nell'attuazione dei risultati dell'Uruguay Round, la realizzazione graduale di un «mercato transatlantico» attraverso l'eliminazione delle esistenti barriere commerciali bilaterali, nonché lo sviluppo di un «dialogo» di largo respiro tra i settori privati delle due parti. È già stata 203 204 ampliata la collaborazione in vista dell'eliminazione degli impedimenti commerciali di natura tecnica e dell'armonizzazione delle condizioni di ammissione dei prodotti, ed il «transatlantic business dialog» ha già portato alle prime raccomandazioni concrete rivolte ai governi nel settore dell'armonizzazione delle regole di concorrenza e degli standard di produzione. Una attuazione efficace dell'«agenda» riveste importanza anche, e non da ultimo, nel rapporto con gli USA spesso ancora oscurato da controversie di politica commerciale. In occasione del vertice di Essen nel dicembre 1994, il -> Consiglio europeo ha varato la «nuova strategia asiatica», mirante a realizzare un considerevole sviluppo delle relazioni verso gli Stati asiatici nel commercio e nella cooperazione industriale, così come della collaborazione nei settori della promozione degli investimenti, cooperazioni tra imprese, ricerca e sviluppo, sia su base bilaterale che in una più ampia prospettiva regionale. A tale proposito, in occasione del primo «vertice euro-asiatico» che si è tenuto a Bangkok all'inizio di marzo del 1996 sono stati conseguiti i primi importanti progressi: la Comunità ed i dieci paesi asiatici di maggiore peso economico hanno individuato in questa occasione nell'avvio dell'economia di mercato, la liberalizzazione commerciale non discriminatoria e forme di cooperazione regionale aperte la base di un solido partenariato euro-asiatico ed hanno deciso di avviare consultazioni nel quadro dell'Organizzazione mondiale del commercio, nonché concreti programmi di azione nei settori quali la promozione degli investimenti e la semplificazione delle procedure doganali. Valutazione Dalla sua istituzione, la Comunità è riuscita a creare, nell'ambito delle relazioni esterne, una vasta gamma di strumenti di politica economica estera ed una fitta rete di accordi a livello globale. I recenti negoziati del GATT hanno nuovamente dimostrato che essa, assieme agli USA, svolge un ruolo chiave nelle relazioni economiche internazionali, non paragonabile a nessuna altra potenza economica, neppure al Giappone. Essa dispone di uno straordinario potenziale nella politica mondiale, che a causa della sua politica estera ancora embrionale (la politica estera e di sicurezza comune) se confrontata alle relazioni economiche esterne è stato ed è utilizzato in modo del tutto insufficiente. A più lungo termine anche le relazioni economiche esterne dovranno essere ricondotte nell'ambito di una efficiente politica estera comune affinché possano essere stabilizzate e sviluppate. In mancanza di tale politica comune, tuttavia, le relazioni economiche esterne ed il loro nucleo centrale, la politica commerciale comune, dovranno colmare per quanto possibile questo vuoto e continuare a consolidare e sviluppare la posizione dell'Unione europea nelle relazioni internazionali attraverso il perfezionamento dei suoi strumenti, in sintonia con la dinamica delle relazioni economiche internazionali, e attraverso nuovi e più intensi accordi. Jörg Monar http://europa.eu.int/pol/rd/en/info.htm Ricerca e tecnologia Base giuridica: Articolo 55 del trattato CECA, articolo 2, lettera a) e articoli da 4 a 11 del trattato Euratom, articolo 41, lettera a) e articolo 130, da F) a P) del trattato CE. Obiettivi: Migliorare la competitività industriale e tecnologica dell'industria europea, segnatamente per quanto concerne le tecnologie del futuro. A tal fine è necessario in primo luogo pervenire ad un accordo sugli obiettivi comuni di ricerca e sviluppo. Per promuovere lo sviluppo mirato dell'economia dell'Unione europea, la politica in materia di ricerca e tecnologia dovrà essere meglio concentrata e coordinata. A lungo termine tale politica deve orientarsi anche in funzione degli obiettivi del libro bianco «Crescita, competitività ed occupazione», pubblicato nel 1993. Strumenti: «Quarto programma quadro di azioni di ricerca, di sviluppo tecnologico e di dimostrazione»; Centro comune di ricerca; programmi di ricerca specifici della Commissione europea; Eureka. Bilancio: Il «Quarto programma quadro di azioni di ricerca, di sviluppo economico e di dimostrazione» dispone per il periodo 1994-1998 di una dotazione complessiva di 12, miliardi di ecu, cui va aggiunta una riserva di 1 miliardo di ecu. Fin dal 1993 la Commissione europea dà priorità assoluta alla ricerca ed allo sviluppo tecnologico. Per ovviare all'inferiorità tecnologica nei confronti della concorrenza americana ed asiatica, appare indispensabile un severo impegno di ricerca, al fine di mantenere la competitività a livello internazionale. Le carenze ormai manifeste delle imprese europee sul mercato mondiale concernono non solo i settori tradizionali ma anche - e particolarmente - quelli di punta. Le attività dell'Unione europea si situano in un contesto di crescita debole e di problemi occupazionali a carattere strutturale, aggravatisi all'inizio degli anni 90 a causa della recessione che ha colpito tutta l'Europa. La situazione richiede interventi urgenti. Il quadro formale di una nuova politica della ricerca e della tecnologia è costituito dall'Atto unico del 1986 e dal trattato sull'Unione europea che, negli articoli da 130 F a 130 P del trattato che istituisce la Comunità europea, si propone l'obiettivo di rafforzare le basi scientifiche e tecnologiche dell'industria europea. La Commissione europea e gli Stati membri, di conseguenza, intendono 205 206 provvedere affinché il potenziale industriale sia meglio sfruttato. La reazione concreta della Commissione nei confronti della situazione economica è stata la pubblicazione, alla fine del 1993, del libro bianco «Crescita, competitività, occupazione», che intende fornire una base alle riflessioni in materia, contribuendo contemporaneamente al processo decisionale a livello decentralizzato, nazionale e comunitario, che dovrà consentire di porre le basi per lo sviluppo delle economie dei paesi europei, rendendole atte ad affrontare le sfide della concorrenza internazionale e creando i milioni di posti di lavoro che sono necessari. In tale contesto il libro bianco cita anche i settori della ricerca e dello sviluppo tecnologico (R&S), nonché delle telecomunicazioni, destinati ad assumere una sempre maggiore importanza, che dovranno essere notevolmente sviluppati al fine di migliorare la competitività dell'industria. La strategia della Commissione in materia è illustrata nel «Quarto programma quadro per la ricerca, lo sviluppo tecnologico, la dimostrazione» (1994-1998), adottato nel dicembre 1993 dal Consiglio europeo e dal Parlamento europeo e dotato, per il periodo in questione, di stanziamenti di un importo pari a 12,3 miliardi di ecu, cui va aggiunta la riserva di 1 miliardo di ecu. In complemento al Terzo programma quadro (1990-1994), la cui dotazione era già stata aumentata nel dicembre 1992, passando da 5,7 a 6,6 miliardi di ecu, attualmente i fondi disponibili per la ricerca sono pertanto nettamente superiori. Sviluppo Con l'istituzione della Comunità economica europea (CEE) e della Comunità europea dell'energia atomica (CEEA), la politica della ricerca e della tecnologia è stata elevata al livello di politica comunitaria, con effetti particolarmente evidenti nel settore della politica europea dell’ -> energia atomica, intesa a creare un'industria atomica autonoma e competitiva sul piano internazionale, grazie alla ricerca ed alla regolazione dell'approvvigionamento dell'uranio. A tal fine sono stati creati il Centro comune di ricerca (CCR) e l'agenzia di approvvigionamento dell'Euratom. In occasione del vertice dell'Aia del 1969, i capi di Stato e di governo decisero di ampliare la politica della ricerca e della tecnologia, per ovviare alle insufficienze concorrenziali in campo tecnologico ed alla dipendenza. Fondandosi sull'articolo 235 del trattato CE, nel 1974 la Comunità europea lanciò programmi di ricerca a compartecipazione finanziaria fra i centri di ricerca e le imprese. L'adozione, nel 1984, del programma Esprit (European Strategie Programme for Research and Information Technologies), inteso a promuovere sistematicamente la ricerca fondamentale nel settore dell'elettronica, rappresentò un salto qualitativo della politica europea della tecnologia. La ricerca e lo sviluppo tecnologico assunsero sempre maggiore importanza negli anni 80, in seguito all'accelerazione del progresso tecnico ed all'inasprimento della concorrenza mondiale nel settore della tecnologia. Nel contesto della creazione del -> mercato interno, è andata sempre più delineandosi l'idea di una «Comunità europea della tecnologia». Nonostante le divergenze, in alcuni casi moto nette, tra la Commissione delle comunità europee ed alcuni Stati membri, tradottesi, da un lato, nello sviluppo di azioni comunitarie a livello della CE, dall'altro nella creazione di Eureka, un'iniziativa tecnologica sostenuta in gran parte dal settore privato e dagli Stati membri, a titolo individuale, la politica della tecnologica è diventata parte integrante del diritto comunitario già nel 1986, con l'Atto unico europeo, poi nuovamente nel 1993, con il trattato di Maastricht (trattato sull'Unione europea). Nuovi obiettivi Definendo nuovi obiettivi nel quarto programma quadro e nel -> libro bianco «Crescita, competitività, occupazione», la Commissione europea ha raccolto, più energicamente di quanto avesse fatto in passato, la sfida dello sviluppo tecnologico internazionale. Il Quarto programma quadro in particolare è destinato ad ovviare alle carenze manifeste della ricerca europea che, a parere della Commissione europea, sono dovute all'insufficienza dei fondi ed all'insufficiente coordinazione. I settori delle telecomunicazioni, dell'informazione e delle nuove tecnologie sono cruciali per il futuro economico dell'Europa e la Commissione ha dimostrato di considerarli prioritari mediante varie iniziative, programmi e contributi finanziari. Per migliorare la competitività delle imprese europee, e garantire la crescita economica e l'incremento occupazionale, la Commissione, nel suo libro bianco, ha proposto la creazione di reti transeuropee non solo per i trasporti e l'energia ma anche per le telecomunicazioni e l'informazione. Grazie a fondamentali innovazioni, la rete transeuropea di comunicazione dovrà aprire nuovi mercati. L'obiettivo finale è la creazione di uno «spazio comune dell'informazione», conditio sine qua non per il nuovo mercato interno europeo. Bilancio Di fronte alla drammatica sfida lanciata all'efficienza europea dal rapido sviluppo tecnologico, dalla concorrenza internazionale nel settore della tecnologia e dall'insufficiente competitività europea, è ormai necessario riorientare l'azione comunitaria. La politica in materia di ricerca e tecnologia può contribuire ad ovviare alle lacune tecnologiche manifestate dall'Europa. Si dovrà evitare di ricadere negli errori del passato, come l'incompleta realizzazione del programma JESSI, inteso a promuovere un'industria europea dei semiconduttori o il fallimento dell'iniziativa a favore della HDTV (Televisione ad alta definizione), mentre bisognerà promuovere la partecipazione delle piccole e medie imprese. Va inoltre sottolineato che nella prospettiva di un'economia comune, una valida politica della ricerca e della tecnologia dovrà essere sostenuta da adeguate iniziative politiche in altri settori: la politica della concorrenza, dell'industria, del mercato del lavoro e la politica regolamentare. Il coordinamento dei provvedimenti in tali settori, peraltro, si presenta spinoso. Le maggiori divergenze politiche si manifestano nel fatto che le iniziative nel campo della politica della ricerca e della tecnologia, che sono state censurate come «dirigistiche», possono rivelarsi incompatibili con le convinzioni di alcuni in materia di politica regolamentare e concorrenziale. Le polemiche ormai decennali fra i fautori dell'economia di mercato ed i «dirigisti» minacciano di soffocare la necessaria modernizzazione comunitaria in una guerra delle sovvenzioni; i risultati sono disorientamento ed 207 208 inerzia. È pertanto necessario sviluppare una strategia che consolidi i punti forti dell'Europa in materia di tecnologia, grazie ad un impegno comunitario che combini i mezzi politici necessari, corredandoli di strumenti efficaci e coordinati. Jürgen Turek Sanità Base giuridica: Articolo 129 del trattato CE. Obiettivi: Tutela della salute; sicurezza attraverso la prevenzione e l'igiene sul luogo di lavoro Bilancio: Lotta contro il cancro 12 milioni di ecu, lotta contro l'AIDS 9,4 milioni di ecu, tutela della salute sul luogo di lavoro 10,5 milioni di ecu, iniziative contro i danni ambientali e in favore della salute pubblica 12,5 milioni di ecu, lotta contro la tossicodipendenza 6,5 milioni di ecu nel 1996. In occasione del vertice di Maastricht i capi di Stato e di governo della CE, per il tramite del trattato sull'Unione europea (TUE), hanno deciso di assicurare un «alto livello di protezione della salute» nei paesi della Comunità. L'obiettivo dichiarato è studiare, prevenire e combattere le malattie più gravi e diffuse, compresa la tossicodipendenza. Gli Stati membri coordinano le loro politiche e i loro programmi in questi settori previa intesa con la Commissione europea. Per dare attuazione alla politica sanitaria, il -> Consiglio dell'Unione europea, deliberando a maggioranza qualificata, adotta raccomandazioni o misure di incentivazione, secondo -> le procedure decisionali di cui all'articolo 189 B del trattato CE. Tuttavia la competenza legislativa vera e propria è riservata agli Stati membri. Nei trattati istitutivi della Comunità economica europea (CEE) non è espressamente prevista una politica sanitaria comune. Nel 1987, l'Atto unico europeo (AUE) segnò l'ingresso nel trattato CEE della cooperazione a livello comunitario per la protezione della salute e l'armonizzazione delle prescrizioni minime sull'ambiente di lavoro (articoli 100 A e 118 A del trattato CEE). Solo con il TUE la sanità pubblica - sotto il Titolo X - ha ottenuto lo status di settore autonomo della politica comunitaria. Le azioni comuni nel campo della sanità pubblica prevedono una vasta opera di educazione e formazione, base indispensabile per la promozione della salute pubblica. Ulteriori settori attinenti alla protezione della salute pubblica sono regolamentati nell'ambito della -> politica ambientale (articolo 130 R del trattato CE) e della -> politica di protezione dei consumatori (articolo 129 A del trattato CE). 209 210 Programmi d'azione specifici «L'Europa contro il cancro»: così era intitolata la prima iniziativa a lunga scadenza cui diedero vita nel 1985 i capi di Stato e di governo della CE. Dal 1987 la Commissione ha iniziato ad elaborare una serie di programmi d'azione specifici, poi costantemente rinnovati. Tra questi, la promozione a livello europeo della ricerca e della formazione nonché una politica d'informazione a vasto raggio sulla riduzione dei rischi cancerogeni. «L'Europa contro l'AIDS» è un altro programma della CE, che dal 1991 si rivolge contemporaneamente alle vittime di questa terribile malattia e alle persone sane. Per rendere più efficace la lotta contro l'AIDS i ministri hanno deciso di creare un sistema di scambio di dati ed esperienze a livello dell'Unione. Il più recente piano d'azione contro l'AIDS copre il periodo 1995-1999. Gli Stati membri hanno deciso di fare fronte comune anche nella lotta alla tossicodipendenza. Essendo questo flagello espressamente nominato dall'articolo 129 del trattato CE, nel 1995 la Commissione ha elaborato un primo piano d'azione, che sarà realizzato di qui al 2000. Visti i molteplici aspetti della questione droga, anche in questo settore la politica punta sulla prevenzione e sullo scambio d'informazioni, esperienze e metodi sperimentati, nonché sulla raccolta di dati a livello comunitario. Inoltre vengono promosse le iniziative di consulenza, riabilitazione e reinserimento sociale dei tossicodipendenti. Tradizionalmente la Comunità ha sempre profuso il suo impegno per tutelare la salute dei lavoratori. Il terzo programma d'azione in questo campo, lanciato nel 1993, andrà avanti fino alla fine del millennio. Esso è incentrato soprattutto sulla sicurezza, l'ergonomia, l'igiene e sul dialogo sociale nel luogo di lavoro. Inoltre, allo scopo di garantire concretamente un livello di protezione adeguato, si è dato vita a consigli d'impresa europei, che si impegnano perché i lavoratori delle imprese e dei gruppi che operano a livello comunitario abbiano la possibilità di essere informati e di fare sentire la propria voce anche al di là delle frontiere nazionali. Bilancio Ciascuno Stato membro è dotato di un sistema sanitario scaturito da un processo storico nazionale, e in alcuni paesi il processo d'integrazione europea ha innescato iniziative che intendono affrontare e risolvere i problemi. Nel mercato senza frontiere ( -> mercato interno) diviene sempre più importante lavorare in comune per combattere le malattie, ricercare le loro cause e gestire insieme l'informazione sanitaria. Il TUE assegna un maggiore peso alla politica sanitaria e crea i presupposti per la tutela della salute pubblica a livello comunitario. Rolf Schmitt Sistema monetario europeo Data di insediamento: 13 marzo 1979, con effetto retroattivo all'1 gennaio 1979. Membri: Tutte le monete degli Stati membri entrano nella composizione dell'unità di conto europea (ecu); la Grecia non partecipa al meccanismo di cambio; il Regno Unito ne è provvisoriamente uscito. Basi giuridiche: Regolamento del Consiglio che modifica il valore dell'unità di conto usato dal Fondo europeo di cooperazione monetaria (FECOM) e regolamento del Consiglio relativo al sistema monetario europeo (18.12.1978); decisione del Consiglio che istituisce un meccanismo di contributo finanziario a medio termine (21.12.1978); accordo che fissa tra le banche centrali degli Stati membri della Comunità economica europea le modalità di funzionamento del sistema monetario europeo (13.3.1979); atto delle banche centrali degli Stati membri della Comunità europea relativo al sostegno monetario a breve termine (13.3.1979); decisione del consiglio di amministrazione del FECOM (13.3.1979). Organi: Consiglio dei ministri delle Finanze; comitato monetario a carattere consultivo (due rappresentanti per ciascuno Stato membro e per la Commissione); FECOM (presidenti delle banche centrali dei paesi dell'UE; la Commissione partecipa solo in veste di osservatrice). Il sistema monetario europeo (SME) è stato creato nel 1979. Gli ideatori politici sono stati il presidente francese Giscard d'Estaing e il cancelliere tedesco Helmut Schmidt. Contesto Nei trattati che istituiscono la Comunità europea, l'integrazione monetaria svolgeva solo un ruolo secondario. La Comunità europea si limitava ad adottare alcune disposizioni di portata generale in materia di operazione monetaria, nonché a creare il comitato monetario e, nel 1964, il comitato dei governatori. Su iniziativa della Commissione europea e in seguito a una dichiarazione dei capi di Stato e di governo (l'Aia 1969), alla fine degli anni '60 venne presentato il cosiddetto «piano Werner» (8 ottobre 1970). Esso prevedeva la realizzazione, in dieci anni e in tre fasi, di un'->unione economica e monetaria. Questo piano è fallito in seguito al deteriorarsi delle condizioni economiche generali (crollo del sistema di cambi fissi di Bretton Woods, crisi petrolifere, recessione). Il vero 211 212 motivo che ha portato a questo fallimento sono però le divergenze fondamentali tra i partigiani della cosiddetta «teoria del coronamento» (principalmente i tedeschi e gli olandesi, per i quali la convergenza economica era un presupposto indispensabile per introdurre una moneta unica) e i difensori della «teoria della locomotiva» (sostanzialmente i francesi, i belgi e la stessa Commissione europea, che ravvisavano nella moneta unica l'elemento trainante della convergenza). Il sistema europeo di cambio (il «serpente monetario»), che aveva formato oggetto di un accordo tra le banche centrali nel 1972, ha finito a sua volta col soccombere al contrasto tra queste visioni inconciliabili. I paesi a moneta debole rinunciavano a una cooperazione più stretta ogniqualvolta la pressione di un marco relativamente stabile li avrebbe dovuti indurre ad adeguare le loro scelte politiche. Creazione dello SME Nonostante queste difficoltà, nel 1979 è stato istituito lo SME. Sotto la presidenza di Giscard d'Estaing, la Francia aveva proposto di porre in essere una politica economica e monetaria ( -> politica economica), imperniata maggiormente sulla stabilità. Con il progetto dello SME, la Repubblica federale tedesca offriva al suo vicino occidentale la prospettiva di rientrare in un sistema di cooperazione monetaria senza perdere la faccia. Sostanzialmente, infatti, lo SME lasciava intatta la sovranità dei paesi partecipanti in campo monetario. Le disposizioni dello SME restavano vaghe in materia di integrazione. L'obiettivo iniziale di trasformarlo dopo due anni in un sistema comunitario definitivo non è stato concretizzato. Lo SME non si inseriva armonicamente nelle strutture comunitarie, ma traeva i propri fondamenti giuridici sia dal diritto comunitario che dal diritto nazionale. Un accenno allo SME è affiorato nel trattato - all'articolo 102 - solo con l'adozione dell'Atto unico europeo (1987). Struttura e funzionamento Lo SME si compone di tre elementi: l'ecu (European Currency Unit o Unità monetaria europea), un meccanismo di cambio e di intervento e vari meccanismi di credito. a) L'ecu (che ha sostituito la precedente unità di conto europea, l'uce) è un valore di riferimento artificiale tra le monete europee. Questa moneta artificiale corrisponde al valore medio - ponderato a seconda della forza economica degli Stati membri - di tutte le monete che partecipano allo SME. Con il 30,4%, è il marco tedesco ad avere l'importanza di gran lunga prevalente nel paniere di monete (19,3% per il franco francese e 12,6% per la sterlina britannica). L'ecu serve in primo luogo quale valore di riferimento e denominatore nel quadro del meccanismo di cambio e di intervento, nonché per il funzionamento dei meccanismi di credito. In una certa misura, esso costituisce inoltre uno strumento di riserva. In cambio del deposito presso il Fondo europeo di cooperazione monetaria (FECOM) del 20% delle loro riserve auree e del 20% delle loro riserve in dollari, le banche centrali nazionali ottengono ecu per effettuare i propri pagamenti internazionali (compensazioni dei saldi d'intervento - «ecu ufficiale»). L'ecu può essere usato anche nel quadro di transazioni internazionali quale moneta di emissione o di investimento sui mercati internazionali («ecu privato»). b) Il meccanismo di cambio e di intervento - la parte essenziale del sistema funziona mediante una «griglia di parità»: per ciascuna moneta dello SME viene fissato un tasso centrale in ecu. Incrociando i tassi centrali in ecu, si ottiene una serie di parità bilaterali per ciascuna delle monete che partecipano al meccanismo di intervento; al di sopra e al di sotto del tasso centrale viene fissato un margine di fluttuazione. Inizialmente questo margine è stato fissato per la maggior parte dei paesi al 2,25% (sopra e sotto), ma Regno Unito, Italia e Spagna hanno potuto beneficiare, temporaneamente, di un margine eccezionale del 6%. All'inizio dell'agosto 1993 il margine di fluttuazione è stato allargato al 15%. Quando una moneta raggiunge il tasso limite di intervento, la banca centrale di quel paese deve limitare i movimenti delle altre divise vendendo o acquistando sul mercato dei cambi (interventi). Da quando nel settembre 1987 è stato raggiunto l'accordo di Basilea/Nyborg («miniriforma dello SME»), le banche centrali hanno la possibilità di intervenire a uno stadio più precoce di evoluzione dei tassi («interventi intramarginali»), e di regolare con maggiore precisione lo SME. Sotto il profilo politico, questo sistema implica che, più i margini di fluttuazione sono stretti, più è necessario che i partecipanti allo SME allineino le loro politiche monetarie, di bilancio ed economiche, e più si restringe lo spazio di manovra delle banche centrali. I margini di fluttuazione permettono inoltre di osservare il livello di integrazione tra le politiche dei vari Stati membri, nonché di valutare la volontà di edificare una Comunità stabile. Ecco perché non tutti i paesi hanno partecipato fin dall'inizio o in modo durevole al meccanismo di cambio (alla fine del 1994 Regno Unito, Italia e Grecia ne sono uscite). Quando una moneta si discosta troppo - verso l'alto o verso il basso - dal proprio tasso centrale, quest'ultimo deve essere modificato o, come si dice in gergo, «riallineato». La modifica viene predisposta dal comitato monetario europeo e forma oggetto di una decisione che i ministri delle Finanze devono adottare all'unanimità. Sul piano politico, un riallineamento rivela che il tasso della moneta del paese che procede a una svalutazione non rispecchia più la realtà delle condizioni economiche. Una valutazione scalfisce anche il prestigio di un governo. Dopo vari riallineamenti intervenuti soprattutto tra il 1981 e il 1983, nel corso degli anni '80 il sistema si è stabilizzato a un punto tale che, tra l'inizio del 1987 e il settembre 1992, non è più stato necessario procedere a riallineamenti. Successivamente ne sono però di nuovo intervenuti altri. c) I tre meccanismi di credito dello SME sono stati creati tra il 1970 e il 1972, quindi ampliati nel 1979. Essi permettono di concedere un sostegno a varie 213 214 condizioni. Quando, per esempio, una banca centrale deve intervenire ma non dispone di riserve sufficienti in valuta, essa può ottenere tramite il FECOM un «finanziamento a brevissima scadenza». È previsto anche un «sostegno monetario a breve termine» - meccanismo che funziona tra le banche centrali - e un «contributo finanziario a medio termine» che gli Stati membri possono concedersi reciprocamente. A seconda del tipo di credito, la durata e il tasso debitore o creditore sono diversi. Evoluzione del sistema e valutazione Attualmente lo SME è considerato il principale quadro normativo che disciplina la cooperazione in materia di politica monetaria. Nel corso degli anni '80 si sono registrati ripetuti tentativi per giungere, tramite lo SME, a una moneta comune. L'aggravarsi della recessione mondiale all'inizio degli anni '90 e i costi connessi con l'unificazione della Germania (il notevole indebitamento del paese ha per esempio accelerato il deprezzamento del marco) hanno tuttavia reso più arduo coordinare le politiche economiche e di bilancio, nonché i tassi d'interesse, soprattutto tra Francia e Germania. A mano a mano che diminuiva la fiducia dei mercati nell'ecu, si intensificavano gli attacchi speculativi contro monete suscettibili di svalutazione, come la lira, la sterlina e il franco francese. Lo SME si è trovato allora a dover affrontare la crisi più grave dalla sua creazione. Solo dopo un lungo periodo di stabilità, nell'agosto 1993 i ministri delle Finanze e i governatori delle banche centrali dei paesi che partecipano allo SME hanno allargato i margini di fluttuazione fino al 15% (verso l'alto e verso il basso). Da allora, le monete nazionali hanno nuovamente trovato un più ampio spazio di manovra, senza che per questo siano stati soppressi i meccanismi di coordinamento dello SME. Il ritorno a margini di fluttuazione più stretti non richiede nuove decisioni politiche, ma nell'immediato esso non appare probabile. Il coordinamento monetario procede nuovamente senza grandi difficoltà. Eckart Gaddum http://europa.eu.int/pol/infso/en/info.htm Società dell'informazione Base giuridica: Articoli 33, 52, 59, 85, 86, 90, 100 A, 129 A, 129 B, 129 C, 129D e 130 del trattato CE. Obiettivi: Aumento della competitività dell'economia europea, sostegno alle trasformazioni delle strutture economico-sociali, incremento del livello qualitativo della ricerca scientifica e dell'offerta formativa in generale. Strumenti: Creazione di una cornice normativa, politica e tecnica estesa a tutta l'Europa per promuovere la società dell'informazione, incentivazione di progetti pilota ed innovazioni tecniche, tutela della par condicio nella concorrenza ed accesso alle nuove tecnologie. Fonti di informazione: Commissione europea: L'Europa e la società dell'informazione globale («Rapporto Bangemann»), Bruxelles 1994; L'Europa verso la società dell'informazione - un piano d'azione, Bruxelles 1994; La préparation des européens à la société de l'information, Luxembourg 1996; The Implications of the Information Society for European Union Policies - Preparing the next Steps, Brussels 1996; Prima relazione annuale alla Commissione europea del Forum sulla società dell'informazione, Bruxelles 1996; WWW: Commissione europea: http://europa.eu.int/; Informations Society Project Office: http://www.ispo.cec.be/ Il concetto di «società dell'informazione» compendia sin dall'inizio degli anni novanta tutta una serie di opportunità e di