tesi tutta impag - Fondazione Pro Africa
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1. IL PROBLEMA DELLA SITUAZIONE INFANTILE NEL MONDO MATERNO 1.1 MORTALITA’ NEONATALE NEL MONDO ED OBIETTIVI DEL MILLENNIO Ogni anno nel mondo nascono 130 milioni di persone. Circa 4 milioni di esse muoiono nel periodo neonatale, ovvero nelle prime quattro settimane di vita; di questi il 75% muore nella prima settimana, il 25-45% nelle prime 24 ore di vita. I decessi in epoca neonatale costituiscono il 38% circa delle morti dei bambini sotto i 5 anni. Ogni anno, nel mondo, i bambini nati morti (stillbirth) sono un numero imprecisabile, stimato tra i 3 e i 4 milioni; le madri che muoiono per cause correlate alla gravidanza sono invece circa 500.000. Il 99% di questi decessi avviene in paesi a basso o medio reddito; circa la metà avviene a casa (1). La Regione W.H.O. (World Health Organization) in cui si ha il più alto tasso di mortalità neonatale (Neonatal Mortality Rate, NMR) è l'Africa subsahariana, in cui 14 Paesi su 18 hanno un NMR superiore a 45 decessi ogni 1000 nati vivi. Essa risulta essere l'unica regione del mondo in cui il tasso di mortalità neonatale è in costante aumento (2) (Tab.1 e Fig.1). Gli Obiettivi del Millennio (Millenium Development Goals, MDGs) (4) costituiscono il più ampio impegno mai assunto da un'organizzazione di Stati per affrontare la povertà e la salute a livello globale. La Dichiarazione del Millennio, emanata dalle Nazioni Unite nel 2000, rappresenta una pietra miliare nella cooperazione internazionale e ha ispirato gli sforzi dell'O.N.U. e dei singoli Stati per raggiungere otto obiettivi che dovrebbero garantire ad ogni persona i diritti umani di base, in termini di libertà dalla fame, dignità nel lavoro, salute, istruzione, sicurezza ambientale (Tab.2). Il quarto obiettivo del millennio prevede la riduzione di due terzi della mortalità infantile (decessi di bambini di età inferiore ai 5 anni) tra il 1990 e il 2015. Dai dati 1 della tabella 1 (NMR nelle regioni W.H.O.) risulta evidente l'impossibilità di raggiungere l'obiettivo se non impegnandosi sul fronte della mortalità neonatale, in primo luogo nei paesi ad alta mortalità infantile. regioni WHO NMR per 1000 nati vivi (range tra i diversi paesi) Numero in migliaia (e percentuale sul totale del mondo) delle morti neonatali Percentuale delle morti di bambini <5aa che avvengono nel periodo neonatale Variazione NMR tra 1996 e 2005 Africa 44 (9-70) 1128 (28%) 24% +5% Americhe 12 (4-34) 195 (5%) 48% -40% Mediterraneo Orientale 40 (4-63) 603 (15%) 40% -9% Europa 11 (2-38) 116 (3%) 49% -18% Asia 38 (11-43) 1443 (36%) 50% -21% Pacifico Occidentale 19 (1-40) 512 (13%) 56% -39% Totale 30 (1-70) 3998 (100%) 38% -16% Tabella 1: variazioni regionali della stima della NMR, della sua variazione nel periodo 1996-2009, del numero delle morti neonatali e della percentuale delle morti neonatali tra i decessi in bambini <5aa (3). Figura 1: Neonatal Mortality Rate (NMR) nel mondo nel 2009 (1). 2 MDG 1 Sradicare la povertà estrema e la fame • Dimezzare, fra il 1990 e il 2015, la percentuale di persone il cui reddito è inferiore ad 1 $ al giorno • Raggiungere un’occupazione piena e produttiva e un lavoro dignitoso per tutti, inclusi donne e giovani • Dimezzare, fra il 1990 e il 2015, la percentuale di persone che soffre la fame MDG 2 Rendere universale l’educazione primaria • Assicurare che ovunque, entro il 2015, i bambini, sia maschi che femmine, possano portare a termine un ciclo completo di istruzione primaria MDG 3 Promuovere l’eguaglianza di genere e dare potere alle donne • Eliminare le disparità di genere nel campo dell’educazione primaria e secondaria entro il 2005 e a tutti i livelli educativi entro il 2015 MDG 4 Ridurre la mortalità infantile • Ridurre di due terzi, fra il 1990 e il 2015, il tasso di mortalità infantile sotto i 5 anni MDG 5 Migliorare la salute materna • Ridurre di tre quarti, fra il 1990 e il 2015, il tasso di mortalità materna • Raggiungere, entro il 2015, l’accesso universale ai sistemi di salute riproduttiva MDG 6 Combattere l'AIDS, la malaria e le altre malattie • Arrestare entro il 2015, invertendo la tendenza, la diffusione dell’HIV/AIDS • Raggiungere entro il 2010 l’accesso universale alle cure contro l’HIV/AIDS per tutti coloro che ne hanno bisogno • Arrestare entro il 2015, invertendo la tendenza, l'incidenza della malaria e delle altre principali malattie MDG 7 Assicurare la sostenibilità ambientale • Integrare i principi dello sviluppo sostenibile nelle politiche dei Paesi • Ridurre significativamente la perdita di biodiversità entro il 2010. • Dimezzare entro il 2015 la percentuale di persone che non ha accesso all'acqua potabile e agli impianti igienici di base • Entro il 2020 migliorare le condizioni di vita di 100 milioni di abitanti delle baraccopoli MDG 8 Sviluppare una partnership globale per lo sviluppo • Rivolgersi ai bisogni specifici dei paesi con necessità particolari • Sviluppare un sistema commerciale e finanziario più aperto, regolamentato, prevedibile e non discriminatorio • Trattare globalmente i problemi legati al debito dei PVS • Rendere possibile nei PVS l’accesso ai farmaci essenziali con costi sostenibili • Rendere disponibili i benefici delle nuove tecnologie, specialmente per quanto riguarda l'informazione e la comunicazione Tabella 2: Millennium Development Goals (4) (PVS: Paesi in via di sviluppo). 3 1.2 CAUSE DI MORTALITA' PERINATALE Attualmente meno del 3% dei decessi neonatali avviene in Paesi in cui sia disponibile un sistema affidabile di raccolta dei dati anagrafici, clinici ed epidemiologici tale da permettere l'elaborazione di statistiche precise sulla prevalenza delle diverse cause di morte tra i neonati. A livello globale, le principali cause dirette di mortalità neonatale sono l' infezione severa (che, compreso il tetano, conta per circa il 36% dei decessi), la nascita prematura (circa il 28%), l'asfissia alla nascita (il 23%); nelle singole Regioni W.H.O., invece, la prevalenza delle diverse cause di morte risulta variare in rapporto alla NMR. Nei Paesi ad alta mortalità (NMR >45/1000) la sepsi causa almeno il 50% delle morti neonatali, mentre nei Paesi a bassa NMR (NMR < 15/1000) il rischio di morte per prematurità è, in proporzione, circa il doppio di quello che si ha nei Paesi con alta NMR. La percentuale di decessi dovuti a complicanze dell'asfissia perinatale e alle malformazioni congenite è pressoché costante nelle varie Regioni (Fig.2). Naturalmente i dati in percentuale si riferiscono a numeri assoluti ben diversi tra loro, così che, per un bambino che nasce in un Paese ad alta NMR, il rischio di morire di sepsi o per complicazioni dell'asfissia durante il parto o per prematurità è rispettivamente 11 volte, 8 volte e 3 volte maggiore di quello di un bambino che nasce in un paese a bassa mortalità neonatale (3). percentuale di decessi (%) 100% 80% prematurità altro 60% asfissia 40% sepsi 20% malformazioni 0% >45 30-45 15-29 <15 NMR (per 1000 nati vivi) Figura 2: Stima delle cause di decesso in epoca neonatale in base alla NMR (1). Oltre alle ben note cause dirette di mortalità neonatale si hanno numerose situazioni che possono aumentare le probabilità di decesso neonatale. 4 La povertà è la causa sottostante a molte morti neonatali, sia perché aumenta l'incidenza di fattori di rischio quali il ritardo di crescita endouterino, la malnutrizione e l'anemia materna, sia perché riduce le possibilità di accesso alle cure. La disparità di NMR imputabile in primo luogo alla povertà è maggiore per quanto riguarda le morti postnatali che quelle perinatali. Si stima che nel mondo, ogni anno, nascano circa 18.000.000 di neonati di basso peso (PN <2000g). Si tratta di bambini nati pretermine, oppure piccoli per l'età gestazionale (SGA), o con entrambe le caratteristiche. Il 60-80% delle morti neonatali avviene in questa categoria di neonati particolarmente fragili (5). Un'altra categoria di neonati a rischio è quella delle bambine. Pur essendo noto il vantaggio biologico delle femmine rispetto ai maschi per la sopravvivenza nel periodo neonatale (6), i dati epidemiologici evidenziano come le neonate ricevano in media meno cure dei coetanei, a parità di condizioni. A questa mancanza di cure si aggiungono altre terribili pratiche quali l'infanticidio, il feticidio di femmine e l'aborto selettivo, la cui reale incidenza non è conosciuta. Le complicazioni materne durante la gravidanza e il parto sono infine un'ulteriore causa indiretta di mortalità neonatale e infantile. Globalmente solo il 56% delle donne partorisce con l'aiuto di un assistente esperto (medico, infermiere, ostetrico, assistente tradizionale), ma la variabilità tra i diversi Paesi è molto grande (dal 5% delle zone più isolate al 99% dei Paesi sviluppati) (7). Nell'Africa SubSahariana solamente il 44% delle madri partorisce con un aiuto qualificato, a causa della scarsità di persone adeguatamente formate e soprattutto della mancanza di copertura sanitaria per un parto sicuro. Si ha così per molte donne il rischio di un'inadeguata gestione delle possibili complicanze del parto, con l'aumento di mortalità neonatale (e materna) conseguente al cosiddetto “triplice ritardo”: ritardo nel riconoscere il problema, ritardo nel cercare e aver accesso alle cure, ritardo nell'erogazione delle cure una volta che la madre arriva nelle strutture sanitarie (8). 5 Neonati di basso peso alla nascita (Low Birth Weight) Sono definiti neonati di basso peso alla nascita (Low Birth Weight, LBW) i bambini che nascono con un peso inferiore ai 2.500 g; all’interno di questo gruppo si distinguono i neonati di peso molto basso (Very Low Birth Weight, VLBW), inferiori ai 1500 g, e i neonati di peso estremamente basso (Extremely Low Birth Weight, ELBW), inferiori ai 1000 g. Il basso peso alla nascita aumenta la mortalità e la morbidità fetale e neonatale, con un rischio di morte che è circa 20 volte quello dei neonati più grandi; esso è associato, inoltre, a una scarsa crescita nelle età successive della vita, a uno sviluppo neurocognitivo peggiore e ad un aumentato rischio di malattie croniche (tra cui diabete mellito di tipo 2, ipertensione e malattie cardiovascolari). Nel mondo, ogni anno, nascono circa 20.000.000 di neonati LBW; essi costituiscono il 15,5% delle nascite. Il 95,6% di questi bambini nasce nei Paesi in via di sviluppo; la percentuale dei neonati LBW in questi Paesi è circa doppia (>15%) rispetto a quella dei Paesi industrializzati (circa 7%) (Tab. 3). % neonati LBW Africa Nord America Sud America e Caraibi Europa Asia Oceania Mondo Numero neonati LBW (migliaia) 4.320 343 1.171 460 14.195 27 20.629 14,3 7,7 10,0 6,4 18,3 10,5 15,5 Numero neonati vivi (migliaia) 30.305 4.479 11.671 7.185 77.490 255 132.882 Tabella 3: stima dei neonati LBW nel mondo: percentuale sul totale dei nati vivi e numero assoluto, 2000 (9). I neonati LBW sono tali per prematurità, per ridotta crescita fetale (Intrauterine Growth Retard, IUGR) o per entrambe le cause. La probabilità di partorire un neonato LBW dipende da svariati fattori fetali, materni e ambientali, tra cui: - a parità di età gestazionale, le femmine sono solitamente più piccole dei maschi, i primogeniti dei figli successivi, i gemelli dei neonati singoli; 6 - neonati malati o affetti da malformazioni congenite spesso sono più piccoli dei neonati sani; - madri in condizioni socioeconomiche deprivate hanno un rischio maggiore di avere neonati LBW; - infezioni materne specifiche (per esempio, malaria, HIV, sifilide) e aspecifiche posso aumentare il rischio di LBW; - donne piccole di statura, donne che vivono ad altitudini elevate, donne molto giovani solitamente partoriscono neonati più piccoli; - la malnutrizione materna è un importante fattore di rischio per LBW; la crescita fetale dipende dalla composizione corporea della madre al momento del concepimento, quindi dalla sua stessa crescita fetale, postnatale e dalla sua alimentazione; - abitudini quali l’assunzione di tabacco, alcol, sostanze d’abuso, così come il lavoro fisicamente impegnativo, aumentano il rischio di avere neonati LBW. La raccolta dei dati riguardanti i neonati LBW è particolarmente difficoltosa perché nei Paesi in via di sviluppo circa il 50% dei neonati non vengono pesati alla nascita, e anche per coloro che lo sono, spesso il dato è mal misurato, mal registrato o non riportato sui documenti del bambino. I neonati di cui si hanno dati attendibili, cioè quelli che vengono partoriti in una struttura sanitaria, potrebbero altresì rappresentare un campione selezionato, in positivo (neonati di famiglie di livello socio-economico più elevato) o in negativo (neonati nati in seguito a gravidanze patologiche o parti problematici). Lo sforzo di ottenere dati sempre più precisi ha portato ad elaborare varie strategie di raccolta di informazioni, utilizzando, oltre ai registri ufficiali, strumenti quali l’intervista di campioni rappresentativi di donne. I dati così ottenuti sono più attendibili rispetto al passato, ma si rischia comunque di sottostimare la reale portata del problema. Anche se le stime del 1990 e del 2000 non sono paragonabili tra loro per queste differenze di metodologia nella raccolta dei dati, l’incidenza globale dei neonati LBW non sembra essere cambiata significativamente in questo periodo. Globalmente la percentuale di neonati LBW costituisce un indicatore delle 7 condizioni socio-sanitarie di un Paese, riflettendo le conseguenze di situazioni quali lo stato di nutrizione della popolazione, il lavoro femminile, la presenza di un sistema sanitario adeguato, l’assistenza alle donne gravide, eccetera (9). Neonati nati prematuri Si stima che nel mondo i neonati prematuri (nati prima del completamento delle 37 settimane di gestazione) siano circa 13-15.000.000 l'anno, corrispondente a un 518% delle nascite globali (10) (Tab.3 e Fig.3). Sebbene siano state riportate modeste differenze della durata della gestazione tra le varie etnie, con una tendenza a gravidanze più brevi nelle popolazioni nere e asiatiche, le cause dei parti pretermine sono per lo più mediche, sociali e ambientali. Cause di parto pretermine sono patologie materne quali il diabete, l’insufficienza renale o l’ipertensione; le malattie infettive, soprattutto la malaria, l’HIV/AIDS e la sifilide; le gravidanze multiple; la scarsa crescita fetale, idiopatica o secondaria a preeclampsia; le patologie fetali; la malnutrizione; fattori stressanti materni quali stress psicologico o lavoro pesante (11-12). Regione Percentuale di nascite Nascite pretermine pretermine sul totale (in migliaia) delle nascite Intervallo di confidenza 95% Africa 11,9 4.047 11,1-12,6 Asia 9,1 6.907 8,3-9,8 Europa 6,2 466 5,8-6,7 America Centrale e del Sud 8,1 933 7,5-8,8 America del Nord 10,6 480 10,5-10,6 Oceania 6,4 20 6,3-6,6 Totale 9,6 12.870 9,1-10,1 Tabella 4: Variazioni ragionali nella stima della prevalenza delle nascite pretermine (10). 8 Figura 3: Nascite pretermine (in percentuale sul totale dei neonati nati vivi) nel mondo nel 2010 (13). Tra i neonati nati prematuramente si distinguono quelli moderatamente pretermine (33-36 settimane di e.g.), quelli molto pretermine (<32 settimane di e.g.) e infine quelli estremamente pretermine (<28 settimane di e.g.) (Fig.4). Figura 4: Distribuzione delle nascite premature (suddivise per età gestazionale) nelle diverse Regioni W.H.O. (13). Dati nazionali precisi e attendibili sulla percentuale di bimbi che nascono prematuri non sono disponibili per la maggior parte dei paesi a basso e medio reddito (Low e Middle Income Countries, LMICs). Anche per i neonati che vengono alla luce in strutture sanitarie, solo raramente è registrata l'età gestazionale e per poco meno della metà (42%) il peso alla nascita. E' dimostrato, peraltro, che il calcolo dell'età 9 gestazionale sulla base del solo dato anamnestico dell'ultima mestruazione è poco attendibile e il peso alla nascita non è un surrogato affidabile dell'età gestazionale, vista l'elevata incidenza di neonati piccoli o grandi per l'età gestazionale. La registrazione dei neonati pretermine, e quindi dei loro decessi, varia notevolmente in base alla percezione della vitalità del nuovo nato da parte di chi assiste al parto; neonati molto pretermine sono percepiti come poco vitali hanno meno probabilità di ricevere cure e di essere registrati rispetto a bambini nati ad età gestazioni più avanzate. Nei Paesi in cui non è disponibile un servizio di Terapia Intensiva Neonatale, raramente si ha la sopravvivenza di piccoli nati a meno di 32 settimane e avviene frequentemente che neonati prematuri (anche fino a 30 settimane di età gestazionale) siano considerati aborti e quindi non siano registrati (14). La maggior parte dei neonati moderatamente pretermine, invece, può sopravvivere con il solo supporto di cure neonatali di base, e si stima che circa il 75% delle morti dei neonati pretermine potrebbe essere evitata anche senza necessità di terapia intensiva neonatale (13). In letteratura è riportata una percentuale di neonati pretermine che varia molto tra i vari paesi, e anche all'interno dello stesso paese, in base a caratteristiche sociodemografiche, stimata tra il 5% dei HICs (High Income Countries) e il 25% nei LMICs (Low and Middle Income Countries). Oltre a essere la prima causa diretta di mortalità neonatale nel 27% dei decessi neonatali, la nascita prematura aumenta il rischio di morte per altre cause, favorendo indirettamente eventi avversi come infezioni ed emorragie. La percentuale di decessi neonatali attribuibili direttamente alla nascita pretermine è inversamente proporzionale alla mortalità neonatale di un Paese (NMR), e direttamente proporzionale al diminuire dell'età gestazionale, essendo più elevata tra i nati prima delle 32 settimane di vita intrauterina; essa è inoltre influenzata anche dall’evento che ha causato il parto pretermine, spesso esso stesso correlato a mortalità e morbilità del nuovo nato. Nei paesi poveri i parti pretermine da indicazione medica costituiscono meno del 10% del totale; cause principali di nascita prematura sono le infezioni sistemiche e 10 intrauterine (soprattutto per quanto riguarda i parti early preterm, a 24-32 settimane di età gestazionale), la trombosi e le lesioni intravascolari uterine (a tutte le età gestazionali), la sovradistensione uterina (soprattutto per quanto riguarda i parti late preterm, a 32-37 settimane di età gestazionale) (15). Essendo la nascita pretermine, direttamente o indirettamente, una della cause principali di mortalità neonatale, risulta indiscutibile la necessità di progettare interventi basati sull'evidenza, ad elevata diffusione ed accessibilità, che tendano a ridurre il numero dei parti pretermine e a migliorare la sopravvivenza dei neonati prematuri, al fine di ridurre la NMR complessiva (16). Solo di recente il problema è entrato nelle agende politiche nei paesi a basso e medio reddito (LMICs), ma ancora in molti Paesi del mondo devono iniziare i cambiamenti che potrebbero portare alla riduzione della mortalità in questa fascia di popolazione così fragile (13). Neonati nati morti La morte fetale indica la morte del feto prima della completa espulsione o estrazione dal corpo materno, evidente dal fatto che il neonato, dopo la separazione dalla madre, non respira né mostra segni vitali quali pulsazioni cardiache o movimenti di muscoli volontari. Si stimano 3,2 milioni di nati morti ogni anno nel mondo, con vasta incertezza (dai 2,5 ai 4,1 milioni) dovuta alla mancanza di registrazione per molti di questi decessi, che spesso avvengono a domicilio (17) (Tab. 4 e Fig. 5). Regione Stillbirth rate per 1000 Numero complessivo nati (2009) dei nati morti (2009) Percentuale di variazione annuale 1995-2009 Africa 28,1 898.000 -0,7 America 7,0 111.000 -2,4 Mediterraneo Orientale 27,2 455.000 -0,6 Europa 6,3 68.000 -1,9 Asia Sud-orientale 22 850.000 -1,2 Pacifico Occidentale 10,2 260.000 -3,8 Totale 18,9 2.642.000 -1,1 Tabella 5: Variazioni ragionali nella stima della prevalenza dei feti nati morti (stillbirth rate) e delle sua variazione 1995-2009 nelle varie regioni W.H.O. (18). 11 Figura 5: Stillbirth rate (nati morti ogni 1000 nascite) nel mondo nel 2009 (18). Si indica con morte fetale tardiva la morte di feti maggiori di 1.000 g o di età gestazionale superiore alle 28 settimane, con morte fetale precoce il decesso di feti di peso compreso tra i 500 e i 1.000 g o di età gestazionale inferiore alle 28 settimane. Attualmente la soglia in cui si registra il feto come “nato morto” varia dalle 16 alle 28 settimane di età gestazionale a seconda della percezione della possibilità di vita extrauterina nei diversi Paesi. Circa un terzo dei feti nati morti sono i cosiddetti nati morti “freschi”, deceduti dopo l'inizio del travaglio, (l’integrità della cute al momento del parto è considerato indicatore di morte nelle 12 ore precedenti); si stima che il 25-62% di queste morti siano evitabili, come è ipotizzabile osservando la bassa percentuale di nati morti nei Paesi sviluppati (3 decessi per 1000 nati) rispetto a quella molto elevata (28 decessi ogni 1000 nati) che si registra nella regione dell’Africa Sub-Sahariana (18). La riduzione del numero dei feti nati morti non è inclusa negli obiettivi del MDG e non è presente nell’agenda politica e sanitaria dei Paesi in cui maggiormente si verificano questi decessi. Nel mondo, dal 1995 al 2009, il tasso dei neonati nati morti è calato solo del 14%, passando da 22,1 a 18,9 nati morti ogni mille nati (18). 12 Per poter affrontare questo problema sarebbe necessario innanzitutto avere dei dati epidemiologici attendibili. Questi possono essere ottenuti istituendo uno specifico certificato di morte per feto nato morto che specifichi la causa di decesso. Per i feti nati in casa è ragionevolmente possibile solo la distinzione tra nato morto fresco o macerato ottenuta tramite autopsia verbale; per i nati in centro sanitario si possono distinguere i decessi “freschi” dovuti a complicanze del parto da quelli “macerati” attribuibili alla mancanza di cura antenatale o ad alterato sviluppo fetale; la distinzione dettagliata delle cause di morte è infine possibile solo negli HICs, dove si ha disponibilità di indagini autoptiche e anatomopatologiche (19, 20). 