sfide emerse in seguito al prorompente sviluppo delle tecniche d'informazione e comunicazione e alla loro penetrazione capillare nella realtà economica, sociale e politica. L'enorme diffusione che hanno avuto le immagini, i suoni, i dati e i testi su supporti digitali (la cosiddetta «multimedialità») ha portato all'impiego generalizzato dei sistemi di telecomunicazione più moderni, dei personal computer, dei servizi d'informazione telematica ed all'esplosione quantitativa dei mezzi di comunicazione ordinaria. Con Internet, una rete di trasmissione dati estesa ormai a tutto il mondo, si è venuta a creare una piattaforma di comunicazione globale. Le società industriali d'Europa si trovano quindi in una fase in cui è necessario ripensare radicalmente ai modi di trasferimento quotidiano del sapere. Le potenzialità della società dell'informazione sono immense: riduzione dei limiti spaziali e temporali della comunicazione, possibilità di memorizzare e trasmettere rapidamente informazioni ad alto valore aggiunto, diminuzione del prezzo di tutti i 215 216 servizi che si prestano ad una utilizzazione elettronica. Gli entusiasti della società dell'informazione hanno addirittura intravisto la possibilità di creare comunità virtuali, capaci di operare in senso contrario alle forze centrifughe sprigionate dalla società industriale. I suoi critici, d'altro canto, puntano il dito accusatore contro il fossato che va approfondendosi fra una élite dell'informazione e i gruppi socialmente sfavoriti e lamentano anche la scarsa qualità dei dati che circolano sulle cosiddette «autostrade dell'informazione», per di più costantemente intasate. Creatività individuale e volontà di investimento saranno quindi i due fattori che condizioneranno in definitiva la capacità della società dell'informazione di fornire servizi innovativi ed efficienti. Presupposti necessari per indurre i cittadini europei ad accogliere la società dell'informazione e farsene a loro volta portatori sono la formazione di una competenza individuale nel campo dei media da parte di tutti i cittadini e la garanzia di un loro accesso democratico a tutta quanta l'informazione che verrà offerta. Già nel 1993 nel libro bianco «Crescita, competitività, occupazione»->l'Unione europea aveva riconosciuto l'importanza delle sfide sopra accennate per l'organizzazione di nuove forme di vita e di lavoro, anche sotto il profilo delle nuove possibilità che aprono alla crescita dell'occupazione. Nel 1994 la -> Commissione europea, all'indomani del «rapporto Bangemann», presentò un piano d'azione dal titolo «L'Europa verso la società dell'informazione» nel quale venivano in primo luogo proposti interventi idonei a creare i presupposti tecnici, giuridici e politici della società dell'informazione in Europa. L'auspicata autonomia normativa che il piano d'azione raccomanda dovrà servire a fornire agli operatori economici privati gli stimoli all'investimento in uno dei più interessanti mercati europei; l'European Information Technology Observatory ha infatti previsto tassi di incremento annuo superiori all'8% per i prodotti del segmento informazione e comunicazione, mentre nel frattempo il volume del commercio mondiale ha superato il valore di mille miliardi di ecu. Nel quarto programma quadro per la ricerca e la tecnologia sono già stati stanziati per la promozione di un'industria multimediale europea 3,6 miliardi di ecu nel periodo 1994-1998 (ne hanno tra l'altro beneficiato programmi come Esprit, ACTS, Telematique). Gli stanziamenti sono affluiti a dieci settori operativi come il telelavoro, l'apprendimento a distanza, la telematica, la circolazione stradale, la sicurezza dei trasporti aerei, la sanità, gli appalti pubblici e la pubblica amministrazione, la messa in rete di centri di ricerca e delle famiglie. Il programma Media II ha lo scopo di erogare finanziamenti all'industria audiovisiva europea (-> mezzi di comunicazione di massa). La realizzazione di prodotti multimediali ad opera di giovani e piccole realtà imprenditoriali riceve contributi dal programma INFO 2000, varato nel 1996. Dato che entro il 1998 tutti i mercati delle telecomunicazioni in Europa dovranno essere liberalizzati, all'UE spetta anche il compito di vigilare affinché la sua politica di concorrenza garantisca condizioni di mercato eque a tutti i prestatori di servizi di comunicazione. Nell'approfondimento delle tematiche connesse alla società dell'informazione la Commissione è assistita da vari organi e strutture: l'Information Society Project Office istituito nel 1995 è un centro di contatto e di confronto di idee; l'Information Society Forum, che riunisce oltre 100 rappresentanti gruppi di interesse, ha il compito di valutare i provvedimenti dell'Unione europea e di formulare una serie di opzioni strategiche. Un gruppo di esperti ha ricevuto l'incarico di studiare quali potrebbero essere le specifiche incidenze delle nuove tecnologie e di proporre le migliori soluzioni per ovviarvi. Un Legal Advisory Board (comitato consultivo per gli affari giuridici), formato da esperti degli Stati membri, è stato incaricato di studiare le questioni giuridiche dell'epoca digitale, con particolare riguardo al possibile pregiudizio che potrebbero subirne i diritti degli autori. I suggerimenti che emergono da tutte queste sedi sono già confluiti in diversi libri verdi, nei quali la Commissione fa il punto sui cambiamenti economici, sociali e legislativi conseguenti all'avvento della società dell'informazione. Per il singolo individuo in quanto tale è stato preparato il libro verde «Vivere e lavorare nella società dell'informazione» che fa il punto della situazione nel 1996. Infine, per dare alla società dell'informazione quella prospettiva globale che le è necessaria, ha avuto luogo a Bruxelles, nel 1995, il primo di quella che dovrebbe essere una serie di incontri degli Stati del G 7 e, nel 1996, è stata organizzata in Sudafrica una conferenza dal titolo «Società dell'informazione e sviluppo». Va inoltre ricordato che, sempre nel 1996, a Roma si è svolto un incontro tra l'UE e gli Stati del bacino mediterraneo; nello stesso anno si è svolto anche un incontro a Praga con rappresentanti degli Stati dell'Europa centrorientale, dove sono state delineate alcune strategie paneuropee e alcune linee direttrici per la cooperazione con i paesi vicini. Nei prossimi anni sarà necessario dare ai suggerimenti ed agli spunti emersi in tutte queste sedi (ad esempio in ordine alle condizioni di concorrenza, alla promozione degli investimenti privati e all'accesso alle reti) un concreto contenuto operativo. Alcune delle sfide qui ricordate - e specialmente la necessità di costruire un'infrastruttura globale d'informazione - richiederanno in questo senso sforzi particolarmente consistenti. Patrick Meyer 217 http://europa.eu.int/pol/trans/en/info.htm 218 Trasporti Base giuridica: Articolo 3, punti f) e n), articoli da 74 a 84 e da 129 B a 179 D del trattato CE; politica comune dei trasporti; creazione ed estensione delle reti transeuropee di trasporti. Obiettivi: Libera circolazione delle persone e delle merci nel mercato interno e in provenienza ed a destinazione dei paesi terzi; massima efficacia tecnica ed amministrativa delle infrastrutture di trasporto per agevolare la mobilità delle persone e gli scambi fra tutte le regioni, attraverso le frontiere; limitazione dell'impatto dei trasporti sull'ambiente. A tal fine sono necessarie misure intese ad aumentare la sicurezza dei trasporti, diminuire l'inquinamento atmosferico ed acustico e garantire che nella costruzione delle vie di comunicazione vengano tutelati il paesaggio, la fauna e la flora. Strumenti: Legislazione europea, aiuti finanziari, coordinamento delle politiche e dei provvedimenti nazionali, promozione della ricerca e dello sviluppo tecnologico nel settore dei trasporti, accordi con paesi terzi. Bilancio: Il bilancio annuo per la sicurezza stradale è di circa 7 milioni di ecu, quello per la promozione del trasporto combinato di circa 4 milioni di ecu. Gli stanziamenti per un quadro finanziario a medio termine per aiuti a progetti di infrastrutture stradali di interesse comune ammontano a circa 1,8 miliardi di ecu, quelli per la promozione della ricerca e dello sviluppo tecnologico a 240 milioni di ecu. Dalla fine degli anni 80 la politica comune dei trasporti ha registrato considerevoli progressi nel contesto dell'attuazione del -> mercato interno. Dal 1993 esiste un mercato comune dei trasporti, nel quale le imprese dell' Unione europea (UE) sono libere di offrire ovunque i propri servizi, senza ostacoli alle frontiere. L'integrazione europea nel settore dei trasporti ha pertanto effetti positivi in primo luogo sul settore stesso dei trasporti, che dà attualmente lavoro a circa 7 milioni di persone e che partecipa per il 6% circa al prodotto nazionale. In secondo luogo consente al mercato interno di funzionare: la libera circolazione di persone, merci e servizi in uno spazio economico sprovvisto di frontiere interne può concretizzarsi solo qualora siano efficaci i trasporti delle persone e delle merci per via terrestre, navale ed aerea. Il mercato comune dei trasporti deve ora poter mantenere fluido il traffico, nonostante l'aumento della domanda di trasporti (sempre che risulti impossibile frenarla), garantendo contemporaneamente la qualità di vita della popolazione residente nonché la tutela dell'ambiente. L'obiettivo è pertanto chiaro: eliminati gli ostacoli economici si deve arrivare allo sviluppo di un sistema integrato di trasporti nell'Unione. Il mercato comune dei trasporti I provvedimenti presi finora dall'UE per la realizzazione ed il buon funzionamento del mercato comune dei trasporti sono in primo luogo relativi all'attività delle imprese di trasporto sotto il profilo economico. In forza del principio della libera circolazione dei servizi, sono state abolite le discriminazioni fondate sulla nazionalità per i servizi di trasporto stradale, ferroviario, navale ed aereo, che sono attualmente soggetti esclusivamente alle condizioni quadro definite dalla politica dei trasporti. Prima dell'integrazione europea, i governi di vari Stati membri avevano impostato la propria politica dei trasporti su criteri nazionali. Tali politiche miravano per esempio a proteggere le ferrovie statali dalla crescente concorrenza dei trasporti su strada, a tutelare l'occupazione nel settore della navigazione interna, a promuovere la marina mercantile nazionale, a garantire la presenza delle compagnie aeree di bandiera nei trasporti aerei internazionali, a promuovere le industrie nazionali di base, eccetera. Tali regimi tutelavano i mercati nazionali ed esigevano, per i trasporti internazionali, tutta una serie di accordi, bilaterali e multilaterali,oltre che severi controlli alle frontiere. Tale sistema comportava discriminazioni in funzione della nazionalità, che, oltre ad essere in quanto tali inammissibili, causavano un incremento delle spese, quindi un ostacolo per il mercato comune e dovevano di conseguenza essere eliminate. Dopo alcune esitazioni iniziali, la CE/UE optò per lo smantellamento degli interventi statali nella determinazione dei prezzi e della capacità di offerta delle imprese di trasporto (liberalizzazione). Ritenendo l'iniziativa privata la soluzione più valida per l'economia, adeguò le condizioni quadro, limitandole alle esigenze imposte dall'interesse comune: realismo dei prezzi, libertà dei trasporti navali internazionali, sicurezza, norme tecniche, tutela sociale dei lavoratori, assetto territoriale con infrastrutture di trasporto sufficienti, limitazione dell'inquinamento, atmosferico ed acustico. Per garantire il rispetto delle regole di concorrenza vennero armonizzate le norme nazionali, mentre il mercato interno eliminava i controlli alle frontiere. Per il mercato dei trasporti valgono inoltre le disposizioni generali del trattato CE applicabili agli altri rami dell'economia: libertà di stabilimento, libertà di circolazione dei lavoratori, divieto di accordi di cartello e di aiuti statali, ecc. La nuova sfida: mantenimento di una mobilità sostenibile L'integrazione del settore dei trasporti ha reso chiaro che la liberalizzazione e l'armonizzazione non erano sufficienti a garantire un efficace sistema globale per il trasporto delle persone e delle merci in tutta l'Europa. Le strutture tradizionali, principalmente nei settori ferroviario e fluviale, rappresentano frequentemente un ostacolo alla concorrenza. Il rispetto delle regole di concorrenza, ma anche la 219 220 collaborazione tra le varie imprese, per creare un sistema di trasporti integrati, sono necessari per configurare il settore su basi logistiche. La politica comune dei trasporti prevede vari interventi di risanamento strutturale, segnatamente nei settori della navigazione interna (demolizioni per ridurre la capacità delle flotte) e delle ferrovie (distinzione fra l'esercizio dei servizi di trasporto e la gestione dell'infrastruttura, per permettere la costituzione di società private e sovrannazionali). La Comunità inoltre promuove il trasporto combinato, in particolare quello strada-ferrovia, per sfruttarne meglio i rispettivi vantaggi nel trasporto delle merci (ferrovia per grandi quantità su lunghi percorsi, strada per l'ulteriore distribuzione). Non dovranno più entrare in concorrenza fra di loro i vari modi di trasporto, ma piuttosto le imprese, che dovranno offrire un'ampia scelta logistica per i trasporti da punto a punto, sfruttando tutte le tecniche disponibili. Crescono inoltre le preoccupazioni per il livello sempre più critico della congestione del traffico nelle zone di transito e nelle aree urbane a forte concentrazione, dovuta all'insufficienza delle infrastrutture stradali ed aeree. Le cifre sono chiare: nel 1995 nell'Europa a 15 pressappoco il 70% delle merci (in tonnellate/km) e quasi l'80% delle persone (in persone/km) sono state trasportate su strada. La predominanza dei trasporti su strada nel sistema attuale conduce ad ingorghi stradali giornalieri, con danno per la salute dei residenti e per l'ambiente. L'Unione europea non può mantenere il silenzio in proposito, ma interviene in caso di problemi transfrontalieri, completando i provvedimenti presi dagli Stati membri. Ciò vale non solo per le imprese di trasporto ma anche per trasporti automobilistici privati. La -> Commissione europea ha proposto una strategia globale comune che prevede il completamento del mercato interno, il miglioramento e l'inasprimento delle disposizioni relative ai trasporti automobilistici privati, in primo luogo mediante misure fiscali intese a recuperare i costi delle infrastrutture stradali e dell'impatto ambientale, invocando anche maggior rigore nelle norme tecniche di costruzione degli autoveicoli, in relazione all'impatto ambientale. Sono però previste anche misure intese allo sviluppo di sistemi di trasporto integrato a livello europeo. Per sviluppare assi di traffico transeuropei, la Comunità promuove i collegamenti transfrontalieri di reti nazionali, eliminando le strozzature, colmando le lacune ed adeguando le norme tecniche (interoperabilità). L'Unione europea concede crediti agli investimenti per progetti infrastrutturali di interesse comune, aprendo linee di bilancio ed agevolando prestiti della -> Banca europea per gli investimenti, con l'obiettivo di un sistema che integri tutte le imprese di trasporto. Gli investimenti consentiti nell'Europa centrale hanno lo scopo di consentire ai trasporti per ferrovia e per vie navigabili di recuperare il ritardo nei confronti di quelli su strada. Tramite il programma di ricerca (quarto programma quadro 1994-1998) l'Unione europea sostiene progetti di ricerca e sviluppo destinati alla soluzione dei problemi di cui sopra oppure a contribuire, grazie allo sviluppo di nuove tecnologie, a convogliare la mobilità, auspicabile e necessaria, verso modi di trasporto meno inquinanti, ed a mantenere fluido il traffico, per esempio migliorando i sistemi segnaletici ed aumentando la capacità delle ferrovie grazie ai treni ad alta velocità. La telematica (combinazione di elaborazione di dati e telecomunicazioni) permette di evitare gli ingorghi autostradali e dei trasporti urbani e di meglio pianificare i trasporti di passeggeri e di merci. La politica europea dei trasporti pertanto non cessa di esistere con il completamento del mercato interno: dovrà contribuire a risolvere i problemi di traffico della società moderna, non solo all'interno dell'Unione europea ma anche nelle relazioni con i paesi confinanti, con i quali i trattati vengono sempre più spesso conclusi dall'Unione europea in quanto tale oltre che dagli Stati membri. Jürgen Erdmenger 221 http://europa.eu.int/en/record/mt/top.html 222 Trattati Trattati: • trattato CECA (entrato in vigore il 23.7.1952) • trattato CEE (entrato in vigore l'1.1.1958) • trattato CEEA/Euratom degli esecutivi (entrato in vigore l'1.1.1958) • trattato sulla fusione (entrato in vigore l'1.7.1967) • Atto unico europeo (entrato in vigore l'1.7.1987) • trattato sull'Unione europea (entrato in vigore l'1.11.1993) Gli esordi dell'integrazione europea risalgono ai trattati di diritto internazionale conclusi tra Germania, Francia, Italia ed i paesi del Benelux, e segnatamente ai trattati istitutivi della Comunità europea del carbone e dell'acciaio (CECA), della Comunità economica europea (CEE) e della Comunità europea per l'energia atomica (CEEA). I menzionati trattati conferivano alle tre Comunità europee solo competenze limitate, ma hanno gettato le basi di una sovranità sovrannazionale giuridicamente indipendente che successivamente è venuta precisando le sue caratteristiche soprattutto grazie ad alcune sentenze fondamentali della Corte di giustizia delle Comunità europee. Fin dall'origine l'ordinamento giuridico comunitario si configurò come una formazione non riconducibile unicamente al diritto internazionale, anche perché i fondamenti giuridici dei trattati racchiudevano le premesse di un'enorme dinamica d'integrazione. Nel preambolo del trattato CEE le parti contraenti esprimevano già la loro volontà di «porre le fondamenta di una unione sempre più stretta fra i popoli europei». L'obiettivo ultimo di una integrazione politica completa è stato indissociabile dall'idea stessa di unificazione europea e ne ha determinato lo sviluppo. Nel 1972, i capi di Stato e di governo della Comunità hanno espressamente sancito la finalità della creazione di una -> Unione europea. È nell'ambito della CEE che si è sviluppata la più consistente dinamica integrativa: agli obiettivi originari (creazione di un mercato unico e l'attuazione di una politica agricola ( -> agricoltura), di una politica dei -> trasporti, della -> concorrenza e di una -> politica economica comuni) si sono aggiunti progressivamente numerosi settori di competenza, segnatamente i settori dell' ambiente, della -> politica sociale, della -> politica regionale, la -> istruzione e la -> ricerca e tecnologia. L'Atto unico europeo (AUE) nel 1986 ed il trattato sull'Unione europea nel 1992 hanno apportato modifiche fondamentali ai trattati iniziali, da un lato, fornendo una base giuridica a fenomeni evolutivi materiali e istituzionali già attuatisi e, dall'altra, dando l'avvio ad altre iniziative nel processo d'integrazione. Oggigiorno i fondamenti giuridici dell'Unione europea sono frequentemente considerati - ed indicati - come la costituzione dell'UE. Tuttavia, esiste pur sempre una differenza fondamentale tra il diritto costituzionale dei singoli Stati ed il diritto primario dell'Unione sovrannazionale, anche se esistono taluni punti in comune in relazione al campo di applicazione e all'efficacia dei loro provvedimenti legislativi. Il primo organismo sovrannazionale europeo, la CECA, fu istituito nell'aprile 1951 a Parigi. Tale istituzione, creata su iniziativa di Jean Monnet e di Robert Schuman, si prefiggeva in primo luogo di assicurare la pace in Europa, in virtù dell'instaurazione di un mercato comune del carbone e dell'acciaio, e di fondare «le prime assise d'una comunità più vasta e più profonda» (Preambolo). Dei tre trattati iniziali, il trattato CECA, entrato in vigore il 23 luglio 1952, è il solo la cui validità sia limitata a 50 anni. È pertanto destinato a decadere nell'anno 2002, data alla quale sarà probabilmente integrato nel trattato CE. Dopo il fallimento, nell'anno 1954, dell'ambizioso piano che mirava a raggiungere l'integrazione attraverso la creazione di una Comunità europea di difesa e di una Comunità politica europea, gli Stati membri della CECA firmarono a Roma nel marzo 1957 i trattati istitutivi della CEE e della CEEA. I trattati di Roma, entrati in vigore il 1 gennaio 1958, prevedevano anch'essi la creazione di una Assemblea parlamentare e di una Corte di giustizia comuni alle tre Comunità. Infine il trattato di fusione dell'aprile 1965, entrato in vigore il 1 luglio 1967, sancisce la fusione dei Consigli dei ministri delle tre Comunità, nonché dell'Alta Autorità della CECA con le Commissioni della CEE e CEEA. Seguirono due decenni di crisi e di tentativi di riforma. Le dichiarazioni d'intento dei capi di Stato e di governo sulla creazione di una Unione europea, ad esempio in occasione del vertice di Parigi del 1972 e della dichiarazione solenne sull'Unione europea del 1983, si alternarono a proposte di riforma più o meno ampie, presentate ad esempio nel rapporto Tindemans sull'Unione europea (1975), nel progetto di trattato del -> Parlamento europeo sull'istituzione dell'Unione europea (1984) e nel rapporto Dooge sulla riforma delle istituzioni della Comunità europea (1985). Infine una conferenza intergovernativa istituita nel giugno 1985 portò all'elaborazione dell'AUE, che fu sottoscritto nel febbraio 1986 dagli Stati membri - nel frattempo diventati 12 - e che entrò in vigore il 1 luglio 1987. L'Atto unico europeo modificava e completava i tre trattati iniziali, ma si occupava soprattutto dell'evoluzione politica ed istituzionale della CEE. L'AUE prevedeva l'istituzione del -> mercato unico entro la fine del 1992 e introduceva soprattutto per tale settore una procedura di cooperazione ( -> procedure decisionali) nella quale il Parlamento europeo è associato più strettamente al processo legislativo. Il -> Consiglio europeo trovò un suo esplicito riconoscimento giuridico, le competenze della CEE furono completate o confermate ufficialmente in determinati settori, 223 224 quali la politica sociale, la politica dell'ambiente e la politica della ricerca e della tecnologia; la cooperazione in materia di politica economica e di -> politica monetaria si vide dotata di un fondamento giuridico, così come la cooperazione in materia di politica estera che si era sviluppata, sotto forma di Cooperazione politica europea (CPE), al di fuori del quadro istituzionale comunitario. Il termine «unico» è stato utilizzato perché con l'AUE s'intendeva riunire in uno stesso testo sia le disposizioni concernenti le Comunità europee sia la CPE, che non rientrava nell'ambito di competenza delle Comunità. La seconda e più rilevante revisione del trattato, ebbe luogo nel dicembre 1991, con l'adozione del trattato sull'Unione europea. Tale trattato, firmato a Maastricht nel febbraio 1992, entrò in vigore il 1 novembre 1993. Frutto di due -> conferenze intergovernative (una vertente sull'unione politica e l'altra sull' unione economica e monetaria), la sua ratifica venne ritardata in Danimarca dal risultato negativo di un primo referendum e in Germania da diversi ricorsi che contestavano la costituzionalità del trattato, ma che furono respinti dalla Corte costituzionale federale nell'ottobre 1993. Con l'entrata in vigore del trattato di Maastricht, il trattato CEE fu ufficialmente ribattezzato «trattato CE». Erano così stabiliti i «tre pilastri» dell'Unione europea, costituiti dal nuovo trattato CE - che sancisce altresì l'obiettivo di istituire l'unione economica e monetaria entro il 1999 - dalle disposizioni relative alla -> politica estera e di sicurezza comune (PESC), che costituisce una evoluzione della CPE, e dalla cooperazione nei settori della -> giustizia e degli affari interni. Il trattato di Maastricht contiene alcune innovazioni istituzionali, quali la procedura di codecisione (articolo 189 B del TUE), con la quale i poteri del PE vengono nuovamente rafforzati. Inoltre, le competenze della CE sono ampliate o integrate in taluni settori ed il principio di sussidiarietà diviene il criterio per stabilire una adeguata ripartizione delle competenze tra la CE e gli Stati membri (articolo 3 B del TUE). Il trattato di Maastricht introduce anche la cittadinanza dell'Unione e apporta taluni adeguamenti al testo dei trattati. Nell'insieme si è così creato un quadro giuridico estremamente complesso, nel quale rientrano diverse procedure di integrazione sopranazionale e di cooperazione intergovernativa. Inoltre, il trattato di Maastricht prevede per la prima volta alcune deroghe fondamentali, quali quella che consente al Regno Unito di non applicare le disposizioni del protocollo sulla politica sociale, allegato al trattato. In futuro, il diritto continuerà a svolgere un ruolo essenziale nel processo di integrazione europea; ne costituirà in effetti la base, lo strumento ed il supporto. La nuova revisione dei trattati, che dovrà essere varata nel giugno 1997, dovrà gettare le fondamenta giuridiche dell'approfondimento e dell' ampliamento dell'UE, che attualmente conta 15 membri. Si dovrà in tale sede tener conto dell'eterogeneità che caratterizza oggi l'Unione come pure dell'esigenza di creare una Unione comprensibile ed accettabile dai cittadini. Anita Wolf-Niedermaier http://europa.eu.int/pol/emu/en/info.htm Unione economica e monetaria Base giuridica: Articoli da 102 A a 109 M del trattato CE. Obiettivi: Stabilità dei prezzi, fissazione irrevocabile dei tassi di cambio tra le monete degli Stati membri entro il 1999, introduzione di una moneta unica: l'euro. Strumenti: Istituzione di una politica monetaria comune, stretto coordinamento della politica economica, creazione di un Sistema europeo di banche centrali (SEBC). Il completamento dell'unione economica e monetaria (UEM) costituisce una delle finalità più ambiziose, e al contempo più discusse, dell' Unione europea. Con la firma del trattato sull'Unione europea ( -> trattati) e la ratifica in data 1 novembre 1993, la creazione dell'UEM è stata decisa in modo definitivo. Una moneta comune completerà il -> mercato unico e rafforzerà il peso economico dell'Unione all'esterno. Ai sensi del trattato di Maastricht i tassi di cambio tra i partecipanti all'UEM saranno fissati in maniera irrevocabile il 1 gennaio 1999. Le corrispettive monete nazionali saranno allora soltanto una diversa espressione della moneta unica, che in base al trattato verrà introdotta in breve tempo dopo tale data. L'esigenza di una cooperazione nel settore della politica monetaria deriva soprattutto dalla volontà di rendere l'Unione competitiva nel commercio con l'estero. Quanto più strettamente interdipendenti sono i sistemi economici, tanto più dannose sono le fluttuazioni dei tassi di cambio sulle relazioni economiche. Dall'introduzione dell'UEM, l'UE si ripromette in primo luogo un rafforzamento della sua competitività. La Comunità ha già intrapreso diverse iniziative in vista di una approfondita cooperazione monetaria. Negli anni 70, il piano Werner, che prevedeva l'istituzione di una UEM, fallì a causa di una carente volontà di integrazione nonché della diversità delle prospettive economiche tra gli Stati membri. Successivamente si cominciò pragmaticamente a cercare di limitare il rischio di cambio attraverso il cosiddetto «serpente monetario» (1972) e il -> sistema monetario europeo (1979). L'obiettivo di una UEM, che nel frattempo era stato rinviato, tornò all'ordine del giorno soltanto quando l'approfondimento dei processi di integrazione, la prevista realizzazione del mercato interno ed un ravvicinamento dei programmi di politica economica dalla metà degli anni 80 ne crearono la base necessaria. 