1.3 POSSIBILITA' DI MIGLIORAMENTO Il 70% delle morti neonatali avviene perché interventi semplici ma efficaci non raggiungono le popolazioni più bisognose (21). Per migliorare questa tragica situazione sono indispensabili due processi distinti ma collegati tra loro: da una parte la formulazione di linee guida e l’organizzazione del sistema sanitario sulla base di dati scientifici ed epidemiologici attendibili, dall’altra un processo politico di miglioramento dell’efficienza e dell’accessibilità del sistema sanitario, nelle due componenti di servizi di comunità e servizi ospedalieri, basato sul diritto alla salute e sull’effettiva partecipazione della cittadinanza alle decisioni. Un errore comune, a questo proposito, è pensare che la mortalità neonatale possa essere ridotta esclusivamente a prezzo di enormi investimenti per poter offrire cure altamente tecnologiche. In realtà si stima che fino a tre quarti delle morti neonatali nel mondo potrebbero essere prevenute con interventi a bassa tecnologia e con un costo inferiore a 1 dollaro pro capite (16, 22). E' quindi indispensabile aumentare l'impegno per includere i provvedimenti e le strategie atte a salvaguardare la salute del neonato nelle linee guida globali e nelle strategie nazionali, W.H.O/U.N.I.C.E.F. particolarmente per la nei gestione LMICs. delle Nel patologie 2005 infantili i protocolli (Integrated Management of Childhood Illness, IMCI) sono state completate con le linee guida 13 per i neonati di età inferiore ai sette giorni, prima non considerati in questo documento (23). Pur essendo necessaria l'elaborazione di tali protocolli internazionali, le varie strategie di intervento devono essere adattate alla realtà locale. La Global Action Agenda (GAA) sottolinea la necessità di una collaborazione a livello internazionale per la ricerca, lo sviluppo e la distribuzione (delivery) di interventi efficaci e sostenibili nelle diverse realtà locali (24). Interventi volti a prevenire le nascite pretermine e i nati morti: E' dimostrato che dieci interventi preventivi sono efficaci nel prevenire i parti pretermine e i nati morti: - Riduzione del fumo di tabacco e delle altre cause di inquinamento domestico dell'aria (per esempio, focolari aperti, polveri). - Somministrazione di Progesterone nel caso di minaccia di parto pretermine; è stata infatti dimostrata l’efficacia di questo ormone nella riduzione dell’infiammazione, nell’antagonismo dell'ossitocina, nel mantenimento dell'integrità cervicale, e nel ridurre la formazione di gap-junction. - Supplementazione calorico-proteica alla madre durante la gravidanza per ridurre il ritardo di crescita fetale, l’anemia e l’immunodepressione. - Screening e trattamento della sifilide: nel 2008 il mancato trattamento della sifilide in gravidanza ha portato a circa 305.000 decessi fetali e neonatali e alla nascita di 215.000 neonati ad alto rischio di morte per basso peso, prematurità o altre complicazioni infettive (25). - Trattamento intermittente presuntivo per la malaria durante la gravidanza (IPTp Intermittent Presumptive Treatment in pregnancy). La somministrazione di una singola dose di un anti-malarico efficace (normalmente SulfadoxinaPirimetamina) almeno due volte durante la gravidanza, indipendentemente dalla presenza o assenza di sintomi di infezione. E' stata dimostrata l'efficacia di questo tipo di trattamento nel ridurre il rischio di infezione placentare, il ritardo di crescita intrauterino e l’anemia materna. 14 - Distribuzione e uso di zanzariere trattate con insetticida come profilassi meccanica di malattie trasmesse da insetti, in particolare la malaria nelle zone endemiche. - Miglioramento della consapevolezza e promozione della preparazione al parto a livello di famiglia e di comunità (per esempio migliorare l'accesso alle cure prenatali, identificare il luogo del parto, acquistare in anticipo il materiale, cercare assistenti qualificati, accantonare i soldi per un eventuale trasporto). - Possibilità di ricevere le cure ostetriche di emergenza, in particolare il taglio cesareo d'urgenza. E' considerata fisiologica una percentuale di parti operativi mediante taglio cesareo che va dal 5 al 15%; è stata dimostrata la riduzione della mortalità intrapartum con l'aumentare della percentuale di tagli cesarei fino alla soglia dell’8%; ulteriori aumenti, viceversa, corrispondono ad un incremento di mortalità e morbilità. - Programmazione del parto mediante taglio cesareo in elezione nel caso di presentazioni fetali anomale. - Induzione del parto in elezione nel caso di protrarsi della gestazione oltre il termine (oltre le 41 settimane) (26, 27). Interventi volti a ridurre le complicanze intrapartum Fino al 15% dei parti sono complicati da condizioni potenzialmente fatali. Le complicanze intrapartum sono causa di un importante fardello di mortalità e disabilità materna e neonatale. Anche se spesso non prevedibili, molte di esse possono essere trattate in maniera efficace, a patto di avere una sufficiente copertura ed accessibilità dei servizi ostetrici d'urgenza basici ed avanzati, funzionanti 24 ore su 24, con disponibilità di risorse umane qualificate, farmaci ed equipaggiamento (compresa la possibilità di trasfusioni di sangue), trasporti e comunicazioni (28). Tre sono gli interventi che hanno mostrato una più elevata efficacia sulla riduzione delle complicanze intrapartum: - Ridurre l'intervallo temporale tra l'insorgenza di complicazioni e l'accesso alle cure ostetriche urgenti, migliorando ciascuno dei tre fattori di ritardo (ritardo nel 15 riconoscere il problema, ritardo nel cercare e aver accesso alle cure, ritardo nell'erogazione delle cure una volta raggiunte le strutture sanitarie), con pronto riconoscimento della compromissione fetale (monitoraggio del battito cardiaco fetale intermittente con fetoscopio, monitoraggio della progressione del parto con partogramma) e rapido espletamento del parto, se necessario con taglio cesareo; a questo proposito si discute la possibilità di istruire all'esecuzione di taglio cesareo urgente personale sanitario non medico (8). - Garantire la presenza di personale competente e del materiale necessario alla rianimazione neonatale. Si stima che il 5-10% dei neonati che vengono alla luce in strutture sanitarie necessitino di manovre rianimatorie (3-6% richiede stimolazione e ventilazione a pressione positiva, mentre solo lo 0,1% ha bisogno di rianimazione avanzata con intubazione endotracheale e/o somministrazione di farmaci). Uno studio effettuato in sei stati africani evidenzia che solo il 15% delle strutture sanitarie possiede l'equipaggiamento e le risorse umane per l'esecuzione della rianimazione neonatale di base (30) e che essa, se garantita in tutte le strutture sanitarie nei paesi a basso e medio reddito, potrebbe evitare circa il 30% delle morti neonatali (31). Esempi virtuosi, a questo proposito, sono i programmi internazionali quali l'“Helping Babies Breath Action Plan” (HBB) dell'American Academy of Pediatrics (31), un semplice algoritmo che si focalizza sullo stabilire un'efficace attività ventilatoria entro il primo “Golden Minute” attraverso la stimolazione tattile o la ventilazione con pallone e maschera. - Permettere l'accesso alle cure post-rianimazione attraverso il trasferimento presso unità di Neonatologia di un ospedale in cui si possano garantire il supporto respiratorio, l'adeguato apporto di fluidi e glucosio e assicurare l'omeostasi termica (26, 27). Interventi volti a migliorare la sopravvivenza del neonato prematuro: Il rischio di morte neonatale dovuta alle complicazioni della prematurità è almeno 12 volte maggiore per un neonato africano che per uno europeo. Circa 3 quarti di questi decessi potrebbero essere evitati con cure poco costose e non invasive; 16 un'ulteriore riduzione potrebbe avvenire attraverso l'istituzione di Unità di Terapia Intensiva Neonatale. Gli interventi che hanno dimostrato efficacia nel ridurre la mortalità dei neonati prematuri sono: - Somministrare la profilassi steroidea antepartum alla madre per migliorare la maturità polmonare e ridurre il rischio di emorragia intracranica nel neonato. - Somministrare la profilassi antibiotica alla madre nel caso di rottura prematura delle membrane per ridurre il rischio di infezioni neonatali. - Somministrare la supplementazione di vitamina K per via intramuscolare a tutti i neonati per evitare la malattia emorragica del neonato. - Trattare la sepsi neonatale e la polmonite sul territorio con antibiotici orali qualora non sia possibile un rapido trasferimento in ospedale per la terapia parenterale ottimale. - Ritardare il clampaggio del cordone ombelicale di circa 30 secondi dopo la nascita; questa procedura garantisce un maggior volume di sangue circolante, minore necessità di trasfusioni e minore incidenza di emorragie intraventricolari. - Utilizzare aria ambiente (e non FiO2 superiori al 21%) per la ventilazione a pressione positiva durante la rianimazione del neonato in sala parto. - Incoraggiare la kangaroo-mother care (contatto pelle a pelle, allattamento al seno esclusivo a richiesta, dimissione precoce con adeguato follow-up) in ospedale; il beneficio della pratica della canguroterapia sul territorio, invece, risulta meno evidente. - Incoraggiare l'allattamento al seno precoce: questo unisce i benefici in termini nutrizionali e immunologici dell'assunzione del colostro materno a quelli dovuti all'incremento della produzione del latte, alla più rapida involuzione uterina che consegue alla stimolazione della ghiandola mammaria e al rafforzamento del legame madre-figlio. - Garantire l'omeostasi termica del neonato subito dopo il parto, attraverso la pratica delle normali manovre di accudimento (in particolare l'asciugatura) in un ambiente a temperatura adeguata, del contatto pelle a pelle e dell'utilizzo di 17 presidi a basso costo quali i sacchetti di plastica per evitare un'eccessiva dispersione termica. - Utilizzare surfactante artificiale di origine bovina e supporto ventilatorio non invasivo (cPAP) nei casi di immaturità polmonare e Respiratory Distress Syndrome (26, 27). Altri interventi volti a migliorare la salute materna e/o neonatale: Altri cinque interventi, pur non incidendo direttamente sulla percentuale di parti prematuri e di nati morti, né sulla sopravvivenza dei neonati pretermine, hanno dimostrato una notevole efficacia sulla salute della madre e del neonato: - Incoraggiare la pianificazione familiare e il distanziamento delle nascite, con intervalli di almeno 24 mesi tra un parto e l'altro. - Assumere folati nel periodo periconcezionale; è dimostrato che questa pratica riduce l'incidenza delle malformazioni del tubo neurale del 50-70%. - Arricchire la dieta materna con micronutrienti (ferro, folati, zinco), per ridurre la prevalenza di neonati piccoli per l'età gestazionale e di anemia materna. - Effettuare lo screening e il trattamento batteriuria asintomatica, per ridurre la prevalenza di neonati piccoli per l'età gestazionale e la morbidità materna. - Garantire la copertura vaccinale contro il tetano per evitare i casi, non molto frequenti ma letali, di tetano neonatale (26, 27). Risulta quindi evidente come sia necessaria la continuità delle cure, ovvero l'integrazione tra i provvedimenti volti a migliorare la salute materna, le cure antenatali, la sicurezza durante il parto e nel periodo perinatale, la salute infantile. Nell'elaborazione di politiche e nella scelta degli interventi più efficaci nella realtà dei diversi Paesi è indispensabile che siano rispettati sei criteri: - semplicità, ovvero non necessità di complessi sistemi di distribuzione; - compatibilità con i sistemi di prevenzione e di trattamento già esistenti; - impatto sulla salute pubblica in termini di mortalità e morbidità; - osservabilità, ovvero facilità di monitoraggio e di valutazione dell'impatto; - costo, ovvero sostenibilità delle spese necessarie; 18 - vantaggio relativo rispetto ad altri interventi rivolti allo stesso problema (32). Nel rispetto di questi principi è importante privilegiare gli interventi che, migliorando l'accessibilità ai servizi sanitari, riducano le disuguaglianze tra le popolazioni ricche e quelle povere (33). La mortalità materna, quella neonatale e l'accesso ai servizi per la salute riproduttiva sono tra i principali indicatori del livello di disuguaglianza sociale tra paesi sviluppati e paesi meno sviluppati e, all'interno di ogni singolo paese, tra ricchi e poveri (34). Risulta evidente come sia necessario garantire la disponibilità di servizi sanitari di qualità accessibili equamente a tutta la popolazione, indipendentemente dal livello sociale, di istruzione, economico (32, 35). Ad ostacolare l'accesso delle donne all'assistenza sanitaria, oltre all’inadeguato funzionamento del sistema sanitario, ci sono impedimenti di natura finanziaria, quali la mancanza di denaro, l'eccessiva distanza dai centri sanitari, la scarsità di mezzi di trasporto e barriere di tipo sociale e culturale, quali l'insufficienza di informazioni sulla salute riproduttiva e lo scarso livello di autonomia decisionale delle donne in ambito familiare. Risulta quindi indispensabile l'elaborazione di strategie per aumentare, a livello di comunità, la domanda per servizi sanitari materno-infantili di qualità; per rendere possibile l'affrontare la spesa per le cure, tramite forme di assicurazione, prestiti di emergenza, incentivi finanziari per chi chiede cure. A livello di politica sanitaria questo processo passa attraverso lo sviluppo delle competenze e la formazione del personale sanitario (medici, infermieri, ostetriche) e parasanitario (aiuto-infermieri, community healt workers, traditional birth attendants), ma anche attraverso l'elaborazione di strategie organizzative del sistema sanitario cooperazione tra pubblico e privato (36). Ancora una volta è importante sottolineare la necessità di ottenere dei dati epidemiologici attendibili con stime periodiche delle NMR, informazioni sulle cause della mortalità neonatale e sull'impatto dei provvedimenti adottati per poter incrementare il coinvolgimento politico a livello locale e globale e migliorare la razionalità e l'efficacia degli interventi intrapresi (29). 19 1.4 LA SITUAZIONE ATTUALE NEI PAESI AFRICANI E IL CASO DEL BURUNDI Cenni sulla situazione dei sistemi sanitari nei Paesi Africani sulla base del Report W.H.O. 2012 (37) E' cosa tristemente nota come il continente africano, in particolare l'Africa SubSahariana, si trovi in uno stato di povertà, che in alcuni Paesi diventa povertà estrema. Numerose sono le cause di questa situazione che appare inveterata nel tempo: colonialismo, neocolonialismo, guerre, instabilità politica, corruzione, dittature, catastrofi naturali e climatiche; un'analisi, anche solo superficiale, delle cause di questo problema esula dagli obiettivi di questo lavoro. Dal punto di vista del sistema sanitario, questa povertà di risorse umane e materiali porta, tra le altre, a due conseguenze molto significative: - I sistemi sanitari africani sono spesso fragili e frammentati, a causa della palese scarsità di strutture, di personale sanitario competente e motivato, di farmaci ed equipaggiamenti, di risorse finanziarie, di sistemi informativi efficienti e di competenze tecniche nell'ambito della programmazione e della gestione a livello distrettuale. Questo porta a un'insufficiente copertura dei servizi, in particolare di quei servizi che richiedono personale sanitario qualificato disponibile 24 ore su 24, e a un'insufficiente qualità delle prestazioni erogate, con il risultato di cure tardive, spesso inefficaci e talvolta pericolose. - Un livello di iniquità, ovvero di diseguaglianza sociale, che, presente a livello globale tra Paesi ricchi e Paesi poveri, diventa evidente anche a livello locale, con differenze notevoli di accessibilità ai servizi sanitari da parte delle diverse fasce socioeconomiche della popolazione. Periodicamente l'Organizzazione Mondiale della Sanità pubblica i dati statistici ed epidemiologici che riguardano i singoli Stati e le Regioni del mondo. Pur nella consapevolezza della moderata affidabilità di questi dati, è possibile tentare di raffrontare gli indici che mirano a dare un'immagine globale della situazione sociale e sanitaria di ciascun Paese; è inoltre possibile, comparando la variazione dei dati nel tempo, osservare i cambiamenti in atto e valutare l'efficacia delle politiche volte 20 al miglioramento della situazione. L'ultimo Report, da cui sono tratti i dati che vengono discussi in questo capitolo, è stato terminato nel 2012. Tra i dati demografici, l'aspettativa di vita alla nascita e l' aspettativa di vita a 60 anni indicano il numero di anni che mediamente spettano da vivere, rispettivamente, a una persona che nasce oggi e ad una altra che oggi compie sessant'anni. Il primo parametro è ovviamente più fortemente influenzato dalla mortalità neonatale e infantile. Nel mondo l'aspettativa di vita alla nascita è di 66 anni per gli uomini e 71 anni per le donne (in Italia è di 79 e 84 anni rispettivamente); negli anni tra il 1990 e il 2009, grazie al miglioramento dei sistemi sanitari e più in generale delle condizioni di vita, si è registrato nel mondo un aumento medio dell'aspettativa di vita di circa 4 anni. A fronte di ciò risulta evidente come l'Africa, con un'aspettativa di vita alla nascita di 52 anni per gli uomini e 51 per le donne, non solo abbia valori molto inferiori a quelli medi mondiali, ma anche non abbia mostrato miglioramento negli anni tra il 1990 e il 2009: da 49 a 52 anni per gli uomini, ma sempre 51 anni per le donne. A differenza del resto del mondo, inoltre, non si registra un'aspettativa di vita maggiore per le donne rispetto agli uomini, verosimilmente a causa della mortalità e morbilità collegate alla riproduzione. In Burundi, se possibile, la situazione è ancora peggiore, con un'aspettativa di vita di 49 anni per gli uomini e di 51 anni per le donne e nessun miglioramento negli ultimi 20 anni, probabilmente a causa dei numerosi decessi per trauma e per guerra, cosa che potrebbe giustificare l’aspettativa di vita alla nascita leggermente superiore per le donne, differentemente da quanto registrato negli altri Paesi della regione africana (Tab. 6, 7). Entrambi i sessi Maschi Femmine 1990 2009 1990 2009 1990 2009 Burundi 50 50 48 49 51 51 Africa 51 54 49 52 51 51 Italia 77 82 74 79 80 84 Mondo 64 68 62 66 66 71 Tabella 6: Aspettativa di vita alla nascita (anni). 21 Entrambi i sessi Maschi Femmine 1990 2009 1990 2009 1990 2009 Burundi 15 15 14 14 15 15 Africa 15 15 14 14 16 16 Italia 21 25 19 22 23 26 Mondo 18 19 16 18 19 21 Tabella 7: Aspettativa di vita a 60 anni (anni). Indicatori particolarmente utili per una valutazione complessiva delle condizioni di vita e dello stato del sistema sanitario in un Paese sono la mortalità materna e quella perinatale. La mortalità materna indica il numero di donne decedute ogni 100.000 parti. La mortalità neonatale, invece, indica il numero di decessi entro i primi 28 giorni di vita ogni 1000 neonati nati vivi e costituisce ovunque una parte consistente della mortalità infantile. La stillbirth ratio indica infine il numero di neonati nati morti ogni 1000 parti: pur essendo un dato generalmente sottostimato, dà conto di morti spesso evitabili, in particolare per quanto riguarda i decessi intrapartum. La mortalità materna in Africa conta 480 decessi ogni 100.000 madri ed è più che doppia rispetto alla media mondiale (210 decessi ogni 100.000 madri); essa mostra tuttavia un trend in miglioramento, essendo oggi quasi dimezzata rispetto ai dati del 1990. Non altrettanto si può dire del Burundi, che attualmente mostra una mortalità materna di 800 morti ogni 100.000 madri, quasi quadrupla rispetto alla media mondiale e poco meno che doppia rispetto a quella africana; la riduzione negli ultimi 20 anni, inoltre, appare molto più modesta di quella registrata in altri Paesi, con un calo di appena il 27% (Tab.8). 1990 2010 Burundi 1100 800 Africa 810 480 Italia n.d. 4 Mondo 400 210 Tabella 8: Mortalità materna (madri morte ogni 100.000 neonati nati vivi). La mortalità neonatale, come già discusso in precedenza, risulta drammaticamente 22 elevata nei Paesi africani, con una media di 34 decessi ogni 1000 nati vivi, pur in calo rispetto al passato (- 19% tra il 1990 e il 2010). In Burundi l'NMR è attualmente stimata a 42 decessi ogni 1000 nati vivi, quasi il doppio della media mondiale, con un calo negli ultimi 20 anni inferiore al 15% (Tab.9). 1990 2009 Burundi 49 42 Africa 42 34 Italia 6 2 Mondo 32 23 Tabella 9: NMR (Neonatal mortality rate, neonati morti ogni 1000 nati vivi), 2010. La stima del numero dei neonati nati morti risulta essere, per l'Africa e per il Burundi, di circa 28 nati morti ogni 1000 nati, ovvero il 150% della media mondiale, e più di nove volte quella di Paesi sviluppati come l'Italia (Tab.10). Burundi 28 Africa 28 Italia 3 Mondo 19 Tabella 10: Stillbirth ratio (nati morti ogni 1000 nati), 2009. Lo stato di salute e nutrizione della popolazione infantile è descritto da una serie di dati, tra cui le nude cifre di mortalità infantile (decessi di lattanti di età inferiore all'anno e decessi di bambini di età inferiore a 5 anni ogni 1000 nati vivi), le principali cause di morte, la percentuale di bambini malnutriti e sottopeso. La mortalità infantile in Africa è attualmente stimata attorno ai 75 decessi ogni 1.000 nati vivi per i lattanti e 119 decessi ogni 1.000 nati vivi per quanto riguarda i bambini sotto i 5 anni. In entrambi i casi si tratta di numeri circa doppi rispetto alla media mondiale, seppur in calo rispetto ai dati del 1990 (-28% e -30%, rispettivamente). I dati del Burundi sono peggiori, sia in termini assoluti, con una mortalità sotto 23 l'anno dell'88 per mille e una mortalità sotto i 5 anni pari a 142 per 1000, sia in termini di ridotto miglioramento nel tempo (tra il 1990 e il 2010 si è registrato un calo del 20% e del 22% rispettivamente) (Tab. 11-12). 1990 2010 Burundi 110 88 Africa 104 75 Italia 8 3 Mondo 61 40 Tabella 11: Mortalità infantile <1 anno (lattanti <1 anno morti ogni 1000 nati vivi). 1990 2010 Burundi 183 142 Africa 172 119 Italia 10 4 Mondo 88 57 Tabella 12: Mortalità infantile <5 anni (bambini <5 anni morti ogni 1000 nati vivi). Il registro delle cause di morte per i bambini deceduti sotto i 5 anni di età, per quanto spesso contenente dati moderatamente attendibili, dà importanti indicazioni sullo stato di salute della popolazione, sulla situazione del sistema sanitario e, più in generale, sulle condizioni di vita della popolazione. In Africa si ha una netta prevalenza delle malattie infettive (nell'ordine, polmonite, diarrea, malaria, HIV, morbillo), che complessivamente causano il 48% delle morti in età infantile; in Burundi questa percentuale è lievemente minore, in quanto i decessi per malaria contano solo per il 4% del totale (contro il 15% della media africana), ma per contro si ha una più elevata percentuale di morti per malattie quali polmonite (19% contro 17%) e diarrea (15% contro 11%). Mentre i decessi per infezione risultano globalmente in riduzione, aumentano percentualmente i decessi dovuti a patologie tipiche dell'età neonatale, quali prematurità, asfissia e sepsi neonatale, malformazioni (Tab. 13). 24 HIV 2000 diarrea morbillo malaria polmonite 2010 2000 2010 2000 2010 2000 2010 2000 2010 Burundi 7 6 17 15 2 0 4 4 21 19 Africa 6 4 13 11 8 1 16 15 16 17 Italia 0 0 0 0 0 0 0 0 2 1 Mondo 3 2 12 10 5 1 7 7 19 18 prematurità asfissia neon. sepsi neon. malformazioni traumi/altro 2000 2010 2000 2010 2000 2010 2000 2010 2000 2010 Burundi 11 13 8 9 7 8 2 3 21 25 Africa 11 12 7 9 5 5 3 5 16 21 Italia 33 23 9 8 2 2 3 3 21 36 Mondo 15 17 10 10 6 6 6 7 19 21 Tabella 13: Cause di mortalità infantile <5anni (% sui decessi). In Burundi la percentuale di bambini di età inferiore ai 5 anni che soffre la fame raggiunge cifre davvero agghiaccianti, con la malnutrizione che colpisce il 58% della popolazione infantile e un ulteriore 35% di bambini sottopeso (più del doppio della media mondiale). Questo dato, oltre ad essere terribile in sé, evidenzia come la popolazione infantile sia pesantemente esposta a patologie e rischi sociali di cui la malnutrizione e la povertà sono cause indirette (Tab.14). Neonati LBW Latte materno esclusivo a 6 mesi Bambini < 5anni malnutriti Bambini < 5 anni sottopeso Burundi 11 45 58 35 Africa 13 33 n.d. n.d. Italia n.d. n.d. n.d. n.d. Mondo 15 37 27 16 Tabella 14: Malnutrizione infantile (% nelle diverse popolazioni). Una serie di dati particolarmente interessanti per quanto riguarda l'organizzazione, le risorse e l'accessibilità del servizio sanitario è quella che riguarda la copertura della popolazione per un determinato servizio, ovvero la percentuale di persone che effettivamente usufruisce di un determinato servizio rispetto al totale della popolazione che potrebbe avvantaggiarsene. I servizi che comunemente vengono monitorati sono l'assistenza ostetrica (visite 25 prenatali, parti assistiti, prevenzione della trasmissione verticale dell'HIV) e le vaccinazioni. In Africa circa la metà dei parti avviene in strutture sanitarie o comunque con l'assistenza di personale qualificato (in Burundi circa il 60%). L'accesso al parto assistito è un indicatore indiretto del funzionamento di un sistema sanitario nel suo complesso, perché implica la presenza di servizi ostetrici di qualità, basici e avanzati funzionanti 24 ore su 24 e la disponibilità costante di risorse umane qualificate, farmaci, equipaggiamento e la presenza di una rete di trasporti e comunicazioni (Tab.15). >1 visite prenatali Parti assistiti Prevenzione tetano neonatale Donne HIV+ che ricevono antiretrovirali per evitare MTCT Burundi 99 60 94 34 Africa 74 48 84 50 Italia 98 100 n.d. n.d. Mondo 81 69 84 48 Tabella 15: Copertura dei servizi sanitari (% sulla popolazione) (MCTC: mother to child trasmission). La copertura vaccinale in Africa è discreta, superiore al 72% per tutti i patogeni presi in considerazione (morbillo, difterite, tetano, pertosse, epatite B, Hemophilus influenzae); questi dati sono leggermente inferiori alla media mondiale per quanto riguarda morbillo e DPT, ma addirittura superiori per l'HBV e l'Hib3. In Burundi la copertura vaccinale è ottima, paragonabile a quella garantita in Paesi sviluppati quali l'Italia (Tab.16). morbillo DTP HBV HIb3 Burundi 92 96 96 96 Africa 78 79 78 72 Italia 90 96 96 95 Mondo 85 85 75 42 Tabella 16: Percentuale di bambini >1 anno vaccinati. Un'ultima serie di dati riguarda solo indirettamente l'assistenza sanitaria garantita: si 26 tratta di informazioni sulle infrastrutture (accesso all'acqua pulita e ai servizi igienici) e sull'impegno economico da parte di ciascuno Stato per garantire un adeguato sistema sanitario ai propri cittadini (spesa per la salute in percentuale sul Prodotto Interno Lordo e percentuale della spesa per la salute sostenuta da risorse estere). Nel continente africano l'accesso all'acqua pulita e ai servizi igienici è ancora un privilegio, essendo garantito solo al 65% e il 37% della popolazione rispettivamente. In Burundi la situazione è lievemente migliore, con il 72% della popolazione che ha accesso all'acqua pulita e il 46% che può usufruire dei servizi igienici; questa situazione, facilitata dalla posizione idrogeograficamente favorevole dello stato, non ha registrato miglioramenti significativi negli ultimi 20 anni. La spesa per la salute risulta costituire una parte discreta del PIL degli stati africani (in media 6,5% , in Burundi il 11,4%, a fronte di una media mondiale del 9,4%) ma è necessario ricordare come queste cifre siano calcolate sulla base di PIL molto esigui e soprattutto comprendano un ingente contributo estero (in Burundi fino al 45% della spesa sanitaria) (Tab. 17). Accesso all'acqua Accesso ai servizi pulita (% popolazione) igienici (% popolazione) Spesa per la salute (% % spesa sul PIL) salute sostenuta da risorse estere 1990 2010 1990 2010 2000 2009 2009 Burundi 70 72 44 46 6,3 11,4 45,0 Africa 50 65 21 37 5,5 6,5 10,2 Italia 100 100 n.d n.d. 8,0 9,4 0,0 Mondo 76 89 49 63 8,2 9,4 0,4 Tabella 17: Spesa sanitaria e infrastrutture. Cenni geografici, antropologici ed economici del Burundi (38, 39) Il Burundi è un piccolo Paese situato nell’Africa Sub-Sahariana, nella regione dei Grandi Laghi. L’intero territorio del paese è costituito da un altipiano con altitudine media di 1700 m. La forma di governo è la Repubblica presidenziale. Il Presidente svolge il ruolo di 27 Capo del Governo e delle Forze Armate ed è assistito da due Vicepresidenti, di etnia e partiti diversi tra loro. Il Parlamento è costituito da due Camere: l’Assemblea Nazionale (formata da 100 Parlamentari eletti a suffragio diretto e da alcuni membri cooptati) e il Senato (composto da 37-45 Senatori eletti). Il Paese è suddiviso amministrativamente in 17 province e 117 comuni. La maggioranza della popolazione risiede in piccoli insediamenti costituiti da pochi nuclei familiari, sparsi nella zona rurale; la percentuale della popolazione che risiede in agglomerati urbani è modesta (11%); la capitale, Bujumbura, è la città col maggior numero di abitanti (circa 450.000 persone). La popolazione è costituita per l’85% circa da Hutu, per il 14% da Tutsi e per l’1% da Pigmei. La differenziazione tra i diversi gruppi etnici è però piuttosto labile, in quanto tutti condividono lingua, religione, usi e costumi; il dominio coloniale ha spesso marcato l’elemento dell’appartenenza etnica, in una logica di opposizione che è rimasta viva anche dopo l’indipendenza del 1962. La densità abitativa è estremamente elevata (290,7 abitanti/km²), per motivi geografici (la lontananza dalla costa ha mantenuto il Paese al di fuori delle tradizionali rotte di tratta degli schiavi), ma soprattutto a causa di un elevato tasso di crescita demografica (3,1%) a partire dalla metà del XX secolo e dell’ingente numero di profughi rimpatriati negli ultimi anni, in seguito al termine dei conflitti etnici. Il clima è tropicale, con precipitazioni molto abbondanti (>1.400 mm d’acqua/anno, soprattutto tra settembre e maggio). Il clima favorevole permette di effettuare due raccolti l’anno in molte zone del Paese. L’agricoltura è per la maggior parte rivolta all’autoconsumo (arachidi, patate, riso, banane), in minor misura alle coltivazioni per fini commerciali e di esportazione (caffè, cotone, the, palma da olio). L’allevamento di bovini, ovini e caprini è diffuso in tutto il territorio. Gli animali selvatici che popolavano la foresta tropicale (bufali, ippopotami, scimmie, giraffe, zebre) sono pressoché scomparsi dopo la guerra civile, in parte uccisi per fame dalla popolazione, in parte per la riduzione del loro habitat in seguito all’incendio di vaste aree di foresta. L’istruzione primaria (dai 7 ai 12 anni) è gratuita dal 2005; attualmente circa il 90% 28 dei bambini viene iscritto alla scuola primaria (91% dei maschi e 89% delle femmine); l’alfabetizzazione degli adulti sopra i 15 anni è del 67%. Il PIL (Prodotto Interno Lordo) del Paese è di 1,7 miliardi di dollari all’anno (161 dollari pro capite anno). L’indice di sviluppo umano (ISU), parametro complesso costituito da fattori diversi, tra cui scolarizzazione, aspettativa di vita alla nascita, PIL procapite, vede il Burundi al 185° posto su 187 paesi, con un ISU di 0,316 (ISU Italia 2012: 0,874, al 24° posto). Figura 6: Burundi. Superficie: 27.830 km2 Capitale: Bujumbura Sistema politico: repubblica presidenziale Lingue: kirundi e francese (ufficiali), kiswahili Religioni: cattolici (62%), altri cristiani (5%), religioni tradizionali (32%), musulmani (1%) Abitanti: 10.557.000 (stime luglio 2012) Crescita demografica annua: 3,1% Etnie: hutu (bantu) 85%; tutsi (camiti) 14%; twa (pigmei) 1%; europei 3.000; asiatici 2.000 Popolazione urbana: 11% Popolazione che vive sotto il livello di povertà: 70%. Indice di sviluppo umano: 0,316 (185° su 187 paesi) Prodotto interno lordo: 1,7 miliardi di dollari (161 dollari pro capite anno, nel 2011) Crescita economica annua: 4,8%; inflazione: 11%(stime 2012); Risorse naturali: nichel, uranio, terre rare, torba, cobalto, rame, platino, vanadio, niobio, tantalio, oro, tungsteno, caolino, oro terre arabili, risorse idriche Prodotti agricoli: caffè, cotone, tè, mais, sorgo, patate dolci, banane, manioca; carne, latte, pelli Esportazioni: caffè, tè, zucchero, cotone, pelli (106,7 milioni di dollari nel 2011) Importazioni: beni capitali, prodotti petroliferi, cibo (543 milioni di dollari nel 2011) Debito estero: 693 milioni di dollari (stime 2012) Tabella 18: principali dati geografici, demografici ed economici del Burundi (2012) (38). 29 Cenni di storia burundese (38, 39) La storia travagliata di questo piccolo Paese del centro dell'Africa ha inizio nel XIV secolo quando un popolo bantu, gli Hutu, si insedia nella regione ed impone lingua e cultura alla popolazione autoctona, i Twa (pigmei). Nel secolo successivo popolazioni Tutsi, provenienti dall'Etiopia, sottomettono gli Hutu e instaurano la monarchia. Nel 1890 il Regno dell'Urundi è incorporato all'Africa Orientale Tedesca; nove anni dopo viene unito al Rwanda per formare la colonia del Rwand-Urundi. In seguito alla Prima Guerra Mondiale e alla spartizione delle colonie tedesche tra le potenze vincitrici, il Belgio si incarica di governare la regione: appoggia la minoranza Tutsi, divide nuovamente il Rwanda dal Burundi e annette quest'ultimo allo Zaire. Negli anni '50 nascono movimenti nazionalistici, tra cui l'UPRONA (Partito dell'Unità e del Progresso Nazionale). Alla sua guida si ha il Tutsi Louis Rwagasore, che nel 1960 viene nominato primo ministro e assassinato poche settimane dopo. Il primo luglio del 1962 il Burundi, governato da Mwambutsa IV, re docile al Belgio, ottiene l'indipendenza. Gli anni che seguono sono segnati da instabilità politica, violenza e massacri etnici ai danni degli Hutu, che a migliaia fuggono in Rwanda. Nel 1965 gli Hutu vincono le elezioni, ma il re si rifiuta di nominare un primo ministro di questa etnia. L'insurrezione popolare che ne consegue è sedata nel sangue dal capitano Michel Micombero, segretario di stato alla difesa: l'intera élite politica Hutu è massacrata. L'anno successivo, Mwambutsa IV è deposto dal figlio Ntare V, che nomina Micombero primo ministro; in novembre, con un colpo di stato, Micombero abolisce la monarchia, instaura la repubblica, si proclama presidente ed elimina tutti i funzionari Hutu. Nel 1971, 350.000 Hutu vengono uccisi dalla repressione governativa mentre altri 70.000 sono costretti all'esilio. Nel 1972, in seguito all'uccisione del re Ntare V, sono uccisi 200.000 Hutu, mentre altri 200.000 fuggono nei Paesi confinanti; vengono inoltre eliminati tutti gli Hutu dall'esercito. Nel 1976 assume il potere il tenente colonnello Jean-Baptiste Bagaza, con la 30 promessa di far cessare le persecuzioni razziali e creare un governo riformista. Tra le opere del nuovo governo si ha la democratizzazione dell'UPRONA, la ridistribuzione delle terre, la legalizzazione dei sindacati e l'elaborazione della Costituzione (entrata in vigore nel 1981). Nel 1982 si tengono le prime elezioni a suffragio universale; nel 1984 è eletto presidente Bagaza, che prosegue il programma di normalizzazione politica; viene destituito nel 1987 da un colpo di stato per mano del maggiore Pierre Buyoya che scioglie l'UPRONA e sospende la Costituzione. Nel 1988 la rivolta Hutu contro i possidenti terrieri Tutsi viene repressa dall'esercito. In seguito a ciò viene nominato un primo ministro Hutu, Adrien Sibomana, e viene formato un governo con ampia rappresentanza Hutu; ha inizio un programma di aggiustamento strutturale che include la privatizzazione delle imprese pubbliche, la creazione di un tribunale per combattere la corruzione, la fondazione di una Costituzione multipartitica,(entrata in vigore nel 1992). Nel 1993 Melchior Ndadaye, Hutu, fondatore del Fronte per la Democrazia in Burundi (Frodebu), vince le elezioni, ma viene assassinato da soldati Tutsi dopo pochi mesi; la rappresaglia dei membri del Frodebu viene repressa nel sangue dall'esercito. Nel 1994 è eletto presidente Cyprien Ntaryamira, Hutu, che in aprile muore in un attentato contro l'aereo su cui viaggiava insieme al presidente ruandese Juvénal Habyarimana. Inizia il massacro di circa 800.000 Tutsi e Hutu moderati. Viene quindi nominato presidente Sylvestre Ntibantunganya, il quale resta in carica fino al 1996, quando Pierre Buyoya, anch'egli Hutu, prende il potere e sospende la Costituzione. Dopo il golpe Kenya, Rwanda, Tanzania, Uganda, Etiopia e Zaire impongono al Burundi delle sanzioni economiche, che sono revocate nell'anno successivo in quanto, secondo gli osservatori ONU, colpevoli di peggiorare la vita delle popolazioni più povere. Nel 1998 il Parlamento si costituisce in Assemblea Nazionale di Transizione (ANT); i negoziati di pace proseguono senza frutto per gli anni successivi, anche se nel 2000 viene firmato il cessate il fuoco tra il governo burundese e il principale gruppo ribelle hutu, le Forze per la Difesa Democratica (FDD). 31 Nel 2003 l'Hutu Domitien Ndayizeye succede alla presidenza e firma la fine della guerra civile con Pierre Nkurunziza, leader del FDD. Nel 2004 aprile le Forze per la liberazione nazionale (Fnl) depongono le armi, ma in maggio escono dal governo di unità nazionale. I Caschi Blu dell'ONU sostituiscono le forze di pace dell'Unione Africana, mentre proseguono le violenze tra esercito, ribelli e popolazione civile. Nel 2005 viene approvata una nuova Costituzione che stabilisce le proporzioni della rappresentanza etnica in tutte le istituzioni. Il Consiglio nazionale per la difesa della democrazia-Forze per la difesa della democrazia (Cndd-Fdd) vince le elezioni politiche e Pierre Nkurunziza viene eletto presidente. Nel 2006, dopo 13 anni di guerra civile, il governo burundese firma un trattato di cessate il fuoco con le Forze Nazionali di Liberazione. L'anno successivo termina la missione di pace dell'ONU. Nel 2010 si hanno nuove elezioni, con vittoria schiacciante del Cndd-Fdd di Nkurunziza; l'opposizione contesta i risultati. Il presidente delle Forze per la liberazione nazionale (Fln) entra nella clandestinità e cresce la paura di una nuova guerra civile. Negli anni successivi Human Rights Watch denuncia un'escalation della repressione politica del governo. Il nostro studio si inserisce in questo contesto, dove, a cinquanta anni dalla dichiarazione di Indipendenza, il 1 luglio 2012, il Burundi appare ancora privo di prospettive di sviluppo a livello sociale, economico e sanitario. 32 2. IL PROBLEMA DELL’ALIMENTAZIONE DEL NEONATO PREMATURO 2.1 INDICAZIONI E LIMITI DELL’ALLATTAMENTO MATERNO I vantaggi dell’allattamento materno sono ben noti ed hanno portato, negli ultimi tempi, a una sempre più profonda coscienza da parte di tutti gli operatori sanitari della necessità di incoraggiare e favorire il più possibile questa pratica. L’allattamento materno, esclusivo nei primi sei mesi di vita del neonato e complementare fino all’anno di vita e oltre, arreca beneficio al neonato in primo luogo, ma anche alla madre e all’intera società. Attualmente più del 90% delle donne nei Paesi in via di sviluppo e il 50-90% delle donne nei Paesi industrializzati sceglie di iniziare l’allattamento al seno, anche se nel mondo, al compimento del 4° mese di età, solo il 35% dei bambini è ancora nutrito esclusivamente al seno (40). I vantaggi dell’assunzione di latte materno per il neonato derivano innanzitutto dalla protezione immunitaria che esso conferisce grazie al suo contenuto in immunoglobuline e leucociti: diminuisce l’incidenza e/o la severità di molte malattie infettive, tra cui le sepsi neonatali tardive, le meningiti batteriche, la diarrea, le infezioni respiratorie, l’enterocolite necrotizzante (NEC), l’otite media, le infezioni delle vie urinarie. Il latte materno, inoltre, sembrerebbe proteggere da malattie endocrine e metaboliche quali il diabete mellito di tipo 1 e 2, il sovrappeso, l’obesità, l’ipercolesterolemia, da patologie immunologiche e respiratorie quali l’allergia e l’asma, oltre che ridurre il rischio di Sudden Infant Death Syndrome (SIDS) e migliorare lievemente l’outcome a livello cognitivo. Le madri che allattano godono di un più rapido instaurasi del legame madrebambino, oltre a beneficiare di un ridotto sanguinamento postpartum e di una più veloce involuzione uterina grazie alla secrezione di ossitocina che consegue alla stimolazione della mammella; l’allattamento protratto, inoltre, agevola un adeguato distanziamento tra le gravidanze, il recupero al peso pregravidico e riduce il rischio 33 di tumore al seno e dell’ovaio. L’intera società, infine, si avvantaggia di questa pratica, sia in termine di riduzione dei costi di salute pubblica, sia in termini di ridotto impatto ambientale (41). Per tutti questi motivi il W.HO. raccomanda l’allattamento materno esclusivo per almeno 6 mesi sia nei LMICs che nei HICs e incoraggia il protrarsi dell’allattamento materno complementare almeno fino all’anno, sottolineando come non si abbiano evidenze di deficit nutrizionali dovuti all’allattamento protratto, qualora l’introduzione di altri cibi avvenga regolarmente (42). Qualora non fosse possibile l’allattamento al seno, i sostanziali vantaggi del latte materno possono aversi anche con l’alimentazione con latte materno spremuto. Le controindicazioni all’allattamento materno, al contrario, sono davvero poche: condizioni neonatali quali la galattosemia e condizioni materne quali TBC non trattata, esposizione a isotopi radioattivi, farmaci chemioterapici, droghe d’abuso, la presenza di lesioni erpetiche al seno. L’infezione materna da parte del virus dell’HIV/AIDS, costituisce una controindicazione solo nei Paesi sviluppati; nei Paesi poveri, invece, il vantaggio dato dall’allattamento materno, in termini nutrizionali e di difese immunitarie, risulta essere maggiore rispetto al rischio di trasmissione dell’infezione al neonato, soprattutto qualora sia stata effettuata un’adeguata profilassi della trasmissione verticale e l’allattamento materno sia esclusivo (41) . In ultima analisi, nei Paesi poveri il latte materno è un alimento salva-vita (43). 2.2 DEFICIT NUTRIZIONALI NEI NEONATI PRETERMINE E LBW L’obiettivo dell’alimentazione del neonato pretermine è una crescita postnatale simile a quella del feto normale della stessa età gestazionale, sia come indici antropometrici, sia come composizione corporea (44). La letteratura e l’esperienza clinica mostrano come il ritardo di crescita extrauterino sia la regola piuttosto che l’eccezione nei neonati prematuri ed aumenti col diminuire dell’età gestazione e del peso alla nascita; questo è particolarmente vero 34 per quanto riguarda i neonati affetti da patologie che vanno oltre la semplice prematurità. E’ dimostrato che la quasi totalità dei neonati che nascono piccoli per l’età gestazionale (Small for Gestational Age, SGA) restano tali nel periodo neonatale, mentre una significativa parte dei neonati nati di peso normale per l’età gestazionale (Appropriate for Gestational Age, AGA) vengono successivamente dimessi con peso inferiore al 10° percentile per età corretta. Il fabbisogno calorico-nutrizionale del feto non si interrompe con la nascita per cui, se l’apporto di nutrienti non viene iniziato immediatamente, il neonato entra in uno stato catabolico (45). La nutrizione enterale e parenterale che ricevono normalmente i neonati di peso molto basso ed estremamente basso (Very Low Birth Weight, VLBW, e Extremely Low Birth Weight, ELBW), comparata con l’apporto di nutrienti che il feto della medesima età gestazionale riceve in utero, risulta in deficit calorico-proteici sostanziali che persistono per settimane e sono direttamente collegati alla restrizione di crescita postnatale (46). Oltre al generico ritardo di crescita è evidente come deficit specifici in momenti critici dello sviluppo limitino la crescita di componenti fondamentali con conseguenze a lungo termine (45). E’ quindi necessario cominciare un’alimentazione completa subito dopo la nascita e mantenerla nelle settimane seguenti per permettere una velocità di crescita postnatale simile a quella fetale ed evitare il deficit calorico-proteico. La somministrazione di quantità di nutrienti adeguate per il mantenimento e la crescita è raramente raggiunta durante i primi giorni di vita e altrettanto raramente mantenuta nelle successive settimane di ospedalizzazione. I neonati pretermine quasi invariabilmente accumulano un significativo deficit di nutrienti che è destinato a non venire colmato da una nutrizione pur corrispondente all’apporto calorico-nutrizionale raccomandato dalla letteratura (Recommended Dietary Intake, RDI). Le linee guida per l’alimentazione dei neonati pretermine, infatti, tendono a sottostimare la quota energetico-proteica necessaria per colmare il deficit che quasi invariabilmente si crea nei primi giorni di vita dei neonati prematuri, con conseguente mantenimento del ritardo di crescita postnatale (47). 