225 226 Il rapporto Delors ed il trattato di Maastricht (TUE) Le disposizioni del trattato sull'Unione europea si basano sostanzialmente sulle prospettive del rapporto Delors. La relazione, presentata nell'aprile 1989 da un gruppo di esperti con la partecipazione dei governatori delle banche centrali nazionali, prevedeva il passaggio all'UEM in tre fasi. Gli obiettivi della prima fase, iniziata il 1 luglio 1990, erano essenzialmente il rafforzamento del coordinamento monetario, l'adesione degli Stati membri allo SME, la realizzazione del mercato interno e la preparazione dei lavori per le modifiche ai trattati che nel frattempo si erano comunque rivelate necessarie. L'obiettivo più importante della seconda fase consiste nella istituzione di un Sistema europeo di banche centrali che inizialmente disporrà di poteri ancora limitati. La terza fase prevede il passaggio a tassi di cambio fissi e ad una moneta unica. Già nel 1989 il Consiglio europeo di Madrid decise l'avvio della prima fase e si pronunciò a favore della convocazione, alla fine del 1990, di una conferenza intergovernativa. È anche al fine di integrare ancora più profondamente la Germania - in vista della riunificazione nazionale - alla Comunità che il -> Consiglio europeo ha raggiunto nell'aprile 1990 l'accordo sulla convocazione della seconda conferenza intergovernativa che avrebbe definito l'assetto istituzionale dell'Unione politica. Sul piano della politica monetaria gli Stati membri dell'UE fissarono la data del 1 gennaio 1994 come inizio della seconda fase dell'UEM. Già prima della convocazione della conferenza intergovernativa, nel dicembre 1990, fu varato lo statuto della Banca centrale europea, il cui obiettivo prioritario è il mantenimento della stabilità dei prezzi. Il cammino verso l'unione economica e monetaria Il trattato di Maastricht rientra nella continuità storica della politica europea, in quanto pone come premessa dell'integrazione politica l'approfondimento economico. Dal punto di vista della politica monetaria ha concretizzato il piano Delors, che prevedeva diverse fasi, in una tabella di marcia che combina obiettivi politici e scadenze temporali. A tale proposito, le disposizioni per la transizione e la formulazione del secondo e terzo stadio si sono rivelate difficili argomenti di negoziato. Da un lato, nella fase transitoria si dovevano evitare ambiguità circa la ripartizione di competenze tra la politica monetaria nazionale e quella europea e, dall'altro, si doveva pervenire a uno stretto raccordo tra le due fasi. Conseguentemente, nella seconda fase la competenza decisionale in materia di politica monetaria rimane agli Stati membri, ma questi devono avviare il processo per rendere indipendenti le rispettive banche centrali (articolo 109 E del trattato CE). Dal punto di vista istituzionale, la preparazione dell'UEM ha portato alla creazione, in data 1° gennaio 1994, dell' Istituto monetario europeo (IME), precursore della Banca centrale europea. Esso ha il compito di assistere gli Stati membri nei loro sforzi di creare le premesse per l'ammissione alla terza fase e di elaborare gli strumenti e le procedure necessarie per l'attuazione di una politica monetaria e di cambio comuni. Perché la moneta unica sia forte, deve essere sostenuta da una credibile politica di stabilità. Mentre alla seconda fase dell'UEM prendono parte tutti gli Stati membri dell'UE, l'ammissione alla terza fase è invece collegata al rispetto di tutti i cosiddetti «criteri di convergenza» (articolo 109 J del trattato CE): • il raggiungimento di un alto grado di stabilità dei prezzi; questo risulterà da un tasso d'inflazione superiore al massimo dell'1,5% rispetto a quello dei tre Stati membri che hanno conseguito i migliori risultati in termini di stabilità dei prezzi; • la sostenibilità della situazione della finanza pubblica; questa sussiste se il disavanzo annuale di uno Stato non supera il 3% del PIL ed il debito complessivo il 60%. Sono previsti tuttavia margini discrezionali. Se il debito pubblico complessivo di uno Stato è sufficientemente calato e si avvicina velocemente alla quota richiesta del 60%, il Consiglio può decidere che il criterio si intende soddisfatto; • la stabilità dei tassi di cambio. Si richiede che una valuta si mantenga da almeno due anni all'interno dei margini normali di fluttuazione previsti dal meccanismo di cambio del Sistema monetario europeo senza svalutazioni nei confronti della moneta di qualsiasi altro Stato membro. Dopo l'allargamento dei margini di fluttuazione nello SME nel 1993 ci si chiede se tale criterio rivesta ancora importanza; • il carattere durevole della convergenza e della partecipazione allo SME. Tale condizione viene valutata con riferimento ai livelli dei tassi di interesse nominali a lungo termine, che non devono superare di oltre il 2% la media dei tassi di interesse nominali a lungo termine dei tre Stati membri con il più basso tasso di inflazione. Sebbene stabiliti a livello politico, i criteri di convergenza possono essere considerati indicatori affidabili dell'idoneità per l'ammissione nell'UEM. Tuttavia, essi mettono in evidenza anche le notevoli differenze di convergenza tuttora presenti tra gli Stati membri dell'UE. Visto da tale prospettiva, il trattato di Maastricht costituisce un compromesso tra il desiderio di disporre di scadenze sufficientemente lontane ed una transizione verso l'UEM in tempi brevi e di natura irreversibile. In un primo tempo il -> Consiglio valuta a maggioranza qualificata il rispetto dei criteri di convergenza, sulla base delle relazioni dell'IME e della -> Commissione europea. Su tale base il Consiglio europeo, composto dai capi di Stato e di governo, decide entro la fine del 1996 se una maggioranza degli Stati membri soddisfa i presupposti necessari. Quindi stabilisce una data per l'avvio della terza fase. Nel caso (prevedibile) che la maggioranza degli Stati membri non risponda ai requisiti, l'idoneità per l'UEM verrà esaminata nuovamente, con una seconda procedura, prima del 1 luglio 1998. Gli Stati che soddisferanno i criteri daranno vita dal 1 gennaio 1999 all'Unione monetaria. Il procedimento di revisione viene 227 228 reiterato per lo meno ogni due anni. Tutti gli Stati membri, che hanno i requisiti per entrare nella terza fase, sono quindi tenuti a partecipare all'UEM. Con disposizioni derogatorie, il Regno Unito e la Danimarca sono tuttavia esentate dall'obbligo di partecipazione automatica. Ad integrazione dello statuto della Banca centrale europea (BCE), il trattato CE stabilisce agli articoli da 105 a 109 D le disposizioni di politica monetaria applicabili al Sistema europeo di Banche centrali. Tali disposizioni si ispirano al modello della banca centrale tedesca (Bundesbank) e ribadiscono la priorità dell'obiettivo della stabilità dei prezzi. Per assicurare il raggiungimento di tale finalità la BCE non può sollecitare o accettare istruzioni (articolo 107 del trattato CE). Le è vietata qualsiasi forma di finanziamento dei disavanzi pubblici. Per garantire la convergenza il trattato prevede nel settore della -> politica economica una stretta cooperazione con gli Stati membri dell'UE, sotto la sorveglianza del Consiglio. Attuazione e prospettive Il trattato sull'Unione europea non ha, deliberatamente, disciplinato in dettaglio alcune materie dell'UEM. Soprattutto la questione dell'attuazione dovrà essere precisata all'inizio della terza fase. In un libro verde presentato dalla Commissione nel maggio 1995 vengono delineati diversi scenari per l'introduzione della moneta unica. Anche l'IME ha fatto conoscere la propria opinioni al proposito. Risulta probabile che la moneta unica venga utilizzata dall'inizio del 1999 soltanto dalle Banche centrali e dalle banche commerciali. Prevedendo scadenze transitorie sufficientemente lunghe si intende alleviare le difficoltà della transizione. Dal 1 gennaio 2002 le banconote e le monete della valuta europea saranno messe in circolazione. Sei mesi più tardi le valute nazionali partecipanti non avranno più corso legale. In occasione del vertice di Madrid nel dicembre 1995 i capi di Stato e di governo hanno ribadito la loro volontà di avviare l'UEM nel 1999 e approvato il nome -> «euro» per la nuova moneta. Entro la fine del 1996 devono anche essere definiti gli strumenti di politica monetaria di cui sarà dotata la BCE. Affinché l'UEM non determini una spaccatura nel mercato interno, le monete dei paesi partecipanti («in») e dei non partecipanti («out») dovranno essere reciprocamente collegate nell'ambito dello SME II. Complessivamente, i preparativi tecnici dell'UEM procedono secondo il calendario previsto. Dalla fase di ratifica il trattato di Maastricht ha innescato reazioni critiche. Per quanto concerne l'Unione monetaria, le critiche espresse, che non costituiscono un rifiuto di principio, vertono sul fatto che non sarà possibile mantenere la contemporaneità dell'unione politica e dell'UEM. In mancanza di una più solida integrazione politica l'UEM mancherebbe della base necessaria. Inoltre ci si chiede se, a fianco della politica monetaria comune, il semplice coordinamento della politica economica offra la garanzia del rispetto dell'impegno a mantenere la stabilità dei prezzi. È stata messa in discussione anche l'utilità dei criteri di convergenza. Ai dubbi si accompagna la profonda sfiducia di chi ritiene che i criteri verranno ammorbiditi ancora prima dell'ingresso nella terza fase. Infatti è una grave carenza del trattato che i criteri di convergenza siano concepiti meramente come presupposti d'ingresso. È ben vero che sono previste sanzioni per il mancato adempimento degli obblighi di politica economica, ma questi devono essere deliberati a maggioranza qualificata. Non è impossibile prevedere che alla fine la tendenza attualmente osservata verso la stabilità possa affievolirsi dopo l'entrata in vigore della terza fase. Questa problematica è stata affrontata dal «patto di stabilità per l'Europa» proposto dai tedeschi nel novembre 1995. Il nucleo centrale della proposta consiste in una procedura che prevede una maggiore disciplina di bilancio anche dopo l'avvio dell'UEM. Contrariamente al trattato CE, il patto di stabilità prevede in caso di inadempimento un automatismo sanzionatorio deterrente con ingenti sanzioni pecuniarie. Nel settembre del 1996 il Consiglio si è dichiarato favorevole al principio di garantire l'unione monetaria per il tramite di un siffatto strumento. La volontà politica di mantenere la data fissata per l'inizio dell'UEM è stata confermata in diverse occasioni. Accanto al problema irrisolto dell'accettazione dell'UEM in alcuni Stati membri, sussistono punti molto sensibili che verranno toccati nella fase di applicazione pratica: il vantaggio economico dell'Unione monetaria aumenta con il numero degli Stati partecipanti. Nonostante tutti gli sforzi di risanamento, nel 1995 il Lussemburgo era l'unico Stato membro che riusciva a soddisfare tutti i criteri di convergenza. La possibilità di un rinvio viene rifiutata unanimemente dai protagonisti politici; sarebbe troppo grande il pericolo che la dinamica dell'integrazione, che spinge alla disciplina, possa essere rallentata. Inoltre non c'è alcun modo per dare un'interpretazione lassista dei criteri di convergenza. Ciò non dovrebbe nemmeno essere possibile. L'adozione di un patto di stabilità può essere un passo importante per districare questo doppio dilemma senza che ne consegua una perdita di credibilità. Olaf Hillenbrand 229 http://europa.eu.int 230 Unione europea L'«Unione europea» (UE) è diventata il tema fondamentale intorno al quale ruota il vasto dibattito pubblico sull'ordinamento da dare all'Europa. Abbiamo qui un tipico esempio dell'ambiguità - sia pure costruttiva - che accompagna il processo di integrazione dell'Europa (occidentale) e che lo ha caratterizzato fin dal suo inizio. Gli approcci all'unificazione europea si sono sempre ispirati ad una pluralità di modelli differenti sugli obiettivi e le forme della politica di integrazione europea ( -> modelli dell'integrazione europea). Breve storia di una definizione: l'ambiguità costruttiva Il termine «Unione europea» venne formulato dai capi di Stato e di governo durante la conferenza di Parigi del 1972 come un obiettivo da raggiungere. Essi stabilirono, in quell'occasione «come obiettivo prioritario (...), nell'osservanza assoluta dei trattati sottoscritti, di trasformare l'insieme delle relazioni tra gli Stati membri in una Unione europea». Tale definizione venne ripetuta nel preambolo dell'Atto unico europeo, ma non nel trattato sull'Unione europea. Quest'ultimo viene invece inteso come «una nuova tappa del processo di creazione di un'unione sempre più stretta tra i popoli dell'Europa, in cui le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini» (articolo A, TUE). In questo senso, è compito dell'Unione organizzare in modo coerente e solidale le relazioni tra i popoli che la compongono. I tentativi esperiti in sede sia politica che accademica di definire in maniera più precisa questo concetto non hanno mai avuto grande successo. Le interpretazioni a carattere scientifico che, partendo dal concetto di «Unione» o da quello di compiti od obiettivi comuni, hanno tentato di arrivare a definizioni più ampie, non hanno condotto ad un solido accordo politico. Per cui, nella -> dichiarazione solenne di Stoccarda, del 1983, così come nel preambolo all'Atto unico europeo del 1987, vennero indicati, per un'Unione europea con tali caratteristiche, solo una serie di obiettivi generali, come i principi della democrazia ed il rispetto del diritto e dei diritti dell'uomo. Entrambi i testi prefiguravano invece con maggior precisione un'evoluzione verso l'Unione europea basata su una doppia strategia, ancor oggi riconoscibile: «L'Unione europea va realizzata, da un lato, sulla base delle Comunità funzionanti secondo le proprie regole e, dall'altro, sulla base della cooperazione a livello europeo tra gli Stati firmatari; un'Unione siffatta va dotata dei necessari poteri d'azione». Da queste formulazioni emerge una concezione che, partendo dagli sviluppi concreti del sistema comunitario, definisce le forme esistenti di integrazione e cooperazione come elementi essenziali dell'Unione europea. Anche nel trattato di Maastricht (TUE) si trova un'analoga formulazione: «L'Unione è fondata sulle Comunità europee, integrate dalle politiche e forme di cooperazione instaurate dal presente trattato» (articolo A del TUE). Altre concezioni politiche sull'Unione europea partono da considerazioni federalistiche. Nel proprio progetto di trattato (progetto Spinelli) del 1984 sulla fondazione di una Unione europea, il -> Parlamento europeo formulò i principi, gli obiettivi e le disposizioni istituzionali di un'Unione europea dalle caratteristiche federali. Questa proposta concreta non è finora riuscita a diventare un modello vincolante. Fin dall'entrata in vigore del trattato di Maastricht, con le polemiche che si sono accese intorno alla sua ratifica, il modello di integrazione federale è stato sempre aspramente criticato. Anche la caratterizzazione dell'Unione europea come federazione di Stati, da parte della Corte costituzionale tedesca (sentenza su Maastricht, dell'ottobre 1993), suscitò reazioni contrastanti, dal momento che introduceva nel dibattito un concetto fino ad allora mai utilizzato e di cui devono tuttora essere valutati il contenuto e la portata. Resta da vedere se la scelta di una terminologia diversa e nuova riuscirà ad arricchire e a rilanciare il dibattito oppure se, sulla direzione da imprimere al processo di integrazione, divamperanno, in forma nuova, vecchi conflitti. Il trattato di Maastricht sull'Unione europea Con il vertice di Maastricht, del 1991, le idee intorno ad un'Unione europea trovarono concreta espressione in un nuovo trattato che è entrato in vigore il 1 novembre 1993. Con ciò, il cammino europeo del dopoguerra si è arricchito di una nuova data storica. «Maastricht» verrà considerata una pietra miliare del processo di integrazione, anche se il suo significato immediato e quello più remoto saranno molto controversi. Il testo approvato dal -> Consiglio europeo si presenta di primo acchito come un complesso non molto chiaro di più elementi, di varia natura giuridica, che, per essere comprensibile, può essere paragonato ad un tempio. 231 L’EUROPA DALLA A ALLA Z 232 Unione europea Comunità europea Unione doganale, Mercato interno, Politica agricola, Politica strutturale, Unione economica e monetaria Politica estera e di sicurezza comune Cooperazione nei settori della Giustizia e degli Affari interni I tre pilastri della costruzione europea secondo il trattato di Maastricht Gli elementi essenziali del trattato sull'Unione sono: 1. le disposizioni comuni; 2. le modifiche del trattato CEE nel senso della costruzione di una Comunità europea comprendente anche una -> unione economica e monetaria ed una cittadinanza dell'Unione; 3. la -> politica estera e di sicurezza comune (PESC); 4. la cooperazione nei settori della -> giustizia e degli affari interni (GAI); 5. le disposizioni finali; 6. i protocolli, i più importanti tra i quali riguardano la cooperazione in campo sociale, la -> politica sociale e le dichiarazioni in merito alla PESC, nonché testi degli Stati membri dell'Unione dell'Europa occidentale (UEO) sul ruolo della medesima. Gli obiettivi dell'Unione e il principio di sussidiarietà Se si guardano gli obiettivi generali dell'Unione appare subito chiaro quale sia l'ampiezza dei temi che vanno trattati nell'ambito istituzionale unitario sopra descritto: si tratta, innanzitutto, di «promuovere un progresso sociale equilibrato e sostenibile, segnatamente mediante la creazione di uno spazio senza frontiere interne, il rafforzamento della coesione economica e sociale e l'instaurazione di un'unione economica e monetaria che comporti a termine una moneta unica» (articolo B, TUE). Il secondo obiettivo essenziale dell'Unione è l'affermazione della propria identità a livello internazionale, soprattutto attraverso una politica estera e di sicurezza comune (articoli B e J, TUE) dalla quale non può essere esclusa la definizione, in un secondo tempo, di una politica di difesa. In terzo luogo, il rafforzamento della tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini dei suoi Stati membri viene suggellato dall'istituzione di un cittadinanza dell'Unione (articolo B, TUE). Infine, gli Stati membri intendono sviluppare una stretta cooperazione nel settore della giustizia e degli affari interni (articoli B e K, TUE). Nonostante il fatto che l'Unione possa occuparsi di quasi tutti i settori di pubblico interesse, essa non dispone tuttavia di una competenza generale in grado di entrare nei dettagli. Al contrario, l'attribuzione delle competenze avviene secondo modalità che possono differire profondamente tra loro: per alcuni settori d'attività, come la -> politica dei trasporti (articoli 74 e seg., trattato CE), si parla di una politica «comune» ; per altri, come nel caso della politica dell'ambiente (articoli 130 R e seg., trattato CE) e della -> politica sociale (articoli 117 e seg., trattato CE), ci si limita ad «una» politica; in altri settori, come nella politica di istruzione e formazione e in quella culturale (articoli 126 e seg., trattato CE), sono previsti degli incentivi oppure delle «azioni» (come nel campo della protezione civile, dell'energia e del turismo) ma viene esclusa qualsiasi forma di armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri. La politica estera e di sicurezza «comune», per le sue caratteristiche giuridiche ed istituzionali, non è comparabile con la politica agricola «comune» (-> agricoltura). Un possibile «eccesso» di influenza da parte della CE deve essere compensata dalla sussidiarietà, in base alla quale la Comunità «nei settori che non sono di sua esclusiva competenza, interviene (...) soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni e degli effetti dell'azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario» (articolo 3 B, trattato CE). L'esigenza di una riforma: l'Unione europea resta un processo Intorno a taluni elementi essenziali del TUE si era acceso il dibattito fin dalla fase della sua ratifica; una controversia di grande rilievo ha per oggetto il rapporto tra l'Unione europea, progettata dal trattato di Maastricht, e lo Stato nazionale (costituzionale). Persistono chiari timori e forti resistenze contro un trasferimento troppo ampio di competenze dal piano nazionale a quello europeo, considerato spesso come una minaccia allo Stato (nazionale) e come fattore di rischio per la garanzia del pieno rispetto dei diritti fondamentali. In tal modo, agli occhi di numerosi suoi cittadini, l'Unione europea è divenuta, da modello da seguire qual'era, un avversario da combattere. Così, già all'indomani della firma del trattato di Maastricht, ha preso corpo l'esigenza di apportarvi alcune correzioni, 233 234 esigenza che gli Stati membri hanno recepito in una prima fase approvando nell'autunno del 1992 - una serie di orientamenti e provvedimenti per incrementare la trasparenza delle strutture e delle procedure dell'Unione europea. Già il trattato di Maastricht prevedeva che, nel 1996, una conferenza intergovernativa esaminasse i progressi compiuti (articolo N, paragrafo 2, del TUE). Ulteriori necessità di riforma sono dettate anche dalle prossime adesioni. Il dibattito lascia intravedere una scala delle diverse possibilità con cui una riforma indilazionabile (o, se si preferisce, un approfondimento dell'UE) può essere conciliata con -> l'ampliamento, ormai alle porte, mentre si profilano gli indirizzi fondamentali di un possibile sviluppo del processo di integrazione. Una prima strategia (A), mira ad un «ampliamento senza approfondimento» dell'UE, ad un aumento - cioè - del numero dei membri accompagnato dalla contemporanea ratifica dello status quo a livello politico e istituzionale. L'opzione (B) «approfondimento prima dell'ampliamento» prevede, invece, ulteriori iniziative di integrazione prima dell'ammissione di nuovi membri, in modo che quest'ultimi entrerebbero a far parte di una UE già riformata. La strategia (C) «ampliamento e approfondimento» considera i due momenti come processi che si svolgono parallelamente e si rafforzano reciprocamente. La via (D) dell’ -> «ampliamento per l'indebolimento» del processo di integrazione comporterebbe, col progressivo aumento del numero di membri, la decostruzione dell'edificio comunitario, con la conseguenza che l'UE perderebbe sempre più la propria capacità di sviluppare una dinamica integrativa. La strategia (E) dell’ -> «integrazione graduale» si fonda su forme di integrazione, limitate e attuate per fasi, che - mantenendo obiettivi comuni, vincolanti per tutti, ma perseguiti in un primo tempo da una parte soltanto degli Stati membri - mirano contemporaneamente a consentire anche a nuovi membri di collegarvisi progressivamente. L'opzione (F) «Europa a geometria variabile» prevede, per problemi settoriali, soluzioni ad hoc adottate dagli Stati europei ad esse interessati, con conseguente perdita di uno sviluppo unitario di tutti gli Stati membri. La strategia (G) del «nocciolo europeo» si basa su un gruppo relativamente piccolo di Stati, in grado di mettere in atto uno standard di integrazione piuttosto elevato, ma tale da marcare chiaramente le distanze nei confronti degli altri Stati membri. Contenuti e forme dell'Unione europea sono sempre più contestati. Riassumendo, sembra che la direzione sia quella di una più marcata differenziazione del processo di integrazione. Con ciò, tuttavia, la tensione tra l'eterogeneità dei partecipanti ed il mantenimento di un quadro istituzionale unitario - nonché la conservazione di un assetto portante e vincolante - è destinata in futuro ad acuirsi. Wolfgang Wessels / Udo Dietrichs Glossario europeo 235 L’EUROPA DALLA A ALLA Z 236 Glossario europeo a cura di Olla Hillenbrand Accordi europei. È il nome dato agli accordi di associazione conclusi a partire dal 1991 fra l'UE e i paesi dell'Europa centrale e orientale. L'obiettivo è di consentire a questi paesi di partecipare pienamente al processo di integrazione europea sotto il profilo politico, economico e commerciale. Gli accordi includono piani per l'istituzione entro 10 anni di un'area di libero scambio per i prodotti industriali. L'UE si sta già muovendo più rapidamente dei suoi partner per smantellare le restrizioni commerciali erette a difesa della propria industria. I primi accordi europei vennero firmati con la Polonia, l'Ungheria e la Cecoslovacchia nel dicembre 1991. Gli accordi con la Polonia e l'Ungheria sono entrati in vigore il 1 febbraio 1994, seguiti da accordi con Bulgaria, Romania, la Repubblica ceca e la Slovacchia un anno dopo. Accordi di questo tipo sono stati firmati anche con l'Estonia, la Lettonia e la Lituania il 12 giugno 1995 e con la Slovenia il 10 giugno 1996. Accordo di libero scambio. Si tratta di un accordo diretto a rimuovere dazi doganali e proibire le restrizioni quantitative negli scambi fra i firmatari. Nel 1972-1973 la Comunità europea ha concluso accordi di questo tipo con i singoli Stati EFTA. Accordo preferenziale. Un accordo in base al quale ogni parte concede all'altra un trattamento preferenziale negli scambi reciproci. ADAPT. ADAPT è un'iniziativa comunitaria destinata a favorire la crescita e l'occupazione e ad incrementare la competitività delle imprese. Il programma prevede delle misure di formazione e dei premi all'occupazione per i settori industriali che debbono affrontare le trasformazioni. L'obiettivo principale consiste nel cofinanziare progetti aventi una dimensione transnazionale in tutte le regioni. (-> CSF). Per ulteriori informazioni, contattare: Commissione europea, DG V, Unità B.4, Rue de la Loi 200, B-1049 Bruxelles, Tel. (322) 299 40 75. Agenzia europea per l'ambiente. La decisione di costituire un'Agenzia europea per l'ambiente e una rete europea d'informazione e controllo dell'ambiente è stata adottata dal Consiglio il 7 maggio 1990. Tale decisione rispecchiava la crescente importanza attribuita alla tutela dell'ambiente nell'UE. Il principale obiettivo dell'Agenzia risiede nel raccogliere dati in materia di ambiente, più dettagliati e accurati possibili, il che riveste un'importanza essenziale per un'efficace politica dell'ambiente. Dopo anni di disaccordo sull'ubicazione dell'Agenzia, essa ha potuto infine iniziare i propri lavori nel 1994, nella sua sede centrale di Copenaghen. Indirizzo: 6 Kongens Nytorv, DK-1050 Kobenhavn, Tel. (45) 33 14 50 75, fax (45) 33 14 65 99. Agenzia spaziale europea (ESA). L'ESA venne istituita nel 1975 al fine di coordinare gli sforzi dell'Europa nel campo dell'esportazione e della tecnologia spaziale, nonché il loro coordinamento con l'Ente spaziale americano, la NASA. La sua attività ha fini esclusivamente pacifici. Essa ha sviluppato con successo la propria tecnologia satellitare, il razzo europeo Ariane e il laboratorio spaziale Spacelab. I 14 membri dell'ESA sono: Austria, Belgio, Danimarca, Germania, Finlandia, Francia, Regno Unito, Irlanda, Italia, Paesi Bassi, Norvegia, Spagna, Svezia e Svizzera. Indirizzo: 8-10 Rue Mario Nikis, F75738 Paris Cedex 15, Tel. (33 1) 53 69 76 54. Ampliamento verso sud. Negli anni 70 la Grecia (1975), il Portogallo (1977) e la Spagna (1977) fecero domanda per entrare nella CE, dopo il loro ritorno alla democrazia. Ampliamento verso sud è il termine utilizzato per descrivere la loro adesione alla Comunità (la Grecia nel 1981, il Portogallo e la Spagna nel 1986). Le differenze sostanziali esistenti sul piano della struttura e della ricchezza fra i vecchi e i nuovi membri hanno posto nuovi problemi per la CE. Le considerazioni di ordine politico - il fatto che l'appartenenza alla Comunità avrebbe rafforzato la stabilità interna - sono state il principale fattore alla base dell'accoglimento delle loro domande di adesione, nonostante le preoccupazioni sulle conseguenze economiche. Applicazioni telematiche. Il programma di ricerca sulle applicazioni telematiche dell'UE comprende i programmi AIM, DELTA, DRIVE ed Eurotra. L'obiettivo è di costituire le basi per la graduale introduzione di tecnologie delle comunicazioni europee in rete nei settori dell'amministrazione, dei trasporti, dell'assistenza sanitaria, dell'istruzione, delle biblioteche e della linguistica. Area di libero scambio. Un gruppo di due o più territori doganali dove tutti i dazi doganali e le altre misure che limitano gli scambi fra di essi sono stati rimossi. A differenza di un'unione doganale, nella quale gli Stati interessati costituiscono una tariffa doganale esterna comune, i paesi che fanno parte di una zona di libero scambio mantengono i loro dazi doganali nazionali negli scambi con i paesi terzi. Esempi di zone di libero scambio sono l'EFTA in Europa e la NAFTA in America. Ariane. Questo programma amplia la portata del -> programma pilota UE sui libri e la lettura inserendovi anche la traduzione. L'obiettivo principale consiste nel promuovere traduzioni di letteratura contemporanea, dando la priorità alle lingue 237 238 meno note. Il programma Ariane prevede inoltre delle borse per traduttori e favorisce lo scambio di informazioni ed esperienze fra traduttori professionisti.Kaleidoscope/Caleidoscopio. Per ulteriori informazioni, contattare: Commissione europea, DG X, unità D.1, Rue de la Loi 200, B-1049 Bruxelles, Tel. (322) 299 92 51. Armonizzazione della legislazione doganale. Per la CE era di fondamentale importanza armonizzare la legislazione doganale, affinché la tariffa doganale comune potesse essere applicata in modo uniforme dopo l'introduzione dell'unione doganale. Questo ha comportato la creazione di un codice doganale e di nuove regole comuni dirette a escludere i prodotti provenienti dai paesi terzi che violano i diritti di proprietà industriale (marchi, ecc.). Armonizzazione fiscale. Le diverse aliquote fiscali costituiscono un ostacolo per il -> mercato unico. Il trattato CE prevede l'armonizzazione dell'imposizione indiretta (articolo 99 CE). Questo implica la rimozione di tutte le frontiere fiscali all'interno della Comunità, i cui effetti hanno dovuto essere compensati per evitare distorsioni competitive. L'esempio più notevole è dato dall'IVA: tanto più vicine sono le aliquote IVA degli Stati membri, quanto più ridotta diviene l'importanza della compensazione richiesta. Nel campo dell'imposizione diretta, l'armonizzazione delle imposte dirette sulle imprese creerà una parità di condizioni sul piano competitivo per tutti gli operatori. Ma l'armonizzazione fiscale implica delle notevoli restrizioni alla sovranità nazionale e pertanto ha sempre incontrato una notevole resistenza. Nell'ottobre 1992 il Consiglio ha adottato delle direttive sul ravvicinamento delle aliquote IVA e delle accise, in preparazione alla rimozione dei controlli alle frontiere per i viaggi privati. Nell'ambito del compromesso fiscale, si prevede di passare al principio del paese di origine per gli scambi commerciali nel 1997. Fino ad allora i controlli che restano necessari a causa delle diverse aliquote fiscali esistenti negli Stati membri, vengono effettuati non più alle frontiere ma presso le stesse imprese. Armonizzazione. Si tratta del coordinamento o dell'allineamento delle misure di politica economica e delle norme legislative e amministrative degli Stati membri al fine di impedire disfunzioni del mercato comune. ASEAN (Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico). Dal 1978 esiste un accordo di cooperazione politica fra l' UE e gli Stati dell'ASEAN (Brunei, Indonesia, Malesia, Filippine, Singapore, Tailandia e Vietnam) che ha portato all'istituzione di una conferenza biennale dei ministri degli Esteri dell'UE e dell'ASEAN. Numerosi comitati e un ufficio permanente (comitato di Bruxelles dell'ASEAN/ABC) assicurano continui contatti nell'intervallo fra le conferenze ministeriali. Anche gli scambi sono di estrema importanza in quanto l'UE è il secondo partner di importanza nelle esportazioni degli Stati ASEAN. Associazione delle camere di commercio e dell'industria europee. Fondata nel 1958, l'associazione comprende 24 organizzazioni. Attraverso i suoi membri l'associazione a Bruxelles rappresenta più di 1 200 camere di commercio e dell'industria che a loro volta rappresentano più di 13 milioni di imprese in tutta Europa. Indirizzo: 5, rue Archimède, boîte 4, B-1040 Bruxelles. Atti delle istituzioni della Comunità (strumenti giuridici). Gli atti adottati dal Consiglio e dalla Commissione possono assumere forme diverse. Un regolamento è direttamente efficace in tutti gli Stati membri, come la legge nazionale. Una direttiva richiede che gli Stati membri adottino norme adeguate per raggiungere le finalità stabilite, ma lascia loro la scelta della forma e dei mezzi. Le decisioni possono essere rivolte a Stati membri, imprese o singoli individui ed hanno efficacia diretta. Le raccomandazioni e i pareri non sono vincolanti. Lo stesso vale per le risoluzioni programmatiche del Consiglio. Atto unico europeo. L'Atto unico europeo, ratificato nel 1987, ha completato e modificato i trattati di Roma, ampliando i poteri della Comunità in diversi settori e perfezionando le procedure decisionali. L'introduzione delle decisioni prese sulla base di un voto a maggioranza qualificata, nel quadro della procedura di cooperazione, era una delle necessità fondamentali per il completamento del -> mercato interno. Mentre l'unificazione dei mercati era al centro dell'attenzione politica, l'Atto unico ha fornito una base giuridica per la cooperazione politica europea (CPE), che si era sviluppata a partire dal 1970. Il trattato di Maastricht è una continuazione del processo di approfondimento avviato con l'Atto unico europeo. Azione comune. L'Azione comune è lo strumento con il quale gli Stati membri dell'UE cercano di difendere i loro interessi nell'ambito della nuova politica estera e di sicurezza comune prevista dal trattato sull'Unione europea (articolo J.3, TUE). Il Consiglio, agendo all'unanimità, definisce la portata e gli obiettivi dell'azione comune e gli strumenti, le procedure e le condizioni per la sua realizzazione. Nei pareri che esprimono e nelle iniziative che intraprendono, gli Stati membri sono quindi tenuti ad attenersi alle posizioni convenute, assicurando in tal modo che l'Unione possa agire come una forza coesa. Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo. Costituita il 14 aprile 1991 con sede a Londra, la BERS, come la BEI, concede prestiti per iniziative imprenditoriali e progetti di infrastrutture, diretti a promuovere la transizione verso un'economia libera e di mercato nell'Europa centrale e orientale. Le risorse finanziarie della Banca ammontano a 10 miliardi di ecu. In quanto fondatori della Banca, l'Unione europea e gli Stati membri detengono una partecipazione di maggioranza del 51%. Nel 1994 la Banca ha finanziato 91 nuovi progetti per un valore totale di 1,87 miliardi di ecu. 239 240 Barriere commerciali. L'eliminazione dei dazi doganali e delle restrizioni quantitative negli scambi fra gli Stati membri della CE ha costituito un passo importante verso la creazione di un > mercato unico. Tuttavia il libero scambio può essere frenato anche da altri ostacoli (noti come «ostacoli non tariffari»). Questi comprendono dazi sulle importazioni e ostacoli tecnici dovuti alle differenze esistenti nelle legislazioni o nelle norme sulle qualità fra gli Stati (ad esempio per i prodotti alimentari o i medicinali). Armonizzando, standardizzando e avvicinando le proprie normative, gli Stati membri sono riusciti in larga misura a ridurre tutti i sussistenti ostacoli agli scambi prima della data dell'entrata in vigore del mercato unico a fine 1992. BC-Net/Rete per la cooperazione fra imprese. Costituita nel 1988, la rete per la cooperazione fra le imprese collega circa 600 consulenti di impresa del settore pubblico e privato. Attraverso un sistema informatico centrale in funzione presso il Centro per la cooperazione fra le imprese di Bruxelles, essi aiutano le piccole e medie imprese dell'UE e di una serie di altri paesi a trovare dei partner ai fini di una cooperazione. La cooperazione transfrontaliera consente alle piccole imprese di superare le loro ridotte dimensioni e partecipare ai programmi di ricerca e sviluppo dell'UE. Indirizzo: Centro per la cooperazione fra le imprese, 80 rue d'Arlon, B-1040 Bruxelles. BCC. Mediante un semplice formulario il centro per la cooperazione delle imprese permette di trovare dei partner in più di 60 paesi in tutto il mondo. Vi sono più di 500 uffici di collegamento riconosciuti che difendono le informazioni sulle offerte raccolte a livello centrale a Bruxelles.EIC, BC-NET, EEIG. Per ulteriori informazioni, contattare: Commissione europea, DG XXIII, Unità B.2, Rue de la Loi 200, B-1049 Bruxelles, Tel. (322) 296 50 03. BEUC. L'Ufficio europeo delle unioni di consumatori costituisce un'organizzazione che comprende le associazioni nazionali dei consumatori, e si preoccupa di promuovere gli interessi dei consumatori nell'UE. Indirizzo: 36, avenue de Tervuren, bte 4, B-1040 Bruxelles. Cabotaggio. Con cabotaggio si intende la fornitura di servizi di trasporto commerciali all'interno di un paese, dove non è necessario l'attraversamento delle frontiere. In precedenza solo i vettori nazionali erano autorizzati a effettuarlo. Nel trasporto su strada un permesso di cabotaggio autorizza un trasportatore di uno Stato membro ad accedere al mercato del trasporto commerciale negli altri Stati membri per un periodo di due mesi. Il rilascio di licenze di cabotaggio è iniziato nel 1990. A causa delle differenze fiscali esistenti fra gli Stati membri, è stato impossibile liberalizzare i servizi di cabotaggio pienamente entro il 1 gennaio 1993. In seguito a un accordo raggiunto al Consiglio sull'introduzione di una vignetta regionale e ad accordi in materia di imposizione fiscale degli autoveicoli commerciali pesanti, il numero delle licenze di cabotaggio è stato fissato a 30 000 per il 1994, con un aumento annuo del 30%. A partire dal 1998 i trasportatori dell'UE potranno trasportare merci negli altri Stati membri senza alcuna limitazione. Anche per quanto riguarda il cabotaggio nel trasporto aereo si sta attuando una liberalizzazione graduale che dovrà essere completata nel 1997. Caleidoscopio/Kaleidoscope. Avviato nel 1990, il programma Kaleidoscope mira principalmente a diffondere e migliorare la conoscenza della cultura e promuovere la cooperazione culturale e artistica fra gli esperti. Esso comprende tre azioni a sostegno di tre tipi di progetti: 1) avvenimenti culturali e artistici aventi una dimensione europea; 2) promozione della creazione artistica e culturale (formazione professionale e formazione continua); 3) promozione della cooperazione culturale attraverso le reti (scambio di informazioni fra gli istituti culturali in Europa).Ariane. Per ulteriori informazioni, contattare: Commissione europea, DG X, unità D.1, Rue de la Loi 200, B-1049 Bruxelles, Tel. (322) 299 94 19. Carta europea dell'energia. Lanciata all'Aia nel 1991, la Carta europea dell'energia attualmente ha 51 firmatari. Essa propone un codice di condotta che stabilisce i principi, gli obiettivi e le modalità per raggiungere una cooperazione paneuropea nel settore dell'energia. Gli obiettivi includono un miglioramento della sicurezza delle forniture energetiche e l'incoraggiamento di un mercato unico europeo dell'energia, tenendo conto dei requisiti di protezione dell'ambiente. Dopo più di tre anni di negoziati il trattato sulla carta europea dell'Energia è stato firmato a Lisbona il 17 dicembre 1994 ( -> energia). Carta sociale europea. Al fine di tener conto della dimensione sociale del mercato unico (in sé stesso una realtà essenzialmente economica), il 9 dicembre 1989 il Consiglio europeo ha adottato una Carta europea dei diritti sociali fondamentali, fissando dei requisiti minimi in un elenco di 30 punti. Esso comprende diritti fondamentali per tutti i cittadini dell'UE per quanto riguarda la libera circolazione, la parità di trattamento, la protezione sociale e l'adeguatezza dei salari. Sebbene la carta dei diritti sociali non sia giuridicamente vincolante, il Regno Unito ha votato contro di essa ( -> politica sociale). Cedefop. Si tratta del Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale (Centre européen pour le développement de la formation professionelle), che si preoccupa di promuovere la cooperazione a livello europeo in materia di formazione 241 242 professionale. Inizialmente aveva sede a Berlino. Indirizzo: Cedefop, P.O. Box 27, GR-55102 Thessaloniki (Finikas), tel. (3031) 490 111, fax (3031) 490 102. CELEX. Celex è una banca dati multilingue dell'UE che viene continuamente aggiornata. Oltre alla legislazione ufficiale e alla giurisprudenza dell'UE (presenti col testo integrale), contiene un gran numero di altri documenti come le proposte della Commissione, le interrogazioni presentate dai membri del PE e i pareri della Corte dei conti. Complessivamente contiene dalle 50 000 alle 60 000 pagine per lingua. CEN/Cenelec. Il CEN (comitato europeo di normalizzazione) e il Cenelec (comitato europeo di normalizzazione elettrotecnica) sono gli organismi europei responsabili per le norme tecniche. Hanno la loro sede a Bruxelles e fungono da organizzazione congiunta sulle norme tecniche europee, comprendendo le diverse istituzioni nazionali sia dell'UE che dell'EFTA competenti in materia. Nell'UE la Commissione e il Consiglio definiscono i profili dei requisiti dei prodotti (vale a dire norme comuni sui requisiti in materia di sanità e sicurezza, criteri minimi ai fini della tutela dei consumatori), che gli organismi sulle norme tecniche europee poi trasformano in norme ufficiali. Attraverso la sostituzione delle norme nazionali con quelle tecniche viene accelerata l'armonizzazione in materia. Centro comune di ricerca. Gli Stati membri dell'Euratom hanno istituito il Centro comune di ricerca nel 1957 per la ricerca sugli usi pacifici dell'energia nucleare. Esistono otto istituti separati a Ispra (Italia), Geel (Belgio), Karlsruhe (Germania), Petten (Paesi Bassi) e Siviglia (Spagna). Inoltre nel 1983 è stato istituito un importante centro per il lavoro sperimentale sulla fusione termonucleare (JET) a Culham (Regno Unito). Il Centro comune di ricerca effettua ricerche nell'ambito dei programmi UE, concentrandosi sugli aspetti della tecnologia industriale, della tutela dell'ambiente, dell'energia e della standardizzazione. Il bilancio del Centro comune di ricerca ammonta a 900 milioni di ecu (1995-1999). Centro europeo della gioventù. Il Centro europeo della gioventù è stato costituito dal Consiglio d'Europa a Strasburgo come centro di formazione internazionale e luogo di incontro. Vi si svolgono seminari e corsi per associazioni giovanili europee per aiutarle a organizzarsi a livello europeo, perseguire una cooperazione, scambiarsi informazioni ed esprimere i propri punti di vista. Indirizzo: European Youth Centre, 30 rue Pierre de Coubertin, F-67000 Strasbourg Wacken. CERN. Il CERN (Organizzazione europea per la ricerca nucleare - l'acronimo deriva dalla precedente denominazione francese: Conseil européen pour la recherche nucléaire) è un'organizzazione internazionale europea per la ricerca nucleare, fondata nel 1954, che ha la sua sede centrale a Ginevra. Il suo obiettivo è di promuovere la cooperazione fra i paesi europei nella ricerca fondamentale, a scopi puramente scientifici, in materia di energia nucleare e nei settori connessi. Cittadinanza dell'Unione. Ai sensi dell'articolo 8 CE è cittadino dell'Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. I cittadini dell'Unione godono dei seguenti diritti: di circolare e soggiornare liberamente nel territorio dell'UE, di votare ed essere eletto nelle elezioni comunali ed europee dello Stato membro in cui risiede, di godere della tutela da parte delle autorità diplomatiche e consolari di altri Stati membri nel territorio di un paese terzo, e ha il diritto di petizione dinanzi al Parlamento europeo. Inoltre il Parlamento europeo nomina un mediatore incaricato di esaminare i ricorsi esaminati dai cittadini dell'Unione in merito all'amministrazione della Comunità. Clausola della nazione più favorita. Un paese che concede a un altro lo status di nazione più favorita si impegna a concedergli tutte le condizioni commerciali più favorevoli in materia di politica commerciale che esso già concede ad altri paesi. Tale principio costituisce un elemento fondamentale del GATT e di altri accordi commerciali. Comitato dei rappresentanti permanenti (Coreper). Il Comitato dei rappresentanti permanenti è un organo subordinato del Consiglio. Esso è composto dai rappresentanti degli Stati membri a livello di ambasciatori, o dai loro sostituti, ed è responsabile, ai sensi dell'articolo 151 del trattato CE, della preparazione dei lavori del Consiglio e dell'esecuzione dei compiti che gli vengono affidati da quest'ultimo. Subordinati al Coreper sono 250 gruppi di lavoro nei quali vengono esaminati gli atti giuridici da adottare. Commissione d'inchiesta. Il trattato sull'Unione europea ha attribuito al Parlamento europeo il nuovo potere di istituire delle commissioni d'inchiesta al fine di accertare eventuali violazioni del diritto comunitario. A norma dell'articolo 138 C, CE queste commissioni temporanee possono essere istituite su richiesta di un quarto dei membri del Parlamento. Compromesso di Lussemburgo. Vedi Consiglio dell'Unione europea. Comunità europea dell'energia atomica (Euratom). L'Euratom è stata istituita il 1 gennaio 1958 contemporaneamente alla CEE. Il suo obiettivo è di svolgere un'attività di ricerca e di sviluppo dell'energia nucleare, creare un mercato comune dei combustibili nucleari, controllare l'industria nucleare in modo da proteggere la salute e impedire gli abusi. A partire dal 1967 si è proceduto alla fusione delle istituzioni della Comunità europea dell'energia atomica, della CECA e della CEE. 243 244 Comunità europea per il carbone e l'acciaio (CECA). La CECA, prima fra le Comunità europee, venne istituita nel 1951 dalla Repubblica federale di Germania, Francia, Italia e i paesi del Benelux. Uno degli obiettivi della creazione di un mercato comune per i prodotti del carbone e dell'acciaio era di vincolare la Germania all'Europa postbellica e garantire la pace nell'Europa occidentale. Le istituzioni della CECA, della CEE e dell'Euratom vennero fuse nel 1967 in virtù di quello che divenne noto come «trattato di fusione». Confederazione europea dei sindacati (CES). Fondata a Bruxelles nel 1973, i suoi membri comprendono 41 confederazioni sindacali di 23 paesi europei e 16 unioni sindacali di categoria. I suoi obiettivi consistono nel rappresentare gli interessi sociali, economici e culturali dei lavoratori in Europa e vigilare sul mantenimento e il rafforzamento della democrazia. I rappresentanti della CES partecipano a diversi comitati UE e EFTA. Indirizzo: 37, Rue Montagne aux Herbes Potagères, B-1000 Bruxelles. Conferenza di Barcellona. Nel novembre 1995, gli Stati dell'UE hanno adottato, assieme a dodici Stati del Mediterraneo, la dichiarazione di Barcellona. Con l'obiettivo di garantire la sicurezza nella regione del Mediterraneo, sono stati affrontati tre settori. Il primo prevede una cooperazione politica e di sicurezza, garantendo i diritti umani e le libertà politiche fondamentali. Il secondo mira a istituire un'area di libero scambio mediterranea entro il 2010. Il terzo riguarda i problemi sociali e culturali, incluso il reciproco rispetto sul piano della cultura e della religione. La conferenza di Barcellona rappresenta l'inizio dell'approfondimento delle relazioni fra l'UE e gli Stati della costa meridionale del Mediterraneo ( -> Mediterraneo e politica del Medio Oriente). Conferenza di Messina. Alla conferenza di Messina dell'1 e 2 giugno 1955, i sei ministri degli Esteri della CECA decisero di avviare negoziati sull'integrazione in altri settori, seguendo il modello della Comunità europea del carbone e dell'acciaio. Il risultato furono i trattati di Roma, istitutivi della CEE e dell'Euratom, che vennero firmati il 25 marzo 1957. Congresso dell'Aia. Il congresso dell'Aia del maggio 1948, organizzato da un comitato internazionale di movimenti favorevoli all'unità europea, riunì circa 750 uomini politici provenienti da quasi tutti i paesi europei. L'appello a favore di un'Europa unita e democratica lanciato dal congresso nella sua risoluzione finale, trovò una vasta eco e fornì l'impulso per l'avvio dei negoziati che portarono alla fondazione del Consiglio d'Europa un anno più tardi. La risoluzione dell'Aia inoltre prevedeva una Convenzione europea sui diritti dell'uomo (più tardi realizzata dal Consiglio d'Europa), una Corte europea dei diritti dell'uomo e un'Assemblea parlamentare europea, istituzioni che vennero create successivamente. Il congresso dell'Aia segnò inoltre l'inizio del movimento europeista. Consigli di fabbrica europei. Nel settembre 1994, dopo anni di opposizione, il Consiglio dell'UE ha finalmente varato una direttiva sull'istituzione di consigli di fabbrica europei. Una volta che la direttiva sarà stata recepita negli ordinamenti nazionali, le imprese con almeno 1 000 lavoratori negli Stati membri che occupano almeno 150 persone in uno o più Stati membri, dovranno istituire un consiglio di fabbrica a livello dell'impresa entro tre anni. I consigli di fabbrica hanno diritto di essere sentiti e debbono essere informati sulle principali decisioni della società. In virtù del protocollo sociale, il Regno Unito è escluso dall'applicazione di questa norma. Consiglio d'Europa. Il Consiglio d'Europa venne fondato nel 1949 dai 16 Stati europei con l'obiettivo di promuovere l'unità e la cooperazione in Europa. Ha sede a Strasburgo e conta ora 40 Stati membri. Il Consiglio d'Europa si è occupato particolarmente dei problemi concernenti i diritti umani, gli affari sociali, l'istruzione e la cultura. Il suo strumento più importante è l'adozione di convenzioni. Dato che gli organi istituzionali del Consiglio d'Europa non possono emanare norme giuridicamente vincolanti, i singoli Stati membri debbono ratificare le sue decisioni. Ai fini dell'applicazione della convenzione del Consiglio d'Europa per la tutela dei diritti dell'uomo, sono state istituite la Commissione europea per i diritti dell'uomo e la Corte europea per i diritti dell'uomo. Contingenti tariffari. L'introduzione di contingenti tariffari consente le importazioni di quantitativi limitati di merci particolari in esenzione doganale o ad aliquote ridotte. Utilizzando i contingenti tariffari l'UE o i singoli Stati membri possono garantire le forniture di merci essenziali senza ridurre la loro protezione doganale oltre l'importo coperto dal contingente. Controlli alle frontiere. A causa della diversità delle legislazioni e delle normative in materia fiscale, di sanità e di sicurezza, sono necessari i controlli su merci e persone che viaggiano da un paese all'altro. Nel programma per il mercato unico, gli Stati membri della CE dovevano allineare le rispettive normative nazionali attraverso un'armonizzazione o attraverso il riconoscimento reciproco in modo che i controlli alle frontiere potessero essere smantellati entro il 1 gennaio 1993. Ciò è stato possibile per il traffico merci. Ma a causa di riserve nazionali e di problemi di sicurezza irrisolti, i controlli sulle persone non sono stati completamente eliminati prima del 26 marzo 1995 e solo fra i paesi che hanno firmato il trattato di Schengen ( -> giustizia e affari interni, -> Europol). Controllo delle fusioni tra imprese. Nel settembre 1990 entrò in vigore il regolamento sul controllo delle concentrazioni tra imprese, in base al quale le fusioni transfrontaliere fra imprese che hanno una cifra d'affari mondiale superiore a 5 miliardi di ecu (inizialmente) debbono ricevere l'autorizzazione preventiva della Commissione. L'obiettivo è di 245 246 evitare eccessive concentrazioni di potere in singoli settori dell'economia. Le fusioni che restano al di sotto di tale soglia rimangono soggette alla normativa nazionale. Convenzione di Lomé. Le convenzioni di Lomé sono accordi multilaterali nel settore degli scambi e dello sviluppo fra l'UE e i 70 paesi ACP. Essi attribuiscono ai paesi ACP lo status di paese associato all'UE, offrendo loro, oltre che un'assistenza finanziaria, anche importanti vantaggi commerciali nelle esportazioni verso l'UE. Le convenzioni costituiscono il cuore della politica degli aiuti ai PVS dell'UE. Lomé I venne conclusa nel 1975, per un periodo di cinque anni; essa venne seguita da Lomé II (1980), Lomé III (1985) e infine Lomé IV nel 1990, che avrà una durata di 10 anni, con un bilancio di 13,2 miliardi di ecu per il primo quinquennio. Obiettivo principale della convenzione è lo sviluppo a lungo termine dei paesi partecipanti. Lomé IV comprende inoltre accordi per la tutela dei diritti umani e lo sviluppo della democrazia. Convenzione europea dei diritti dell'uomo (ECHR). Tale convenzione è stata firmata il 4 novembre 1950 dai membri del Consiglio d'Europa, che si sono impegnati a tutelare i diritti fondamentali essenziali. Questi includono il diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della persona, il diritto a un processo equo, il diritto al rispetto della vita privata e di famiglia, il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione, il diritto alla libertà di espressione e di riunione, il divieto della tortura, della schiavitù e del lavoro forzato. Chiunque subisca una violazione dei propri diritti e libertà, a norma della convenzione ha diritto di presentare un ricorso presso un tribunale nazionale. Per assicurare il rispetto dei diritti umani una Commissione e una Corte europee dei diritti dell'uomo sono state istituite a Strasburgo. Convertibilità. La convertibilità è il grado in cui una valuta può essere scambiata con un'altra. Una moneta è convertibile quando le autorità monetarie consentono ai non residenti di cambiarla con oro o con divise estere e ai residenti di cambiarla con divise estere. Cooperazione politica europea. La cooperazione politica europea era un sistema di cooperazione e coordinamento della politica estera attuato dagli Stati membri della CE a partire dal 1970. Attraverso contatti permanenti fra i loro governi, gli Stati membri cercano di agire adottando posizioni uniformi in materia di politica estera. Inserita nel trattato CEE, dall'AUE nel 1987, la Cooperazione politica europea si è trasformata, nel trattato sull'Unione europea, nella -> politica estera e di sicurezza comune. COPA. comitato delle organizzazioni professionali agricole della Comunità europea (Comité d'organisations professionnelles agricoles), che costituisce uno dei più importanti gruppi di difesa di interessi professionali nella Comunità. Esso si mantiene in costante contatto con le istituzioni dell'UE e emana pareri sullo sviluppo della -> politica agricola comune della Comunità. Fondato nel 1958, il suo obiettivo principale consiste nell'assicurare condizioni di vita e di lavoro dignitose, nonché il miglioramento dei redditi, per gli agricoltori. Indirizzo: 23-25, rue de la Science, B-1040 Bruxelles. COST. La Cooperazione europea nel settore della ricerca scientifica e tecnica comprende più di 20 paesi. Suo obiettivo fondamentale è la programmazione comune di progetti di ricerca finanziati da singoli paesi nei settori della tecnologia e dell'informazione, delle telecomunicazioni, dell'oceanografia, della metallurgia e della scienza dei materiali, della tutela dell'ambiente, della meteorologia, dell'agricoltura, della tecnologia alimentare, della ricerca medica e della salute. Criteri di convergenza. I criteri di convergenza fissati nel trattato di Maastricht sono condizioni per l'ingresso nella prevista -> unione economica e monetaria europea. Sono requisiti prescritti per accedere alla UME: 1) aver raggiunto un alto grado di stabilità dei prezzi; 2) evitare eccessivi disavanzi di bilancio; 3) avere evitato gravi tensioni sui tassi di cambio all'interno dello SME nel corso dei due anni precedenti; 4) aver mantenuto i tassi di interesse a lungo termine a un livello non superiore del 2% rispetto ai paesi dove i prezzi sono più stabili. I criteri sono stati fissati in modo deliberatamente rigido al fine di garantire la stabilità della prevista moneta unica (articolo 109 J, CE). Deroghe concesse alla Danimarca. Dopo il risultato negativo del referendum svoltosi in Danimarca il 2 giugno 1992 relativo al trattato sull'Unione europea, il Consiglio europeo di Edimburgo, nel dicembre 1992, adottò una formula di compromesso, consentendo alla Danimarca di ratificare il trattato dopo lo svolgimento di un secondo referendum nel maggio 1993. In base a tale soluzione, la Danimarca non è obbligata a 1) partecipare alla terza fase dell'Unione economica e monetaria e all'introduzione di una moneta unica; 2) a partecipare alla preparazione e alla realizzazione di una politica di difesa comune; 3) a limitare la cittadinanza nazionale nell'ambito dei programmi per la cittadinanza europea. Infine, 4) qualsiasi trasferimento di poteri alla Comunità nei settori della giustizia e degli affari interni richiederà l'autorizzazione del Parlamento danese con una maggioranza di 5/6 o un ulteriore referendum. È stato anche ribadito chiaramente che ogni paese potrà continuare a mantenere e migliorare la propria politica dei redditi, i propri obiettivi in materia ambientale nonché i vantaggi dello stato sociale. Dialogo sociale. Dialogo sociale è l'espressione utilizzata per definire gl incontri fra i rappresentanti dell'imprenditoria e i lavoratori («le parti sociali») a livello europeo. Esso risale alla metà degli anni '80, quando la Confederazione europea dei 247 248 sindacati (CES), l'organizzazione dei datori di lavoro UNICE e il Centro europeo delle imprese pubbliche (ECPE) iniziarono a riunirsi sotto la presidenza della Commissione. Sulla strada verso il completamento del mercato unico, il dialogo sociale venne visto come un modo per contribuire ad assicurare condizioni generali ragionevoli. Dichiarazione di Petersberg. La dichiarazione di Petersberg del 19 giugno 1992 ha costituito una tappa fondamentale sulla strada della trasformazione dell'Unione dell'Europa occidentale (UEO) nella componente di difesa dell'Unione europea e del pilastro europeo dell'Alleanza atlantica. La dichiarazione del Consiglio dei ministri dell'UEO prevedeva, fra l'altro, che, accanto alle missioni nel quadro delle Nazioni Unite o della Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa, figurino anche in determinate circostanze azioni di combattimento «per il mantenimento della pace». Per la preparazione di questi piani di difesa attiva è stata decisa la creazione di una cellula di pianificazione militare. Dichiarazione solenne sull'Unione europea. La dichiarazione solenne uscita dal Consiglio europeo di Stoccarda nel giugno 1983 segnò un passo importante sulla strada verso l'Unione europea. La dichiarazione rispecchiava il crescente desiderio che la politica estera fosse più strettamente coordinata nel quadro della cooperazione politica europea. In essa vennero decisi miglioramenti degli strumenti istituzionali e una cooperazione sul ravvicinamento delle legislazioni oltre ad un'indicazione degli obiettivi concreti per l'integrazione economica negli anni seguenti. Direttive. La direttiva è lo strumento giuridico con il quale il Consiglio o la Commissione possono chiedere agli Stati membri di modificare o adottare atti di diritto interno entro un certo termine, al fine di raggiungere gli obiettivi fissati nella direttiva stessa. Diritti antidumping e diritti compensativi. I diritti antidumping vengono imposti sulle merci importate ad un prezzo più basso di quello che sarebbe stato applicato sul