35 Spesso i neonati non tollerano un’alimentazione enterale completa, cioè che soddisfi i normali bisogni metabolici e nutrizionali, per periodi piuttosto lunghi dopo la nascita (14-21 giorni) (48). In questi casi si rende indispensabile l’alimentazione parenterale (45) che a sua volta però può creare dei problemi: l’assenza di alimento nel tratto gastrointestinale, infatti, causa atrofia della mucosa e dei villi intestinali e riduce la produzione degli ormoni trofici nella bocca e nello stomaco e degli enzimi necessari per la digestione e l’assorbimento dei substrati; si possono avere deficit immunitari dovuti alla diminuzione della produzione di immunoglobuline (soprattutto IgA) da parte delle placche di Peyer e all’aumento di molecole pro infiammatorie con aumento del rischio di enterocolite necrotizzante (NEC) (45); sono frequenti inoltre complicazioni metaboliche quali ittero colestatico, oltre a rischi potenziali infettivi e ai problemi associati ad un accesso venoso centrale. L’alimentazione trofica o minimal enteral feeding (MEF) prevede, accanto all’alimentazione parenterale con scopo nutritizio, la somministrazione di piccole quantità di alimento per os (5-25cc/kg/die), con lo scopo di mantenere il trofismo del tratto gastrointestinale. Questo tipo di intervento diminuisce l’intolleranza alimentare, abbrevia il tempo necessario per arrivare a somministrare una nutrizione enterale completa, aumenta la secrezione di gastrina e la maturazione dell’intestino tenue, migliora la crescita ponderale e riduce la necessità di fototerapia. Sembra ragionevole iniziare la MEF in 1ª-2ª giornata di vita, con somministrazione dei pasti in boli molto lenti piuttosto che in alimentazione enterale continua, aumentando progressivamente la quota giornaliera con incrementi inferiori ai 20cc/kg/die. E’ necessaria prudenza nei casi in cui si abbia una marcata ipossia o un ridotto flusso ematico intestinale come nei casi di asfissia severa e insufficienza multiorgano (45). Una crescita extrauterina soddisfacente, nel caso di neonati pretermine, richiede quindi un apporto adeguato e bilanciato dei principali nutrienti. L’Ossigeno, inoltre, è necessario per tutti i processi metabolici. L’ipossia fetale e neonatale fa diminuire la sintesi delle proteine più di quanto ne diminuisca il catabolismo, portando a una riduzione complessiva dell’accrescimento. Il rischio di restrizione della crescita risulta quindi più elevato nel caso di neonati anemici, 36 mantenuti in uno stato di relativa ipossia nel giusto tentativo di limitare la ben nota la tossicità dell’Ossigeno (45). Fabbisogno di carboidrati: La necessità di glucosio è proporzionalmente più elevata nelle fasi più precoci dello sviluppo fetale: infatti è il cervello l’organo che proporzionalmente consuma più glucosio, e con il procedere dello sviluppo esso costituisce una percentuale sempre minore del peso complessivo del feto. Il fabbisogno di glucosio, quindi, è stimato attorno a 6-8 mg/kg/minuto nei feti di circa 28 settimane, per poi ridursi progressivamente fino ai 3-5 mg/kg/minuto nei neonati a termine. Un corretto apporto glucidico nelle prime settimane di vita extrauterina è cruciale, oltre che per assicurare una crescita soddisfacente, per permettere il mantenimento di una glicemia adeguata. E’ infatti dimostrato con sempre maggiore evidenza come l’ipoglicemia, soprattutto se cronica, porti a lungo termine a ridotti sviluppo e crescita cerebrale, con peggioramento del quoziente intellettivo (IQ) nelle età successive. D’altro canto l’iperglicemia, causata principalmente da un’eccessiva somministrazione di glucosio e dalla liberazione di ormoni controinsulari in situazione di stress, è un evento che a sua volta limita la capacità dell’organismo di utilizzare il glucosio a causa della progressiva riduzione della sensibilità al glucosio e all’insulina; essa inoltre espone il neonato al rischio della disidratazione per eccessiva diuresi osmotica (49). I carboidrati rappresentano la più comune fonte di supplementazione calorica fornita ai neonati pretermine. Nei primi giorni di vita i neonati LBW possono avere difficoltà a digerire il lattosio a causa dell’ancora insufficiente attività delle lattasi presenti nella mucosa intestinale; la permanenza di lattosio non digerito nell’intestino può quindi causare un’abnorme proliferazione di batteri patogeni con rischio di traslocazione batterica. Le glicosidasi per la digestione dei polisaccaridi sono invece attive fin dai primi giorni di vita anche nei neonati prematuri, per cui è consigliabile arricchire il latte materno destinato ai neonati LBW con polisaccaridi che, oltre ad essere meglio digeriti, mostrano una minore attività osmotica rispetto a molecole più semplici, limitando il rischio di diarrea osmotica (44). 37 Fabbisogno di proteine Aminoacidi e proteine sono necessari, oltre che per la crescita e la sintesi proteica, per la trasmissione di segnali metabolici, immunologici ed endocrini. Il fabbisogno proteico nella vita fetale va gradualmente riducendosi con l’aumentare dell’età gestazionale, cosicché un neonato pretermine di 24-30 settimane ha bisogno di circa 3,6-4,8 g di proteine/kg/die, mentre un neonato di 30-36 settimane necessita di 2-3 g di proteine/kg/die, che si riducono a 1,5-2 g di proteine/kg/die nel caso di un neonato a termine (45). I neonati che non ricevono un adeguato apporto proteico già dai primi giorni di vita sono destinati ad accumulare quotidianamente un deficit di circa 2,5-3,1 g di aminoacidi pro chilo (0,6-1,2 g di proteine/kg/die per il catabolismo proteico, cui vanno sommati circa 1,9 g di proteine/kg/die del mancato deposito). Il deficit proteico e la conseguente mobilizzazione di proteine endogene si traducono in debolezza muscolare e ridotta funzione immunitaria, situazione pericolosa in neonati già molto fragili dal punto di vista respiratorio e inclini alle infezioni (48). Un’alimentazione che, pur fornendo un’elevata quantità di energia sotto forma di carboidrati, non garantisce un apporto proteico proporzionalmente adeguato, può causare ha una alterazione della composizione corporea, con un aumento sproporzionato della massa grassa. E’ stato dimostrato invece come un elevato apporto calorico (fino a 150 Kcal/kg/die) e proteico (fino a 4,2g/kg/die) permetta una crescita adeguata ed armonica e sia sostanzialmente ben tollerato (50). Un ulteriore aumento dell’apporto proteico, invece, non sembra migliorare la crescita, forse perché eccede la capacità di utilizzo delle proteine del neonato pretermine, e può portare ad acidosi metabolica e a iperazotemia (51); un aumento dell’apporto energetico fornito dai carboidrati, pur con un apporto di proteine adeguato, invece, causa la crescita eccessiva della massa grassa (50). Le fortificazioni del latte materno e i latti formulati per pretermine attualmente forniscono circa il 15% del loro contenuto calorico sotto forma di proteine, costituite per lo più da sieroglobuline (60%, più simili alle proteine del latte umano) e caseina (40%) (40). 38 Fabbisogno di lipidi La crescita fetale comporta un considerevole deposito di grassi. Si stima che il fabbisogno giornaliero di lipidi durante l’accrescimento fetale sia di circa 3 g di lipidi/kg/die. Nel latte umano circa il 50% dell’energia è fornito da grassi. Sebbene l’energia fornita dai carboidrati sia più efficace di quella fornita dai lipidi nel promuovere la crescita e l’accumulo proteico e quindi nel risparmiare l’ossidazione delle proteine endogene nei neonati VLBW nutriti per os (50), i grassi, a parità di peso, forniscono una maggiore quantità di calorie e causano una minore liberazione di CO2 in seguito alla loro degradazione, ovvero hanno un minore quoziente respiratorio; inoltre, a differenza delle proteine, non causano problemi metabolici quali iperazotemia e acidosi metabolica (51). Gli acidi grassi a lunga catena polinsaturi (PUFA) omega 3 e omega 6, in particolare l’acido alfa linoleico (ALA), l’acido docosaexaenoico (DHA) e l’acido arachidonico (AA), hanno un ruolo essenziale nello sviluppo del cervello e della retina. La riduzione a lungo termine dell’apporto lipidico porta a deficit di acidi grassi essenziali e ad un peggiore sviluppo neurologico (45). L’assunzione di PUFA omega 3 è spesso insufficiente nelle popolazioni dei Paesi in via di sviluppo, soprattutto tra le donne, i lattanti e i bambini. Il latte materno costituisce un’importante fonte di ALA e DHA e i bambini allattati al seno sono meno a rischio di deficit di questi componenti nutrizionali se i livelli ematici materni sono a loro volta adeguati. L’assunzione di ALA può essere incrementata attraverso l’assunzione di cibi relativamente economici quali l’olio di soia, mentre il DHA è contenuto in buona quantità in alimenti come il pesce (52); si discute l’opportunità e la fattibilità di un supporto nutrizionale alle madri in attesa e in allattamento nei Paesi in cui questa carenza nella dieta sia endemica. Nelle supplementazioni del latte materno e nei latti formulati per neonati pretermine i grassi costituiscono circa il 55-60% dell’apporto calorico totale. Il pattern di acidi grassi presenti in questo tipo di alimenti è attualmente molto simile a quello del latte materno (40), con una predominanza dei trigliceridi a catena media (MTC, il 70%) e di PUFA, in particolare ALA e DHA (circa 30%). I lipidi presenti nel latte materno vengono assorbiti molto bene, probabilmente 39 grazie la presenza di lipasi attivate dai sali biliari. Nei preparati artificiali, invece, per ottenere un assorbimento adeguato, occorre aumentare gli MTC che vengono digeriti anche in presenza di basse quantità di sali biliari (53). Fabbisogno di micronutrienti I neonati prematuri non hanno ancora ben sviluppato i meccanismi di ritenzione del sodio a livello renale, per cui è necessario un apporto giornaliero di Sodio di circa 2,5-4 mEq/kg/die e oltre. Rispetto ai neonati nati a termine, i neonati prematuri hanno anche un maggiore fabbisogno di Calcio (200-250 mg/kg/die) e di Fosforo (110-125 mg/kg/die), per cui alimenti specifici sono arricchiti di questi elementi. Si ha evidenza, comunque, di una migliore ritenzione netta di questi micronutrienti nei neonati alimentati con latte materno rispetto a quelli nutriti con latte formulato per pretermine (54). Il Ferro contenuto nell’organismo alla nascita è inferiore nei nati pretermine rispetto ai nati a termine; inoltre, i piccoli prematuri sono spesso sottoposti a perdite di Emoglobina dovute ai frequenti prelievi. Le fortificazioni e i latti formulati sono normalmente arricchiti con Ferro, ma ugualmente si ha indicazione a fornire questo metallo per os (2-3 mg/kg/die) a partire dai 2 kg o dai 2 mesi di età anagrafica (44). A causa delle ridotte quantità di vitamina K e vitamina D presenti nel latte materno si ha indicazione alla supplementazione di questi elementi, attraverso la somministrazione di vitamina K per via intramuscolare subito dopo il parto e di vitamina D per os nei primi mesi di vita (41). 2.3 EFFETTI A LUNGO TERMINE DEI DEFICIT NUTRIZIONALI NEL PERIODO NEONATALE La difficoltà di assicurare un adeguato apporto di energia e nutrienti ai neonati prematuri esita molto spesso in un deficit di crescita extrauterina. La malnutrizione, soprattutto per quanto riguarda il deficit proteico, interferisce, oltre che con la crescita e lo sviluppo, con la salute nel suo complesso, riducendo le difese immunitarie, la resistenza alle infezioni, le energie disponibili per supportare 40 le funzioni vitali e produce a lungo termine bassa statura, deficit di crescita degli organi, ridotto sviluppo neuro-cognitivo (44). E’ comunque difficile distinguere gli effetti negativi di un ritardo di crescita da malnutrizione dagli innumerevoli altri problemi correlati alla prematurità in sé (48), e si sa ancora poco riguardo all’esistenza di “momenti critici” dello sviluppo dei singoli organi e sistemi in cui un deficit nutrizionale può causare un rallentamento o un danno irrecuperabile. Un’inadeguata nutrizione precoce può avere effetti negativi sullo sviluppo neurologico a lungo termine. La malnutrizione nel periodo di vulnerabilità del cervello esita in un ridotto numero di cellule nervose e di connessioni dendritiche, con conseguenti deficit di comportamento, apprendimento, memoria (55). I bambini affetti da malnutrizione severa hanno mostrato deficit cognitivi e motori, alterazioni del comportamento e disturbi dell’apprendimento scolastico. Il danno cerebrale pare essere imputabile più allo stato di malnutrizione protratta che a episodi acuti di iponutrizione, ma risulta difficile distinguere il danno dovuto alla carenza di energia e nutrienti da quello dovuto all’ambiente, spesso caratterizzato da povertà, scarsa igiene, istruzione mediocre, deprivazione sociale e affettiva (56). Non è ancora ben chiaro quanto sia possibile recuperare il danno cognitivo instauratosi a causa della malnutrizione durante i primi anni di vita. La malnutrizione più o meno severa, spesso inevitabile nei neonati ELBW, contribuisce al ridotto outcome neurologico di questi pazienti. La crescita cerebrale dei neonati pretermine risulta inferiore a quella dei neonati a termine normali; la nutrizione dei neonati con dieta arricchita porta ad avere, in età adolescenziale, cervelli più grandi (in particolar modo il nucleo caudato) e funzioni cognitive migliori (57). Per i neonati prematuri la velocità di crescita durante il ricovero (misurata come g/kg/die o come aumento della circonferenza cranica in cm/settimana) è correlata direttamente con l’outcome a 18 e 22 mesi in termini di crescita staturoponderale, sviluppo neurologico e riospedalizzazione (55); questa associazione persiste anche 41 dopo la correzione per fattori clinici e demografici che potrebbero influenzarla (55). In particolare, è stato dimostrato che è la velocità di crescita postnatale più che l’essere nato piccolo per l’età gestazionale ad essere associata significativamente ad un outcome neurologico sfavorevole all’età di 2 anni (58). 2.4 ALIMENTAZIONE CON LATTE MATERNO FORTIFICATO PER I NEONATI PREMATURI I benefici apportati dall’assunzione del latte materno sono stati confermati anche per quella popolazione un po’ speciale che sono i neonati prematuri. Il latte materno è il miglior alimento per i neonati prematuri, in termini di sviluppo, di maggiori difese immunitarie e di minore morbilità complessiva, ma non soddisfa completamente i loro peculiari bisogni nutrizionali, in particolare per quanto riguarda l’energia, le proteine e i micronutrienti quali Sodio, Calcio e Fosforo, con necessità di somministrare quantità di liquidi molto elevate per ottenere un adeguato apporto di calorie e di nutrienti (41). L’allattamento materno esclusivo non fortificato nei prematuri è stato associato a scarsa crescita e a deficit nutrizionali durante e dopo il periodo di ospedalizzazione (54), per cui è ormai opinione comune che, nel caso dei neonati pretermine, sia indicata la supplementazione del latte materno al fine di aumentarne l’apporto calorico e proteico (59). La fortificazione del latte materno per i neonati prematuri è ormai pratica ben consolidata nei HICs, anche perché è dimostrato che la presenza di deficit nutrizionali vanifica i benefici a lungo termine dati dall’alimentazione con latte materno esclusivo (60). Pur nella diversità dei vari prodotti commerciali, le polveri di supplementazione sono tali per cui, aggiunte al latte materno nella proporzione del 5%, aumentano a 81-85 Kcal/100 mL l’apporto calorico dell’alimento (Tab. 19). 42 Nutrienti Energia (Kcal) Proteine (g) Carboidrati (g) Lipidi (g) Sodio (mEq) Potassio (mEq) Calcio (mg) Fosforo (mg) Cloro (mEq) Magnesio (mg) HMF polvere 100 g 352 16 72 24 6 104 22 68 24 LM pretermine 100 mL +HMF 5% 81 2,1 9,9 3,7 2,2 1,7 29 13 2 4,1 Tabella 19: composizione nutrizionale di HMF di uso comune in Europa (BMF85®, Nestlé) in polvere e diluito al 5% in latte materno pretermine (61). Preoccupazioni riguardo all’utilizzo di fortificanti sono l’eccessiva osmolarità che l’aggiunta di alimenti (costituiti principalmente da destrine) potrebbe conferire al latte materno e la possibilità che la supplementazione possa alterare le caratteristiche immunologiche intrinseche del latte materno. Le sostanze comunemente utilizzate per la fortificazione, una volta disciolte nel latte materno, causano un aumento dell’osmolalità maggiore di quanto ci si potrebbe aspettare dalla composizione di ciascuno dei due alimenti. Questo fatto può essere spiegato dall’attività dell’amilasi presente nel latte materno che induce idrolisi delle destrine contenute nella fortificazione e porta alla formazione di piccole molecole di oligosaccaridi osmoticamente attive. L’eccessiva osmolalità degli alimenti è stata associata a ridotta tolleranza alimentare, aumentata frequenza di scariche alvine, enterocolite necrotizzante e scarsa crescita (62). Per quanto riguarda la possibile alterazione delle caratteristiche intrinseche del latte materno, è stato dimostrato come la fortificazione del latte materno porti al raggiungimento di uno status nutrizionale adeguato senza compromettere il vantaggio in termini di difesa immunitaria e di tollerabilità (54). I neonati alimentati con latte materno esclusivo o predominante, pur crescendo meno rispetto ai controlli nutriti con latte formulato per pretermine, hanno mostrato una minore morbidità, soprattutto per quanto riguarda enterocolite necrotizzante e sepsi tardiva, che ha permesso una dimissione più precoce (54). La minor crescita delle pliche cutanee, accanto alla maggiore ritenzione di azoto, suggerisce che i neonati alimentati con latte materno fortificato abbiano una percentuale di massa magra 43 maggiore rispetto ai controlli, ed è stata dimostrata una maggiore ritenzione di micronutrienti quali Fosforo, Magnesio, Zinco e Rame in questa popolazione (54). La migliore crescita dei neonati nutriti con latte artificiale per pretermine potrebbe essere dovuta al maggior introito proteico rispetto al totale dell’energia fornita, oppure al maggiore assorbimento di grassi nei neonati alimentati con formula. Il latte materno è un alimento mirabile la cui composizione varia secondo i fabbisogni del neonato; si hanno quindi diversità di contenuti in macro e micro nutrienti a seconda dell’età gestazionale cui si è compiuto il parto e del tempo trascorso da esso (Tab. 20). Calorie (Kcal/dL) Preterm Term Grassi (g/dL) Preterm Term Carboidrati (lattosio) (g/dL) Preterm Term Proteine (g/dL) Preterm Term Sodio (mEq/L) Preterm Term Cloro (mEq/L) Preterm Term Potassio (mEq/L) Preterm Term Calcio (mg/L) Preterm Term Fosforo (mg/L) Preterm Term Magnesio (mg/L) Preterm Term 3°giorno 7°giorno 14°giorno 21°giorno 28°giorno 51,4 ± 2,4 48,7 ± 2,0 67,4 ± 1,7 60,6 ± 4,3 72,3 ± 3,0 64,2 ± 3,7 65,6 ± 4,3 68,6 ± 4,0 70,1 ± 3,3 69,7 ± 2,9 1,63 ± 0,23 1,71 ± 0,24 3,81 ± 0,21 3,06 ± 0,46 4,40 ± 0,31 3,48 ± 0,40 3,68 ± 0,40 3,89 ± 0,49 4,0 ± 0,33 4,01 ± 0,30 5,96 ± 0,20 6,16 ± 0,10 6,06 ± 0,18 6,52 ± 0,20 6,21 ± 0,18 6,78 ± 0,19 6,49 ± 0,21 7,12 ± 0,19 6,95 ± 0,27 7,26 ± 0,17 3,24 ± 0,31 2,29 ± 0,07 2,44 ± 0,15 1,87 ± 0,08 2,17 ± 0,12 1,57 ± 0,05 1,83 ± 0,14 1,52 ± 0,06 1,81 ± 0,11 1,42 ± 0,05 26,6 ± 3,0 22,3 ± 2,4 21,8 ± 2,7 16,9 ± 2,8 19,7 ± 2,3 11,0 ± 1,7 13,4 ± 1,8 10,8 ± 1,6 12,6 ± 2,5 8,5 ± 1,8 31,6 ± 2,4 26,9 ± 2,4 25,3 ± 2,2 21,3 ± 2,7 22,8 ± 2,2 14,5 ± 1,5 17,0 ± 1,7 15,2 ± 1,9 16,8 ± 2,8 13,1 ± 2,3 17,4 ± 0,1 18,5 ± 1,0 17,6 ± 0,5 16,5 ± 0,5 16,2 ± 0,5 15,4 ± 0,8 16,3 ± 0,9 15,8 ± 0,6 15,5 ± 0,6 15,0 ± 0,7 208 ± 17 214 ± 38 247 ± 16 254 ± 11 219 ± 12 258 ± 17 204 ± 15 266 ± 25 216 ± 15 249 ± 18 95 ± 7 110 ± 12 142 ± 10 151 ± 18 144 ± 8 168 ± 6 149 ± 13 153 ± 14 143 ± 11 158 ± 13 28 ± 1 25 ± 5 31 ± 1 29 ± 2 30 ± 1 26 ± 2 24 ± 1 29 ± 3 25 ± 1 25 ± 2 Tabella 20: Composizione nutrizionale del latte di madri che hanno partorito a termine e pretermine (64). 44 Il latte di madri che hanno partorito pretermine contiene concentrazioni maggiori di proteine, grassi, sali e minerali e quantità minori di lattosio rispetto a quello prodotto da madri che hanno partorito termine. In entrambi i casi la concentrazione di lattosio e di grassi aumenta col passare dei giorni dal parto, mentre diminuisce quella di proteine e sali. E’ stato dimostrato che la densità calorica e il contenuto di grassi del latte prodotto da madri africane povere e verosimilmente malnutrite sono inferiori rispetto a quelli indicati della letteratura occidentale (62). 