mercato nazionale del paese esportatore. Se le merci in questione sono oggetto di sovvenzioni, vengono applicati i diritti compensativi. Questi due tipi di diritti doganali hanno acquisito importanza in seguito all'ampio smantellamento dei dazi doganali operato negli ultimi anni. Essi possono essere imposti solo ad importazioni che sono incompatibili con il mercato comune in quanto alterano la concorrenza o attribuiscono un ingiusto vantaggio a talune imprese o tipi di merci ( -> mercato unico). ECHO. Istituito nel 1992, l'Ufficio della Comunità europea per gli aiuti umanitari offre aiuto e sostegno alle vittime di calamità o di guerre. L'ECHO offre assistenza gratuita a qualsiasi paese al di fuori dell' UE. Alcuni dei beneficiari più importanti sono stati i popoli della ex Iugoslavia, di Ruanda, Burundi, Sudan, Angola, Haiti, la regione del Caucaso, l'Afghanistan e Cuba. Per ulteriori informazioni, contattare: Commissione europea, Ufficio della Comunità europea per gli aiuti umanitari (ECHO), Rue de la Loi 200, B-1049 Bruxelles, Tel. (322) 295 44 00. ECIP. Il programma della Comunità europea per favorire gli investimenti internazionali promuove gli investimenti dell' UE in Asia, nei paesi terzi della regione del Mediterraneo e in America latina. Il programma ECIP sostiene quattro procedure complementari: l'individuazione di partner e di progetti adeguati, misure preparatorie e la costituzione di un'impresa comunitaria, il finanziamento delle necessità di capitale, la formazione del management e l'assistenza nella gestione dell'impresa comunitaria. Complessivamente nel periodo 1992-1997 sono stati stanziati circa 300 milioni di ecu. -> MED. Per ulteriori informazioni, contattare: Commissione europea, DG I - Programma ECIP, Rue de la Loi 200, B-1049 Bruxelles, Tel. (322) 299 02 04. Ecu (Unità monetaria europea). L'ecu è l'unità monetaria e contabile europea. Si tratta di un «paniere» costituito da determinate percentuali (deciso all'unanimità) di monete che fanno parte del > Sistema monetario europeo (SME). L'ecu costituisce la pietra angolare dello SME: è il valore di riferimento fondamentale per calcolare il margine di fluttuazione esistente fra le monete della Comunità, serve come unità contabile per esprimere attivi e passivi e viene utilizzata dalle banche centrali degli Stati membri per le liquidazioni dei saldi commerciali e come moneta di riserva. La Comunità utilizza l'ecu per il suo bilancio e per i vari fondi, per fissare i prezzi agricoli, i dazi doganali e prelievi analoghi. L'ecu può anche essere utilizzata per operazioni fra privati. Dato che viene calcolata partendo dal valore medio delle monete UE, l'uso dell'ecu riduce il rischio delle fluttuazioni dei tassi di cambio. EFTA. L'Associazione europea di libero scambio (EFTA) venne costituita nel 1960, in reazione alla creazione della CEE, al fine di impedire discriminazioni economiche. Nel corso degli anni, le due organizzazioni hanno sviluppato stretti legami economici che hanno portato alla creazione, nel 1994, dello Spazio economico europeo (SEE). L'EFTA ha perso molto della sua importanza per il fatto che, a tappe successive, molti dei suoi membri hanno aderito alla Comunità. Dopo l'ingresso di Austria, Finlandia e Svezia nell'UE nel 1995, gli unici membri dell'EFTA rimasti sono ormai l'Islanda, il Liechtenstein, la Norvegia e la Svizzera. EIC. Gli Euro Info Centres (Euro Info Centri) sono stati costituiti specialmente per le imprese e gli altri operatori economici al fine di fornire informazioni sul funzionamento del -> mercato unico, sui programmi di ricerca e sviluppo comunitari, sugli strumenti strutturali della Comunità, sulle relazioni esterne dell'Unione e la concessione di appalti pubblici. Essi favoriscono inoltre la 249 250 cooperazione e i contatti fra società di tutta Europa (attraverso il BC-NET) ai fini del rafforzamento dei contatti fra gli stessi EIC. BCC. Per ulteriori informazioni, contattare: Commissione europea, DG XXIII, Euro Info Centres, Rue de la Loi 200, B-1049 Bruxelles, Tel. (322) 296 13 50. Erasmus (Programma di azione comunitario in materia di mobilità degli studenti). Il programma Erasmus è operativo dal 1987, e promuove gli scambi di studenti e insegnanti, nonché la cooperazione fra le università europee. Nell'anno accademico 1994/95 circa 127 000 studenti nell'UE si sono avvalsi della possibilità di completare parte dei loro studi in un altro Stato membro ( -> istruzione e gioventù). Eurathlon. Il programma Eurathlon prevede un sostegno agli avvenimenti sportivi che sviluppano la comprensione fra i cittadini della Comunità, in particolare i giovani e le donne, che si interessano a sport popolari e praticano sport come attività ricreativa. Esso promuove inoltre misure relative alla formazione sportiva per sportivi e funzionari del settore sportivo (allenatori, istruttori e arbitri) sotto forma di corsi comuni. Collegato a Eurathlon è anche il programma «Sport per i disabili» che prevede misure speciali dirette a integrare i disabili nel mondo dello sport. (-> Helios). Per ulteriori informazioni, contattare: Commissione europea, DG X, unità B 5, Sezione sport, Eurathlon/Sport per i disabili, Rue de la Loi 200, B-1049 Bruxelles, Tel. (322) 295 66 59. Eureka (European Research Coordination Agency - Agenzia europea per il coordinamento della ricerca). Lanciata nel 1985, Eureka costituisce un'iniziativa di ricerca europea, diretta a migliorare la competitività dell'Europa in settori fondamentali per il futuro, attraverso una più stretta cooperazione in campo industriale, tecnologico e scientifico. Essa comprende la Commissione europea, i 15 Stati membri dell'UE e altri 7 paesi. I progetti avviati (circa 700 complessivamente) sono tutti puramente civili e sono selezionati dall'industria, la comunità scientifica e i governi dei paesi partecipanti. Essi sono organizzati a titolo di iniziative private e possono ottenere sovvenzioni fino a un 50% del costo (ricerca e tecnologia). Euridice. Istituita nel 1980, Euridice è una rete di informazioni dell'UE, che permette alle autorità comunitarie e nazionali di scambiarsi domande e risposte e costituire in tal modo una base di informazioni in merito ai diversi sistemi pedagogici europei ( -> giovani e istruzione). Eurocontrol. L'Organizzazione europea per la sicurezza della navigazione aerea venne fondata a Bruxelles nel 1960 dalla convenzione internazionale relativa alla cooperazione per la sicurezza della navigazione aerea. I suoi membri, oltre agli Stati membri dell'UE, comprendono anche Cipro, Ungheria, Malta, Norvegia, Svizzera e Turchia. Eurocontrol dirige e controlla il traffico aereo militare e civile ad altitudini superiori ai 25 000 piedi e al di fuori dello spazio aereo nazionale. Eurostat. L'Eurostat è l'Ufficio statistico dell'Unione europea. Esso produce e pubblica regolarmente analisi e previsioni statistiche, fornisce alle istituzioni dell'UE dati validi su cui basare le proprie decisioni e iniziative e mette a disposizione delle amministrazioni nazionali e del pubblico informazioni su argomenti connessi all'UE, che si prestano a un'analisi statistica. Quando possibile, esso svolge anche una funzione di centralizzazione, coordinando e integrando le diverse statistiche nazionali in un sistema uniforme e comparabile. Indirizzo: Eurostat Information Office, JMO, B3/089, L-2920 Luxembourg. Eurovisione. Eurovisione è il centro tecnico e organizzativo dell'Unione europea della radiodiffusione (VER), fondata nel 1950. Il suo obiettivo è di incoraggiare la cooperazione fra emittenti radiotelevisive e promuovere gli scambi di programmi e trasmissioni. Nel corso degli anni vi è stato un notevole incremento degli scambi di programmi al fine di ridurre i costi. Essa si concentra attualmente sulla ridiffusione di notiziari e trasmissioni sportive. Fondi strutturali. I fondi strutturali dell'UE sono gestiti dalla Commissione al fine di finanziare l'aiuto strutturale della Comunità. Essi comprendono la sezione orientamento del FEAOG per l'agricoltura, il Fondo regionale per l'aiuto strutturale nel quadro della politica regionale, il Fondo sociale per le misure di politica sociale e il nuovo Strumento finanziario di orientamento della pesca (SFOP). Anche il Fondo di coesione creato nel 1993 serve al perseguimento degli obiettivi di politica strutturale della Comunità. Il sostegno finanziario proveniente dai fondi strutturali è diretto principalmente alle regioni più povere al fine di rafforzare la coesione economica e sociale dell'Unione in modo che le sfide del mercato unico possano essere raccolte in tutta l'Unione. L'azione è concentrata su sei obiettivi principali. La parte più importante va all'obiettivo n. 1 (sviluppo e aggiustamento strutturale delle regioni in ritardo di sviluppo). Complessivamente il bilancio dei fondi strutturali si è quadruplicato negli ultimi anni, totalizzando più di 161 miliardi di ecu per il periodo 1993-1999. Fondo di coesione. Ai sensi dell'articolo 130 D, CE, il Fondo di coesione è stato istituito nel 1993 al fine di erogare contributi finanziari a progetti in materia di ambiente e di reti transeuropee nel settore delle infrastrutture dei trasporti. I finanziamenti del fondo sono destinati esclusivamente ai quattro paesi più poveri della Comunità (Irlanda, Grecia, Spagna e Portogallo), con l'obiettivo di ridurre le disparità fra le economie degli Stati membri dell'UE. Nel 1994 sono stati finanziati 51 progetti. 251 252 Dal 1993 al 1999 l'importo dei finanziamenti disponibile attraverso il fondo su base annuale varia da 1,5 miliardi di ecu a 2,6 miliardi ecu, per un totale di 15,1 miliardi di ecu. Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (FEAOG). Il FEAOG finanzia la politica agricola comune dell'UE. Il suo obiettivo è di fornire un sostegno al mercato e promuovere gli aggiustamenti strutturali in agricoltura. Il FEAOG è diviso in due sezioni: la sezione garanzia finanzia misure di sostegno ai prezzi e le restituzioni alle esportazioni per garantire ai coltivatori prezzi stabili, mentre la sezione orientamento concede sovvenzioni per piani di razionalizzazione, modernizzazione e miglioramenti strutturali nell'attività agricola ( -> agricoltura). Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR). Il FESR contribuisce a ridurre gli squilibri esistenti fra le regioni della Comunità. Il Fondo è stato istituito nel 1975 e concede un'assistenza finanziaria per lo sviluppo di progetti nelle regioni più povere. Dal punto di vista delle risorse finanziarie, il FESR è di gran lunga il più importante dei fondi strutturali dell'UE. Fondo europeo di sviluppo. Istituito nel 1957 da parte della Comunità e degli Stati membri, il Fondo europeo di sviluppo finanzia misure dirette a promuovere lo sviluppo economico e sociale dei paesi ACP. Oltre a programmi di investimento in questi settori, esso finanzia progetti di cooperazione tecnica, piani per promuovere l'esportazione, la commercializzazione e le vendite nonché aiuti di emergenza per casi speciali. Le risorse del Fondo sono in parte devolute alla stabilizzazione delle entrate derivanti dall'esportazione di taluni prodotti nell'ambito del sistema Stabex. Ogni Fondo ha una durata di cinque anni. Il settimo Fondo, relativo al periodo 1990-1995, ammontava a 10,7 miliardi di ecu. Fondo europeo per gli investimenti. Di fronte al peggioramento della situazione economica e alla crescita della disoccupazione, il Consiglio europeo, nel 1992, decise di avviare un'iniziativa per la crescita e lo sviluppo. Sotto la guida della Commissione, nel giugno 1994 venne istituito il Fondo europeo per gli investimenti. Con un capitale di 2 miliardi di ecu, il Fondo contribuirà a promuovere la ripresa economica negli Stati membri attraverso il finanziamento dello sviluppo di infrastrutture transeuropee e fornendo un sostegno alle piccole e medie imprese attraverso garanzie di prestito. Fondo sociale europeo. Istituito nel 1960, il Fondo sociale europeo è il principale strumento della politica sociale della Comunità. Esso offre un'assistenza finanziaria a programmi di formazione professionale, e per la creazione di posti di lavoro. Circa il 75% dei finanziamenti autorizzati è destinato alla lotta contro la disoccupazione giovanile. Con l'aumento delle risorse di bilancio nel quadro del pacchetto Delors II, sono state apportate delle modifiche al Fondo sociale e il principale obiettivo consiste ora nel migliorare il funzionamento dei mercati del lavoro e contribuire al reinserimento dei disoccupati nella vita lavorativa. Un'ulteriore azione si occuperà della promozione delle pari opportunità, aiutando i lavoratori ad adeguarsi ai mutamenti nell'industria e nei sistemi di produzione ( -> politica sociale). FORCE. FORCE è un programma d'azione dell'UE diretto a promuovere una formazione professionale continua. Indirizzo: Fehrbelliner Platz 3, D-10707 Berlino. Forum dei giovani europei. Il Forum dei giovani europei dell'UE è un'associazione di organizzazioni giovanili nella Comunità che è stata fondata nel 1978. Esso serve da piattaforma per le organizzazioni giovanili nei confronti delle istituzioni dell'UE, cercando di promuovere la partecipazione dei giovani ai futuri sviluppi dell'Unione europea. I suoi membri sono comitati giovanili nazionali e organizzazioni giovanili internazionali che rispondono ai criteri stabiliti nel suo statuto. Indirizzo: European Youth Forum, 112 rue Joseph II, B-1040 Bruxelles. GATT. Attualmente sono 123 gli Stati firmatari dell'accordo generale sulle tariffe e il commercio, che rappresentano in totale il 90% degli scambi mondiali. L'obiettivo del GATT è di lavorare per lo smantellamento delle barriere commerciali. Dopo sei tornate di negoziati multilaterali, venne raggiunto un accordo al Tokyo Round per smantellare le barriere non tariffarie. Nel 1986 si aprì l'Uruguay Round, i cui negoziati andavano oltre la rimozione delle barriere commerciali e le distorsioni affrontando nuovi argomenti come gli scambi nei servizi, i problemi di investimento connessi al commercio e il miglioramento degli accordi per la tutela della proprietà intellettuale. Dopo anni di discussioni l'Uruguay Round si concluse il 15 dicembre 1993. La competenza in materia di problemi commerciali è ora passata dal GATT alla nuova Organizzazione mondiale per il commercio (OMC), che ha iniziato i suoi lavori agli inizi del 1995. GEIE. A partire dal 1 luglio 1989 le imprese della Comunità hanno potuto avvalersi dei Gruppi europei di interesse economico (GEIE), che costituiscono un primo strumento per la cooperazione transnazionale. A differenza di una società, esso non può rivolgersi a terzi, ma deve concentrarsi sui propri membri. Attraverso la registrazione nello Stato dove ha la propria sede (l'informazione viene inoltre pubblicata nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee), il GEIE acquisisce la piena capacità giuridica. (-> BCC, BC-NET, EIC). Giovani per l'Europa. Giovani per l'Europa III è un programma d'azione destinato a promuovere gli scambi di giovani nell'Unione europea. La terza fase (1995-1999) prevede la continuazione dell'attuale programma Giovani per l'Europa e include inoltre 253 254 progetti nel quadro dei programmi PETRA e Tempus. Gestito su base decentralizzata da singoli organismi nazionali, nel prossimo quinquennio il programma interesserà più di 400 000 giovani di età compresa fra i 15 e i 25 anni, inclusi giovani provenienti da paesi terzi ( -> istruzione e gioventù). Indirizzo: Ministero degli Affari esteri, Agenzia Giovani per l'Europa, Piazzale della Farnesina 1, I-00194 Roma, Tel. (06) 323 62 18. Gioventù per l'Europa III. Obiettivo di questo programma d'azione è promuovere gli scambi fra i giovani nell'UE, l'Islanda, la Norvegia e il Liechtenstein. Rivolto ai giovani di età compresa fra i 15 e i 25 anni, esso offre a quanti sono interessati un'assistenza nella preparazione di uno scambio internazionale fra giovani, nonché un aiuto finanziario. Sono previsti anche programmi di formazione per leader e organizzatori di gruppi giovanili. (-> Horizon, Youthstart, Eurathlon). Per ulteriori informazioni, contattare: Commissione europea, DG XXII (Istruzione e formazione professionale per i giovani), Rue de la Loi 200, B-1049 Bruxelles. Gruppo Trevi (Terrorismo, radicalismo, estremismo, violenza internazionale). È il nome dato alla cooperazione informale fra i ministri degli Interni e della Giustizia della CE/UE per combattere il terrorismo internazionale e il traffico di droga. Esso è stato costituito nel 1975 ed è divenuto operativo a partire dal 1976. I ministri responsabili della sicurezza interna nella Comunità si incontrano a questo livello due volte l'anno per discutere la cooperazione e le strategie comuni. Il gruppo Trevi coopera anche con paesi non membri. La cooperazione fra gli Stati membri in materia di giustizia e affari interni è disciplinata dall'articolo K del trattato sull'Unione europea. Helios II. Si tratta di un programma destinato a integrare i disabili nella vita economica e sociale. Il programma Helios II (1993-96) contribuisce a sviluppare lo scambio di esperienze organizzando seminari, viaggi conoscitivi e esperienze di lavoro, relativi a diversi argomenti ogni anno. Lavorando assieme alle organizzazioni non governative, la Commissione partecipa ad attività di finanziamento nei campi della riabilitazione medica, dell'integrazione nei sistemi educativi generali e professionali e l'indipendenza dei disabili. (-> Horizon, Eurathlon (sport per i disabili)). Per ulteriori informazioni, contattare: Commissione europea, DG V, unità E.3, Rue de la Loi 200, B-1049 Bruxelles, Tel. (322) 296 05 61. Horizon. Questo programma si rivolge a tutte le persone che sono particolarmente esposte a pregiudizi al momento della ricerca di un lavoro, come i disabili, i disoccupati di lunga durata, i tossicodipendenti, gli immigrati e i senza tetto. Il programma sostiene le misure dirette a migliorare la qualità della formazione del gruppo in questione assieme alle attività che portano direttamente alla creazione di posti di lavoro per tale gruppo. (-> Helios, Youthstart, NOW). Per ulteriori informazioni, contattare: Commissione europea, DG V, unità B.4, Rue de la Loi 200, B-1049 Bruxelles, Tel. (322) 295 28 70. Importi compensativi. Gli importi compensativi sono riscossi sulle importazioni di taluni prodotti agricoli al fine di compensare le differenze di prezzo esistenti nella Comunità in conseguenza delle fluttuazioni dei tassi di cambio, contribuendo in tal modo alla stabilità dei prezzi comuni. Info 92. Info 92 costituisce una delle oltre 40 banche dati create dall'UE. Essa contiene informazioni costantemente aggiornate sul mercato unico e vi si può accedere in vari modi, anche via modem (a pagamento). Iniziativa di crescita. Al vertice di Edimburgo nel dicembre 1992, i capi di Stato e di governo hanno deciso un'iniziativa di crescita per i prossimi anni diretta a rinvigorire l'economia europea, rendendo più celere il finanziamento per gli sviluppi infrastrutturali. L'iniziativa includeva la costituzione di uno strumento di prestito temporaneo del valore di 8 miliardi di ecu, gestito dalla Banca europea per gli investimenti e un Fondo europeo per gli investimenti per un valore di 2 miliardi di ecu, allo scopo di fornire garanzie agli investimenti pubblici e privati. Complessivamente tal strumenti dovrebbero promuovere investimenti per un totale di più di 30 miliardi di ecu. Combinato con il Fondo di coesione di recente creazione e i provvedimenti presi a livello nazionale, questo programma di ripresa economica dovrebbe poter generare una crescita robusta, contribuendo a creare posti di lavoro durevoli e promuovendo la competitività dell'Europa. Iniziative comunitarie. Si tratta di programmi di azione o di aiuto istituiti per completare il funzionamento dei fondi strutturali in determinati settori. Le iniziative comunitarie sono preparate dalla Commissione e coordinate e applicate sotto il controllo nazionale. Nel 1994 la Commissione ha proposto delle linee guida per 15 iniziative comunitarie fino al 1999, che prevedono un finanziamento da parte dei fondi strutturali per un totale di 13,45 milioni di ecu. Le iniziative riguardano la cooperazione transfrontaliera (Interreg, REGEN II), lo sviluppo rurale (Leader II), le regioni ultraperiferiche (REGIS II), le risorse umane (NOW, Horizon, Youthstart), le trasformazioni industriali e l'occupazione (ADAPT), la trasformazione industriale (Rechar II, bacini carboniferi; Resider II, aree siderurgiche; Konver, conversione dell'industria della difesa; RETEX, aree tessili, industria tessile portoghese), la promozione delle piccole e medie imprese (SMEs), le aree urbane in crisi (URBAN) e le zone di pesca (PESCA). 255 256 Integrazione flessibile. Con l'espressione «integrazione flessibile» si intende un processo di integrazione che si svolge a velocità differenziate. Il concetto di Europa a due velocità significa che il processo di maggiore integrazione della Comunità interesserà inizialmente solo quegli Stati membri che sono in grado di parteciparvi. Il vantaggio che presenta questo tipo di impostazione risiede nel fatto che il ritmo del processo di unificazione non sarà quello imposto dallo Stato membro più lento o meno entusiasta. D'altro canto tale impostazione flessibile presenta il rischio che il processo di integrazione comune possa perdersi per strada. Esempi di integrazione flessibile sono costituiti dalle disposizioni sull' unione economica e monetaria e sulla politica sociale. L'UEM costituisce un obiettivo comune al quale parteciperanno inizialmente solo alcuni Stati membri, mentre il Regno Unito ha ottenuto la facoltà di non applicare le disposizioni relative alla politica sociale. Una variante della integrazione flessibile è costituita dal concetto di «nocciolo duro», in base al quale un gruppo di Stati membri precede gli altri nel processo di integrazione. Interreg. Interreg è un'iniziativa comunitaria per regioni di frontiera che offre assistenza in materia di cooperazione transfrontaliera su programmi come progetti di infrastruttura, cooperazione fra organismi pubblici, joint ventures fra imprese e la cooperazione in materia di tutela ambientale. Istituto universitario europeo. L'Istituto universitario europeo, con sede a Fiesole presso Firenze, venne istituito dagli Stati membri dell'UE e aperto nel 1976. Il suo obiettivo è di contribuire allo sviluppo del patrimonio culturale e scientifico dell'UE attraverso l'insegnamento e la ricerca nelle scienze umane e sociali. Circa 200 studenti borsisti seguono corsi post-laurea nelle quattro facoltà (Storia e civiltà, Economia, Diritto, Politica e Scienze sociali). Indirizzo: Via dei Roccettini, Badia Fiesolana, I-50016 San Domenico di Fiesole (Firenze). JESSI (Iniziativa comune europea nelle tecnologie del silicio nella dimensione submicronica). JESSI è un progetto di ricerca Eureka la cui durata va fino al 1997, comprendente vari istituti di ricerca e società francesi, britanniche, italiane, olandesi e tedesche. Obiettivo del progetto, che ha una dotazione di bilancio di 3,8 miliardi di ecu, è di ampliare la tecnologia dei microprocessori a circuito integrati. JET (Joint European Torus). JET costituisce il più importante progetto sperimentale nel programma di ricerca e formazione sulla fusione termonucleare controllata. JOULE. JOULE (Joint Opportunities for Unconventional or Long-term Energy Supply) è un programma specifico di ricerca e di sviluppo tecnologico nel settore delle energie non nucleari. I finanziamenti stanziati per il periodo 1994-1998 ammontano a un totale di 967 milioni di ecu. Le quattro libertà fondamentali. L'obiettivo principale del trattato CEE era di sopprimere le barriere economiche fra gli Stati membri come primo passo verso più stretti legami politici. Il trattato pertanto aveva cercato di istituire un mercato comune all'interno della Comunità, basato sulle quattro libertà fondamentali: libera circolazione di merci, persone, servizi e capitali. Dato che dopo quasi 30 anni questo obiettivo non era ancora stato raggiunto, la Commissione, nel 1985, pubblicò il suo «libro bianco sul completamento del mercato interno», nel quale fissava un calendario pratico per arrivare a un autentico -> mercato unico entro il 31 dicembre 1992. Alla scadenza di questa data, le quattro libertà erano state in gran parte realizzate e solo la libera circolazione delle persone non aveva potuto essere realizzata pienamente entro il termine previsto. Leader. Iniziativa della Comunità per lo sviluppo rurale nel quadro dei fondi strutturali. Il programma Leader offre un'assistenza per lo sviluppo economico delle comunità rurali nelle regioni dove le strutture sono più deboli. L'accento è posto sull'organizzazione dello sviluppo rurale, sull'acquisizione di nuove qualifiche, sulla promozione del turismo rurale, sul sostegno alle piccole imprese innovatrici e sulla promozione di prodotti agricoli ad elevato valore. La seconda fase dell'iniziativa ha una dotazione di bilancio di 1,4 miliardi di ecu (1994-1999). Leonardo da Vinci. A partire dal 1995 i programmi della Comunità sulla formazione professionale sono stati raggruppati, ampliati o continuati sotto la denominazione di programma Leonardo da Vinci ( -> giovani e istruzione). Leonardo, che dovrebbe essere dotato di un bilancio di 620 milioni di ecu (1995-1999), sostituirà, fra l'altro, i seguenti programmi, man mano che si esauriscono: Comett (programma di cooperazione fra università ed imprese per la formazione nel campo delle tecnologie), PETRA (formazione professionale iniziale), FORCE (formazione professionale continua) e Eurotecnet (innovazione nei metodi di insegnamento). Libera circolazione dei capitali. Essa si ha quando i capitali possono spostarsi liberamente fra paesi aventi monete diverse. A causa degli effetti sulla bilancia dei pagamenti di un paese e quindi sulla stabilità della sua moneta, nella maggior parte dei paesi esistono restrizioni sui movimenti di capitali. Nel 1988 il Consiglio decise che la circolazione dei capitali all'interno degli Stati membri della CE avrebbe dovuto essere totalmente liberalizzata entro il 1 luglio 1990. La Comunità inoltre intende liberalizzare i movimenti di capitali fra i paesi dell'UE e i paesi terzi nella maggior misura possibile ( -> mercato unico). 