2.5 POSSIBILITA’ NEI PAESI IN VIA DI SVILUPPO Gli alimenti che comunemente vengono usati per fornire ai neonati pretermine alimentati con latte materno un adeguato apporto di calorie e nutrienti sono costituiti da polveri fortificanti da aggiungere al latte materno o da latti formulati completi, concepiti per essere somministrati in aggiunta o in alternanza ad esso(59). Il latte materno fortificato e il latte artificiale per prematuri forniscono un apporto calorico-proteico adeguato al neonato solo se somministrato a dosi piuttosto elevate, indicativamente 180 cc/kg/die. Questo regime alimentare è associato a una crescita e a una ritenzione di nutrienti adeguata, a indici biochimici dello stato nutrizionale nella norma e non ha mostrato causare alterazioni metaboliche, anche se è improbabile che possa essere assorbito e metabolizzato completamente (48). Nei Paesi in via di sviluppo la fortificazione del latte materno e l’uso di latti formulati per prematuri sono un’opzione raramente praticabile. Infatti, il costo di tali alimenti è proibitivo, e anche chi potrebbe permetterselo difficilmente può reperirli sul mercato locale. Le uniche possibilità per alimentare in neonati pretermine sono quindi costituite dal latte materno non fortificato somministrato a dosi elevate (il W.H.O. raccomanda 200cc/k/die) (42) e la perfusione con soluzione glucosata al 10%, che fornisce 3,4 Kcal ogni 100 cc. 45 Alcuni studi mostrano crescite discrete con il solo latte materno (65), soprattutto se dato in quantità molto elevate (>300 cc/kg/die) (60), ma si tratta di neonati sopra i 1000 g e i risultati sono direttamente proporzionali all’età gestazionale e al peso alla nascita (66). La maggior parte dei neonati VLBW ospedalizzati nei LMICs si trova in uno stato catabolico cronico. Nell’impossibilità di avere le risorse di cui godono i Paesi sviluppati, sono state elaborate alcune strategie di accudimento e nutrizione dei neonati prematuri che mirano a migliorarne a sopravvivenza e la crescita in maniera efficace e sostenibile. La Kangaroo Mother Care (KMC) è una modalità di cura per neonati di peso anche estremamente basso (>700 g) e di età gestazionale superiore alle 32 settimane. Essa prevede il contatto pelle a pelle del neonato con la madre 24 ore su 24; il piccolo viene quindi posizionato tra i seni materni, in posizione eretta per ridurre il rischio di ab ingestis; viene nutrito esclusivamente con latte materno e riceve supplementazione di vitamine A, D, E e K. La dimissione dall’ospedale avviene precocemente, senza riguardo per il peso, non appena il neonato ha superato il periodo di adattamento alla vita extrauterina, ha guadagnato la stabilità termica in ambiente neutrale ed è in grado di succhiare ed inghiottire adeguatamente. Le madri vengono istruite riguardo alla posizione e all’importanza dell’igiene, dell’allattamento materno, della conservazione del calore; una volta dimesse vengono seguite con un apposito programma di follow-up. Con questa tecnica si sono ottenuti dei buoni risultati per quanto riguarda la sopravvivenza e la morbidità; è però necessario tollerare cali ponderali fino 25% e in seguito un ritmo di crescita molto lento, con recupero peso alla nascita anche dopo una mese (66, 67). Circa il 50% dei pazienti che rientrano nei criteri per essere accuditi con la Kangaroo Mother Care (KMC) necessitano di supplementazione calorico proteica; fattori predittivi di questa necessità sono la gemellarità e la lunghezza alla nascita inferiore ai 42,5 cm. (66). E’ stata sperimentata la supplementazione del latte materno con succo di guyava zuccherato somministrato tramite tazza e cucchiaino, 46 con buona tollerabilità (67). Un’altra strategia di alimentazione è quella che prevede la somministrazione del latte ”posteriore” (hindmilk), il latte estratto al termine della poppata il quale, essendo più ricco in grassi rispetto al primo latte, risulta più denso in calorie. L’estrazione del latte avviene con tiralatte o manualmente; ci sono studi che mostrano come questa tecnica sia efficace nel promuovere una crescita adeguata nei neonati LBW e fattibile nel Paesi in via di sviluppo (68). I protocolli elaborati dal W.H.O. per il trattamento delle persone denutrite prevedono l’utilizzo di integratori alimentari liquidi o solidi. L’integratore liquido, detto F100, è ottenuto mescolando latte scremato in polvere, olio e zucchero con acqua; il preparato fornisce circa 100 Kcal/100cc, ed è arricchito con minerali e vitamine, ma non con Ferro. L’integratore solido pronto all’uso (ready to use food, RTUF) è invece una pasta costituita da burro d’arachidi, zucchero, grassi vegetali, latte scremato in polvere. Fornisce 530-550Kcal/100g ed è arricchito con vitamine e minerali (Tab. 21). Essendo pronto all’uso e confezionata in monodose, è facilmente conservabile senza refrigerazione ed evita il rischio di contaminazione che deriva dal contatto con l’acqua e la necessità di preparazione da parte di personale qualificato, facilitando il trattamento della malnutrizione sul territorio. Gli RTUF, inizialmente fabbricati in Francia (Pumply-Nuts®, della Nutriset®), sono attualmente prodotti in molti Paesi, tra cui Congo, Etiopia, Malawi e Niger. L’uso di questi alimenti pronti all’uso ha permesso il trattamento della malnutrizioni anche in situazioni di catastrofe quali guerre, campi profughi, carestie; sono però, purtroppo, alimenti indicati esclusivamente per lattanti e bambini di età superiore ai 6 mesi (69, 70, 71). Per i neonati e i lattanti di età inferiore ai 6 mesi, il W.H.O. consiglia esclusivamente latte materno. 47 Acqua Energia Proteine Lipidi Sodio Potassio Calcio Fosforo Magnesio Ferro Zinco Rame Selenio Iodio VitaminaA VitaminaD Vitamina E VitaminaK Vitamina B1 Vitamina B2 Vitamina C Vitamina B6 Vitamina B12 Acido Folico Niacina Acido Pantotenico Biotina Acidi grassi omega 6 Acidi grassi omega 3 2,5% massimo 520-550 Kcal 10-12% totale energia 45-60% totale energia Max 290 mg 1,11-1,40 ng 300-600 mg 300-600 mg 80-140 mg 10-14 mg 11-14 mg 1,4-1,8 mg 20-40 µg 70-140 µg 0,8-1,1 mg 15-20 µg Minimo 20 mg 15-30 µg 0,5 mg 1,6 mg 50 mg 0,6 mg 1,6 µg 200 µg 5 mg 3 mg 60µg 3-10% dell’energia totale 0,3-2,5% dell’energia totale Tabella 21 : composizione nutrizionale di RTUFs (Ready to use foods)(69). L’uso di supplementazioni di micronutrienti (vitamine e minerali tra cui Ferro, Zinco, vitamina C, vitamina D3, eccetera) accanto a cibi complementari diversi dal latte materno, è consigliata dai 6 mesi di vita nelle popolazioni a rischio di malnutrizione. E’ stato dimostrato come questa pratica sia sostanzialmente ben accettata dalle madri, migliori l’acquisizione delle tappe motorie a 12 mesi, riduca la morbidità e l’anemia e, nel caso di supplementazioni contenenti anche lipidi, migliori la crescita (72, 73). 48 3. OBIETTIVI DELLO STUDIO E' nota la necessità di assicurare un adeguato apporto calorico, proteico e lipidico ai neonati prematuri e/o di basso peso o con bisogni speciali. Nei HICs, qualora sia possibile disporre di latte materno fresco sono impiegate supplementazioni proteino-caloriche ottenute con metodiche molto sofisticate e complesse; in assenza di latte materno sono comunemente utilizzati latti formulati modificati per ottenere un contenuto calorico proteico e salino superiore a quello dei latti per bimbi nati a termine; nei casi in cui sia sconsigliata l’alimentazione enterale, infine, è possibile ricorrere alla nutrizione parenterale. E' evidente, dalla letteratura e dall'esperienza pratica, la difficoltà, se non l’impossibilità, di ottenere un apporto nutrizionale adeguato alle necessità dei neonati prematuri e/o di basso peso o con bisogni speciali nei LIMCs, in un contesto con risorse estremamente limitate, in cui non sono disponibili né fortificazioni per il latte materno, né latti formulati per prematuri, né i mezzi per la nutrizione parenterale. Abbiamo quindi deciso di valutare la tollerabilità di una supplementazione caloricoproteica da aggiungere al latte materno, ottenuta da materie prime locali, facilmente reperibili e di basso costo, processate con strumenti di comune uso domestico. Obiettivo primario dello studio era valutare la tollerabilità di questa supplementazione, monitorando l'eventuale insorgenza di effetti collaterali attribuibili all'assunzione in età molto precoce di alimenti diversi dal latte materno. 49 4. MATERIALI E METODI 4.1 POPOLAZIONE OGGETTO DELLO STUDIO Sono stati compresi nello studio i neonati di età superiore ai 6 giorni (10 giorni per i bimbi di peso < 1.500 g) ricoverati presso il Servizio di Neonatologia dell'Hôpital Autonome de Ngozi dal 01/06/2012 al 30/11/2012, per un totale di 68 neonati (29 maschi e 39 femmine). Gruppo A: 9 neonati (di cui 4 maschi) di peso alla nascita inferiore o uguale ai 1.000g (media 980 g, peso minimo 920 g). I piccoli erano nati tra le 26 e le 29 settimane di e.g.. Di essi 2 avevano peso inferiore al 10° percentile, 2 inferiore al 25° percentile, 3 intorno al 50° percentile, 2 tra il 50° e il 75° percentile. Nessuno di essi aveva malformazioni visibili. Un neonato presentava Apgar 4 al primo minuto. Gruppo B: 44 neonati (di cui 18 maschi) di peso alla nascita superiore ai 1.000 e inferiore o uguale ai 1.500 g (media 1.280 g). I piccoli erano nati tra le 26 e le 33 settimane di e.g.. Di essi 4 avevano peso inferiore al 10° percentile, 13 inferiore al 25° percentile, 16 intorno al 50° percentile, 7 tra il 50° e il 75° percentile, 4 superiore al 75° percentile. Una neonata figlia di madre HIV positiva non ha ricevuto la profilassi della trasmissione verticale (il dato anamnestico è stato tenuto nascosto dalla madre); un neonato, asfittico alla nascita, ha mostrato malformazioni multiple (frattura del femore bilaterale in utero, micrognazia, sutura metopica chiusa). Cinque neonati presentavano indice di Apgar al 1° minuto inferiore a 6. Gruppo C: 12 neonati (di cui 5 maschi) con peso alla nascita superiore ai 1.500 g e inferiore o uguale ai 2.000 g (media 1.725 g) con calo ponderale importante (>15%) e/o scarso incremento ponderale e/o bisogni speciali. I piccoli erano nati tra le 33 e le 36 settimane di e.g.. Di essi 2 avevano peso inferiore al 10° percentile, 5 inferiore al 25° percentile, 4 intorno al 50° percentile, 1 tra il 50° e 75° percentile. Di essi 50 uno era affetto da sindrome di Down, uno figlio di madre adolescente (13 anni) affetta da malaria. Nessuno di essi aveva storia di sofferenza perinatale. Gruppo D: 3 pazienti (di cui 2 maschi) con peso alla nascita superiore ai 2.000 g (media 2.160 g) e bisogni speciali. Un lattante maschio, nato a termine, sottoposto a due interventi per stenosi ipertrofica del piloro, il primo all'età di 3 mesi e 10 giorni e successivamente all'età di 4 mesi che, considerata la buona tolleranza alimentare e lo stato di malnutrizione severa, ha ricevuto la supplementazione calorico-proteica a partire dal 10° giorno postoperatorio. Un neonato maschio con mielomeningocele, giunto alla nostra osservazione all'età di 12 giorni che, vista la scarsa crescita, ha ricevuto supplementazione a partire dalla 18ª giornata di vita. Una neonata, partorita a circa 34 settimane di e.g. da madre affetta da malaria, che ha sviluppato distress respiratorio con necessità di Ossigenoterapia e ha ricevuto supplementazione a partire dalla 10ª giornata di vita per calo ponderale del 19%. 4.2 LA PASTA DI SUPPLEMENTAZIONE: La pasta di supplementazione è stata preparata con: - farina d'arachidi (Arachis hypogaea) 25 g; - farina di manioca (Manihot esculenta) 50 g; - farina di mais (Zea mays) 50 g; - olio di semi di girasole (Heliantus annuus) 50 g; - acqua potabile 250 g. Gli alimenti sono stati miscelati e omogeneizzati, quindi cotti a 100°C per 30 minuti con robot da cucina Bimby (Worwerk®). La pasta è stata conservata in frigorifero per un massimo di 5 giorni, a temperatura ambiente per un massimo di 36 ore. La pasta è stata somministrata disciolta nel latte, ad una concentrazione massima del 5% (1 g di pasta in 20 cc di latte). 51 4.3 PROTOCOLLO DI SOMMINISTRAZIONE DELLA SUPPLEMENTAZIONE E MONITORAGGIO CLINICO: La supplementazione è stata somministrata, in assenza di controindicazioni (sepsi, distensione addominale, intolleranza alimentare, sindrome emorragica), a partire dalla 11ª giornata per i neonati di peso alla nascita inferiore o uguale ai 1.500 g e a partire dalla 6ª giornata di vita per i neonati di peso alla nascita superiore ai 1.500 g; è stata sospesa, in assenza di problemi, il giorno precedente alla dimissione. Tutti i neonati hanno ricevuto latte materno fresco, estratto tramite spremitura manuale pochi minuti prima del pasto e somministrato con siringa o bicchierino. Solo nel caso di assoluta necessità, per malattia materna, scarsità di latte materno o rifiuto della madre a dare regolarmente i pasti, sono state somministrate integrazioni di latte formulato tipo 1. Le misure antropometriche (peso, lunghezza, circonferenza cranica) sono state effettuate dallo stesso operatore con bilancia meccanica e approssimazione ai 10 grammi e con metro da sarto e approssimazione ai 5 mm, rispettivamente. L’età gestazionale alla nascita è stata stimata secondo Dubowitz. I neonati sono stati visitati quotidianamente dal personale medico per verificare l'insorgenza di eventuali reazioni avverse. Sono stati inoltre registrati dal personale infermieristico i dati riguardanti numero e quantità dei pasti assunti, numero e caratteristiche delle scariche alvine, presenza di vomito e rigurgito, diuresi. 4.4 CONSENSO INFORMATO: Il consenso delle madri è stato ottenuto oralmente, dopo spiegazione della natura, delle modalità e delle finalità della supplementazione del latte materno. 52 5. RISULTATI 5.1 ANALISI NUTRIZIONALE DEI COMPONENTI DELLA PASTA DI SUPPLEMENTAZIONE (74) Calorie Grassi Carboidrati Proteine Fibre Zuccheri Acqua Ceneri Calcio Sodio Fosforo Potassio Ferro Magnesio Retinolo (vit. A) Tiamina (vit.B1) Riboflavina (vit.B2) Niacina (vit B3) Acido Pantotenico (vit.B5) Piridossina (vitB6) Acido Folico (vit B9) Cobalamina (vit B12) Acido ascorbico (vit.C) Colecalcifenolo (vit.D) 884 kCal 3699 kj 100 g 0g 0g 0g 0g 0g 0g 0 mg 0 mg 0 mg 0 mg 0,03 mg 0 mg 0 mcg 0 mg 0 mg 0 mg 0 mg 0 mg 0 mcg 0 mcg 0 mg 0 UI Alpha-tocoferolo (vit.E) Fillochinone (vit K) Acidi grassi monoinsaturi 16:1 indifferenziato 18:1 indifferenziato 20:1 22:1 indifferenziato Acidi grassi polinsaturi 18:2 indifferenziato 18:3 indifferenziato 18:4 20:4 indifferenziato 20:5 n-3 22:5 n-3 22:6 n-3 Acidi grassi saturi 4:0 6:0 8:0 10:0 12:0 14:0 16:0 18:0 Colesterolo 41,08 mg 5,4 mcg 45,4 g 0,2 g 45,3 g 0g 0g 40,1 g 39,8 g 0,2 g 0g 0g 0g 0g 0g 10,1 g 0g 0g 0g 0g 0g 0g 5,4 g 3.5 g 0 mg Tabella 22: Analisi nutrizionale dell’olio di semi di girasole (valori per 100 g). Calorie Grassi Carboidrati Proteine Fibre Zuccheri Acqua Ceneri Calcio Sodio Fosforo Potassio Ferro Magnesio Zinco Rame Manganese Selenio Retinolo (vit. A) 567 kCal 2374 kj 49,24 g 16,13 g 25,8 g 8,5 g 3,97 g 6,5 g 2,33 g 92 mg 18 mg 376 mg 705 mg 4,58 mg 168 mg 3,27 mg 1,14 mg 1,93 mg 7,2 mcg 0 mcg 53 Tiamina (vit.B1) Riboflavina (vit.B2) Niacina (vit B3) Acido Pantotenico (vit.B5) Piridossina (vitB6) Acido Folico (vit B9) Cobalamina (vit B12) Acido ascorbico (vit.C) Colecalcifenolo (vit.D) Alpha-tocoferolo (vit.E) Fillochinone (vit K) 0,64 mg 0,135 mg 12,07 mg 1,77 mg 0,35 mg 0 mcg 0 mcg 0 mg 0 UI 8,33 mg 0 mcg Acidi grassi monoinsaturi 16:1 indifferenziato 18:1 indifferenziato 20:1 22:1 indifferenziato Acidi grassi polinsaturi 18:2 indifferenziato 18:3 indifferenziato 18:4 24,43g 0,01 g 23,76 g 0,66 g 0g 15,56 g 15,55 g 0,03 g 0g 20:4 indifferenziato 20:5 n-3 22:5 n-3 22:6 n-3 Acidi grassi saturi 4:0 6:0 8:0 10:0 12:0 14:0 16:0 18:0 Colesterolo Aminoacidi Acido aspartico 0g 0g 0g 0g 6,834g 0g 0g 0g 0g 0g 0,025 g 5,15 g 1,1 g 0 mg 3,15 g Acido glutamico Alanina Arginina Cistina Fenilalanina Glicina Isoleucina Istidina Leucina Lisina Metionina Prolina Serina Tirosina Treonina Triptofano Valina 5,39 g 1,03 g 3,08 g 0,33 g 1,34 g 1,55 g 0,91 g 0,65 g 1,67 g 0,93 g 0,32 g 1,14 g 1,27 g 1,05 g 0,88 g 0,25 g 1,08 g Tabella 23: Analisi nutrizionale della farina di arachidi (valori per 100 g). Calorie Grassi Carboidrati Proteine Fibre Zuccheri Acqua Ceneri 361 kCal 1510 kj 3,86 g 76,85 g 6,93 g 7,3 g 0,64 g 10,91 g 1,45 g Calcio Sodio Fosforo Potassio Ferro Magnesio Zinco Rame Manganese Selenio Retinolo (vit. A) Tiamina (vit.B1) Riboflavina (vit.B2) Niacina (vit B3) Acido Pantotenico (vit.B5) Piridossina (vitB6) Acido Folico (vit B9) Cobalamina (vit B12) Acido ascorbico (vit.C) Colecalcifenolo (vit.D) Alpha-tocoferolo (vit.E) Fillochinone (vit K) 7 mg 5 mg 272 mg 315 mg 2,38 mg 93 mg 1,73 mg 0,23 mg 0,46 mg 15,4 mcg 0 mcg 0,25 mg 0,08 mg 11,9 mg 066 mg 00,37 mg 0 mcg 0 mcg 0 mg 0 UI 0,42 mg 0,3 mcg Acidi grassi monoinsaturi 16:1 indifferenziato 18:1 indifferenziato 20:1 22:1 indifferenziato 1,02 g 0,003 g 0g 0g Acidi grassi polinsaturi 18:2 indifferenziato 18:3 indifferenziato 18:4 20:4 indifferenziato 20:5 n-3 22:5 n-3 22:6 n-3 Acidi grassi saturi 4:0 6:0 8:0 10:0 12:0 14:0 16:0 18:0 Colesterolo Amminoacidi Acido aspartico Acido glutamico Alanina Arginina Cistina Fenilalanina Glicina Isoleucina Istidina Leucina Lisina Metionina Prolina Serina Tirosina Treonina Triptofano Valina 1,76 g 11,71 g 0,05 g 0g 0g 0g 0g 0g 0,54g 0g 0g 0g 0g 0g 0g 0,46 g 0,06 g 0 mg 0,48 g 1,3 g 1,52 g 0,34 g 0,12 g 0,34 g 0,28 g 0,25 g 0,21 g 0,85 g 0,19 g 0,15 g 0,61 g 0,33 g 0,28 g 0,26 g 0,05 g 0,35 g Tabella 24: Analisi nutrizionale della farina di mais bianco (valori per 100 g). 54 Calorie Grassi Carboidrati Proteine Fibre Zuccheri Acqua Ceneri 358 kCal 1498 kj 0,02 g 88,69 g 0,19 g 0,9 g 3,35 g 10,99 g 0,11 g Calcio Sodio Fosforo Potassio Ferro Magnesio Zinco Rame Manganese Selenio 20 mg 1 mg 7 mg 11 mg 1,58 mg 93 mg 1,0 mg 0,02 mg 0,11 mg 0,8 mcg Retinolo (vit. A) Tiamina (vit.B1) Riboflavina (vit.B2) Niacina (vit B3) Acido Pantotenico (vit.B5) Piridossina (vitB6) Acido Folico (vit B9) Cobalamina (vit B12) Acido ascorbico (vit.C) Colecalcifenolo (vit.D) Alpha-tocoferolo (vit.E) Fillochinone (vit K) 0 mcg 0,004 mg 0 mg 0 mg 0,135 mg 0,008 mg 0 mcg 0 mcg 0 mg 0 UI 0 mg 0 mcg Acidi grassi monoinsaturi 16:1 indifferenziato 18:1 indifferenziato 20:1 22:1 indifferenziato 0,005 g 0g 0,005 g 0g 0g Acidi grassi polinsaturi 18:2 indifferenziato 18:3 indifferenziato 18:4 20:4 indifferenziato 20:5 n-3 22:5 n-3 22:6 n-3 Acidi grassi saturi 4:0 6:0 8:0 10:0 12:0 14:0 16:0 18:0 Colesterolo 0,003 g 0,002 g 0,001 g 0g 0g 0g 0g 0g 0,005 g 0g 0g 0g 0g 0g 0g 0,005 g 0g 0 mg Amminoacidi Acido aspartico Acido glutamico Alanina Arginina Cistina Fenilalanina Glicina Isoleucina Istidina Leucina Lisina Metionina Prolina Serina Tirosina Treonina Triptofano Valina 0,01 g 0,03 g 0,005 g 0,019 g 0,004 g 0,004 g 0,004 g 0,004 g 0,003 g 0,006 g 0,006 g 0,002 g 0,005 g 0,005 g 0,002 g 0,004 g 0,003 g 0,005 g Tabella 25: Analisi nutrizionale della farina di tapioca (valori per 100 g). 5.2 ANALISI CHIMICA DELLA PASTA DI SUPPLEMENTAZIONE tara mg camp. Dopo stufa Umidità % Umidità % media ds cv 63,58 0,6 0,9 A 52,43 5,09 54,27 63,85 B 53,79 5,17 55,66 6,98 C 55,53 5,11 57,42 62,91 Tabella 26: contenuto di umidità della pasta di supplementazione. 55 tara mg camp. Dopo muffola Ceneri % Ceneri % media ds cv 0,4 0,0 1,4 A 52,43 5,09 52,45 0,39 B 53,79 5,17 53,81 0,38 C 55,53 5,11 55,55 0,40 Tabella 27: contenuto di ceneri nella pasta di supplementazione. tara mg camp. Dopo estrazione grasso % grasso % media ds cv A 105,8 5,2892 106,5837 15,15 14,98 0,1 1,0 B 104,7 5,1223 105,4962 14,90 C 106,1 5,1322 106,8628 14,90 Tabella 28: contenuto di grassi nella pasta di supplementazione (Soxhlet). %tq media ds cv Glucosio 0,1 0,1 0,0 2,6 Fruttosio 0,1 0,1 0,0 3,2 Saccarosio 0,2 0,2 0,0 3,9 Maltosio 0,1 0,1 0,0 2,0 Totali 0,6 Tabella 29: contenuto di carboidrati semplici nella pasta di supplementazione. mg camp mL HCl 0,05N % azoto % proteine media ds cv A 778,0 4,20 0,38 2,36 2,30 0,1 3,9 B 607,0 3,05 0,35 2,2 C 634,3 3,40 0,38 2,35 Tabella 30: contenuto di proteine nella pasta di supplementazione (fattore di conversione 6,25). Na 0,25 mg/dL ± 0,19 Mg 19,43 mg/dL ± 7,46 Al 1,10 mg/dL ± 0,55 K 123 mg/dL ± 0,11 Ca 14,46 mg/dL ± 5,38 Cr n.r. n.r. Mn 0,16 mg/dL ± 0,06 Fe 1,83 mg/dL ± 0,80 Ni 60,16 mg/dL ± 37,48 Cu 90,92 mg/dL ± 72,48 Zn 0,33 mg/dL ± 0,14 As n.r. n.r. 56 Sr 83,99 mg/dL ± 32,27 Mo n.r. n.r. Ag n.r. n.r. Cd n.r. n.r. Ba 65,53 mg/dL ± 22,07 Ti n.r. n.r. Pb n.r. n.r. Tabella 31: contenuto di micronutrienti nella pasta di supplementazione. n.r.= non rilevabile (<0,05 mg/dL). La pasta di supplementazione risulta dare, quindi, per 100 g: 230 kCal, 15 g di grassi (corrispondenti al 59% dell’apporto energetico), 2,3 g di proteine (il 4% dell’apporto energetico), 20 g di carboidrati (il 35% dell’apporto energetico). Questi valori si riferiscono ovviamente alla pasta nel suo complesso, compresa la quota di acqua (circa il 63,5%). La supplementazione somministrata a regime (1 g di pasta per ciascuno degli 8 pasti quotidiani di latte) fornisce quindi quotidianamente, per ciascun neonato: 18,5 kCal, 1,2 g di grassi, 0,2 g di proteine, 1,6 g di carboidrati (Tab. 26- 31). 