257 258 Libera circolazione delle merci. La libera circolazione delle merci è una delle quattro libertà essenziali al funzionamento del mercato comune. La libera circolazione delle merci attraverso le frontiere dell'UE implica un'armonizzazione delle imposte e dei dazi doganali, regole uniformi per la tutela della salute, dei consumatori e dell'ambiente e la rimozione di tutti gli ostacoli al commercio. Con il completamente del mercato interno la libera circolazione delle merci è stata in larga misura raggiunta. Tuttavia, in determinati settori si applicano ancora alcune deroghe o soluzioni transitorie. A partire dal 1993 i controlli che si rendono ancora necessari non vengono più effettuati alle frontiere ma presso le sedi delle imprese. Libera circolazione delle persone. I lavoratori dipendenti e autonomi dei paesi dell'UE hanno il diritto di lavorare e prendere dimora in qualsiasi altro Stato membro dell'UE, nonché godere dei vantaggi sociali disponibili in tale Stato, alle stesse condizioni dei cittadini nazionali, senza discriminazioni per motivi di nazionalità (articolo 48 CE). Con il completamento del mercato unico, i cittadini dell'Unione possono prendere dimora, lavorare e restare dopo il pensionamento, in qualsiasi Stato desiderino dell'Unione europea. Tuttavia, i sistemi di sicurezza sociale rimangono di competenza esclusiva degli Stati membri e quindi al fine di impedire abusi, il diritto di libera circolazione non si applica a quanti dipendono dall'assistenza sociale. Il principio di non discriminazione per i cittadini UE comprende il diritto illimitato di ingresso in qualsiasi Stato membro. Liberalizzazione. Si tratta della rimozione delle restrizioni nazionali esistenti alla libera circolazione di merci, servizi, pagamenti e capitali oltre frontiera, che impediscono la libera concorrenza fra Stati. Oltre all'UE, nella quale la liberalizzazione fra i suoi membri è più avanzata, una serie di altre organizzazioni internazionali si sforza di promuovere questo processo, in particolare il GATT, l'OCSE e il Fondo monetario internazionale (FMI). Libertà di stabilimento. La libertà di stabilimento è il diritto dei cittadini dell'UE di stabilirsi in un altro Stato membro per gestirvi un'impresa, un'azienda agricola o a titolo di lavoratori autonomi (articoli da 52 a 58 CE). Sebbene le restrizioni alla libertà di stabilimento siano state vietate a decorrere dal 1 gennaio 1970, esse esistono sempre nella pratica sotto forma di differenze nelle normative nazionali che disciplinano le professioni e i vari requisiti per le autorizzazioni. Con la fine del 1992 la maggior parte di queste barriere sono state rimosse attraverso l'armonizzazione e il riconoscimento reciproco delle qualifiche professionali e i diplomi ( -> mercato unico). Libro bianco sul completamento del mercato interno. Questo libro bianco venne pubblicato dalla Commissione e approvato formalmente dal Consiglio europeo nel 1985. Conteneva un elenco di 282 proposte e provvedimenti diretti a eliminare gli ostacoli pratici, tecnici e fiscali che impedivano la realizzazione del -> mercato interno (o mercato unico). Ogni anno la Commissione presenta al Consiglio e al Parlamento europeo una relazione sulle misure che sono state attuate. Al 1 gennaio 1993 il 95% circa delle misure elencate nel libro bianco era stato adottato. Libro bianco sulla crescita, la competitività e l'occupazione. Pubblicato dalla Commissione europea nel dicembre 1993, questo libro bianco espone una serie di proposte strategiche dirette, fra l'altro, a ridurre l'elevato livello di disoccupazione nell'Unione europea. Esso prevede oltre a una politica economica orientata al mercato, il miglioramento delle infrastrutture attraverso la creazione di reti transeuropee e misure di politica dell'occupazione, che devono essere realizzate principalmente dagli Stati membri. La Commissione spera che questo renda possibile una riduzione del 50% del tasso di disoccupazione, entro la fine del secolo. Libro bianco. Nella terminologia dell'UE un libro bianco costituisce una serie ufficiale di proposte in un determinato settore della politica. Un libro verde, invece, si limita a esporre un insieme di idee che debbono servire da base di discussione per il raggiungimento di una decisione. LIFE. Il 18 maggio 1992 è stato adottato un regolamento che crea uno strumento unico per il finanziamento di azioni in materia ambientale, inglobando tutti quelli già esistenti (GUA, Medspa, ACNAT). LIFE finanzia misure ambientali prioritarie sia nella Comunità che nel quadro di programmi di cooperazione internazionale. Complessivamente per il periodo 1991-1995 sono stanziati 400 milioni di ecu ( -> ambiente). Lingua. Programma dell'UE diretto a promuovere l'insegnamento e l'apprendimento delle lingue straniere, allo scopo di migliorare la comunicazione all'interno dell'Unione europea. Il sostegno riguarda solo le lingue degli Stati membri dell'UE, in particolare quelle meno utilizzate. Lingue ufficiali dell'UE. In base ad un regolamento del Consiglio approvato all'unanimità, attualmente le lingue ufficiali dell'UE sono 11, tutte aventi pari status giuridico: danese, finlandese, francese, greco, inglese, italiano, olandese, portoghese, spagnolo, svedese e tedesco. Nessuno degli Stati membri intende rinunciare all'uso della propria lingua per motivi di prestigio e quindi ogni atto ufficiale dell'UE viene tradotto in tutte le lingue ufficiali. Un funzionario su cinque dell'UE lavora nei servizi linguistici. Sotto il livello ministeriale le lingue di lavoro sono l'inglese, il francese e, in misura crescente, il tedesco. La -> Corte di giustizia, con sede in 259 260 Lussemburgo, utilizza solo il francese come lingua di lavoro, pur consentendo alle parti di utilizzare la propria lingua nel corso del procedimento. Maggioranza qualificata. Il -> Consiglio decide o all'unanimità o con un voto a maggioranza semplice o qualificata. L'Atto unico europeo e il trattato sull'Unione europea hanno ampliato l'uso del voto a maggioranza nell'ambito del processo decisionale, al fine di poter contribuire agli interessi comunitari un peso superiore in caso di contrasto con gli interessi nazionali. Nel voto a maggioranza qualificata, ai sensi dell'articolo 148 CE, la Germania, la Francia, il Regno Unito e l'Italia dispongono di 10 voti ciascuno, la Spagna 8, il Belgio, i Paesi Bassi, la Grecia e il Portogallo 5, l'Austria, la Svezia, la Danimarca, la Finlandia e l'Irlanda 3 e il Lussemburgo 2. Una decisione viene adottata se ottiene almeno 62 voti (su 87). Le decisioni in materia di politica estera e di sicurezza comune richiedono, inoltre, il sostegno di almeno 10 Stati membri. Nel corso di una riunione informale svoltasi a Ioannina nel 1994, i ministri degli Esteri hanno deciso che, in caso di una maggioranza qualificata molto ridotta, sarebbe stato fatto qualsiasi sforzo per raggiungere una maggioranza più ampia. Questo compromesso ha risolto il dibattito sull'opportunità di una nuova riponderazione della maggioranza qualificata dopo il recente ampliamento. Marchio europeo di qualità ecologica (marchio verde). Concesso per la prima volta nel 1994, il marchio verde europeo è diretto a incoraggiare i consumatori ad acquistare prodotti che non sono nocivi per l'ambiente e in tal modo incrementare la domanda di tali prodotti. I criteri per la concessione del marchio verde sono fissati dall'UE, ma le decisioni sono prese dalle autorità nazionali. Il simbolo ha la forma di un fiore con petali a stella. MED. Questo programma promuove la cooperazione locale con i paesi terzi del Mediterraneo. Andando oltre la struttura tradizionale della cooperazione bilaterale, vengono finanziate misure dirette a costituire società nell'area mediterranea (MED-Invest), progetti regionali per il miglioramento delle infrastrutture (MED-Urbs), misure di cooperazione fra le università nel campo della ricerca (MED-Campus e MED-Avicenne) e la cooperazione in materie relative ai media (MED-Media).(-> ECIP). MEDIA (Programma di azione volto a promuovere lo sviluppo dell'industria audiovisiva europea). Programma diretto a sviluppare l'industria audiovisiva nell'Unione europea e a creare strutture competitive. Esso offre un'assistenza in materia di formazione dei lavoratori nell'industria cinematografica, per lo sviluppo di progetti cinematografici e per la distribuzione di programmi in tutta Europa ( -> mezzi di comunicazione di massa). Mediatore. A norma dell'articolo 138 E, CE il -> Parlamento europeo nomina un mediatore per la durata del Parlamento, abilitato a ricevere le denunce di qualsiasi cittadino dell'Unione riguardanti casi di cattiva amministrazione nell'azione delle istituzioni o degli organi comunitari. Egli può procedere alle indagini che ritiene giustificate e trasmette una relazione al Parlamento europeo e all'istituzione interessata. Nel luglio 1995 è stato nominato a tale incarico il finlandese Jacob Magnus Södermann. Indirizzo: Palais de l'Europe, F-67006 Strasbourg Cedex. Mercato interno. È definito dall'articolo 7 A, 2 comma, del trattato CE come «uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali secondo le disposizioni del presente trattato». Mercato unico. ( -> Mercato interno). Modifica dei trattati. Gli Stati membri o la Commissione possono presentare proposte dirette a modificare i trattati al Consiglio (articolo N del TUE). Dopo aver consultato il Parlamento europeo e, se del caso, la Commissione, il Consiglio può convocare una conferenza intergovernativa degli Stati membri incaricata di perfezionare tali emendamenti. Gli emendamenti devono essere ratificati da tutti gli Stati membri secondo le rispettive procedure costituzionali. Il 7 febbraio 1992 venne firmato a Maastricht il trattato sull'Unione europea. Dopo l'Atto unico europeo, il trattato di Maastricht ha costituito la seconda più importante revisione dei trattati di Roma. A norma dell'articolo N del trattato una conferenza intergovernativa nel 1996 dovrà rivedere e, se necessario, modificare il trattato sull'Unione europea. Monitor. Monitor è un programma comunitario nel campo dell'analisi strategica, della previsione e della valutazione nel settore della ricerca e della tecnologia. Esso comprende tre campi d'azione: SAST (analisi strategica nel campo della -> scienza e della tecnologia); FAST (previsione e valutazione nel campo della scienza e della tecnologia); SPEAR (programma di supporto per le attività di valutazione della ricerca). Norme sull'origine. Dato che è sovente difficile stabilire qual è il vero paese d'origine in caso di merci la cui produzione comporta una serie di fasi di trasformazione in diversi stabilimenti, le norme sull'origine stabiliscono quale paese deve essere considerato come il paese d'origine. Attraverso le norme sull'origine l'UE cerca di impedire a imprese di paesi terzi di «aggirare» le frontiere esterne trasferendo singole fasi di produzione nella Comunità. 261 262 NOW. Il programma per le pari opportunità per le donne, mira ad agevolare l'ingresso delle donne nella vita lavorativa. Più che limitarsi ad aiutare le donne ad evitare la disoccupazione, esso intende migliorare le loro possibilità di accedere alle industrie con un futuro promettente e posizioni leader. Per questo motivo fra le misure da incentivare figurano la formazione al management, la costituzione di piccole e medie imprese o cooperative e la formazione di personale di assistenza. Un'importanza particolare è attribuita alle attività transnazionali. Per il periodo 1994-1999 è stato stanziato un totale di 470 milioni di ecu. -> Horizon. Per ulteriori informazioni, contattare: Commissione europea, DG V, unità B.4, Rue de la Loi 200, B-1049 Bruxelles, Tel. (322) 296 31 14. Nuovo strumento comunitario (NSC). L'NSC è uno degli strumenti finanziari utilizzati dalla Comunità. Per contribuire al raggiungimento dei propri obiettivi di politica strutturale la Comunità contrae prestiti, che poi concede a sua volta, in stretta cooperazione con la BEI, al fine di finanziare investimenti nel settore dell'energia, dello sviluppo regionale, della ristrutturazione e dell'adattamento industriale e misure per promuovere la crescita economica. OCSE. Istituita nel 1961, l'OCSE (Organizzazione per la cooperazione economica e lo sviluppo) promuove la cooperazione internazionale fra i paesi industrializzati a economia di mercato. Il suo obiettivo principale è di coordinare la politica economica, commerciale e di sviluppo. Tutti i paesi dell'UE fanno parte dei 24 membri dell'OCSE. Organizzazione mondiale del commercio (OMC-WTO). Dopo la conclusione dell'Uruguay Round dei negoziati GATT, nel 1995 è stata costituita una nuova organizzazione mondiale del commercio indipendente, alla quale appartengono tutti gli attuali membri del GATT. I compiti dell'OMC comprendono fra l'altro lo sviluppo delle relazioni commerciali fra i suoi membri nonché il ruolo di sede per i futuri negoziati commerciali multilaterali. Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE). A partire dal 1 gennaio 1995 la OSCE svolge il lavoro iniziato negli anni '70 con la Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa (CSCE). La CSCE ha svolto un ruolo importante nello sviluppo della politica europea di distensione. Con la Carta di Parigi del 1990 la conferenza ha registrato profondi cambiamenti, acquisendo anche funzioni operative. La OSCE opera in tre «panieri»: i problemi della sicurezza in Europa (paniere 1); la cooperazione in problemi economici, scientifici, tecnologici e dell'ambiente (paniere 2); e cooperazione nei problemi umanitari e altri (paniere 3). Complessivamente l'OSCE conta 57 membri, inclusi gli Stati Uniti e il Canada. Pacchetto Delors I. Si trattava di un insieme di proposte di riforma presentato dalla Commissione nel 1987 dirette a rivedere il finanziamento della CE, porre un freno alla spesa agricola, lanciare i fondi strutturali della CE e rivedere le norme sulla gestione di bilancio. Costituì la base delle decisioni adottate dal Consiglio europeo di Bruxelles nel febbraio 1988 e, assieme all'Atto unico europeo, ha avuto un'importanza fondamentale per la realizzazione del programma del mercato unico. Pacchetto Delors II. Nel febbraio 1992, dopo la firma del trattato sull'Unione europea, la Commissione presentò il pacchetto Delors II, con l'intento di assicurare il finanziamento dell'UE a medio termine. Le risorse di bilancio dovevano essere incrementate per permettere di realizzare le decisioni adottate a Maastricht, in particolare al fine di promuovere la competitività, rafforzare la coesione economica e sociale fra gli Stati membri ed estendere il ruolo internazionale dell'UE. Nel dicembre 1992 il pacchetto venne approvato dal Consiglio europeo di Edimburgo, che autorizzò un graduale incremento delle risorse proprie dell'UE dall'1,2% all'1,27% del PNL entro il 1999, un ulteriore incremento delle risorse dei Fondi strutturali e la creazione di un Fondo di coesione. Pagatore/beneficiario netto. Sebbene l'UE venga finanziata attraverso le risorse proprie e persegua obiettivi di livello europeo, la differenza fra quello che un paese versa al bilancio UE e quello che ottiene, ha sempre costituito una fonte di preoccupazione per i politici. Dato che la politica agricola comune assorbe ancora un'elevata percentuale del bilancio UE, i paesi che sono i principali produttori nel settore agricolo ne beneficiano di più. In quanto paese industriale, la Germania è il più importante pagatore netto: secondo alcune stime essa ha versato circa 25 miliardi di ecu in più nel bilancio del 1994, rispetto a quanto abbia ottenuto; ma in quanto principale paese esportatore è anche uno dei paesi che beneficiano maggiormente del mercato comune. Parere conforme (assenso). Un atto adottato con la procedura del parere conforme può entrare in vigore solo se il Parlamento europeo lo ha approvato a maggioranza dei suoi membri. La procedura si applica in vari settori, comprese le decisioni relative alla cittadinanza dell'Unione, ai fondi strutturali e di coesione, alle norme che disciplinano le elezioni dirette, ai trattati internazionali e all'adesione di nuovi membri all'Unione europea ( -> procedure decisionali). Parità centrali. Il tasso centrale è il tasso di cambio stabilito per una valuta all'interno del -> Sistema monetario europeo (SME). Quando le valute divergono, esse si spostano dalle parità centrali. Se la divergenza di una valuta dalla parità centrale raggiungeva il 2,25%, scattava il meccanismo di intervento dello SME per 263 264 riportarla verso la parità centrale. Le parità centrali possono essere modificate con l'accordo di tutti i partecipanti allo SME. Dato che non ci si avvalse di questa possibilità, a partire dall'autunno del 1992 lo SME cominciò a subire forti tensioni in più di un'occasione. Dopo la crisi più grave dell'agosto 1993, il Consiglio decise di lasciar fluttuare le valute rispetto alle loro parità centrali, fino al 15% in entrambe le direzioni, senza che questo comporti un intervento. Patente di guida europea. La patente di guida europea è stata istituita il 1 luglio 1996. Le categorie sono cambiate (A - motocicli, B - automobili, C - autocarri, D - bus, E - autoveicoli con rimorchio di più di 750 kg) e i titolari debbono sottoporsi a una visita medica ogni 10 anni. Con il nuovo sistema, una patente non deve essere più cambiata quando ci si sposta in un altro Stato dell'UE. PETRA. PETRA è un programma d'azione comunitario per la formazione professionale dei giovani e la loro preparazione alla vita professionale. In vigore dal 1989, il suo obiettivo è di migliorare la qualità della formazione alla luce delle necessità del mercato comune e assicurare una formazione professionale di elevata qualità per i giovani. A questo fine è stata costituita una rete di iniziative di formazione ( -> istruzione e giovani). PHARE. Il programma di aiuto per la ristrutturazione economica dell'Europa orientale è stato deciso nel 1989 da 24 paesi (CE, EFTA, USA, Canada, Australia, Turchia, Nuova Zelanda, Giappone), affidando alla Commissione il compito del suo coordinamento. Il programma PHARE consiste in una serie di progetti e iniziative individuali. L'UE e i suoi Stati membri contribuiscono per circa il 50% al suo finanziamento. Gli aiuti vengono concessi a misure dirette a sostenere il processo di riforma economica nell'Europa orientale. L'UE e i paesi beneficiari del programma PHARE redigono dei programmi indicativi annuali che fissano gli obiettivi fondamentali e individuano il tipo di aiuti. La responsabilità dell'applicazione dei programmi normalmente è di competenza degli stessi paesi beneficiari. Il principio fondamentale è che l'aiuto debba andare sostanzialmente alle imprese private. Nel quadro di una decisione del Consiglio del novembre 1992 il programma PHARE è stato integrato in una strategia pluriennale collegata agli accordi europei e ad altre iniziative di aiuto. Il 1994 ha visto la realizzazione di 125 programmi per un totale di 963,3 milioni di ecu ( -> ampliamento). Piano Marshall. Programma annunciato dal segretario di Stato degli Stati Uniti George C. Marshall nel 1947, destinato a ricostruire l'economia europea dopo la seconda guerra mondiale (programma di ricostruzione dell'Europa). Fino al 1952 vennero messi a disposizione di 18 paesi dell'Europa occidentale circa 14 miliardi di USD sotto forma di crediti, prestiti a fondo perduto, aiuto alimentare e in materie prime. Il piano Marshall svolse un ruolo fondamentale nella ricostruzione dell'economia dell'Europa occidentale e in particolare della Germania occidentale. Dal punto di vista politico rientrava nella politica americana di contenimento dell'influenza comunista. Piano Schuman. Il 9 maggio 1950 il ministro degli Esteri francese, Robert Schuman, presentò un piano per un'integrazione limitata che mise in moto il processo che sfociò nell'istituzione della Comunità europea per il carbone e l'acciaio nel 1952. Tale piano realizzava una serie di interessi contrastanti. La Francia mirava a poter mettere sotto controllo congiunto l'industria siderurgica e carbonifera tedesca al fine di eliminare qualsiasi possibilità di guerre future, mentre la Germania - che era ancora sotto sovranità limitata - vedeva la possibilità di essere riconosciuta con pari dignità fra i sei membri fondatori e l'occasione, offerta dal programma, di operare una riconciliazione. Per commemorare tale data, il 9 maggio è stato proclamato giorno dell'Europa. Posizione comune. I due pilastri non comunitari dell'Unione europea - la politica estera e di sicurezza comune e la cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni prevedono la cooperazione intergovernativa fra gli Stati membri dell'UE. I governi si informano e consultano reciprocamente e possono inoltre adottare posizioni e azioni comuni. Attraverso una posizione comune gli Stati membri possono definire e difendere un'impostazione UE coordinata il più strettamente possibile e coerente con le politiche nazionali (PESC: articolo J.2, UE; CGAI: articolo K.3, TUE). Prelievi agricoli. Si tratta di una sorta di dazi imposti sui prodotti agricoli importati nell'UE da paesi terzi, allo scopo di compensare la differenza esistente fra i prezzi più bassi del mercato mondiale e il livello dei prezzi all'interno della Comunità. Le loro aliquote variano seguendo l'andamento dei prezzi sul mercato mondiale. Questi prelievi all'importazione garantiscono prezzi elevati agli agricoltori dell'UE e costituiscono una fonte di entrate importante per l'Unione. Speculari ai prelievi agricoli sono le restituzioni all'esportazione, che servono a coprire la differenza di prezzo esistente sul mercato nella direzione opposta. Prezzi di intervento. Nel quadro della politica agricola comune, i prezzi dei principali prodotti agricoli possono scendere solo fino a un certo limite, noto come prezzo di intervento. Quando i prezzi scendono al di sotto di tale limite, gli organismi di intervento nazionale debbono acquistare i prodotti in questione al prezzo di intervento (non esiste un limite quantitativo), offrendo così ai produttori un prezzo garantito ( -> agricoltura). Prezzi limite. Nel sistema dei prezzi agricoli dell'UE il prezzo limite è costituito dal prezzo di costo dei prodotti di trasformazione (uova, pollame, suini), il prelievo agricolo e un 265 266 prelievo addizionale. Questi prodotti godono di una protezione speciale nei confronti delle importazioni provenienti da paesi terzi i cui prezzi sono inferiori al costo di produzione, oltre a quella offerta dai prelievi agricoli. Il prezzo limite viene calcolato sulla base della media dei costi di produzione sul mercato mondiale. Se i prezzi all'importazione sono inferiori, viene imposto un prelievo addizionale per portarli al livello del prezzo limite. Prezzo d'entrata. I prezzi d'entrata sono i prezzi minimi per le importazioni di prodotti agricoli nell'UE. Le importazioni che sono più a buon mercato vengono portate al livello del prezzo d'entrata imponendo dei prelievi e dei dazi doganali. L'obiettivo è di proteggere i coltivatori europei dalla concorrenza estera. Principio del paese d'origine. Il principio del paese d'origine disciplina il trattamento doganale e lo status delle merci importate. In base a tale principio, le importazioni sono assoggettate a regole concordate con il paese d'origine. Tuttavia, il principio non si applica al trattamento fiscale. Dato che le tasse indirette nell'UE non sono state armonizzate, negli scambi fra due Stati le merci che vengono esportate sono esonerate dall'imposta alla frontiera e tassate al momento dell'importazione; in altre parole, vengono tassate nel paese di destinazione. Con lo smantellamento dei controlli alle frontiere dopo il 1 gennaio 1993, ha dovuto essere organizzato un sistema di comunicazione al fine di poter trasferire i controlli presso le sedi delle imprese. Dopo il 1996 l'IVA sulla maggior parte delle merci verrà riscossa nel paese d'origine. I consumatori privati saranno quindi in grado di acquistare la maggior parte delle merci alle condizioni che si applicano nel paese d'origine e poi importarle. Principio del paese di destinazione. In base al principio del paese di destinazione, le merci esportate sono esonerate dall'IVA nel paese di origine (l'imposta viene cioè dedotta) e pagano tale imposta nel paese di destinazione. Con l'introduzione del mercato unico, la Commissione europea sta cercando di passare da questo principio, l'unico attualmente utilizzato, al principio del paese di origine entro il 1997. Gli esportatori dovranno semplicemente pagare l'IVA dovuta nel paese di origine, indipendentemente dalla destinazione, eliminando in tal modo la necessità di dedurre la tassa al momento dell'esportazione e caricarla al momento dell'importazione. Il gettito fiscale risultante dovrà passare attraverso una «stanza di compensazione» per essere ripartito fra gli Stati membri dell'UE in base ai flussi commerciali. Principio di non discriminazione. Nessun tipo di discriminazione per motivi di nazionalità è consentito nei settori disciplinati dal trattato CE. In quanto integra il principio della libertà di stabilimento è un caposaldo fondamentale del mercato unico. Inoltre esso rafforza quel senso di uguaglianza e di appartenenza che è importante ai fini della creazione di un'identità europea. Principio di sussidiarietà. Il trattato sull'Unione europea ha introdotto il principio di sussidiarietà nel trattato CE (articolo 3 B, CE). Questo principio significa che la Comunità può agire nei settori che non sono di sua esclusiva competenza «soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell'azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario». Procedimento d'infrazione. I ricorsi per infrazione vengono promossi dinanzi alla Corte di giustizia perché decida su presunte violazioni dei trattati da parte degli Stati membri. Quando si ritiene che sia stata commessa una violazione, il ricorso può essere presentato tanto da uno degli Stati membri quanto dalla Commissione (articoli 169, 170 CE). Il TUE ha attribuito alla Corte di giustizia il nuovo potere di imporre sanzioni agli Stati membri che non si conformino alle sue sentenze (articolo 171 CE). Procedura di codecisione. La procedura di codecisione è stata introdotta dal trattato sull'Unione europea (articolo 189 B, CE), e attribuisce più ampi poteri al -> Parlamento europeo. La legislazione viene adottata in una procedura a più fasi che coinvolge sia il Consiglio che il Parlamento. Se sorge un disaccordo fra le due istituzioni dopo la seconda lettura del Parlamento, il Consiglio può convocare un comitato di conciliazione composto da un uguale numero di membri per entrambe le parti. Se non viene raggiunto un accordo, un atto non può essere adottato contro la volontà del Parlamento. La procedura di cui all'articolo 189 B, CE, si applica alle decisioni concernenti il mercato unico (articolo 100 A, CE), la libera circolazione, il diritto di stabilimento, la libera prestazione di servizi, l'istruzione, la cultura, la sanità, la tutela dei consumatori, nonché l'adozione di linee guida o programmi concernenti le reti transeuropee, la ricerca e l'ambiente ( -> procedure decisionali). Procedura di cooperazione. La procedura di cooperazione a norma dell'articolo 149 CEE costituiva una nuova forma di cooperazione fra le istituzioni della Comunità, introdotta dall'Atto unico europeo nel 1987. Essa attribuiva al Parlamento europeo un maggiore peso nel processo decisionale. La procedura venne ampiamente utilizzata per le decisioni concernenti il completamento del mercato unico. Un elemento fondamentale nell'accrescere l'influenza del Parlamento consisteva nell'introduzione di una seconda lettura sia al Parlamento che al Consiglio. Il trattato sull'Unione europea ha esteso l'uso della procedura di cooperazione, che ora figura all'articolo 189 C del trattato CE ( -> procedure decisionali). Procedure dei comitati («Comitatologia»). Ai sensi del trattato CE, la -> Commissione europea è - di norma - competente per l'esecuzione delle decisioni adottate dal -> Consiglio dell'Unione europea (articolo 145 CE). Il Consiglio vigila sulle attività di esecuzione della Commissione attraverso una serie di comitati composti da esperti nazionali che svolgono una 267 268 funzione consultiva, di gestione o normativa, a seconda della sensibilità del settore in questione. I comitati consultivi hanno solo la facoltà di presentare raccomandazioni non vincolanti alla Commissione. I comitati di gestione, invece, possono rinviare le misure di esecuzione della Commissione al Consiglio affinché decida in merito entro un termine determinato, con sospensione temporanea delle misure in questione. Se il Consiglio non raggiunge una decisione nel termine previsto, la Commissione può procedere con l'esecuzione delle misure. I comitati di regolamentazione possono sospendere le misure della Commissione e rinviarle al Consiglio; ma se il Consiglio non ha preso la decisione entro il termine previsto, la Commissione può adottare le misure in questione solo se il Consiglio non le ha respinte esplicitamente, cosa che può fare a maggioranza semplice. A dispetto degli auspici della Commissione il Consiglio tende a preferire la procedura del comitato di regolamentazione che, a norma della decisione del 18 luglio 1987 (decisione 87/373/CEE sulle procedure dei comitati) è libero di scegliere quando preferisce. Il termine «comitatologia» tende a definire questa impostazione restrittiva da parte del Consiglio dei poteri esecutivi della Commissione. Progetto Jean Monnet. Questo progetto promuove l'insegnamento della storia dell'integrazione europea, fornendo un aiuto finanziario alla costituzione di strutture educative permanenti nei settori del diritto comunitario, dell'economia europea, della politica e della storia attraverso cattedre presso università e altri istituti di istruzione superiore all'interno e all'esterno della Comunità. Oltre all'istituzione di cattedre, vengono aiutati progetti, corsi e studi connessi all'integrazione e vengono concesse borse di studio per un dottorato. Per ulteriori informazioni, contattare: Commissione europea, DG X, Unità C.6, Jacqueline Lastenouse Bury, Rue de la Loi 200, B-1049 Bruxelles, Tel. (322) 299 94 53. Programma di azione SME. Il programma di azione per le piccole e medie imprese (SME) è diretto a migliorare la crescita, la competitività e l'occupazione. A tale programma è stato destinato un totale di 112,2 milioni di ecu, che comprende progetti pilota e subprogrammi relativi alla cooperazione, all'informazione e alle finanze e ha una durata prevista dal 1993 al 1999. Il Gruppo europeo di interesse economico (GEIE) partecipa all'applicazione del programma d'azione SME. (-> EEIG, BCC, BC-NET, CSF). Programmi quadro per la scienza e la tecnologia. I programmi quadro per lo sviluppo tecnologico e la ricerca ( -> ricerca e tecnologia) hanno costituito la base della politica della Comunità in questo settore a partire dal 1984 e costituiscono lo strumento principale per la sua realizzazione. Essi fissano la direzione strategica per gli obiettivi, le priorità e il volume globale del finanziamento e della ricerca dell'UE. Avendo una durata di cinque anni, essi offrono ai programmatori della ricerca una base stabile per lo sviluppo dei progetti. Protocollo zucchero. Il protocollo zucchero costituisce un elemento addizionale alla convenzione di Lomé nell'ambito della -> politica di sviluppo dell'UE. Per contribuire a garantire le entrate dei paesi in via di sviluppo che dipendono principalmente dall'agricoltura, l'Unione garantisce l'acquisto ogni anno di un quantitativo concordato di zucchero di canna a prezzi UE, che sono notevolmente più elevati dei prezzi del mercato mondiale. QCS. I quadri comunitari di sostegno coordinano le attività regionali dell' UE, coinvolgendo occasionalmente anche i quattro fondi strutturali (FESR, FSE, FEAOG, SFOP) e la BEI. In ogni caso tuttavia i progetti devono essere inseriti in piani già sviluppati dalle autorità nazionali, autorità regionali e i loro partner economici. (-> FIFG, EAGGF, ESF, ERDF, EIC, BCC). Quote. Le quote sono restrizioni quantitative in materia di importazioni o esportazioni e vengono utilizzate per regolamentare l'offerta. Oltre all'imposizione di quote sulle merci, un altro modo per limitare gli scambi è l'uso di quote sulle divise, limitando l'importo di divise disponibili per l'acquisto di particolari tipi di prodotti. RACE. RACE (Programma di ricerca e sviluppo sulle tecnologie di telecomunicazioni avanzate per l'Europa) è il programma più vasto dell'Unione europea nel settore delle telecomunicazioni. Uno degli obiettivi più importanti consiste nello sviluppo di tecnologie di telecomunicazioni a banda larga per la trasmissione simultanea di suoni, immagini e dati ( -> società dell'informazione). Rapporto Cecchini. Il rapporto Cecchini, che risale al 1988, è uno studio che viene effettuato, su richiesta della Commissione europea, sull'istituzione del mercato unico entro il 1992. Il rapporto analizzava le conseguenze economiche del mercato unico, prevedendo una crescita economica a lungo termine e un miglioramento della competitività per la CE. Esso calcolava che la rimozione delle barriere esistenti (controlli alle frontiere, ostacoli tecnici e fiscali e così via) avrebbe potuto produrre risparmi per circa 200 miliardi di ecu, comportando una riduzione dei prezzi al consumo, una maggiore crescita economica e la creazione di almeno 1,8 milioni di posti di lavoro in pochi anni. Rapporto Spaak. Nell'aprile del 1956 venne presentato ai ministri degli Esteri degli Stati della CECA il rapporto Spaak, che raccomandava la creazione di una Comunità economica europea e di una Comunità europea dell'energia atomica. Alla conferenza di Messina del 1955 i ministri chiesero a un comitato di esperti sotto la presidenza del ministro degli Esteri belga, Paul-Henri Spaak, di esaminare le modalità per 269 270 proseguire l'integrazione economica. Il rapporto Spaak formò la base dei trattati di Roma che vennero firmati il 25 marzo 1957. Ravvicinamento. Il ravvicinamento è lo strumento utilizzato dall'UE per superare le distorsioni che possono crearsi nel mercato comune per effetto di divergenti disposizioni nazionali fissate con leggi, regolamenti o misure amministrative. L'articolo 100 A CE prevede il ravvicinamento delle disposizioni che hanno come oggetto la costruzione e il funzionamento del mercato unico. Di norma il Consiglio si avvale delle direttive ai fini del ravvicinamento (vedi anche -> armonizzazione). Regolamento sugli ostacoli agli scambi. Il nuovo regolamento del dicembre 1994 che si occupa degli ostacoli agli scambi consente alle industrie e alle società dell' UE nonché agli Stati membri di chiedere un intervento dell'UE che assicuri il rispetto dei regolamenti commerciali internazionali qualora paesi terzi dovessero introdurre o mantenere ostacoli agli scambi. Il termine «pratiche commerciali illecite», su cui si basava il nuovo strumento di politica commerciale (NSPC), predecessore del presente regolamento, è stato sostituito dal termine «ostacoli agli scambi». Regolamento. I regolamenti sono la fonte legislativa comunitaria più importante. Essi hanno un'applicazione generale, sono obbligatori in ogni loro parte e direttamente applicabili in tutti gli Stati membri. Restituzioni alle esportazioni. Gli agricoltori che esportano i propri prodotti verso paesi terzi ricevono delle restituzioni all'esportazione dirette a compensare la differenza esistente fra l'elevato livello dei prezzi in vigore nell'Unione europea e i prezzi più bassi quotati sul mercato mondiale. Le restituzioni all'esportazione quindi sono sussidi variabili destinati a garantire agli agricoltori un prezzo minimo e consentire all'UE di vendere le proprie eccedenze agricole sul mercato mondiale. Le restituzioni all'esportazione sono quindi l'equivalente speculare dei prelievi sulle importazioni di prodotti agricoli nell'UE ( -> agricoltura). Reti transeuropee. Al fine di sfruttare il pieno potenziale del mercato unico, la Comunità contribuisce allo sviluppo di reti transeuropee (articoli da 129 B a 129 D, CE), vale a dire infrastrutture transfrontaliere nel settore dei trasporti, dell'energia, delle telecomunicazioni e dell'ambiente. Le misure apportate devono promuovere l'interoperabilità delle reti nazionali e il loro accesso. Nel 1994 il Consiglio europeo ha deciso di fornire un sostegno a 14 progetti prioritari nel settore dei trasporti e a 10 progetti nel settore dell'energia. Riconoscimento reciproco. Esso significa che gli Stati membri riconoscono reciprocamente le rispettive norme o requisiti se consentono di ottenere lo stesso risultato. In base a questo principio la Corte di giustizia ha stabilito nella causa Cassis de Dijon che un prodotto legalmente prodotto e commercializzato in uno Stato membro può essere venduto in tutta la Comunità. Nello sforzo di raggiungere l'obiettivo di un mercato unico, il riconoscimento reciproco costituisce un'alternativa flessibile all'alquanto complesso e burocratico processo di armonizzazione. Ricorsi per carenza. Se il Consiglio o la Commissione europea si astengono dal pronunciarsi violando in tal modo il trattato (articolo 175 CE), si può adire la Corte di giustizia nei loro confronti. Qualsiasi Stato membro o istituzione dell'UE o qualsiasi persona fisica o giuridica può presentare un ricorso se l'istituzione in questione non ha preso posizione al termine di un periodo di due mesi dopo essere stata richiesta di farlo. Ad esempio, nel 1985 la Corte di giustizia si pronunciò a favore del Parlamento europeo nella causa da questi promossa contro il Consiglio (ministri dei Trasporti), stabilendo che quest'ultimo non era intervenuto per realizzare la libertà di prestatore di servizi nel settore dei trasporti, come il trattato gli imponeva di fare. Risorse proprie. Fino al 1970 la spesa comunitaria era finanziata interamente dai contributi provenienti dagli Stati membri, dopo tale anno il suo finanziamento ha cominciato a spostarsi gradualmente verso le risorse proprie. Il sistema delle risorse proprie offre alla CE un certo grado di indipendenza finanziaria dagli Stati membri, rendendole più facile perseguire più ampi obiettivi di politica europea in modo autonomo. Il 1 gennaio 1971 gli Stati membri cominciavano a versare il gettito proveniente dai prelievi agricoli e dai dazi doganali al bilancio CE (integralmente a partire dal 1975) e dal 1979 anche una percentuale del gettito IVA degli Stati membri completa il finanziamento del bilancio. Nel 1988 la crisi delle finanze della CE venne risolta con l'adozione da parte del Consiglio europeo delle decisioni proposte nel pacchetto Delors I. Quest'ultimo introduceva una quarta risorsa consistente in una percentuale (calcolata su base annuale) del PIL degli Stati membri. Nel dicembre 1992 il Consiglio europeo di Edimburgo decise un ulteriore incremento delle risorse proprie, portando la percentuale del PIL dall'1,2% all'1,27% fino al 1999 (-> pacchetto Delors II). SAVE (Azioni specifiche per migliorare l'efficienza energetica). Si tratta di un programma diretto a promuovere un migliore uso delle risorse energetiche dell'UE proteggendo l'ambiente. I principali settori di investimento sono gli studi tecnici sull'elaborazione di norme e specifiche tecniche, le misure dirette a promuovere lo sviluppo dell'infrastruttura per le fonti energetiche rinnovabili, l'assistenza nella creazione di reti di informazione al fine di migliorare 271 272 il coordinamento delle attività della Comunità e dei singoli Stati e le misure dirette a incoraggiare un uso più efficiente dell'energia elettrica.->Thermie II. Per ulteriori informazioni, contattare: Commissione europea, DG XVII, unità C.2/SAVE, Rue de la Loi 200, B-1049 Bruxelles, Tel.: (322) 296 00 23. Servizi. La libera prestazione di servizi costituisce una delle quattro libertà fondamentali stabilite nel trattato CE (articolo 59) ed è divenuta una realtà con l'introduzione del -> mercato unico. Essa consente ai cittadini dell'UE di prestare servizi oltre frontiera senza subire restrizioni per motivi di nazionalità. Con il termine «servizi» si intende qualsiasi servizio fornito attraverso attività di lavoro autonomo nel settore industriale, agricolo o delle libere professioni. SFOP. A partire dal 1994, nello SFOP (Strumento finanziario per l'orientamento della pesca) sono stati riuniti gli strumenti della Comunità nel settore della pesca. Esso viene applicato in tutte le regioni costiere, e il suo compito principale è di migliorare la competitività delle strutture e sviluppare imprese efficienti nell'industria della pesca cercando di mantenere l'equilibrio fra le capacità di pesca e le risorse disponibili.(->CSF). Simboli europei. Uno dei modi per far sì che i cittadini possano identificarsi con un'entità politica complessa com'è l'Europa e l'Unione europea è l'uso dei simboli. A partire dal 1986 la CE/UE ha adottato la bandiera del Consiglio d'Europa, che reca un cerchio di 12 stelle d'oro su uno sfondo azzurro. Il numero di stelle, per inciso, non ha niente a che vedere con il numero degli Stati membri, ma è solo un simbolo di perfezione. Attingendo sempre al Consiglio d'Europa, l'UE utilizza come proprio inno l'«Inno alla gioia» della Nona sinfonia di Beethoven. Altri simboli utilizzati dall'UE sono l'attribuzione annuale di premi europei, l'uso del simbolo dell'Europa al posto delle indicazioni doganali alle frontiere interne, il passaporto europeo, la patente di guida uniforme e il giorno dell'Europa (il 9 maggio). Socrates. Istituito agli inizi del 1995, Socrates è un programma che riunisce i precedenti programmi nel settore dell'istruzione, Erasmus e Lingua, più altre misure ( -> istruzione e giovani). Il finanziamento disponibile ammonta a 850 milioni di ecu (1995-1999), imperniato su tre aree principali: 1) misure per l'istruzione superiore (ad es. scambi di studenti, riconoscimento degli studi effettuati all'estero, dimensione europea degli studi); 2) misure per l'istruzione prescolastica, elementare e media (ad es. progetti di scuole comuni, formazione avanzata per gli insegnanti); 3) misure generali (ad es. produzione di materiale pedagogico, formazione avanzata per insegnanti di lingue). Sovvenzione. Le sovvenzioni sono aiuti concessi alle imprese dei governi per fini specifici di politica economica, sotto forma di un aiuto finanziario diretto o di agevolazioni fiscali e simili. Ad esempio, sovvenzioni possono essere concesse per mantenere in vita un'impresa o un intero settore, per aiutare le imprese ad adeguarsi alle mutate circostanze, ad incentivare la produttività e la crescita dell'industria. Nell'UE sono vietate le sovvenzioni che alterano la concorrenza. Deroghe sono consentite quando le sovvenzioni mirano a miglioramenti sociali, strutturali e regionali. Dato che le sovvenzioni sono un ostacolo al libero scambio sono in atto degli sforzi, ad esempio in sede GATT, per eliminarle completamente. Spazio economico europeo (SEE). In base al trattato SEE firmato nel 1992, lo Spazio economico europeo comprende il territorio dell'EFTA e dell'UE. All'interno di quest'area, con i suoi 380 milioni di abitanti, le merci, i servizi, i capitali e i lavoratori possono spostarsi liberamente come in un mercato unico senza frontiere nazionali al suo interno. Per rendere possibile questo obiettivo, i paesi dell'EFTA hanno acconsentito ad accogliere circa l'80% delle norme CE relative al mercato unico. La Svizzera, tuttavia, non ha potuto aderire in seguito al risultato negativo di un referendum che ha ritardato il processo di ratificazione. In seguito a ciò, il trattato SEE entrò in vigore solo il 1 gennaio 1994. L'importanza del SEE tuttavia è stata notevolmente sminuita dall'ingresso di tre membri dell'EFTA nell'UE il 1 gennaio 1995. Stabex. Il sistema Stabex costituisce una delle pietre angolari della politica di sviluppo dell'UE. L'UE garantisce ai paesi ACP dei livelli minimi di entrate per circa 40 prodotti agricoli, che rappresentano la maggior parte delle loro esportazioni. Se le loro entrate scendono rispetto alla media degli anni precedenti, la Comunità interviene per colmare il disavanzo con dei prestiti compensativi o dei crediti a fondo perduto ( -> sviluppo). Stabilizzatori. Nel 1988 il Consiglio europeo decise di introdurre degli stabilizzatori al fine di ridurre le spese della politica agricola. In base a tale programma, i prezzi garantiti per taluni prodotti agricoli vengono ridotti nella campagna successiva quando è stato superato il massimale di produzione fissato nella campagna precedente. Questo contribuisce a ridurre la produzione di eccedenze ( -> agricoltura). Standardizzazione. Il mercato unico richiede l'introduzione di norme europee che sostituiscano quelle nazionali esistenti. Nell'ambito delle direttive di armonizzazione dell'UE, le organizzazioni sulle norme tecniche europee CEN e Cenelec stanno sviluppando delle norme tecniche europee. Le norme tecniche europee pertanto elimineranno un'ampia gamma di ostacoli agli scambi. 273 274 Stati ACP. Sono i 70 paesi in via di sviluppo dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico che hanno stipulato con l'UE la (quarta) convenzione di Lomé ( -> politica di sviluppo). Sysmin. Sistema inteso a stabilizzare le entrate provenienti dall'industria estrattiva dei paesi ACP. Fra il resto, vengono concessi prestiti speciali nel quadro di Sysmin per finanziare progetti specifici nel settore minerario. Nel caso di una caduta delle esportazioni o della produzione del grezzo a causa di difficoltà di ordine tecnico o politico, queste misure di aiuto contribuiscono a mantenere la redditività dell'industria mineraria e in tal modo impedire un calo delle entrate dalla esportazioni in questo settore. TACIS. TACIS (Assistenza tecnica alla Comunità di Stati indipendenti) è un programma di aiuti dell'UE creato nel 1990 al fine di fornire un'assistenza tecnica agli Stati indipendenti dell'ex Unione Sovietica e Mongolia. Tariffa esterna. Con l'introduzione graduale dell'unione doganale nella CEE a partire dal 1968, i diversi territori doganali degli Stati membri sono divenuti una sola zona doganale. I dazi doganali esistenti sono stati sostituiti da una tariffa doganale comune, la «tariffa doganale esterna». A partire dal 1975 il gettito proveniente dalla tariffa esterna comune è destinato interamente al bilancio CE. Tempus. Tempus è il programma di mobilità transeuropea per studi universitari. In seguito all'apertura dell'Europa centrale e orientale, l'UE ha cercato di rispondere alle esigenze specifiche dei paesi in questione creando il programma Tempus, che funziona secondo le stesse linee esistenti per i programmi comunitari in materia di istruzione e formazione, ed una Fondazione europea per la formazione professionale. Tempus offre un'assistenza finanziaria a progetti comuni presentati da organizzazioni dei paesi dell'UE con partner provenienti dai paesi dell'Europa centrale e orientale. In origine esso comprendeva l'Ungheria, la Polonia, la Cecoslovacchia e i suoi due Stati eredi, l'ex Iugoslavia e la Bulgaria. Il programma si concentra soprattutto su determinate aree di particolare importanza per il processo di trasformazione economica e sociopolitica nell'Europa centrale e orientale. Anche la seconda fase del programma (1994-1998) copre gli Stati dell'ex Unione Sovietica nel quadro del programma Tacis. Thermie II. Questo programma offre un sostegno finanziario a progetti di dimostrazione di tecnologie innovative nel settore dell'energia. I progetti debbono sperimentare su scala reale la capacità di funzionamento delle nuove tecniche e tecnologie che hanno superato la fase della ricerca, ma che sono di difficile applicazione a causa dei maggiori rischi tecnologici che presentano rispetto a progetti tradizionali. SAVE. Per ulteriori informazioni, contattare: Commissione europea, DG XVII (Energia), Progetti dimostrativi, risparmio energetico ed energie alternative, Rue de la Loi 200, B-1049 Bruxelles, Tel. (322) 296 04 36. Trattati di Roma. I trattati di Roma sono i trattati che istituiscono la Comunità economica europea (CEE) e la Comunità europea per l'energia atomica (Euratom) più i protocolli addizionali. Essi vennero firmati il 25 marzo (Natale di Roma) 1957 da Belgio, Germania, Francia, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi. La CEE e l'Euratom, assieme alla Comunità europea per il carbone e l'acciaio (CECA), che venne istituita alcuni anni prima, costituiscono le Comunità europee. Il più importante fra i trattati è il trattato CEE (ridenominato trattato CE nel 1993), il cui preambolo stabilisce gli obiettivi principali (essi comprendono un'unione sempre più stretta fra i popoli dell'Europa, un progresso economico e sociale dei loro paesi, un miglioramento costante delle condizioni di vita e di occupazione, il mantenimento della pace e della libertà). I trattati di Roma entrarono in vigore il 1 gennaio 1958 ( -> trattati). Trattato CEE. I trattati che istituiscono la Comunità economica europea e la Comunità europea dell'energia atomica vennero firmati a Roma il 25 marzo 1957 da Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi. Il trattato CEE, che è il trattato più importante con un campo di applicazione più vasto, costituisce il cuore del processo di integrazione europeo. Esso ha subito due importanti revisioni con l'Atto unico europeo e il trattato sull'Unione europea. Con l'entrata in vigore del trattato sull'Unione europea, il 1 gennaio 1993, il trattato CEE è stato ridenominato trattato CE. Trattato di fusione. Il trattato di fusione dell'8 aprile 1965 («trattato che istituisce un Consiglio unico e una Commissione unica delle Comunità europee») ha istituito istituzioni comuni per la Comunità europea dell'energia atomica, la Comunità europea del carbone e dell'acciaio e la Comunità economica europea. Esso è entrato in vigore il 1 luglio 1967. Il Parlamento europeo e la Corte di giustizia tuttavia hanno costituito istituzioni comuni per tutte e tre le Comunità fin da quando vennero istituite la CEE e l'Euratom. Trattato di Schengen. Concluso a Schengen (Lussemburgo) nel 1985, mira alla rimozione graduale dei controlli alle frontiere interne fra gli Stati membri. Vi è inoltre un altro accordo in materia di domande di asilo e di cooperazione transfrontaliera fra le forze di polizia. La data originaria del 1990 per l'apertura delle frontiere ai viaggiatori ha dovuto essere rinviata diverse volte. Tuttavia una volta costituito il SIS (Sistema di informazione Schengen) per contribuire alla lotta contro la criminalità transfrontaliera, è stata decisa la completa rimozione dei controlli alle frontiere il 26 marzo 1995, inizialmente fra sette Stati UE (Germania, Francia, Spagna, Portogallo, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo). L'Italia, la Grecia e l'Austria 275 L’EUROPA DALLA A ALLA Z 276 seguiranno. Il Regno Unito, l'Irlanda, la Danimarca, la Svezia e la Finlandia non fanno parte dell'accordo di Schengen ( -> giustizia e affari interni). EUROPA SENZA FRONTIERE L'accordo di Schengen NESSUN CONTROLLO alle frontiere interne. Controlli più rigidi alle frontiere esterne, inclusi i porti e gli aeroporti. POLITICA DEI VISTI E DI RESIDENZA parzialmente armonizzata. Visto uniforme per tutti i paesi Schengen. Politica di asilo comune. COOPERAZIONE FRA LE FORZE DI POLIZIA Sistema di informazione Schengen (SIS) - sistema informatico comune di informazione e indagine. Possibilità per le forze di polizia di inseguire i sospetti oltre frontiera NORGE ISLAND SUOMI FINLAND SVERIGE DANMARK NEDERLAND DEUTSCHLAND BELGIË LUXEMBOURG BELGIQUE ÖSTERREICH FRANCE ITALIA PORTUGAL ESPAÑA Firmatari dell'accordo di Schengen Accordo di Schengen in vigore Accordo di cooperazione Ufficio dei brevetti europeo. L'Ufficio dei brevetti europeo è un'organizzazione internazionale che ha la sua cede centrale a Monaco. Esso contribuisce a promuovere una protezione uniforme dei brevetti in Europa grazie a un procedimento unico per il rilascio e la tutela di brevetti che acquistano validità in tutti i paesi firmatari della convenzione sul brevetto europeo. Sebbene tale ufficio non sia un'istituzione dell'UE, nel 1975 i nove paesi CE hanno adottato una convenzione sul brevetto comunitario, in base alla quale i brevetti rilasciati dall'Ufficio europeo dei brevetti sono validi per il mercato comune. È sufficiente un'unica domanda di brevetto per ottenere un brevetto per ognuno dei 17 Stati firmatari. Indirizzo: Erhardtstraße 27, D-80298 Munich. UNICE. (Unione delle confederazioni europee dell'industria e dei datori di lavoro). Fondata nel 1959, l'UNICE rappresenta gli interessi delle confederazioni che ne sono membri dei paesi dell'UE e dell'EFTA. Essa coordina le loro posizioni su problemi europei e ne fa arrivare i pareri in particolare alle istituzioni europee. Indirizzo: Rue Joseph II, 4, boîte 4, B-1040 Bruxelles. Unione dell'Europa occidentale (UEO). Essa si sviluppò nel 1954, con il trattato di Bruxelles, firmato nel 1948, in funzione difensiva nei confronti della Germania. Il suo ruolo fondamentale consiste nel garantire l'assistenza reciproca in caso di un attacco contro l'Europa e nel mantenimento della pace e della sicurezza in Europa. Per un lungo periodo l'UEO è stata considerata come il braccio più debole della NATO, nonostante il fatto che gli accordi fra i suoi firmatari andassero oltre gli accordi NATO. L'UEO sta attualmente acquisendo una rinnovata importanza in conseguenza del dibattito circa un pilastro europeo nella politica di difesa e di una dichiarazione concernente l'UEO contenuta nel trattato di Maastricht che ne prevede il graduale sviluppo come componente di difesa dell'Unione europea. Unione doganale. Un'unione doganale è la fusione di diverse aree doganali in una sola. I dazi doganali esistenti fra i suoi membri vengono eliminati. A differenza di una zona di libero scambio, i suoi membri non possono riscuotere i propri dazi doganali sulle importazioni provenienti dai paesi terzi. Al loro posto viene imposta una tariffa esterna comune. La CE ha potuto completare l'istituzione dell'unione doganale per le merci industriali il 1 luglio 1968, con un anno e mezzo di anticipo sul termine previsto, mentre gli ultimi accordi per i prodotti agricoli sono stati completati il 1 gennaio 1970. I membri successivi dell'UE hanno ottenuto un periodo transitorio prima dell'applicazione completa dell'unione doganale anche sul loro territorio. Vertice dell'Aia. Il vertice dell'Aia del 1969 costituì una pietra miliare nella storia dell'integrazione europea. I capi di Stato e di governo dei sei Stati membri della CE vi esposero i loro obiettivi per un ulteriore sviluppo della Comunità. Fra essi figuravano la 277 278 decisione di ampliare la Comunità al nord Europa e le prime iniziative verso un'unione economica e monetaria attraverso l'ulteriore ravvicinamento degli Stati membri dal punto di vista economico e politico. Voto a maggioranza. Molte delle decisioni prese dal Consiglio dell'Unione europea sono adottate all'unanimità. Ma al fine di impedire che i progressi nella Comunità venissero bloccati da interessi particolari, i trattati di Roma prevedevano anche una votazione a maggioranza semplice o qualificata. Tuttavia, dopo il compromesso di Lussemburgo - e fino all'entrata in vigore dell'Atto unico europeo - la maggior parte delle decisioni venivano prese all'unanimità. Da allora, il voto a maggioranza è stato esplicitamente richiesto per decisioni concernenti il mercato unico (con solo poche eccezioni) e viene regolarmente utilizzato nella pratica. I settori nei quali viene fatto ricorso al voto a maggioranza qualificata sono stati ulteriormente estesi dal trattato sull'Unione europea ( -> procedure decisionali). Youthstart. Youthstart è uno strumento importante nella lotta contro la disoccupazione giovanile. Destinato ai giovani di età inferiore ai 20 anni, il suo obiettivo è di assicurare un livello minimo di formazione e qualifiche su tutto il territorio dell' UE, creare collegamenti fra la formazione e il mercato del lavoro, promuovere la consulenza indipendente e rendere disponibili infrastrutture di sostegno.Giovani per l'Europa, Horizon. Per ulteriori informazioni, contattare: Commissione europea, DG V, unità B.4, Rue de la Loi 200, B-1049 Bruxelles, Tel. (322) 299 40 73. L’EUROPA DALLA A ALLA Z Cronologia dell'integrazione europea 279 280 Cronologia dell'integrazione europea a cura di Michael Matern 19 settembre 1946 In un discorso a Zurigo Winston Churchill lancia un appello a favore degli Stati Uniti d'Europa. 8-10 maggio 1948 Il comitato di coordinamento per l'unità europea organizza il congresso dell'Aia. Nelle sue risoluzioni il congresso lancia un appello per un'Europa unita e democratica e la creazione del Consiglio d'Europa. 5 maggio 1949 Viene costituito a Londra il Consiglio d'Europa, con sede a Strasburgo. 9 maggio 1950 Il ministro degli Esteri francese Robert Schuman propone la creazione della Comunità europea del carbone e dell'acciaio (CECA). 24 ottobre 1950 Il primo ministro francese René Pleven presenta un piano per la creazione di un esercito europeo integrato. 18 aprile 1951 Il Belgio, la Repubblica federale di Germania, la Francia, l'Italia, il Lussemburgo e i Paesi Bassi («i Sei») firmano il trattato che istituisce la Comunità europea del carbone e dell'acciaio (trattato di Parigi). 27 maggio 1952 I Sei firmano il trattato che istituisce la Comunità europea di difesa (CED). L'Assemblea nazionale francese rifiuta di ratificarlo nel 1954. 10 agosto 1952 L'Alta Autorità, l'istituzione esecutiva della CECA, inizia i suoi lavori sotto la presidenza di Jean Monnet. 10 settembre 1952 I ministri degli Esteri dei Sei chiedono all'Assemblea comune della CECA di redigere un trattato che istituisce la Comunità politica europea (CPE). Esso viene presentato il 10 marzo 1953. 10 febbraio 1953 Viene istituito il mercato comune per il carbone, il ferro e i rottami. 1 maggio 1953 Viene istituito il mercato comune per l'acciaio. 30 agosto 1954 Il trattato che istituisce la CED e quindi la CPE viene respinto dall'Assemblea nazionale francese. 1-2 giugno 1955 I ministri degli Esteri, riuniti a Messina, decidono di proseguire sulla strada dell'integrazione. Viene costituito un comitato intergovernativo presieduto da Paul-Henri Spaak. 25 marzo 1957 A Roma i Sei firmano i trattati che istituiscono la Comunità economica europea (CEE) e l'Euratom (trattati di Roma). 1 gennaio 1958 I trattati di Roma entrano in vigore. Walter Hallstein è il primo presidente della Commissione CEE, Louis Armand il primo presidente della Commissione Euratom. 1 gennaio 1959 I dazi doganali all'interno della CEE vengono ridotti del 10%. 21 luglio 1959 Sette Stati membri dell'Organizzazione per la cooperazione economica europea (OECE), Austria, Danimarca, Norvegia, Portogallo, Svezia, Svizzera e Regno Unito decidono di fondare l'EFTA (Associazione europea di libero scambio). Il trattato entra in vigore il 3 maggio 1960. 1 gennaio 1961 I dazi nazionali degli Stati membri della CEE vengono parzialmente allineati per la prima volta. L'obiettivo è una tariffa esterna unica. 10 febbraio 1961 I capi di Stato o di governo decidono una più stretta cooperazione politica. Viene istituito un comitato di funzionari presieduto da Christian Fouchet incaricato di redigere un piano. 9 luglio 1961 Viene firmato l'accordo di associazione CEE-Grecia. 31 luglio 1961 L'Irlanda chiede di entrare nella CEE. 9 agosto 1961 Il Regno Unito chiede di entrare nella CEE. 10 agosto 1961 La Danimarca chiede di entrare nella CEE. 8 novembre 1961 Vengono aperti i negoziati di adesione con il Regno Unito. 14 gennaio 1962 Il Consiglio adotta i primi quattro regolamenti per un mercato comune dell'agricoltura, il primo regolamento finanziario e il regolamento che disciplina la concorrenza. 17 aprile 1962 I negoziati sull'unione politica vengono abbandonati in 281 quanto non è stato raggiunto nessun accordo sulle proposte del comitato Fouchet. 282 30 aprile 1962 La Norvegia chiede di entrare nella CEE. 14 gennaio 1963 Il presidente francese de Gaulle pone il veto all'ingresso del Regno Unito. 22 gennaio 1963 La Francia e la Repubblica federale di Germania firmano il trattato di amicizia e cooperazione di Parigi (trattato dell'Eliseo). 29 gennaio 1963 I negoziati per l'adesione del Regno Unito vengono interrotti. 20 luglio 1963 Viene firmato a Yaoundé (capitale del Camerun) la convenzione di associazione fra la CEE e 17 Stati africani e il Madagascar (convenzione di Yaoundé). 12 settembre 1963 Viene firmato l'accordo di associazione CEE-Turchia. 8 aprile 1965 Viene firmato il trattato di fusione degli organi esecutivi delle tre Comunità europee CECA, CEE ed Euratom (trattato di fusione). 10 maggio 1967 Il Regno Unito presenta la seconda domanda di adesione alla CEE. Anche l'Irlanda presenta la seconda domanda. 11 maggio 1967 La Danimarca presenta la seconda domanda di adesione alla CEE. 1 luglio 1967 Entra in vigore il trattato di fusione dell'8 aprile 1965. Jean Rey è il primo presidente della Commissione unificata di tutte e tre le Comunità (CECA, CEE, Euratom). 24 luglio 1967 La Norvegia presenta la seconda domanda per entrare nella Comunità. 28 luglio 1967 La Svezia chiede di entrare nella Comunità. 1 luglio 1968 Viene completata l'unione doganale e istituita la tariffa esterna comune. 29 luglio 1968 È garantita la libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità al fine di istituire il mercato comune del lavoro. 