5.3 EVOLUZIONE DELLA POPOLAZIONE OGGETTO DI STUDIO Gruppo A: Tutti i pazienti del gruppo A sono stati dimessi a domicilio. La durata media del ricovero è stata 41 giorni (minimo 32 giorni, massimo 54 giorni). Hanno ricevuto supplementazione per una media di 23,2 giorni (minimo 11 giorni, massimo 29 giorni). In un caso la supplementazione è stata interrotta anticipatamente ed è stata ripresa in seguito alla risoluzione del problema intercorrente (diarrea) senza eventi avversi. La crescita media nel periodo di supplementazione è stata di 332 g, corrispondente a una media di 15 g/giorno (minimo 10,5 g/die, massimo 23 g/die). Un neonato ha necessitato di Ossigenoterapia per 2 giorni; tutti i neonati alla 57 dimissione avevano peso superiore o uguale a 1.300 g, obiettività clinica, esame neurologico ed ecografia transfontanellare normali. Gruppo B: Tra i pazienti del gruppo B si sono registrati 3 decessi ed un'evasione. La durata media del ricovero è stata 28 giorni (minimo 11 giorni, massimo 55 giorni). Hanno ricevuto supplementazione per una media di 17,5 giorni (minimo 3 giorni, massimo 40 giorni). In un caso la supplementazione è stata sospesa definitivamente per comparsa di diarrea. Per quanto riguarda i pazienti per cui la supplementazione non è stata sospesa anticipatamente, la crescita media nel periodo di supplementazione è stata di 193 g, corrispondete ad una media di 12,5 g/giorno (minimo 0 g/die, massimo 33 g/die). Tutti i neonati dimessi a domicilio avevano peso superiore o uguale a 1.300 g. Di essi 12 mostravano anomalie, per lo più borderline, all'ecografia transfontanellare (un idrocefalo tetraventricolare, nove casi di lievi iperecogenicità pararaventricolari in sede occipitale, un caso con emorragia intraventricolare di 1° grado, un caso con leggera dilatazione ventricolare unilaterale). Quattro pazienti hanno necessitato di Ossigenoterapia per un massimo di 3 giorni; un neonato è stato trattato con Ibuprofene per pervietà del dotto arterioso in corso di sepsi, uno ha ricevuto Chinino per os per malaria materna. Gruppo C: Tutti i pazienti del gruppo C sono stati dimessi a domicilio. La durata media del ricovero è stata 14,5 giorni (minimo 7 giorni, massimo 35 giorni). Hanno ricevuto supplementazione per una media di 7 giorni (minimo 2 giorni, massimo 26 giorni). In due casi la supplementazione è stata sospesa anticipatamente, pur in assenza di eventi avversi, per richiesta materna. 58 Per quanto riguarda i pazienti per cui la supplementazione non è stata sospesa anticipatamente, la crescita media nel periodo di supplementazione è stata di 80 g, corrispondente ad una media di 11 g/giorno (minimo 3,5 g/die, massimo 25 g/die). Tutti i neonati dimessi a domicilio avevano peso superiore o uguale a 1500 g. Di essi uno mostrava lievi iperecogenicità paraventricolari all'ecografia transfontanellare. Un neonato ha necessitato di Ossigenoterapia per 3 giorni. Gruppo D: Il lattante operato per stenosi ipertrofica del piloro è stato inviato a domicilio dopo la guarigione della ferita chirurgica; la tolleranza alimentare era molto buona e il peso era in crescita. La supplementazione è stata somministrata per 13 giorni, con un incremento ponderale di 150 g (in media 11 g al giorno). Il neonato con spina bifida è stato inviato a domicilio, con rientro quotidiano per la medicazione del mielomeningocele ulcerato, in attesa di intervento chirurgico di chiusura del rachide e di derivazione ventricoloperitoneale. Ha ricevuto supplementazione per soli 2 giorni, senza variazioni di peso. E' stato ricoverato una settimana dopo la dimissione con quadro clinico di infezione generalizzata ed è deceduto nonostante la terapia antibiotica; in quell'occasione non ha ricevuto supplementazione. Il terzo neonato è guarito dallo stato settico ed è stato inviato a domicilio in buone condizioni generali; la supplementazione è stata somministrata per 7 giorni, con un aumento di peso di 200 g (in media 28 g/die). 5.4 DECESSI: Sono deceduti 3 pazienti su 68, pari al 4,4%. Il primo caso di decesso si è verificato in una neonata di 19 giorni, nata a 29 settimane di e.g con un peso di 1.220 g. La madre, affetta da diarrea prolungata e malnutrizione, non aveva potuto alimentare regolarmente la neonata, che, nonostante le integrazioni con latte artificiale, aveva presentato un calo ponderale 59 del 17,6%. La piccola era quindi andata incontro a sepsi e deceduta dopo due giorni di antibioticoterapia. Il secondo caso di decesso si è verificato in una neonata di 14 giorni, nata a 28 settimane di e.g. con un peso di 1.010 g; aveva assunto terapia con Ibuprofene per dotto arterioso pervio. In apparente benessere, durante la notte, è deceduta, verosimilmente per un episodio di apnea che tuttavia non ha potuto essere documentato a causa della mancanza di monitor cardiorespiratori; l'evento non è stato testimoniato né dal personale medico né da quello infermieristico, pertanto non è stato possibile effettuare una rianimazione cardiorespiratoria. Nel nostro ospedale è altresì impossibile procedere all'autopsia. Il terzo caso di decesso si è verificato in una neonata di 35 giorni, nata a 32 settimane di e.g. con un peso di 1.250 g; la madre aveva mostrato una scarsa compliance nella somministrazione dei pasti che aveva determinato un calo ponderale del 17% e la successiva assenza di incremento ponderale fino all'età di 29 giorni; la piccola è deceduta in seguito ad un episodio di infezione generalizzata. 5.5 INTERRUZIONE ANTICIPATA DELLA SUPPLEMENTAZIONE La supplementazione con pasta è stata sospesa in anticipo per 7 pazienti su 68, corrispondenti al 10,3%; in due casi, risolto il problema intercorrente che aveva determinato l'interruzione, la supplementazione è stata ripresa, senza comparsa di reazioni avverse; in 4 casi la sospensione è stata determinata dalla scelta materna, in assenza di eventi avversi. Una neonata nata a circa 28 settimane di e.g. con un peso di 1.100 g, dopo 7 giorni dall'introduzione della supplementazione ha presentato diarrea, che è stata trattata con terapia antibiotica parenterale e reidratazione per via orale; la supplementazione è stata sospesa; il sintomo è scomparso dopo 3 giorni; una settimana dopo è stata ripresa la supplementazione, con ricomparsa nello stesso giorno di scariche sfatte; la supplementazione è stata quindi sospesa definitivamente. Una neonata nata a 28 settimane di e.g, con peso alla nascita di 1.000 g, dopo 5 60 giorni dal'introduzione della supplementazione ha presentato diarrea; l’integrazione è stata subito sospesa. La diarrea è stata trattata con reidratazione per via orale e somministrazione di antibiotici per via parenterale per 8 giorni; a distanza di 10 giorni dalla risoluzione dei sintomi è stata reintrodotta la supplementazione, senza problemi. Una neonata di circa 31 settimane di e.g., con peso alla nascita di 1.430 g, ha interrotto la supplementazione all'età di 14 giorni, per scarsa tolleranza alimentare in corso di un episodio di verosimile infezione generalizzata; la madre aveva mostrato un'ipogalattia, verosimilmente da scarsa stimolazione della ghiandola mammaria, ed era stato necessario somministrare latte artificiale adattato tipo 1 alla neonata, con un calo ponderale del 15,4%; in seguito alla risoluzione del quadro settico e al miglioramento dell'allattamento materno, è stato possibile riprendere l'alimentazione esclusivamente con latte materno e la supplementazione con pasta, con buon incremento ponderale. La madre di due gemelle nate a 34 settimane di e.g con peso di 1.730g e di 1.700 g, rispettivamente, ha rifiutato la supplementazione per le figlie, pur in assenza di reazioni avverse; la madre di un neonato nato a 32 settimane e.g con peso di 1.400 g, pur in assenza di reazioni avverse e a fronte di un calo ponderale del 19,3%, ha rifiutato la supplementazione per il proprio figlio. La madre di una neonata nata a 30 settimane di gestazione è evasa dall'ospedale dopo 10 giorni di ricovero e 2 di supplementazione. 61 6. DISCUSSIONE 6.1 LIMITI DELLO STUDIO Sono evidenti gli importanti limiti scientifici presentati da uno studio come quello da noi eseguito. Tali limiti sono dovuti in parte alla complessità della materia in esame e ai problemi etici che essa impone, in parte alla povertà dei mezzi e delle condizioni di lavoro, spesso incompatibili con il rigore scientifico che sarebbe necessario. Non è quindi corretto formulare giudizi sull’efficacia della supplementazione del latte materno con pasta. In particolare abbiamo evidenziato le seguenti difficoltà: - Impossibilità di fare uno studio in doppio cieco (double-blind control procedure), che permetta di paragonare la crescita e l’outcome di popolazioni di neonati con caratteristiche sovrapponibili, di cui una venga alimentata con latte materno esclusivo (al momento il gold standard per la nutrizione dei neonati nei paesi a risorse limitate), l’altra con latte materno fortificato con pasta. Uno studio così formulato, in cui né il personale sanitario né le madri dei neonati sono a conoscenza dell’alimento che riceve il paziente, è l'unica metodologia valida per la valutazione dell’efficacia della supplementazione. Rimane attualmente per noi impossibile preparare per il gruppo di controllo una pasta di supplementazione che, pur non essendo dannosa, non modifichi l’apporto nutrizionale del latte materno. Resterebbe comunque il dubbio sull’accettabilità a livello etico di dare un apporto calorico e proteico volutamente inferiore a quello che sarebbe possibile somministrare ad un gruppo di neonati ad elevatissimo rischio di malnutrizione severa. - Impossibilità di confrontare i dati di crescita della popolazione oggetto della sperimentazione con quelli ottenuti nello stesso Servizio nei mesi precedenti all’introduzione della supplementazione. Questo fatto è dovuto alla mancanza di 62 un sistema informatizzato di registrazione dei dati di natalità, di mortalità e delle cause di morte. Pur nella pressoché completa assenza di dati attendibili (dati anagrafici, antropometrici, cause di decesso) è possibile dire che la mortalità complessiva dei neonati ricoverati nel Servizio di Patologia Neonatale si è ridotta nei mesi della supplementazione (da una mortalità media del 33%, con picchi del 50-60% nei 9 mesi precedenti, ad una mortalità media del 23% nei 6 mesi di supplementazione). Questo dato non è di univoca interpretazione, in quanto potrebbe dipendere da svariati fattori, tra cui la presenza di personale medico dedicato al Servizio, l’utilizzo di protocolli per la gestione delle principali patologie da parte del personale medico e infermieristico, l’uso di pratiche innovative. - Difficoltà dovute alla mancanza di dati anamnestici precisi (in particolare riguardo all’età gestazionale, alla presenza di malattie materne, alle sierologie per HIV, HBV e sifilide). La valutazione dell’appropriatezza del peso per l’età gestazionale è resa più complessa dalla mancanza di curve di crescita specifiche per la popolazione in esame e dalla variabilità delle caratteristiche antropometriche tra i neonati sani a termine, anche in considerazione delle differenze presenti tra i gruppi etnici che vivono nel Paese. - Difficoltà a trovare un parametro, unico e di facile registrazione, per valutare la crescita, oltre alle misure antropometriche di base (lunghezza, peso, circonferenza cranica). La mancanza di strumentazioni complesse (per esempio DEXA, impedenzometria) rende impossibile la distinzione tra la crescita di massa magra e l’accumulo di tessuto grasso. Il costo delle indagini di laboratorio rende difficile la corretta valutazione del bilancio metabolico delle proteine. - Difficoltà a valutare il reale apporto calorico e proteico ricevuto dai singoli pazienti. Ciò è dovuto alla mancanza di dati precisi sull'apporto calorico e nutrizionale derivato da latte materno di donne a loro volta malnutrite. Studi eseguiti in altri Paesi (Nigeria) (63) hanno evidenziato un ridotto contenuto di 63 proteine e lipidi nel latte delle donne provenienti da Paesi poveri rispetto a quello di madri provenienti da Paesi più ricchi. E’ inoltre difficile stabilire le quantità esatte di latte materno e di pappa ricevute da ciascun bambino ad ogni pasto: all’ostacolo della lingua, che impedisce la comunicazione diretta tra il personale medico e le madri, si aggiunge la scarsa collaborazione del personale infermieristico nella somministrazione e registrazione dei pasti somministrati ai neonati, soprattutto nelle ore notturne. - Difficoltà a valutare l’effetto della supplementazione per quanto riguarda la sopravvivenza complessiva dei neonati. L’aver ottenuto una percentuale di mortalità molto bassa (4,4% tra i pazienti partecipanti allo studio, a fronte di una mortalità complessiva del 23%) dipende probabilmente dall’aver cominciato la sperimentazione all’età di 6 giorni (10 giorni nei neonati di peso alla nascita <1500g), momento in cui i piccoli nati con condizioni generali molto compromesse (prematurità grave, infezioni neonatali precoci, malformazioni congenite..) o con stato nutrizionale più scadente sono già deceduti. - Difficoltà nello stabilire e mantenere il legame mamma-bambino. La cura del piccolo neonato da parte della madre è di estrema importanza in ogni contesto, ma in particolar modo in situazioni a risorse limitate, dove maggiore è la sproporzione tra il numero dei pazienti e quello di sanitari e spesso, purtroppo, minore la qualità dell’assistenza al paziente da parte di questi ultimi. Presso il servizio di Patologia Neonatale dell’Ospedale Autonomo di Ngozi la madre può stare accanto al bambino 24 ore su 24, per prendersi cura di esso, eseguire le normali operazioni di igiene (lavaggio del bambino, cambio dei panni) e soprattutto per somministrare i pasti. La creazione del legame mamma-bambino spesso segue dinamiche misteriose ai nostri occhi. Sovente nei primi giorni di vita del neonato si ha un certo distacco, che in alcuni casi si prolunga per settimane ed ha effetti negativi sulla disponibilità della madre nello stimolare la montata lattea attraverso la spremitura manuale delle mammelle e sulla regolarità della somministrazione dei pasti. Nel caso in cui il neonato 64 sopravviva, dopo un periodo variabile di tempo si ha una spesso improvvisa accettazione del figlio, cui consegue una migliore compliance della madre con le prescrizioni mediche e, non di rado, un importante incremento ponderale e un deciso miglioramento delle condizioni generali del neonato. Non credo si possa liquidare il problema come una mancanza di buona volontà delle madri, né semplificarlo sostenendo l’impossibilità di un legame affettivo con un neonato molto fragile, di cui probabilmente non sono percepite la dignità, l’unicità e la bellezza. Probabilmente questo è uno dei nodi in cui più grande deve essere lo sforzo di inculturazione, per poter entrare in contatto con queste mamme e dare loro gli strumenti e soprattutto la speranza necessaria per poter prendersi cura dei loro figlioli. 6.2 TOLLERABILITA’ DELLA PASTA DI SUPPLEMENTAZIONE Il nostro studio ha dimostrato l’ottima tollerabilità di una fortificazione del latte materno con la pasta di supplementazione descritta. Un solo neonato, tra i 68 che hanno ricevuto la supplementazione, ha mostrato sintomi imputabili alla stessa (nello specifico una diarrea che, migliorata con la sospensione dell’alimento, è ricomparsa dopo la ripresa della supplementazione); tale sintomatologia potrebbe essere riconducibile ad una sindrome oro-allergica; la risoluzione è stata immediata e completa, senza esiti. In nessun altro caso si è verificato un aumento della morbidità imputabile alla supplementazione (diarrea, stipsi, enterocolite necrotizzante, vomito, reflusso gastroesofageo, anafilassi). I due casi di decesso avvenuti in seguito a quadro settico si sono verificati in neonati per cui l’instaurasi del legame madre-bambino era stato particolarmente difficoltoso. I piccoli avevano ricevuto una nutrizione talvolta inadeguata e spesso con necessità di integrazione con latte formulato. Nell’insorgenza della sepsi, a nostro avviso, un ruolo preponderante è stato giocato dalla malnutrizione e dalla mancata trasmissione di difese immunitarie che avviene, come è noto, con l’allattamento materno. 65 Il terzo caso di decesso risulta più difficilmente spiegabile, trattandosi di un caso di morte improvvisa non testimoniato da personale sanitario né registrato da strumentazioni apposite. Verosimilmente si tratta di un episodio di SIDS (Sudden Infant Death Syndrome) o un'apnea idiopatica non trattata. Il rifiuto di alcune madri a dare la supplementazione ai loro figli evidenzia la necessità di un adeguato counselling per permettere una scelta consapevole. L’assenza di derivati animali nella supplementazione ne permette l’utilizzo anche da parte di persone appartenenti a confessioni religiose particolari. Resta evidente l’inutilità di qualsiasi supplementazione qualora non si riesca ad ottenere una somministrazione dei pasti di latte materno regolare, sia di giorno che di notte, e adeguata come quantità. 6.3 LIMITI NUTRIZIONALI DELLA PASTA DI SUPPLEMENTAZIONE E POSSIBILITA’ DI MIGLIORAMENTO La pasta di supplementazione fornisce, per 100 g: 230 kCal, 15 g di grassi, 2,3 g di proteine, 20 g di carboidrati. L’analisi chimica, effettuata presso il laboratorio Defens, del Dipartimento-Scuola per gli Alimenti, la Nutrizione e l'Ambiente (Sezione Nutrizione Umana), mostra alcune caratteristiche interessanti della pasta di supplementazione e ne evidenzia i limiti nutrizionali. L’umidità piuttosto elevata (in media 63,58%) potrebbe costituire un problema nella conservazione dell’alimento (Tab. 26). Per evitare il deterioramento e la fermentazione, la pasta può essere conservata in frigorifero (max 4°C) fino a un massimo di 5 giorni, a temperatura ambiente per un massimo di 36 ore. Eventuale residuo deve essere gettato. La quantità di ceneri (in media 0,4%) presenti è minima; la determinazione delle ceneri si riferisce all’analisi dei residui inorganici che rimangono dopo l’accensione 66 o la completa ossidazione della materia organica presente nell’alimento; è proporzionale al contenuto minerale dell’alimento (Tab. 27). I lipidi contenuti nella pasta sono per il 46,4% acidi grassi monoinsaturi, per il 42,1% acidi grassi polinsaturi (42,1%) e solo per l’11,5% acidi grassi saturi (11,5%). La scarsa presenza di grassi saturi, tra cui i Trigliceridi a media catena (MCT, acidi grassi contenenti da 6 a 12 atomi di Carbonio), potrebbe causare un assorbimento non ottimale della quota lipidica presente nella pasta. Gli MCT, infatti, sono assorbiti più facilmente rispetto agli acidi grassi con catene più lunghe perché non richiedono l’azione emulsionante dei sali biliari; essendo più solubili in acqua, attraversano più facilmente lo strato acquoso che bagna il villo intestinale e, senza subire idrolisi enzimatica, vengono assorbiti e idrolizzati direttamente dalla mucosa intestinale, quindi immessi nel circolo portale e trasportati nel sangue legati all’Albumina. Sembra difficile poter inserire una quantità adeguata di MTC in una pasta di supplementazione come la nostra; tali acidi grassi, infatti, sono presenti soprattutto nella parte grassa del cocco e del latte, alimenti difficilmente reperibili e utilizzabili nel nostro contesto. Gli acidi grassi a catena lunga (LCFA, costituiti da una catena di più di 12 atomi di Carbonio) sono assorbiti meno bene rispetto ai MCT; il loro assorbimento infatti richiede l’attivazione della lipasi pancreatica e dei sali biliari; a parità di lunghezza della catena alifatica, tuttavia, gli acidi grassi insaturi vengono assorbiti meglio rispetto a quelli saturi, grazie alla loro migliore solubilità in acqua. La lipasi presente nel latte materno, inoltre, facilita la scomposizione di queste molecole. I monogliceridi e gli acidi grassi liberi che risultano dalla digestione dei LCFA vengono assorbiti dagli enterociti, quindi incorporati nei chilomicroni e immessi nella via linfatica. Il contenuto di LCFA polinsaturi (18:2), tra cui l’acido linoleico (LA), è soddisfacente (circa 7 g/100g di pasta); l’ LA è un acido grasso essenziale della famiglia degli ω6, che può essere convertito dall’organismo umano in metaboliti con catene più lunghe, tra cui l’acido arachidonico (AA). Quest’ultimo è un acido 67 grasso polinsaturo (20:4) della famiglia degli ω6, indispensabile nella sintesi di eicosanoidi (prostaglandine, prostacicline, trombossani, leucotrieni); esso può essere introdotto con la dieta oppure prodotto nell’organismo umano a partire dall’LA; nella pasta di supplementazione da noi prodotta è praticamente assente. Il contenuto di LCFA polinsaturi (18:3), tra cui l’acido α-linolenico (ALA), è molto scarso (<0,1 g/100g). L’ALA è un acido grasso essenziale della famiglia degli ω3, da cui deriva l’acido docosaesaenoico (DHA), un acido grasso polinsaturo (22:6), che sembra giocare un ruolo di grande rilievo nello sviluppo del cervello e della retina; anch’esso è praticamente assente nella nostra pasta di supplementazione. A fronte delle evidenti lacune della composizione della pasta di supplementazione sembra ragionevole contare sul fatto che essa, aumentando l’apporto energetico complessivo che viene fornito al neonato, permetta un miglior assorbimento degli acidi grassi essenziali ALA e AA presenti normalmente nel latte materno. Infatti, nei casi in cui l’apporto calorico sia scarso, soprattutto per quanto riguarda la quota energetica fornita dai grassi, l’LA e l’ALA presenti nel latte materno vengono utilizzati dall’organismo come fonte di energia piuttosto che essere trasformati in AA e DHA. Un alimento ricco di ALA, AA e DHA è l’olio di pesce. A fronte della difficoltà di utilizzo di questo alimento per l’alimentazione dei neonati, potrebbe essere interessante valutare l’opportunità di tale supplementazione per le madri nutrici, in modo da aumentare la quantità di questi metaboliti nel latte materno (Tab. 22-25, Tab. 28). I carboidrati costituiscono una buona parte dell’energia fornita dalla nostra pasta di supplementazione (circa il 35%). La percentuale di carboidrati semplici, monosaccaridi (glucosio, fruttosio) e oligosaccaridi (saccarosio, maltosio) ivi presente è estremamente bassa (0,6%). La scarsità di piccole molecole glucidiche osmoticamente attive, insieme alla pratica di miscelare la pasta nel latte immediatamente prima della somministrazione in modo da evitare la degradazione dei carboidrati da parte delle amilasi presenti nel latte materno, mantiene bassa l’osmolarità dell’alimento e riduce il rischio di diarrea osmotica. 68 D’altro canto, la presenza di molecole polisaccaridiche implica la necessità di complessi processi digestivi; l’idratazione degli amidi che avviene durante la preparazione della pasta grazie alla cottura a temperature superiori a 80°C per periodi piuttosto lunghi (30’), ne permette la digestione ad opera delle amilasi salivari e pancreatiche prodotte del neonato, coadiuvate da quelle presenti nel latte materno. La presenza nell’intestino di residui alimentari non digeriti porterebbe a proliferazione batterica e fermentazione a livello intestinale, con conseguente distensione addominale e alterazione dell’alvo, cosa che non sembra essersi verificata per nessuno dei neonati oggetto di studio; sembra ragionevole pensare che la maggior parte dei carboidrati presenti nella nostra pasta siano quindi correttamente digeriti e assimilati (Tab. 22-25, Tab. 29). Le proteine contenute nella pasta di supplementazione sono poche, sia in termini assoluti che in percentuale sugli altri nutrienti. Questo problema sembra di difficile soluzione, in quanto l’aumento della quota di farina di arachidi, l’alimento più ricco in proteine presente nella pasta, potrebbe portare a una più difficoltosa digestione. L’integrazione della supplementazione con proteine del latte non è proponibile, in quanto il latte disidratato disponibile localmente, oltre a non essere adattato per neonati, è piuttosto costoso (Tab. 22-25, Tab. 30). L’apporto di micronutrienti, infine, è sicuramente carente per una popolazione di neonati prematuri, in particolare per il Sodio, contenuto in quantità irrilevanti (0,01 mEq/dL). Migliore è l’apporto di Potassio (3,1 mEq/dL). Anche l’apporto di Calcio, Ferro e Zinco è inadeguato. L’impossibilità di dosare gli ioni ematici rende difficile valutare la reale necessità di questa supplementazione per ciascun neonato e pericolosa la somministrazione di elettroliti “alla cieca”, con la sola guida del fabbisogno teorico per età. Vitamine essenziali quali la vitamina D e la vitamina E sono praticamente assenti (Tab.22-25, Tab.31). 69 7. CONCLUSIONI L’apporto calorico e nutrizionale dato dalla pasta di supplementazione (quantificabile, come già detto, in circa 18,5 kCal, 1,2 g di grassi, 0,2 g di proteine e 1,6 g di carboidrati al giorno, considerando la supplementazione a dose piena), risulta essere non trascurabile, soprattutto in una situazione in cui quello dato dal solo latte materno è variabile e tendenzialmente insufficiente. La pasta di supplementazione risulta essere proponibile in contesti con risorse molto limitate, in quanto prodotta con materie prime facilmente reperibili, di basso costo, trattate con strumenti semplici. Inoltre non abbisogna di modalità di conservazione particolari ed è facilmente solubile nel latte materno. La tollerabilità della supplementazione risulta essere molto buona. Ad un giudizio clinico la supplementazione, quando somministrata correttamente (cioè in dose sufficiente per un numero adeguato di pasti) ha migliorato il trofismo generale, il trofismo cutaneo, il tono muscolare e la reattività dei neonati, spesso permettendo, dopo alcuni giorni, una migliore assunzione dei pasti con siringa o addirittura al seno. 70 8. PROSPETTIVE FUTURE E' evidente che l'alimentazione dei neonati prematuri in Paesi e situazioni a risorse limitate sia un problema di grande rilevanza ed urgenza. La letteratura scientifica, attualmente, è molto carente nell'offrire soluzioni accettabili sia dal punto di vista nutrizionale che da quello economico. A fronte di una grande necessità sono poche le risorse destinate alla ricerca in questo campo, dove molto viene lasciato all'inventiva e alla coscienza dei singoli operatori. Sarebbe innanzitutto necessario valutare l'efficacia della supplementazione al latte materno da noi proposta, effettuando un confronto tra due gruppi comparabili di neonati, di cui uno nutrito con il solo latte materno e uno con latte materno e pasta di supplementazione; potrebbe essere interessante studiare parametri di valutazione della crescita diversi dalle comuni misure antropometriche (peso, lunghezza, circonferenza cranica), per esempio la plica di grasso sottocutaneo interscapolare. Naturalmente, come già sottolineato, il gold standard per la nostra ricerca sarebbe uno studio in doppio cieco, processo estremamente complesso che al momento è al di sopra delle nostre forze. Sarebbe inoltre auspicabile la ricerca di componenti che, pur incontrando i già menzionati criteri di accessibilità (materiale di basso costo, reperibile in loco e facilmente processabile), permettesse di arricchire la pasta di vitamine, in particolare vitamina D, gli effetti della cui mancanza diventano evidenti in buona parte della popolazione nera già nei primi anni di vita. Infine, come per tutti gli interventi che vengono operati in un periodo della vita delicato come quello neonatale, è indispensabile un rigoroso percorso di follow-up che permetta di seguire i pazienti nel tempo in modo da poter valutare e comparare gli esiti a lunga distanza delle scelte cliniche effettuate. In una situazione di estrema 71 povertà di mezzi e soprattutto di risorse umane come quella che sovente si ha nei Paesi in via di sviluppo, un programma di follow-up dei neonati ex prematuri risulta estremamente difficile da attuare, ma è necessario promuovere un simile progetto, coinvolgendo il personale infermieristico e sensibilizzando le madri dei neonati durante il ricovero e alla dimissione. 72 9. ASPETTI ETICI Il problema della situazione materno-infantile nei Paesi in via di sviluppo è davvero complesso e richiede un approccio multidisciplinare, con il contributo congiunto di sanitari, epidemiologi, politici, esperti di economia e di sanità pubblica. Ogni programma richiede lo studio del contesto in cui esso verrà posto in atto; l’urgenza della necessità non può far prescindere da questa analisi, pena il fallimento di ogni intervento. Il contesto mondiale in cui ci troviamo a vivere e ad operare è caratterizzato da un’iniquità sempre maggiore, dove per iniquità si intende non la sola differenza, ma la disuguaglianza ingiusta e non-equa (75, 76). Solo per limitarsi al settore sanitario, le differenze tra Paesi ricchi e Paesi poveri, e anche tra persone ricche e povere all’interno dello stesso Paese, sono inaccettabilmente alte e vanno costantemente aumentando, come già discusso nei capitoli 1 e 2 (37). L’assistenza sanitaria e la ricerca medica sono spesso guidate da interessi commerciali (77) e persino gli interventi che dovrebbero migliorare la situazione rischiano di aumentare il divario tra ricchi e poveri, in quanto anch’essi, spesso, risultano essere più accessibili ai primi che ai secondi (78). Appare sorprendente che, a fronte dell’ampia discussione a livello politico, economico e sanitario per porre rimedio a tale drammatica situazione, tanto scarso sia il dibattito etico riguardo a questi argomenti, pure così centrali per la vita degli esseri umani in ogni Paese del mondo. L’Università degli Studi di Verona, assieme alla Fondazione Pro-Africa, sta sostenendo un progetto di collaborazione con l’Università di Ngozi (Burundi) per la formazione di infermieri diplomati e con l’Hôpital Autonome di Ngozi per la gestione di alcuni servizi, tra cui quello di Pediatria e Neonatologia. Ho avuto la preziosa occasione di lavorare come medico in formazione specialistica nel Servizio di Neonatologia da giugno a dicembre 2012, a fianco del Responsabile dott. Giovanni Pagani. Da questa esperienza nascono queste riflessioni. 73 9.1 DISCUSSIONE SULL’APPROCCIO AL MORTALITA’ NEONATALE NEL MONDO PROBLEMA DELLA Nonostante la rilevanza del problema della mortalità neonatale nei Paesi in via di sviluppo (vedi capitolo 1), non è stata ancora sviluppata una compiuta analisi delle questioni etiche e di giustizia sociale che riguardano questo argomento. La comprensione del fenomeno, e la riflessione su di esso, sono rese difficoltose dalla scarsità di dati epidemiologici e sociologici attendibili, oltre che dalla mancanza di una discussione etica nei Paesi interessati. Chi curare, e a che prezzo? La determinazione della vitalità di un neonato pretermine è basata su dati scientifici in continua evoluzione; attualmente, nei Paesi HICs, i neonati di età gestazionale maggiore o uguale alle 24 settimane sono considerati vitali e ricevono routinariamente cure in un’Unità di Terapia Intensiva Neonatale, con discrete (e sempre in aumento) possibilità di sopravvivenza. L’opinione riguardo alla vitalità di un neonato pretermine è influenzata dal contesto sanitario, dalla morale, dalla cultura e dalla politica, per cui nel mondo c'è molta variabilità in quello che è considerato un neonato che “vale la pena” curare e quello che viene lasciato morire in quanto un tentativo di cura sarebbe impossibile, inutile o troppo dispendioso. Non sappiamo molto della variabilità tra le culture e le etnie della percezione del “valore” della vita di un neonato, delle convinzioni riguardo al momento dell’acquisizione dei diritti personali, del carico psicologico che la morte di un neonato o la gestione di un neonato prematuro comportano. Queste esperienze nelle popolazioni nei LMICs o in gruppi marginalizzati nei Paesi sviluppati spesso sono accompagnate da stigma sociale, colpevolizzazione della madre, senso di inadeguatezza dei genitori e rassegnato fatalismo. La mancanza di conoscenza riguardo alla percezione di questi eventi rende difficile la comprensione delle complesse dinamiche che intervengono nella scelta della cura (o della non cura) di questi neonati. Spesso quella che dovrebbe essere una decisione medica e della famiglia è in realtà presa in base a criteri soggettivi (impressione dell’operatore non 74 medico) ed economici (possibilità di spesa della famiglia e della società) (79). Gli eccellenti risultati ottenuti nella cura dei neonati prematuri nelle Terapie Intensive Neonatali negli HICs indicano ciò che è tecnicamente possibile, ovvero ciò che idealmente dovrebbe essere possibile per tutti, ma hanno anche reso evidente che salvare neonati estremamente prematuri comporta costi ingenti per le famiglie e per la società. Questi costi sono particolarmente significativi, sia dal punto di vista economico che da quello della richiesta di cura, per le famiglie che non hanno le risorse per sostenere i loro bambini con bisogni speciali e nei casi in cui Stato non sia in grado di accollarsene in parte l’onere. Come scegliere gli interventi? Nei HICs la ricerca è volta soprattutto a migliorare l’outcome dei neonati pretermine, con risultati sempre migliori in termini di sopravvivenza di neonati di età gestazionali molto basse. Questo significa che enormi sforzi vengono effettuati per salvare un numero esiguo di persone, in Paesi che già godono di una mortalità neonatale molto modesta. Nei LMICs, invece, Paesi in cui la NMR è molto elevata, la messa in atto di interventi a bassa tecnologia volti a prevenire le nascite pretermine o i neonati nati morti renderebbe possibile, con investimenti molto più modesti, costi sociali ridotti nel lungo periodo e senza necessità di competenze ed attrezzature sofisticate, la sopravvivenza di un numero cospicuo di neonati che altrimenti morirebbero. Questa differenza di approccio, oltre ad essere dettata dalla necessità e dalla scarsità di risorse, rispecchia un’importante differenza culturale tra HICs e LMICs che, nei Paesi in via di sviluppo, vede al primo posto la responsabilità sociale (verso la famiglia, la comunità, lo stato) rispetto al diritto individuale del neonato. Si preferisce quindi permettere la sopravvivenza di un numero elevato di neonati affetti da patologie “minori” attraverso la prevenzione e le cure di base, piuttosto che tentare di salvare un piccolo gruppo di neonati gravi, con risultato incerto e con la possibilità di caricare di pesi economici e gestionali la famiglia e la società. 75 La scelta degli interventi volti a ridurre l’incidenza di nascite premature e dei neonati nati morti nasconde però un altro dilemma: da una parte si ha l’urgenza di provvedimenti immediati, a breve termine, con soluzioni evidentemente lontane dagli standard minimi accettabili a livello mondiale, dall’altra pesa la necessità di interventi a lungo termine, più complessi ma anche più adeguati. Poiché le risorse sono limitate, il bilanciamento tra le due parti spesso non è facile: da una parte, quindi, si corre il rischio di accontentarsi di fornire interventi provvisori e inadeguati, dall’altra si può finire per trascurare l’applicazione di misure semplici ed efficaci nell’attesa della soluzione “ideale”. La raccolta di dati epidemiologici attendibili, infine, come più volte sottolineato, è indispensabile per l’attuazione di interventi mirati ed efficaci: se il carico globale di mortalità e morbidità neonatale non è ben descritto rischia di essere sottostimato. Avere un’immagine realistica del problema è indispensabile per la progettazione di strategie efficaci ed efficienti. Le agenzie internazionali, inoltre, hanno tipicamente degli obiettivi ad “alta visibilità”, per ovvie ragioni di immagine, ma anche per permettere una gestione più efficiente dei fondi. La mancanza di registrazioni ufficiali e di una chiara idea della portata del problema potrebbe portare ad una diminuzione dell’attenzione a livello internazionale e alla conseguente riduzione degli investimenti a lungo termine (79). Come ridurre gli ostacoli? Gli interventi di base per la riduzione della mortalità neonatale e materna nei LMICs sono provvedimenti relativamente semplici quali l’accesso allo screening prenatale per le gravidanze ad alto rischio, il trattamento delle infezioni, la cura della malnutrizione e la possibilità di ricevere cure ostetriche di emergenza in caso di necessità (vedi capitolo 1.3). La messa in atto di qualsiasi intervento volto al miglioramento delle condizioni della popolazione, però, rischia di aumentare la disuguaglianza piuttosto che diminuirla, in quanto è dimostrato che la parte della popolazione che per prima 76 prende vantaggio di un intervento nuovo è quella più ricca e più istruita. E’l’“ipotesi di equità inversa”, teorizzata da Rogers nel 1995 (80); questo iniziale approfondirsi della disuguaglianza è probabilmente inevitabile, ma l’introduzione successiva di politiche correttive volte a favorire l’utilizzo dei servizi da parte delle fasce più povere della popolazione dovrebbe permettere la progressiva riduzione dell’iniquità. Strumenti per ottenere questo difficile risultato sono la progettazione di interventi molto mirati (su singoli individui, famiglie o comunità che rispondono a criteri particolari di povertà o esclusione), o viceversa il miglioramento della copertura universale e l’istituzione di possibilità di finanziamento che garantiscano l’accessibilità ai servizi più ampia possibile (81). La messa in atto dei provvedimenti volti a migliorare la situazione maternoinfantile, e più in generale la situazione sanitaria nei LMICs, è ostacolata non solo dalla povertà, ma anche dalla mancanza di interesse da parte dei governanti, dall’instabilità politica, dalla corruzione, da situazioni geografiche e climatiche sfavorevoli, da particolarità tradizionali e culturali. Per esempio la domanda di cure durante la gravidanza e il parto può essere molto ridotta in situazioni nelle quali la donna non gode di un'uguaglianza sociale ed economica con l'uomo. In alcune culture il neonato non è considerato “persona” fino ad alcuni giorni dopo la nascita, mentre in molte società sono ancora forti le discriminazioni di genere, per cui si crede che una bambina meriti meno cure rispetto a un neonato maschio (79). E’ evidente che il lavoro necessario per ovviare a questi problemi passi in primo luogo attraverso l’istruzione della popolazione e l’educazione dei singoli individui e che ogni intervento dovrebbe in primo luogo tenere conto di tutte queste variabili. E noi? Durante il nostro lavoro presso il Servizio di Neonatologia dell’Hôpital Autonome di Ngozi, molte volte al giorno abbiamo dovuto affrontare il problema di decidere quali neonati curare e di scegliere le modalità con cui farlo. Essendoci formati, pur con ovvie differenze di esperienza, nelle Terapie Intensive Neonatali degli HICs, abbiamo dovuto accettare non solo il fatto che molte delle 77 risorse di uso comune in Italia non fossero disponibili in Burundi, ma anche l’evidenza che l’utilizzo di alcuni di questi presidi, pure possibile, non sarebbe stato appropriato in quel contesto. Per ogni neonato grave si è posto quindi il dilemma: da una parte la tentazione di fare “la parte possibile di ciò che avremmo fatto in Europa”, e la quotidiana evidenza dell’insufficienza del nostro operare; dall’altra il desiderio di evitare sofferenze inutili a neonati con prognosi infausta, la necessità di un’equa distribuzione delle risorse, l’attenzione alle esigenze delle famiglie dei neonati e la volontà di impostare un’attività sostenibile nel lungo periodo, ovvero anche in assenza di personale medico espatriato dedicato al Servizio di Neonatologia. Nella nostra esperienza abbiamo visto che, in assenza di risorse umane e tecnologiche avanzate, possono sopravvivere neonati di peso superiore ai 900 g circa e di età gestazionale di 27 settimane o più. Ovviamente la prognosi dipende molto dalle condizioni del neonato all’ingresso, quindi da eventuali patologie materne, dalla modalità del parto e dalla qualità dell’assistenza, dall’intervallo di tempo tra la nascita e il ricovero, dalle condizioni di trasporto dalla sede del parto all’Ospedale provinciale, oltre evidentemente alla presenza di fattori aggravanti quali gemellarità, IUGR, malattie infettive, malformazioni. In ogni caso, abbiamo scelto di accogliere tutti i neonati che venivano presentati al nostro Servizio. Nel caso di neonati di peso inferiore ai 900g, di età gestazionale stimata sotto le 26 settimane o portatori di malformazioni gravi, abbiamo garantito le cure compassionevoli, ovvero calore, alimentazione per os con latte materno e vitamina K per via intramuscolare; normalmente l’analgesia, quando necessaria, è stata ottenuta con Paracetamolo. Nel caso di neonati di età gestazionali e/o di peso superiori ci si è attenuti al protocollo interno per la gestione del neonato pretermine, cosa che ha permesso la gestione autonoma dei nuovi ingressi da parte del personale infermieristico di notte e nelle ore di assenza del medico di Reparto; provvedimenti diagnostici e terapeutici al di fuori di questi protocolli venivano decisi volta per volta da parte del medico. 78 Nei casi in cui più pazienti avessero contemporaneamente necessità di utilizzare presidi la cui disponibilità era limitata (per esempio lettini termici, incubatrici, saturimetri o Ossigenoterapia), abbiamo cercato di garantirli prioritariamente a chi più ne avesse bisogno. Qualora non fosse possibile fare altrimenti, il presidio è stato fornito “in condivisione” (per esempio due pazienti sullo stesso lettino termico, prestando maggior cura all’osservanza delle norme igieniche) o “in alternanza” (per esempio monitoraggio intermittente della saturazione periferica dell’Ossigeno); solo nel caso di pazienti in stato agonico abbiamo deciso di togliere un presidio a un neonato che già ne usufruiva per darlo a chi avesse migliori speranze di sopravvivenza. Abbiamo cercato di potenziare l’utilizzo di tecniche a basso costo (per esempio, kanguroterapia per il mantenimento dell’omeostasi termica, alimentazione enterale con latte materno) e di ridurre la domanda di terapie e monitoraggi che richiedessero strumentazione avanzata, per esempio limitando l’uso di Ossigenoterapia, tollerando SatO2 periferiche basse (SatO2 >83-85%), e responsabilizzando le madri e il personale infermieristico per quanto riguarda la corretta postura del neonato, l’osservazione del colorito, la stimolazione tattile. L’accessibilità teorica al nostro servizio è buona, grazie alla legge dello Stato burundese che garantisce cure gratuite ai bambini di età inferiore ai 5 anni e alle donne durante la gravidanza e al momento del parto. In realtà l’accessibilità concreta a un servizio dipende dalla possibilità di arrivarci, spesso al termine di lunghi percorsi a piedi o dopo ore su di fuoristrada affollati provenienti dai centri di sanità periferici, e dalla possibilità di restare in ospedale per tutta la durata del ricovero. La durata della permanenza in Ospedale per assistere un figlio malato costituisce un grave problema per molte donne. Soprattutto nel caso di neonati patologici o gravemente prematuri, infatti, il ricovero spesso si protrae per alcune settimane e, nonostante l’offerta da parte dell’ospedale della possibilità di dormire in una stanza dedicata, della fornitura di vestiario pulito e di un pasto al giorno, l’impatto economico della permanenza lontano dalla famiglia è spesso pesante. Si ha inoltre il 79 problema dell’ostilità degli altri componenti del nucleo famigliare, in particolare i mariti, che mal tollerano l’assenza prolungata della donna dalle incombenze abituali e spesso esercitano forti pressioni per l’evasione dall’ospedale prima della dimissione ordinaria. In questi casi abbiamo tentato, attraverso la mediazione linguistica e culturale del personale infermieristico, la persuasione dei genitori sulla necessità della prosecuzione del ricovero; abbiamo proposto il rientro temporaneo della donna, mentre il neonato sarebbe stato accudito dal personale ospedaliero; in casi molto selezionati abbiamo anticipato la dimissione prevedendo degli appuntamenti di follow-up ravvicinati. Un ultimo lavoro che ci ha impegnato, infine, è la raccolta dei dati riguardanti la popolazione dei neonati ricoverati (età gestazionale, peso, lunghezza e circonferenza cranica alla nascita, eventuali malattie materne, tipo di parto), i trattamenti ricevuti (farmaci, indagini diagnostiche) e l’esito del ricovero (modalità, peso, lunghezza e circonferenza cranica alla dimissione). Come già sottolineato, siamo consapevoli della necessità di avere dei dati attendibili per valutare l’impatto dei provvedimenti messi in opera e per avere una base su cui progettare gli interventi futuri. E’ necessario che questi dati vengano raccolti in forma informatizzata in modo da essere facilmente analizzabili e comparabili. La registrazione dei decessi, oltre al valore epidemiologico, permette inoltre di dare testimonianza alle vite interrotte, di rendere esplicito il nostro credere nel valore e nell’unicità di ciò che è stato perduto. 