18 dicembre 1968 La Commissione presenta al Consiglio dei ministri il «Piano Mansholt» per la riforma dell'agricoltura nella Comunità. 4 marzo 1969 Le Comunità firmano l'accordo di associazione con la Tunisia e il Marocco. 29 luglio 1969 Viene firmata la seconda convenzione di Yaoundé che entra in vigore il 1 gennaio 1971. 1-2 dicembre 1969 I capi di Stato e di governo si riuniscono all'Aia al fine di discutere il completamento del mercato unico, una maggior integrazione e l'ampliamento della CE. Essi decidono di arrivare gradualmente all'unione economica e monetaria (UEM) entro il 1980, di accelerare l'integrazione e la cooperazione in materia politica. Decidono inoltre di avviare i negoziati con la Danimarca, l'Irlanda, la Norvegia e il Regno Unito. 19-22 dicembre 1969 Il Consiglio decide un accordo finanziario per l'agricoltura, di destinare alla CE le risorse proprie e di rafforzare i poteri di bilancio del Parlamento europeo. 1 gennaio 1970 La responsabilità della politica commerciale esterna passa dagli Stati membro alla CE. 21 aprile 1970 Il Consiglio decide che a decorrere dal 1975 la CE sarà dotata di risorse proprie finanziarie («risorse proprie»). 30 giugno 1970 Si apre a Lussemburgo la seconda tornata di negoziati con Danimarca, Irlanda, Norvegia e Regno Unito. 2 luglio 1970 L'italiano Franco Maria Malfatti diventa presidente della Commissione CE. 8 ottobre 1970 Viene presentato al Consiglio e alla Commissione il piano Werner sul raggiungimento graduale dell'unione economica e monetaria, che prende il nome del primo ministro del Lussemburgo. 27 ottobre 1970 I ministri degli Esteri della CE, riuniti a Lussemburgo, presentano il rapporto Davignon sulla cooperazione politica europea (CPE) ai capi di Stato e di governo. 5 dicembre 1970 Viene firmato l'accordo di associazione CE-Malta. 1 luglio 1971 La Comunità adotta il «sistema di preferenze generalizzate» negli scambi con 91 paesi in via di sviluppo. 22 gennaio 1972 Vengono firmati i trattati relativi all'adesione di Danimarca, Irlanda, Norvegia e Regno Unito alle Comunità europee. 283 284 21 marzo 1972 Viene istituito il «serpente» monetario: i governi degli Stati membri e il Consiglio decidono di lasciar fluttuare i cambi delle valute degli Stati membri della CE entro un margine non superiore al 2,25%. 22 marzo 1972 Sicco Mansholt diventa presidente della Commissione CE. 10 maggio 1972 In un referendum l'Irlanda vota a favore dell'ingresso nella CE. 13 luglio 1972 La Camera dei comuni approva l'ingresso del Regno Unito nella CE. 22 luglio 1972 Vengono firmati accordi di libero scambio con gli Stati EFTA che non hanno chiesto di entrare nella CE (Austria, Islanda, Portogallo, Svezia e Svizzera). 25 settembre 1972 In un referendum la Norvegia respinge l'adesione alla CE. 2 ottobre 1972 In un referendum la Danimarca vota a favore dell'adesione alla CE. 19-20 ottobre 1972 I capi di Stato e di governo della Comunità ampliata decidono di trasformare la CE in un'Unione europea e adottano un nuovo calendario per l'UEM. 19 dicembre 1972 Viene firmato l'accordo di associazione CE-Cipro. 1 gennaio 1973 La CE è formalmente ampliata a nove Stati membri. Alla CE è attribuita competenza esclusiva per la politica commerciale comune. 11-12 marzo 1973 L'Irlanda, l'Italia e il Regno Unito escono dal «serpente» monetario. I ministri delle Finanze della CE decidono di lasciar fluttuare congiuntamente le loro monete nei confronti del dollaro mantenendo tassi di cambio fissi tra loro. 14 maggio 1973 La Norvegia firma l'accordo di libero scambio con la CE. 23 luglio 1973 I ministri degli Esteri della CE presentano la seconda relazione sulla CPE (rapporto di Copenaghen). 26-27 luglio 1973 Si svolge a Bruxelles la conferenza ministeriale fra la CE e i 46 Stati dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico (Stati ACP) per avviare relazioni stabili. 5 ottobre 1973 La Finlandia firma l'accordo di libero scambio con la CE. 21 gennaio 1974 I ministri dell'Occupazione e degli Affari sociali adottano il programma di azione sociale della Comunità con il quale la CE inizia a occuparsi di tre settori: problemi dell'occupazione, armonizzazione delle condizioni di vita e di lavoro e partecipazione delle parti sociali alle decisioni di politica sociale ed economica della CE. 9-10 dicembre 1974 Al vertice di Parigi i capi di Stato e di governo della CE decidono di riunirsi regolarmente come Consiglio europeo. 28 febbraio 1975 LA CE e i 46 Stati ACP firmano la prima convenzione di Lomé (capitale del Togo) che offre un'assistenza finanziaria e tecnica e facilitazioni commerciali. 10-11 marzo 1975 A Dublino i capi di Stato e di governo si riuniscono per la prima volta come Consiglio europeo. 18 marzo 1975 Il Consiglio dei ministri decide di costituire il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR). 11 maggio 1975 La CE e Israele firmano un accordo di cooperazione. 5 giugno 1975 In un referendum il Regno Unito vota a favore della permanenza nella CE. 12 giugno 1975 La Grecia chiede di entrare nella CE. 16 settembre 1975 Vengono stabilite relazioni ufficiali fra la CE e la Cina. 1-2 dicembre 1975 Il Consiglio europeo di Roma decide di introdurre un passaporto europeo e di partecipare al dialogo Nord-Sud. 16 febbraio 1976 Il Consiglio di mutua assistenza economica (Comecon) propone un accordo fra i suoi membri e la CE. 27 luglio 1976 Si aprono i negoziati di adesione con la Grecia. 20 dicembre 1976 Roy Jenkins diventa presidente della Commissione CE. 28 marzo 1977 Il Portogallo chiede di entrare nella CE. 1 luglio 1977 I dazi doganali fra i nove Stati membri CE vengono completamente soppressi. 28 luglio 1977 La Spagna chiede di entrare nella CE. 6-7 luglio 1978 Il Consiglio europeo di Brema approva il piano che istituisce il Sistema monetario europeo (SME) e l'unità monetaria europea (ecu). 285 286 5 settembre 1978 I paesi CE avviano i negoziati sulla politica comune della pesca. 17 ottobre 1978 Vengono aperti i negoziati di adesione col Portogallo. 5 febbraio 1979 Vengono aperti i negoziati di adesione con la Spagna. 13 marzo 1979 Lo SME entra in vigore retrospettivamente dal 1 gennaio 1979. 28 maggio 1979 Vengono firmati ad Atene gli atti relativi all'adesione della Grecia. 7-10 giugno 1979 Si svolgono nei nove Stati membri le prime elezioni del Parlamento europeo a suffragio universale diretto. 17-20 luglio 1979 Si svolge a Strasburgo la prima sessione del Parlamento eletto direttamente. Simone Veil viene eletta primo presidente del Parlamento. 31 ottobre 1979 A Lomé viene firmata la seconda convenzione tra la CE e 58 Stati ACP. 7-8 marzo 1980 La Comunità firma l'accordo di cooperazione con gli Stati dell'ASEAN. 2 aprile 1980 La Comunità firma l'accordo di cooperazione con la Iugoslavia. 12-13 giugno 1980 Il Consiglio europeo di Venezia pubblica una dichiarazione sul conflitto nel Medio Oriente. 28 luglio 1980 La CE firma l'accordo di cooperazione con la Romania. 6 ottobre 1980 La Commissione dichiara lo stato di crisi manifesta dell'industria dell'acciaio e chiede al Consiglio di approvare l'introduzione di quote di produzione. 1 gennaio 1981 La Grecia diventa il decimo Stato membro CE. 6 e 20 gennaio 1981 I ministri degli Esteri di Italia e Germania propongono di rafforzare la CPE (iniziativa Colombo/Genscher). 6 gennaio 1981 Gaston Thorn diventa presidente della Commissione CE. 13 ottobre 1981 Al Consiglio europeo di Londra i ministri degli Esteri della CE approvano il rapporto di Londra sui miglioramenti procedurali per la CPE. 4 gennaio 1982 I ministri degli Esteri della CE condannano l'imposizione della legge marziale alla conferenza speciale sulla situazione in Polonia. 19 febbraio 1982 Pieter Dankert viene eletto secondo presidente del Parlamento dopo l'introduzione delle elezioni europee. 23 febbraio 1982 In un referendum la Groenlandia vota a favore dell'uscita dalla CE. 30 giugno 1982 Dichiarazione congiunta di Parlamento, Consiglio e Commissione sulle misure per migliorare le procedure di bilancio. 25 gennaio 1983 Dopo sei anni di negoziati gli Stati membri raggiungono un accordo sulla politica comune della pesca. 17-19 giugno 1983 A Stoccarda il Consiglio europeo firma la cosiddetta «dichiarazione solenne sull'Unione europea». 14 febbraio 1984 Il Parlamento approva il progetto di trattato sull'Unione europea redatto dalla commissione affari istituzionali presieduta da Altiero Spinelli. 14-17 giugno 1984 Seconde elezioni dirette al Parlamento europeo. 25-26 giugno 1984 In Consiglio europeo di Fontainebleau compie dei progressi in settori importanti: decisione di costituire il comitato Dooge sugli affari istituzionali e il comitato Adonnino sulla «Europa dei cittadini». 24 luglio 1984 Pierre Pfimlin viene eletto terzo presidente del Parlamento da quando sono state istituite le elezioni europee. 26 settembre 1984 Viene siglato l'accordo di cooperazione economica e commerciale fra la Cina e la CE. 8 dicembre 1984 Viene firmata la terza convenzione di Lomé dalla CE e da 65 Stati ACP. 7 gennaio 1985 Jacques Delors diventa presidente della Commissione CE. 29-30 marzo 1985 Il Consiglio europeo di Bruxelles approva i «Programmi mediterranei integrati» che eliminano tutti i residui ostacoli per l'adesione di Spagna e Portogallo. 12 giugno 1985 Vengono firmati gli strumenti di adesione di Spagna e Portogallo. 287 288 14 giugno 1985 La Commissione presenta il libro bianco sul completamento del mercato interno. 28-29 giugno 1985 Il Consiglio europeo raggiunge una decisione a maggioranza per indire la conferenza intergovernativa incaricata di modificare i trattati di Roma ai sensi dell'articolo 236 CEE. 2-3 dicembre 1985 Il Consiglio europeo di Lussemburgo approva la riforma istituzionale, l'estensione delle competenze della Comunità e le norme sulla cooperazione in politica estera. Le modifiche al trattato vengono riunite nell'Atto unico europeo. 1 gennaio 1986 La Spagna e il Portogallo entrano nella Comunità, portando il numero degli Stati membri a 12. 17 e 28 febbraio 1986 I governi dei 12 Stati membri firmano l'Atto unico europeo. 1 gennaio 1987 Viene insediato a Bruxelles il segretariato della CPE. 20 gennaio 1987 Sir Henry Plumb viene eletto quarto presidente del Parlamento europeo eletto direttamente dai cittadini europei. 14 aprile 1987 La Turchia chiede di entrare nella CE. 1 luglio 1987 Entra in vigore l'Atto unico europeo. 11-12 febbraio 1988 Il Consiglio europeo di Bruxelles approva il «Pacchetto Delors I» che riforma il sistema finanziario e la politica agricola comune e raddoppia i fondi strutturali CE. 29 marzo 1988 La Commissione presenta il rapporto Cecchini («Il costo della non Europa») che quantifica i vantaggi di un mercato unico. 26 settembre 1988 Viene firmato un accordo di cooperazione economica e commerciale fra l'Ungheria e la CE. 15-18 giugno 1989 Terze elezioni dirette al Parlamento europeo. 26-27 giugno 1989 Il Consiglio europeo di Madrid decide di indire la conferenza intergovernativa conformemente al «Piano Delors», preparato dai governatori delle Banche centrali sotto la direzione del presidente della Commissione Delors, che prevede la creazione della UEM in tre tappe. 29 giugno 1989 La Spagna entra nello SME. 17 luglio 1989 L'Austria chiede di entrare nella CE. 26 luglio 1989 Enrico Barón Crespo viene eletto quinto presidente del Parlamento europeo eletto direttamente dai cittadini europei. 19 settembre 1989 Viene firmato l'accordo di cooperazione commerciale ed economica fra la Polonia e la CE. 15 dicembre 1989 Viene firmata la quarta convenzione di Lomé fra la CE e 68 Stati ACP. 19 dicembre 1989 Iniziano i negoziati fra la CE e i paesi EFTA sul rafforzamento della cooperazione e la formazione dello Spazio economico europeo (SEE). 9 maggio 1990 Viene firmato l'accordo di cooperazione e scambio fra la Bulgaria e la CE. 19 giugno 1990 Viene firmato il secondo trattato di Schengen a Lussemburgo. 25-26 giugno 1990 Il Consiglio europeo di Dublino decide di indire una conferenza intergovernativa sull'UEM e un'altra sull'unione politica. 1 luglio 1990 Ha inizio la prima fase dell'UEM. 4 luglio 1990 Cipro chiede di entrare nella CE. 16 luglio 1990 Malta chiede di entrare nella CE. 21 agosto 1990 La Commissione adotta un pacchetto di misure per integrare la Repubblica democratica tedesca nella CE. 3 ottobre 1990 Entra in vigore il trattato fra la Repubblica federale di Germania e la Repubblica democratica tedesca che unifica la Germania. I cinque nuovi Länder entrano a far parte della CE. 8 ottobre 1990 Il Regno Unito diventa il decimo membro dello SME. 29 marzo 1991 I membri dell'accordo di Schengen e la Polonia firmano un accordo sull'abolizione dei visti, che entra in vigore l'8 aprile 1991. 24 giugno 1991 I ministri delle Finanze si mettono d'accordo sull'armonizzazione dell'IVA e delle accise su alcool, tabacco e oli minerali. Dal 1993 l'aliquota IVA normale non deve 289 essere inferiore al 15%. 290 25 giugno 1991 La Spagna e il Portogallo aderiscono all'accordo di Schengen. 1 luglio 1991 La Svezia chiede di entrare nella CE. 9-10 dicembre 1991 Vertice europeo a Maastricht. I capi di Stato e di governo raggiungono un accordo sul testo del trattato sull'Unione europea. 16 dicembre 1991 Vengono firmati a Bruxelles gli accordi europei fra CE e Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia. 13 gennaio 1992 Egon Klepsch viene eletto sesto presidente del Parlamento europeo. 7 febbraio 1992 Viene firmato il trattato di Maastricht sull'Unione europea. 18 marzo 1992 La Finlandia chiede di aderire alla CE. 5 aprile 1992 L'escudo portoghese aderisce allo SME. 2 maggio 1992 A Oporto i ministri degli Esteri della CE e dell'EFTA firmano l'accordo che istituisce lo Spazio economico europeo (SEE). 20 maggio 1992 La Svizzera chiede di aderire alla CE. 2 giugno 1992 In un referendum, il 50,7% dei danesi vota contro la ratifica del trattato sull'Unione. 20 settembre 1992 In un referendum, il 51,05% dei francesi vota a favore della ratifica del trattato sull'Unione. 25 novembre 1992 La Norvegia chiede di aderire alla CE. 6 dicembre 1992 In un referendum la Svizzera vota contro il trattato SEE. 11-12 dicembre 1992 Il Consiglio europeo di Edimburgo accoglie la richiesta danese di poter non aderire alla moneta unica e alla politica di difesa comune nell'Unione europea. Esso approva il pacchetto Delors II sugli accordi finanziari per la CE fino al 1999 e l'iniziativa di crescita. 22 dicembre 1992 Viene firmato un accordo europeo fra la CE e la Bulgaria. 1 gennaio 1993 Il mercato unico è in larga misura completato. 12 gennaio 1993 L'Islanda ratifica il trattato SEE. Con l'eccezione della Svizzera tutti gli Stati EFTA lo hanno fatto. 1 febbraio 1993 Firma dell'accordo europeo fra la CE e la Romania. 17 marzo 1993 Un protocollo aggiuntivo permette alla CE e all'EFTA di far entrare in vigore il trattato SEE dopo il ritiro della Svizzera. 18 maggio 1993 In seguito all'accettazione della richiesta danese di avere la facoltà di non partecipare alla terza fase dell'UEM (opt-out) (Protocollo n. 12 TUE), il 56,8% dei danesi vota a favore del trattato sull'Unione in un secondo referendum. 2 agosto 1993 In seguito ai disordini all'interno dello SME, i ministri dell'Economia e delle Finanze allargano temporaneamente la fascia di fluttuazione del meccanismo di cambio europeo dal 2,25% al 15%. 4 ottobre 1993 Viene rinegoziato l'accordo europeo firmato dalla CE e dagli Stati successori della Cecoslovacchia. 12 ottobre 1993 La Corte costituzionale tedesca decide a favore del trattato sull'Unione europea. La sua ratifica è ora completata in tutti gli Stati membri. 29 ottobre 1993 Al vertice speciale di Bruxelles i capi di Stato e di governo dell'Unione europea decidono la sede delle nuove istituzioni UE. L'Istituto monetario europeo avrà sede a Francoforte, l'Europol nei Paesi Bassi e l'Agenzia europea dell'ambiente in Danimarca. 1 novembre 1993 Entra in vigore il trattato sull'Unione europea. 10-11 dicembre 1993 La situazione economica nell'Unione europea diventa l'argomento principale del Consiglio europeo di Bruxelles. Il presidente della Commissione Delors presenta il libro bianco sulla crescita, la competitività e l'occupazione. 1 gennaio 1994 Ha inizio la seconda fase dell'unione economica e monetaria. 16 marzo 1994 Vengono conclusi i negoziati di adesione con la Norvegia, dopo l'Austria, la Finlandia e la Svezia. 1 aprile 1994 L'Ungheria chiede di aderire all'UE. 8 aprile 1994 La Polonia chiede di aderire all'UE. 9-12 giugno 1994 Quarte elezioni dirette nel Parlamento europeo. 291 292 12 giugno 1994 In un referendum il 66,4% degli austriaci vota a favore dell'adesione all'UE. 24-25 giugno 1994 Al Consiglio europeo riunito a Corfu l'UE e la Russia firmano un accordo di cooperazione. 19 luglio 1994 Klaus Hänsch (PSE) viene eletto settimo presidente del Parlamento europeo eletto direttamente dai cittadini europei. 16 ottobre 1994 In un referendum il 57% dei finlandesi vota a favore dell'adesione all'UE. 13 novembre 1994 Il 52,2% degli svedesi vota a favore dell'adesione all'UE. 27-28 novembre 1994 Il 52,2% dei norvegesi vota contro l'adesione all'UE. 9-10 dicembre 1994 Il Consiglio europeo di Essen decide la strategia per avvicinare i paesi dell'Europa centrale e orientale all'UE e approva la nuova strategia per il Mediterraneo della Commissione. 1 gennaio 1995 Austria, Finlandia e Svezia entrano nell'UE. 9 gennaio 1995 L'Austria aderisce allo SME. 19 gennaio 1995 Dopo un acceso dibattito il Parlamento europeo approva la nuova Commissione europea. 23 gennaio 1995 La Commissione, presieduta da Jacques Santer, inizia il suo mandato quinquennale. 26 marzo 1995 Entra il vigore il trattato di Schengen. Non sono più previsti controlli sui passaporti fra i paesi del Benelux, Francia, Germania, Portogallo e Spagna. 12 giugno 1995 L'UE firma gli accordi di associazione con l'Estonia, la Lettonia e la Lituania. 22 giugno 1995 La Romania chiede di aderire all'UE. 26-27 giugno 1995 Il Consiglio europeo di Cannes incarica il «gruppo di riflessione» di preparare la conferenza intergovernativa del 1996 sulla revisione del trattato sull'Unione europea. 27 giugno 1995 La Repubblica slovacca chiede di aderire all'UE. 18 luglio 1995 L'UE firma il primo accordo di associazione con la Tunisia come parte della sua nuova politica mediterranea. 17 settembre 1995 In Svezia si svolgono per la prima volta le elezioni per il Parlamento europeo. 27 ottobre 1995 La Lettonia chiede di entrare nell'UE. 20 novembre 1995 L'UE firma l'accordo di associazione con Israele. 27-28 novembre 1995 Alla conferenza euromediterranea di Barcellona l'UE approva la cooperazione a lungo termine con i paesi dell'Africa del Nord e del Medio Oriente. Uno degli obiettivi è la costituzione di un'area di libero scambio euromediterranea entro il 2010. 28 novembre 1995 L'Estonia chiede di entrare nell'UE. 2 dicembre 1995 Viene firmata a Madrid la nuova «agenda transatlantica». L'Unione europea e gli USA dichiarano la propria volontà di sviluppare gli scambi e lavorare assieme per risolvere i problemi internazionali. 8 dicembre 1995 La Lituania chiede di entrare nell'UE. 14 dicembre 1995 La Bulgaria chiede di entrare nell'UE. 15-16 dicembre 1995 Il Consiglio europeo di Madrid decide di denominare «euro» la futura moneta europea. Il calendario per l'introduzione dell'UEM rimane immutato. A partire dal 2002 l'euro sarà la sola moneta avente corso legale negli Stati membri dell'UEM. È firmato un accordo di libero scambio con gli Stati del Mercosur. 1 gennaio 1996 Entra in vigore un'unione doganale fra l'UE e la Turchia. 17 gennaio 1996 La Repubblica ceca chiede di entrare nell'UE. 29 febbraio 1996 La Russia diventa il 39 membro del Consiglio d'Europa. 27 marzo 1996 Dopo che alcuni scienziati britannici hanno dimostrato che l'encefalopatia spongiforme bovina (BSE) può essere trasmessa all'uomo attraverso il consumo di carne bovina, la Commissione europea impone un divieto di esportazione a livello mondiale sulla carne bovina britannica e i prodotti derivati. 293 294 29 marzo 1996 A Torino si apre solennemente la conferenza intergovernativa sulla revisione del trattato di Mastricht. Entro dodici mesi dovranno essere presentate proposte in materia di giustizia e affari interni, per avvicinare le istituzioni ai cittadini, per la trasparenza, per il miglioramento dell'efficienza istituzionale e delle strutture decisionali di politica estera. 3 giugno 1996 I ministri degli Affari sociali e del Lavoro dell'UE adottano una posizione comune al fine di adottare la direttiva sui trasferimenti di lavoratori. I dipendenti inviati dalle loro società in altri paesi dell'UE devono essere impiegati alle condizioni che si applicano nel paese ospitante. 10 giugno 1996 La Slovenia chiede di entrare nell'UE. 20 giugno 1996 I ministri dell'Energia dell'UE adottano il regolamento sulla liberalizzazione del mercato e dell'energia nell'UE. 21-22 giugno 1996 Il Consiglio europeo di Firenze adotta la convenzione Europol. 13 ottobre 1996 In Austria si svolgono per la prima volta le elezioni del Parlamento europeo. 14 ottobre 1996 La Finlandia aderisce allo SME. 20 ottobre 1996 In Finlandia si svolgono per la prima volta le elezioni del Parlamento europeo. 6 novembre 1996 La Croazia diventa il 40 membro del Consiglio d'Europa. 24 novembre 1996 Rientro della lira nel meccanismo di cambio dello SME. 13-14 dicembre 1996 Il Consiglio europeo di Dublino vara un patto di stabilità e di crescita per l'UEM. Sono presentate al pubblico le future banconote denominate euro. I capi di Stato e di governo impegnano l'UE ad una lotta più decisa contro la criminalità internazionale. L’EUROPA DALLA A ALLA Z Elenco degli autori Sven Behrendt - Centro per la ricerca politica applicata (anche in EN), Università di Monaco. Udo Diedrichs - Institut für politische Wissenschaft und Europäische Fragen (Istituto di scienze politiche e affari europei), Università di Colonia. Dr. Christian Engel - Staatskanzlei des Landes Nordrhein-Westfalen (Cancelleria del land Renania settentrionale-Vestfalia), Düsseldorf. Dr. Jürgen Erdmenger - Commissione europea, direzione generale dei trasporti, Bruxelles. Dr. Fritz Franzmeyer - Deutsches Institut für Wirtschaftsforschung (Istituto tedesco per la ricerca economica), Berlino. Dr. Eckart Gaddum - ZDF-Landesstudio (Centro regionale del secondo canale televisivo tedesco), Turingia. Prof. Erwin Häckel - Deutsche Gesellschaft für Auswärtige Politik (Società tedesca per la politica estera), Bonn. Olaf Hillenbrand - Centro per la ricerca politica applicata, Università di Monaco. Josef Janning - Centro per la ricerca politica applicata, Università di Monaco. Bernd Janssen (†) - Centro per la formazione europea (anche in DE), Bonn. Dr. Mathias Jopp - Institut für Europäische Politik (Istituto per la politica europea), Bonn. Henry Krägenau - HWWA-Institut für Wirtschaftsforschung (HWWA Istituto di ricerca economica), Amburgo. Dr. Thomas Läufer - Ufficio del portavoce del Bundestag, Bonn. Barbara Lippert - Institut für Europäische Politik (Istituto per la politica europea), Bonn. Michael Matern - Landeszentrale für politische Bildung Rheinland-Pfalz (Ufficio per la formazione politica del land Renania-Palatinato), Magonza. Andreas Maurer - Institut für Europäische Politik (Istituto per la politica europea), Bonn. Patrick Meyer - Centro per la ricerca politica applicata, Università di Monaco. 295 L’EUROPA DALLA A ALLA Z 296 Prof. Jörg Monar - Centro per gli studi federali, Università di Leicester. Dr. Melanie Piepenschneider - Fondazione Konrad Adenauer, St. Augustin. Dr. Elfriede Regelsberger - Institut für Europäische Politik (Istituto per la politica europea), Bonn. Dieter Rometsch - Institut für Europäische Politik (Istituto per la politica europea), Bonn. Reinhard Rupprecht - Bundesministerium des Innern, Abteilung Innere Sicherheit, (Ministero degli interni, dipartimento sicurezza interna), Bonn. Nicole Schley - Centro per la ricerca politica applicata, università di Monaco. Dr. Peter-W. Schlüter - Istituto monetario europeo, Francoforte sul Meno. Ralf Schmitt - Badisches Tagblatt, Wirtschaftsredaktion (Redazione economica del Badisches Tagblatt), Baden-Baden. Dr. Otto Schmuck - Rappresentanza della Renania-Palatinato presso il governo federale, Bonn. Kristin Schreiber - Commissione europea, direzione generale per l'industria, Bruxelles. Dr. Bernhard Seidel - Deutsches Institut für Wirtschaftsforschung (Istituto tedesco per la ricerca economica), Berlino. Jürgen Turek - Centro per la ricerca politica applicata, Università di Monaco. Prof. Winfried von Urff - Titolare della cattedra di politica agricola, Università di Monaco-Weihenstephan. Prof. Wolfgang Wessels - Titolare della cattedra di scienze politiche e affari europei, Università di Colonia. Prof. Dr. Werner Weidenfeld - Geschwister-Scholl-Institut für Politische Wissenschaft (Istituto di scienze politiche Geschwister-Scholl), Università di Monaco. Anita Wolf-Niedermaier - Graduiertenkolleg des Mannheimer Zentrums für Europäische Sozialforschung (Scuola di ricerca del centro di ricerca sociale europeo di Mannheim). Redazione: Nicole Schley - Centro di ricerca politica applicata, Università di Monaco. Elenco di abbreviazioni ASE ASEAN BCE BEI Benelux BERS CCR CE CECA Cedefop CEE CEN Cenelec CES CES CGCE Comett Consiglio Ecofin COPA Coreper COST CPE Ecu EFTA EMI Envireg Erasmus Esprit Euratom Eureka Europol FEAOG Agenzia spaziale europea Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico Banca centrale europea Banca europea per gli investimenti Unione economica tra il Belgio, i Paesi Bassi ed il Lussemburgo Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo Centro comune di ricerca Comunità europea Comunità europea del carbone e dell'acciaio Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale Comunità economica europea Comitato europeo di normalizzazione Comitato europeo di normalizzazione elettrotecnica Confederazione europea dei sindacati Comitato economico e sociale Corte di giustizia delle Comunità europee Programma di cooperazione tra università e imprese per la formazione nel campo delle tecnologie Consiglio dei ministri dell'Economia e delle Finanze Comitato delle organizzazioni professionali agricole della Comunità europea Comitato dei rappresentanti permanenti Cooperazione europea nel settore della ricerca scientifica e tecnica Cooperazione politica europea Unità monetaria europea Associazione europea di libero scambio Istituto monetario europeo Iniziativa comunitaria per la tutela dell'ambiente e lo sviluppo socioeconomico Programma di azione comunitario in materia di mobilità degli studenti Programma strategico europeo di ricerca e sviluppo nelle tecnologie dell'informazione (European strategic programme for research in information technologies) Comunità europea dell'energia atomica Agenzia europea per il coordinamento della ricerca (European research coordinating agency) Ufficio europeo di polizia Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia 297 298 FECOM FES FESR FSE GATT HDTV Interreg JET Leonardo da Vinci Lingua MEDIA NET NSC ONU OSCE PAC Paesi ACP PE PESC PETRA PHARE PIL PMI PNL QCS RACE SEE SFOP SIS SME Socrates Sprint TACIS Fondo europeo di cooperazione monetaria Fondo europeo di sviluppo Fondo europeo di sviluppo regionale Fondo sociale europeo Accordo generale sulle tariffe doganali e il commercio Televisione ad alta definizione Iniziativa comunitaria concernente le zone di frontiera Joint European Torus Nuova denominazione del programma PETRA Programma d'azione inteso a promuovere la conoscenza delle lingue straniere nella Comunità europea Programma d'azione volto a promuovere lo sviluppo dell'industria audiovisiva europea (1991-1995) Next European Torus Nuovo strumento comunitario (assunzione e concessione di prestiti per promuovere gli investimenti) (detto anche «Sportello Ortoli) Organizzazione delle Nazioni Unite Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa Politica agricola comune Stati dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico firmatari della convenzione di Lomè Parlamento europeo Politica estera e di sicurezza comune Programma di azione per la formazione professionale e la preparazione dei giovani alla vita adulta e professionale Programma comunitario di aiuto a favore dei paesi dell'Europa centrale e orientale Prodotto interno lordo Piccole e medie imprese Prodotto nazionale lordo Quadro comunitario di sostegno Programma di ricerca e sviluppo sulle tecnologie di telecomunicazioni avanzate per l'Europa (Research and development in advanced communications technology for Europe) Spazio economico europeo Strumento finanziario di orientamento della pesca Sistema informativo Schengen Sistema monetario europeo Nuova denominazione del programma Erasmus Programma strategico per l'innovazione ed il trasferimento di tecnologie (Strategic programme for innovation and tecnology transfer) Assistenza tecnica alla Comunità di Stati indipendenti TARIC TDC Tempus TREVI UE UEM UEO UNICE WTO/OMC Tariffa doganale integrata delle Comunità europee Tariffa doganale comune Programma di cooperazione transeuropea per l'istruzione superiore Terrorismo, radicalismo, estremismo e violenza internazionale Unione europea Unione economica e monetaria Unione dell'Europa occidentale Unione delle confederazioni europee dell'industria e dei datori di lavoro Organizzazione mondiale del commercio 299