9.2 DISCUSSIONE SUI CRITERI CHE GUIDANO LE DECISIONI CLINCHE NELL’AMBITO DELLA TERAPIA INTENSIVA NEONATALE NEL MONDO Problemi negli HICs: evitare l’eccesso di cura Negli HICs i progressi delle cure neonatali hanno permesso la sopravvivenza di neonati molto piccoli, che in passato non sarebbero stati considerati vitali, spesso 80 con risultati a lungo termine sorprendentemente buoni. Un argomento molto dibattuto in queste sedi è la limitazione dei trattamenti intensivi: in alcune circostanze, quando il decesso del neonato può essere rimandato solo temporaneamente e a prezzo di gravi sofferenze, oppure quando la sopravvivenza si associa a disabilità permanenti gravissime, è considerato appropriato non utilizzare tutte le risorse della moderna medicina, limitare i trattamenti intensivi invasivi e dolorosi e garantire al contempo le cure palliative. Questo cambiamento rappresenta il passaggio dalla politica “disease oriented”, in cui si mira ad evitare o posticipare la morte con tutti i mezzi disponibili, alla filosofia “person oriented”, che prende in considerazione la qualità della vita tra i parametri di scelta (82). Tra il 1996 e il 1997 in Europa è stato effettuato lo studio EURONIC (European Research Project) (83) con lo scopo di analizzare le opinioni e le esperienze degli staff medici e infermieristici per quello che riguarda le decisioni etiche. Va oltre lo scopo di questa breve trattazione analizzare in dettaglio i risultati di questo studio; basti segnalare come la grande maggioranza dei medici in ogni Paese fosse favorevole alla limitazione delle terapie invasive in caso di condizioni terminali, con maggiore variabilità di opinione nel caso di possibile sopravvivenza con disabilità gravi e riguardo alla legittimità dell’interruzione di trattamenti (per esempio ventilazione meccanica) già in corso; anche riguardo all’opportunità di coinvolgere i genitori nella decisione di limitare le cure invasive si registrarono opinioni diverse, pur nell’unanime convinzione della necessità di accettare il volere dei genitori nel caso in cui questi ultimi, contro il parere dei sanitari, si esprimessero a favore della continuazione delle cure. Problemi nei LMICs: promuovere l’equità e garantire la possibilità di cura Gli studi riguardo ai principi etici con cui quotidianamente vengono prese le decisioni nelle Terapie Intensive Neonatali nei LMICs sono invece molto poco numerosi. Tra essi si hanno alcune ricerche svolte in India nei primo decennio del XXI secolo con l’intento di valutare la consapevolezza dei dilemmi etici e analizzare le modalità di scelta di alcuni medici nelle Unità di Terapia Intensiva 81 Neonatale indiane (84, 85). Da questi studi emerge che l’età gestazionale al di sopra del quale i neonati sono considerati “vitali”, e quindi meritevoli di cure intensive, è molto più elevata negli LMICs (28-32 settimane di età gestazionale) rispetto agli HICS (23-24 settimane di età gestazionale); l’eccesso di trattamento, ovvero l’accanimento terapeutico non è considerato un rischio né un’eventualità possibile; le specifiche decisioni di trattamento sono influenzate da fattori complessi, in cui un ruolo rilevante è giocato dalla percezione delle conseguenze per gli altri (famiglia, comunità) piuttosto che dalle sole condizioni cliniche del neonato. Nell’intenzione di assicurare giustizia e sostenibilità economica, il principio del “miglior interesse del bambino” viene ad essere sostituito da un concetto più ampio di beneficenza alla famiglia, alla società e allo Stato. In questa riflessione entrano in gioco diversi elementi: - Ragioni cliniche: grande attenzione viene posta alla possibilità di garantire una sopravvivenza “intatta” cioè priva di disabilità neurologiche o di altri gravi handicap. Il sistema sanitario e sociale, infatti, non è in grado di farsi carico delle necessità di bambini con bisogni speciali. - Ragioni protettive: evitare ciò che è percepito come un danno alla famiglia; la presenza di un neonato prematuro o malato, infatti, può causare un tracollo economico del nucleo famigliare che si ripercuoterebbe sugli altri membri, specialmente sui fratelli, con conseguenze a lungo termine (per esempio, ridotta scolarità, maggiore malnutrizione, minore cura genitoriale). Inoltre c’è il desiderio di modulare il trattamento proposto alle condizioni economiche della famiglia, per risparmiare ai genitori l’umiliazione di non poter comprare trattamenti costosi per il loro bambino. - Ragioni strutturali: le risorse degli ospedali sono molto scarse. I medici dichiarano di avvertire una sensazione di spreco quando trattamenti costosi vengono forniti a neonati con prognosi scarsa. Nel caso di strumentazioni limitate (per esempio ventilatori meccanici), e in mancanza di linee guida che diano criteri per la scelta, si pone inoltre il problema di come decidere a quali pazienti dare precedenza nelle cure (il primo che arriva? o quello che più ha possibilità di sopravvivenza?). 82 - Ragioni procedurali: nel caso in cui la famiglia si opponga alle cure, anche di fronte a neonati con discrete possibilità di sopravvivenza, si soffre l’impossibilità di forzare la scelta. I bambini rifiutati dalla famiglia infatti, anche qualora sopravvivessero, andrebbero rapidamente incontro a morte per malattie dovute alla malnutrizione e alla mancanza di cure. - Ragioni compassionevoli: nel caso di neonati frutto di “gravidanze preziose”, nati da madri anziane o con storia di infertilità e/o aborti ripetuti, il trattamento tende ad esser più aggressivo. - Ragioni legali: l’assenza di linee guida e la mancata percezione della legge come elemento determinante nella scelta crea un vuoto di regolamentazione in cui il medico deve decidere da solo, senza essere tenuto a rispondere ad altri. - Ragioni culturali: i medici sentono forte la necessità di impedire la discriminazione di genere, ma spesso sono impotenti di fronte all’atteggiamento delle famiglie che rifiutano o limitano il trattamento nel caso di neonate femmine. Si registrano inoltre difficoltà di comunicazione con i genitori, che sono spesso poco istruiti e di basso strato socio-economico, per cui, nella pratica, i genitori sono poco coinvolti nelle decisioni da prendere. E noi? L’occasione di lavorare in un contesto completamente diverso da quello in cui si è formata la nostra esperienza umana e professionale ci ha posto quotidianamente di fronte alla necessità di prendere delle decisioni senza il supporto di buona parte delle linee guida internazionali, impraticabili nella nostra situazione, mentre la consapevolezza del valore della vita di ciascun neonato si misurava con la continua evidenza dell’ingiustizia, del vedere morire, per mancanza di mezzi, neonati che nella parte ricca del mondo avrebbero potuto vivere. La stesura dei protocolli interni per la gestione del neonato prematuro o patologico è stata guidata dalla scelta di limitare al massimo l’utilizzo di terapie invasive e complesse. 83 Questa decisione è stata presa per evidenti ragioni di disponibilità e di costo, ma anche per permettere una migliore e più autonoma gestione delle cure da parte del personale infermieristico. L’analisi dei risultati ottenuti con i protocolli precedenti, che prevedevano l’uso routinario di antibiotici per via parenterale, di trasfusioni sanguigne e di Ossigenoterapia, ha evidenziato una mortalità molto elevata, con punte massime del 50-60% dei neonati ricoverati. A nostro avviso, i risultati scoraggianti ottenuti con linee guida simili a quelle in uso nei HICs, sono attribuibili all’intrinseca tossicità di alcune di queste pratiche (per esempio somministrazione indiscriminata di Ossigeno), all’inadeguatezza di alcuni presidi (per esempio, sangue per trasfusioni vecchio e poco sicuro dal punto di vista infettivologico, somministrato senza la possibilità di regolare precisamente la quantità e la velocità di infusione), all’aumentato rischio di infezione (per esempio, presenza di numerosi accessi venosi spesso reperiti in condizioni non sterili) e agli errori nella somministrazione dei farmaci. Per evitare l’eccessivo affollamento del Reparto, con gli ovvi problemi igienici che ne conseguono, abbiamo scelto di dimettere i neonati molto precocemente, non appena fossero in condizioni cliniche stabili, senza necessità di terapia, in grado di alimentarsi e di crescere adeguatamente, con delle madri capaci di accudirli. Questa scelta si è basata sulla necessità di venire incontro al bisogno dalle madri di ritornare presto al nucleo famigliare, spesso per la minaccia dell’abbandono da parte del marito o dell’assenza di cure per il resto della prole, ma anche sulla convinzione che l’accudimento del neonato sarebbe stato migliore a casa, con una madre più serena, piuttosto che in un Reparto ospedaliero sovraffollato. Il follow up con appuntamenti ravvicinati ci ha permesso di constatare che nella stragrande maggioranza dei casi la gestione domiciliare dei prematuri era sufficientemente buona, con neonati in buone condizioni generali e peso in crescita. Vale la pena sottolineare, infine, la difficoltà che abbiamo incontrato nella comprensione della situazione psicologica delle madri che si trovavano nella condizione di dover gestire un neonato prematuro o patologico e del significato e 84 del valore che ciascuna di esse attribuiva al suo figliolo. Spesso, nella pratica clinica quotidiana, ci siamo trovati di fronte a rifiuti incomprensibili dell’alimentazione o della terapia, ad evasioni, a distrazioni nella gestione quotidiana che talvolta avevano conseguenze fatali, al ricorso a pericolose pratiche di medicina tradizionale kirundi. Non solo le madri evidenziavano una compliance scarsa con le indicazioni del medico, ma spesso anche il personale infermieristico si poneva, per certi neonati più che per altri, in un atteggiamento di trascuratezza che non di rado portava al decesso del neonato. I tentativi di sensibilizzare le madri e le infermiere alla necessità di una cura più attenta e costante, si scontrava, oltre che con le difficoltà linguistiche, contro al muro costituito dal nostro essere bianchi e stranieri, e quindi di non poter comprendere nel profondo i meccanismi psicologici e sociali che portavano a questa mancanza di cura o a queste pratiche non idonee. Credo che senza un’opera di formazione scientifica ma anche culturale, e soprattutto senza l’attenzione ad una inculturazione più umile e profonda, non sarà possibile ottenere risultati adeguati e duraturi. 9.3 DISCUSSIONE SULLA REGOLAMENTAZIONE DELLA RICERCA SCIENTIFICA NEL MONDO Attualmente più del 90% delle risorse per la ricerca del mondo sono destinate allo studio delle patologie che causano meno del 10% della morbidità globale (86). Per promuovere l’equità globale nella ricerca sanitaria è necessario finanziare programmi di ricerca pubblici e rafforzare la capacità dei paesi LICs di fare ricerca autonoma negli ambiti di maggior rilevanza locale. E’ inoltre auspicabile che le ditte private che si occupano di ricerca in campo sanitario aderiscano a precise regole per evitare che lo studio si trasformi in sfruttamento di persone e popolazioni bisognose. Cenni di storia della regolamentazione della ricerca scientifica sugli esseri umani Il concetto di preminenza dei diritti e della sicurezza dei pazienti in campo clinico è riconosciuto dai tempi di Ippocrate, ma per la prima volta è stato enunciato in un 85 contesto di terapia sperimentale da Claude Bernard nel 1957 (87). Nel 1964 la Dichiarazione di Helsinki della World Medical Association ha formulato i principi base per la condotta della ricerca umana biomedica, poi emendati nel 2000 (88). Il problema specifico della sostenibilità etica della ricerca nei Paesi in via di sviluppo è stato affrontato per la prima volta nel 1982 dal Council for International Organization of Medical Sciences (C.I.O.M.S.) che, in collaborazione col W.H.O., ha proposto delle linee guida per la ricerca internazionale, emendate nel 1993 e quindi nel 2002 (89). Negli ultimi anni, a fronte dell’evidenza della scarsa attuazione di queste linee guida, sono state istituite delle commissioni nazionali di bioetica, ma al giorno d’oggi non tutti i Paesi hanno delle leggi che regolino la ricerca sugli esseri umani, sia quella effettuata da istituti stranieri che quella sponsorizzata localmente (90). Requisiti fondamentali della ricerca sugli esseri umani La ricerca, internazionale o locale, deve innanzitutto rispondere a tre requisiti fondamentali: “non far male, far bene ed essere equa”. Essa è quindi tenuta a: - rispettare la dignità di tutti i soggetti coinvolti, non utilizzando persone in stato di bisogno per ottenere conoscenze che potrebbero esser utili solo a terzi; - essere rilevante per i bisogni sanitari del paese in cui si svolge lo studio, coinvolgendo la comunità e stimolando la domanda di ricerche che rispondano alle esigenze della popolazione. Chi si occupa di ricerca a sua volta deve: - collaborare con studiosi e ricercatori locali con cui, tra l’altro, negoziare lo “standard of care” da garantire alla popolazione oggetto dello studio; - coinvolgere gli amministratori locali e coloro i quali sono responsabili della definizione della politica sanitaria; - garantire che gli eventuali benefici della ricerca siano ragionevolmente disponibili per gli abitanti della comunità in cui essa si è svolta; 86 - garantire l’accesso ai trattamenti in oggetto, se dimostrati efficaci e sicuri, anche dopo il termine dello studio; - ottenere un autentico consenso informato (91, 92). Il problema della definizione dello “standard of care” Le ricerche che senza scrupoli sfruttano la vulnerabilità e il bisogno di una popolazione sono, ovviamente, da condannare. In molti casi, tuttavia, è necessario applicare lo spirito piuttosto che la lettera delle linee guida, permettendo un’interpretazione contestuale delle proposizioni enunciate nei trattati internazionali. Ad esempio, è principio universalmente accettato il fatto che i benefici, i rischi e l’efficacia di un nuovo metodo profilattico, diagnostico o terapeutico dovrebbero essere paragonati con quelli del miglior metodo profilattico, diagnostico o terapeutico disponibile al momento, ovvero che ad ogni partecipante ad uno studio scientifico, inclusi i casi-controllo, dovrebbe essere garantito quello che è considerato lo “standard of care”, il trattamento standard in uso nel mondo. Ciò non esclude l’uso di placebo, o di nessun trattamento, nei casi in cui non esista un metodo diagnostico profilattico o terapeutico provato (90). Qualora lo “standard of care” sia variabile da Paese a Paese, o addirittura all'interno dello stesso Paese, a causa della scarsità di risorse, si pone il problema di decidere quali sperimentazioni possano essere testate e quali trattamenti possano essere offerti al gruppo di controllo nel corso di una sperimentazione. Anche se non esplicitato nella Dichiarazione di Helsinki, lo “standard of care” che deve essere garantito a tutti i partecipanti allo studio dovrebbe essere interpretato nel contesto del luogo di studio piuttosto che a livello mondiale. In situazioni in cui lo “standard of care” riconosciuto a livello internazionale, o addirittura quello assunto a livello nazionale, non sia disponibile per la popolazione è quindi possibile effettuare degli studi che valutino l’impatto di altri metodi profilattici, diagnostici o terapeutici, considerati sostenibili in quel determinato contesto. Il “Gadchiroli trial” è uno studio effettuato in India nel 1999 che ha fatto scuola in 87 questo ambito della discussione etica. Nel contesto del territorio rurale indiano, un gruppo di operatori sanitari addestrati ha somministrato una terapia antibiotica per via orale e intramuscolare ai neonati affetti da sospetta sepsi. Ovviamente questo tipo di trattamento sul territorio della sepsi neonatale non rientra in nessuno “standard of care” riconosciuto a livello internazionale né in quello dello Stato indiano, che prevede il ricovero in Terapia Intensiva Neonatale e la terapia antibiotica per via parenterale. Lo studio, quindi, stando alla lettera delle linee guida, non avrebbe dovuto essere eseguito. I ricercatori hanno affrontato un complesso lavoro di approfondimento scientifico ed etico, giungendo alla conclusione che, in un contesto in cui lo “standard of care” era riconosciuto come non sostenibile, l’attuazione di questo intervento “sub-ottimale” era accettabile. L’attuazione del Gadchiroli trial ha così permesso la riduzione della mortalità neonatale del 72% nel contesto di una popolazione che altrimenti non avrebbe ricevuto nessun trattamento e rivendica il principio per cui ogni LMIC deve avere la possibilità di sviluppare interventi sanitari che possano adattarsi alle condizioni socioculturali ed economiche locali (91). E noi? Fare ricerca nei LMICs è difficile: mancano strumenti, fondi, organizzazione, risorse umane. Il personale sanitario, locale ed espatriato, è spesso gravato dal lavoro clinico; le istituzioni statali che dovrebbero formare gli specialisti faticano a trovare le risorse anche per l’istruzione universitaria di base; gli investimenti necessari per la ricerca sono eccessivamente costosi per sistemi che mancano di fondi persino per le urgenze. Ciò nonostante, è evidente l’urgenza di cercare soluzioni innovative, basate sull’evidenza e sostenibili per problemi che toccano un numero elevatissimo di persone. E’ altresì evidente la necessità di elaborare una letteratura scientifica che possa essere utilizzata per la stesura di protocolli locali e per effettuare delle decisioni cliniche in un contesto in cui, purtroppo, le linee guida adatte agli HICs non sono proponibili. Il progetto del nostro lavoro era essenzialmente clinico e di formazione, ma lo 88 scontrarsi quotidianamente con la difficoltà nutrire in maniera adeguata i neonati a noi affidati ci ha spinti ad elaborare questa sperimentazione. La pasta di supplementazione da noi progettata, ovviamente, non rientra negli “standard of care” per la nutrizione del neonato prematuro in nessuna parte del mondo; siamo consapevoli del fatto che essa presenti carenze importanti dal punto di vista nutrizionale e che sarebbe impensabile somministrarla nei HICs, dove si hanno a disposizione alimenti sofisticati che molto meglio rispondono alle necessità dei piccoli pazienti. Abbiamo discusso la legittimità del nostro studio e ci è sembrato giusto privilegiare lo spirito piuttosto che la lettera della legge, sperimentando la tollerabilità di un alimento che, pur in modo imperfetto, potrebbe contribuire alla crescita adeguata di neonati che altrimenti stenterebbero ad ottenere tale risultato. Uno studio di ricerca come il nostro ha costi vivi molto modesti, tuttavia richiede un accurato lavoro di progettazione basato sulla letteratura internazionale esistente, la collaborazione del personale medico e infermieristico, che si trova a dover gestire un’attività in più durante il consueto orario di lavoro, ed infine un’assidua opera di raccolta dati. Questa parte dello studio, che comprende idealmente un rigoroso follow-up per valutare sul lungo termine le conseguenze dei nostri interventi, è forse la fase più delicata ed importante. E’ necessaria la più precisa opera di raccolta dati e la più limpida onestà intellettuale per trarre delle conclusioni rigorosamente basate sui fatti, e quindi utili. Mi pare infine importante sottolineare la scelta di effettuare una sperimentazione con materiali e strumentazioni estremamente economici e semplici, in modo da permettere, in futuro, la produzione e l’utilizzo della pasta di supplementazione anche da personale non medico (per esempio infermieri, operatori sanitari di comunità), in contesti rurali o comunque in assenza di personale espatriato. Infatti è nostra convinzione la necessità di progettare una cooperazione tra HICs e LMICs 89 basata più sulla valorizzazione delle potenzialità e dell’autonomia dei Paesi in via di sviluppo che sul mero assistenzialismo. 9.4 CONCLUSIONI Molte questioni restano, ovviamente, aperte, ad esempio il problema di come affrontare pragmaticamente i bisogni più urgenti senza perdere di vista la più alta aspirazione a colmare le iniquità economiche e sanitarie tra ricchi e poveri. A fronte della quotidiana esperienza dell’ingiustizia e del fallimento, a fronte dell’evidente insufficienza delle proprie risorse per colmare bisogni sproporzionatamente grandi, a fronte della frustrazione di assistere alla morte di bambini che in altre parti del mondo avrebbero potuto vivere, credo che occorra ricordare che “il bene concretamente possibile è tutto il bene”. Infine, sembra necessario migliorare le capacità locali di ricerca non solo sanitaria, ma anche etica, attraverso lo studio di questa disciplina nelle università di medicina e nei programmi di istruzione in Sanità Pubblica: “Finché tutti gli studiosi di etica sono nel Nord del mondo e il Sud è solo ricevente passivo dei principi etici, non cambierà nulla” (Abdallah Daar) (90). 90 10. BIBLIOGRAFIA (1) Zupan J, Aahman E: Perinatal mortality for the year 2000: estimates developed by WHO. Geneva, World Health Organization, 2005. (2) W.H.O.: Perinatal and neonatal mortality for the year 2004: Country, regional and global estimates. Geneva, World Health Organization, 2004. (3) Lawn JE, Cousens S, Zupan J: 4 million neonatal deaths: When? Where? Why? Lancet 2005; 365: 891–900. (4) End Poverty 2015: Millennium Development Goals [www.un.org/millenniumgoals] (5) U.N.I.C.E.F.: State of the world's children 2005. 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Grazie agli amici Elisa, Giulia, AnnaMaria, fr.Giampaolo, Francesco, Leonardo, per il tempo, le parole, la vita. Grazie a Roberta, per la paziente opera di correzione dei testi. 99